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3 Morfologia e sintassi di Sergio Lubello

2. Morfologia
2.1. Nozioni di sfondo; 2.1.1. Morfema
Cos’è la morfologia? La morfologia è lo studio della struttura interna delle parole, della
loro forma e dei cambiamenti che subiscono per assumere valori e funzioni diverse. È il
livello di analisi linguistica che studia la forma delle parole o, meglio, la loro struttura.
Cosa s’intende per parola? Per parola s’intende la minima combinazione di elementi minori
dotati di significato: i morfemi. Quindi, una parola è costituita da almeno un morfema.
(Una parola è allo stesso tempo un’unità fonologica, semantica e grammaticale, ossia
morfosintattica).
Cosa s’intende per lessema? Dal pdv lessicale per lessema s’intende una parola, che è
identificata dal suo significato. Le diverse forma di un lessema condividono tutte uno
stesso significato che è descritto nel dizionario proprio perché riportano i lessemi in una
forma convenzionale detta forma di citazione o lemma. Lemmatizzazione: dalle forme
variabili o flesse di una parola alla forma di citazione. Esistono lessemi semplici e lessemi
complessi.
Cos’è un morfema? Il morfema è l’unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo
di significante dotato di significato proprio, di un valore e una funzione precisi ed
individuabili che può essere riutilizzato. È la minima associazione di un significante e
significato.
Il morfema può veicolare un significato lessicale  morfemi lessicali che appunto
riguardano il lessico ed è un sistema aperto oppure può veicolare informazioni
grammaticali ed è un sistema chiuso (numero, genere, persona, ecc.)  morfemi
grammaticali. Il morfema può essere: libero, quando la parola coincide con il morfema;
semilibero; legato ad altri morfemi.
Inoltre, il morfema può essere: morfema flessionale o morfema derivato.
La morfologia flessionale riguarda la flessione, ovvero, la modificazione delle forme in
relazione alle diverse funzioni grammaticali e ad altri aspetti morfosintattici. L’italiano è in
parte una lingua flessiva. Le lingue si classificano in tipi distinti contrassegnati da un
insieme di similarità e il loro studio è detto tipologia linguistica. Nella tipologia morfologica
si classificano le lingue in: lingue isolanti, agglutinanti, polisintetiche e flessive; le flessive
possono essere analitiche, che ricorrono ad elementi esterni per esprimere i rapporti
sintattici e sintetiche, che si avvalgono di elementi interni. Tuttavia, le lingue possono
presentare sia elementi analitici che sintetici.

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2.1.2. Allomorfia
Cos’è un morfo? Il morfo è un morfema inteso come forma, ossia dal pdv del significante e
indipendentemente dalla sua analisi funzionale e strutturale.
Cos’è un allomorfo? Un allomorfo è una variante formale di un morfema, è ciascuna delle
diverse forme in cui si può presentare un morfema; quindi, assume forme diverse ma non
cambia il suo significato. Le trasformazioni dei morfemi grammaticali possono dipendere
da condizioni fonetiche.
Cos’è il polimorfismo? Il polimorfismo è il fenomeno per cui due o più forme dello stesso
paradigma svolgono le stesse funzioni con lo stesso significato.
Il suppletivismo: in italiano è frequente per una stessa forma grammaticale la presenza di
due o più morfemi non fonologicamente derivabili l’uno dall’altro ed etimologicamente
provenienti da forme distinte.

2.1.3. Le parti del discorso


Si può dire: parti del discorso, classi di parole o categorie lessicali. In italiano si considerano
nove parti del discorso, cinque sono variabili (nome, articolo, aggettivo, pronome e verbo)
e quattro invariabili (avverbio, preposizione, congiunzione e interiezione).
Esistono diversi criteri di classificazione delle classi di parole:
 Criterio logico-semantico: si basa sul contenuto che indicano le categorie e si
possono distinguere parole piene che hanno un contenuto semantico significativo e
parole vuote con contenuto semantico debole;
 Criterio funzionale: si basa sulla funzione esercitata dalla parola;
 Criterio distribuzionale: si basa sulla posizione della parola rispetto ad altre nella
frase;
 Criterio formale: distingue parole variabili da quelle invariabili.
I processi di grammaticalizzazione e lessicalizzazione sono due processi che riguardano il
mutamento linguistico nel tempo.
Cos’è la grammaticalizzazione? È il fenomeno per cui forme linguistiche libere perdono
gradualmente l’autonomia fonologica e il significato lessicale fino a diventare forme legate
con valore grammaticale.

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Cos’è il processo di lessicalizzazione? È il fenomeno per cui nuove unità linguistiche che
precedentemente non avevano valore lessicale, vengono a far parte del lessico di una
lingua. L’idiomatizzazione è un caso frequente di lessicalizzazione degli alterati.

3. Sintassi
3.1. Nozioni di sfondo: frase, enunciato, sintagma
La sintassi è il livello di analisi della linguistica che studia il modo in cui le parole si
combinano e si dispongono in una frase e i rapporti che intrattengono tra loro.
Esistono diverse definizioni di frase. Innanzitutto, la frase è l’unità di massima espansione
prima del testo, fa quindi da unità di misura della sintassi. Si può definire la frase come un
insieme di parole governato da regole, ossia come una sequenza in cui vigono delle
relazioni di costruzione grammaticali, in particolare la reggenza  ossia il legamento
sintattico per cui una parola richiede a un’altra parola dopo di sé di assumente una
particolare forma morfologica (es.: verbi che richiedono preposizioni specifiche) e
l’accordo (o concordanza)  che è una relazioni per cui la forma di una parola richiede una
corrispondente forma di un’altra parola (es.: sogg. Plurale richiede accordo con il
predicato). Infatti, per la costituzione di una frase non è sufficiente una qualunque
successione o combinazione di parole, ma è necessario che sia dotata di significato
compiuto. Secondo un’altra definizione di frase, la frase è un insieme di parole disposte
intorno ad un verbo di senso compiuto e autonomo, ossia che contiene una predicazione.
Tuttavia, esistono frasi che sono prive di predicato (es.: frasi nominali, ellittiche,
olofrastiche) o ancora frasi che, pur avendo un predicato, non hanno senso compiuto.
L’enunciato è un’espressione linguistica prodotta oralmente o per iscritto, compresa tra
due stacchi forti fonici o grafici, di senso compiuto proprio perché è collegata ad altri
enunciati o legata ad una concreta situazione comunicativa.
Tra la parola e la frase esiste un’unità intermedia chiamata sintagma. Il sintagma è una
sequenza costituita o da una sola parola o da una combinazione di due o più elementi che
si comportano come un’unità costruita intorno ad un nucleo che è detto testa del
sintagma. Perciò, in base all’elemento dominante, ossia la testa, il sintagma può essere:
 SN nominale
 SAgg aggettivale
 SV verbale
 SPrep preposizionale
 SAvv avverbiale.

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Il sintagma nominale SN è costituito da un nome che funge da testa del sintagma e poi dal
complemento o modificatore che può svolgere la funzione di specificare, quantificare e
determinare: sono specificatori (Spec) gli articoli e i dimostrativi, sono quantificatori
(Quant) gli indefiniti e i numerali, sono determinanti (Det) numerosi aggettivi. Il sintagma
nominale minimo è un nome e il massimo può avere una struttura molto complessa (es.
pag. 103). Inoltre, in base alla posizione che la testa occupa nel sintagma nominale, sx o dx
del complemento, le lingue possono essere classificate con una costruzione progressiva e
regressiva. L’italiano, come le altre lingue romanze, è una lingua con testa iniziale, a sx del
complemento, e modificatore postnominale. Questa struttura è osservabile anche nei
nomi composti (determinato + determinante). In base all’ordine degli elementi che
compongono il sintagma, esso può essere continuo  quando gli elementi sono ordinati
linearmente o discontinuo  quando sono interrotti. Per poter capire se una sequenza
costituisce un sintagma si possono applicare quattro criteri:
1. Criterio di spostamento: se una sequenza di parole si può spostare in una posizione
diversa all’interno della frase senza romperla essa è un sintagma;
2. Criterio di sostituibilità: se una sequenza di parola può essere sostituita da una
proforma essa forma un sintagma;
3. Criterio di enunciabilità in isolamento: se una sequenza di parole in certi contesti
può costituire da sola un enunciato essa forma un sintagma;
4. Criterio della coordinabilità: le sequenze di parole che costituiscono i membri di
strutture coordinate sono sintagmi.
I sintagmi funzionano come le scatole cinesi perché possono contenere al loro interno altri
sintagmi; a questo proposito si parla di sintagmi complessi e i sintagmi contenuti in
sintagmi complessi si dicono incassati.
La struttura di una frase può essere visualizzata secondo un diagramma ad albero o
indicatore sintagmatico della frase che è costituito da nodi da cui partono rami.
La frase semplice è la frase formata da un solo verbo, vale a dire da una sola proposizione,
invece, la frase complessa è costituita da due o più verbi , quindi da due o più proposizioni.
Perciò, si distinguono per il numero di predicati.
Una frase oltre ad essere analizzata a seconda dei componenti (i sintagmi) può essere
esaminata anche dal pdv del suo contenuto informativo, quindi, a seconda della
distribuzione delle conoscenze (tema, rema). Un enunciato, in genere, può contenere due
tipi di informazioni: informazione data e informazione nuova. Un’informazione è data se è
riscontrabile nella situazione in cui si comunica oppure se fa parte delle conoscenze
condivise dei partecipanti della conversazione o se è esplicitamente menzionata nel
contesto linguistico precedente.

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3.2. Frase semplice
3.2.1. Nucleo
La frase semplice (o singola), detta anche nucleare, è formata da una parte centrale detto il
nucleo a cui possono aggiungersi vari elementi extranucleari e via via più periferici, vale a
dire i circostanti e le espansioni. Il nucleo contiene gli elementi indispensabili alla
costruzione della frase ossia i verbi e i suoi argomenti ed è quindi il fulcro portante della
frase semplice, semanticamente riempito dalla struttura argomentale del verbo che può
essere comporto anche solo da un verbo come accade nelle frasi con verbi impersonali.
Quindi, tra i vari elementi del nucleo c’è un forte rapporto grammaticale, mentre fuori dal
nucleo gli elementi diventano più di senso che grammaticali. Il predicato è ciò che si dice,
si predica, si afferma del soggetto e può essere verbale con i verbi predicativi che hanno un
significato lessicale pieno o nominale dall’unione dell’ausiliare essere o di verbi copulativi
con un elemento nominale. Nella frase semplice generalmente il predicato è espresso da
un modo finito, ma in alcuni testi di tipo regolativo o prescrittivo, per esempio, si può
trovare anche un modo infinito.
3.2.2. Soggetto
Il soggetto è l’argomento fisso e il primo argomento di una frase, ha due proprietà: 1)
completa il verbo determinandone tramite l’accordo la persona, il numero e il genere (nei
tempi comporti) e di solito precede il verbo nell’ordine della frase non marcato.
Generalmente è rappresentato da un nome o un pronome, ma può essere qualsiasi parte
del discorso: congiunzione, aggettivo, avverbio, verbo all’infinito, ecc., e anche un’intera
proposizione.
Sul piano sintattico il soggetto accorda obbligatoriamente con il verbo, anche se in alcuni
casi soprattutto nel parlato, l’accordo può non verificarsi, ad esempio: nella concordanza a
senso quando il soggetto è un nome collettivo e il verbo è al plurale, quando ci sono più
soggetti posposti o al plurale il verbo può restare al singolare e con il verbo singolare e il si
passivante.
L’accordo e la posizione sono le due proprietà sintattiche del soggetto, ma il soggetto ha
anche un ruolo semantico perché delinea la funzione che un argomento ha nell’evento
descritto dal verbo; infatti, il soggetto può fungere da agente, paziente ed esperiente.
Inoltre, per esempio nelle frasi passive, il soggetto grammaticale può non corrispondere
con quello logico.
Nell’ordine normale di una frase, generalmente il soggetto precede il verbo, ma può anche
occupare una posizione postverbale, per esempio: con verbi inaccusativi, quando si vuole
marcare un confronto con un altro soggetto, nelle frasi esclamative, interrogative, in
costruzioni passive con soggetto noto, con il verbo dire e verbi simili, negli ordini marcati

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che mettono in rilievo il soggetto. In italiano l’espressione del soggetto è facoltativa perché
è una lingua a soggetto non obbligatorio (o lingua PRO-drop, pronoun dropping “caduta
del pronome”) come le altre lingue romanze ad eccezione del francese. Esistono però
alcuni casi in cui è obbligatoria l’espressione del pronome soggetto, ossia: quando il
morfema verbale non permette di disambiguare la persona, quando il soggetto non viene
nominato da molto tempo, nei casi di focalizzazione quando è posposto e con le frasi
scisse, in casi di contrapposizione, in espressioni olofrastiche, in frasi ellittiche e nominali,
in coordinazione con altri pronomi e sintagmi nominali, quando è accompagnato da una
determinazione. In più, in italiano e nelle altre lingue con espressione non obbligatoria del
soggetto, in presenza di verbi atmosferici e impersonali manca il soggetto nullo, invece è
presente negli usi figurati dei verbi atmosferici.
3.2.3. Altri elementi del nucleo
Oltre al verbo e al soggetto, anche gli argomenti del verbo (i cosiddetti complementi
dell’analisi logica tradizionale) possono completare il nucleo. L’oggetto è l’argomento
aggiuntivo oltre al soggetto presente nel nucleo formato da verbi bivalenti, trivalenti, ecc.
che può stabilire due tipi di legame con il verbo: diretto  senza preposizione con verbi
transitivi attivi, con partitivo, con verbi transitivi con possibilità di costruzioni transitive,
con verbi di supporto e indiretto  con pronomi personali o con preposizioni di luogo, di
causa, di mezzo, di agente, di causa efficiente, ecc. Esiste una struttura estranea all’italiano
standard e usata nelle varietà centro-meridionali e insulari chiamata dell’accusativo
preposizionale in cui vi è l’oggetto diretto rappresentato da persone, entità definite e
preceduto da preposizione; inoltre, con le dislocazioni o quando il soggetto è un pronome
tonico questo costrutto è diffuso anche in varietà settentrionali e non solo nel parlato.
3.2.4. Dal centro alla periferia del nucleo: i circostanti ed espansioni
Accanto e al di fuori del nucleo si collocano elementi aggiuntivi che possono arricchirlo ma
che non sono strettamente necessari e proprio in base alla loro azione e rapporto con il
nucleo si distinguono in:
 circostanti  ossia tutte quelle parole che si legano al verbo e ai suoi argomenti e li
specificano con accordi morfologici (genere e numero) o l’uso di preposizioni o di
accostamenti di significato, inoltre possono essere anche avverbi o locuzioni avverbiali;
invece, i circostanti degli argomenti possono essere aggettivi, participi, nomi in funzione
di apposizione, espressioni preposizionali (complementi), ecc.; perciò i circostanti
occupano una posizione ben definita all’interno della frase, ma che è più libera rispetto
al nucleo i cui elementi occupano posizioni solitamente fisse;
 espansioni  o margini non sono direttamente collegate né a un costituente del
nucleo né a un circostante, ma si riferiscono alla frase nel suo complesso; perciò, sono
elementi collocati al di fuori del nucleo che espandono, allargano, modificano il senso
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complessivo della frase senza avere un legame sintattico con gli altri elementi ed è per
questo che le espansioni non occupano una posizione fissa.

NUCLEO

CIRCOSTANTI
3.2.5. Tipi di frase semplice
ESPANSIONI
La frase può essere osservata e classificata in base a diversi parametri: dipendenza:
principali e subordinate; polarità: affermativa, interrogativa; diatesi: attiva, passiva;
segmentazione; modalità. Esistono frasi semplici con presenza di predicato e anche con
assenza di predicato; in questa tipologia rientrano la frase ellittica  in cui il verbo è
sottointeso perché è presente nella precedente e la frase nominale  che non è un’ellissi
verbale bensì una frase assertiva usata in modo marcato in cui il predicato è espresso in
un’altra forma (es.: verbo non coniugato, sintagma nominale, aggettivale, avverbiale o
preposizionale). Sono nominali anche le frasi non assertive prive di predicato, per esempio
le frasi imperative, interrogative o enfatiche. La nominalizzazione è la tendenza a dare
maggior peso al sintagma nominale per varie ragioni, spesso succede nei linguaggi
specialistici in quanto assicura un livello più alto di impersonalità (diminuzione
dell’agentività) e di astrattezza (occultamento dei partecipanti) e una maggiore carica
informativa. Dal pdv del contenuto e della modalità, ossia a seconda della particolare
intenzione comunicativa, esistono vari tipi di frase semplice:
1. modalità enunciativa o dichiarativa o assertiva
2. modalità volitiva
3. modalità esclamativa
4. modalità interrogativa, che a sua volta si distingue in: frasi interrogative totali o
polari, interrogative disgiuntive, interrogative parziali e domande retoriche. Esiste
inoltre la domanda eco, presente soprattutto nei dialoghi.
3.3. Frase complessa
3.3.1. Da una frase all’altra
Le frasi semplici possono collegarsi fra loro e formare una frase multipla che può
distinguersi in frase multipla composta e frase multipla complessa.
Nella frase composta il collegamento può avvenire per giustapposizione (asindeto) 
quando le frasi sono poste l’una dopo l’altra, senza elementi di collegamento, con confine
tracciato da un segno di interpunzione o per coordinazione (paratassi)  quando il
collegamento avviene per mezzo di diverse congiunzioni coordinative: copulative,
disgiuntive, conclusive, dimostrative o esplicative, nessi correlativi. La coordinazione

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testuale è un tipo particolare di (falsa) coordinazione che separa con forza la coordinata
dalla principale ed è frequente nello scritto giornalistico e anche nel parlato.
La frase complessa o periodo è costituita da un insieme di frasi collegate tra loro in modo
gerarchico vale a dire con un rapporto di subordinazione (ipotassi) attraverso vari tipi di
congiunzioni subordinative oppure con preposizioni. Una frase complessa è costituita
almeno da una frase semplice di senso compiuto, detta principale, che regge la struttura
sintattica, è l’elemento fondamentale e dà significato a tutta la frase complessa; è proprio
dalla frase principale che dipendono uno o più subordinate (o secondarie o dipendenti) che
da sole non hanno senso compiuto ma lo acquisiscono o lo completano in unione con la
reggente.
Coordinare e subordinare sono due modi diversi di organizzare le informazioni in un testo
e di disporle in un ordine gerarchico. Tuttavia, di fatto nel collegamento tra le frasi non
esiste un’opposizione netta tra coordinazione e subordinazione, ma piuttosto un
continuum nell’espressione dei rapporti logico-semantici del periodo e dunque nella
disposizione delle informazioni.
Il collegamento tra reggente e dipendente si realizza in due modi: 1) esplicito  con una
congiunzione subordinante, con un pronome o avverbio relativo, con il verbo della
dipendente in modo finito; 2) implicito  con il verbo della dipendente in modo infinito.
Differenza tra principale e reggente: la principale è una frase semplice che regge uno o più
frasi dipendenti, invece, la reggente (o sovraordinata) è una qualsiasi frase, anche una
dipendente, da cui dipende una subordinata. Inoltre, esistono vari gradi di subordinazione
e anche la coordinazione può congiungere due o più subordinate.
La sintassi subordinativa o ipotattica caratterizza lo scritto rispetto al parlato, in cui è più
frequente la coordinazione, ma anche alcune classi di testo.
Per classificare le subordinate esistono diverse ripartizioni che si basano su diversi
criteri:
I. criterio formale: considera l’elemento introduttore della subordinata o la forma del
suo predicato verbale;
II. criterio basato sul contenuto che le subordinate aggiungono al fatto enunciato
della reggente (finali, temporali e modali, causali, concessive, ipotetiche,
consecutive);
III. criterio basato sulla teoria argomentale (frasi argomentali e frasi non argomentali);
le frasi argomentali fungono da argomento della frase principale perché soddisfano
le valenze o argomenti dei predicati, fungendo da soggetto (soggettive) o
complemento (completive), invece, le frasi non argomentali o avverbiali o
circostanziali, contengono elementi di raccordo extranucleare, cioè non sono
richieste dal verbo principale e perciò non sono argomento del predicato e sono
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aggiunte alla frase principale in base a criteri semantici, per questo sono dette frasi
extranucleari.
Le frasi relative, non rientrano in questi due gruppi, perché sono argomenti o espansioni di
un elemento nominale contenuto nella frase principale.
Il tipo di subordinata, inoltre, condiziona anche la definizione di frase principale perché con
le argomentali la principale è definibile come una reggente completata da altre frasi,
mentre con le non argomentali è una frase autonoma dotata di significato compiuto.
III.3.2. Subordinate argomentali
Le subordinate argomentali comprendono le dipendenti soggettive e le completive
oggettive e oblique (o indirette); queste proposizioni completano il predicato della frase
reggente in funzione di soggetto, di oggetto diretto e di complemento indiretto. Le
soggettive e completive ammettono una costruzione sia implicita sia esplicita con il verbo
all’indicativo, congiuntivo o condizionale, mentre con l’infinito è necessario che il soggetto
della reggente sia lo stesso, ossia coreferente, di quello della completiva (+ omissione del
che). Le proposizioni argomentali oblique sono introdotte soprattutto da verbi intransitivi
pronominali o da verbi non pronominali. Un particolare tipo di oggettiva è la costruzione di
origine latina dell’accusativo con l’infinito che oggi si riscontra solo nello scritto più
formale. Simile alle completive è l’interrogativa indiretta che dipende da un verbo o da una
locuzione, da un aggettivo, da un nome e può essere introdotta da se o da pronomi,
aggettivi interrogativi, avverbi interrogativi. Inoltre, può distinguersi in interrogative:
canoniche o non marcate, totali, parziali, disgiuntive o alternative.

III.3.3. Frasi relative


Le frasi relative possono sviluppare un concetto presente in un circostante della frase
principale o della reggente, detto antecedente o testa o punto di attacco, e sono introdotte
da un pronome relativo o anche da un avverbio relativo. Possono distinguersi in:
 relative appositive o esplicative: sono una spiegazione aggiuntiva;
 relative limitative o restrittive: sono un’aggiunta necessaria per completare e
specificare il significato del termine a cui si riferiscono.
Altri tipi sono:
 pseudorelative  che hanno una funzione predicativa
 relativa senza antecedente o livera + le relative con valore locativo;
 le relative improprie, che assumono il valore di altre subordinate non argomentali.

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Inoltre, le relative hanno diversi modelli di costruzione a differenza delle varietà
dell’italiano, per esempio esistono: che polivalente o indeclinato; che scisso o analitico;
con ripresa tramite clitico; con dove non locativo.

III.3.4. Subordinate non argomentali


Le frasi subordinate non argomentali o avverbiali in una frase complessa hanno il ruolo di
un altro complemento extranucleare, ossia esterno al nucleo. Perciò, non sono richieste
dal verbo principale ma svolgono la stessa funzione di un’espansione sviluppando in forma
di frase il contenuto di un complemento introdotto da preposizione.
Esistono frasi subordinate: Causali, Finali, Temporali, Concessive, Consecutive, Modali,
Comparative, Ipotetiche.

III.3.5. Avversative
Le frasi avversative possono rientrare sia nelle coordinate che nelle subordinate non
argomentali. Le frasi coordinate avversative sono introdotte da ma, però, tuttavia, eppure;
mentre, le frasi avversative subordinate sono introdotte da mentre (invece), quando
(invece), laddove, invece, lungi da.

III.3.6. Altri tipi di proposizioni


Una frase può essere interrotta da una sequenza di parole più o meno lunga (sintagmi o
frasi), si tratta del cosiddetto inciso che funge quasi da parentesi, interrompe brevemente
il filo del discorso e contiene informazioni accessorie. Una frase in inciso è detta incidentale
o parentetica, non si tratta di una subordinata né di una coordinata, non ha rapporti
sintattici con il resto del periodo e contiene informazioni aggiuntive, di commento,
chiarimento, precisazione e spiegazione. Le incidentali nel testo offrono alcuni vantaggi
come mettere in primo piano l’informazione aggiungendola sul piano lineare, evitano
l’introduzione di subordinate che appesantiscono la struttura sintattica della frase.
Esistono poi le costruzioni assolute che sono costruite con gerundio o participio con
soggetto che non coincide con quello della principale e son frequenti nello scritto più
formale e letterario. Tra queste costruzioni assolute rientrano anche le apposizioni modali-
associative composte da nome + (aggettivo) + sintagma preposizionale o anche la
costruzione del nominativo assoluto, ossia l’unione di un sostantivo o aggettivo o avverbio
che non rientra negli argomenti del verbo, un tipo particolare è il nominativus pendens o
tema sospeso.

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III.4. Frase marcata
3.4.1. Ordine dei costituenti
In italiano il cosiddetto ordine di base o non marcato degli elementi del nucleo è SVO
(soggetto + verbo + oggetto). La posizione dei costituenti di una frase, in seguito alla
perdita dei casi del latino, è cruciale per l’indicazione dei ruoli sintattici; comunque, in
italiano l’ordine di base non è obbligatorio.
Dal pdv delle informazioni si dice tema ciò di cui si parla, che di solito è l’informazione
data, e rema ciò che si dice sul tema che solitamente è l’informazione nuova. La sequenza
SVO realizza una successione logica che mette in primo piano il tema o topic a cui segue
ciò che si predica di nuovo, il punto di arrivo, lo scopo, il rema o comment; inoltre, si parla
anche di focus che indica la parte dell’informazione che viene messa in risalto e che in
genere coincide con il rema. Quando viene spostato un elemento dell’ordine basico si
produce un cambiamento sintattico e delle informazioni del rapporto dato-nuovo, tema-
rema; pertanto, in alcuni casi il tema può essere un’informazione nuova. I concetti di tema
e rema riguardano la frase ma anche il testo che si costruisce dal pdv della informazioni
attraverso la successione di elementi noti e di elementi nuovi, questa progressione è detta
progressione tematica. Nel parlato per evidenziare e marcare un elemento è sufficiente
ricorrere a strategie prosodiche, mentre nello scritto è necessario avvalersi di strategie
sintattiche di spostamento dell’ordine dei costituenti.
La frase marcata è la frase o enunciato in cui la disposizione dei costituenti modifica
l’ordine basico.

III.4.2. Frasi marcate: tematizzazioni

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Le tematizzazioni o topicalizzazioni sono dei costrutti che enfatizzano un tema diverso dal
soggetto per cui la frase viene segmentata spostando un elemento a sinistra o a destra. La
frase segmentata è molto frequente nel parlato, mentre nello scritto si trova negli scritti di
media formalità.
Nella dislocazione a sinistra – molto frequente nelle lingue romanze – un elemento frasale
diverso dal soggetto va a occupare la posizione iniziale acquistando rilievo e fungendo da
tema, viene tematizzato (o topicalizzato). L’elemento tematizzato può essere: oggetto
diretto, oggetto indiretto, un altro complemento, un aggettivo o un’intera proposizione. La
dislocazione a sinistra prevede anche la ripresa dell’elemento dislocato tramite un
pronome atono, un clitico con valore anaforico.
La costruzione passiva (passivazione) rientra nei costrutti tematizzanti e produce uno
spostamento del tema a sinistra come nella dislocazione a sinistra.
Nella dislocazione a destra l’elemento di rilievo è collocato a destra, non si tratta di un
vero e proprio spostamento di un elemento ma di un enfasi diversa che prevede una pausa
prima dell’elemento tematizzato e inoltre si connota per una maggiore informalità perché
presuppone la condivisione di conoscenze tra emittente e destinatario della
comunicazione. L’elemento tematizzato può essere: oggetto diretto, oggetto indiretto, un
altro complemento o un’intera proposizione.

III.4.3. Frasi focalizzanti (e frasi scisse)


La posposizione del soggetto al verbo può avvenire anche per enfasi, ossia spostando un
elemento dalla sua posizione naturale (anche altri elementi possono essere anticipati). Nel
caso di una dislocazione dell’oggetto, se manca la ripresa pronominale si ha una semplice
anteposizione o inversione che è detta topicalizzazione contrastiva o focalizzazione in cui
si colloca il rema nella posizione che normalmente occupa il tema; questa anteposizione
oggi è tipica del parlato ed è frequente nello scritto letterario e burocratico. La messa in
evidenza di un elemento attraverso la sua emarginazione del resto della frase può arrivare
fino alla scissione della frase in due parti, si tratta delle frasi scisse che sono costituite da
due unità frasali (principale + subordinata) e focalizzano un costituente (l’elemento scisso)
attraverso un’operazione di messa in rilievo (focalizzazione). Quindi, la prima parte, il
rema, è costituita da un’enunciazione con il verbo essere + l’elemento da mettere in risalto
e la seconda, che ripropone il tema, è costituita da una pseudorelativa introdotta da che +
verbo finito (o non finito). Un tipo particolare è la scissa temporale, ma esistono anche le
pseudoscisse e anche una sottospecie di frase scissa con “essere” e “ci” attualizzante ossia
il c’è presentativo, meno diffusa è la variante con “avere”. Affine alle scisse è la scissa della
polarità o costruzione inferenziale con costrutto (non) è che + frase che è molto diffusa nel
parlato.
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III.4.4. Nominativus pendens o tema sospeso
La costruzione a tema sospeso è una particolare variante della dislocazione a sinistra
che rappresenta una frattura della sequenza sintattica; in queste costruzioni l’elemento
enfatizzato si trova in posizione iniziale come componente autonomo slegato
morfosintatticamente dal resto della frase che prosegue con un soggetto diverso, quindi, la
costruzione s’interrompe per l’intromissione di una seconda costruzione. L’elemento
sospeso viene ripreso con un pronome atono o da altri elementi nella frase che segue, ed è
sempre privo di indicatori della funzione sintattica (di preposizioni). Nel parlato spontaneo
è molto frequente, ma rappresenta anche una scelta stilistica nello scritto (Boccaccio,
Manzoni, Verga) e in alcuni usi cristallizzati.
III.4.5. Excursus storico: quando nascono le frasi marcate?
Le dislocazioni sono attestate già dal latino tardo, fin dalle prime testimonianze in
volgare italoromanzo. Dopo la codificazione grammaticale del ‘500 sono state ascritta a
fenomeni di ridondanza pronominale. A partire dal ‘700 la diffusione delle frasi scrisse è
stata ricondotta a un influsso del francese.
III.5. Alcune osservazioni su punteggiatura e sintassi
Nello scritto il flusso di informazioni è modulato in modo da segnalare e scandire
l’articolazione del significato; ciò si effettua attraverso la punteggiatura che è una delle
possibilità di segmentazione di un testo scritto e riguarda la scansione intrafrasale,
interfrasale e testuale. La punteggiatura ha un’essenza fortemente comunicativa e
consente la comprensione del testo al lettore, perché senza punteggiatura la frase è
ambigua. I segni di interpunzione consentono di indicare le pause di un testo, i
rallentamenti, accelerazioni, cioè il suo ritmo, hanno la funzione di segnalare i rapporti
sintattici e di significato.
Ecco alcuni esempi che evidenziano la stretta connessione tra punteggiatura e sintassi di
frase, ossia la funzione segmentatrice-sintattica dei segni di interpunzione:
3.5.1. Una virgola cambia tutto
3.5.2. Virgola ed ellissi: la virgola può servire a segnalare un’ellissi, ossia l’omissione di una
o più parole che sarebbero state una semplice ripetizione.
3.5.3. Virgola e marcatezza: negli scritti che vogliono riprodurre il parlato, come i dialoghi,
la virgola consente di tematizzare o focalizzare.
3.5.4. Novità nell’interpunzione: Nella scrittura giornalistica si assiste a cambiamenti
nell’uso dell’interpunzione per raggiungere determinati scopi; per esempio è possibile
trovare: uno stacco forte di sequenze segnato dal punto fermo soprattutto nei titoli, il
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punto non per indicare una pausa forte ma per interrompere un’unità sintattica (punto
dinamizzante) che obbliga il lettore a soffermare la sua attenzione sull’elemento separato e
messo in risalto (interrompe ma vivacizza il ritmo), interruzione del legame tra soggetto e
predicato.
3.5.5. Norma liquida e punteggiatura: Nella scrittura digitata prevale l’uso della
punteggiatura non sintattica ma emotivo-intonativa che è caratterizzata dalla frequenza di
punti esclamativi e interrogativi, abuso di virgole e punti fermi e di nuovi segni come gli
emoticons o faccine e emoji. Spicca l’uso espressivo dei puntini di sospensione che
separano tra loro frasi complesse o interrompono sequenze coordinative

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