Lessico
Terminologia di base nell’analisi lessicale:
Parola: si usa per indicare un vocabolo in senso generale e, in base al contesto può
essere costituita da un termine, una parola con significato circoscritto, perlopiù
appartenente ad un linguaggio settoriale.
Lessema: unità di significante e significato in un sistema linguistico (unità di analisi
sul piano astratto, come fonema in rapporto a fono); è l’unità del lessico che si
considera come forma base, quella alla quale sono ricondotte le forme flesse: tavolo,
tavoli = lessema TAVOLO; belli, bella, belle, begli, bei < lessema BELLO (aggettivo).
Lessico: indica l’insieme delle parole/lessemi e delle locuzioni* di una lingua (o di
un sottocodice, di un autore ecc.) e di informazioni associate a queste parole
(*locuzione: un’unità linguistica formata da più parole grafiche); il lessico di una
lingua è contenuto e descritto nel dizionario (il termine vocabolario può indicare sia
il lessico della lingua sia il dizionario).
Lemma: è l’entrata di un dizionario, la forma di base che costituisce la voce di un
dizionario
Lessicologia: studia il sistema lessicale di una lingua, le relazioni tra le parole e i
cambiamenti del significante e il significato nel tempo.
Lessicografia: il termine rinvia a due significati -> da un lato, è la tecnica di
redazione dei dizionari che si avvale degli studi di lessicologia, di semantica e di
morfosintassi per la definizione dei vocaboli di una lingua o di una dialetto;
dall’altro, indica l’insieme di opere lessicografiche di vario tipo che possono
descrivere un preciso momento storico di una lingua, oppure possono documentarne i
cambiamenti e l’evoluzione nel corso dei secoli.
Dizionario: può registrare il patrimonio lessicale di una lingua ma può avere anche la
funzione di raccogliere studi enciclopedici che contengono, in ordine alfabetico,
nozioni di letteratura, arte, scienze.
Vocabolario: ha il compito di raccogliere il lessico di una lingua e può essere usato
anche per indicare l’insieme dei vocaboli appartenenti a un certo settore, perciò potrà
essere sinonimo di lessico di lessico.
Accezione: il significato di una parola
Parole semplici: quelle costituite da un morfema lessicale libero, come ieri; o da un
morfema lessicale legato e un morfo flessivo: can-e.
Parole complesse: quelle formate da un morfema lessicale, almeno un altro morfema
lessicale e o derivazionale e morfi flessivi: tavolino (derivati, composti, composti e
derivati: statunitense).
Parole polirematiche: lessemi formati da più di una parola con un’unica funzione e
un significato unitario: carta di credito, ferro da stiro, permesso di soggiorno, dare
una mano, prendere in giro ecc.
Si possono distinguere vari tipi di dizionari in base alle finalità per cui sono stati
concepiti. Quelli importanti sono tre: dizionario dell’uso, dizionari storici e i dizionari
etimologici. I dizionari dell’uso registrano il lessico della lingua contemporanea il
suo funzionamento e non mancano di segnalare arcaismi, regionalismi, voci letterari
all’interno delle definizioni, al fine di orientare lettura l’uso corretto delle parole. I
dizionari storici raccolgono invece le definizioni dei termini seguite da esempi
estrapolati soprattutto da opere della tradizione letteraria italiana: le citazioni da
autore sono utili per attestare la storia dell’uso dei vocaboli o le locuzioni durante i
secoli. I dizionari etimologici riportano la data di nascita di una parola, la sua
etimologia, la sua storia, e registrano la prima documentazione scritta. In teoria ogni
parola è suscettibile di retrodatazione, cioè di anticipazione della data di ingresso in
una lingua, grazie del ritrovamento di nome testimonianze.
Struttura dei dizionari: in generale tutti i sonagli seguono convenzioni comuni:
1. I sostantivi sono lemmatizzati cioè sono registrati nel dizionario al singolare;
pertanto è il dizionario cercheremo per esempio la voce gatto e non gatti
2. Gli aggettivi sono le mattine usati solo al maschile singolare, perciò
cercheremo buono e non buona
3. I verbi sono registrati all’infinito, quindi cercheremo cuocere e non così,
benché molti dizionari di portino, alle voci dei tempi dei verbi irregolari, i
rinvii all’infinito.
I vocaboli si presentano nel dizionario come la lista di parole, lemmi o voci o entrate.
L’insieme delle entrate di un dizionario costituisce il lemmario o nomenclatura, che si
presenta in ordine alfabetico. Subito dopo il lemma è possibile trovare la divisione in
sillabe oppure la trascrizione fonetica. Tutti i vocabolari indicano la marca
grammaticale della parola e usano abbreviazioni che valgono per tutte le opere il
lessico grafiche: s.m., agg.,pron. eccetera.
Secondo i diversi tipi di dizionari, la struttura della voce potrà comprendere tutte o
parte delle informazioni che seguono:
- Troviamo anzitutto l’intestazione, che costituita dal lemma che può essere
seguito dalla trascrizione fonetica, dalla divisione in sillabe, dalla pronuncia,
delle varianti grafiche della parola, dalle indicazioni morfologiche, dalla
categoria grammaticale, del genere e talvolta dall’etimologia che in alcuni
dizionari è collocata alla fine della voce.
- La definizione costituisce il corpo della voce in cui espresso il significato del
lemma. Se una parola ha più sfumature semantiche o più significati si parla di
accezioni, di solito distinti da numeri o lettere progressive.
- Le definizioni possono essere precedute dalle marche d’uso, dette anche
indicatori: sono abbreviazioni che spiegano a quale ambito o registro d’uso il
lessema appartiene.
- I dizionari registrano anche la fraseologia o gli esempi di uso, ossia l’insieme
delle locuzioni proprie di una lingua che sono di grande aiuto per usare
correttamente le parole.
- Alcuni dizionari contemplano anche i sottolemmi, non considerati veri e propri
unita lessicali, come gli alterati e gli avverbi in mente.
- Infine i dizionari forniscono sinonimi e contrari.
L’informazione lessicale
L’informazione lessicale consiste in tutte le informazioni contenute nella parola:
- significati denotativi, connotativi e collocazionali;
- struttura fonologica e morfologica, ortografia;
- classe lessicale: verbo, nome, aggettivo…;
- struttura argomentale: gli argomenti di una parola (per esempio, per il verbo
Soggetto Oggetto Oggetto Indiretto);
- aspetto lessicale;
Tabella 1
Che cosa implica conoscere una parola
Le espressioni idiomatiche
Si definiscono infine espressioni idiomatiche oppure comunemente modi di dire le
espressioni convenzionali fissatesi nel tempo e caratterizzate dall’associazione dei
significanti fissi a significati non sempre riconducibili alle loro accezione originarie.
Le locuzioni o espressioni idiomatiche come alzare il gomito ‘bere troppo alcool’,
cogliere la palla al balzo ‘approfittare di un’occasione’, tagliare la corda ‘scappare’,
vuotare il sacco ‘confessare’ sono espressioni tipiche di una lingua caratterizzate
dall’abbinamento di una serie di parole fissa e un significato che non è
componenziale, cioè che non si stabilisce con il significato letterale delle parole ma si
costruisce da un procedimento come la similitudine (significato figurato).
La composizione del lessico italiano
All’interno del vocabolario di base italiano ci sono circa 7000 vocaboli. Il numero
include le parole usate computer e penso che gli italiani nello scritto nel parlato.
All’interno del vocabolario di base inoltre si distinguono:
- Le parole fondamentali, circa 2000, comprensive delle preposizioni, degli
articoli, dei verbi più usati
- Le parole di alta disponibilità, circa 1800, necessarie nella comunicazione e,
anche se meno presenti delle prime nei testi nelle conversazioni, note a tutti
parlanti
- Le parole di alto uso, circa 2000, no te chi abbia il livello medio d’istruzione
Altre 45.000 parole, al di fuori del vocabolario di base, costituiscono il vocabolario
comune e che sono disponibili a chi ha un livello medio alto d’istruzione. L’insieme
delle parole del vocabolario di base e quello del vocabolario comune forma nel
vocabolario corrente.
Il vocabolario di base dell’italiano è formato per più della metà di lessemi ereditari
che costituiscono il 15% del vocabolario totale e circa il 53% di quella di base. Si
tratta di parole derivate direttamente dal latino, che in molti casi hanno subito
variazioni di pronuncia e di significato perché soggetta all’uso dei parlanti. Sono
parole che hanno seguito una tradizione diretta popolare cioè sono passate senza
interruzioni dal latino parlato dal popolo. Con i secoli, l’italiano si è arricchito anche
di latinismi culti o cultismi, Termini che hanno seguito una tradizione indiretta o
Dotta. In alcuni casi l’entrata dei cultismi Ha generato allotropi Ossia doppioni
derivati dallo stesso termine latino ma con significati diversi. Vi sono inoltre latinismi
che sono entrati in italiano attraverso il tramite di altre lingue europee e sono stati
definiti dagli studiosi prima eurolatinismi e in seguito xenolatinismi. Nei vocabolari
di uso più comune si registrano 150.000 circa parole nei (oltre 300.000 in altri
dizionari dell’uso e nei dizionari storici). Il patrimonio lessicale italiano dovrebbe
essere compreso tra le 215.000 e le 270.000. Il lessico italiano ha queste tre
componenti:
- l’eredità latina (parole di origine latina)
- l’apporto delle altre lingue (parole prese in prestito da altre lingue)
- le nuove formazioni (nuove parole create con le possibilità che offre la
morfologia della lingua italiana)
All’interno del lessico italiano distinguiamo il vocabolario di base, individuato grazie
a un’analisi statistica dei testi dell’italiano contemporaneo. Il vocabolario di base è
composto dai lessemi più frequenti, quelli che si usano per costruire qualsiasi tipo di
testo. Si tratta di circa 7000 parole, che appartengono a tre fasce di frequenza, ovvero
a tre diversi strati d’uso (le marche d’uso del Grande Dizionario della Lingua Italiana
(GRADIT) curato dal grande linguista Tullio De Mauro. Una versione ridotta on line
si può consultare sul sito della rivista Internazionale:
Le marche d’uso indicano la frequenza d’uso delle parole nella lingua, la loro
ricorrenza nei testi parlati e scritti. Queste le altre marche del Grande Dizionario
italiano dell’uso, dir. da T. De Mauro (GRADIT):
CO = comune «usati e compresi indipendentemente dalla professione o mestiere che
esercitiamo o dalla collocazione regionale e che sono generalmente noti a chiunque
abbia un livello mediosuperiore di istruzione»
TS = tecnico-specialistico (la parola è un tecnicismo tipico di un certo linguaggio
specialistico)
LE = letterario (la parola ha un registro letterario: è adoperata in testi molto formali)
RE = regionale (la parola è un regionalismo proprio di un particolare italiano
regionale)
BU = basso uso (la parola è poco frequente)
OB = obsoleto (la parola è considerata ormai antiquata)
Le marche di registro del Nuovo Devoto Oli
Le parole possono essere paragonate organismi viventi che nascono vivono e si
trasformano e scompaiono. Sono arcaismi le parole cadute in disuso che non
impieghiamo nella lingua quotidiana ma che saremo in grado di riconoscere e
comprendere metti presenti nei testi più antichi e, in particolare, in cui i letterari.
La lingua si rigenera grazie ai neologismi, ossia grazie le parole nuove introdotte nel
lessico. I neologismi si formano per la rinnovamento endogeno oppure quello
esogeno. Il primo riguarda le trasformazioni interne alla lingua, che forma parole
nuove attraverso la derivazione e la composizione. Il rinnovamento esogeno, invece,
riguarda quei termini che, entrati fin dal medioevo, continuano ad arrivare dei dialetti
o date lingue come prestiti e calchi. Un tipo particolare di neologismi sono gli
occasionalismi, parole che durano per un periodo di tempo molto limitato e che in
seguito scompaiono assieme al motivo per cui si erano generate.
Ogni parola ha un proprio registro. È legata, cioè, alle caratteristiche di una
comunicazione che appartiene a una particolare situazione comunicativa. I registri
sono ben descritti nelle voci del dizionario Nuovo Devoto Oli, che indicano, per
esempio, parole di registro colloquiale, elevato, formale, gergale, letterario, scherzoso
o volgare:
1. arcaico: accioché,
2. colloquiale: appioppare, beccare ‘guadagnare’…
3. disusato
4. elevato
5. eufemistico
6. formale
7. gergale
8. infantile
9. ironico
10.letterario
11.non comune
12.popolare
13.regionale: napol.: ammoina, inciucio, scialatiello…; roman.: caciara,
capoccia, pizzicarolo…
14.scherzoso
15.spregiativo
16.volgare
Morfologia lessicale: le neoformazioni
Con il termine neoformazioni indichiamo le parole nuove non esistenti in latino,
formate all’interno dell’italiano; non sono un prestito possono formarsi per
- derivazione < parole già esistenti mediante l’aggiunta di affissi: prefissi,
suffissi
(prefissazione, suffissazione)
composizione
Della formazione delle parole si occupa la morfologia lessicale, che studia i modi in
cui il lessico italiano si ampli a partire da basi lessicali, ossia da parole già presenti
nella nostra lingua. Grazie meccanismi di derivazione e di composizione l’italiano ha
formato, nuovi lessemi con l’aggiunta dei prefissi e suffissi, vale a dire la
prefissazione e suffissazione, Oppure la composizione.
Parole derivate: la derivazione è un meccanismo di formazione delle parole che
permette la nascita di nuove voci partendo da lessemi già presenti nel lessico italiano.
La branca della linguistica che studia la derivazione si chiama morfologia derivativa.
Una parola derivata è costituita da una forma libera (morfema libero) o base forma
legata che è un morfema legato. Da una parola esistente detta appunto base possono
derivarne altre grazie l’aggiunta di affissi, suffissi e prefissi, ossia particelle che si
collocano a sinistra o a destra della base lessicale e in alcuni casi sia destra che a
sinistra come nei verbi parasintetici. Ciò che accomuna alcuni vocaboli identificabili
come una famiglia di parole è la base da cui partono.
La suffissazione consiste nell’aggiunta di un suffisso a destra di una base. La nuova
parola potrà venire dalla stessa categoria grammaticale di quella di partenza oppure
potrà subire una transcategorizzazione, per cui se hai il nome fiore aggiungiamo il
suffisso e il morfema grammaticale -ire da un sostantivo avremo un verbo.
Alterazione: essa è un tipo di suffissazione in cui non vi è passaggio da una parte il
discorso ad un’altra, per cui suffissato lascia inalterata la categoria grammaticale
della parola. I suffissi alternativi modificano il significato del lessema nella misura,
perciò primo alterati accrescitivi e diminutivi. D’altro canto i suffissi alternativi
possono anche modificare il significato della base nella qualità e nel valore, dando
origine ad alterati vezzeggiativi e peggiorative. Nei vezzeggiativi prevale il valore
della simpatie dell’apprezzamento per ciò di cui si parla, nei peggiorative prevale il
disprezzo. Ci sono anche gli alterati i verbali in cui l’alterazione ottenuta con un
Infisso con nata la parola neonata con una nuova accezione es. saltare -> saltellare. Si
distinguono infine i veri alterati da quelli falsi. I falsi alterati sono parole che si sono
allontanati dal significato acquisito con alterazione e si sono lessicalizzati e
assumendo un significato proprio. Nel vocabolario infatti saranno registrate come
forme autonome.
La prefissazione, meno produttiva della suffissazione, consiste nell’aggiungere i
prefissi a sinistra della base lessicale. Di massima i prefissati mantengono la stessa
categoria grammaticale della base cioè dal nome deriverà un nome. Fanno eccezione i
verbi parasintetici premessi a nomi possono formare aggettivi. I prefissi possono
esprimere diversi concetti:
- Valore spaziale
- Unione
- Opposizione
- Affinità
- Grado superiore o massimo grado
- Valore negativo
Prefissoidi e suffissoidi:
Ci sono dei lessemi formati da una base alla quale si legano un prefissoide e un
suffissoide che, rispetto ai prefissi e suffissi, sono dotati di un preciso e autonomo
significato lessicale riconoscibile aldilà dell’elemento cui si unisce.
Verbi parasintetici: Si tratta di verbi in cui alla base della parola, un nome o un
aggettivo, è aggiunto sia un prefisso sia un suffisso.
1. Prefissi: a-, in-, s-…
2. Suffissi: -zione, -ista…
3. Prefissoidi: anti, euro,
4. Suffissoidi: -metro
A seconda delle sembra da cui deriva, il suffisso sarà denominale, deaggettivale,
deverbale. I suffissati saranno, inoltre, nominali aggettivali o verbali a seconda se
sono nomi, aggettivi o verbi. Anche se meno frequenti esistono i deavverbiali, cioè
suffissati che si formano da avverbi. Esiste anche il blocco della derivazione, Per cui
se è vero che con gli affissi aggiunte le basi si possono creare parole nuove
all’infinito, anche vero che il sistema linguistico potrebbe bloccarle. Tre sono le
regole alla base dei processi di derivazione:
- L’ordine dei suffissi e dei prefissi rispetto alla base e fisso e non può mutare
- I suffissi specificano la categoria grammaticale, per cui il suffisso zione potrà
dare solo un nome il suffisso ibile solo e sempre un aggettivo
- I suffissi indicano in buona parte dei casi quale significato avrà la nuova
parola.
I rapporti di derivazione possono seguire due schemi o paradigmi:
- Paradigma di derivazione a ventaglio, in cui ogni su fissato di un gruppo di
parole hai in comune la stessa base
- Paradigma di derivazione a cumulo, In cui ogni nuovo su fissato diviene la
base per una nuova mutazione
In alcuni casi ma si possono avere parole con una derivazione sia ventaglio sia a
cumulo.
Con il termine transcategorizzazione indichiamo il cambio di categoria
grammaticale da una parola di base al suo derivato: rumore > rumoreggiare; dolce >
dolcificare (verbi denominali); smarrire > smarrimento (nome deverbale). Mentre
con conversione indichiamo il cambio di categoria grammaticale che si ha usando
l’articolo con un verbo o un aggettivo o come nomi i partici presenti:
dovere: il dovere (infinito sostantivato)
la finanziaria (aggettivi sostantivati)
badante, mandante (participi presenti sostantivati):
Si parla di derivazione a suffisso zero per i sostantivi che derivano dai verbi della
prima coniugazione, eliminando la desinenza dell’infinito e aggiungendo alla radice
la desinenza -o o -a:
notificare > notifica
rimborsare > rimborso
verifica < verificare
Nuove parole possono formarsi per alterazione. In questo caso la funzione sintattica
resta uguale; es.:
telefono > telefonino
cesto > cestino
chiave > chiavetta
E nuove parole possono formarsi per composizione, quando due o più unità lessicali
autonome di combinano: terraferma, sabbie mobili, capofamiglia.
Si parla di composizione tramite confissi, quando si usano elementi dotati di
significato autonomo come: cosmo-, -teca, auto- (confisso moderno: significato
attuale, cfr. dizionario).
Parole composte: anche la composizione è un procedimento di formazione lessicale
che permette la genesi di parole nuove, i composti, partendo da basi lessicali presenti
nel lessico dell’italiano. Un composto è formato nella gran parte dei casi da due
parole libera e delle quali quella sinistra costituisce la testa o il determinato ossia
l’elemento di cui specifichiamo qualcosa e che trasferisce la categoria grammaticale
al composto; a destra si colloca il modificatore o determinante elemento che ci dà
notizie in più sulla testa e che ne modifica il significato in base alla tipologia i
composti possono essere scritti uniti, separati da un-oppure da uno spazio. Si possono
distinguere i composti con base nominale e composti con base verbale:
- Nome più aggettivo
- Aggettivo più nome
- Preposizione più nome
- Nome più nome
Ci possono essere:
1. Antonimi semplici -> sono i contrari che corrispondono alle opposizioni
sematiche, un opposizione di tipo complementare
2. Antonimi graduabili -> a cui corrisponde freddo/caldo, in questo caso
l’opposizione non è complementare, ma intermedi.
3. Antonimi inversi -> costituiscono coppie di lessemi in cui uno dei due elementi
descrive un movimento in direzione e l’altro in quella opposta andare/venire.
4. Antonimi conversi -> coppie di lessemi che prendono in considerazione
posizioni o ruoli diversi
5. Antonimi appartenenti ad una stessa tassonomia sono allo stesso livello non si
oppongono necessariamente ma si escludono: siamo in estate.
Omonimi: sono omonimi termini uguali ma a cui corrispondono significati diversi
(es. casco= da moto e cadere). A seconda che l’omonimia concerna solo la grafia, il
modo in cui sono scritte le parole, oppure anche la pronuncia, possiamo distinguere
più precisamente tra termini omografi (due parole differenziate dalla pronuncia) e
termini omofoni.
Sono iperònimi quei nomi che contengono il significato generale di nomi dal
significato più preciso (ipònimi); es. frutto è IPERONIMO di arancia, limone,
lampone…, che sono IPERONIMI di frutto.
Sono merònimi i termini che hanno un significato che li denota come parte di un
tutto: es. vela è meronimo di barca.
I prestiti
Lessico delle varietà regionali: Le parlate dialettali e le varietà regionali hanno dato
l’italiano tale da non far più percepire come regionali parole ormai entrata nel
vocabolario comune:
- Dal piemontese giungono molte voci del gergo militare
- Da lombardo abbiamo barbone
- Dal Veneto provengono un manipolo di termini legati al commercio e la
burocrazia alla marineria
- Dal toscano provengono andare in visibilio
- Dal Romano buon uscita casomai
- Dal napoletano bancarella cafone
- Genericamente meridionali sono mannaggia e sfizioso
I regionalismi sono termini appartenenti a parità regionali delimitate ed entra in
italiano come pressi di adatti perché si adeguano alla fonetica della nostra lingua. Si
parla invece di dialettismi quando le parole originariamente legate a un particolare
territorio sono in seguito adottati in tutt’Italia: si tratta soprattutto di nomi legati alla
gastronomia. Particolare i regionalismi sono i Geosinonimi, Lessemi della lingua
italiana di uso regionale che indicano lo stesso referente. Sono parole che come
sinonimi hanno forma diverso significato uguale ma a differenza di sinonimi hanno la
diffusione regionale più limitata. Si parla di geoomonimi Quando la stessa parola a, le
diverse aree linguistiche, significante uguale ma con significato diverso.
I prestiti sono parole prese da altre lingue o da dialetti italiani. Parliamo infatti di
dialettismi per indicare una parola o un’espressione che proviene da un dialetto: es.
inciucio (https://dizionario.internazionale.it/parola/inciucio) .
I prestiti da un’altra lingua sono detti forestierismi. Possono essere di necessità,
quando indicano un referente nuovo per la comunità di riferimento come cacao
(entrato in italiano all’inizio del Seicento) o mouse, entrato in italiano negli anni
Ottanta del Novecento).
Oppure i prestiti possono essere di lusso, quando indicano referenti che potrebbero
essere indicati anche con parole italiane; es.: budget.
Perciò, i forestierismi possono essere utili e superflui.
Distinguiamo i prestiti dai calchi. Il prestito è una parola o un’espressione derivata
da una lingua diversa dall’italiano. I prestiti possono essere adattati, quando sono
uniformati alla struttura fonologica e morfologica italiana, come è accaduto per
bistecca (dall’inglese beefsteak) o mangiare (dal francese manger); o anche
parzialmente adattati, come è stato per il verbo chattare (dall’inglese chat). Oppure, i
prestiti possono essere non adattati, se rimangono nella loro struttura morfologica
originaria, come film.
Si ha un calco strutturale, o calco traduzione, quando si traducono gli elementi
dell’altra lingua, come in ferrovia, traduzione del tedesco Eisenbahn. I calchi
semantici si hanno quando si dà a una parola italiana già esistente un ulteriore
significato, quello di una parola simile in un’altra lingua, come per realizzare, nel
significato di ‘rendersi conto, comprendere’, preso in prestito dall’inglese to realize.
Etimologia popolare quando la parola fa il suo ingresso in un sistema linguistico può
succedere che i parlanti la percepiscano comunque poi estraneo e reagiscono
cercando di adattarla accostando la voci già presente proprio vocabolario. Questo tipo
di fenomeno prende il nome di paretimologia o etimologia popolare.