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Possiamo pensare al lessico mentale come al nostro database di parole e di informazioni su di esse
attraverso il quale processiamo gli input linguistici nel momento in cui comprendiamo o parliamo una lingua
acquisita. Nel lessico mentale sono depositate informazioni sulle parole non solo di carattere semantico,
bensì anche di carattere formale (informazioni ortografiche e fonologiche) e di carattere sintattico, disposte
non in rigidi schemi ordinati, ma interconnesse in modo complesso. Sono stati elaborati diversi modelli che
descrivono la struttura e il funzionamento del lessico mentale. Quest’ultimo, di certo, si attiva
immediatamente quando riceviamo input linguistici o produciamo output linguistici. Esso è in grado sia di
conservare a lungo, per anni, anche per tutta la vita di una persona, le informazioni sulle parole che raccoglie
sia di riorganizzarsi di volta in volta in base ai nuovi input che fanno ingresso nella nostra mente.
Quando si apprende una lingua straniera si vengono a creare nuove rappresentazioni lessicali nella
nostra mente, con dei collegamenti in parte o totalmente diversi tra forma grafemica e fonemica e
significati, pensiamo allo studio di una lingua orientale. L’obiettivo della didattica delle lingue sarà
quello di permettere allo studente di archiviare il lessico della lingua straniera nella memoria a
lungo termine, dove esso entrerà in relazione con le conoscenze già acquisite e queste connessioni
consentiranno alle nuove rappresentazioni lessicali di essere disponibili al momento dell’interazione
orale o della produzione scritta. Alcuni studi hanno dimostrato che l’architettura del lessico mentale,
almeno per lingue dello stesso ceppo, è la stessa e le differenze rilevate nei meccanismi di
attivazione del lessico sono riconducibili alle diverse modalità con cui il lessico viene appreso.
2.2 Come si organizzano le parole nella mente
Come si pone la situazione dell’immagazzinamento e del deposito del lessico di una lingua straniera?
Quest’ultimo si deposita insieme al lessico della L1 o separatamente? Che tipo di relazioni mentali si
instaurano tra il lessico della L1 e quello di una L2? Quando le lingue acquisite sono anche più di due il
deposito delle parole e l’interazione tra i vari lessici è ancora differente? Una risposta alla gestione separata
del lessico mentale della L1 e di quello della L2 è stata data in diversi studi: è possibile, come sintetizza
Singleton, che i due lessici vengano immagazzinati in due sistemi differenti che però sono in grado di
relazionarsi tra. Il modo e la misura in cui questi due sistemi entrano in contatto dipendono molto da fattori
quali le modalità d’apprendimento del lessico della L2 e il livello di competenza lessicale raggiunto nella
L2. È stato dimostrato che il lessico della L1 viene generalmente emorizzato in base a rapporti semantici di
tipo paradigmatico; nel caso infatti di esperimenti condotti con esercizi di libera associazione è emerso che
le parole venivano associate in base ai tratti salienti emergenti. Le associazioni di tipo sintagmatico vengono
preferite per memorizzare il lessico a bassa frequenza d’uso. Per memorizzare il lessico della L2, invece, la
tipologia di associazioni appare molto più variabile e tende a basarsi su rapporti semantici di carattere
contestuale, ovvero si tendono ad associare parole usate nella stessa situazione comunicativa o in situazioni
simili.
2.3 I modelli di rappresentazione
Per la rappresentazione dell’associazione degli aspetti formali delle parole con quelli semantici,
dell’organizzazione dei rapporti delle parole nella mente e delle modalità d’accesso e d’uscita del
lessico, sono stati elaborati dalle scienze cognitive diversi modelli volti a descrivere il
funzionamento del lessico mentale. Alcuni di questi, come il modello di Forster (1976), si basano
sull’idea che l’accesso delle parole nel lessico mentale avvenga in modo seriale, ovvero secondo
un’elaborazione sequenziale e lineare, stadio dopo stadio, degli input, mentre altri sostengono che
abbia luogo un’attivazione in parallelo, ossia che più processi di elaborazione dell’input linguistico
si attivino simultaneamente. Il secondo modello logogen di Morton (1978) sintetizza in qualche
modo le due impostazioni prevedendo un’attivazione di tipo seriale, ma una processazione in
parallelo.
2.3.1 Il secondo modello logogen di Morton
Il modello logogen di Morton prevede un’elaborazione in parallelo dell’input. Esso è costituito da
un sistema cognitivo che include informazioni di tipo semantico e sintattico ed è collegato a due
sistemi detti logogen, i quali sono separati: uno è deputato all’analisi degli aspetti uditivi dell’input
e l’altro a quella degli aspetti visivi. L’esistenza di due sistemi separati è fondata su alcune ricerche
condotte attraverso il paradigma di priming, le quali hanno dimostrato che il riconoscimento visivo
di una parola è facilitato dalla precedente presentazione di esso nella stessa modalità, invece, questo
effetto positivo di facilitazione del riconoscimento lessicale non si verifica quando lo stimolo è
presentato in forma uditiva. I due sistemi logogen del modello Marton accumulano le informazioni
su ogni stimolo che ricevono e le rimettono al sistema cognitivo; da quest’ultimo attingono le
informazioni necessarie per riconoscere un input quando questo è fra quelli che sono già stati
archiviati.
I logogen operano in parallelo e sono poi connessi con un sistema d’uscita degli input che si attiva
quando si producono le parole in modo scritto o orale. Il riconoscimento di una parola da parte del
logogen avviene secondo variabili quali la frequenza d’uso d’una parola, la sua lunghezza, la sua
concretezza, ecc. Secondo Morton le parole più ricercate, ovvero quelle con maggiore frequenza
d’uso, sarebbero quelle più attive e dunque maggiormente disponibili nelle ricerche successive. Ciò
suggerisce che occorre favorire il più possibile l’esposizione alle parole di una lingua, perché quanto
più alta è la frequenza di esposizione a esse, tanto più basso sarà il livello di soglia per l’attivazione
dei sistemi logogen. Sarà quindi più facile riconoscere e produrre le parole a cui si viene esposti
maggiormente. Il modello Morton è un modello globale, perché prevede che il riconoscimento di
una parola avvenga attraverso l’attivazione di un’unità d’accesso riferita all’intero input linguistico
da cui si è ricavata l’informazione. Ad esempio, nel caso in cui si riconosca la parola inglese cat si
attiverà in modo specifico il logogen di cat, ma si attiveranno anche altri logogen contenenti gli
stessi attributi riferibili alla parola cat come parole di tre lettere, c iniziale, t finale e così via.
Nella parte sinistra dello schema è raffigurato il processo di comprensione dell’input uditivo e
quello di produzione dell’output vocale; nella parte destra, troviamo il processo di comprensione
dello stimolo visivo e quello della produzione scritta. Il buffer fonologico è una componente
intermedia che si colloca tra la ricezione dello stimolo acustico e l’elaborazione lessicale in quanto è
un’area di immagazzinamento d’ingresso dei dati che attendono di essere elaborati, proprio come il
buffer ortografico è un’area di immagazzinamento degli stimoli visivi in ingresso. Il buffer
fonologico e quello ortografico d’uscita, invece, sono l’area in cui si attiva la rappresentazione
fonologica del lessico da articolare e quella in cui si attiva la rappresentazione ortografica del
lessico da produrre in forma scritta. Il funzionamento di questo buffer è assimilabile a quello
presente nel meccanismo di funzionamento della memoria a breve termine. Questo modello include
anche una via extraverbale, indispensabile nella processazione di immagini, oggetti, figure. Nella
memoria strutturale canonica vengono raccolte le rappresentazioni visive degli stimoli
configurazionali processati.
Questo modello ha il limite di tenere conto solo dell’equivalenza concettuale e non delle differenze
graduali che possono sussistere tra le categorie linguistiche delle diverse lingue. Il Distributed
Feature Model, invece, rappresenta le differenze tra le lingue basandosi sulla rilevazione di una
rapidità maggiore dei bilingui nel tradurre parole concrete e affini rispetto alla traduzione delle
parole astratte. Ciò dimostrerebbe che la rappresentazione delle parole concrete e affini è
maggiormente condivisa dalle diverse lingue rispetto a quella delle parole astratte.
Questo modello, tuttavia, ignora l’apprendimento di equivalenti parziali predicibili ed è sbilanciato
verso una concezione basata su caratteristiche prestabilite delle parole piuttosto che sugli effetti
della loro prototicipità e della loro dipendenza dal contesto: elementi, questi, importanti
nell’apprendimento del lessico in L2. Inoltre, ci sono chiare evidenze che contrastano con
l’assunzione di un’equivalenza interlinguistica tra i concetti delle parole concrete i cui significati
sarebbero condivisi tra le diverse lingue a differenza dei significati delle parole astratte.
Il Modified Hierarchical Model, una versione aggiornata del modello gerarchico, pur mantenendo il
progressivo sviluppo dalla mediazione lessicale a quella concettuale nell’apprendimento L2,
presenta importanti cambiamenti:
1. L’archivio concettuale è costituito da rappresentazioni distinte in rappresentazioni
concettuali completamente condivise, parzialmente sovrapposte o specifiche di una lingua
che vengono riconosciute attraverso l’attivazione di processi che prevedono l’interazione tra
la mente e l’ambiente;
2. Tiene conto del fenomeno del transfer concettuale basato sulla differenziazione tra livelli
semantici riferiti a conoscenze implicite e livelli concettuali di rappresentazione. La
differenziazione tra livelli di rappresentazione semantici e concettuali consente di
distinguere tra le fonti di trasferimento, fonte concettuale o semantica, e di considerare
quale tipo di rappresentazione sia coinvolto in ogni caso di acquisizione di L2;
3. Considera la ristrutturazione concettuale e lo sviluppo delle categorie linguistiche della
lingua target come gli obiettivi principali nell’apprendimento del lessico L2.
Entro la prospettiva di questo modello l’apprendimento del lessico L2 viene visto come un processo graduale che
avviene nella memoria implicita e che conduce alla produzione linguistica spontanea, non mediata da processi
metalinguistici di conoscenza esplicita. I modelli illustrati nelle loro potenzialità e nei loro limiti ci permettono di
ricavare, dal punto di vista glottodidattico, deduzioni utili come la necessità di differenziare le metodologie di
insegnamento del lessico in base ai livelli degli apprendenti e l’esigenza di favorire l’acquisizione implicita degli
input linguistici. Inoltre, essi forniscono parametri importanti per la valutazione degli errori lessicali negli
apprendenti L2.
CAPITOLO V: I corpora
5.1 Cosa sono i corpora
I corpora sono delle raccolte, considerevolmente ampie, di testi o porzioni di testi archiviati in
formato elettronico, alle quali vengono correlati degli strumenti informatici che ne permettono la
consultazione in base a specifiche funzioni di ricerca linguistica. La linguistica dei corpora è il
settore della linguistica computazionale che persegue l’obiettivo di ricavare più informazioni
possibili e di svariata natura da grandi quantità di testi archiviati in un formato leggibile dal
computer. Le informazioni che si possono ricavare usando la ricerca computerizzata, cioè
interrogando i corpora attraverso un’interfaccia, sono potenzialmente utili a molteplici tipologie di
utenti: linguisti, docenti, studenti, politologi, lessicografici, scrittori, ecc.
Cosa distingue i corpora da un semplice archivio di testi? Inizialmente, negli anni Sessanta i corpora
furono progettati e creati per studiare il lessico dal punto di vista quantitativo utilizzando
l’elaborazione automatica dei dati. Lo sviluppo dei software a essi correlati ha reso poi disponibile
un’elaborazione qualitativa, rapida, sempre più articolata e sofisticata, delle porzioni di lingua in cui
sono prodotti i testi archiviati. È ormai diffuso inoltre trovare i corpora annotati, i quali contengono
parole annotate per categoria (nomi, verbi, soggetti, avverbi; attraverso questi è possibile cercare le
parole distinguendo la funzione che esse svolgono nel discorso, dunque, è possibile cercare “fatto”
come sostantivo o come verbo. I corpora annotati includono le parole lemmatizzate, quindi se si
interroga il corpus di riferimento a proposito dell’infinito di un verbo, si ottengono tutte le forme
flesse di quel determinato verbo. Infine, i corpora annotati forniscono una serie di metadata, cioè
informazioni sull’intero corpus (quanti lemmi e quante parole comprendere, la provenienza dei testi,
ecc.) e informazioni specifiche relative a ciascun esito della nostra ricerca, riguardante la parte di
testo in cui occorre la parola che abbiamo cercato (contesto).
Chiaramente, un semplice database di testi, per quanto possa essere vasto non assolve da sé il
compito di fornire informazioni sulla lingua o dati sulla frequenza d’uso delle parole, sulla struttura,
ecc. Questo tipo di analisi è possibile grazie ai software che permettono di effettuare ricerche
linguistiche attraverso i corpora e, pertanto, questi strumenti sono diventati un’area innovativa e
significativa per lo studio del lessico di una lingua.
I corpora, rinviando a chunks lessicali, a unità linguistiche composite (lexical items), e a frasi
lessicali (lexical phrases) si presentano come un valido supporto alla didattica delle lingue, poiché
favoriscono l’acquisizione di patterns linguistici in contesti d’uso appropriati. Permettono di
apprendere l’uso delle parole superando la separazione tra lessico e grammatica, ovvero
oltrepassando la concezione che prevede lo studio dei significati da una parte, e quello delle regole
per l’uso delle parole dall’altra. È necessario, infatti, che gli studenti acquisiscano l’abilità
pragmatica, la competenza metalinguistica e quella metacognitiva necessaria per riconoscere e usare
correttamente e in modo fluente i chunks lessicali. Questi, nel caso della lingua madre, vengono
archiviati nella memoria a lungo termine attraverso l’esposizione inconscia e ripetuta nel tempo
all’uso della lingua e vanno a costruire un corpus interno che costituisce un priming che può
influenzare negativamente l’apprendimento di una lingua straniera, nella misura in cui può
suggerire all’apprendente scelte linguistiche non appropriate nella lingua target.
Per ovviare a questo problema occorre che l’apprendimento del lessico di una lingua straniera
avvenga attraverso l’esposizione intensa e ripetuta all’interazione linguistica e attraverso il ricorso a
materiale testuale autentico, basato su contesti d’uso effettivi delle parole. Da questo punto di vista,
i corpora si candidano come uno strumento utile a:
1. Sviluppare le competenze metalinguistiche necessarie per affrontare le specificità lessicale di
una lingua, in quanto mettono in evidenza come si comportano le parole nell’uso della lingua;
2. Facilitare la memorizzazione del lessico grazie alla presentazione di esso negli aspetti
compositi, fraseologici e idiomatici che lo costituiscono, ovvero secondo le possibili
collocazioni e le co-occorrenze delle parole di una lingua.
I dati che si ricavano dall’analisi dei corpora, sono tuttavia dati da elaborare, dati che possono essere
utilizzati poi nella didattica delle lingue e per risolvere problemi legati all’uso delle parole, ma sono
comunque dati che non bastano da sé per apprendere il lessico di una lingua, sono dati che vanno
contestualizzati nell’interazione orale: essi provengono da materiale linguistico autentico, ma
grezzo, e devono quindi essere adattati dagli insegnanti alle esigenze didattiche specifiche di ogni
contesto d’insegnamento. Gli studenti devono essere in grado di interpretare i risultati che ottengono
dalla ricerca linguistica attraverso i corpora, devono saperli leggere, contestualizzare in base ai
propri obiettivi e quindi, per poter sfruttare i vantaggi che offrono, devono allenarsi all’uso dei
corpora con il supporto degli insegnanti e devono calibrare il ricorso a questo strumento in base alla
competenza linguistica già acquisita, oltre che in funzione agli obiettivi da conseguire.
5.2 Cosa si può fare con i corpora
I corpora forniscono descrizioni dell’uso effettivo di una lingua, rivelando tendenze generali su basi
statistiche. Essi sono un osservatorio attrezzato per fornire un quadro della lingua autenticamente
usata da parlanti reali e per godere dell’illimitata e piena fruibilità di tali contesti. Più un corpus è
vario, più aspetti di quella determinata lingua permette di rilevare. I corpora vengono utilizzati
nell’ambito delle tecnologie linguistiche sia per le traduzioni automatiche che per il riconoscimento
vocale automatico e possono essere proficuamente usati nella didattica delle lingue per ricavare
materiali didattici che permettono lo studio del lessico a partire dai fatti della lingua.
Gli strumenti di consultazione standard permettono di ricercare le parole per sequenze di lettere, a
volte sostituendo per esempio le desinenze con un carattere jolly (o wildcard) in modo da poter
trovare tutte le occorrenze riferite alla radice di una parola primitiva (esempio: se cerco “color*”, i
risultati della ricerca includeranno le occorrenze del sostantivo “colore”, “colorato”, “colorare”,
ecc.). le informazioni che riceviamo in risposta alla ricerca linguistica attraverso i corpora
concernono la frequenza di occorrenza delle parole cercate, le concordanze delle parole con contesti
d’uso trovati nel corpus e le co-occorrenze, ovvero le altre parole che statisticamente, sulla base del
corpus di riferimento, occorrono insieme ad una certa parola ricercata. I corpora sono in grado di
fornire materiale efficace, esempi di lingua vivente, con cui insegnare come si comporta una parola
all’interno di una lingua, quali rapporti interesse con altre parole, che tipo di relazioni semantiche è
in grado di instaurare. È uno strumento da mettere anche direttamente a disposizione degli studenti
di lingua per consentire loro di risolvere dubbi lessicali o sintattici ricorrendo ad una banca dati
dove la lingua si manifesta nelle sue forme d’uso.
Sassi e Ceccotti hanno indagato le occorrenze del verbo statisticamente più ricorrente in lingua
italiana dopo l’ausiliare “essere”, ossia il verbo “fare”, utilizzando più corpora disponibili alla
consultazione presso l’Istituto di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa: il Corpus di
Riferimento dell’Italiano basato sugli articoli dei quotidiani italiani di maggiore tiratura, il Corpus
di quaderni di alunni delle scuole elementari di Padova e Pisa degli anni 1983-1985, l’archivio
elettronico delle opere di Gadda, il Corpus dell’Italiano Parlato. Questo è un progetto che ha
previsto l’elaborazione di milioni di parole al fine di costituire una banca dati di corpora utile, per
esempio, per studiare la frequenza d’uso delle parole inglesi, le loro occorrenze e co-occorrenze,
nonché le frasi idiomatiche, ecc. Chiaramente, una lingua è così ricca che anche un database
ambizioso come questo può risultare insufficiente per coglierne la varietà. Per ovviare a queste
carenze e cercare di ricavare una rappresentazione più perspicua possibile di una lingua si tende a
studiare anche i corpus specialistici che si focalizzano su testi di ambito tecnico o di un certo
periodo storico o su registrazioni di lingua parlata.
5.3 Le diverse tipologie di corpora
Per ciascuna lingua sono ormai disponibili raccolte di diverse tipologie testuali, si va da database
testuali di carattere piuttosto generale, e quindi abbastanza ampi, a database più specialistici che
comprendono una quantità di teti più limitata. Una distinzione tra le diverse tipologie di corpora ci
aiuta a comprendere quanto sia opportuno scegliere i corpora su cui lavorare in base alle specifiche
esigenze didattiche o di studio.
5.3.1 Corpus di riferimento di una lingua
Si tratta di un corpus che si propone come campione rappresentativo di una lingua nei suoi diversi
aspetti, e pertanto raccoglie testi di vario genere e tipologie, testi scritti o trascrizioni di lingua
parlata, testi con parole di registro formale e di registro informale, testi letterari e testi giornalistici.
Quanto più varie sono le tipologie testuali incluse nel corpus, tanto più esso sarà in grado di offrirsi
come osservatorio generale di una certa lingua.
Da questo genere di corpora possiamo quindi ricavare dati generali circa il comportamento delle
parole di una lingua. Consultando questi corpora uno studente può misurare la propria competenza,
verificando se possiede la conoscenza delle parole indispensabili nell’interazione quotidiana nella
lingua che sta apprendendo. Questo genere di corpora viene anche usato con la funzione di
referenza nella comparazione con i corpora di tipo specialistico.
5.3.2 Corpora specialistici
I corpora specialistici includono solo testi di un certo tipo. Possono essere i testi di un settore
specifico (linguaggio medico, economico, ecc.). Possono anche raccogliere esclusivamente i testi di
un autore o quelli di un certo periodo storico. Possono essere corpora basati solo sulla lingua
parlata. Data la loro specificità, risultano particolarmente utili per indagare gli aspetti
microlinguistici, gli aspetti linguistici caratterizzanti un lessico di settore, per ricavare il lessico di
base di una lingua di riferimento a un certo campo specialistico, come il lessico inglese
maggiormente utilizzato in ambito giuridico che, per esempio un avvocato italiano che apprende
l’inglese ha bisogno di acquisire se vuole esercitare la professione in paesi anglofoni o, per
esigenze di tipo internazionale legate alla sua professione. I corpora specialistici forniscono
indicazioni specifiche sul lessico di una lingua usata in un certo settore.
5.3.3 Corpora di apprendimento
Si tratta di corpora che raccolgono materiale proveniente da apprendenti o da contesti di
apprendimento linguistico. Essi si distinguono in learner corpora e teacher corpora. I learner
corpora sono costituiti da materiale testuale scritto e/o orale prodotto dagli apprendenti di lingue
seconde o straniera. I corpora di apprendimento si offrono a linguisti, docenti e studenti. I linguisti
possono ricorrere a questo tipo di corpora per studiare la varietà di una lingua e per rilevare le
difficoltà reali incontrate nella produzione degli apprendenti L2 o LS. Attraverso i dati ricavati
dall’analisi corpus-based di queste difficoltà, i linguisti sono in grado di creare un elenco di errori
più frequentemente commessi dagli apprendenti di una certa lingua appresa come lingua straniera.
Questi dati possono essere inclusi in sezioni dedicate dei dizionari o manuali di lingua sottoforma di
sezioni di avvertenza.
I learner corpora sono poi importanti per i docenti in quanto permettono a quelli meno esperti di
formarsi sulle varietà di apprendimento linguistico, mentre a quelli esperti forniscono materiale da
cui attingere informazioni in funzione didattica, ad esempio, per la preparazione di esercitazioni e
test. Infine, i learner corpora sono uno strumento utile anche per gli studenti che possono ricorrere
a essi per osservare gli errori più comuni commessi dagli apprendenti della lingua che stanno
acquisendo, sviluppando così una competenza metalinguistica che permetterà loro di
autocorreggersi e di evitare di incorrere in quel genere di errore di cui hanno preso coscienza.
I teacher corpora, invece contengono testi usati come materiale didattico dagli insegnanti di lingua
straniera, ovvero manuali, letture varie, trascrizioni di testi orali fatti ascoltare agli studenti nel
corso delle lezioni, esercizi somministrati agli studenti. Si tratta quindi di materiale a cui lo studente
è stato esposto che può essere riutilizzato da altri studenti per affinare lo sviluppo della competenza
metalinguistica, oppure può servire agli insegnanti come base per i programmi dei corsi di lingua,
per strutturare altri libri di testo, per creare esercizi per gli studenti
5.3.4 Confronto tra corpora
In funzione delle esigenze didattiche o di studio i diversi corpora possono essere comparati. I
corpora di due o più lingue, per esempio, possono essere messi a confronto se includono la stessa
quantità di materiale testuale strutturata secondo criteri affini. In tal modo si può condurre
un’indagine linguistica oppositiva rilevando differenze nelle collocazioni e nelle co-occorrenze,
divergenze semantiche e sintattiche o, al contrario, effettuare un’analisi linguistica sulle
corrispondenze e convergenze tra le lingue dei corpora comparati. Si possono confrontare i corpora
di diversi apprendenti per studiare le differenze fra l’interlingua sviluppata da ciascun studente in
fase di apprendimento di una lingua straniera oppure per rilevare l’influenza esercitata dalla L1
degli studenti apprendenti sulla scrittura nella L2. Una comparazione tra learner corpora e teacher
corpora riferiti all’apprendimento di una certa lingua può fornire dati utili per misurare
l’adeguatezza del materiale didattico a cui viene esposto lo studente rispetto ai risultati
d’apprendimento osservati nella sua produzione scritta e orale. Ciò può portare a un miglioramento
delle tecniche e dei materiali didattici.
A proposito del confronto tra corpora, si parla di corpora paralleli quando si comparano corpora
allineati e sincronici, cioè dello stesso periodo storico, di lingue diverse. Questo confronto è utile
nelle attività di traduzione poiché permette di osservare le diverse traduzioni di una certa stringa di
parole o di una frase all’interno di contesti effettivi d’uso delle lingue dei corpora allineati. In tal
caso di può infatti disporre di un corpus formato da una serie di testi originali in una determinata
lingua di origine, la cosiddetta source language, e dalle relative traduzioni in un’altra lingua (o altre
lingue) di destinazione, la target language. La comparazione tra corpora può essere effettuata anche
tra corpora diacronici, ovvero tra raccolte di testi appartenenti a diversi periodi storici.
5.4 I corpora della lingua italiana
Il primo corpus di riferimento della lingua italiana è quello su cui è basato il LIF (Lessico di
frequenza della lingua italiana contemporanea) pubblicato nel 1971. Si tratta di un corpus
composto da testi di romanzi, testi teatrali, testi tratti dalle sceneggiature dei film, articoli di giornali
e stralci di sussidiari; esso comprende circa 500000 parole ed è stato utilizzato da De Mauro per
stilare la lista dei lemmi del suo Vocabolario di base della lingua italiana del 1987.
I corpus più rappresentativi della lingua italiana attualmente disponibili online sono il Corpus e
Lessico di Frequenza dell’Italiano scritto (CoLFIS) e il Corpus di Italiano Scritto Contemporaneo
(CORIS). Il CoLFIS è un corpus lemmatizzato e annotato di oltre 3 milioni di parole la cui
composizione si basa sui dati ISTAT sulle tendenze di lettura degli italiani: i testi che contiene
provengono perciò da periodici, quotidiani e libri di diverso genere. Il CORIS, invece, è un corpus
più ampio che include circa 100 milioni di parole ed è un corpus piuttosto variegato costituito per lo
più da testi giornalistici e narrativi, ma anche accademici e giuridico-amministrativi, considerati
rappresentativi dell’italiano contemporaneo. Una versione del CORIS viene periodicamente
aggiornata in modo da monitorare l’evoluzione della lingua: si chiama CODIS, ed è una versione
dinamica e adattiva che permette di selezionare a seconda delle esigenze dell’utente, uno o più
sotto- corpora attraverso i quali eseguire la ricerca. Tuttavia, le interfaccia del CORIS/CODIS e del
CoLFIS non sono molto user-friendly: per quanto entrambi abbiano il vantaggio di essere ricchi di
informazioni e di essere disponibili online gratuitamente, non sono affatto d’uso immediato e senza
limiti; le modalità di interrogazione si presentano in un linguaggio troppo tecnico e prevedono la
selezione di opzioni che non sono facilmente comprensibili. Data la mole e la natura del materiale
testuale che questi raccolgono, ci possono essere, dal punto glottodidattico, circostanze nelle quali
vale la pena familiarizzare con questi strumenti. Nel caso del CoLFIS sono disponibili sul sito
d’accesso al corpus alcuni video tutorial differenziati per funzioni di ricerca, così da aiutare gli
utenti a consultare i corpora.
Il corpus del quotidiano La Repubblica non nasce come corpus di riferimento della lingua italiana,
in quanto raccoglie esclusivamente i testi di Repubblica (dal 1985 al 2000), ma viste le dimensioni
che lo caratterizzano (circa 380 milioni di tokens) ed essendo un corpus annotato, che permette la
ricerca avanzata attraverso metadati, lemmi, parti del discorso, si pone comunque come un
campione rappresentativo della lingua italiana. Inoltre, si presenta con un’interfaccia abbastanza
chiara e intuitiva, e ha quindi il vantaggio di risultare accessibile ad un vasto pubblico. Attualmente
è incluso fra i corpora selezionabili sulla piattaforma ad accesso libero NoSketchEngine; su questa
piattaforma sono disponili anche corpora di tipo accademico che derivano dal web (acWaC), ma
anche corpus generici tratti dal web (WaCky), lo European Parliament Interpreting Corpus e il
Bulletin Corpus in lingua tedesca.
Il corpus della lingua italiana attualmente più ampio è itWAC, il quale, frutto di una raccolta
automatica di testi dal web, a cura di Marco Baroni, include circa un miliardo e mezzo di parole. È
un corpus annotato e consultabile sulla piattaforma Sketch Engine dove sono fornite anche
informazioni dettagliate su di esso.
L’applicazione Sketch Engine offre l’analisi di corpora di numerose lingue oltre a quella italiana e
include corpora di diverso tipo, anche di carattere specialistico. Ad esempio, contiene corpora solo
di lingua parlata come il British Academic Spoken English Corpus. Questo è un software che
permette di ottenere word sketches, ovvero riassunti che mostrano, attraverso esempi d’uso, il
comportamento grammaticale delle parole in termini di collocazioni e combinazioni delle parole
cercate; consente anche di ricavare liste di frequenza e indagare i sinonimi di una parola
visualizzando le differenze d’uso delle parole simili selezionando la funzione Thesaurus.
L’interfaccia è intuitiva e molto semplice da usare. Sketch Engine può essere utilizzato
gratuitamente, in tutte le sue funzioni per un mese. Una volta scaduto il mese di prova gratuito
occorre acquistare la licenza per continuare a consultare i diversi corpora che esso include. Possono,
invece, fruire gratuitamente della piattaforma gli studenti, i ricercatori e i docenti che possiedono
l’account istituzionale di una delle università incluse nella lista delle istituzioni con accesso Elexis-
funded a Sketch Engine.
Sul sito BADIP (Banca Dati dell’Italiano Parlato, 2003-2019) è consultabile liberamente il corpus
su cui si basa il Lessico di Frequenza dell’Italiano Parlato (LIP). Questo corpus fu creato nel 1990-
1992 da un gruppo di linguisti diretto da Tullio De Mauro. Questo è un corpus annotato che
contiene trascrizioni di registrazioni provenienti da quattro diverse città italiane (Milano, Firenze,
Roma e Napoli), include circa 500000 parole ed è uno dei corpus più utilizzati per la ricerca
linguistica. Ha un’interfaccia user-friendly, la ricerca è guidata da una finestra che fornisce
istruzioni semplici e chiare; si possono esportare facilmente i dati ottenuti con l’interrogazione ed è
possibile formulare una ricerca selezionando i testi sia sulla base della provenienza, sia secondo il
genere testuale, mostrando concretamente le peculiarità del registro informale e colloquiale di
parlanti nativi.
Considerando la forte variabilità linguistica che si manifesta soprattutto nel parlato, l’importanza di
disporre di strumenti che permettono l’analisi della dimensione parlata della lingua è stata ormai
acquisita. Alla luce di tale acquisizione i corpora di lingua parlata, come il LIP, consentono di
osservare e apprendere il funzionamento della lingua parlata nelle diverse circostanze d’uso e di
predisporre strumenti per il riconoscimento del parlato e per la produzione di voce sintetica di buona
qualità, con particolare riferimento all’intonazione.
Il corpus italiano parlato CLIPS è caratterizzato da una duplice stratificazione diatopica e diafasica.
La variazione diatopica, ovvero quella su base geografica, è stata campionata attraverso un’indagine
sociolinguistica preliminare che ha interessato l’intero territorio nazionale dall0Università di Lecce,
attraverso dei punti di raccolta dei materiali rappresentativi tanto dal punto di vista della varietà di
italiano, quanto da quello della significatività demografica e socioeconomica della località (località
prescelte: Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Genova, Lecce, Milano, Napoli,
Palermo, Parma, Perugia, Roma e Venezia). Mentre la variazione diafasica, ossia la variazione di
stile e registro legata al variare delle situazioni comunicative dei parlanti, è stata rappresentata
ricorrendo a diversi tipi di materiale (parlato radiotelevisivo, notiziari, interviste, talk shows,
dialoghi raccolti sul campo, parlato letto, parlato telefonico, ecc.). Questo corpus è diviso in 5
cartelle corrispondenti ai sotto-corpora: radiotelevisivo, dialogico, letto, telefonico, ortofonico e
ciascun sotto-corpus è a sua volta in 15 cartelle corrispondenti alle 15 località in cui è stata eseguita
la raccolta del materiale.
Tra i corpora specialistici in lingua italiana accessibili online abbiamo il Corpus dell’italiano antico
dell’Opera del Vocabolario Italiano, questo è un corpus che raccoglie testi italiani antichi in volgare
e comprende circa 22 milioni di parole. Si può consultare gratuitamente e liberamente, senza
registrazione sul sito.
Tra i corpora specialistici e comparabili c’è la raccolta dei corpora dei bambini che forniscono dati
per osservare lo sviluppo linguistico dei bambini italiani. Il CHILDES Italian Corpus fa parte della
grande raccolta di corpora CHILDES che include appunto corpora di bambini di diverse lingue, per
lo più costituiti da trascrizioni di registrazioni di conversazioni spontanee. Essi sono inclusi nella
piattaforma Sketch Engine e sono quindi consultabili.
Per quanto riguarda i corpora di apprendimento in lingua italiana il portale VALICO.org (Varietà di
apprendimento della lingua italian: corpus online) offre un corpus annotato per parte del discorso e
tipo di testo, ad accesso libero e gratuito, che raccoglie testi di apprendenti di italiano come lingua
seconda e comprende circa 570000 parole. Si tratta di un portale che si propone come uno strumento
per la ricerca linguistica e glottodidattica. L’interrogazione del corpus è in grado di mostrare le
variazioni di scrittura tra apprendenti con età e lingua madre differenti; offrire spunti metodologici e
didattici agli insegnanti sulla base dell’analisi del materiale prodotto dagli studenti; fornire materiale
grezzo da elaborare in funzione di esercizi e verifiche da destinare agli apprendenti di italiano L2 o
LS; rendere visibili dati sui comportamenti delle parole nei contesti d’uso della lingua e
informazioni sugli errori comuni degli apprendenti, utili per sviluppare la competenza
metalinguistica; proporre ai linguisti un osservatorio per lo studio della variazione dell’italiano e
delle problematiche di apprendimento dell’italiano come lingua straniera. VALICO.org contiene
anche un corpus appaiato di testi di italofoni: VINCA. Quest’ultimo era stato inizialmente pensato
come un corpus di controllo per VALICO, ma poi è diventato un vero e proprio supporto per gli
studi sulla didattica e per la didattica applicata.
Sulla piattaforma PAISÀ (Piattaforma per l’Apprendimento dell’Italiano Su corpora Annotati)
troviamo un corpus completamente annotato di testi autentici tratti dal web dal 2010 creato da
Marco Baroni. SI tratta di un corpus abbastanza ampio (circa 250 milioni di tokens), che trascende
le finalità glottodidattiche per cui si dichiara nato. I testi collezionati sono riutilizzabili e possono
essere interrogati attraverso un’interfaccia molto amichevole studiata per agevolare gli apprendenti.
Il CEXIS, invece, è un corpus parallelo che raccoglie testi originali in italiano e inglese, bilingue e
bidirezionale. Contiene traduzioni dall’inglese all’italiano e dall’italiano all’inglese pubblicate tra il
1957 e il 2000. È stato realizzato presso la Scuola per interpreti e traduttori di Forlì e contiene una
collezione di testi di fiction suddivisi in due sub-corpora: fiction per adulti e fiction per bambini;
purtroppo non è ad accesso pubblico.
5.5 Perché usare i corpora nell’insegnamento del lessico di una lingua straniera
Le parole di una lingua non sono egualmente importanti in ogni fase dell’apprendimento di una
lingua straniera. Perciò Nation divide il lessico in quattro livelli: parole d’alta frequenza, lessico
intellettuale, lessico tecnico e parole a bassa frequenza. L’importanza del lessico varia anche a
seconda degli obiettivi specifici dell’apprendimento. Per quanto riguarda la lingua inglese, se
l’insegnante vuole sapere quali sono le parole più usate in inglese e quindi quali parole è necessario
insegnare per prime, può ricavare questi dati consultando il Cambridge International Corpus (CIC),
il British International Corpus (BIC) o la Bank of English Corpus (COBUILD). Se invece
l’insegnante vuole focalizzarsi maggiormente sulla lingua parlata, allora può accedere al
CANCODE (Cambridge and Nottingham Corpus of Discourse English), un corpus di circa cinque
milioni di parole, basato sulle frequenze d’uso dell’inglese parlato. Chiaramente, se invece ci si
vuole focalizzare su un lessico di tipo specialistico, allora si ricorre a corpora specialistici, che sono
raccolte di dimensioni più ristrette che includono parole appartenenti a un certo settore linguistico
tecnico-specialistico. I dati forniti dai corpora possono essere utilissimi, costituiscono materiale
linguistico autentico, ma alla luce delle diverse e specifiche esigenze dei contesti di apprendimento,
essi devono sempre essere elaborati in modo funzionale e critico.
L’accesso al lessico di un determinato settore attraverso i corpora specialistici di riferimento è un
supporto certamente utile nel predisporre adeguatamente i contenuti e i materiali di questi corsi
tenendo conto delle competenze lessicali necessarie per affrontare quello specifico apprendimento.
Se consideriamo i corpora di apprendimento, è interessante evidenziare le possibilità che essi
offrono di studiare gli errori commessi dagli apprendenti di lingua straniera. La riflessione sugli
errori più frequenti degli apprendenti è vantaggiosa sia per l’autoapprendimento degli studenti che
per l’autoformazione degli insegnanti e permette a questi ultimi di costruire dei test basati su
problemi reali e specifici degli apprendenti di una certa lingua madre.
Come già visto, uno dei dati principali che possiamo ricavare dall’analisi dei corpora è la frequenza
d’uso di un certo lemma nei vari contesti linguistici. Nell’insegnamento di una lingua straniera
disporre di dati statistici circa la frequenza d’uso delle parole permette di dedurre informazioni
importanti circa quali parole è necessario che siano insegnate prima in modo da far acquisire un
lessico di base agli apprendenti. Dato che i dati sulla frequenza d’uso delle parole ricavati dai
corpora non saranno solo di tipo quantitativo ma anche di tipo qualitativo, acquisiremo informazioni
quali, ad esempio, il grado di polisemia di queste parole ad alta frequenza d’uso. Tali informazioni
potranno essere sottoposte dall’insegnante all’analisi degli studenti in modo da sviluppare in loro la
competenza metalinguistica necessaria ad usare le parole in modo appropriato nei diversi contesti.
Sulla base dei dati sulla frequenza d’uso delle parole raccolti attraverso i corpora, un insegnante di
lingua straniera può inoltre predisporre il materiale didattico in modo adeguato al livello di
competenza linguistica degli apprendenti, controllando la densità lessicale dei testi da usare in
classe. Per cui, a seconda degli obiettivi didattici, si sceglierà la tipologia di testo più appropriata.
Ad esempio, una lista di frequenza dei verbi italiani permette di assumere che il verbo “fare” è il
verbo statisticamente più frequente nella lingua italiana dopo l’ausiliare “essere”. Una volta assunto
che il verbo “fare” è il verbo più frequentemente usato dopo il verbo “essere”, dalla ricerca
attraverso i corpora possiamo ricevere altre informazioni importanti concernenti aspetti qualitativi.
Nello studio di Sassi e Ceccotti, il verbo “fare” è stato analizzato attraverso corpora di tipo
giornalistico, pedagogico e letterario. I dati emersi permettono di osservare una serie di co-
occorrenze in cui “fare” assume di volta in volta significati diversi che vanno dal generico “fare” nel
significato di compiere una qualsiasi azione, differenziata poi dal complemento oggetto con cui il
verbo co-occorre (“fare ginnastica”, “fare chiarezza”, “fare shopping”, “fare i conti”), al più
specifico significato di “costruire” o “fabbricare”, passando per significati idiomatici come “far
quadrare”, “fare miracoli”, “non fare una piega”.
Quindi tra le altre informazioni importanti dal punto di vista glottodidattico che posiamo ottenere
con la ricerca attraverso i corpora, vi sono quelle sulle collocazioni e sulle concordanze. Le
collocazioni sono un fenomeno diffuso nella lingua e difficile da inquadrare e trasmettere agli
studenti attraverso una regola precisa, soprattutto perché sono spesso di natura paradigmatica e
dipendono dall’uso. Esse possono assumere forme diverse, ad esempio, se pensiamo a “carta
d’imbarco” abbiamo [sostantivo
+ sostantivo], mentre “vicolo cieco” [sostantivo + aggettivo], o “persona a modo” [sostantivo +
preposizione + sostantivo], o infine “essere in tempo” [verbo + preposizione + sostantivo]. I corpora
permettono di visualizzare le collocazioni e di memorizzarle nei diversi contesti d’uso in cui
occorrono, e anche di prendere coscienza della loro frequenza. Le liste di concordanza permettono
di ricavare molti esempi e regolarità d’uso della parola, della stringa di parole o frase ricercate.
Consentono inoltre, di osservare la tendenza degli elementi lessicali a legarsi in strutture tipiche che
possono essere, per esempio, frasi idiomatiche, il cui senso è difficile da spiegare attraverso una
regola. L’occorrenza delle parole in specifiche sequenze ha orientato i linguisti a descrivere la
lingua in termini fraseologici per cui noi cogliamo il senso di alcune espressioni solo in quanto
queste sono parte di una frase. Basti pensare alla difficoltà di cogliere il senso di espressioni
polirematiche come “tagliare corto” o “vuotare il sacco”, o ancora “alzare il gomito”. La lingua,
come evidenzia Sinclair, si configura come un insieme di espressioni lessicalizzate, e non come una
somma di unità lessicali separate da unità grammaticali, e il significato risiete nell’interezza di una
frase.
5.6 Come usare i corpora nell’educazione linguistica
Nonostante i corpora siano ormai studiati e apprezzati come metodologia didattica da alcuni
decenni, non vengono ancora usati in modo diffuso nell’insegnamento delle lingue. Il motivo
principale per cui né studenti né insegnanti non ricorrono ad essi, è il pregiudizio che l’uso dei
corpora richieda complesse conoscenze tecniche, poiché si tratta di strumenti creati dalla linguistica
computazionale.
Per ovviare tale problema, Zanca ha suggerito che sarebbe effettivamente utile introdurre i corpora
utilizzandoli per risolvere problemi linguistici concreti, mostrandone così le potenzialità, a tal fine,
Zanca ha proposto prima di tutto di far familiarizzare gli studenti con i corpora attraverso strumenti
più conosciuti come dizionari online (Reverso Context) e motori di ricerca, per poi passare ai
software e quindi ad una dimensione più tecnica di impego dei corpora. Il passaggio ai software che
permettono l’accesso a corpora composti da materiale autentico e annotato è un’occasione
importante per avvertire gli studenti del rischio insito nell’assunzione del web come corpus: il
materiale con cui si entra in contatto sul web presenta spesso errori grammaticali e ortografici che
un apprendente, specie ai primi livelli di apprendimento linguistico, non è in grado di riconoscere.
Egli rischia così di acquisire forme linguistiche sbagliate.
Gli studi sull’uso dei corpora come metodologia didattica sono soliti distinguere tra un uso diretto e
indiretto dei corpora. Si parla di uso indiretto quando insegnanti e studiosi ricavano dai corpora
materiali quali testi ed esercitazioni da utilizzare in classe (costruzione dei test a scelta multipla
attraverso i testi VALICO), e dati sulla base dei quali elaborare dizionari, sussidi didattici, studi
teorici e metodologici. Quando sono invece gli studenti a ricorrere ai corpora si parla di uso diretto:
si tratta di un uso aperto, non prestabilito, personalizzabile di ciascun studente secondo esigenze
d’apprendimento personali e contingenti. L’uso diretto dei corpora da parte degli apprendenti
implica però che venga insegnato agli studenti come usare i corpora e che vengano insegnati loro
aspetti tecnici in modo che essi siano in grado di esplorare correttamente le risorse. È inoltre
necessario che gli studenti abbiano già sviluppato una competenza linguistica di livello medio per
essere in grado di interpretare correttamente i dati ottenuti dalla ricerca e di riutilizzare quanto
ricavato in modo appropriato. I corpora, tuttavia, possono anche essere usati in classe dagli
insegnanti per estrarre modelli di lingua a partire da liste di concordanze o liste di frequenze, in
modo da osservare e confermare regole oppure per inferire delle regole, per fare ipotesi sui
comportamenti delle parole, e per trarre conclusioni dai fatti di lingua. Il docente si pone così nel
suolo di facilitatore di apprendimento, piuttosto che in quello di detentore indiscusso di conoscenza
e le lezioni di lingua assumono una forma laboratoriale che rende meno ansiogeno e più motivante
l’apprendimento.
5.6.1 Esempi di ricerca attraverso i corpora a scopo didattico
I vantaggi e le potenzialità dell’uso dei corpora per l’apprendimento del lessico non sono
trascurabili. Occorre tuttavia tenere presente che il materiale ricavato con l’interrogazione dei
corpora se proviene dal web può presentare errori che certamente non giovano agli studenti. Se si
tratta di materiale di provenienza più controllata, per poter svolgere funzioni efficaci
nell’apprendimento della lingua, esso deve essere elaborato dagli insegnanti ed interpretato dagli
studenti attraverso la guida del docente. Egli deve cercare di allenare gli studenti all’uso dei corpora
in modo che possano nel tempo ricorrere a essi in modo autonomo, consapevoli delle potenzialità di
questi strumenti, ma anche dei loro limiti. I corpora, insomma, non bastano da sé per apprendere il
lessico di una lingua, ma si prestano certamente a un approccio didattico di tipo comunicativo e
offrono una metodologia didattica in grado di favorire l’apprendimento del lessico direttamente nei
contesti socio-pragmatici in cui esso compare, crea, si ricrea e muta.
CAPITOLO VI: Idioms e metafore nella linguistica cognitiva
6.1. Gli idioms e la competenza lessicale
A partire dagli anni Ottanta, la riflessione linguistica supera la dicotomia tra lessico e grammatica e
gli idioms e le metafore diventano oggetto di ricerca in ambito glottodidattico grazie alle nuove
teorie nell’ambito della linguistica cognitiva. Tuttavia, spesso, ancora oggi le espressioni
idiomatiche vengono considerate come qualcosa da affrontare solo ai livelli più avanzati del
percorso di apprendimento piuttosto che come aspetto importante del lessico. Ciò dipende da due
fattori interdipendenti:
- Lo scarso interesse rivolto al lessico nella didattica delle lingue
- L’interesse degli studiosi orientatosi prevalentemente verso la sintassi a causa dell’imporsi della
linguistica chomskiana
Eppure, numerosi studi degli ultimi decenni in ambito psicolinguistico confermano l’enorme grado
di pervasività del linguaggio figurato nella comunicazione quotidiana e non soltanto in ambiti
specifici.
Alcuni dati ★
Pollio (1977) in un minuto di conversazione si producono mediamente cinque/sei
espressioni figurate
Hoffmann (1984) in una settimana si usano circa 7.000 forme idiomatiche
Graesser (1989) presenza di una metafora ogni venticinque parole nei dibattiti televisivi
Nelle interazioni tra parlanti della stessa comunità linguistica, il ricorso frequente a metafore o
idioms non costituisce un problema, in quanto i soggetti coinvolti nell’interazione condividono gli
elementi morfosintattici della lingua, ma anche gli aspetti culturali pragmatici e sociolinguistici su
cui si fonda gran parte della competenza lessicale. Diversamente, quando ci si trova ad interagire in
lingue altre dalla propria lingua madre, l’abilità di comprendere e produrre enunciati di carattere
figurato rappresenta una sfida difficile.
6.2. Una definizione di idiom
Diverse scuole di pensiero presentano una visione più o meno restrittiva del concetto di idiom:
Definizioni ampie e generali
1. Sono espressioni il cui significato non dipende dalla somma dei significati dei loro
componenti. Un’espressione idiomatica si connota come un’unità lessicale e come tale viene
riconosciuta, recuperata e memorizzata nel lessico mentale di un individuo (Cacciari)
2. Tutte le espressioni fisse e cristallizzate di una lingua (locuzioni, clichés, proverbi, unità
polisemiche, espressioni formulaiche, metafore morte e collocazioni vengono
automaticamente inclusi all’interno della definizione)
Definizioni più restrittive
3. Solo un tipo di espressione fissa semanticamente opaca per Weinrich (1969) non tutte
le locuzioni possono essere definite idioms. Egli distingue tra forma idiomatica
[idiomaticity of expression] e collocazione [stability of collocation]. Entrambe
contengono al loro interno delle co-occorrenze, ma l’elemento che le differenzia risiede
nel rapporto di opacità che si instaura tra i componenti dell’unità fraseologica: “A
phraseological unit involving at least two polysemous constituents, and in which there is a
reciprocal contextual selection of subsenses will be called an idiom”.
Definizione funzionale a scopi glottodidattici
4. Una locuzione polilessicale il cui significato non deriva dalla somma dei significati dei suoi
componenti e la cui struttura possiede un certo grado di flessibilità o cristallizzazione
6.3. La comprensione delle forme idiomatiche in L1
È necessario partire dalla definizione di figurative competence di Levorato, ovvero:
L ’abilità di comprensione e produzione di metafore e forme idiomatiche; l'uso figurato e traslato
del linguaggio supportato dallo sviluppo di una consapevolezza metalinguistica, che consente di
comprendere quale sia la vera intenzione comunicativa dell’interlocutore
Secondo Levorato, la competenza per il linguaggio figurato è il frutto di una serie di abilità
linguistiche gradualmente acquisite ed è un processo che ha inizio verso i 4-5 anni e che si sviluppa
successivamente attraverso un percorso articolato in cinque livelli:
Livello 0 l’oggetto e la parola che lo definisce costituiscono un’entità unica
Fase 1 (4-5 anni) Sviluppo della funzione simbolica del linguaggio, dove le strategie
di comprensione dell'enunciato sono ancora limitate all'analisi letterale
Fase 2 (7-8 anni) il bambino abbandona la suspended literalness (l'analisi
strettamente referenziale e letterale del testo) e sviluppa un’abilità di comprensione a
livello semantico
Fase 3 (9-10 anni) il linguaggio figurato diviene un’opzione:
scoperta/consapevolezza di una frase possa avere o non avere necessariamente un
significato letterale
Fase 4 forme idiomatiche come unità lessicali: il bambino è in grado di riconoscere ed
utilizzare espressioni idiomatiche con un certo grado di familiarità senza però riflettere
sulle singole parti che le compongono
Fase 5 raggiungimento della consapevolezza metalinguistica (analisi dell’espressione
idiomatica per sé stessa + analisi delle indicazioni contestuali)
I livelli descritti non devono però intendersi in modo rigido, poiché possono esistere variabili
soggettive di tipo cognitivo e/o variabili riconducibili agli aspetti morfosintattici degli idioms in
oggetto. I bambini sembrano tuttavia comprendere più facilmente espressioni idiomatiche che si
riferiscono ad azioni concrete piuttosto che a stati d'animo o ad emozioni, e tra queste ultime, è più
facile l'acquisizione di espressioni che si riferiscono a emozioni primarie (rabbia, gioia, disgusto,
paura) che a emozioni legate a stati d’animo complessi (vergogna, tristezza ecc). Sotto il profilo
glottodidattico, le modalità di apprendimento delle espressioni idiomatiche nella lingua madre
suggeriscono alcune riflessioni:
Nell'ambito dell'insegnamento delle lingue straniere a bambini, è opportuno evitare di
presentare forme idiomatiche in età in cui non si è ancora consolidata la competenza
metalinguistica
Sarebbe opportuno far diventare tali espressioni patrimonio del lessico produttivo e non solo
ricettivo, ad esempio presentando tali espressioni in contesti significativi
6.4. Livelli di idiomaticità
Opacità e trasparenza
Le espressioni letterali sono semanticamente trasparenti, mentre le espressioni idiomatiche sono
caratterizzate da diversi gradi di opacità semantica (ciò che determina il grado di idiomaticità):
Espressioni parzialmente opache
- Binomi irreversibili presto detto, sotto sopra, ecc.
- Locuzioni complesse suo malgrado
Espressioni totalmente opache
Essere al verde, essere in gamba
Il grado di opacità o trasparenza, unito a quello di cristallizzazione o flessibilità, dà luogo ad un
continuum in cui si dispongono le varie espressioni. Le espressioni con il maggior grado di opacità
sono anche le meno modificabili. Secondo Cutler, inoltre, la flessibilità sintattica tende a
scomparire con il tempo, rendendo l'espressione idiomatica sempre più cristallizzata.
6.6. La rappresentazione mentale delle espressioni idiomatiche
Il modo in cui le espressioni idiomatiche vengono rappresentate nella mente è strettamente correlato
al modo di comprenderle e codificarle sulla base delle informazioni contestuali che le
accompagnano. La psicolinguistica ha elaborato diverse ipotesi di rappresentazione delle forme
idiomatiche, tra cui le 4 più importanti sono:
- La lista idiomatica
- La codifica simultanea
- L’accesso diretto
- La configurazione
La lista idiomatica
Secondo la teoria di Bobrow e Bell (1973), le espressioni idiomatiche sono processate come unità
lessicali [singoli item] depositati nel lessico mentale in modo indipendente, in una lista di
espressioni separate dal resto del lessico. In base a questa teoria, dal momento che molte parole
avrebbero una “doppia entrata” sia nel lessico normale che nella lista, l'elaborazione del significato
delle espressioni idiomatiche richiederebbe più tempo di quelle letterali. L'ipotesi della lista
idiomatica è stata in seguito messa in discussione, ma ha costituito un modello di base per le
successive ricerche.
La codifica simultanea
L'ipotesi della codifica simultanea o rappresentazione lessicale di Swinney e Cutler (1979) propone
una processazione parallela dell'analisi letterale e idiomatica. Contrariamente all'ipotesi della lista
idiomatica, la codifica delle espressioni idiomatiche non richiederebbe maggior tempo di quelle
letterali, in quanto avrebbe luogo una elaborazione parallela. La disambiguazione avverrebbe
esclusivamente in base al contesto.
L’accesso diretto
Secondo Gibbs (1980), il significato idiomatico non soltanto è codificato più rapidamente di quello
letterale, ma si imporrebbe anche sull’altro sin da subito. Questo modello rappresenta in sostanza il
rovesciamento dell'ipotesi della lista idiomatica.
La configurazione (ipotesi maggiormente tenuta in considerazione)
Secondo questo modello di Cacciari, Tabossi e Glucksberg, le forme idiomatiche vengono
codificate con le stesse modalità di elaborazione linguistica delle altre configurazioni di parole, pur
possedendo un loro elemento centrale, chiamato idiomatic key, costituito da un tratto semantico
particolare o anche da alcune specificità grammaticali. Esse vengono inizialmente analizzate
attraverso un processo di analisi letterale, ma quando compare l'elemento caratterizzante, la
idiomatic key, emerge la configurazione completa e si attiva il significato idiomatico, che si impone
su quello letterale. Il tempo di elaborazione della frase idiomatica rispetto a quella letterale varia
quindi esclusivamente in base alla collocazione della idiomatic key all'interno della frase:
Gianni dice di essere al verde idiomatic key = verde, fine della frase
Pietro ha preso baracca e burattini e se n'è andato idiomatic key = assenza degli articoli
determinativi “la” e “i” (se fosse stato la baracca e i burattini, l’articolo avrebbe cancellato la
valenza idiomatica)
Nella lingua madre, la conoscenza del contesto e la familiarità con le forme idiomatiche possono
consentire una loro rapida e corretta interpretazione, mentre in una lingua straniera i tempi si
allungano.
6.7. Tipologie di forme idiomatiche
Glucksberg (1993) individua due diverse categorie di forme idiomatiche:
- Quelle appartenenti al modello del direct look-up espressioni il cui significato è stabilito
arbitrariamente: attaccare bottone, essere in gamba ecc assunte nella memoria semantica come
singole unità lessicale e come tali recuperate
- Quelle appartenenti al modello composizionale [compositional model] traggono origine
dafatti storicamente accaduti, in seguito divenuti esemplari di determinate situazioni es: una
vittoria di Pirro o venire a Canossa; queste espressioni non differiscono nelle caratteristiche
composizionali, morfosintattiche e pragmatiche da quelle non idiomatiche
Le due tipologie comportano difficoltà di natura diversa dal punto di vista glottodidattico:
1. Nel caso di espressioni come essere in gamba, è impossibile per l’alunno desumere il significato
dalla somma dei significati delle singole parole che la compongono, quindi l’unica possibilità è che
l’allievo abbia avuto modo di memorizzarne il significato
2. Nel secondo caso, espressioni come una vittoria di Pirro o venire a Canossa possono essere
chiare da un punto di vista composizionale, ma rimanere opache in mancanza della conoscenza del
loro significato etimologico e di conseguenza del loro uso pragmatico
3. Espressioni idiomatiche come prendere la porta o rompere il ghiaccio possiedono un significato
traslato desumibile solo in base al contesto e un significato letterale altrettanto accettabile; tuttavia,
mentre nell'uso letterale di tali espressioni è possibile sostituire alcune delle parole con sinonimi
(sollevare/spostare la porta, frantumare il ghiaccio), nell'uso idiomatico non sono consentiti
cambiamenti nella composizione della frase
Un altro tipo di classificazione delle espressioni idiomatiche è stato proposto da Moon (1996) che
descrive sei categorie sulla base del contenuto semantico:
- Azioni parlare a vanvera, prendere la porta, levare le tende
- avvenimenti crollo in borsa, euforia delle borse, lancio sul mercato, un tempo da
lupi,una pioggia battente
- situazioni essere nei pasticci/in cattive acque, non avere lacrime per piangere
- persone essere un casanova, un saltimbanco, un voltagabbana, un pagliaccio
- paragoni essere brutto come un debito, essere bianco come un cencio, essere curioso
comeuna scimmia
- emozioni verde dalla rabbia, vedere i sorci verdi, rosso dalla vergogna ecc
6.8. Strategie per l’apprendimento delle liste idiomatiche
Le espressioni idiomatiche hanno raramente traduzioni corrispondenti nelle varie lingue e spesso il
significato è reso da locuzioni molto diverse che non hanno nulla in comune con i loro significati
letterali:
- Mi prendi in giroyou are pulling my leg [Lett: “mi stai tirando la gamba”]
- Mi ha attaccato un bottone il m’a tenu une jambe [molto simile nella forma letterale
all’inglese,
ma con un significato idiomatico completamente diverso]
L'insegnamento delle espressioni idiomatiche deve avvenire tenendo presenti le caratteristiche delle
varie tipologie di idioms, la loro frequenza ed il loro uso pragmatico nella comunità linguistica di
riferimento. Uno dei motivi per cui la glottodidattica ha scarsamente riflettuto sulla natura,
l'apprendimento e la metodologia d'insegnamento degli idioms è certamente legato al fatto che le
espressioni idiomatiche trascendono la struttura logica del linguaggio, che è sempre stata il centro
d'interesse degli approcci tradizionali, basati sull'acquisizione della competenza linguistica anziché
di quella comunicativa. Johnson-Laird afferma che "Idioms are the poetry of daily discourse" e
anche per questa ragione la competenza lessicale non può prescindere dagli aspetti idiomatici.
Durante le attività in classe, gli idioms vengono presentati di solito solo attraverso la tecnica di
matching tra la forma idiomatica e la possibile definizione accanto. Altre volte, i testi didattici
presentano direttamente una lista di idioms da memorizzare. Queste attività, utili in contesto
scolastico, finiscono tuttavia per scoraggiare l’utilizzo attivo di tali espressioni (es: lo studente non
conosce la probabile reazione del suo interlocutore di fronte all’utilizzo di una forma idiomatica in
un contesto reale) e stimolano solo la ricezione passiva dell’alunno.
6.9. Criteri di scelta delle forme idiomatiche
I criteri di scelta delle forme idiomatiche da insegnare e utilizzare in classe, dal momento che alcune
espressioni sono meno utili di altre, possono basarsi sui seguenti aspetti:
- Frequenza d'uso In italiano, ad esempio, menare il can per l'aia o saltare/far saltare la
mosca al naso sono meno frequenti di essere in gamba, avere l'acqua alla gola, ecc; in questo
caso sarà sufficiente una scelta soggettiva dell’insegnante
- Difficoltà del vocabolario interno è importante considerare se la frase idiomatica possiede
al suo interno vocaboli di bassa o rara frequenza; menare il can per l’aia (contiene il verbo
menare di bassa frequenza); al contrario, cadere dalle nuvole presenta lessico di alta frequenza
- Grado di trasparenza alcune espressioni sono semanticamente trasparenti, mentre altre
possono essere capite solo se se ne conosce il significato figurato; essere in gamba o prendere in
giro non sono trasparenti, mentre aprire le orecchie sì
- Similarità nella lingua madre a volte questo può creare confusione, quindi è utile predisporre
una griglia di corrispondenze in cui inserire alcune osservazioni ★
È necessario individuare delle strategie sulla base delle quale gli studenti ricorrono con maggiore o
minore frequenza alle espressioni idiomatiche:
Sulla base di alcuni esperimenti, l'inferenza del significato dal contesto sembra essere la strategia
favorita dagli studenti (28%), seguita dall'analisi dell'espressione idiomatica e del contesto in cui
compare (24%). Infine, un 19% degli studenti cerca di inferire il significato figurato dal significato
letterale. Solo l’8% ricorre invece alla richiesta di informazioni per facilitare la comprensione. La
ripetizione e la parafrasi vengono impiegate entrambe con un'incidenza del 7%.
6.10. La metafora: premesse storiche & 6.11 la competenza metaforica
La riflessione sulla natura e la funzione delle metafore è stata oggetto di un interesse
interdisciplinare forse unico nella storia della scienza. Nel corso dei secoli, filosofi, poeti, letterati e
linguisti hanno scritto su di essa, ora apprezzandola, ora denigrandola, dandone di volta in volta
diverse interpretazioni e attribuendovi diverso valore.
Aristotele Fu il primo a parlare della metafora come sostituzione di un nome con un altro;
egli la presentò come uno degli strumenti attraverso cui si realizza la conoscenza. La
metafora, per via della sua concisione (diversamente dalla similitudine che necessita del
“come”), favorisce un apprendimento rapido, facile e piacevole; è una forma di paragone
basato su un rapporto metonimico, per il quale ad una cosa si attribuisce il nome che
appartiene a qualcos’altro. La concezione aristotelica rimane ancora oggi un punto di
partenza per molti trattati sulla metafora. Il trasferimento di significato può avvenire da
specie a specie, da genere a specie o viceversa, per analogia, similitudine o sineddoche.
Quintiliano Metafora come processo di sostituzione di un significato letterale; nel
mondo classico quindi la metafora era del tutto priva di un valore cognitivo ed aveva
soprattutto una funzione retorico-stilistica di pertinenza di poeti e oratori.
RicoeurMetafora come principio vitale del linguaggio; a differenza
di Aristotele, eglinon intende la metafora come semplice sostituzione, ma è l’instaurarsi di
una tensione tra due interpretazioni di un enunciato. È un’innovazione semantica che ha a
che fare con la costitutiva creatività del linguaggio. Non riguarda una singola parola, ma
l’intera frase e la tensione che si viene a creare è una tensione tra interpretazioni
contraddittorie. L’interpretazione metaforica presuppone un’interpretazione che si
autodistrugge. L’operazione metaforica consiste nel trasformare una contraddizione che si
autodistrugge in una contraddizione piena di significato.
Richards (1936) Richards ha il merito di aver denominato le parti che costituiscono
l’espressione metaforica; Il significato di una metafora è il risultato dell'interazione tra due
elementi chiamati topic [tenore] e vehicle [veicolo], in cui le proprietà di uno si estendono
sull’altro. Affinché un’espressione funzioni e sia comprensibile, è ovviamente necessario
conoscere all’interno di una cultura i significati simbolici attribuiti ad una determinata
parola. Es: per comprendere l’espressione quel dentista è un cane, è necessario sapere quali
significati simbolici dell’animale possono essere attribuiti ad un essere umano. Teoria del
“commercio di pensieri” = la metafora non è più intesa come fenomeno strettamente
linguistico, ma come una specificità del pensiero umano.
Quando adoperiamo una metafora abbiamo due pensieri di cose differenti contemporaneamente attivi
e sorretti da una singola parola o frase, il cui significato risulta dalla loro interazione
La relazione tra tenore e veicolo, definito ground, contiene, inoltre, l’elemento di tensione
(tension) che si produce nella metafora in conseguenza alla relazione che si stabilisce tra i
domini concettuali assunti nel loro significato letterale.
Coseriu (1956) Anche lui ha argomentato a favore della metaforizzazione come
principio di formazione del linguaggio: ha evidenziato come l’attività poetica dell’uomo sia
costitutiva del linguaggio in generale e non solo di quello letterario.
Black (1983) Metafora definita come strumento cognitivo; da elemento stilistico la
metafora diviene un aspetto del pensiero, presenza costante nel linguaggio quotidiano.
Essa diviene elemento costitutivo del processo di organizzazione concettuale del mondo.
Riprende in qualche modo i concetti di Richards ed è il padre della teoria interattiva: la
metafora è il frutto di una tensione tra due elementi chiamati focus e frame [cornice]
l’elemento focale della metafora si inserisce all'interno di un determinato contesto,
che assume dunque un’importanza rilevante.
Quando utilizziamo una metafora, la cornice e il focus metaforico interagiscono tra loro, così da comportare
un'estensione del significato del secondo; il lettore/ascoltatore è portato a trovare connessioni tra le due idee
rappresentate da cornice e focus. […] Come opera questa connessione? Facendo riferimento all'asserzione
metaforica «L'uomo è un lupo», Black identifica due soggetti, il soggetto principale (l'uomo) e il soggetto
secondario (il lupo), che trascinano con sé una sistema di luoghi comuni associati (non importa se giusti o
sbagliati) cui il lettore/ascoltatore fa riferimento. Es: cos’è un lupo? È un animale che vive in branco, caccia gli
altri animali, è carnivoro, ecc. Questo sistema di luoghi comuni è legato al concetto di cultura, poiché tutte le
scelte che facciamo sono scelte culturali.
Black preferisce basare, infatti, la sua analisi su esempi di metafora semplici, tratti dal
linguaggio quotidiano, in cui non compaiano le difficoltà specifiche delle metafore poetiche
e letterarie. Egli apre alla metafora come espressione di luoghi comuni: ogni volta che
facciamo esperienza di qualcosa, nascono nuovi luoghi comuni associati e quindi anche
nuove metafore. Uno degli elementi chiave della sua teoria è la concezione interattiva,
poiché è l’interazione che ha la funzione di creare la similarità, piuttosto che rappresentarne
di già esistenti.
Eco (1984) Teoria della “semantica a enciclopedia”: «si ha metafora quando sulla base di
una identità di metonimie (due proprietà uguali in due sememi diversi) si sostituisce un
semema per l’altro»; la riuscita della metafora dipende dal formato socioculturale
dell’enciclopedia dei parlanti che la interpretano. La metafora ci consente quindi di
conoscere meglio il codice (l’enciclopedia) dei parlanti di una certa comunità favorendo
anche il dialogo interculturale. Secondo Eco, (a) per sua natura il linguaggio è metaforico e
(b) la lingua è un meccanismo retto da regole, una macchina, pertanto la metafora è “il
guasto al motore”.
Manetti (2005) la concezione contemporanea giunge a inquadrare la metafora come «un
fenomeno essenzialmente cognitivo» in grado di produrre «una diversa categorizzazione del
mondo». La metafora viene piuttosto oggi intesa come un fatto di pensiero e azione in grado
di creare similarità. Essa non è dunque diffusa solo nel linguaggio, bensì anche nei nostri
modi di vivere e pensare. Il nostro sistema concettuale è largamente metaforico (Lakoff e
Johnson).
La centralità della metafora nella formazione del linguaggio e del pensiero
Quello che Lakoff e Johnson sviluppano, entro la prospettiva di una linguistica cognitiva, si iscrive
in un percorso che aveva già intuito la centralità della metafora nella formazione del linguaggio e
del pensiero. Eccone alcuni passaggi cruciali:
Vico → Il linguaggio non scaturisce da ragioni, bensì da intuizioni e fantasia. La logica
che è a fondamento del linguaggio non è una logica razionale, ma è la stessa logica creativa
alla base del mito e della poesia: una logica poetica, ovvero, l’abilità innata di
rappresentare l’esperienza del mondo attraverso la fantasia di cui la metafora ne è il
prodotto. Nella Scienza Nuova, Vico la descrive come anche come “la più luminosa dei
tropi”.
Nietzsche → “ogni concetto non è che «il residuo di una metafora»”; dietro la parvenza
di un’identità, si nascondono sempre trasposizioni, immagini, intuitive e particolari. Il
nostro pensiero si articola in schemi che scaturiscono, tuttavia, sempre da un metaforizzare
per cui non sono mai rigidi, con confini fissi. Un aspetto importante evidenziato da
Nietzsche è la centralità della metafora nella formazione del linguaggio: la verità, per
Nietzsche, è una metafora logorata che, dopo largo uso, è diventata assunzione
salda, vincolante, convenzionale, perdendo la sua presa sensibile. Anche la parola è
metafora poiché le parole non contengono le essenze delle cose, ma le nominano attraverso
immagini e facendo ciò le traspongono già e le trasformano (parola albero, colore, neve,
fiore ≠ dall’essenza di queste stesse cose).
Humboldt → La conoscenza umana, per Humboldt, si fonda sull’analogia: l’uomo coglie
somiglianze ovunque rivolga lo sguardo. Gli elementi che costituiscono una lingua sono
collegati gli uni agli altri e si configurano essi stessi metaforicamente come gli elementi di
un organismo. Le parole non offrono mai gli oggetti, bensì sempre le interpretazioni di
questi. La funzione poetico-metaforica essenziale al linguaggio e costitutiva del modo di
vivere
dell’uomo, permette di acquisire input, ovvero immagazzinare, organizzare e rievocare
conoscenze, attraverso reti di somiglianza tra i concetti.
Gramsci → ha il merito di intravedere una pervasività generativa della metafora: egli
scrive
infatti “è impossibile «togliere al linguaggio i suoi significati metaforici ed estensivi»”.
Definire la metafora
Definire la metafora non è mai stato un compito semplice (esempio di Ray Gibbs all’aeroporto di Tel
Aviv, appunti) e non si è mai pervenuti ad una teoria unica:
Classicismo: metafora come forma di comparazione
Ambito generativo-transformazionale: metafora come anomalia
Teoria interattiva di Black: metafora come interazione
Anni Ottanta → concettualizzatore metaforico alla base del nostro agire
6.12 La metafora è un viaggio
Metaforicamente parlando, potremmo dire che la metafora è un viaggio nella mente. Un significato
(il viaggiatore) sale su una parola (il mezzo di trasporto) e lascia il suo dominio semantico (il luogo
di appartenenza) per recarsi (il trasferimento) presso un altro dominio semantico (la meta di arrivo).
Definizione: la metafora è l’esito di un viaggio che un significato intraprende dalla propria sfera
semantico-concettuale verso un altro dominio, arricchendolo, nell’incontro, di un nuovo significato
e di nuove possibili interpretazioni.
Etimologia di metafora: dal greco classico “metaferein”, “meta” (dopo, oltre” e “ferein”
(trasportare). Ancora oggi, in greco moderno, mezzo di trasporto si dice metaforicò mezo.
6.13. La dimensione cognitiva & 6.14. Vivere e agire metaforicamente
- Andrew Ortony → Metaphor and Thought (1979), la ricerca sulla metafora viene
affrontata con un approccio multidisciplinare.
- Seconda edizione di Metaphor and Thought (1993) → la ricerca inizia a comprendere
ulteriori campi disciplinari come la linguistica e la neuropsicolinguistica.
Una delle pietre miliari per le attuali teorie sulla metafora è sicuramente il volume Metaphors we
live by (Metafora e vita quotidiana) di George Lakoff e Mark Johnson pubblicato nel 1980:
L’essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa nei termini di un altro
Gli autori propongono un ulteriore sviluppo dello statuto della metafora, asserendo che l’intero
nostro sistema concettuale è organizzato su base metaforica: non solo comprendiamo, ma viviamo e
agiamo metaforicamente. La struttura profonda del linguaggio è di natura metaforica e le
espressioni che utilizziamo nell’interagire quotidiano sono coerenti all’organizzazione metaforica
che struttura concettualmente il nostro pensiero [metafore concettuali]. La concezione di un
sistema metaforico organizzato e sistematico in base al quale si struttura il nostro universo
concettuale porta a riconsiderare la tradizionale distinzione tra significato letterale e figurato.
Metafora concettuale #1: L’AMORE È UN VIAGGIO
il nostro amore va a gonfie vele
il nostro rapporto è naufragato (oppure è andato a picco)
non andiamo da nessuna parte
non possiamo più tornare indietro, ecc.
6.15. Metafora e concetti astratti [“la sistematicità dei concetti astratti”]
Grazie alla metafora possiamo comprendere concetti astratti attraverso una rete di concetti concreti
che, in quanto tali, proiettano sui primi le basi fisiche dell’esperienza cognitiva.
Metafora concettuale #2: IL TEMPO È DENARO
Il tempo è un concetto astratto, difficile da definire, tuttavia è possibile individuare una serie di
metafore che ci permettano di rappresentarlo come concetti più vicini alla nostra esperienza
personale. Nella società occidentale, il tempo è una risorsa limitata con cui raggiungere
determinati obiettivi e, come tale, è una merce preziosa:
Risparmiare tempo
Investire il proprio tempo
Non sprecare tempo
Non avere tempo da buttare/perdere
Il tempo è esaurito
Il tempo disponibile
Concedere tempo
Metafore ontologiche e personificazione
Le metafore ontologiche sono modi di considerare eventi, azioni, emozioni, idee come entità o
sostanze (es: LA MENTE È UNA MACCHINA). Esistono, pertanto, anche altre metafore
attraverso le quali è possibile concettualizzare il tempo; per esempio, una tra queste è il processo di
personificazione come estensione di metafore ontologiche attraverso il quale una determinata entità
o sostanza assume caratteristiche e comportamenti umani:
Metafora ontologica [Personificazione] #1 IL TEMPO…
È signore
È tiranno
Metafora ontologica [Personificazione] #2 IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE
Il tempo scorre
Tempus fugit
Metafora ontologica [Personificazione] #3 VITA COME CONTENITORE
Possiamo rappresentare il tempo come un’entità che si sposta verso una certa direzione:
Avanziamo negli anni
Hic e nunc
Ci portiamo le primavere sulle spalle
Queste metafore si basano sia sull’esperienza fisica che su una serie di presupposizioni culturali
specifiche. L’esperienza fisica davanti/dietro implica una distinzione probabilmente presente in
tutte le culture del mondo. Tuttavia, la sua concettualizzazione può esprimersi con rappresentazioni
diverse. Per le culture quechua e aymara, l passato è concepito davanti a noi in quanto è noto,
mentre il futuro è dietro le spalle perché è sconosciuto, le metafore utilizzate come esempi non
avrebbero per loro lo stesso significato o addirittura non potrebbero esistere.
essere in crisi o uscire dalla crisi
uscire da un brutto periodo
entrare in una fase di difficoltà
essere in salute
uscire da una malattia
entrare in coma
essere fuori tempo o essere in tempo
Metafore di orientamento
Un altro esempio delle proprietà interazionali tra esperienza percettiva, sistema concettuale e
comprensione della metafora è offerto da quelle che Lakoff e Johnson definiscono metafore di
orientamento. Ogni soggetto possiede consapevolezza del proprio corpo nello spazio:
Metafora di orientamento #1 IL CORPO È UN CONTENITORE: interagiamo nell'ambiente fisico
attraverso categorie non arbitrarie come SU-GIÙ, DENTRO-FUORI, DAVANTI-DIETRO,
PROFONDO SUPERFICIALE, CENTRALE-PERIFERICO ecc. Tali categorie si radicano
nell'esperienza fisica e servono da base per un gran numero di metafore:
FELICE È SU
TRISTE È GIU (Essere giù di morale, cadere in depressione ecc)
Siccome quando siamo gravemente ammalati siamo costretti a stenderci, mentre quando siamo
pienamente in salute siamo attivi, in movimento e pieni di energie, rappresentiamo concettualmente
la salute orientandola verso l’alto, la malattia e la morte orientandole verso il basso.
Quando siamo tristi tendiamo ad avere la testa e lo sguardo abbassati e da questo orientamento
verso il basso derivano espressioni metaforiche come “mi sento giù”, “ho il morale a terra”. Quando
siamo felici manteniamo la testa alta e lo sguardo rivolto verso l’alto: un orientamento che
ritroviamo nelle frasi “mi sento al settimo cielo”, “ho il morale alle stelle”. E ancora: la
consapevolezza è su, mentre l’incoscienza è giù.
Su/giù + contenitore → entità come fluidi che salgono e
scendono #1 IL DENARO È UN FLUIDO
Un fiume di denaro
Versare del denaro
Congelare i risparmi
Il concetto di embodiment in relazione alla metafora
La ragione nasce dal corpo, non lo trascende e la sua natura è metaforica e immaginativa.
6.16. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors we live by
L’opera di Lakoff e Johnson, da quando è stata pubblicata fino a oggi, ha conosciuto certamente
molta fortuna ed è stata tradotta in molte lingue. Per scopi didattici, è stata compiuta in questa sede
un’analisi comparativa della traduzione in quattro lingue europee: italiano, francese, spagnolo e
tedesco.
- Traduzione francese (1985); è stata la prima in ordine d’uscita e non è stata più riedita. Si configura
come una traduzione target-oriented; non sempre l’adattamento corrisponde alla traduzione delle metafore
inglesi in espressioni francesi effettivamente in uso; non include, tuttavia, alcuna introduzione né note
critiche o esplicative rispetto alle scelte traduttive.
- Traduzione spagnola (1986); è stata ripubblicata diverse volte, l’ultima volta nel 2017. Utilizza un
approccio source-oriented; le metafore sono state tradotte talvolta con espressioni poco
convenzionali in lingua spagnola, ma presenta una ricca introduzione, nonché un apparato di note
esplicative per sopperire ad eventuali lacune traduttive.
- Traduzione tedesca (1998); è stata ripubblicata nel 2018. Include un’introduzione di Michael B.
Buchholz, uno psicanalista che ha lavorato sul coinvolgimento delle metafore nelle emozioni.
L’edizione tedesca presenta un numero davvero esiguo di note della traduttrice, utili per spiegare
concetti prettamente legati alla cultura americana; è una traduzione target-oriented; presenta
esattamente lo stesso numero di metafore dell’edizione originale, per cui per ciascuna di esse indica
sempre un’espressione metaforica tedesca, anche perché le due lingue fanno parte dello stesso
ceppo linguistico.
- Traduzione italiana (1998); non è mai stata riedita. È stato scelto un approccio source-oriented, motivato
dalla traduttrice Patrizia Violi come “necessario al fine di non riscrivere completamente il libro”. È stato
conservato il senso americano di molte metafore e sono state eliminate soltanto quelle metafore ritenute
assolutamente incomprensibili. La traduzione italiana risulta piuttosto letterale e non del tutto
convenzionale.
La metafora nel titolo
“Metaphors we live by” è una metafora che restituisce l’immagine di una vita quotidiana
calata nella metafora. Fra le diverse traduzioni, solo quella tedesca trasmette l’idea centrale
espressa dagli autori nel titolo originale: Leben in Metaphern significa infatti vivere nelle
metafore. Il sottotitolo “costruzione e uso delle immagini del linguaggio” è chiamato a
svolgere una funzione esplicativa.
Il titolo francese elimina il pronome personale “noi” (we), mettendo da parte la nostra
collocazione rispetto alla metafora.
Nella versione spagnola, il complemento di luogo della versione francese si trasforma in
complemento di specificazione. Così facendo viene trasmessa l’idea della metafora come
elemento che appartiene alla vita quotidiana, ma si perde il senso del contatto con la vita
quotidiana. Da un lato, si rafforza così l’idea di appartenenza della metafora alla vita
quotidiana, dall’altro, in questo titolo noi non ci siamo.
Il titolo italiano si distacca notevolmente dall’originale e dall’idea che Lakoff e Johnson
volevano trasmettere. La versione italiana, arrivata dopo quella francese e spagnola, ha
risentito in qualche modo dell’influenza di queste ultime e si pone quasi come una
traduzione della traduzione.
Uno sguardo attraverso le traduzioni di alcune metafore indicate da Lakoff e Johnson
1. La discussione è una guerra
Nella nostra cultura, siamo soliti vivere e pensare una discussione in tali termini e ciò si riflette
nei nostri modi di parlare. Osservando le traduzioni delle diverse espressioni metaforiche
elencate da Lakoff e Johnson, ritroviamo una generale equivalenza linguistica e culturale tra le
lingue comparate: “vincere”, “difendere”, “distruggere”, “adottare strategie”, “attaccare i
punti deboli dell’avversario”, “sparare”, “colpire”, “annientare”, “fare fuori”, “respingere
l’avversario”, sono tutte azioni che appartengono al concetto di guerra. Per quanto riguarda la
frase His criticisms were right on target la traduzione italiana trova un equivalente completo
nell’espressione “Le sue critiche hanno colpito nel segno”. L’espressione francese suona più
come “le sue critiche mirarono dritte al punto”, una frase che funziona anche in italiano, essa
assume però una sfumatura di senso diversa: mirare non vuole dire riuscire poi effettivamente a
fare centro. A proposito invece della frase I demolished his argument, la traduzione italiana e
quella francese usano l’equivalente “ho demolito”, mentre quella spagnola e quella tedesca no.
[…] Nella penultima frase I f you use that strategy, he’ll wipe you out, la parola strategy,
appartenente al vocabolario bellico, attraversa tutte e quattro le traduzioni e mantiene lo stesso
valore.
2. Il tempo è denaro
L’idea che il tempo sia una merce con un valore di scambio, preziosa e che non può essere
spiegata è parte costitutiva del nostro modo di rapportarci al tempo. Quest’idea è culturalmente
radicata in Occidente ed è figlia dell’avvento del capitalismo che ha associato il lavoro alla
quantificazione del tempo che esso richiede: lavoro pagato a ore, a giornata, a settimana,
mensilmente, lavoro a tempo determinato, contratto di lavoro annuale, lavoro stagionale. Che il
tempo sia un bene prezioso emerge dal fatto che lo dedichiamo (cfr. trad. it. e sp.), lo doniamo
(trad. fr.) o lo regaliamo. (cfr. trad. ted.) e che quando siamo i destinatari di questo dono
ringraziamo chi ce l’ha concesso. Il tempo è poi qualcosa da spendere (spend, gastar),
impiegare, gestire (gèrer, umgehen), proprio come si fa con i soldi. Come accade con i soldi
esso può essere perso, disperso, sprecato, ma può essere anche investito: la traduzione italiana
sceglie “sprecare” al posto di “investire” mascherando il senso e oscurando l’uso italiano di
espressioni in cui si dichiara di aver investito molto tempo in attività, persone, progetti. He’s
living on borrowed time che vuol dire “Sta vivendo di tempo prestato” nel senso che sta
usufruendo di qualcosa che non è suo, che gli è stato concesso e che deve usare in modo
rispettoso. In italiano non è un’espressione frequente.