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CAPITOLO 5 : SPAGNA CONTRO SPAGNA

Nel novembre del ’33 il giornale madrileno “El Sol” diede una notifica
tragicamente curiosa: un giovane socialista, José Ruiz, aveva ucciso un
militante delle JONS che portava il suo stesso nome e cognome, era una
fratricidio. Questa è la dimostrazione che la Spagna si stava avviando verso
una lotta intestina carica di autolesionismo, dove le scelte politiche o le
avversioni sociali erano potenziate da un generale senso di dignità ferita.
Delle classi subalterne, disprezzate, umiliate e schiacciate nella loro
impotenza dagli schernitori, affondate nella loro dipendenza dalle esortazioni
della chiesa a un’umile accettazione dello loro condizione di inferiorità;
dignità delle classi medio-alte, offese dall’insubordinazione dei sottoposti,
aggredite dall’impoverimento e dal livellamento. Questa reciproca
insofferenza era sempre più frequente, non sono sui luoghi di lavoro ma
anche negli ambienti in cui il conflitto era abitualmente contenuto, come nel
Parlamento, dove nel 4 luglio 1934, un teso dibattito alle Cortes sfociò in un
alterco tra un deputato socialista e uno della CEDA. Il risultato fu che tanti
deputati iniziarono a circolare armati, perciò qualcosa stava cambiando. La
stessa violenza si presentava come possibile strumento di sovvertimenti
sociali che fino ad allora non erano mai stati un reale pericolo per le classi
dominanti. Per la prima volta appariva un Partito Socialista armato che
dichiarava i suoi intenti rivoluzionari. I veri orchi della sinistra europea, i
Mussolini, gli Hitler, i Dollfuss, popolavano le ansie della sinistra spagnola.
5.1: prove generali di guerra civile
Successivamente alle elezioni di novembre, uno dei maggiori esponenti della
destra monarchica, Pedro Sainz Rodriguez, alimentò la percezione
soggettiva riguardo il fatto che l’idea della destra coincideva con quella della
sinistra: la rivoluzione legale (i fabbricanti erano stati privati dell’arma della
legalità) era stata interrotta per trasformarsi in rivoluzione illegale. Tuttavia
questa impresa non era alla portata di quelli che intendevano compierla: non
bastava far circolare armi o dare disposizioni a riguardo, se l’azione
rivoluzionaria era subordinata dall’eventualità che la CEDA andasse al
governo. Questa condizione lasciava pensare che lo scopo primario del
gruppo dirigente socialista fosse quello di impedire l’ascesa di Gil Robles.
Caballero riteneva che Zamora non avrebbe consentito l’ingresso nel
governo della destra cattolica, ma alla fine di settembre, quando il leader
della CEDA reclamò una partecipazione del suo partito al governo, il
presidente della Repubblica non potè rifiutarsi poiché l’iniziativa era
sostenuta da una grande maggioranza in Parlamento. Così diede l’incarico a
Lerroux il quale formò un governo con la partecipazione di tre rappresentanti
della CEDA. Quando a giungo il tribunale delle Garanzie Costituzionali aveva
dichiarato l’incostituzionalità della legge agraria catalana, anche la
Generalitat aveva fatto lo stesso. Si era così determinata tensione, poiché il
governo Samper non aveva potuto fare a meno di dichiarare nulla la nuova
legge catalana, come la precedente. Azana durante la discussione alle
Cortes sulla legge agraria catalana, aveva detto che la Catalogna autonoma
era “l’ultimo potere repubblicano rimasto in piedi in Spagna”. A settembre, la
UGT boicottava il raduno dei proprietari terrieri catalani (a Madrid) con uno
sciopero generale della città e il PSOE solidarizzava con le posizioni
autonomistiche della Catalogna. Lo stesso facevano socialisti e sinistra
repubblicana con i baschi, a loro volta in conflitto col governo centrale per
l’affermazione della loro autonomia. Il primo episodio di avvicinamento tra
nazionalisti baschi (di orientamento cattolico e conservatore) e le sinistre fu
quando Prieto appoggiò i municipi del paese basco nello scontro che li
oppose al governo Samper, il quale aveva cercato di limitare i privilegi fiscali
di cui ancora godevano ed impedire che essi costituissero degli organi
comuni di rappresentanza non previsti dalla legge. Il 4 ottobre, la reazione
delle forze repubblicane fu ripulsa. Le organizzazioni politiche emisero
comunicati di condanna oltre a censurare il fatto di aver consegnato il
governo della Repubblica ai suoi nemici. La risposta dei socialisti fu scaturita
nel 4 ottobre quando il Comitato Esecutivo, presieduto da Caballero,
deliberò l’attuazione dello sciopero generale ma senza proclamarlo
pubblicamente, come se fosse una operazione clandestina. Quindi Madrid
rimane paralizzata dallo sciopero ma l’azione di forza non segue perché
nessuno ne assume la direzione. Se dei piani erano stati pensati, nessuno
cercò realmente di mandarli a effetto, tantomeno i militari o gli uomini delle
forze dell’ordine, i quali si rivelarono illusori. Diversamente, la condotta di
molti militanti fu varia in quanto essi gettarono la loro vita e quella altrui in
azioni al servizio della loro causa. Lo stesso quadro di passività e di
disorganizzazione si presentò in quasi tutto il paese, solo nelle Asturie fu
diverso: il movimento lì ebbe successo perché i presupposti ambientali erano
favorevoli. In primo luogo vi erano la compattezza di tutta la sinistra operaia
unita nel Alianza Obrera, ma soprattutto l’insurrezione potè far perno sul
bacino minerario il cui controllo diede ai rivoluzionari una grande quantità di
dinamite. L’obiettivo del movimento era quello di “promuovere” e realizzare
la rivoluzione sociale e arrivare alla conquista del potere politico ed
economico per la classe dei lavoratori. Nel periodo in cui la regione fu sotto il
controllo dei rivoluzionari, la gran parte delle loro energie fu assorbita dalle
esigenze militari. D’altro canto i comitati rivoluzionari locali agirono in grande
autonomia a causa dell’instabilità del suo organo di governo (il Comité
Provincial Revolucionario) insediato a Oviedo. Come i socialisti non si
aspettavano l’ingresso della CEDA nel nuovo governo, così questo rimase
sorpreso dalla loro reazione: mentre il governo riteneva vane le loro minacce,
gli eventi delle Asturie si presentavano di maggiore gravità in quanto
incoraggiavano un altro movimento in aperto conflitto contro il governo di
Madrid sorto anche in Catalogna. La notizia della formazione di un nuovo
governo (che prevedeva un’accentuazione delle iniziative centraliste)
produsse a Barcellona e nel resto della regione una agitazione che contagiò
anche i governi più equilibrati. La testimonianza che meglio rappresenta la
paura che l’iniziativa aspirava è quella del presidente Companys, che la sera
del 6 ottobre annunciava: “la Catalogna liberale, democratica e repubblicana
non può restare assente dalla protesta che si afferma in tutto il paese, né
può far sentire la sua voce di solidarietà verso i fratelli che nelle terre
ispaniche lottano fino alla morte per la libertà ed il diritto”. Il governo di
Companys pensava così di provocare un ripensamento in Zamora ma esso
si trovava in uno stato diverso, ostile ed intransigente verso le istituzioni che
regolavano le ribellioni tanto da rendere scarsa la compattezza e la forza dei
catalani in rivolta. La Alianza Obrera voleva che si proclamasse “la
Repubblica catalana socialista”, ma non era riuscita a coinvolgere la CNT,
senza il cui appoggio era difficile che a Barcellona una causa diventasse
popolare, e neppure Dencas e il suo movimento che non era favorevole alla
formazione di una Catalogna indipendente. Era impossibile peraltro che i
monarchici e la stessa Alianza potessero collaborare con lui per il
raggiungimento di un obiettivo. Differentemente dalla Guardia Civil e Guardia
de Asalto (dalla parte di Madrid), lo stato catalano aveva poche truppe da
mettere in campo. Quando Lerroux dichiarò lo stato di guerra, il generale
Batet (poco incline a soluzioni violente) non esitò ad ubbidire, avendo
ragione in breve tempo della resistenza dei rivoltosi, per la cui resa
bastarono alcune cannonate sui palazzi del municipio e della Generalitat.
Meno facile sarebbe stato aver ragione della rivoluzione asturiana, infatti per
riuscirci il governo Lerroux dovette far ricorso al meglio delle sue forze
militari. A dirigere le operazioni il ministro della guerra Diego Hidalgo chiamò
il generale Franco il quale era molto determinato nel stroncare il tutto. Egli
prese il comando direttamente dal Ministero mentre sul campo operavano il
generale Lopez Ochoa e il tenente colonnello Yague. L’entrata sul capoluogo
di entrambi i contingenti fu irresistibile tanto da giudicare inutile la resistenza
e ad allontanarsi. In effetti i rivoluzionari non avrebbero potuto reggere
l’assalto di un esercito professionale. Essi si ritirarono per gran parte nella
zona mineraria ma quella cittadella di resistenza non durò a lungo. Gli eventi
delle Asturie costituirono un importante presupposto della futura guerra
civile. La condotta di guerra dei rivoluzionari era stata a volte spietata, il
campo avverso fece altrettanto con numerosi prigionieri; inoltre vi furono
esecuzioni sommarie, massacri nelle celle e torture. Per questo motivo, il
saldo della “rivoluzione d’ottobre” spagnola fu pesantissimo, si contava una
grande quantità di feriti tra esercito e civili. Più grave dell’inconsistenza e
dell’irresponsabilità della iniziativa rivoluzionaria era il fatto che essa
intaccava la credibilità del sistema democratico fondato sulla Costituzione
Repubblicana. Infatti, i principali sostenitori della destra dichiararono che i
fiancheggiatori dell’insurrezione andarono contro la Costituzione, si
ribellarono contro una legge che essi stessi avevano creato, protestando
contro il sistema delle maggioranze che essi stessi avevano preteso di
difendere. L’abbandono della tradizione riformista potè apparire una
manifestazione di insania collettiva tanto che Prieto avrebbe fatto un aperto
mea culpa per il ruolo avuto negli eventi, anche se bisogna tener conto della
pressione (dal basso) cui era sottoposto dalle classi subalterne. Le Asturie
erano una di queste e l’Alianza Obrera si può dire che fosse stata imposta
dalla volontà di lotta dei minatori.
5.2: Dal nero più nero alla vittoria del Fronte Popolare
Robles non riuscì ad instaurare un regime fascista nonostante lo volesse; a
dimostrazione di ciò furono le sue dichiarazioni. Era dunque più giustificato
tenerlo e cercare di opporvisi, ma in ciò non solo i socialisti ma anche i
repubblicani non pensarono affatto a difendere in primo luogo la democrazia.
Gli spagnoli di sinistra avviavano a perdere non solo la democrazia ma anche
la Repubblica. Il periodo che intercorse tra la vittoria elettorale del centro
destra e quello del Fronte Popolare del febbraio 1936 fu chiamato BIENNIO
NERO durante il quale i partiti e i sindacati di sinistra scomparvero. La
maggioranza dei dirigenti del PSOE, della UGT e della FJS finiscono in
carcere o restano in clandestinità. Molti deputati socialisti sono dichiarati
decaduti, le amministrazioni comunali socialiste vengono sciolte, le sedi
sindacali e le case del popolo sono in gran parte chiuse e la stampa di
partito è sospesa. Anche numerose sedi della CNT vengono chiuse e molti
suoi militanti imprigionati. l’Esquerra è privata di ogni potere politico, poiché
lo Statuto di Catalogna è sospeso e la regione è amministrata dal centro
mediante un governatore. I partiti della sinistra repubblicani restano
impotenti difronte alla carcerazione dello stesso Azana. Egli stesso era stato
arrestato a Barcellona il 9 ottobre. Le testimonianze sui colloqui da lui avuti
nei giorni che precedettero il tentativo insurrezionale fanno apparire
probabile che egli fosse venuto nel capoluogo catalano per partecipare
all’azione che si preparava ma non vi era alcuna prova concreta di una sua
attività cospiratoria. Nell’ambito della società civile, la reazione delle classi
abbienti fu punitiva e persecutoria, e il potere politico, il governo e le Cortes
anziché contenerla e mitigarla, la assecondarono con leggi e provvedimenti
ispirati agli stessi criteri vendicativi. In primo luogo, un’ondata di
licenziamenti colpì coloro che avevano aderito allo sciopero rivoluzionario
ma gli intenti vendicativi erano a volte così scoperti che lo stesso governador
civil di Madrid dovette raccomandare che nel procedere dei licenziamenti ci
si attenesse alla legge relativa ai contratti di lavoro, senza abbandonarsi a
rappresaglie. Però la legge fu corretta e consentì i licenziamenti in tronco dei
lavoratori che avevano aderito a questi scioperi; essi si chiamavano gli
Jurados Mixtos e furono resi inoperanti, e il nuovo Ministro del Lavoro (Josè
Anguera de Sojo) decretò un ritorno alla settimana lavorativa di 48 ore per
molte categorie. Così migliaia di operai perdettero il lavoro e altri si videro
allungare l’orario di lavoro a parità di salario e in condizioni più dure ma fu
soprattutto nelle campagne che la reazione all’ottobre fece sentire i suoi
drastici effetti. Dopo la disastrosa avventura rivoluzionaria, il movimento “per
la controriforma agraria” divenne inarrestabile. Neppure il nuovo ministro
dell’agricoltura potè farvi fronte. Ai numerosi rappresentati della proprietà
terriera che sedevano all Cortes non bastarono le consistenti modifiche. Il
suo disegno di legge che prevedeva diverse facilitazioni per i fittavoli, e
soprattutto diritto di accedere alla proprietà per quelli di loro che avessero
coltivato uno stesso fondo per un minimo di 12 anni, incontrò la più dura
opposizione dei terratenientes che lo chiamavano “il bolscevico bianco”.
Così, estromesso il ministro, le Cortes approvarono nel luglio 1935 una legge
che vanificava ogni proposito di riforma riducendo al minimo le possibilità di
esproprio. La verità era che non volevano riforme di nessun tipo, né
collettiviste, né individualiste, né socialiste, né cattoliche. L’avvento della
“controriforma” non riguardò solo le prospettive future ma anche quelle
presenti, ribaltando i rapporti di forza nelle campagne e restaurando il
dominio incontrastato di una proprietà terriera avida e vendicativa. Queste
misure crearono rancori inestinguibili. Se le forze reazionarie della società
civile riuscirono a stravincere, non si può dire lo stesso per le forze politiche
che ne erano espressione. Gli anticorpi moderati e democratici riuscirono via
via a riequilibrare alcuni eccessi del dopo-ottobre e a preservare la
Repubblica parlamentare dai pericoli che la minacciavano. Il principale, tra
questi, fu probabilmente Alcalà Zamora il quale era determinato ad
ostacolare la presa del potere di Gil Robles e a evitare l’esasperazione dei
conflitti. Così, mentre l’estrema destra reclamava per coloro che avevano
evocato i giorni della Comune la stessa punizione toccata ai comunardi e i
tribunali militari pronunciavano diverse sentenze capitali, il presidente
riusciva ad impedire l’esecuzione della maggior parte di esse. Solo 4
imputati di seconda fila furono giustiziati, mentre i due leader dell’ottobre
asturiano furono graziati. Egli riuscì a ispirare un più generale orientamento di
moderazione che consentì ad Azana di essere presto prosciolto e i maggiori
responsabili dei fatti insurrezionali di essere condannati a pene meno severe
o addirittura di essere assolti (come avvenne per Caballero nel 1935).
Quest’ultimo verdetto era il segnale di un cambiamento di clima e di un
indebolimento di Gil Robles e delle destre in genere, le quali “si lasciarono
scappare una vittoria che aveva messo ai loro piedi per decenni il fior fiore
dei loro nemici”. Gil Robles e Calvo Sotelo, ormai leader preminente
dell’estrema, avevan accentuato i loro contrasti. Mentre Sotelo continuava a
perorare la prova di forza, il JEFE della CEDA era convinto di poter pervenire
allo stesso obiettivo seguendo una via “hitleriana”, più conforme al suo
temperamento. Per alcuni mesi sembrò che questa linea strategica fosse
vincente e la sua progressione verso il potere inarrestabile. Dopo che i
socialisti avevano abboccato all’esca egli era riuscito ad accrescere il peso
del suo partito. Nel maggio del 1935 in un nuovo governo Lerroux entravano
cinque ministri della CEDA, in cui si consolidarono i rapporti militari,
aumentando gli stanziamenti per l’esercito e affidando i vertici del comando
agli uomini più preparati e al tempo stesso più politicamente caratterizzati:
Fanjul come sottosegretario, Goded come ispettore generale dell’esercito e
comandante dell’aeronautica e Franco come capo di stato maggiore. In tal
modo Robles vinceva la concorrenza di Sotelo. Ma c’erano dei punti deboli
nel disegno di Robles: nelle Cortes, in un’eventuale prova elettorale a breve
scadenza egli non poteva prescinder dall’alleanza con i radicali. Ciò gli
impediva di attuare la riforma della Costituzione in senso autoritario poiché
gli sarebbe stato difficile trovare la maggioranza parlamentare necessaria,
qualora avesse trovato quella maggioranza, la costituzione vigente
prevedeva che ogni forma costituzionale dovesse essere ratificata da un
referendum popolare e seguita del rinnovo delle Cortes. Al leader della CEDA
conveniva perciò un incidere più lento, senza perdere il legame con Lerroux
e i suoi e aspettare il momento buono per sostituirlo alla testa del governo. Il
momento buono però, arrivò troppo presto, poiché Lerroux gli venne meno.
Egli era riuscito bene o male a costituire un partito con una numerosa
rappresentanza parlamentare che occupava l’area del centro, e si proponeva
di domesticare la CEDA facendole accettare il gioco democratico. Ma il suo
punto debole era la discutibile onestà amministrativa, lo scarso rispetto della
necessaria separazione tra funzioni pubbliche e interessi privati di coloro che
le esercitano. Lerroux fu travolto da una serie di scandali, il cui più grave fu
quello del cosiddetto straperlo, ovvero una sorta di roulette per cui era stata
concessa l’autorizzazione grazie ad una rete di favori in cui erano implicati
numerosi membri del partito, dal figlio adottivo di Lerroux allo stesso ministro
dell’interno. Lerroux ormai anziano, fu costretto a lasciare la presidenza del
consiglio ad un centrista indipendente, Chapaprieta, che gli riservò il
ministero degli Esteri. Ma dopo poco fu travolto dalle risultanze di
un’inchiesta parlamentare e dal successivo voto delle Cortes che rimandava
al giudizio della magistratura tutti gli uomini del suo partito. Ma alla
presidenza della repubblica questi trovò Zamora ben deciso a sbarrargli la
strada. A Robles che reclamava l’incarico di formare il governo, il presidente
oppose un netto rifiuto, in quanto dubitava della sua affidabilità democratica.
Questo perché: “egli era stato eletto del 1933 nella lista dei nemici della
Repubblica” “poi aveva evitato di fare esplicite dichiarazioni di adesione al
regime e per poter accedere alla presidenza occorreva che fosse rieletto
senza alleanza con i monarchici, inoltre era necessario che si imponesse al
nucleo fascista del suo partito”.
Gil Robles era pur sempre il capo del partito di maggioranza relativa, ma
poteva essere suicida per la democrazia affidare il governo al leader di un
partito in cui erano moneta corrente propositi come “ con le armi del
suffragio e della democrazia la Spagna deve disporsi a seppellire per sempre
il cadavere del liberalismo”. Robles perciò aveva rivelato un’inclinazione a far
ricorso all’intervento militare. poichè con ogni probabilità non sarebbe
riuscito ad avere una stabile maggioranza, sarebbe stato molto pericoloso
avere a capo del governo il leader di una forza cosi poco rispettosa della
democrazia. Così, mentre il partito radicale si andava disgregando, Alcalà
Zamora si propose di sostituirlo con una nuova formazione da lui ispirata che
occupasse lo spazio lasciato vuoto al centro. Con l’opposizione della CEDA
non c’era infatti alle Cortes alcuna maggioranza , cosicché il presidente
dovette, nel dicembre del 1935, sciogliere il parlamento, affidando il governo
a Manuel Portela Valladares, cui assegnò il duplice compito di celebrare
nuove elezioni e al tempo stesso creare il nuovo partito centrista
indipendente che lo affrontasse con successo. Ma l’obiettivo aveva scarse
probabilità di essere raggiunto. Se il dopo-ottobre aveva visto frantumarsi il
centro-destra in una lotta per il potere, la sinistra aveva invece ritrovato la
spinta a far fronte comune. Inoltre l’intento di colpire anche Azana lo aveva
fatto riemergere dalla zona d’ombra in cui era stato regalato dal suo
fallimento elettorale, ed egli si era messo a operare per creare le condizioni
di un rientro in gioco della sinistra. Nell’area dei partiti repubblicani quella
riaggregazione era cominciata da tempo. Già nell’aprile 1934 Azana,
Domingo e Casares Quiroga avevano fuso in un nuovo partito, la Izquierda
Republicana, le loro piccole formazioni. Martinez Barrio che aveva
abbandonato il partito radicale per i suoi disaccordi con Lerroux sui rapporti
con la CEDA, aveva fondato un nuovo partito centro-sinistra, Union
Republicana, in cui era confluito quello di Gordon Ordas. vi era una diffusa
volontà di resurrezione e rivalsa che trascendeva le organizzazioni politiche.
Così l’alleanza si creò anche se il suo collante era essenzialmente negativo. Il
suo stesso programma elettorale presentato nel gennaio 1936 rifletteva
l’impossibilità di una larga intesa sulle cose da fare, limitandosi a segnalare
come punti principali: un rilancio della riforma agraria, il ripristino dello
Statuto Catalano, un maggiore controllo da parte dello Stato delle attività
delle banche, una maggiore tutela dei lavoratori tanto delle industrie quanto
delle campagne. Ma i diversi punti indicavano più che altro finalità generali
anziché provvedimenti concreti. La piattaforma elettorale rifletteva in gran
parte le divergenze che erano tornate a dividere i socialisti. Secondo Prieto,
occorreva tornare alla formula del primo biennio. Caballero, impegnato in
un’aspra lotta con Prieto per il controllo del PSOE e del suo sindacato,
rifiutava ogni intesa con i partiti repubblicani, continuava ad indicare come
unico obiettivo una conquista del potere senza alcun compromesso. Prieto
nel dicembre 1935 con l’appoggio dei riformisti di Besteiro, riuscì a mettere
in minoranza nel comitato esecutivo del PSOE l’ala di Caballero e questi si
dimise andando a consolidare la sua posizione di controllo della UGT.
L’alleanza con cui le sinistre andarono alle elezioni fu chiamata, Fronte
Popolare forse perché quel nome suonava suggestivamente battagliero.
Esso fa pensare che i comunisti avessero avuto un ruolo importante nella
formazione della coalizione. In realtà essi ne erano rimasti ai margini come
dimostrava anche il fatto che il PCE aveva aderito al cartello elettorale senza
aver partecipato alla sua elaborazione. Il partito comunista spagnolo,
tuttavia, non era più una forza trascurabile, era guidato dall’Internazionale
attraverso Victorio Codovilla, il quale si era giovato dell’abbandono della
linea settaria e di un ricambio del gruppo dirigente in cui ora emergevano il
segretario Diaz e una leader basca, Dolores Ibarruri, chiamata passionaria,
molto popolare per la sua trascinante oratoria. Ma nonostante la maggiore
capacità del partito ad adeguarsi, sarebbe rimasto periferico nel dibattito
politico che era al centro del paese, se non ve lo avessero attratto Caballero
e la sinistra socialista nel tentativo di precisare la loro stessa identità e
rafforzare le loro posizioni all’interno del PSOE. Caballero aveva una nozione
superficiale di “leninismo”, soviet e bolscevichi: in sostanza era il potere
assoluto del partito e di chi vi era al vertice perciò egli aveva favorito la
penetrazione del PSOE. Verso il PCE egli aveva un atteggiamento di
superiorità protettiva, considerandosi in fondo il vero interprete della linea
comunista in Spagna. Caballero si piegò a Duclos ponendo la condizione
che il PCE fosse associato alla coalizione. Il partito comunista entrava così a
pieno titolo nel gioco politico da cui era restato sempre escluso. Lo slogan
più diffuso della CEDA era “contro la rivoluzione e i suoi complici” che veniva
anche esibito con scritte di luce al neon nei luoghi più in vista delle città. I
media quindi erano usati dalla destra per illustrare gli orrori commessi dai
“rossi” che si sarebbero ripetuti in caso di vittoria del Fronte. Per contro, la
sinistra basò la sua propaganda sulle uccisioni, le persecuzioni e le torture a
cui erano stati sottoposti i responsabili del movimento insurrezionale. Questo
significava non solo la liberazione di circa 15mila uomini che ancora erano in
carcere, ma faceva anche sperare che volesse dire la riammissione al lavoro
di molti che ne erano stati allontanati per rappresaglie. Benché occasionale,
ciò costituì un forte legante dell’alleanza di sinistra e un grande handicap per
i suoi avversari. Robles non sarebbe potuto venire a compromessi visto che
era stato tra i più fermi sostenitori dell’inflessibilità delle punizioni. D’altra
parte, la sua campagna fu concentrata sulla sua persona, sulla sua
intransigenza e sicurezza di battere non l’avversario ma il nemico. Egli si
sentiva forte grazie all’appoggio totale della Chiesa. Robles si rifiutò di
stabilire dei patti che lo impegnassero anche per il futuro post-elettorale con
il Blocco Nazionale di Calvo Sotero. Questi pretendeva di far aderire la CEDA
ad un programma monarchico, di far presiedere il governo (in caso di vittoria)
da un generale, di destituire il presidente, abolire le elezioni e mettere fuori
legge i partiti repubblicani. QUESTO HA FATTO DIRE CHE: “SE LE ELEZIONI
DEL NOVEMBRE 1933 SI TENNERO IN UNA ATMOSFERA DA GUERRA
CIVILE, QUELLE DEL FEBBRAIO 1936 FURONO LA GUERRA CIVILE
STESSA”. La reciproca aggressività si esauriva a livello verbale. I risultati
diedero la maggioranza assoluta al Fronte Popolare, quindi la sconfitta fu
imputata (dalle destre) soprattutto ad Alcalá Zamora. Occorre però rilevare
che nella vecchia coalizione di centro-destra, le posizioni si erano divaricate
perché potesse restare in vita. Era impossibile la coesistenza di uno Zamora
che voleva mantenere integra la Costituzione del 1931, di un Robles che
voleva cambiarla in senso antidemocratico e di un Sotero che pretendeva di
abrogarla in toto. Se questa fu la ragione principale della sconfitta della
destra, gli elementi decisivi del successo del Fronte Popolare furono il voto
degli anarchici che abbandonarono il loro astensionismo e la preferenza
accordata dalla maggior parte del vecchio elettorato radicale ai partiti
moderati della coalizione di sinistra piuttosto che i centristi alleati con la
CEDA. I risultati dei partiti e delle candidature individuali, indicavano che i
maggiori suffragi erano stati raccolti da coloro che più si identificavano con il
programma del Fronte promettendo un ritorno alla Repubblica del primo
biennio. La distribuzione dei seggi fu dovuta anche al fatto che la sinistra
socialista aveva voluto sottolineare la sua distanza dal Fronte esigendo
meno posti nelle liste di quanti ne avrebbe potuti pretendere, mentre Prieto
aveva dato invece più spazio ai candidati repubblicani per rafforzare sul
centro un futuro governo della coalizione. Non sarebbe stato grave se nel
Fronte Popolare fosse prevalsa la guida degli elementi più moderati e se
questi avessero inteso governare tenendo conto del fatto che l’opposizione
rappresentava almeno la metà del paese, a cui la giustizia non suggeriva di
imporre leggi e misure per essa intollerabili. Ma l’area moderna del Fronte
arginava a stento la determinazione e l’aggressività dell’estrema sinistra che
la teneva sotto scacco con la minaccia di rompere l’alleanza. Su tutto poi
dominava la paura la quale faceva sì che al deluso elettorato di destra, la
vittoria del Fronte Popolare apparisse come l’anticamera della rivoluzione.
5.3: Fuoco alle polveri
Il primo ad essere spaventato dalle pressioni di quanti volevano attuare una
controrivoluzione fu Portela Valladares. Il 17 febbraio il primo ministro era
stato tirato giù dal letto da Gil Robles, il quale in vista della vittoria del fronte
lo esortava a dichiarare lo “stato di guerra”. Più pesanti furono gli interventi
del capo di stato maggiore Franco che lo avrebbe sottoposto a continue
sollecitazioni per impedire il passaggio dei poteri che l’esito delle elezioni
rendeva inevitabile. Cosicché Portela presentò a Zamora le sue “dimissionifuga”,
costringendo il capo dello Stato ad affidare il governo ad Azana quale
leader della coalizione vincitrice. L’immediata reazione di paura con cui
l’opinione pubblica di destra accolse la vittoria del Fronte Popolare appare in
gran parte ingiustificata. Alcune chiese furono incendiate ad Alicante, e in
qualche città, in particolare a Oviedo, si aprirono le porte delle prigioni senza
aspettare l’amnistia. Il passaggio di poteri ad Azana portò per qualche
settimana il paese alla normalità. Il governo da lui presieduto e composto da
rappresentanti dei partiti repubblicani, non aveva nessun carattere
rivoluzionario e si proponeva di chiudere la parentesi del biennio negro , con
il ritorno alla riforma agraria, all’autonomia catalana, a norme di maggiore
tutela dei lavoratori, alla laicizzazione della scuola. vi è un cambiamento che
riguardava i rapporti di potere tra le persone ancor prima che tra le classi,
che metteva in discussione le gerarchie, gli atteggiamenti e gli stessi ruoli di
comando e dipendenza. In quel paese in cui molto netta era la differenza tra
chi serviva e chi veniva servito, i lavoratori e le classi subalterne in genere
cominciarono a negare quella differenza, a voler recuperare la loro dignità,
confondendo ruoli e funzioni attraverso atteggiamenti di sfida e rivalsa.
L’insubordinazione lasciava poi il campo a un illegalismo diffuso, ad arbitrarie
pretese e imposizioni, ad attacchi alla proprietà nelle sue “diverse forme”. Il
quel ambiente di violenza mal rattenuta, la violenza, concreta, colpiva di
frequente. In realtà quei “ragazzacci”, socialisti, comunisti, falangisti, erano
tornati a uccidersi tra loro sempre più numerosi e sempre più spesso. Le
vittime dei reciproci attentati si moltiplicavano. Numerose sedi politiche e
sindacali, giornali e anche case private erano oggetto di attentati dinamitardi.
Il 16 giugno in un discorso alle Cortes Gil Robles avrebbe denunciato quello
stato di violenza indicando che in soli quattro mesi, dal giorno delle elezioni,
si erano registrati 269 vittime e 1287 feriti in sconti e attentati politici, e 160
chiese, 69 sedi politiche, 10 redazioni di giornale erano state totalmente
distrutte. Le cifre erano esagerate. La vittoria del fronte popolare aveva
generato un movimento che, come sarebbe avvenuto in Francia, aveva
travolto i limiti del programma elettorale e tendeva a riequilibrare o sovvertire
le gerarchie sociali e i rapporti di potere. In Francia però il movimento si
sarebbe espresso soprattutto in un’ondata di scioperi nelle fabbriche e nei
servizi urbani. Inoltre, a differenza di questo paese, in Spagna mancava una
forza politica capace di riprendere le redini di quel movimento e al tempo
stesso una forza rivoluzionaria capace di indirizzare quel movimento su
obiettivi commisurati allo scopo, senza disperderne le energie. Per cui tutti il
rivoluzionarismo suscitato si sminuzzava in centinaia di episodi di
aggressività. Tutto quel disordine era in gran parte la rivolta spontanea a un
ordine altrettanto odioso per le classi subalterne che dovevano sopportarlo.
Controllare quel movimento non sembrava alla portata di Azana. Lo sforzo
principale fu fatto nelle campagne. Valutando che il maggior fattore di
indebolimento della coalizione repubblicano socialista del primo biennio
fosse stata la lentezza con cui era stata realizzata la riforma agraria, Azana e
il suo ministro dell’agricoltura accelerarono la collocazione di contadini sulla
terra, accettando di fatto molte occupazioni illegali e procedendo a pieno
ritmo a espropri e redistribuzione di grandi e medie proprietà. Questa volte
furono prese numerose misure a favore dei fittavoli, dalla revoca degli sfratti
al calmieramento dei canoni d’affitto. Infatti la rapida applicazione di leggi e
decreti relativi alla riforma agraria “era difficilmente tollerabile dai proprietari,
soprattutto in una anno in cui le piogge avevano danneggiato la metà del
racconto e in cui il semplice mantenimento dei salari del 1933, le
occupazioni, le messe a coltura forzose ecc.. aumentavano i costi di
produzione e livelli insopportabile per i proprietari di tipo medio”.
Il pittore svedese Jovinge nella primavera del 1936 viaggiava in automobile
in Andalusia annotando:” dappertutto nella gentile Spagna del sud […] mi
salutano con il pugno chiuso i mulattieri e gli acquaioli […]”. Ma se egli si
rallegrava a quello spettacolo, altri ne fremevano di rabbia e di paura, e
diventavano disposti a tutto pur di farlo sparire. Nel complesso la politica di
Azana fu un ritorno puro e semplice al primo biennio repubblicano, come se
elezioni del ’33 non avessero insegnato nulla, come se si potesse ignorare
che tutti quei provvedimenti danneggiavano e offendevano gravemente
almeno una metà del paese. Il movimento popolare traeva ispirazione e
incentivo dall’atteggiamento dei socialisti di Caballero: dopo aver inglobato
la piccola CGTU nella UGT, patrocinava la fusione di un nuovo organismo, la
JSU (Juventud Socialista Unificada), delle organizzazioni giovanili del PSOE
e del PCE. Anche verso la CNT moltiplicava le avances in vista di
un’unificazione dei due sindacati, concepita come una sostanziale
assimilazione di quello anarchico da parte della UGT.
Il partito comunista non aveva nessuna intenzione di farsi assorbire, si
proponeva anzi il contrario come di fatto esso riuscì con le organizzazioni
giovanili , dopo che i principali dirigenti della JSU di origine socialista
passarono al PCE, trasformandola in un suo organismo. Di maggiore
problematicità sarebbe stata l’unificazione dei due partiti nazionali poiché
essa avrebbe comportato una rottura del PSOE e forti tensioni anche con
Caballero per subordinarlo alla linea del Comintern. In realtà il PCE non stava
affatto interpretando la politica dei Fronti Popolari in modo adeguato ai fini
che l’Internazionale e Stalin si proponevano. Anziché assumere
atteggiamenti moderati e conciliati verso forze sociali e politiche con cui far
fronte comune contro i pericolosi reazionari e il fascismo, se ne
allontanavano continuando a sostenere “ la necessità dell’abbattimento
rivoluzionario della dominazione della borghesia e l’instaurazione della
dittatura del proletariato nella forma di Soviet”. Dopo l’occupazione hitleriana
della Renania le sollecitazioni a una cambiamento di rotta si fecero incalzanti
da parte del Comintern, di cui Dimitrov e Palmiro Togliatti (segretario del
partito comunista italiano), andavano correggendo il tiro. Se i rapporti tra i
comunisti e Caballero erano ben più problematici di quanto potesse
apparire, ancor più lo erano quelli tra la sinistra socialista e gli anarchici.
Questi dopo la vittoria del fronte popolare, si stavano riprendendo dalla loro
lunga e profonda crisi. Ma con il ritorno progressivo delle libertà e di pubblici
poteri più favorevoli alle rivendicazioni dei lavoratori essa riprese nuova vita.
Dopo aver contribuito alla vittoria del Fronte, CNT e FAI, ricominciarono i loro
attacchi contro la “falsità del sistema parlamentare e democratico” che,
sosteneva il sistema sociale che occorreva distruggere. In tal modo si
trovarono a convergere con la sinistra di Caballero, il quale arriverà in aprile a
proporre la fusione di UGT e CNT. Tuttavia sul piano sindacale si sarebbe
presto ripresentata l’aspra concorrenza che le aveva sempre divise.
Appena insediato a capo del governo a lui avevano guardato con sollievo
pure le destre, fiduciose nella sua capacità di prendere il controllo della
situazione. A tal fine gli prestarono la massima collaborazione, votando nella
Deputazione permanente delle Cortes, l’amnistia e gli altri provvedimenti più
urgenti reclamati dal movimento popolare. Settori socialisti, partiti e
istituzioni ostili alla sinistra volgevano lo sguardo ad Azana, forse perché,
speravano da lui un freno all’avanzata dei rossi. Ma Azana li avrebbe delusi,
non solo perché per compiacerli avrebbe dovuto rompere quel che restava
del Fronte Popolare, ma anche perché lui era stato contagiato dalla voglia di
rivincita, dal gusto di prevaricare l’avversario e comunque di imporglisi senza
mediazioni. Cominciò cosi col consentire una revisione dei risultati elettorali
da parte delle Cortes, le quali attribuirono al Fronte Popolare una più larga
maggioranza. E finì col promuovere la destituzione di Alcalà Zamora dalla
presidenza della repubblica per sostituirlo nella carica.
La costituzione vietava al presidente sciogliere le Cortes prima della fine
della legislatura per più di una volta nel corso del suo mandato, e Zamora lo
aveva fatto. Essa in primo luogo produsse nell’opinione pubblica più
equilibrata non solo il negativo effetto dell’ingratitudine, ma anche la
convinzione che pure Azana fosse pronto a calpestare ogni principio di
equità pur di raggiungere i suo scopi. Tuti sapevano, tuttavia, che il
presidente aveva sciolto per la seconda volta le Cortes per impedire la presa
di potere a Gil Robles e che quello scioglimento era stato la premessa della
loro rivincita. In quel modo Azana tagliava i ponti con il centro, negandosi la
prospettiva di presiedere un governo più moderato. In realtà liberandosi di
Alcala Zamora, Azana pensava di consolidare un quadro di sinistra
moderata, riservando ad essa le due massime cariche dello stato. Il governo
di Prieto avrebbe dovuto riportare ordine nel paese frenando le spinte
rivoluzionarie della sinistra del suo stesso partito. D’altra parte la strada del
governo di Prieto si rivelò impercorribile poiché egli si scontrò con una ferma
ostilità della sinistra caballerista che portò il partito sull’orlo della scissione.
Bloccato dalla grande maggioranza del suo gruppo parlamentare, Prieto non
si sentì di rompere il partito. Per evitare quel trauma, egli non reagì neanche
alle aggressioni contro la sua persona messe in atto in quei mesi da frange
estreme della sinistra caballerista. Così il passaggio di Azana alla presidenza
anziché rafforzare, indebolì la sinistra moderata. Esso ebbe un effetto
immediato per tutto lo schieramento di Fronte Popolare. Tramontata la
soluzione Prieto, il nuovo presidente scelse infatti come primo ministro
Quiroga, contando sulla sua fedeltà personale più che sulle qualità di
governante.
Il governo uscì profondamente indebolito dal passaggio delle consegne e ciò
favorì l’imponente serie di scioperi che gli fece seguito. In gran parte dei
centri urbani UGT e CNT scesero in campo insieme o in concorrenza tra loro
con le più diverse rivendicazioni. In quei tre mesi (aprile, maggio e giugno)
più scioperi che negli interi anni ’32 e ’34 in cui i conflitti di lavoro non erano
mancati. La loro distribuzione fu diseguale: alcune aree come le Asturie e
Catalogna, ne furono quasi risparmiate, mentre altre fecero esperienza di
frequenti scioperi generali e di settore. Le due principali rivendicazioni in
quegli scioperi ( salari più alti e aumento dei posti di lavoro) erano legittime,
ma spesso era impossibile soddisfarle entrambe mantenendosi redditizie.
Invece le due centrali sindacali sovente si facevano concorrenza al rialzo,
trascurando questo aspetto, con il risultato di rendere a volte insostenibile
per i datori di lavoro continuare l’attività.
Per molti dei sindacalisti, anarchici o socialisti, che guidavano gli scioperi,
l’insostenibilità economica delle loro richieste era l’evidente dimostrazione
che il sistema capitalista era incompatibile con condizioni vita degne per i
lavoratori, e che quindi occorreva mandarlo in bancarotta per sostituirlo con
uno più giusto e umano. In questo clima di crescente tensione accadde ciò
che non sarebbe mai dovuto accadere. Il 13 luglio, per vendicare l’omicidio
di un tenente della Guardia de Asalto, il militante socialista Josè Castillo, a
opera di elementi di destra, alcuni suoi commilitoni e compagni di partito si
recavano a prelevare dalla sua abitazione Calvo Sotelo. Poco dopo lo
trucidavano a colpi di pistola. La gravità dell’accaduto consisteva nel fatto
che essa era avvenuta in seguito dell’indisturbato sequestro della vittima
nella sua stessa casa da parte di un gruppo di cui facevano parte ufficiali e
agenti di polizia. L’assassinio di Calvo Sotelo fu comunque solo
l’acceleratore di una risposta reazionaria che era in gestazione da tempo e di
cui le forze politiche della destra non potevano essere le principali artefici.
Tanto Gil Robles che lo stesso Sotelo, non erano in grado di mettersi alla
guida di un movimento che potesse rovesciare il governo e instaurasse un
regime autoritario ricorrendo alla violenza. I giovani dei loro partiti più
impazienti andavano infoltendo le file della Falange, la quale sosteneva
praticamente da sola la battaglia contro il Fronte Popolare e l’estrema
sinistra. Ma la stessa Falange non poteva far molto poiché, priva di José
Antonio, il quale era detenuto insieme alla maggior parte della direzione del
partito, essa aveva pero la mente che avrebbe potuto sottrarla alla pratica
dell’aggressione e della vendetta. Ciò accadde i quanto, prima della
“rivoluzione d’ottobre”, José Antonio era riuscito ad affermare la sua
leadership sul partito e dopo averne estromesso Ledesma ne era divenuto il
Jefe Nacional unico. Nel novembre del ’34 aveva poi reso pubblico il
programma della Falange, ricordato poi sempre come i “27 punti” in cui si
indicavano obiettivi sociali in contrasto con il conservatorismo di destra:
ripudio del “sistema capitalista, che si disinteressa dei bisogni popolari”,
“nazionalizzazione dei servizi bancari”, soppressione dei “latifondi
improduttivi e dei mini fondi antieconomici”, “redistribuzione della terra
coltivabile per istituire la proprietà familiare”.
Ma ci voleva altro perché quel sentito potesse risultare credibile all’elettorato
popolare. Così le elezioni risolte in un disastro poiché il numero dei voti
ottenuti dalla Falange era stato particolarmente esiguo. Sul risultato aveva
certamente influito il timore di disperdere i voti. Tuttavia esso ridimensionava
la pretesa di José Antonio di guidare la forza a cui da tempo gli
schieramento di destra guardava. Si sta parlando dell’esercito. Calvo Sotelo
era stato il primo a riporre in esso ogni speranza eppure Gil Robles l’aveva
vezzeggiato e in più occasioni sondato la sua disponibilità al
pronunciamento. Ai primi di luglio egli arrivò a devolvere tutti i fondi di cui
disponeva la CEDA a sostegno della cospirazione militare. José Antonio
aveva più volte cercato di di condurlo alla prova di forza. Nel giugno del ’35
aveva progettato un’insurrezione militare che partisse da Salamanca e alla
cui testa doveva mettersi Sanjurjo. Nel dicembre successivo provava a
convincere il colonnello Moscardò a marciare su Madrid. In prossimità delle
elezioni scriveva:” se il governo di sinistra […] arriva al potere, tutto
l’esercito, […] seguirà il primo che lanci la consegna della ribellione
nazionale. Tutti i partiti di destra esiteranno e l’esercito non prenderà da sé
l’iniziativa. Potrebbe essere la Falange a farlo”.
Gli uomini delle forze armate che volevano mettere fine al governo delle
sinistre non erano disposti all’improvvisazione, e tanto meno a farsi guidare
un uomo politico come José Antonio. Tuttavia l’esercito non era affatto
compatto, non solo perché esisteva un’associazione di ufficiali di sinistra, la
UMRA (Union Militar Republicana Antifascista) che si opponeva alla UME,
ma perché gli alti comandi erano occupati da uomini legati alla sinistra
repubblicana o comunque contrari ad ogni rottura violenta dell’ordine
costituzionale. Tra le altre, la maggior parte dei membri dell’esercito non
voleva rimanere implicata in un’impresa disperata che avrebbe potuto
facilmente portarla alla rovina. La consapevolezza che un’azione militare
avrebbe comportato sviluppi cruenti e sanguinosi aveva in passato fatto
recedere da tentazioni golpiste. Ma ora molti di essi si sentivano in tale stato
di emergenza, l’arresto del generale Ochoa aveva accresciuto il loro senso di
insicurezza, da dover superare ogni remora e agire con a massima violenza
per potersi garantire il successo. L’uomo più determinato in tal senso era il
generale Mola, il quale era stato amnistiato da Lerroux, reintegrato nel grado
e nominato comandante in capo delle forze militari del Marocco dal capo di
stato maggiore Franco. Ma era rimasto in quella carica Slo per due mesi, in
quanto dopo la vittoria del Fronte Popolare, Azana lo aveva fatto trasferire a
Pamplona come comandante militare della Navarra. Da allora Mola
moltiplicò la sua attività per connettere e far confluire in un unico disegno le
molteplici iniziative golpistiche. Il “Director” aveva chiarissimo che il tempo
del semplice pronunciamento era passato, che bisognava sostenere il golpe
militare con il più vasto appoggio politico e che soprattutto occorreva agire
con la massima inesorabilità per stroncare immediatamente la risposta
dell’avversario. L’adesione delle forze politiche della destra era scontata, ma
a Mola premeva la collaborazione di quale che disponevano di squadre
paramilitari. La Falange in primo luogo, la cui partecipazione José Antonio
negoziava dalla cella della prigione di Alicante in cui era recluso. Dal carcere
aveva diffuso una Lettera ai militari di Spagna in cui proclamava l’entrata in
guerra. Per Mola però era molto importante anche avere i requetes carlisti,
perciò egli intrecciava con Fal Conde, intransigente nel voler imporre il
programma carlista difficili trattative sul futuro assetto politico del paese, e si
accordava infine con il più malleabile conte Tomas de Rodezno, che aveva
sostituito Conde nei colloqui, governo militare, scioglimento dei partiti,
abbandono del sistema liberale. La cospirazione non ebbe grande seguito
tra gli ufficiali superiori. Il Director poteva però contare su numerosi ufficiali
inferiori, soprattutto giovani, molti dei quali non erano decisi nel fargli
opposizione. Per tutti i cospiratori era dunque fondamentale l’adesione di
Franco. I suoi orientamenti di fondo erano noti a tutti e per questo uno dei
primi atti di Azana era stato quello di rimuoverlo da capo di stato maggiore e
inviarlo nelle lontane Canarie. Egli era inoltre dominato da una forte
preoccupazione per un possibile colpo di mano comunista guidato dalla
Terza Internazionale. Già l’8 marzo Fraco si era incontrato con Mola e tutti i
principali generali sediziosi in una casa amica, dove si era convenuto sulla
necessità di attuare un golpe. Molti elementi indicano che in lui allora vi
fossero non solo prudenza e riservatezza, ma anche reale indecisione.
Franco fu poi indotto a ritirare la candidature per la forte opposizione di José
Antonio, il quale sosteneva che la presenza in lista di un generale già da più
parti indicato come possibile artefice di un golpe ne poteva pregiudicare il
successo. Lo stesso Prieto avrebbe detto nel comizio del 1 maggio che tra
gli elementi militari esistono fermenti di sovversione, desideri di sollevarsi
contro il regime repubblicano per quello che rappresenta come speranza in
un prossimo futuro e il generale Franco sarebbe l’uomo ideale per
campeggiare un movimento di questo genere. La strada del golpe era per lui
già irta di pericoli. È possibile dunque che la lettera inviata da Franco il 23
giugno non fosse una dissimulazione dei suoi reali intenti golpisti, ma
l’esplorazione di una strada alternativa per conciliare le sue ambizioni e il suo
desiderio d’ordine e conservazione. Franco rimase riluttante fino all’ultimo,
dato che il 12 luglio inviava a Mola un messaggio in cui dichiarava di ritirarsi
dall’impresa (africa). Poi l’assassinio di Carlo Sotelo produsse su di lui un
enorme effetto e lo fece tornare sui suoi passi. Celebre è rimasta la frase di
Casares Quiroga che l’11 luglio aveva risposto al giornalista che lo avvisava:
“ si sollevano? E io me ne vado a dormire”. I partiti della sinistra non erano
restati gran che turbati per l’uccisione di Sotelo, ne sembravano
preoccuparsi di un’eventuale sollevazione militare. Un moderato come Prieto
il giorno dopo l’assassino del leader monarchico scriveva che la tragica
morte di Sotelo servirebbe a provocare la sollevazione di cui tanto si stava
parlando. Egli prevedeva una battaglia a morte e se ciò fosse accaduto,
starebbe stato preferibile un combattimento definitivo a questo a quel
continuo dissanguamento.
Lo stesso giorno i comunisti lo esasperavano con una proposta di legge
esplosiva, pubblicata dal loro giornale. dal canto suo Caballero restava del
tutto noncurante di quanto poteva avvenire. Ai primi di luglio si era recato a
Londra con una delegazione della UGT per partecipare al congresso della
Federazione Sindacale Internazionale e allarmava il governo britannico e
l’opinione pubblica conservatrice rilasciando una dichiarazione secondo cui
il loro desiderio era quello di aiutare il governo nella realizzazione del suo
programma; lo hanno messo a quel posto sacrificato il loro sangue e la loro
libertà; non credono che riuscirà; e quando fallirà loro lo sostituiranno
realizzando il loro programma.
Tornato in patria restava in attesa della rivoluzione senza alcun timore poiché
a suo parere non si poteva negare che un giorno si sarebbero risvegliati con
una dittatura. Quest’uomo credulo nella forza del socialismo e della classe
operaia forse non percepiva l’intensità dell’odio suscitato in coloro che
danneggiava e minacciava. Coì nella notte tra il 16 e il 17 luglio, inquieti, ma
non abbastanza da restare desti, andarono davvero a dormire mentre il
maggiore Rios Capapè ricevuto l’ordine illegale di marciare per una strada
africana. Era il primo palpito della sollevazione. Nella notte trafitta i regulares
imboccavano il cammino della morte. In un ignoto sentiero marocchino
cominciava la guerra civile. Capitolo 6: Spagna ed Europa, una miscela esplosiva
Quella stessa notte Franco stava navigando con la sua famiglia da Tenerife a
Las Palmas di Grand Canaria in quanto doveva partecipare al funerale del
generale Armando Balmes. Segretamente ,dopo il funerale, egli si reca in un
aeroporto secondario, in cui una volta giunto l’avrebbe atteso un aereo
indirizzato nel Marocco spagnolo. In questo luogo gli ufficiali golpisti si erano
impadroniti delle piazzeforti di Tetuàn, imprigionando il comandante
dell’esercito d’Africa, il quale verrà successivamente fucilato e Franco
prenderà il suo posto.
Questo evento entusiasma i più preoccupati tra coloro i quali si erano già
esposti, infatti Mola ed altri generali cospiratori avevano assolutamente
bisogno di questo successo poiché sulla penisola il golpe stava fallendo:
paese e lo stato si stavano sgretolando, scomponendosi in una serie di
sovranità. Nonostante ciò il governo repubblicano avrebbe avuto il tempo di
riorganizzarsi.
Nei piani di Mola la conquista di Madrid equivaleva alla vittoria (come
successivamente sarà per Franco). Ma la capitale era un obbiettivo difficile
da raggiungere per diverse motivazioni, in primo luogo poiché era presidiata
da contingenti di forze armate e di polizia agli ordini dei comandanti non
implicati nella cospirazione. Infatti per i promotori dell’alzamiento (nome con
cui essi cominciarono a definire la loro insurrezione) l’unica possibilità di
imporsi nella capitale stava nell’approfittare del disordine causato da rivolte.
La risposta dei governi repubblicani al golpe non si basava solo nel bloccarlo
e a circoscriverne l’estensione, bensì anche a trovare una possibilità di
conciliazione con gli insorti. A questo fine Azaña, la sera del 18, aveva
affidato il governo a Barrio il quale si era messo in contatto con Mola
invitandolo alla pacificazione sulla base di un programma di compromesso
che prevedeva la costituzione di un governo di unità nazionale. Mola aveva
nettamente rifiutato. Intanto, mentre ogni tentativo di conciliazione falliva,
socialisti, comunisti e anarchici reclamavano la distribuzione di armi al
popolo, ma Casares e Barrio si erano rifiutati in quanto la forza di quelle armi
avrebbe fatto prevalere gli intenti dell’estrema sinistra nel governo della
repubblica (e quindi l’influenza della forza operaia). Ogni speranza di
compromesso venne meno e respingere la richiesta lo fu allo stesso modo,
anche perché i quadri dell’esercito non avevano aderito alla rivolta,
rimanendo così restii a scontrarsi in campo aperto con i loro compagni e
quindi privi di iniziative nel prevenire tentativi insurrezionali nella capitale,
così, José Giral consente la consegna delle armi. Questi ultimi avevano
mancato tutti i loro obiettivi a parte il generale Garcìa il quale era riuscito
parzialmente a mettersi alla testa di un reggimento di fanteria di stanza a
Carabanchel , ma invano i commilitoni situati nella Montaña attesero il suo
intervento, perché nella notte del 19 egli restò vittima di una controinsurrezione
scoppiata tra le truppe che comandava, motivo per cui la
resistenza della Montaña non sostenne l’assedio della Guardia Civil e dei
gruppi di civili armati, soprattutto quando si aggiunsero i bombardamenti di
artiglieria e aviazione. Fanjul si arrese e giustiziato ma peggior sorte toccò a
molti dei suoi compagni di avventura in quanto la folla degli assediati si
vendicò delle molte perdite e caduta la Montaña i circoscritti fuochi di
resistenza degli insorti furono dominati in poche ore.
l’incerta condotta dei cospiratori madrileni è la dimostrazione non solo di
quanto il golpe stesso fosse stato improvvisato, ma anche di come il
“Director” si fosse reso conto di come le possibilità di conquistare Madrid
dall’interno fossero scarse, motivo per cui puntò sulla convergenza di corpi
dell’esercito da ogni parte della penisola. Quindi, nella quasi totalità dell’area
nord-ovest, l’alzamiento era riuscito: Mola si era impadronito della Navarra,
con Saragozza i militari ribelli controllavano il più importante nodo viario sulla
strada tra Madrid e Barcellona, la Galizia restò in potere degli insorti, a
Valladolid i socialisti arroccati nella Casa del Popolo avevano resistito per un
giorno ma a Burgos e a Salamanca la sollevazione militare aveva goduto
anche dell’appoggio popolare. Con il controllo di Avila e Segovia le truppe
dei ribelli erano a circa 70 km da Madrid ma era molto difficile prendere la
capitale solo da nord soprattutto dopo che il governo repubblicano sbarrava
la strada Madrid-Saragozza.
Nella prospettiva di una guerra di lunga durata gli esiti dell’alzamiento furono
per i sui promotori ancora peggiori, poiché i repubblicani mantennero sotto il
loro controllo tutte le regioni della costa mediterranea (con Barcellona e
Malaga, oltre Valencia e Cartagena) salvo un breve segmento intorno a a
Algeciras. Inoltre anche la quasi totalità della Costa Cantabrica era rimasta
parte del governo. Ciò portò a mantenere, grazie al possesso dei porti,
intatta la rete dei commerci internazionali con la rispettiva possibilità di
approvvigionarsi all’estero e di procurarsi divisa, crescendo la supremazia,
già enorme, finanziaria del governo.
Un’altra dimostrazione della scarsa determinazione e organizzazione politica
dei cospiratori fu il fallimento della conquista delle due città chiave:
Barcellona e Bilbao. Anche nel capoluogo catalano capitò una simile
situazione, quando il capo della guarnigione Goded volò da Maiorca a
Barcellona, quando la situazione era già compromessa, non potè far altroché
rinserrarsi nel palazzo della Capitanìa General, costretto ad una rapida resa. I
cospiratori avevano dalla loro parte l’adesione del corpo ufficiali più forte e
così credettero che sarebbe bastato fare uscire le truppe dalle caserme
barcellonesi per occupare i punti chiave della città per appunto ottenere la
vittoria quasi senza ferire. Ma la loro azione era attesa cosicchè alla prima
sortita, fu mandata l’allarme in tutta la città e i militanti anarchici sollevarono
le barricate, bloccando l’avanzata delle colonne militari. Anche il governo
della Generalitat aveva predisposto le difese e quindi non solo presidiarono
gli obiettivi dei ribelli ma si concentrarono in alcuni nodi viari della città
opponendo loro un fuoco preciso. Inoltre una compagnia di Asaltos, in
soccorso delle barricate popolari, riuscì ad avere la meglio su una colonna di
reggimento di artiglieria di Montagna, impedendo che i militari insorti
potessero disporre del fuoco dei cannoni contro barricate ed edifici pubblici.
Attraverso le gallerie delle metropolitano le forze agli ordini della Generalitat
irruppero nella Plaza de Catalunya occupata da alcune colonne militari
costringendole ad arroccarsi sulla difensiva. La mattina del 20 l’aeronautica
fu l’unico corpo militare che intervenne per sventare il golpe e dopo una dura
resistenza la caserma di Atarazanas si arrese. Con la presa delle caserme gli
anarchici ebbero la possibilità di armarsi e di rivendicare tutti il merito della
vittoria sui facciosos (militari ribelli e i loro complici). Si pensa che un’altra
motivazione del raggiungimento dell’obiettivo fosse stato l’intervento dei
corpi di polizia, ma il contributo degli anarchici era stato comunque
essenziale. In aggiunta il contributo dei miliziani anarchici era stato più
importante a Barcellona, ma se a qui furono le esitazioni e le sottovalutazioni
nei confronti degli avversari, a Bilbao fu soprattutto la loro rigidità a far si
che il golpe non si tentasse neppure. Anch’essi sapevano che per una
minima possibilità di successo occorreva un support da parte del popolo ma
a Bilbao, parte della popolazione basca, ed in particolare le classi medie,
erano respinte nel campo opposto cui aderivano i settori sociali ad esse
affini del resto della penisola. Sebbene i nazionalisti baschi avessero
osteggiato il Fronte Popolare, il governo Azaña e quello successivo di
Casares avviarono un rapido iter legislativo per la concessione dello Statuto
di autonomia al Pese Basco che al momento del golpe era giunto quasi a
conclusione. Al contrario l’opposizione della destra all’autonomia dei baschi
restò durissima, infatti questa inflessibilità aveva impedito ai militari insorti di
offrire alcunché alle aspirazioni autonomistiche dei conservatori baschi. Con
la conseguenza di rendere impossibile una loro adesione all’alzamiento, e
non solo di perdere Bilbao, ma di spingere gran parte di Euskadi a
un’alleanza innaturale con la Spagna del Fronte Popolare. Il comandante
della piazza, Aranda, giocando d’astuzia fece credere di essere leale alla
Repubblica e indusse le forze popolari e i minatori accorsi in città per
presiederla, a muoversi in soccorso per Madrid. È stato proprio in questo
modo che riuscì ad impadronirsi della città, con l’aiuto della Guardia Civil.
Ma in concreto egli sarebbe stato di poco aiuto agli insorti poiché Oviedo fu
circondata dai minatori in armi e altri contingenti repubblicani, che lo
costrinsero a sostenere un lungo assedio.
Di grande importanza fu invece per i ribelli il successo dell’alzamiento a
Sivilla che portò ad un controllo di gran parte dell’ Andalusia. L’artefice di
tutto ciò fu il generale Queipo de Llano, allora ispettore generale del corpo
dei Carabineros, carica che gli consentiva liberi spostamenti in tutta la
penisola. La mattina del 18 il generale era partito da Madrid per Sivilla, dove
appena giunto si era recato al comando della II Divisone, al cui comando vi
era il generale Fernandez de Villabrille fedele alla Repubblica. Dopo aver
ricevuto un rifiuto alle sue proposte di insurrezione, mise agli arresti tutti i
contrariati e assunse il comando contando sulla collaborazione attiva di
diversi ufficiali di grado inferiore. Egli ripetè l’operazione nelle due caserme di
fanteria e cavalleria di stanza del capoluogo. Grazie all’appoggio della
Guardia Civil egli si prestò ad affrontare la resistenza popolare dei quartieri
periferici, della Macarena, Triana, San Bernardo dove si erano alzate le
barricate. In suo soccorso venne un piccolo contingente di legionari e
regulares che da Ceuta avevano raggiunto Cadice, per questa ragione le
barricate popolari non resistettero allo scontro e il 25 era tutto finito. Quiepo
aveva sotto il suo potere Sivilla e avanzava verso Huelva, Cordova e
Granada. Inoltre solo un braccio di mare separava l’esercito d’Africa
dall’Andalusia e quindi un veloce passaggio di quelle truppe avrebbe
ribaltato completamente una situazione poiché i difensori della Repubblica,
disponevano di forze sufficienti per tener testa a ribelli sulla penisola.
Tuttavia se l’esercito d’Africa avrebbe dato agli insorti una netta superiorità
militare, giocò presto in favore della Repubblica il fatto che gran parte della
marina, rimase sotto il suo controllo. Grazie all’ammutinamento degli
equipaggi, il governo repubblicano infatti poteva disporre di una serie di
privilegi nell’ambito delle armi, differentemente dai nacionales con
equipaggio dimezzato. Ciò consentiva alla flotta repubblicana di realizzare un
blocco nello stretto di Gibilterra e nel mare circostante immobilizzando le
truppe di Franco sulla costa africana. Nell’insieme non vi erano rilevanti
dislivelli di forze e la partita sembrava doversi giocare in base alle diverse
capacità strategiche e alle diverse possibilità di ricevere armamenti
dell’esterno. Il potere statale dello Stato Repubblicano, inoltre, si era
completamente sgretolato in frammenti politico-territoriali retti da comitati di
governo che agivano indipendentemente l’uno dall’altro ed in assoluta
autonomi dal governo centrale: in Catalogna Company aveva creato un
Comitato centrale delle Milizie Antifasciste, a San Sebastian si costituì una
Punta de Defensa de Guipùzcoa, cui partecipavano anarchici, comunisti e
PNV, che si assunse il compito di allestirete difese contro le truppe navarresi,
Bilbao invece rimase sotto il controllo del gobernador civil che però trasferì i
suoi poteri ad un comitato di Difesa guidato dai nazionalisti baschi.
Consigli, comitati, juntas sorsero in ogni dove.
La polverizzazione del potere era la risposta al golpe, infatti tutti gli stati
agivano indipendentemente gli uni dagli altri, come se dovessero sostenere
da soli l’assedio di ‘fascisti’ o impedirne il passaggio. L’evento chiave di tutto
fu proprio il fatto che il popolo era stato armato ed esso aveva lo strumento
per opporre un potere alternativo, rivoluzionario allo stato democratico e che
in qualche modo avesse indebolito l’esercito.

2. Il potere delle armi


A quattro mesi da quei giorni, nel Novembre, un reparto avanzato di
regulares penetrava nella piazza della Moncloa nel pieno centro della
capitale, mentre le altre truppe di Franco portavano il fronte fin dentro la città
universitaria causando scontri sanguinosissimi. Ma Madrid restava in grade
pericolo, quei quattro mesi erano stati disastrosi per la Repubblica: In primo
luogo perché l’esercito d’Africa era riuscito a varcare lo stretto rafforzando
così la parte nazionalista, grazie all’intervento della Germania e dell’Italia le
quali misero a disposizione un numero di aerei sufficienti a realizzare il
trasbordo e avevano dotato l’esercito di Franco di una buona quantità di
armamenti. Ciò causò la creazione del punto focale dei conflitti europei di
interessi e ideologie. La guerra civile a cui quell’intervento da corso è infatti
ben diversa da quella precedente (tra i Pirenei e Gibilterra) poiché i rapporti
di forza militare sono nettamente cambiati, ma anche perché andrà
cambiando la caratterizzazione politica dei due avversari (a cominciare dalla
parte nazionalista che andrà assumendo una fisionomia sempre più fascista).
Denominatore comune degli insorti era, quindi, l’avversione per il Fronte
Popolare e la paura di un movimento rivoluzionario come quello dell’ottobre
guidato da Caballero. I bandi dei generali sollevati ( da Gabanellas a Queipo,
a Goded a Fanjul) esaltavano la repubblica, mentre solo in Navarra si
inneggiava al re, il pretendente carlista il quale celebrava i valori liberalrepubblicani
di fraternità, liberà e eguaglianza (in nessun bando vi era
riferimento al fascismo). Naturalmente l’orientamento ideologico-politico
principale delle forze che sostenevano il golpe era più vicino alle potenze
fasciste. Pero Franco non lasciava prevalere gli orientamenti ideologici sulle
considerazioni geopolitiche, e avrebbe certamente preferito non dover far
appello a Germania e Italia, risolvere le questioni interne senza allontanarsi
così nettamente dalla posizione d’equilibrio occupata in precedenza dalla
Spagna sulla scena internazionale. Ma la situazione venutasi a creare non gli
lasciava scelta, perciò la sera del 25 Luglio furono ricevuti i suoi inviati
presso il Fuhrer, il quale li ricevette a Bayreuth in casa del figlio di Wagner,
dopocena alla presenza di Goring e del ministro della guerra Blomberg,
prese a decisione di prestare aiuto a Franco accordandogli un quantitativo di
armamenti superiore a quello richiesto. L’isolamento e l’indebolimento della
Francia erano i primi obiettivi della strategia di Hitler: perciò mentre da una
parte bisognava evitare che essa si irrobustisse attraverso il legame con la
Spagna e con l’URSS, dall’altra parte bisognava favorire un cambiamento
del regime nel paese iberico, lasciando la nemica del confine occidentale
quasi accerchiata e sempre più dipendente dall’Inghilterra a lasciarsi
coinvolgere in avventure belliche nel continente.
D’altro canto Hitler era convinto che Blum stesse per concedere le forniture
militari che Giral gli aveva richiesto e per questo occorreva ribattere
immediatamente, impedendo che i suoi aiuti potessero determinare la vittoria
del governo repubblicano e mettere in qualche modo la Francia difronte ad
una nuova Renania. L’azione fu compiuta all’insaputa della diplomazia e
dello stesso ministro degli esteri Neurath, ma inaugurava una politica
diversa, aggressiva ed espansiva. Il Fuhrer unì motivazioni strategiche a
ragioni ideologiche: difesa contro il bolscevismo. Ma inizialmente dovette
prevalere l’intento di mettere la Francia in una situazione di sfida che
l’avrebbe portata a gravi difficoltà negli equilibri interni ed esteri.
L’intervento di Mussolini fu deciso successivamente a quello di Hitler e le
ragioni di entrambi sembravano coincidere. Ma quelli del Duce riguardavano
in maniera particolare l’ambito mediterraneo dell’Italia. Inoltre, il suo obiettivo
era quello di saldare un fermo rapporto d’amicizia con la Spagna,
contribuendo all’instaurazione di un nuovo regime simile a quello fascista.
Ciò si può evincere già dal Marzo 1934 quando egli si era impegnato ad
appoggiare il tentativo dei monarchi spagnoli di abbattere la repubblica.
Tuttavia da parte italiana si perseguiva l’obiettivo che il futuro governo
monarchico rescindesse un eventuale trattato “segreto” franco-spagnolo,
che si temeva prevedesse il passaggio delle truppe coloniali francesi del
Nord Africa. Questa preoccupazione sarà in realtà eccessiva, non solo
perché non esisteva alcun patto, ma anche perché i due paesi si erano
sviluppati nel senso di un tale accordo. I timori italiani non avevano
comunque alcun carattere difensivo, perché nel Luglio 1936 Mussolini e i
suoi uomini erano consapevoli che solo l’Italia avrebbe potuto promuovere
un sovvertimento dell’ordine mediterraneo attraverso la guerra. Mussolini, a
differenza di Hitler, potè prendere la decisione di soccorrere Franco nella
piena consapevolezza che la Francia non aveva ancora inviato gli aiuti. Il
giorno precedente essi avevano potuto prendere visione di una nota del
ministro francese degli Esteri, il quale aveva notificato a tutte le missioni
diplomatiche del suo paese la proibizione di qualsiasi consegna di materiali
destinati alla Spagna. L’iniziale risoluzione di Blum di vendere ai repubblicani
spagnoli un certo numero di caccia e bombardieri si era scontrata con una
dura opposizione si dentro che fuori il governo. La notizia delle intese
intercorse per la fornitura aveva determinato una profonda spaccature tra le
forze politiche e l’opinione pubblica francesi, motivo per cui si accusava il
governo di trascinare il paese verso un conflitto con la Germania e di
provocare una guerra civile nella stessa Francia. Le divisioni nel paese
avevano una corrispondenza nell’amministrazione dello stato e all’interno del
governo: mentre i funzionari del ministero dell’Aeronautica cercavano di
accelerare l’invio degli aerei, quelli del ministero degli Esteri erano contrari e
ne sabotavano l’attuazione. All’interno del governo, Daladier, si orientava per
il rifiuto degli aiuti e Blum subiva anche le pressioni dai presidenti di Camera
e Senato, dallo stesso presidente della repubblica , Lebrun, perché
desistesse dai suoi propositi. Al suo argomento ( l’assoluta necessità di
evitare che si installasse alla frontiera meridionale un regime ostile alla
Francia) si replicava che proprio la più stretta neutralità le avrebbe garantito
che chiunque avesse vinto in Spagna non le sarebbe poi stato nemico. Così
il 25 luglio il governo adottò la decisione di rinunciare a qualsiasi invio di
armi al governo spagnolo. Anche solo il fatto che Blum avesse preso in
considerazione l’opportunità di accogliere la richiesta dei repubblicani
spagnoli era bastato per fornire quel pretesto agli uomini del Terzo Reich. La
fonte di Cerruti era l’ambasciatore britannico a Berlino, Eric Phipps, e le
opinioni facevano parte di una campagna diretta a staccare l’Inghilterra dalla
tradizionale alleanza con la Francia, la quale in effetti si trovava di fronte a
potenziali aggressori in uno stato di estrema debolezza cui poteva ovviare
soltanto tenendo soldo il legame con l’Inghilterra . Per mala sorte o per
l’imperizia dei piloti italiani la Francia non potesse fingere di ignorare
l’intervento di Mussolini e tre dei dodici aerei decollati non giunsero a
destinazione. Poco dopo i governanti francesi erano già al corrente degli
aiuti tedeschi a Franco cosi che sotto la pressione dei socialisti e dei
comunisti Blum fu obbligato a dichiarare che il governo stesse riassumendo
la sua libertà d’azione riguardo agli aiuti alla Repubblica spagnola. Quella
povera fornitura restò isolata poiché già lo stesso giorno 7 il governo
innovava il divieto di esportare armi in Spagna, finché Blum e Delbos
cercarono di liberarsi dall’assedio e risolvere la loro contraddizioni. Dettero
corso ad un’iniziativa diplomatica e il 15 agosto il governo francese, si
impegnava a porre l’embargo sulle esportazioni di qualsiasi materiale bellico
verso la Spagna e proponeva a tutti i paesi di seguire l’esempio. L’iniziativa
era tardiva in quanto quel giorno Junkers tedeschi carichi di legionari e
regulares stavano facendo la spola tra Marocco e Andalusia, e non
avrebbero cessato di farla. E così il danno più grave per la Repubblica
spagnola sera già prodotto in quanto essa si trovava ad affrontare una guerra
civile in netto svantaggio militare. Inoltre la condotta di Italia e Germania non
lasciava sperare che esse non avrebbero continuato a inviare a franco ogni
tipo d’armamenti. Tuttavia al governo francese restava il piccolo margine di
probabilità che il “ non-intervento” venisse rispettato, per poter aiutare la
Spagna repubblicana. Fin dall’inizio della guerra civile la Gran Bretagna
tenne verso la repubblica spagnola un atteggiamento di “neutralità malevola”
Di fronte all’alzamento quest’ultima assunse una posizione di apparente
equidistanza tra i contendenti che fin dall’origine mascondeva, e presto
avrebbe tradito, un sostegno alla causa dei nazionalisti. Il 29 luglio il
Consiglio dei Ministri deliberò di “ negare le forniture adducendo la nostra
necessità di disporre di tutta la produzione nazionale”. vi erano anche ragioni
strategiche a orientare la politica “spagnola” del governo britannico. Per
evitare grandi difficoltà ai collegamenti dell’Inghilterra con le sue colonie
africane e orientali occorreva mantenere buoni rapporti con la Spagna
poiché dai suoi porti potevano provenire serie minacce sulle rotte
mediterranee e atlantiche. In realtà la ragione di fondo della politica
falsamente neutrale dei conservatori inglesi era la forte avversione che essi
provavano per la repubblica spagnola, che consideravano già in mano ai
comunisti e ai sovietici o inevitabilmente destinata a cadervi. Ad affermarlo
pubblicamente fu proprio Winston Churchill il quale scriveva che il golpe
militare in Spagna era la risposta alla strategia comunista di impadronirsi del
potere dopo aver appoggiato “governi costituzionali deboli, radicali o
socialisti”. Due ragioni impedivano al governo britannico di assumere
apertamente queste posizioni: da un lato il fatto che all’interno del paese
esso doveva confrontarsi con una quota consistente dell’opinione pubblica,
che sosteneva la Spagna repubblicana e che non era utile sfidare con una
politica contraria; d’altro lato il legame con la Francia che restava un
importante alleato sul continente e il cui governo di Fronte Popolare non era
il caso di mettere in difficoltà con un atteggiamento sulla questione spagnola
troppo divergente dal suo. Ma nei fatti l’Inghilterra favorì fin dal principio
della guerra civile la parte nazionalista in modo appena velato dall’adesione
al “non-intervento”. L’importanza di questo aiuto verra riconosciuta dal
monarchico Sainz Rodriguez, futuro ministro dell’Educazione nel primo
governo di Franco, il quale scriverà che la ragione fondamentale per cui
hanno vinto la guerra fu l’atteggiamento diplomatico dell’Inghilterra, la quale
si oppose ad un intervento in Spagna ( a sostegno della repubblica). I timori
dei conservatori inglesi erano infondati poiché erano perfettamente informati
che l’Unione Sovietica non aveva nulla a che vedere con gli eventi spagnoli.
Del resto anche tedeschi e italiani sapeva che gli avvenimenti spagnoli
mettevano i sovietici in serio impaccio. In realtà un rivoluzione in Spagna
suscitata dall’unione sovietica avrebbe mandato in fumo tutta la sua politica
della “sicurezza collettiva” e dei “fronti popolari”, lasciandola isolata e ancora
più esposta ad un possibile attacco tedesco. Per questo le autorità
sovietiche avrebbero tardato ad assumere una chiara linea di condotta,
limitandosi a promuovere alcune manifestazioni di “solidarietà del popolo
sovietico con il popolo spagnolo”. Ma nell’immediato, a orientare la condotta
di Inghilterra e Francia era ciò che effettivamente stava avvenendo nella
Spagna Repubblicana. Lo svuotamento del potere statale, la disperazione
delle autorità di governo, le iniziative rivoluzionarie avviate da anarchici e
socialisti in gran parte del territorio controllato dalla repubblica. I governanti
della Repubblica non avrebbero cessato di denunciare per tutto il corso della
guerra la condotta anglo-francese come grave omissione di soccorso. Non
era possibile che il governo conservatore inglese, il quale non era disposto a
correre rischi di guerra per difendere la democrazia di nessun paese
straniero, sostenesse la Spagna repubblicana il cui sistema democratico era
gravemente compromesso. Il rafforzamento di Italia e Germania attraverso il
possibile successo dei nazionalisti spagnoli gli appariva il male minore
rispetto al pericolo che nella penisola iberica si instaurasse un regime
rivoluzionario che avrebbe minacciato i suoi cospicui interessi economici,
che avrebbe potuto contagiare la Francia e avrebbe finito per gravitare
nell’orbita sovietica. La Francia aveva un interesse nazionale più diretto nel
voler evitare che la Spagna cadesse in mano a un potenziale alleato della
Germania nazista. Del resto non si trattava solo di rischiare una guerra con la
Germania e l’Italia.

6.3 Chi salverà Madrid?


A partire dal 2 agosto, mentre Queipo si dedicava a estendere il suo
controllo sull’Andalusia, le truppe di Franco cominciarono a risalire verso
Madrid attraverso la strada più ad occidente. Le principali ragioni di questa
scelta furono che essa consentiva un rapido congiungimento con le truppe
di Mola e il fatto che, correndo per grand parte lungo il confine con il
Portogallo, dove Salazar sosteneva i golpisti spagnoli, lasciava solo un
fianco scoperto a possibili attacchi tesi a impedire l’avanzata. Il percorso
scelto e il tempo impiegato a “pacificare” la regione, rallentando la marcia,
ritardarono il raggiungimento della meta. Ma la strada corta era
effettivamente più prossima ad alcune località (Valencia e Cartagena) in cui
erano concentrati contingenti militari repubblicani e quindi più esposta ad
attacchi. È probabile che con un colpo di audacia Franco avrebbe potuto
piombare su Madrid lungo la via più breve prima che il governo della
Repubblica fosse in grado preparare una difesa solida su quel lato
meridionale privo di difese naturali. La condotta militare di Franco era
concepita secondo il modello della reconquista (il processo plurisecolare
attraverso il quale i regni cristiani avevano via via estromesso i moros dalla
penisola) in un paese considerato come teatro delle operazioni con cui
sconfiggere il nemico, ma anche un territorio da riannetterei rigenerare al
passaggio degli eserciti. Seguirono crudelissimi massacri poiché le forze
repubblicane che vi erano asserragliate potevano stento resistere ma non
attaccare. L’intento preminente di Franco era invece quello di rendere
omogeneamente “risanato” il territorio sotto il suo controllo. Allo stesso
obiettivo politico dovette rispondere un’altre deviazione dalla strada di
Madrid, poichè nell’Alcazar si erano asserragliati alcuni cadetti, guardias
civiles ed esponenti della destra cittadina con le loro famiglie, sotto il
comando del colonnello Moscardò. La resistenza degli assediati e l’eroica
risolutezza di Moscardò ,costituirono il primo importante successo della
propaganda nazionalista in Spagna e nel mondo. A questo punto Moscardò
pur di non arrendersi, riuscì ad attrarre grande attenzione e favore di
opinione pubblica sugli assediati e la loro causa, cosicché il loro liberatore
avrebbe accresciuto il suo prestigio e la sua autorità. Ovviamente Franco
non perdette l’occasione e la morte di Sanjurjo il 20 luglio in un incidente
areo aveva già spianato la strada a una sua possibile ascesa . I repubblicani
avevano accentuato gli attacchi alla fortezza minandone in più puntile mura
attraverso gallerie sotterranee e Franco ordinò al grosso delle sue truppe,
guidate da Varela, di deviare su Toledo. Due giorni dopo, la Junta de
Defensa, che già lo aveva designato Generalisimo (comandante supremo
dell’esercito), lo nominava “ capo del governo dello Stato” facendogli
assumere, così, i due massimi poteri, militare e politico, Franco inaugurava la
sua dittatura. Franco, inizia ad essere chiamato dai suoi Caudillo
(condottiero, duce) e quel breve ritardo consentì alla Repubblica di
predisporre meglio la difesa della capitale. Il Governo Giral ai primi di
settembre viene sostituito da un governo presieduto da Largo Caballero, di
cui facevano parte tutti i partiti del Fronte Popolare, compresi i comunisti,
proprio perché potesse ricostituire sotto un unico comando la forza armata
capace di fermare gli attaccanti. A questo scopo il leader socialista aveva
nominato comandante delle operazioni nella zona centromeridionale il
generale Torrado. Ma per quanto questi si ingegnasse per bloccare la marcia
degli avversari, non poteva farcela contro le truppe legionarie. La loro
condotta di battaglia era spesso contraria alle “regole militari più elementari”.
Erano soprattutto gli anarchici i principali sostenitori della necessità
valorizzare i miliziani poiché ostili all’esercito, alla sua disciplina e alle sue
gerarchie. Inoltre a rendere difficile la ricostruzione di un vero esercito non
c’era solo l’insofferenza degli anarchici ma anche le virtù combattive del
popolo che si riteneva potesse affrontare con uguale successo la guerra sui
fronti. Motivo per cui oltre gli anarchici, tutti i partiti e i sindacati
organizzarono delle proprie milizie: caserme e scuole si trasformarono in
punti di arruolamento dei volontari. Tra questi vi fu lo stesso George Orwell
che combatté volontario in una colonna del POUM sul fronte dell’Aragona,
lasciandone una viva testimonianza nel suo “Omaggio alla Catalogna”.
Anche i comunisti avevano formato una propria milizia, il Quinto Reggimento,
al cui capo vi era Juan Modesto, comandante nazionale delle Milicias
Antifascistas. Egli era affiancato, sul modello dell’armata rossa sovietica,
dall’italiano Vittorio Vidali. Differentemente dalle altre tipologie di esercito che
si erano venute a formare, quella comunista era regolare a tutti gli effetti:
perfetta disciplina e scala di comandi, istruzione militare ecc.. per questa
ragione il Pce avrebbe voluto dare alla milizia comunista un’opportunità ma
Dimitrov non era d’accordo, a suo parere era necessario creare un esercito
popolare repubblicano e attrarvi tutti gli ufficiali e i generali rimasti fedeli alla
repubblica. In questa fase l’indicazione di Dimitrv era “esercito e milizie” ma
presto sarebbe divenuta “esercito anziché milizie”. Ma la necessità di
fronteggiare un esercito regolare bene addestrato ed equipaggiato come
quello di Franco con una forza armata dalle stesse caratteristiche, fu la
motivazione per cui si dette vita ad un esercito dotato di tutta l’efficienza
possibile. In quell’estate del 1936 il Partito Comunista spagnolo non avrebbe
potuto imporre alcuna sua politica, vista l’esiguità delle sue forze. Neppure a
proposito dell’urgente riorganizzazione dell’esercito, poiché non solo gli
anarchici ma anche Caballero continuavano a opporvisi. La situazione andar
precipitando: alle già limitate capacità di difesa delle forze repubblicane si
andava aggiungendo un’inferiorità di armamenti. Nonostante l’adesione al
“non-intervento” le potenze fasciste avevano infatti continuato per tutti il
mese di settembre a mandare armi a Franco.
L’Unione Sovietica decise di fornire alla repubblica aiuti militari per far fronte
all’offensiva nazionalista: oltre al materiale bellico vi si aggiunsero piloti,
consiglieri militari e istruttori capaci di addestrare gli spagnoli all’uso
strategico e pratico dei mezzi forniti. Ma ciò fu la forma più concreta e
compromettente del suo intervento. Il 24 agosto essa aveva aderito al “nonintervento”,
prima di Germania e Italia e il 7 settembre una lettera a Stalin,
Litvinov ribadiva la necessità di concludere un “patto generale” con tutti i
paesi interessati a dissuadere la Germania nel proseguire nella sua politica
aggressiva, e il 28 riprendeva l’idea in un pubblico discorso a Ginevra. Per
favorire tale politica (che Stalin approvava) il Comintern aveva raccomandato
ai comunisti spagnoli di impedire che Largo Caballero sostituisse Giral alla
testa del governo e di non entrarvi a farvi parte. A tal fine si era pensato di
mandare nuovamente Duclos per persuadere il vecchio leader socialista.
Largo era riuscito ad ottenere di formare un governo con tutti i partiti del
Fronte Popolare, riservando per sé anche il ministro della Guerra e per altri
due socialisti ( Vayo e Negrin). Anche i comunisti avevano dovuto
parteciparvi.
Stalin ed il suo gruppo dirigente si erano dovuti adattare e di lì a poco si
sarebbero adoperati per impedire che il nuovo governo desse libero corso ad
un processo rivoluzionario che rischiava di indebolire la Repubblica nel suo
sforzo per vincere la guerra e di volgere verso di essa l’atteggiamento di
Francia e Inghilterra.
Gli altri militari inviati dalla repubblica spagnola contraddicevano la politica
adoperata dall’URSS a tal punto da essere percepiti come una svolta e una
sgradevole sorpresa da parte delle potenze occidentali.
Il 26 ottobre, ad esempio, il segretario generale del ministero degli esteri
francese, Leger, osservava di essere rimasto sconcertato per l’improvviso
mutamento della politica russa. Ma non intervenire, avrebbe comportato la
sicura perdita di Madrid e della repubblica. Ciò avrebbe significato che a sud
della Francia si sarebbe installato un regime legato alle potenze fasciste.
insomma, finché restava la possibilità di un’alleanza militare con i francesi
era molto importante per la Russia che essi non si indebolissero. Perciò
anche se la “sicurezza collettiva continuò ad essere perseguita e occorreva
tenere vivo il pericolo dell’aggressività tedesca per sperare in un
ripensamento francese, non poteva essere questa l’unica né la più forte
motivazione dell’intervento sovietico.
In realtà i timori per la propria sopravvivenza le consigliavano di rinvigorire e
ampliare le forze che nell’occidente democratico credevano nell’URSS e che
la ritenevano un’alleata indispensabile per lottare contro il fascismo. Lo
sforzo di mobilitazione che l’URSS attuò parallelamente al suo impegno negli
aiuti militari aveva allora il duplice obiettivo di sostenere la Spagna
repubblicana e al tempo stesso di suscitare nell’opinione pubblica
occidentale una nuova disposizione d’animo favorevole al paese dei Soviet.
essa, a questo fine, attivò una molteplicità di organismi (comitato mondiale
per la pace e contro il fascismo ad esempio), già nati prima della guerra civile
per favorire iniziative antifasciste complementari alla politica di Fronte
Popolare.
Ma forse la ragione più forte dell’intervento in Spagna dell’Unione sovietica
stava nella sua intima natura, nella forza d’inerzia della sua originaria spinta
rivoluzionaria.
Stalin seguì un duplice binario, mentre continuava a praticare una politica di
solidarietà internazionalista egli sterminava tutti i suoi avversari. Gli aiuti alla
repubblica spagnola risposero a una serie di esigenze dell’URSS e non
furono affatto disinteressati, neppure sotto il profilo economico. Essi furono
super pagati e soprattutto più che garantiti dal deposito aureo della Banca di
Spagna, trasferito via mare in Unione Sovietica. Quel trasferimento di oro
assomigliava a un trasferimento di sovranità e implicava una limitazione
dell’autonomia del governo repubblicano rispetto all’URSS.
D’altra parte le armi e i consiglieri sovietici costituirono un’ultima chance per
salvare Madrid. I primi rapporti inviati a Mosca dalla Spagna denunciavano
gravi carenze nel dispositivo difensivo della capitale e uno spirito di
resistenza popolare ancora fragile. Benché forse esagerate, le osservazioni
degli inviati sovietici riflettevano in buona misura la realtà. Lo stato d’animo
popolare a fine ottobre sarebbe stato pervaso da un entusiastico caos.
Quando il 6 novembre il nemico fu giunto davanti alla linea del Manzanarre i
comandati repubblicani disponevano di circa 24.000 uomini, numero di poco
superiore a quello degli attaccanti. Questi avevano mostrato di essere più
addestrati al combattimento da poter ugualmente conquistare Madrid in
poco tempo.
Due giorni dopo il governo lasciava la capitale per trasferirsi a Valencia e il
presidente Azana lo aveva già preceduto stabilendo la sua residenza a
Barcellona. Ovviamente non erano segnali di fiducia nella capacità di
resistenza delle forze repubblicane, infatti nessuno al governo credeva che
Madrid potesse essere difesa.
Tuttavia il generale Miaja ed il colonnello Vincente Rojo riuscirono a prendere
il controllo delle forze schierate a creare una continuità nel fronte di difesa
che fino all’ultimo non era esistita. Ma soprattutto stavano per entrare in
campo gli aiuti sovietici, infatti i bombardieri Tupolev e i Polikarpov
avrebbero mostrato sul fronte la loro superiorità sull’aviazione nemica. Grazie
a quegli aiuti la popolarità dell’Unione Sovietica divenne enorme, abbattendo
gli aerei tedeschi.

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