Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
5
6
INTRODUZIONE
È risaputo che lo statuto della grafematica, intesa come disciplina che studia
contenuti e che essa non è stata ancora accettata a tutti gli effetti nell’olimpo delle
scienze linguistiche. Se questa situazione è valida nella maggior parte degli ambienti
dare l’illusione alle generazioni di linguisti che si sono susseguite che lingua orale e
lingua scritta, almeno per quanto riguarda l’italiano, andassero a braccetto e che
rimanesse ben poco da dire riguardo alla grafia che non si riducesse a formule come
“<a> si legge /a/”. Non stupisce che la maggior parte degli studi di grafematica invece
scritto e il parlato sono acuiti dall’opacità dell’ortografia di queste due lingue. Per questo
estremamente sintetica, i dati emersi dagli studi grafematici nell’ultimo secolo, visto che
nel nostro Paese si tende a parlare di scrittura solo in ambito filologico, storico o didattico.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per la storia dei diversi sistemi di scrittura
ma quasi sempre, una volta che si è giunti a parlare della creazione dell’alfabeto greco,
non si procede più in là del suo adattamento latino, dando per scontato che l’alfabeto sia
studi sincronici poi sono ancora relativamente scarsi rispetto a quelli diacronici. Tuttavia,
grazie a figure come quella di Ignace Gelb, Josef Vachek, Peter T. Daniels, William
Bright e Florian Coulmas (ma anche dell’italiano Giorgio Raimondo Cardona) si sono
compiuti dei passi importanti nella comprensione dell’oggetto di studio scrittura e dei suoi
rapporti con la lingua orale. Sembra assodato che la scrittura, pur essendo una
7
tecnologia, condizioni in maniera non indifferente l’evoluzione linguistica e che sia, se
nostro contributo vogliamo quindi cercare di gettare luce sui seguenti problemi: in che
trasparenti, con corrispondenze regolari tra grafemi e fonemi, sono davvero superiori a
quelle opache, in cui le corrispondenze sono meno prevedibili, oppure anche le ortografie
opache, al pari delle logografie, possiedono dei vantaggi propri? E infine, dato che
qualsiasi decisione venga presa in ambito ortografico non è mai ideologicamente neutra,
Per procedere nella nostra ricerca, abbiamo strutturato il testo in questo modo:
grafematica una disciplina ancora agli inizi, almeno in ambito accademico, abbiamo
scomposizione in tratti minimi delle unità grafiche e dei diversi punti di vista dai quali si
nel corso del XX secolo si sono espressi in materia di scrittura, alcuni contribuendo ad
escluderla dalla sfera degli interessi del linguista, altri tentando faticosamente di
8
reintegrarla, a volte con motivazioni decisamente convincenti, altre volte meno.
Dopodiché, tenteremo di abbozzare un quadro generale dei modi in cui la scrittura entra
in relazione con i diversi piani della lingua (lessico e semantica, sintassi e prosodia,
Il nucleo centrale del nostro contributo viene sviluppato nel terzo capitolo, dove
cercheremo di dimostrare che la superiorità del principio alfabetico non è per niente
se esista un sistema di scrittura migliore degli altri, ma addirittura se abbia senso porsi il
Infine, nel quarto capitolo metteremo alla prova i risultati ottenuti nel terzo
precedentemente solo orali e le proposte di riforma ortografica per le lingue che già
possiedono una tradizione scritta; quello che ne emergerà verrà poi sottoposto ad
9
10
I. PROBLEMI DI DEFINIZIONE
1. Scrittura e scritture
onnicomprensiva di SCRITTURA. In questa sede, sia per limiti di spazio e di tempo, sia per
SCRITTURA; nello specifico, di quegli aspetti della pratica scrittoria che entrano in stretta
una superficie1 in un certo ordine e in una certa sequenza, in modo che questa serie sia
attribuire dei significati a quei segni. Per potere essere interpretata correttamente, questa
conosciuto e condiviso da perlomeno due utenti: colui che scrive e colui che legge2.
sistema di segni grafici che “non ristruttur[a] il piano dell’espressione dello schema
1 Nell’era informatica la necessità di avere una superficie fisica su cui scrivere è venuta meno; consideriamo
superficie qualsiasi tipo di supporto, come quello virtuale dello schermo del computer. Anche l’aria può fare da
supporto, se pensiamo alla scrittura in cielo degli aeroplani.
2 Ovviamente, di solito una scrittura, per essere presa in considerazione, ha ben più di due utenti.
11
manifestando una parziale non-conformità con l’espressione fonica tanto a livello dello
ideografie (che con le loro unità grafiche esprimono unità di significato più ampie di quelle
grafici svolgono lo stesso ruolo dei loro omologhi nella lingua orale) e le fonografie
del contenuto mentre un sistema cenemico annota unità del piano dell’espressione.
esempi:
3 Perri, A., “Trasposizione, segnale, meta semiotica (non scientifica). Spunti per una grafematica
(post)hjelmsleviana e per una tipologia semiotica dei segni grafici”, in Janus, n.7, Vicenza, Terraferma, 2007, p.
156.
4 Valeri, V., La scrittura – storia e modelli, Roma, Carocci, 2001, p. 18.
5 Coulmas, F., The writing systems of the world, Oxford, Blackwell, 1989, pp. 38-39.
12
- segnale stradale che si trova in luoghi frequentati
attenzione;
- etichetta di un capo
di vestiario;
individuate dai segni grafici possono (e spesso sono) unità più ampie
13
o sillabico, e si parla allora di sillabario; a ciascuna unità grafica
6 The world’s writing systems, New York, Oxford University Press, 1996, a cura di Daniels, P. T., Bright, W. Il
nome viene da quello delle prime quattro lettere della grafia semitica.
14
Sillabario Cherokee7.
Ge’ez dell’Etiopia, es. <ጠ > sta per /tæ/, <ጡ> per /tu/, <ጢ> per /ti/;
le vocali. Dall’alfabeto greco si sono poi sviluppati altri alfabeti, tra cui i
7 http://en.wikipedia.org/wiki/Cherokee_syllabary.
8 Anche questa denominazione è proposta da Daniels, P. T. e Bright,W. op. cit.
15
principali sono il latino e il cirillico; es. nella parola latina domus “casa”
massima presenti nei vari sistemi di scrittura, perché sembrerebbero non esistere sistemi
puri: coesistono, in tutte le scritture, elementi cenemici e pleremici. A esempio, <h> nella
suono; è quindi un segno pleremico. A nessuno però verrebbe in mente di supporre che
sistema è quello alfabetico; un altro esempio: il carattere cinese <晴> qíng “chiaro” è
composto da <日> rì “sole” e <青> qīng “blu/verde”; il primo elemento, il radicale, indica la
pronuncia; dobbiamo quindi concludere che la scrittura cinese sia cenemica e non
pleremica? No, perché l’indicazione della pronuncia è solo uno dei metodi utilizzati dalla
sono anche altri tipi di scrittura misti: la scrittura giapponese implementa tutte le
possibilità date dal suo script, in quanto i sostantivi e le radici dei verbi vengono scritte
piccola parte, anche la serie runica era un sistema misto, dato che ogni segno aveva un
es. <A> poteva valere sia /f/ sia “bestiame”, in quanto il nome della runa era faihu
livello di un sistema di scrittura considerato è il livello più basso nel quale le operazioni di
suoi elementi grafici in base a una segmentazione della sostanza del contenuto e un
sistema fonologico rimarrà tale perché il criterio con cui seleziona i suoi elementi si basa
sulle unità foniche pertinenti della lingua da rappresentare, quindi sulla sostanza
dell’espressione.
SCRIPT e ORTOGRAFIA:
10 La scrittura giapponese è stata oggetto di diverse descrizioni che la ponevano sotto una cattiva luce a causa
della natura mista del sistema e della complessità dell’uso dei kanji, ma “[t]he Japanese writing system,
however, is associated with a highly literate and successful society, with a rich written tradition which makes full
use of its multi-scriptural potentialities for the creation of nuanced, graphically vital texts. The high degree of
literacy of Japan and the high consumption of published material suggest that the writing system is fully
functional” (Smith, J. S., “Japanese Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., p. 215).
11 Amadasi Guzzo, M. G., Scritture alfabetiche, Roma, Valerio Levi Editore, 1987, p. 180; Molinari, M. V., La
filologia germanica, Bologna, Zanichelli, 1987, pp. 15-18.
12 Haas, W., “Determining the level of a script”, in Trends in Linguistics, Studies and Monographs 24 - Writing in
Focus, a cura di Coulmas, F., Ehlich, K., The Hague, Mouton, 1983, p. 23.
13 Coulmas, F., op. cit.
17
esempio, il latino e il greco, pur condividendo lo stesso sistema di
z> vs <α, β, γ, δ, ε, ...., ω>; altri tipi di script sono quello cirillico,
per es., <в> vale /v/ in russo e /ʋ/-/w/ in ucraino, <г> vale /ɡ/ in russo e
2. Unità minime
Fino ad ora abbiamo parlato dei componenti dei vari sistemi di scrittura come di
Dagli anni ’50 in poi, è in uso il termine di GRAFEMA, la cui definizione, però, è tuttora
problematica.
Il termine è stato coniato dai linguisti interessati alla scrittura per analogia con il
fonema. Erano gli anni del boom dello strutturalismo e l’approccio strutturalista alla teoria
Tuttavia, il modello fonologico, applicato alla scrittura, non è stato assunto come
18
euristici14. Fondamentalmente, ci si è limitati a elencare pedissequamente tutte le
che punto il grafema e il fonema potessero considerarsi omologhi. In un articolo del 1951,
grafema come:
grafema è perfettamente inutile se non è altro che un nome dotto per ‘lettera
ceco Hořejší, in un articolo del 197117, sostiene che “le graphème, dans notre conception
général (…) ni au pendant graphique d’un seul phonème”. Dopo aver affermato ciò,
Hořejší propone uno studio della lingua scritta come l’elaborazione di una lista di tutti i
Possiamo senz’altro riconoscere allo studioso ceco il merito di aver iniziato uno
studio sistematico delle corrispondenze tra scritto e orale, perlomeno nell’ambito della
lingua francese. Tuttavia, un approccio del genere può essere utilmente applicato
all’insegnamento, sia dell’ortografia della lingua materna sia dell’ortografia di una lingua
seconda, ma non pone minimamente le basi per una ricerca approfondita sul
Assistiamo inoltre, più che a reali apporti ad una teoria del grafema, a un
moltiplicarsi di definizioni; già Allén19, nel 1965, aveva proposto grafofonema al posto del
Una decina di anni dopo, Cardona21 delinea un quadro molto chiaro riguardo alle
qualsiasi tradizione;
Cardona propende per la terza soluzione. Naturalmente, una teoria del grafema
chiaramente a voler far coincidere a tutti i costi, più o meno inconsciamente, il grafema
con il fonema ad esso associato e a interpretare tutte le deviazioni dalla regolarità come
delle aberrazioni. Inoltre, la ricerca di una corrispondenza sistematica tra i due piani
(fonico e grafico) crea non poche falle metodologiche; prendiamo come esempio
l’imperfetto del verbo francese aller: j’allais, tu allais, il allait, ecc. Come dovremmo
corrisponde senza dubbio al suono [a], come procedere poi? <ll> corrisponde a [l] o uno
dei due segni <l> è da considerarsi muto? E poi, dovremmo arrivare alla conclusione che
in francese il suono [ɛ] può essere reso graficamente, tra gli altri modi, anche come <ais>
e <ait> o è meglio considerare solo il grafema complesso <ai> e attribuire un valore [Ø] a
<s> e <t>? In verità non c’è un vero criterio per stabilire quale interpretazione sia la
lettore e dello scrivente cinese. Nella scrittura cinese ogni carattere è composto da un
numero limitato di tratti di pennello (da 8 a 72). Non è il solo script a sottintendere una
Preso lo spunto da altri tipi di script, si può applicare questa procedura anche allo
script latino, a noi più familiare. In altri campi della linguistica si è dimostrato metodo utile
e fecondo isolare il minimo elemento pertinente dell’ambito analizzato per poi allargare lo
22 Sembra molto più conveniente la seconda possibilità, ovvero quella di considerare solo la sequenza <ai>
come grafonema e attribuire a <t> e <s> un valore morfografico.
23 Perri, A., op. cit., p. 158.
21
spettro d’azione. H. P. Althaus24 scompone tutte le unità dell’ortografia tedesca in 58
tutte le lettere dell’alfabeto con delle operazioni abbastanza semplici, anche in casi come
<a> e <g> che sembrano particolarmente inadatti ad una scomposizione in tratti. J. Anis,
che tenta una scomposizione in tratti minimi dei grafemi del francese, si trova in difficoltà
di fronte a lettere complesse come <a>, tanto da considerarle come unità non
scomponibili25.
ortografica data27, quindi la lettera dell’alfabeto (ma anche i segni paragrafematici) nello
24 Althaus, H. P., Graphemik, in Lexicon der germanistischen Linguistik, a cura di Althaus, H. P., Henne, H.,
Wiegand, H. E., Niemeyer, Tübingen, 1973, pp. 118-32.
25 Anis, J., L’écriture, theories et descriptions, Bruxelles, De Boeck-Wesmael s.a., 1988.
26 Althaus, H. P., op. cit.
22
script latino, il carattere nello script cinese, ecc., e TRATTI GRAFEMICI i tratti distintivi che lo
compongono.
Ovviamente, questi tratti minimi sul piano grafico non hanno alcuna
per quanto riguarda i fonemi. Se talvolta esistono delle correlazioni, sono casi limitati. Un
esempio può essere il tratto <ˇ>, ovvero l’háček, introdotto da Jan Hus (1371-1415)
dell’umlaut, che nell’ortografia tedesca può apparire su <a, o, u> per indicare
anteriorizzazione della vocale. Così, per esempio, <o> : /o/ = <ö> : /ø/. Nonostante
esserci, e in sincronia possono crearsi dei fenomeni di natura emotivo-estetica per cui,
se in una data lingua al fonema /o/ corrisponde il grafema <o>, il parlante (e scrivente)
nativo può ritrovare una certa somiglianza iconica tra la forma della lettera e la posizione
Però è importante ricordare che, mentre i fonemi (e quindi i tratti fonologici) sono
sempre paragonabili tra loro da lingua a lingua, i grafemi (e quindi i loro tratti grafemici)
non saranno paragonabili tra di loro, sia per ampiezza dell’inventario, sia per
complessità28.
Dobbiamo giungere alla conclusione che l’individuazione dei tratti minimi, sul
piano grafico, non sia altro che un vuoto esercizio di stile? Questi tratti hanno una loro
27 Diki-Kidiri, M., “Réflexions sur la graphématique”, in Cahiers d’études africaines, vol. 23, n. 89, 1983, pp. 169-
174.
28 Cardona, G. R., Antropologia della scrittura, Torino, Loescher, 1981, p. 29.
23
paradigma strutturalista? Ebbene, gli studi di psicolinguistica applicati alle abilità di lettura
e scrittura sembrano avvalorare l’ipotesi di una realtà psicologica dei tratti grafemici.
Secondo l’INTERACTIVE INTERACTION MODEL, elaborato da McClelland & Rumelhart 29, sono
presenti, nel riconoscimento della parola scritta, tre stadi: il livello dei tratti, delle lettere e
delle parole. A livello dei tratti, le lettere vengono scomposte in tratti ortografici primari;
ciò è dimostrato dal fatto che lettere che hanno tratti simili vengono confuse più
facilmente tra di loro (es. P-R, E-F, C-G, M-N, ecc.) a causa di un effetto di attivazione
precoce dei tratti che si propaga a tutte le lettere che li contengono. Al livello delle lettere,
esse vengono interpretate come entità astratte, indipendenti dalle loro possibili
realizzazioni grafiche (e questo dato sembra confermare, oltre alla realtà psicologica dei
tratti, anche la realtà psicologica del grafema come distinto dal grafo). Diversi modelli
postulano che avvenga una codifica in parallelo sia della lettera sia della sua posizione
nella parola. Una specifica area dell’emisfero sinistro risponde in maniera specifica più
alle lettere che ad altri stimoli visivi come numeri arabi, figure geometriche, ecc. Al livello
delle parole, una stringa di tratti e di lettere viene riconosciuta come familiare e diventano
rappresentazione, chiamata logogen che funziona come rilevatore della parola stessa. In
questo modello non vengono prese in considerazione le unità più piccole della parola, ma
ci si basa su una corrispondenza tra la parola intera e il suo logogen. L’individuazione del
logogen non si attiverebbe grazie ai tratti o alle lettere, bensì grazie al contesto sintattico
29 McClelland, J. L., Rumelhart, D. E., “An interactive activation model of context effects in letter perception: Part
1. An account of basic findings”, in Psychological Review, 88, pp. 375-407, citato in Laudanna, A., “Ortografia”
in Linguaggio, strutture e processi, a cura di Laudanna A., Voghera, M., Roma/Bari, Laterza, 2006, pp. 27-47.
30 Morton, J., “The interaction of information on word recognition”, in Psychological Review , n. 76, pp. 340-354.
24
e semantico; per esempio, una parola come cane abbasserebbe la soglia di attivazione di
altre parole semanticamente collegate come abbaiare, gatto, ecc. secondo un fenomeno
operazioni di lettura, entrino in campo sia le unità più piccole della parola sia il contesto
scrittura) saranno approfondite più avanti, qui ci interessa solo postulare la possibilità che
nel riconoscimento della parola scritta i tratti grafemici vengano presi in considerazione.
Tra le possibili applicazioni pratiche di una divisione dei grafemi in tratti, Cardona
articolo del 1983, che con l’espandersi della scrittura luminosa, l’uso di monitor e di
congegni a cristalli liquidi, ecc. la divisione delle lettere in tratti minimi, il cui numero fosse
più basso possibile ma che allo stesso tempo consentisse la riproduzione di tutte le
fosse reso quanto mai necessario. Oggigiorno, con lo svilupparsi della tecnica
informatica, la divisione in tratti negli schermi elettronici è ormai sempre più rara e limitata
carattere di qualsiasi script esistente e anche inventato (da cui il proliferare, in internet, di
font disponibili per il download di lingue sia esistenti sia fantastiche), senza dover
ricorrere a una divisione geometrica del segno grafico. Le lettere, diciamo, vengono
31 Cardona, G. R., I linguaggi del sapere, Roma/Bari, Laterza, 2002, pp. 156-157.
32 Holenstein, E., “Double articulation in writing”, in Coulmas, F., Ehlich, K., op. cit., pp. 45-62
25
Fatto sta che, nella risoluzione di alcuni problemi di riconoscimento di lettere
dimensione dei tratti grafici può spiegare alcune confusioni del poor reader33 di natura
non fonologica. Il livello dei tratti nel riconoscimento visivo di una parola può spiegare
perché un bambino confonda <E> e <F> anche se /e/ e /f/ non sono fonemi simili.
nuovo sistema di scrittura capiterà (come è già capitato) di dover introdurre ex novo dei
grafemi, sarà saggio tener conto, nella costruzione dei nuovi caratteri, dei tratti già
utilizzati per gli altri grafemi esistenti. Nella creazione dell’Alfabetico Fonetico
hanno probabilmente attuato questo criterio. Quando non era più possibile utilizzare
grafemi già esistenti (come <a, b, c, d…>), caratteri desueti (come <ʃ>) o lettere di altri
script (come le lettere greche <ɛ, ɸ, θ…>), hanno introdotto dei nuovi simboli
creare un senso di estraneità troppo forte per i futuri utilizzatori dell’alfabeto fonetico.
transcription comes from his inability to accept or use, as distinctive graphemes, graphs
which for him are non-significant allographic variants, e.g., ɑ and a, ɛ and e, ʃ and s, ŋ
and n”. Secondo noi, invece, sarebbe inutilmente complicato inventarsi dei segni
completamente altri per un sistema di notazione fonetica. Anche chi non è esperto di
trascrizioni fonetiche può infatti intuire con facilità che simboli come <ɐ, ɑ, ɒ>
rappresentano fonemi in qualche modo simili ad /a/ e che <ɘ, ə, ɚ, ɛ, ɜ, ɝ> rimandano
33 Secondo la terminologia classica della psicolinguistica, il poor reader è chi ha difficoltà di lettura.
34 Hall, R. A. Jr, “A Theory of Graphemics”, in Acta Linguistica, vol. 8, n. 1, 1960, p. 20.
26
3. Grafematica
per questa tecnologia di sua invenzione. Approcci scientifici allo studio della scrittura si
rapporto alle diverse lingue rappresentate è considerato Ignace J. Gelb (1907 – 1985),
storico polacco-americano e assiriologo di una certa fama. Nella sua opera A Study of
per la disciplina che avrebbe studiato la scrittura con un approccio scientifico. Il termine,
dal greco γραµµα “lettera dell’alfabeto”, è stato accolto da diversi studiosi, tra cui
citiamo Walter J. Ong (1912-2003), Jack Goody e Marshall McLuhan (1911-1980). Nel
1967, il filosofo Jacques Derrida (1930-2004) usa il termine per la sua opera De la
grammatologie, dove se ne serve però con un’altra accezione, quella della decostruzione
- fonematica. È vero che in ambito europeo si preferisce dire fonologia piuttosto che
fonematica, ma con grafologia si intende ormai lo studio del carattere e della psicologia di
un articolo di Angus McIntosh (1914-2005) del 1966, “Graphology” and meaning35 (le
Nella storia dello studio della scrittura, l’opera finora più importante è stata
Writing Systems of the World pubblicato nel 1996 a cura di Peter T. Daniels e William
Bright (1928-2006), un volume molto dettagliato che illustra e analizza la maggior parte
35 McIntosh, A., “‘Graphology’ and meaning”, in Patterns of Language – Papers in General, Descriptive and
Applied Linguistics, a cura di McIntosh, A., Halliday, M. A. K., Longmans’ Linguistics Library, London, 1966.
27
dei sistemi di scrittura a noi conosciuti, dalle origini fino ai giorni nostri. Importante anche
il contributo di Florian Coulmas, con The writing systems of the world, del 1989, e Writing
dei sistemi di scrittura che rappresentano sul piano grafico una lingua storico-naturale,
lasciando lo studio dei sistemi di segni grafici non linguistici ad altre discipline, come la
semiotica. Jacques Anis36 distingue tre possibili approcci allo studio della grafematica:
francese;
fonografico, ecc.);
bustrofedico, ecc.);
- inventario dei grafemi e loro nome (es. in italiano abbiamo a, bi, ci, di, e,
massima, non tengono conto degli allofoni (es. l’italiano non distingue [n]
come [n], [r] o [l] a seconda dei casi, con delle complesse regole
annotasse <n>, <r> e <l>39; alla base di questa scelta ci sono ragioni
turcica parlata in Russia), non biunivoca nel caso contrario (la maggior
dell’italiano, dello spagnolo, della maggior parte delle lingue slave, ecc.);
realtà dei fatti si tratta sempre di ortografie storiche, che riflettono uno
stato della lingua parlata anteriore di qualche secolo rispetto allo stato
attuale (gli esempi più ovvi sono l’ortografia inglese e quella francese, ma
dei casi dove la permanenza di grafemi nella scrittura per ragioni storiche
fonico.
31
Questa divisione della grafematica (autonoma e sistematica) non vuole essere
collaborazione tra i due piani, perché spesso non è così facile dividere i due aspetti della
scrittura, quello autonomo e quello in rapporto diretto con la lingua trascritta, come non è
facile trovare un sistema di scrittura che sia totalmente pleremico o totalmente cenemico.
gli approcci, possa descrivere i rapporti esistenti tra i diversi livelli della scrittura:
Inoltre, una visione generale della grafematica è l’unica che ha una qualche
speranza di essere integrata in una teoria linguistica generale e che possa fornire risultati
non si può che concludere che qualsiasi sistema grafico si rivela imperfetto e inadatto alla
trascrizione di una lingua. Se invece si analizzano i fenomeni grafici senza tenere conto
dei suoni, si rischia di uscire dai campi di indagine propri della linguistica, perché, se è
vero che la lingua scritta ha un certo grado di indipendenza dalla lingua orale e che “[both
speech and writing] are multimodal, grammatical, productive, semantically universal and
32
dual (in having levels of meaning and nonmeaning) 40”, è anche vero che il contributo
dello studio della lingua scritta indipendentemente da quella orale è stato minimo.
Secondo Justeson41, “[w]riting (…) is indeed a distinct form of language; yet it has
Put differently, any genuine linguistic significance in writing derives from the relation of
script to speech”. Qualcuno potrebbe obiettare che questa affermazione sia valida solo
“forme aboutie du langage (…), par opposition à la forme orale, qui n’en est que la
Come ci fa notare anche Sampson43: “no semasiographic script ever used in practice has
approached the degree of generality and flexibility possessed by all spoken languages” e
philosophers (…) that Chinese script was a real example of the kind of full
semasiographic system (…). It is quite wrong: Chinese script was created as a means of
standardizzato e diffuso in una società, in cui ogni tratto grafemico avesse una qualche
40 Greenberg, J., Anthropological Linguistics: An Introduction, New York, 1968, pp. 7-17.
41 Justeson, J. S., “Universals of Language and Universals of Writing”, in Linguistic Studies offered to Joseph
Greenberg, Saratoga, California, a cura di Juilland, A., Devine, A. M., Stephens, L. D., vol. 1, Anma Libri, 1976,
p. 58.
42 Zhang Binglin, citato in Devienne, F., “Considérations théoriques sur l’écriture par deux lettrés chinois au
début du 20ème siècle. Analyse de l’œuvre linguistique de Zhang Binglin (1869-1936) et de son disciple Hunag
Kan (1886-1935)”, in Cahiers de linguistique – Asie Orientale, vol. 30, n. 2, 2001, p. 269-277.
43 Sampson, G., “Chinese Script and the Diversity of Writing Systems”, in Linguistics, n. 32, 1994, pp. 119-120.
33
significanza o perlomeno un valore distintivo in rapporto ad altri tratti e che questi valori
differenziali avessero una correlazione sul piano del contenuto. Per intenderci, una grafia
di tratti come l’hangŭl dove però la corrispondenza fosse sul piano dei tratti semantici e
non delle posizioni articolatorie. È un’evidenza storica, invece, che anche in sistemi di
scrittura che facevano un ampio uso di pittogrammi e ideogrammi, come quello egizio,
posizione sarà dunque quella di una grafematica generale, o meglio, una grafematica
34
II. LA GRAFEMATICA TRA LE SCIENZE DEL LINGUAGGIO
Nonostante sia stata proposta e caldeggiata da molti, come abbiamo visto nel
capitolo precedente, un’integrazione a tutti gli effetti della grafematica nelle scienze del
riguardo sono molto numerosi e i contributi vengono da diverse discipline, tra cui, non
ultima, la linguistica; nonostante ciò, non si è ancora delineata chiaramente una disciplina
Non stupisce che, almeno in Italia, non vi siano corsi universitari di linguistica che
abbiano come oggetto lo studio della lingua scritta e all’estero, anche se vengono attivati,
Tra i singolari paradossi della grafematica c’è quello di aver già una lunga
tradizione di studi che inizia perlomeno da quando inizia la linguistica così come la
intendiamo oggi (infatti, la linguistica tedesca del 1800 nasce dallo studio di fonti scritte e
i primi studiosi cercavano di ricostruire le forme più antiche delle lingue attraverso
ancora); un altro paradosso è quello di avere già sviluppato una terminologia propria e di
aver infuocato accesi dibattiti a proposito dello statuto della lingua scritta in rapporto a
quella orale. Eppure, rispetto ad altre sezioni della linguistica, rimane una parente
nuovi indirizzi, magari molto più recenti, come la linguistica del testo, la pragmatica, la
44 Normalmente tutto l’interesse verso la forma scritta delle lingue si esaurisce nelle lezioni di pronuncia, in cui,
preliminarmente all’insegnamento della grammatica, si impartiscono agli studenti regole confuse e spesso
erronee riguardo ai rapporti tra grafia e fonia di una data lingua.
35
loro paradigmi consolidati, esponenti celebri, cattedre sparse per le università di tutto il
mondo. La grafematica ha già una storia, un oggetto di studio ben definito, un suo
metodo unitario e condiviso. Inoltre, gli studiosi che approcciano la grafematica sembrano
impostare una volta per tutte una démarche d’indagine o di sviluppare una teoria
generale della scrittura che non si riduca a una rassegna storico-archeologica dei diversi
ruolo della scrittura nel pensiero dell’uomo occidentale. In definitiva, molti sarebbero
aver deciso come procedere45. Vediamo a grandi linee la situazione dagli inizi del XX
secolo ad oggi.
Come abbiamo già sottolineato prima, la linguistica odierna nasce dallo studio e
inglese, fu uno dei primi a sottolineare che le parole non erano composte di lettere, ma di
unità funzionali di suono, definizione che può essere fatta tranquillamente coincidere con
affrancarsi dalla pagina scritta: l’avanzare della tecnologia permise agli studi di fonetica di
45 Un interessante quadro sulla grafematica odierna e le sue possibili applicazioni di studio viene delineato da
Barbara Hans-Bianchi in “La competenza scrittoria mediale – Studi sulla scrittura popolare”, in Beihefte zur
Zeitschrift für romanische Philologie, n. 330, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 2005.
46 La definizione di fonema viene solitamente attribuita allo studioso polacco Jan Niecislaw Baudouin de
Courtenay (1845-1929).
36
riprodotti, riascoltati, analizzati in spettri e l’oggetto privilegiato divennero le lingue
Il tanto celebre passo del linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, citato poi in
verso le nuove scoperte della fonetica e della fonologia. Nel famosissimo Cours de
linguistique générale (1916) pubblicato postumo da due suoi allievi, Charles Bally (1865-
1947) e Albert Sechehaye (1870-1946), basandosi sugli appunti delle sue lezioni, si dice
che “lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni; l’unica ragione d’essere del
secondo è la rappresentazione del primo47”; gli utenti di una lingua, però, non riescono a
cogliere bene questa distinzione, perché “il vocabolo scritto si mescola così intimamente
al vocabolo parlato di cui è l’immagine, che finisce con l’usurpare il ruolo principale” e
“l’immagine grafica d’una parola ci colpisce come un oggetto permanente e solido, più
adatto del suono a garantire l’unità della lingua attraverso il tempo (…); per la maggior
parte degli individui le impressioni visive sono più nette e durevoli delle impressioni
acustiche48”. Ad ogni modo Saussure non ha mai affermato che bisognasse ignorare la
scrittura e i suoi legami con la lingua orale, anzi, “benché la scrittura sia in se stessa
della norma ortografica sulla pronuncia, elencando una serie di fenomeni di spelling
pronunciation del francese, ovvero, quel processo per cui l’imporsi dell’immagine grafica
di una parola ne ha modificato la pronuncia. Tra gli esempi, gageure, parola derivata dal
verbo gager /ɡaʒe/ con l’aggiunta del suffisso -ure /yʀ/ e che, a rigor di logica, dovrebbe
complesso (o digramma) <eu> per rendere /ø/ o /œ/, molti hanno cominciato a dire
/ɡaʒœʀ/. Poi Saussure illustra anche l’esempio del cognome Lefèvre /ləfɛvʀ/ che con una
grafia antiquata viene scritto Lefebvre e interpretato Lefébure /ləfebyʀ/. Infatti, nel
Rinascimento, /u/ e /v/ non erano distinte nell’ortografia francese e spesso per segnalare
il valore consonantico del grafema venivano aggiunte delle consonanti mute con valore
diacritico (in questo caso <b> per segnalare che si tratta di /v/ e non di /y/). Una volta
distinte anche sul piano grafico <u> e <v>, la permanenza di grafie antiquate ha potuto
l’attenzione sulla lingua viva e vitale, in risposta ai grammatici pedanti che al tempo
tradizione linguistica basata sui modelli del greco e del latino (lingue morte e perciò solo
scritte). L’insegnamento della lingua, sia materna che straniera, a scuola, era basato
e regole ortografiche.
Molti, per giustificare l’esclusione della scrittura dagli studi di linguistica si sono
aggrappati alle parole di Saussure, insistendo sul fatto che la scrittura non è lingua, ne è
rapporti tra lingua orale e scritta perché è impossibile ormai prescindere dalla seconda
Nel 1933 un altro influente linguista esprime il suo parere sulla scrittura: si tratta
di Leonard Bloomfield nella sua opera Language50. Viene ribadito che la scrittura
50 Bloomfield, L., Language, New York, Henry Holt & co., 1933, p. 17.
38
dovrebbe essere uno specchio del parlato, ma spesso è manchevole in questa sua
linguistica, nessuno mette più in discussione il dogma del primato dell’oralità sullo scritto.
Questo primato viene inteso in due sensi: filogeneticamente, dato che nella storia
dell’umanità è emersa prima la facoltà del linguaggio orale e solo in tempi storici recenti
esplicito, ciò non si verifica per la scrittura, che viene appresa dopo anni e con dei metodi
specifici. Il parlare, rispetto allo scrivere, viene anche visto nell’ottica naturale vs
artificiale, in quando si parla con il corpo, cioè utilizzando i propri organi fonatori e
segni o graffi e di una superficie da segnare o graffiare. Infine, tutti gli esseri umani
(esclusi sordomuti, casi patologici e bambini che non sono venuti a contatto con altri
uomini per i primi anni di vita) imparano a parlare e non esistono culture senza la parola;
invece, solo una piccola percentuale delle lingue parlate nel mondo possiede una sua
Questi dati di fatto sono senza dubbio innegabili. Gli studiosi che hanno trattato la
scrittura non hanno negato queste realtà, hanno bensì protestato contro l’esclusione della
lingua scritta dagli oggetti di studio della linguistica con la giustificazione della
Già nel 1932 (un anno prima, quindi, di Language di Bloomfield) Agenor
Artymovyč (1879-1935)51, membro del Circolo di Praga, considera che, nelle società
51 Artymovyč, A., “Fremdwort und Schrift”, in Charisteria Guilelmo Mathesio quinquagenario a discipulis et
Circuli Linguistici Pragensis sodalibus oblata, Praga, Pražský Linguistický Kroužek, 1932, pp. 114-118.
39
altamente alfabetizzate, la lingua scritta gode di uno statuto indipendente da quella orale,
dato che esistono parole che un parlante nativo conosce solo nella forma scritta e poi
tenta di trasporre sul piano orale. Basti pensare a tutti i termini specifici di varie discipline
prima. Artymovyč prende come esempio anche quei casi particolari in cui un individuo
Un altro membro del Circolo di Praga, Josef Vachek (1909-1996), pubblica nel
1939 un articolo, Zum Problem der geschriebenen Sprache52, che sarà il primo di una
serie di saggi e pubblicazioni riguardo alla lingua scritta. A Vachek dobbiamo una delle
prime definizioni della lingua scritta come distinta dall’orale: “By the term written language
we mean, tentatively, the system of graphical means employed for the purpose of
alla non universalità della scrittura, Vachek pensa che “the situation in the communities
still lacking the written utterances (and the written norms), though found in the majority of
existing cases, cannot be taken for normal or even typical: in such communities – the
number of which, in any case, is constantly diminishing – one has not yet made full use of
the latent possibilities of language. And unquestionably the goal to which language
development has been directed in any community is the highest possible efficiency of
lingual communication and the maximum development of its functional range54”. Per lui,
dunque, anche se la scrittura non è uno degli universali linguistici, dovrebbe essere
considerato uno degli ottimali linguistici. Vachek, analizza i rapporti oralità-scrittura dal
punto di vista del funzionalismo: la lingua parlata e la lingua scritta svolgono ruoli e
52 Vachek, J., “Zum Problem der geschriebenen Sprache” in Travaux du Circle Linguistique de Prague, Prague,
1939.
53 Id., Written language. General problems and problems of English, The Hague, Mouton, 1973, p. 9.
54 Ibid., p. 17.
40
funzioni molto diverse in una comunità linguistica e vanno studiate in questo senso,
La scrittura quindi, come funzionalmente diversa dalla lingua orale e come fine
svolga delle funzioni che la lingua orale non potrebbe svolgere con la stessa efficienza e
ascientifica. Risolvere la questione della non universalità della scrittura partendo dal
presupposto che le comunità che non conoscono la scrittura dovrebbero farlo non è una
nessuna civiltà che abbia raggiunto certi livelli di organizzazione sociale, tecnologia,
qualità della vita, diffusione della cultura, ecc. ignorasse la scrittura55, ma affermare
l’ottimalità della scrittura potrebbe portare a generalizzazioni pericolose. Vuol dire che le
lingue scritte sono migliori delle lingue solo orali? O che l’inglese, in quando lingua più
diffusa sotto la forma scritta e più parlata come lingua seconda, è migliore del permiano
(lingua uralica parlata da 106.000 persone)? Il punto, secondo noi, è che l’attributo della
non universalità non è di per sé significativo per escludere la scrittura dagli interessi di
studio. Bisogna allora studiare solo ciò che nei fenomeni linguistici e sociolinguistici è
universale? Rimarrebbe ben poco da dire. È un dato di fatto che in alcune culture esiste,
e svolge dei ruoli importantissimi, la pratica della scrittura e che, nonostante esistano
moltissime lingue unicamente orali, è anche vero che si tratta sempre di lingue parlate da
giapponese), che messe insieme sono parlate da 3 miliardi e 276 milioni di persone
(come lingua materna) possiedono tutte una forma scritta da diversi secoli.
55 Un’eccezione potrebbe essere la civiltà Inca. Non si è ancora però riusciti a stabilire se i quipu (combinazioni
di cordicine intrecciate in modi diversi) si possano considerare una forma di scrittura o meno.
41
Anche il filosofo e linguista danese Louis Trolle Hjelmslev (1899-1965) sosteneva
che le opposizioni allo studio della grafematica fossero irrilevanti. Per esempio, secondo
lui, il fatto che la scrittura fosse derivata dal parlato non era di per sé significativo: il fatto
che una sostanza fosse derivata non toglieva che fosse una manifestazione della stessa
forma linguistica. Inoltre faceva notare che non si può mai sapere con certezza assoluta
cosa deriva da cosa: anche se è ragionevole e altamente probabile che l’uomo abbia
conosciuto la parola prima della scrittura, non ne potremo mai essere certi. Ma il fulcro
del pensiero di Hjelmslev trova le sue radici nel postulato saussuriano secondo cui la
lingua è forma, non sostanza. Infatti “the same linguistic form may also be manifested in
writing, as happens with a phonetic or phonemic notation and with the so-called phonetic
orthographies, as for example the Finnish. (…) There can be other ‘substances’ too: we
need only think of the navy flag codes, which can very well be used to manifest a ‘natural’
language, e.g., English, or of the sign language of deaf-mutes56”. In altre parole, non è
l’essere suono che rende una lingua quello che è, ma la sua struttura di relazioni e
interrelazioni interne; pur non essendo innata, spontanea, naturale, la lingua scritta è
comunque manifestazione, con diversa sostanza, della stessa forma linguistica della
l’espèce du grec et du latin, nel quale trattava il problema della ricostruzione fonologica
delle lingue morte basandosi unicamente sulle testimonianze scritte. L’autore definì la
scrittura alfabetica come un’analisi strutturale, seppur non raffinata, degli elementi
56 Hjelmslev, L., Prolégomènes à une théorie du langage, Paris, Minuit, 1971, pp. 103-104.
57 Moretto, P., “Louis Hjelmslev e la grafematica”, in Janus, n. 3, p. 38.
42
problemi della fonematica delle lingue morte fossero affrontati nei termini posti da
una serie di cui si dovrebbe ammettere in partenza la scarsa probabilità58”; questo non
toglie a Hjelmslev il merito di essersi occupato, tra i primi, del problema delle
linguistica che prescinda dalla sostanza viene solo proposta come ideale programmatico,
ma, usando le parole di Eli Fischer-Jørgensen, allieva del maestro danese, “on tient
Uldall (1908-1957). La domanda di fondo è: che cosa si intende quando diciamo che, per
esempio, il danese scritto e il danese orale sono la stessa lingua? Secondo Uldall, quello
che condividono è la stessa forma, ciò che cambia è la sostanza. Con le sue parole, “our
something, that which is common to sounds and letters alike, is a form – a form which is
only by its functions to other forms of the same order60”. È perciò sbagliato considerare
Ciò sarebbe provato dal fatto che si può dare manifestazione fonica a una parola scritta
“speech and writing are merely two different manifestations of something fundamentally
the same61”.
fonologia, dove afferma che “se la sostanza fonica fosse una semplice variabile, allora
58 Ibid., p. 44.
59 Fischer-Jørgensen, E., “Remarques sur le principe de l’analyse phonématique”, in Travaux du cercle
linguistique de Copenhague, n. 5, 1949, p. 231.
60 Uldall, H. J., “Speech and writing”, in Acta linguistica, n. IV, 1944, p. 12.
61 Hockett, C. F., A course in modern linguistics, New York, The Macmillan Company, 1958, p. 4.
43
l’indagine delle invarianti linguistiche esigerebbe effettivamente la sua espunzione. Ma la
possibilità di tradurre la stessa forma linguistica da una sostanza fonica in una sostanza
grafica (…), non prova che la sostanza fonica (…) si[a] [una] semplic[e] variabil[e]62”.
non regge; se è vero che effettivamente sia la scrittura sia la notazione musicale hanno la
funzione primaria di trascrivere dei suoni ed entrambi utilizzano oltre che segni cenemici
(segni per trascrivere direttamente suoni, come i grafonemi e le note) anche segni
pleremici (per esempio, la chiave di sol), l’unica ragion d’essere dello spartito è
possiamo dire che oggigiorno i testi scritti la cui funzione sia unicamente quella di essere
letti o recitati ad alta voce siano solo una percentuale, nemmeno maggioritaria, della
totalità di essi. In altre parole, non esiste, in ambito musicale, nessun equivalente della
lettura silenziosa. Siamo però d’accordo con Jakobson nel non considerare la sostanza
come una semplice variabile, perché se così fosse la lingua scritta e la lingua orale
dovrebbero essere perfettamente omogenee, cosa che non sono63; verrebbe anche a
meno l’utilità e la necessità di uno studio separato delle due, perché sarebbero identiche.
sufficiente per poter affermare che si tratta della stessa forma linguistica, ma le differenze
tra le due possono essere numerose e importanti. La visione glossematica, quindi, pur
ponendo le basi di una teoria della grafematica autonoma con un brillante procedimento
logico, fallisce proprio nel momento i cui imposta i suoi presupposti: se la sostanza non
62 Jakobson, R., “Fonetica e fonologia”, in Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1976. pp. 91-92.
63 Anche supponendo un caso ideale dove il numero dei grafemi e il numero dei fonemi fosse perfettamente
uguale, sorgerebbero altri problemi riguardo alla notazione delle caratteristiche prosodiche del parlato, del ritmo
di enunciazione, delle differenze di pronuncia dei singoli parlanti e delle diverse varietà regionali, ecc.
44
conta, allora non ha nemmeno senso parlare di una grafematica come contrapposta a
Visual Morphemes64, del 1946. Secondo il linguista americano, la lingua scritta esiste
come una serie di morfemi visivi (i visual morphemes del titolo, appunto)
indipendentemente dalla loro potenziale realizzazione orale. Ciò sarebbe provato, per
esempio, dal confronto con il Braille, grazie al quale un non vedente può leggere e
comprendere delle sequenze linguistiche grazie a dei morfemi tattili. Allo stesso tempo
Bolinger puntualizza che non c’è niente di ascientifico nel postulare l’esistenza di questi
nella comprensione e sono l’unico processo fisico apertamente dimostrabile nel processo
alfabetica. Secondo Walter Jackson Ong la scrittura ristruttura il pensiero; una volta che
essa è venuta alla luce, i processi cognitivi degli esseri umani che la utilizzano vengono
una volta che la parola viene resa un oggetto è possibile analizzarla. “La scrittura (…) è
la più drastica delle (…) tecnologie: [provoca] la riduzione del suono a spazio, la
separazione della parola dal presente immediato e vivo, nel quale possono esistere solo
parole parlate. (…) Le tecnologie sono artificiali ma (…) l’artificialità è naturale per gli
esseri umani65”. Qualche anno prima, anche Marshall McLuhan, nella sua opera più
dell’invenzione della scrittura (alfabetica) e della stampa nella vita e nel pensiero umani.
L’alfabeto, dissociando il suono dal referente e portando l’uomo dal “mondo magico
dell’orecchio al mondo neutro della vista66”, creerebbe una sorta di schizofrenia nell’uomo
occidentale moderno. Secondo McLuhan, solo grazie alla diffusione della stampa si è
potuto fissare una norma linguistica e regolarizzare le lingue, ovvero, creare uno
standard. La stampa è responsabile di aver modificato sia la grafia (l’aspetto delle lettere)
l’intonazione delle lingue, che tendono ad appiattirsi tutte sul modello lineare della pagina
società non-alfabetica68”.
rivelerebbe, perché senza di essa, senza il suo potere oggettivizzante che permette
all’uomo di astrarre e analizzare, non sarebbe possibile nessuno studio scientifico dei fatti
linguistici. Questo ci porta a concludere però che, pur influenzando sia la lingua sia lo
studio di essa, la scrittura rimane inevitabilmente esterna e aliena alla facoltà del
lettura e scrittura esiste una via lessicale che mette in relazione direttamente
del cervello sensibile, più che ad altri oggetti o figure, proprio ai grafemi69;
of the claim that writing is simply a substitute for speech. For here there is no
grafica, come, per esempio, i vari tipi di saluto come “ciao”, “buongiorno”,
articolatoria71. Ciò non toglie che essi siano segni linguistici, perlomeno nella
Possiamo delineare un quadro, seppur provvisorio, alla luce del dibattito che
abbiamo appena presentato e che continua tuttora in ambito accademico e didattico? Per
ora possiamo limitarci a dire questo: la scrittura è una tecnologia inventata dall’essere
umano per svolgere diverse funzioni. Nel tempo, si è specializzata nell’annotazione della
lingua orale. Tuttavia, proprio a causa della maggiore sofisticatezza del senso della vista
grafica delle parole si fissasse nella mente in modo molto più efficace e duraturo rispetto
al suono, sfuggevole per natura. Il ruolo principale della scrittura rimane, a tutt’oggi,
69 Laudanna, A., op. cit.; Ferrand, L., “Evaluation du rôle de l’information phonologique dans l’identification
des mots écrits”, in L’année psychologique, vol. 95, n. 2, 1995, pp. 293-315.
70 Harris, R. Signs of Writing, London/New York, Routledge, 1995, p. 80; un equivalente della firma sul piano
orale potrebbe essere la declinazione delle proprie generalità.
71 Cfr. Catach, N., “La ponctuation”, in Langue française, vol. 45, n. 1, 1980, pp. 16-27.
47
quello di rappresentare il parlato. I grafemi sono quindi segni di segni. Ma sono anche
segni di per sé, ovvero, non stanno solo per unità dell’espressione ma anche per unità di
contenuto. Ci sono inoltre grafemi pleremici che non hanno corrispettivo sul piano
dell’espressione fonica. La scrittura si presenta quindi come la parte del linguaggio più
conservativa e più legata all’extralinguistico, in quanto non può prescindere dal supporto
con la tipografia e l’informatica. Non sarebbe scientifico interpretare i processi legati alla
artificiali. La prima articolazione del linguaggio consiste nelle unità di significato, i monemi
(come li chiama Martinet) o morfemi (come vengono definiti dai più). La seconda
articolazione invece consiste nelle unità distintive, di per sé prive di significato, ovvero i
fonemi. La lingua scritta sembrerebbe non possedere una doppia articolazione, in quanto
significato di per sé, svolge una funzione distintiva se contrapposto ad altri fonemi come
/n/, /b/, /l/, ecc. Nelle scritture alfabetiche invece, il grafema <m>, anche in isolamento,
significa sempre qualcosa; può rimandare al fonema /m/, al nome della lettera
affermare con certezza che la scrittura non abbia una doppia articolazione? In realtà
sappiamo che, nella realtà dei fatti, quasi nessuna ortografia è perfettamente fonologica,
ci sono sempre grafemi utilizzati con funzione distintiva. In italiano scritto ha entra in
opposizione con a; in spagnolo, hecho con echo; in inglese, two si oppone a to, too e toe;
плот (plot); in ceco led a let e così via, gli esempi sarebbero innumerevoli. In questi casi i
grafemi non significano nulla, hanno un qualche valore solo in quanto si differenziano
dagli altri grafemi possibili in quella data posizione. Diciamo quindi che, anche se non è la
possibile fosse morfema: fonema = fonema: grafema. Abbiamo già visto come sia
possibile e auspicabile una divisione del grafema in tratti grafemici più piccoli e come, in
metagrafemica dello scrivente. Sono questi tratti che possono essere interpretati come il
molto più agevole includere nell’analisi altri tipi di scrittura e non limitarsi, come si è
spesso tentati, a quella alfabetica. Il tratto diventa quindi un’unità priva di significato,
significato del grafema può allora essere fonico, in quei casi in cui corrisponde a un
fonema, oppure rimandare a una qualche categoria morfologica o lessicale. Abbiamo già
visto che è possibile una divisione delle lettere dell’alfabeto latino in tratti minimi. In
tipografia questa pratica esiste già da tempo e ogni parte del carattere ha un nome. Ecco
qui sotto un esempio tratto da una tavola del tipografo italiano Pellitteri75.
molto di più a dei morfemi che a dei fonemi: sono proprio dei morfemi visivi, come
proponeva Bolinger. Il rapporto tra morfema, fonema e grafema non va però visto come
una gerarchia rigida dove un’unità è superiore all’altra, bensì ci sono dei processi di
74 Nonostante vi sia una certa simmetria tra tratti fonologici e tratti grafemici per quanto riguarda la definizione,
non vi è alcuna corrispondenza nello script latino tra tratto fonologico e tratto grafemico; questi diversi tipi di
tratto vanno considerati e studiati come entità completamente differenti.
75 Cecchini, M., Fontestesie: L’interpretazione sensoriale del carattere tipografico, tesi di laurea al Politecnico
di Milano, 2005/2006, p. 23.
50
scrittoria considerata e del tipo di rapporto che sussiste col piano orale, si potrà attribuire
Infatti, sia il linguaggio orale sia il linguaggio scritto simbolizzano un’esperienza mentale
più piccola del sistema orale è il morfema, l’unità più piccola del sistema scritto è il
grafema, che però acquisisce uno statuto submorfemico76. Come ogni morfema in
persona singolare, o il nome di una nota musicale; questo se siamo sicuri che si tratti di
così via. Allo stesso modo, se incontriamo in isolamento il grafema <j> possiamo
supporre diversi significati fonici potenziali: [j, dʒ, ʒ, x, i…] e questo tenendo conto solo
delle principali lingue europee. L’approccio morfologico risolve anche alcuni problemi
teorici che si incontrano con un’analisi grafo-fonologica. Per esempio, come considerare i
grafemi che compongono i digrammi <sh> e <wh> in inglese? Dal punto di vista della
ovvero due o più grafemi semplici che corrispondono sistematicamente ad un fonema sul
piano fonico. Dal punto di vista della grafematica autonoma, possiamo semplicemente
concludere che in inglese <wh> e <sh> sono sequenze accettabili (o per usare un
McIntosh invece, ed è quello che pensiamo dovrebbe fare una grafematica generale,
propone un parallelo tra le sequenze del tipo <sh> e <wh> sul piano grafico e parole
come understand sul piano semantico. Ci è chiaro il significato fonico di <sh> come ci è
linguistico di under e di stand. Tuttavia /ʃ/ non è dato dalla somma di /s/ + /h/ e il
significato di understand non ha niente a che fare con “sottostare” o “stare sotto”, bensì
con “capire, comprendere”. Questo sottolinea anche l’importanza della posizione del
I risultati ottenuti con questo approccio, per quanto ovvi per chi conosce le regole
ortografiche di una data lingua, sono importanti dal punto di vista metodologico. Se si
accetta di considerare i grafemi come morfemi visivi e non come trascrizione di suoni,
strutturalista.
scrittura che viene imparato molto tardivamente. La prima evidenza è storica. Sono nati
regole dello spelling) che quando si legge si percepiscono delle unità più grandi dei
corrispondenze che un bambino è in grado di fare sono quelle tra immagine e significato,
non tra grafemi e suoni. Prima di imparare a scrivere, un bambino riesce già a collegare il
l’apprendimento della scrittura vera e propria. Una volta cominciato l’insegnamento, sarà
senza dubbio più logico dire, per esempio nel caso del francese, che la sequenza grafica
<eau> sta per “acqua” (in francese /o/) piuttosto che spiegare che esiste il trigramma
<eau> che corrisponde a /o/. Infine, lo stesso fatto che la scrittura cinese, che per quanto
abbia una componente fonica rimane logografica, abbia resistito per tutti questi secoli alla
Route Cascaded Model of Visual Word Recognition and Reading Aloud79) la via
fonologica per il riconoscimento della parola scritta viene attivata nel caso di parole
immediatamente riconosciute come facenti parti del lessico ortografico. Ciò avviene
anche in lingue con ortografie molto trasparenti, come l’italiano. Uno dei pochi aspetti
della pronuncia dell’italiano non prevedibile in base alla grafia è la posizione dell’accento
pronounced (…) fast because they activate word-specific lexical phonology, which
includes specification for stress. (…) According to the DRC model, a lexical route
activating word units operates in parallel with a nonlexical route in which the
79 Coltheart, M., Rastle, K., Perry, C., Langdon, R., Ziegler, J., “DRC: A Dual Route Cascaded Model of Visual
Word Recognition and Reading Aloud” in Psychological Review, vol. 108, n. 1, 2001, pp. 204-256.
53
pronunciation of any letter string is accomplished through GPC80 rules that apply in a
complexities and should access the pronunciation for the word as a whole correctly81”.
lingua scritta.
una lingua: in italiano stringhe come <ch>, <gh>, <gli> sono grammaticali, ma gruppi
come *<hc>, *<cha>, *<lgl> non lo sono. Si può considerare il criterio posizionale: in
francese <q> può apparire in posizione finale assoluta, come nelle parole <coq>, <cinq>
ma in italiano <q> può apparire solo se seguita da <u> più un grafema vocalico oppure
da un altro segno <q> (solo in soqquadro); il criterio posizionale può condizionare anche
Middle English, il grafema <u> passava a <o> davanti ad altri grafemi come <m, n, v, w>
per questioni di distintività della gambe grafiche82. Nell’abjad arabo, dei 28 grafemi
egiziana antica: i metodi con cui la scrittura cinese tenta di esprimere i lessemi attraverso
la giustapposizione di caratteri rivela quello che possiamo chiamare una sintassi grafica
propria del cinese, relativamente indipendente dalla sintassi della lingua. I caratteri 共, 和,
processi lessicali di formazione delle parole piuttosto che i rapporti sintattici tra gli
elementi della frase, visto poi che si pratica ancora la scriptio continua e risulta
difficoltoso isolare le parole. A livello dei tratti, sappiamo che, nella composizione del
carattere c’è un ordine da seguire nel tracciare i segni e lo stesso vale anche per altri
script, per esempio il devanāgarī, nel quale i tratti per comporre i caratteri vanno disegnati
con una sequenza fissa e con una direzione precisa del tratto.
nella scrittura egizia, dove, ad esempio, un simbolo come = era utilizzato come una
82 Fisiak, J., A short grammar of Middle English – Part One: Graphemics, Phonemics and Morphemics,
Warszawa/London, Polish Scientific Publishers/Oxford University Press, 1968, pp. 15-22.
83 Oltre agli allografi posizionali, esistono in diverse ortografie varianti libere, che potremmo chiamare allomorfi
grafici. Di solito l’alternanza tra diversi grafi è dovuta a ragioni tecniche: per esempio, in tedesco, se si è
impossibilitati a riprodurre l’umlaut, si può utilizzare una <e> diacritica: così <ä, ö, ü> = <ae, oe, ue>; in danese,
<å> alterna con <aa>; in lettone, <č, š, ž> nella scrittura al computer vengono spesso sostituite dai digrammi
<ch, sh, zh>; in esperanto <ĉ, ĝ, ĥ, ĵ, ŝ> alternano con <cx, gx, hx, jx, sx> o con <ch, gh, hh, jh, sh> (il metodo
con <h> è considerato più gradevole), ecc.
55
grafica che corrispondeva alla parola indicante la costruzione (casa, tomba, ecc.). C’era
quindi un senso di lettura (da destra verso sinistra) per le sequenze da rendere
foneticamente e altri sensi di lettura utili alla comprensione grammaticale. Inoltre, simboli
come w, ovvero il sole, erano spesso posti in alto e centrati, indipendentemente dal loro
ruolo grammaticale nella frase, come segno di onorificenza verso il dio Sole84.
coincidere con quello della lingua orale. Le differenze sono perlopiù stilistiche,
considerato che:
sorvegliato.
compensata dalla fruibilità illimitata del testo, il quale può essere letto e riletto infinite
volte finché non se ne capisce il senso. Se nel parlato gli snodi sintattici vengono fatti
segni di punteggiatura. Trascurati dagli studi linguistici e dagli stessi studi grafematici,
(1496) dove vengono introdotti la virgola (nella forma che ha attualmente), il punto e
84 Cfr. Cardona, G. R., Mioni, A., op. cit., e Perri, A., op. cit., p. 161.
56
virgola, l’apostrofo per indicare elisione o caduta, gli accenti. Il punto interrogativo è
introdotto in età carolingia e il punto esclamativo nella seconda metà del Trecento85.
Possiamo includere nell’ambito della punteggiatura anche gli spazi bianchi, il capo riga, il
carattere maiuscolo, la distribuzione del testo sul foglio, ecc. Come abbiamo già detto, si
tratta di segni che nascono cenemici ma che si ritrovano oggigiorno ad essere anche
pleremici. Le pause del parlato non corrispondono in maniera sistematica né alla virgole
né ai punti nello scritto. Difficile stabilire quale sia il corrispettivo fonico del punto e virgola
o del trait d’union. Prima dell’invenzione della punteggiatura, i lettori venivano aiutati da
particelle semanticamente vuote come δέ, oὖν, γάρ in greco o –que, ita, sic in latino86.
Queste particelle servivano già, oltre che per guidare la lettura ad alta voce,
Per quanto riguarda i rapporti con la prosodia, Lepschy & Lepschy87 distinguono
le principali curve intonative in cinque tipologie: (1) tono discendente, (2) tono
corrispondono (in italiano) le frasi dichiarative (1), le interrogative (2), dichiarative lasciate
in sospeso (3), le concessive (4) e le esclamative enfatiche (5); a seconda della tipologia
appaiono in frasi del tipo (1) e (3); il punto di domanda in frasi di tonalità (2) per le
interrogative polari e di tonalità (1) per le interrogative aperte; il punto esclamativo in frasi
vieni, o mi arrabbio> la virgola segnala salita e poi discesa del tono di voce. Invece, in
85 Lepschy, A. L., Lepschy, G., “Punteggiatura e linguaggio”, in Storia della punteggiatura in Europa, a cura di
Mortara Garavelli, B., Bari, Laterza, 2008, pp. 3-21.
86 Geymonat, M. “Antichità greca e latina, cultura bizantina e latinità medievale”, in Mortara Garavelli, B., op. cit.,
p. 28.
87 Lepschy, A. L., Lepschy, G., op. cit.
57
una sequenza come <Questa è la verità – disse> il trattino indica un tono basso continuo
In generale, possiamo dire che nel processo di lettura ad alta voce, la presenza
di un segno di interpunzione indurrà il lettore a fare una pausa più o meno lunga, ma ciò
non toglie che il lettore avrà bisogno di fare pause anche dove non segnalato dal testo.
Nel processo inverso, quello di dettatura, è assai probabile che chi scrive porrà segni di
punteggiatura sia dove siano effettivamente presenti delle pause nel parlato sia dove egli
Per quanto riguarda i rapporti con la sintassi, la punteggiatura svolge una serie di
funzioni tra le più varie: la virgola può congiungere sintagmi, come nel caso di elenchi
(alla festa verranno Gianni, Maria, Rosa, Carlo…) ma può anche disgiungere (voglio te,
sia il punto possono stare per qualsiasi cosa sul piano orale; si pensi alle abbreviazioni:
in F. Fellini <.> può stare per [ederiko]; se nel fare un elenco metto i tre puntini alla fine,
quei tre puntini stanno per tutto ciò che ho scelto di non dire.
frasi relative appositive da quelle attributive89: il libro, che ho qui con me, ha la copertina
bianca vs il libro che ho qui con me ha la copertina bianca. In questo caso il ruolo della
virgola è sia prosodico sia sintattico. Famoso è poi l’esempio inglese del panda che eats
shoots and leaves vs eats, shoots and leaves: le virgole ci permettono di comprendere se
88 Catach, N., “La ponctuation”, in Langue française, vol. 45, n. 1, 1980, pp. 16-27.
89 Serianni, L., Prima lezione di grammatica, Roma/Bari, Laterza, 2007, p. 123.
58
A causa del suo scarso statuto normativo, la punteggiatura ha la tendenza a
piegarsi ai gusti e alle scelte stilistiche dello scrivente e anche alle diverse convenzioni
differenze più evidenti tra le diverse lingue, che in generale condividono l’inventario dei
”kærlighed”;
59
pur condivide lo stesso ductus, mantiene <?> come nelle lingue
occidentali;
di un verso;
﹁...﹂ , “...” > come diversi tipi di virgolette, mentre <《... 》>
L’interpunzione è la parte della lingua scritta che più è influenzata dalla tipografia:
molte convenzioni grafiche sono nate per esigenze legate a questioni di carattere estetico
o economico, per esempio le virgolette sarebbero state inventate nel XVII secolo per
90 http://en.wikipedia.org/wiki/East_Asian_punctuation.
91Catach, N., “La ponctuation”, in Langue française, vol. 45, n. 1, 1980, pp. 16-27.
60
Tipici della punteggiatura sono anche, in tempi recenti, usi espressivi come la
l’interrobang <‽>, segno nato dalla sovrapposizione di <?> e <!>. I segni di punteggiatura
possono comporsi tra di loro perdendo il loro valore originario e dando forma a dei veri e
propri pittogrammi92, chiamati emoticon, ampiamente diffusi nella scrittura degli SMS e di
internet: <due punti> + <parentesi sinistra> = :) sono felice vs <due punti> + <parentesi
destra> = :( sono triste. Sintomo della loro diffusione e standardizzazione è il fatto che il
Ricapitolando, l’interfaccia della sintassi di una lingua orale con la lingua scritta si
punteggiatura. Questi segni sono anche in relazione stretta con le curve prosodiche della
lingua orale e con l’espressività desiderata da chi scrive. I segni interpuntivi condividono
con i numeri arabi e altri logogrammi (<£, $, %, &…>) il fatto di essere interlinguistici, ma
a differenza di questi ultimi sono più che altro ideogrammi, in quanto corrispondono non
esempio, una virgola può corrispondere alla frase: “Mentre leggi, in questo punto fai una
combinarsi tra di loro per formare dei pittogrammi, il cui inventario è tuttora aperto.
dato sistema di scrittura e i fonemi della lingua che trascrive ed è anche il punto di vista
delle relazioni con tutti i piani della lingua, quello dell’espressione fonica è senz’altro
scrittura utilizzato è che esso possa essere riprodotto foneticamente, o, detto altrimenti e
più semplicemente, letto ad alta voce. Procediamo quindi a definire i grafemi in base al
semplici; tra i digrammi, anche <ch, gh, th> sono ambigui; pur
/tʃ, ɡ, θ/, ci sono parole dove <ch> vale /k/, <gh> vale /f/ o /Ø/ e
62
portoghese, /θ, x/ in castigliano e /s, x/ in spagnolo americano
<т, д> hanno una pronuncia palatalizzata [tʲ, dʲ] davanti a <е, ё,
Questo suddivisione è valida naturalmente solo per gli alfabeti e per gli abjad. Nel
solo a una sillaba, ambiguo se può corrispondere a più sillabe, polivalente ma non
Per quanto riguarda le scritture logografiche o quelle miste, i rapporti tra grafema
e fonema sono mediati dal morfema ad esso corrispondenti, quindi bisognerà stabilire il
rappresentato. Una categorizzazione dei grafemi in base al loro valore fonico sarebbe
priva di senso, in quanto la loro funzione primaria non è rimandare a dei fonemi ma a dei
morfemi, lasciando poi che sia il parlante a tradurre foneticamente i morfemi che già
conosce.
63
- ci sono fonemi che possono essere notati in modi diversi, ma a
maniera contestuale;
Nello studio della scrittura è necessario ricordarsi che non si sta trattando (solo)
di unità linguistiche astratte, ma che c’è anche una componente visiva. Tutto ciò che
possiede una realtà fisica concreta e può perciò essere visto dall’essere umano, provoca
una qualche reazione nel momento in cui viene percepito. Aarni Penttilä (1899 – 1971)
affermava, in un articolo del 1970, che “[d]ie Einwirkung der geschriebenen Sprache
(meistens durch das Lesesprechen) auf die gesprochene Sprache bildet ihr eigenes
denen die geschriebene Sprache sich von der gesprochenen Sprache unabhängig
gezeigt hat (z. B. nachdem die Schrifttradition sich gebildet hat). Es sei hier besonders
64
auf das Bestehen der Schriftästhetik hinzuweisen93 [corsivo nostro]”. L’estetica della
parola scritta e della lettera gioca un ruolo non indifferente nello sviluppo dei sistemi di
scrittura. Se la lingua parlata intrattiene dei rapporti privilegiati con la musica attraverso il
canto, la lingua scritta li intrattiene con le arti figurative. La forma attuale dei grafemi
dell’alfabeto latino, greco e cirillico è un’evoluzione della forma originaria dei segni della
scrittura fenicia, che un tempo avevano un valore pittografico. L’esempio più celebre è la
Ἂλφα greca che deve, oltre che l’aspetto, anche il nome all’Aleph < >, lettera fenicia
che rappresentava iconicamente un bue; in seguito, ruotando, le due corna del bue sono
diventate le gambe dell’alfa. Alcuni ideogrammi cinesi rivelano ancora la loro origine
potenza o in atto, un qualche valore estetico. Entriamo però qui nel regno della
meno di un carattere. Nella maggior parte dei casi, si sente dire che una scrittura è bella
da qui, la moda degli ultimi anni di richiedere tatuaggi che riproducano caratteri di
coniato il termine fonestemi per indicare quei fonemi o serie di fonemi che tendono ad
93 Penttilä, A., “Zur Grundlagenforschung der geschrieben Sprache”, in Acta Universitatis Upsaliensis. Acta
Societatis linguisticae Upsaliensis, vol. 2.2, Uppsala, 1970, p. 55.
94 Firth, J. R., “The Use and Distribution of Certain English Sounds”, in English Studies, n. 17, pp. 8-18.
65
avere un qualche valore semantico (pur non essendo morfemi) o un qualche valore
iconico, com’è il caso delle onomatopee. Esempio di alcuni fonestemi dell’inglese sono
onomatopee come crash, bang, splash, ma anche singoli fonemi come /b/ in una serie di
parole dal significato sgradevole come barriers, bulge, bursting, banged, beaten,
battered, bruised, blister, bashed95. Similmente Leonard Bloomfield96 isola nella serie
lessicale inglese glow, glare, gleam, gloaming, glimmer, glint l’elemento fonico [ɡl] che
rimanderebbe al campo semantico della luce. Per queste entità linguistiche, uno dei
significato97.
sconvenienza, anormalità e perciò viene spesso utilizzata con fini umoristici in grafie
come: it’s all Greak to me (Greak invece della forma standard Greek)98. La coppia di
grafemi <gh> legherebbe parole come ghost99, ghastly, ghoulish, aghast. Il grafema <h>
quindi, avrebbe una funzione unicamente espressiva, visto che la pronuncia di <gh> in
categoria. Se sul piano fonico è effettivamente un morfema a tutti gli effetti, utilizzato
95 Magnus, M., Gods of the Word: Archetypes in the Consonants, Truman State University Press, 1999.
96 Bloomfield, L., op. cit., p. 245.
97 Dressler, W. U., “Sketching Submorphemes within Natural Morphology”, in Naturalists at Krems, a cura di
Méndez Dosuna, J., Pensado, C., Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca, pp. 33-41, cfr. anche
Thornton, A. M., Morfologia, Roma, Carocci, 2007, pp. 64-65.
98 Bolinger, D. L., op. cit., p. 336.
99 Sembrerebbe che la grafia attuale <ghost> si debba allo scrittore William Caxton (1415/1422-1492), il
quale, dopo aver passato molto tempo nei Paesi Bassi, avrebbe acquisito alcuni aspetti della pronuncia
olandese. Quindi con quel <gh> voleva probabilmente rendere [ɣ], cfr. Mitton, R., English Spelling and the
Computer , Longman, London/New York, 1996, pp. 9-22.
66
éléphanteau, ecc. non vi è effettivamente nessuna ragione, in sincronia, per scrivere
<eau> e non <au>, <o>, <ot>, ecc. Evidentemente la sequenza <eau> è diventata un
submorfema grafico, in quanto non è solo il fonema /o/ a cui rimanda ad attribuire un
significato alla parola, ma è proprio il fatto che sia stato scelto proprio quel trigramma e
non un’altra possibile trascrizione. Un particolare tipo di submorfema grafico può essere
diverse funzioni: se posto su <a> indica una vocale posteriore e lunga /ɑː/, su <e> una
vocale aperta e lunga /ɛː/ e su <o> una vocale chiusa e lunga100 /oː/; ma svolge anche
una funzione distintiva in coppie come mu / mû, cru / crû, du/dû, mur/mûr, ecc. e una
funzione etimologica per segnalare la caduta di una [s], per esempio nella parola bête
[bɛːt], un tempo [bɛstə]. Tuttavia l’accento circonflesso compare in alcune parole senza
origine dotta o il cui significato sia considerato in qualche modo di ordine elevato:
monôme, binôme, icône, trône, grâce. Forse a causa del suo apparire spesso in parole di
origine greca e latina, forse proprio a causa della sua forma che richiama quella di un
caso gli oppositori alla riforma ortografica tentata in Francia nel 1990 si sono aggrappati
con forza in particolare alla conservazione del circonflesso, che rischiava di scomparire
sorprendenti, es. nel XVII secolo il circolo letterario femminista delle Preziose desiderava
riformare l’ortografia del francese attenendosi a un criterio fonologico e una delle accuse
100 Nella parlata colta parigina la lunghezza vocalica tende a non essere più distintiva.
101 Cerquiglini, B., L’accent du souvenir, Paris, Éditions de Minuit, 1981, p. 73.
67
che muoveva all’ortografia tradizionale era quella di aver acquisito un carattere fallico, a
Parole di origine dotta che contengono radici come psycho-, philo-, thalasso-, aesthes/t-
conservativi e ridondanti come <y, ch, ph, th, ae…> che, al di là di complicare le
tipici di lingue straniere di una certa influenza economica e/o culturale sono dei buoni
pullulare di grafie tipiche dell’inglese, a partire da nomi di persona come Jenny, Thomas,
scrittura veloce, specialmente quella informatica e degli SMS, sembra ai più un valido
sostituto dell’italiano <ch>; per quanto sia vero che <k> fosse diffuso anche nel Medio
Evo, è evidente che il suo ritorno in voga sia dovuto all’inglese e non a reminescenze
l’uomo ma il whisky, il walkman anche se la pronuncia italiana della prima lettera di tutte
di un sistema ortografico lingue in precedenza solo orali. Si tratta quasi sempre di popoli
che erano stati colonizzati da qualche potenza europea. In Sudamerica, sia gli Otomi sia i
Quechua hanno preteso che i loro sistemi di scrittura non solo assomigliassero il più
102 Id., La genèse de l’orthographe française (XII – XVII siècles), Paris, Unichamp Essentiel Honoré
Champion, 2004, p. 133.
103 Cardona, G. R., I linguaggi del sapere, Roma/Bari, Laterza, 2002, p. 163.
68
possibile a quello spagnolo ma che ne conservassero le stesse alternanze grafiche104.
Ovviamente ci sono anche episodi opposti: se c’è ostilità verso gli ex colonizzatori, si
vorrà eliminare il più possibile qualsiasi somiglianza con l’ortografia della lingua
dominante: è il caso di alcuni gruppi tribali in Camerun che hanno rifiutato l’uso di grafemi
con valori simili a quelli del francese105. In Romania, lo script ufficiale è cambiato più volte
a seconda del tipo di governo, cirillico se filosovietico e latino in caso contrario. Nel 1860
fu definitivamente adottato il latino. Rimase solo il problema della lettera <â> /ɨ/: dal 1904,
in base all’etimologia, questo suono si trascriveva talvolta <â>, come in când < lat.
quando, talvolta <î>, come in a înţelege < lat. intelligere. Nel 1954 la Romania socialista
abolì la lettera <â> a favore di <î>, ma per molti scrivere Romînia, romîn invece di
România, român nascondeva l’origine romanza dei rumeni, che andava invece
evidenziata. Nel 1966 una riforma reintrodusse <â> solo per queste due parole. Infine,
come un lascito del vecchio regime. L’ortografia venne controriformata e oggi si scrive
nuovamente înţelege ma când106. Il grafema <â> quindi ha due significati: uno fonico, [ɨ],
e uno ideologico, che potrebbe più o meno essere reso come: “vogliamo evidenziare che
persona comune, un valore estetico, più che ideologico. Le ragioni per cui determinate
una determinata forma grafica diventa tutt’uno col suo significato e viene percepita come
104 Nida, E. A., “Practical Limitations to a Phonemic Alphabet”, in Orthography Studies, London/Amsterdam,
United Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A., pp. 22-30.
105 Berry, J., “The Making of Alphabets’ Revisited”, in Advances in the Creation and Revision of Writing
Systems, a cura di Fishman, J. A., The Hague/Paris, Mouton, 1977, p. 5.
106 Schlösser, R., Le lingue romanze, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 113-114.
69
bella. Esemplificativo è l’aneddoto secondo cui l’Ariosto avrebbe detto che “chi leva la H
all’huomo non si conosce uomo e chi la leva all’honore non è degno di onore107”.
diversi usi tipografici. Come fa notare Cecchini nella sua tesi di laurea108, la celebre
seconda del carattere tipografico (v. immagine alla pagina precedente109). Cecchini
dalla parola inglese font. Effettivamente, possiamo supporre che in una comunità
linguistica che condivida gli stessi usi scrittori, si sviluppi una sorta di competenza
L’esempio che cita Cecchini è quello della diversità tra le insegne delle panetterie in
Europa Meridionale e quelle nei paesi del Nord Europa: in Italia e Spagna, “i caratteri
Germania, il pane si compra quasi solo nei supermercati. Le panetterie vendono tipi di
107 Giraldi, C., “Dei Romanzi”, in Scritti Estetici, rist. Milano, Daelli, vol. I, 1864, pp. 141-142, citato da Migliorini,
B., Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani, 1994, pp. 347-350.
108 Cecchini, M., op. cit., p. 25.
109 Ibid.
110 In quest’ottica, il Times New Roman potrebbe essere il font di base non marcato.
111 Ibid., p. 29.
70
4.2 Distintività grafica
Oltre all’estetica, ci sono anche altre caratteristiche dei grafemi che si basano
sulla percezione visiva e contribuiscono alla formazione degli script. Si tratta del criterio di
distintività. La scrittura cinese mantiene un grado molto alto di distintività tra i vari grafemi
che la compongono, mentre le lettere delle scritture alfabetiche non compaiono sulla
pagina scritta con la stessa evidenza e prominenza112. L’alfabeto, pur essendo il sistema
più economico, è anche quello i cui elementi si differenziano scarsamente tra loro. Nella
storia della scrittura si sono perciò trovati diversi stratagemmi per ovviare a questa
grafema <y>. In inglese appare in posizione finale al posto di <i> perché la forma di <y> è
molto più saliente, grazie alla sua linea discendente obliqua. Quest’uso si consolidò
durante il periodo del Middle English, per segnalare la fine di parola. <y> diventò
allografo di <i> anche davanti a lettere che potevano causare facilmente confusione,
ovvero <m, n, v, w>113. Decisioni simili furono prese in Francia, anche se oggigiorno è più
evidente nei toponimi (Ivry, Vichy, Nancy) piuttosto che nei nomi propri (Henri, Marie) e
nei sostantivi (mari). La pratica, molto diffusa in Europa, di distinguere parole omofone
con l’uso di un accento diacritico rientra in questa necessità di distinzione; non a caso,
grammaticale rimane non marcata; in caso di due parole grammaticali, viene marcata
quella il cui significato è meno astratto, es. italiano <è> vs <e>, <dà> vs <da>, <lì> vs
<li>, <ché> vs <che>, <dì> vs <di>, ecc.; portoghese <péla> vs <pela>; <pólo> vs
<polo>; <pára> vs <para>; <pôr> vs <por>; <pêra> vs <pera>; <côa> vs <coa>, ecc.;
spagnolo <dé> vs <de>; <él> vs <el>; <más> vs <mas<; <mí> vs <mi>; <sé> vs <se>;
Un’eccezione: in francese si mette l’accento su <à> preposizione invece che su <a> voce
del verbo avere (l’opposto dell’italiano, che marca con un <h> diacritico la voce verbale).
iconico che li renda più adatti di altri a formare certe parole o a rimandare a certi suoni.
di iconicità anche di alcuni grafemi e di alcune parole grafiche. Per esempio, una scrittura
alfabetica sarà più iconica di una sillabica per quanto riguarda la resa della lunghezza di
una parola. Ancora meno iconica sarà una scrittura logografica, che però,
potenzialmente, potrà esserlo di più per quanto riguarda il concetto a cui la parola si
riferisce. Il carattere cinese 日rì rimanda più facilmente della sequenza <sole>
dell’italiano all’idea di “sole”, ma <sole> esplicita la presenza dei quattro fonemi necessari
parola: orang “uomo”, orang-orang “uomini”115, che però talvolta si trovava scritto orang2.
grafema corrispondente non ha un elevato grado di iconicità, tanto che gli errori
ortografici in questo ambito permangono lungo tutto il cammino scolastico e anche oltre e
114 Cfr. Fontinha, R. F., Epítome de gramática portuguesa elementar, Porto, Editorial Domingo Barreira, 1946,
pp. 32-39, e Gómez-Torrego, L., Gramática didáctica del español, Madrid, Zanichelli, 2002, pp. 416-478.
115 Thornton, A. M., op. cit., p. 164.
116 Secondo questo principio, sono più naturali le forme nelle quali la struttura del significante è in qualche modo
parallela a quella del significato (cfr. Dressler, W. U., Mayerthaler, W., Panagl, O., Wurzel, W.U., Leitmotifs in
Natural Morphology, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 1987).
72
uno studio sull’apprendimento del finlandese scritto dimostrerebbe che i bambini, nella
notazione delle geminate, devono aiutarsi con la struttura morfologica delle parole: hanno
necessarie per produrre i suoni della lingua. Esemplare in questo senso è il già citato
hangŭl. In verità questo tipo di scrittura è iconico in due sensi: i grafemi corrispondenti
alle consonanti richiamano delle posizioni articolatorie, mentre la disposizione dei grafemi
in dei quadrati virtuali rimanda all’organizzazione in sillabe del parlato. Vediamo alcuni
esempi:
che si incontrano;
viene scritto <sa> - <ram> - <i>, dove <i> è isolato perché è una
terminazione di caso118.
117 Lehtonen, A., “Sources of Information Children Use in Learning to Spell: The Case of Finnish Geminates”,
in Handbook of Orthography and Literacy, Oxford/New York, Routledge, 2006, a cura di Malatesha Joshi, R.,
Aaron, P. G., pp. 63-80.
118Anselmo, V., La traslitterazione del coreano, Napoli, Istituto Universitario Orientale, Seminario di
Yamatologia, 1973, p. 5.
73
Ovviamente per lo script latino (come per quello greco e cirillico) non si possono
alcuni grafemi possano suggerire qualcosa sulla loro pronuncia o comunque sembrare
- <o>, che in moltissime lingue sta per /o/, può far pensare, in
tradizioni ortografiche dove sta per /v/: la sua forma può ricordare
corsiva, anche <a > può ricordare l’apertura della bocca per
pronunciare /a/;
<m> e <n>, tutt’e due nasali, <s> e <z>, entrambe sibilanti, <u>,
74
- nelle ortografie delle lingue scandinave, <i> sta per /i/, <u> per
/u/ e <y> per /y/; sul piano grafico, <y> sembra una buona
esempio, la somiglianza tra <p> e <q>, <c> e <e>, <F> e <E>, <N> e <Z>, ecc. non
sembra aver nessun riscontro sul piano fonosemantico. A nostro favore però, possiamo
citare il caso dell’insegnamento del castigliano in Argentina nel XIX secolo: nell’area del
Rio de la Plata si era diffuso lo yeísmo, ovvero la neutralizzazione dei due fonemi dello
spagnolo /j/ e /ʎ/ a favore del primo. Il rehilamiento tipico dell’area argentina aveva poi
portato la pronuncia da /j/ a /ʃ~ʒ/. Ebbene, gli insegnanti cercavano di censurare il “brutto
vizio” di pronunciare il digramma <ll> come /ʃ~ʒ/, ma nessun tentativo in questo senso
veniva fatto per <y>. Evidentemente, il fatto che <ll> richiamasse <l> spingeva alla
suggeriva niente di tutto questo119. In italiano, la serie palatale sonora è indicata con una
certa coerenza: <g, gi, gli, gn> con <g> che veicola i tratti di [+ sonoro, + palatale];
ancora più coerente è la scelta dell’ortografia portoghese, che usa <h> in modo
consistente come indice di palatalizzazione: <ch, lh, nh> per /ʃ, ʎ, ɲ/; non stupisce invece
che in francese e in spagnolo, lingue dove i fonemi palatali sono particolarmente instabili,
l’ortografia non sia coerente: <ch, y~ll, ñ> in castigliano per /tʃ, j~ɟ~ʝ~ʎ, ɲ/ e <ch, j, il~ill~ll,
119 Elizaincín, A., Malcouri, M., Coll, M., “Grafemática histórica: seseo y yeísmo en el Río de la Plata”, in
Estudios de grafemática en el dominio hispano, a cura di Blecua, M. J., Gutiérrez J., Sala L., Salamanca,
Ediciones Universidad de Salamanca, 1998, p.81.
75
Ad ogni modo, sarebbe interessante uno studio che indaghi sull’esistenza di un
possibile richiamo iconico tra forma di un grafema e il suono che rappresenta, ma, a
nostra conoscenza, non è ancora stato fatto. Oltre a questo, sarebbe anche da
comunicazione. Cardona cita uno studio di Clark & Clark al riguardo: “Una forma sarà
una Gestalt ottimale se è chiusa, simmetrica, ammette pochi mutamenti di contorno, ecc.
(…) Una lingua può non avere alcun nome per designare delle forme; qualora però ne
abbia, l’ipotesi cognitiva vuole che essa dia nome alle forme ottimali. Un test (…) con due
gruppi di Dani, che non possiedono alcun nome di base per le forme geometriche, ha
dimostrato che essi apprendevano più rapidamente i nomi delle configurazioni ottimali120”.
ortografie, nuove o tradizionali, non si è tenuto mai sufficientemente conto del significato
che utilizza. Però, capita spesso che proposte ortografiche scientificamente ineccepibili e
attente anche a risvolti sociolinguistici e alla storia dei diversi paesi coinvolti, vengano
Un’analisi più approfondita di questi fenomeni sociali non potrà ignorare l’aspetto estetico
120 Clark, H. H., Clark, E. V., Psychology and language, Brace and Jovanovich, New York, 1977, citato da
Cardona, G. R., I linguaggi del sapere, Roma/Bari, Laterza, 2002, p. 94.
76
III. ALFABETOCENTRISMO E FONOCENTRISMO
nell’homo sapiens, corrispondeva alla facoltà di modellazione primaria della realtà, cioè
un’analisi dell’ambiente che lo circondava. La nostra specie finì poi con riadattare il
linguaggio a scopi comunicativi con una serie di manifestazioni (più o meno lineari):
prima il parlato, poi lo scritto, ecc. Similmente, la scrittura conosce un’evoluzione negli usi
e nelle applicazioni, che variano sia cronologicamente sia a seconda delle diverse
della scrittura come un miglioramento che a partire dalla pittografia trova l’apice della
conseguenza, sistemi diversi dall’alfabeto (es. quello cinese) sono considerati inferiori e
Study of Writing, dove lo studioso vede la storia della scrittura come un’evoluzione
lineare: dal principio logografico si passerebbe, inevitabilmente, a quello sillabico, per poi
Writing Systems of the World, sostiene che non si può parlare di evoluzione nel caso
121 Sebeok, T., A sign is just a sign, Milano, Spirali, 1998, p.78.
122 Cardona, G. R., op. cit., 1981, p. 34.
123 Gelb, I., A Study of Writing, Chicago, Chicago University Press, 1952 (ristampa 1963), pp. 236-240.
124 Daniels, P., Bright, W., op. cit., pp. 3-17.
77
prodotti della mente umana. Non è necessario, ma solo possibile, che da un sistema
ideografico si passi a uno logografico e poi sillabico e poi alfabetico. Oltre a questo, non è
detto che il principio alfabetico (e perciò fonologico) sia in assoluto la scelta migliore che
(1938-2004), in un suo lavoro sull’ortografia inglese, afferma che “[the fact] that homo
sapiens is somehow more at ease with a one-letter one-sound system has often been
assumed, but no evidence has ever been produced to substantiate this limitation on
man’s mental capacities125”. Anche Coulmas fa notare che “[o]ne of the commonplaces of
the Western tradition which is seldom called into question is the notion that the Greco-
Latin alphabet constitutes the end and the pinnacle of the development of writing. In
Western scholarship it has been called ‘a key to the history of mankind’ (David
‘alphabetocentrism’. From a Near- and Far-Eastern point of view its validity is not so
evident. Japanese kana, for example, is much simpler and more elegant than almost all
scripts using an alphabetic notation. The system is so simple that children can be
expected to have mastered it before they enter elementary school. There is no need to
Coulmas può essere rintracciato anche in Ong, il quale nutre una tale fiducia
nell’ottimalità dell’alfabeto da pronosticare che “non c’è dubbio che i caratteri [cinesi]
verranno sostituiti dall’alfabeto [latino], non appena tutta la popolazione della Repubblica
Popolare Cinese conoscerà la medesima lingua128”; più avanti, insiste sulla democraticità
del principio alfabetico, in quanto può essere utilizzato per trascrivere lingue diverse,
125 Venezky, R. L., The Structure of English Orthography, The Hague/Paris, Mouton, 1970, p. 120.
126 Diringer, D., The Alphabet: A Key to the History of Mankind, New York, Funk & Wagnalls, 1880.
127 Coulmas, F., “Back to the Future: Literacy and the Art of Writing in the Age of Cyberspace”, articolo
presentato al IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata (AITLA), Pescara,
20 febbraio 2009, pp. 6-7.
128 Ong, W., op. cit., p. 130.
78
facilmente apprendibile anche da bambini molto piccoli e cita lo studio di un certo
Probabilmente nelle basi sì. Vengono isolate delle unità fonologiche in una lingua data
permettendo di trascrivere tutte le parole della lingua scelta e anche di trascrivere lingue
l’alfabeto si dimostra senz’altro più funzionale di qualsiasi altro sistema; tra gli universali
della scrittura di Justeson131 troviamo al punto [7] che “[a]lphabets are more likely to
represent loan-word phonemes separately than are syllabaries [corsivo nel testo
originale]”. Tra gli altri “pregi” dell’alfabeto elencati da Justeson, troviamo che gli alfabeti
distinguono gli allofoni molto più spesso di quanto non facciano i sillabari (punto [9]) e
che i sillabari tendono, più degli alfabeti, a non rappresentare tutti i fonemi di una lingua
(punto [11]). Fin qui i fatti sembrano dare ragione agli alfabetocentristi, anche se ci si può
chiedere se sia davvero tutto così semplice. Innanzitutto, se è vero che, proprio per la
sua struttura, l’alfabeto è più adatto a trascrivere fonemi di diverse lingue, è anche vero
che, una volta che ve ne sia la necessità, qualsiasi cultura trova il modo per
pīnyīn 汉语拼音 “traslitterazione della lingua degli Hàn” per le parole di origine straniera,
129 Kerchkove, D. de, “A theory of Greek tragedy” in Sub-stance, Madison, University of Wisconsin, 1981.
130 Ong, W., op. cit., p. 133.
131 Justeson, J. S., op. cit.
79
approssimazione fonetica, es. William Shakespeare diventa ム・シェイクスピア , ovvero
Wiriamu Sheikusupia); nelle culture come quella ebraica o quella araba, è sufficiente
aggiungere la notazione vocalica all’abjad in uso. Per quanto riguarda la maggiore facilità
nel basso numero di grafemi. Infatti, il criterio alfabetico poggia sul principio della
segmentazione fonologica, che di per sé, non sarebbe naturale per l’essere umano.
Sempre secondo Daniels, “[i]t is no coincidence that the two oldest writing systems,
Sumerian and Chinese, are both logosyllabic and both recorded languages of basically
single syllable. (…) When it then emerged (…) that Mayan glyphs constitute a script
remarkably similar to the Sumerian and the record a language also of a similar typology,
then this began to look less and less coincidental132” e ancora “investigations of language
use suggest that many speakers do not divide words into phonological segments unless
they have received explicit instruction in such segmentation comparable to that involved
phonological unit that is arguably not a natural unit 133”. Contro l’ideale di un’ortografia
“the phonetic (…) transcription (…) is not capable of ‘speaking to the eyes’ as quickly and
distinctly as the task of the written norm demands it. (…) considerations of economy
cannot rank as EXCLUSIVE criteria of correct interpretation of language facts, (…) [one
must consider the] importance of the factor of redundancy for the efficiency of the
132 Daniels, P. T., “The syllabic origin of writing and the segmental origin of the alphabet”, in The Linguistics of
Literacy, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 1992, a cura di Downing, P., Lima,
S. D., Noonan, M., p. 83. In realtà il sumero è classificato tradizionalmente come una lingua agglutinante e
non isolante come il cinese. Quello che può aver portato Daniels ad affermare la somiglianza tra le strutture
sillabiche delle due lingue è che entrambe tendono a mantenere ben distinti i morfemi lessicali da quelli
grammaticali e che tutt’e due hanno un’alta incidenza di omofoni monosillabici.
133 Ibid., p. 111.
80
process of perception and understanding of the message communicated (…) 134”; tra gli
psicolinguisti, possiamo citare Gleitman & Rozin quando affermano che “[y]oung children
(…) are aware of language as meaning units, only later aware of the phonological and
saliente e intuitiva136. Alla luce di questi dati, un sistema sillabico sarebbe più facilmente
tra numero di grafemi da memorizzare e naturalezza delle unità individuate; inoltre, il fatto
informazione fonologica può distrarre il lettore dal rapporto diretto che sussiste tra la
parola grafica e il significato a cui essa rimanda e, considerando che nella maggior parte
dei casi gli utenti di un dato sistema di scrittura conoscono la lingua rappresentata, essi
comunque più democratica delle altre in quanto non c’è bisogno di conoscere tutte le
parole di una lingua per sapere come bisognerà trascriverle, cosa che invece succede,
per esempio, in Cina: quanti più caratteri uno conosce, quanto più colto viene
134 Vachek, J., Written language. General problems and problems of English, La Haye, Mouton, 1973, p. 22.
135 Gleitman, L., Rozin, P., “The structure of acquisition in reading”, in Reber, A. S., Scarborough, D. L.,
Towards a psychology of reading, Hillsdale, New Jersey: Lawrence Erlbaum Associates, 1977, citato da
Martlew, M., “The development of writing: Communication and Cognition”, in Coulmas, F., Ehlich, K., op. cit., p.
261.
136 Come dimostrerebbe poi l’affermazione di Coulmas riguardo alla facilità di apprendimento dei kana
giapponesi, v. nota 127. Nonostante tutti riconoscano la sillaba come unità del linguaggio, l’affermazione della
sua importanza nella teoria fonologica è stata controversa lungo tutto il XX secolo; una trattazione molto
esauriente al riguardo si trova in Vogel, I., La sillaba come unità fonologica, Bologna, Zanichelli, 1982.
81
considerato, visto che ad ogni concetto corrisponde un carattere o una coppia di caratteri;
ortografie alfabetiche: quelle storiche, come l’inglese e il francese, fanno un grande uso
rimanda a una conoscenza, reale o solo supposta, della parola greca dalla quale deriva,
un certo grado di istruzione per sapere come scrivere scienza, specie, fattispecie,
prospiciente (parole che mantengono il grafema <i> del latino, inutile in italiano) o come
grafemi ambigue come <gn> e <gli>) o pudico, pedagogo, infido (parole che non
segnalano l’accento tonico e tendono a essere pronunciate sdrucciole invece che piane);
Alberto Mioni riporta come i due africanisti francesi M. Houis e P. Lacroix, durante due
si sentirono chiedere da alcuni delegati africani: “Perché queste grafie non hanno tutte
quelle belle lettere inutili e quelle regole complicate che ci sono in francese e in inglese e
se c’è la volontà di discriminare, qualsiasi sistema di scrittura scelto può servire bene allo
137 Mioni, A., “Conoscenze, memorie e riti della scrittura e della parola. Continuando il viaggio di Giorgio R.
Cardona”, articolo presentato al IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata
(AITLA), Pescara, 20 febbraio 2009, p. 7n.
82
2. Scrittura e percezione del linguaggio
linguaggio privilegiata (a scapito della sillaba, del morfema, della parola). Tra i linguisti,
coloro che sostengono la superiorità del principio alfabetico sono spesso anche quelli che
liquidano il problema della scrittura come esterno al campo di studio della linguistica e
che hanno visione fonocentrica dei fenomeni del linguaggio. Se la scrittura non svolge
nessun’altra funzione se non quella di annotare la lingua orale, quale sistema può essere
migliore di quello alfabetico e quale ortografia migliore di quella trasparente, nella quale a
ogni grafema corrisponde uno e un solo fonema e viceversa? Eppure, nella pratica,
miste come quella inglese e francese, difettive come l’abjad arabo, a base logosillabica
come lo script cinese, sono tra le scritture più diffuse e conosciute al mondo. Inoltre
bisogna ribadire che per molti il fonema non è un’unità intuitiva e che sarebbe proprio
che hanno cominciato a farne uso. Il concetto stesso di fonema, fondamentale nella
linguistica odierna, la stessa che esclude la scrittura dai suoi ambiti di interesse, non
ability as a human skill may have been a direct result of (rather than an impetus to) the
Greek development of alphabetic writing. Thus, the existence of alphabetic writing can
not be taken eo ipso as an evidence for the cognitive naturalness of the segmentation
that it reflects. (…) we as linguists feel that, because we can describe linguistic system in
terms of phonemic segments, we must do so. (…) [E]very technical linguistic tradition that
refers to segments arose in an alphabetic milieu (…). In contrast, the indigenous Chinese
linguistic tradition (…) has as phonological primitives syllables initials and finals, that is,
onsets and rhymes. This analytical division is not supported by the logographic Chinese
83
orthography, a lack which strengthens the force of the analysis 138”. Tutta la tradizione
linguistica occidentale sarebbe stata influenzata quindi dal sistema di scrittura utilizzato.
La visione costante di una serie di simboli corrispondenti a fonemi della lingua, disposti
teorie autosegmentali che analizzano il flusso del parlato come una compresenza di
elementi diversi, non come una serie sequenziale. Una volta assimilato e interiorizzato il
funzionamento del proprio script, è difficile scindere il piano grafico e il piano fonico e si
tende a interpretare la scrittura come una rappresentazione fedele della lingua orale,
venendo così a formarsi una visione ingenua dei rapporti tra orale e scritto: è come se il
valore fonico dei grafemi fosse intrinseco, cosicché, per esempio, per un italiano sia
normale che <i> si pronunci /i/ e che veda come una stranezza che in inglese quella
stessa lettera si chiami /aɪ/; si tenderà a credere che ad ogni segno di punteggiatura
debba corrispondere una pausa e che, siccome si scrive un grafema dopo l’altro, così i
fonemi si dispongano uno dopo l’altro. Si penserà poi che, con la stessa facilità con cui si
possono scomporre le parole grafiche così si possano separare i fonemi. In realtà diversi
138 Faber, A., “Phonemic segmentation as epiphenomenon: Evidence from the history of alphabetic writing”, in
Downing, P., Lima, S. D., Noonan, M., op. cit., p. 127.
84
esperimenti hanno dimostrato che la percezione del fonema, pur avendo una certa realtà
psicologica, segue sempre quella della sillaba di cui fa parte139. Il fonema non è scindibile
dalla sillaba, chiunque può verificare questo fatto empiricamente: registrando la propria
spettro vocale, si potrà ottenere un grafico in cui sarà possibile identificare una porzione
un grafico come
qui di fianco. Il
software ci permette
di evidenziare solo
e di ascoltare il suono
corrispondente; ci
accorgiamo però che non ci è possibile udire distintamente qualcosa che assomigli a /b/
o ad /a/ in isolamento: o sentiamo /ba/ oppure uno strano riverbero elettronico. Quindi, a
livello fonetico, una sillaba non è scomponibile, lo è solo a livello di astrazione. Usando
una metafora visiva, è come se parlassimo di colori: sappiamo che il verde si ottiene
unendo blu e giallo, ma non per questo, vedendo qualcosa di verde, riusciamo a
scomporlo in due pigmenti diversi. Gli studi sulla consapevolezza fonologica che hanno
confrontato più lingue non sono molto numerosi ma quelli di cui siamo in possesso
139 Foss, D. J., Swinney, D. A., “On the Psychological Reality of the Phoneme: Perception, Identification and
Consciousness” in Journal of Verbal Learning and Verbal Behavior, n. 2, 1973, pp. 246-257.
140 Uno dei più semplici e diffusi è PRAAT.
85
onsets and rimes precedes the development of phonological awareness of phonemes 141”.
formate da una sillaba o da un fonema (es. dog, I), da due sillabe o da due fonemi
(dinner, my), da tre sillabe o tre fonemi (president, book). Il 46% dei bambini di 4 anni, il
consapevolezza fonologica della sillaba; solo i bambini di 6 anni avevano già imparato a
leggere e a scrivere. Invece, lo 0% dei bambini di 5 anni, il 17% di quelli di 5 anni e il 70%
Secondo Miller, sia la sillaba sia il fonema fanno parte della competenza linguistica
implicita del parlante, ma solo la sillaba fa parte anche della competenza esplicita e
questo spiegherebbe l’ubiquità, presso le diverse culture, dei sillabari e la relativa scarsità
degli alfabeti (come creazioni spontanee)144. Daniels fa notare che tutti i sistemi di
hanno seguito un percorso che li ha portati da essere logografie a essere sillabari (ma
141 Goswami, U., “Orthography, Phonology and Reading Development: A Cross-Linguistic Perspective”, in
Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., op. cit., p. 463.
142 Liberman, I. Y., Shankweiler, D., Fischer, F. W., Carter, B., “Explicit syllable and phoneme segmentation in
the young child”, in Journal of Experimental Child Psychology, n. 18, 1974, pp. 201-212.
143 Cossu, G., Shankweiler, D., Liberman, I. Y., Katz., L. E., Tola, G., “Awareness of phonological segments and
reading ability in Italian children”, in Applied Psycholinguistics, n. 9, 1988, pp. 1-16.
144 Miller, D. G., op. cit., p. 103.
145 Daniels, P. T., “The Invention of Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., p. 585; un’eccezione è
l’alfabeto N’ko, v. nota 274.
86
suoi collaboratori, la consapevolezza fonologica è indispensabile per imparare a leggere
Se accettiamo l’ipotesi che lo script utilizzato influenzi i giudizi linguistici dei parlanti,
culture che utilizzano scritture diverse. Un articolo di Cho & McBride dimostrerebbe che
per i bambini coreani, nell’imparare a scrivere nella loro lingua materna (e quindi
quando gli stessi bambini si ritrovano ad imparare l’inglese come seconda lingua, allora
strategie cognitive degli utenti e i loro giudizi metalinguistici; allo stesso tempo,
anche la stessa struttura linguistica in gioco a far scattare strategie fonologiche diverse:
una lingua indeuropea come l’inglese, che presenta spesso gruppi consonantici
complessi, si presta meglio ad analisi fonologica, in contrasto con lingue come il coreano
e il cinese, con una struttura sillabica più semplice. Nella linguistica cinese, problemi
relativi a singoli fonemi sono stati discussi solo dopo il contatto con il pensiero linguistico
sillaba era molto spesso 1:1:1:1. Vista la situazione, non era necessario inserire uno
146 Booth, J. R., Perfetti, C. A., Mac Whinney, B., “Quick, automatic and general activation of orthographic and
phonological representations in young readers”, in Developmental Psychology, n. 35, 1999, pp. 3-19.
147 Morais, J., Cary L., Alegria J., Bertelson P., Does awareness of speech as a sequence of phoneme arise
spontaneously?, in Cognition, n. 7, 1979, pp. 323-331.
148 Cho, J-R., McBride-Chang C., “Levels of Phonological Awareness in Korean and English: A 1-Year
Longitudinal Study”, in Journal of Educational Psychology, vol. 97, n. 4, 2005.
87
spazio per dividere le parole, in quanto esso equivaleva allo spazio tra i caratteri. Tuttora
esistono moltissime parole che sono almeno bisillabiche149. Nei loro giudizi
frase, in quanto tendono a far corrispondere, ancora, la parola con il carattere, anche se
differente. Noam Chomsky e Morris Halle, nella loro opera The Sound Pattern of English
(1968), forse per un eccesso di zelo nel ricercare una regolarità sistematica nell’ortografia
inglese, particolarmente opaca, arrivano a dire che essa è una rappresentazione ottimale
della forma soggiacente del lessico inglese. Per esempio, a loro parere, la grafia della
parola courage, con <c> invece di <k>, è giustificata dalla forma soggiacente coræge in
quanto c è un simbolo che appare in una classe designata di forme the sottostanno a
certi processi fonologici e sintattici (ovvero i prestiti greci e latini)150. Secondo noi, invece,
qui il rapporto è stato rovesciato. La parola courage si scrive così per ragioni innanzitutto
la visione dei due linguisti a essere influenzata dall’ortografia, non quest’ultima a essere
modo più o meno corretto e più o meno decisivo, ma è anche vero che qualsiasi sistema
di scrittura che sia stato inventato nel corso della storia non avrebbe visto la luce se non
posseduto un concetto molto simile a quello di fonema, come avrebbero potuto isolare i
fonemi della loro lingua? E che dire dell’elegante e sofisticata analisi fonologica
soggiacente alla struttura del devanāgarī? Secondo Miller, nella creazione della Lineare
149 Coulmas, F., “Writing and literacy in China”, in Coulmas, F., Ehlich, K., op. cit., pp. 240-248.
150 Chomsky, N., & Halle, M., The sound pattern of English, New York/Evaston/London, Harper & Row
Publishers, 1968, pp. 47-49.
88
B e del sillabario cipriota si sarebbe tenuto conto della Scala di Sonorità151, mentre
principio dell’ordine articolatorio: prima le labiali <f> e <u>, poi la dentale <þ>, le centrali
<a> e <r>, le velari <k> e <g> e poi l’ordine ricomincerebbe, sempre nella sequenza
Secondo altri, invece, l’ordine della serie runica sarebbe legato a delle tecniche di
memorizzazione (es. cantilene, filastrocche, acrostici, ecc.) , un po’ come l’ordine seguito
dalla scrittura fenicia e quindi dall’alfabeto greco. Al di là che l’ipotesi di Miller sia esatta o
meno, quello che lo studioso vuole dimostrare è che la capacità dell’essere umano di
analizzare il linguaggio non è così limitata da dover essere per forza successiva
immediata, ma non impossibile, altrimenti non si sarebbe mai arrivati alla creazione di un
alfabeto. Ad ogni modo, anche Miller concorda sulla maggiore salienza della sillaba e
infatti afferma che “[s]ince (…) syllables are readily accessible (explicit/conscious) to very
script would be a syllabary without the disadvantages of a syllabary, i.e., one that can
represent [stra] in some more efficient way than sa-ta-ra. (…) [A] good writing system
structure of words (plus a way of representing phrases). One of the closest to the ideal of
3. Vantaggi
Vantaggi e svantaggi dei diversi sistemi di scrittura
secoli successivi alla sua prima apparizione è dovuto solamente a pregiudizi etnocentrici,
approcci linguistici e cognitivi falsati dal sistema di scrittura occidentale e alla supremazia
anglosassone nel campo dei software e del World Wide Web? Effettivamente, fino a poco
tempo fa, lo script latino veniva considerato come lo script neutro, non marcato, l’unico da
economiche: prima della diffusione su larga scala del computer e di internet, lo script
latino era l’unico che non poneva problemi tipografici. Alcune scelte ortografiche si
devono a questioni puramente economiche: per esempio, in malgascio, /i/ finale è notata
<y> perché le tipografie dei missionari adottarono questa convenzione per servirsi dei
piombi di <y>, che non sapevano come impiegare altrimenti154. Oggigiorno, grazie alla
diffusione dei font, è virtualmente possibile adottare qualsiasi script o inventarlo ex novo.
Oltre a questo, se qualche tempo fa in rete predominavano le pagine in script latino, ora
entrano in concorrenza con numerosi siti che usano lo script cinese, giapponese, cirillico,
ecc. Al di là del prestigio culturale, dunque, rimane qualche pregio all’alfabeto? Noi
crediamo di sì. Il fatto che la sillaba sia un’unità percettiva più saliente è assodato, quindi
uno script ideale, se esiste, dovrebbe basarsi su di essa. Ma i sillabari hanno sempre
come il tedesco o il russo ci vorrebbero inventari sconfinati. Il devanāgarī usa dei grafemi
per le singole vocali e dei grafemi per le consonanti con vocale inerente /ə/ (traslitterata
<a>); per segnalare sillabe dove la vocale non è /ə/, si serve di diacritici o aste da porre
grafema consonantico, a
rappresentare. Per le sillabe complesse come CCV o CCCV si serve di legature , ovvero
simboli derivati dall’unione di due o più grafemi consonantici, ma come si può notare
dall’immagine qui sopra, non è sempre facile ricostruire il modo in cui sono stati
chiamato virāma, per segnalare il fonema consonantico in isolamento, es. t` /t/, mentre t
/tə/. In modo simile funziona anche l’abugida Ge’ez dell’Etiopia. Gli abugida, rispetto ai
tra le diverse sillabe, ovvero, una volta considerato un sillabogramma specifico, si può
chiaramente individuare quale parte di esso riconduca alla consonante e quale parte alla
vocale. La Lineare B (che era un vero sillabario, non un abugida) non attuava questa
tecnica, ad esempio i simboli per /ka, ke, ki, ko, ku/ non avevano niente a che fare,
Per quanto sofisticati, gli abugida sembrano, almeno a noi occidentali, delle
soluzioni più complicate del nostro alfabeto. Il vantaggio di avere un numero ridotto di
155 Masica, C. P., The Indo-Aryan languages, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 161-162.
91
grafemi da imparare a memoria e il non dover ricorrere a complicate notazioni, poco
visibili, poco salienti e poco distinguibili, per segnalare vocali, omissioni di vocali, gruppi
parole che non fanno parte della struttura della lingua ad esso legata. Inoltre, come
l’alfabeto, utilizza dei grafemi poco salienti e come un sistema logografico, ha spesso
moltissimi simboli di cui tenere conto. I sistemi a base logografica hanno il problema
e scrivere abbastanza bene tutte le parole della sua lingua entro la fine della scuola
deve essere in grado di memorizzare non un solo sistema, ma ben tre: i kanji, gli
hiragana e i katakana, oltre che, più avanti, l’alfabeto latino per l’apprendimento della
lingua inglese. Uno dei vantaggi della scrittura cinese è il suo essere interdialettale: la
sistema di scrittura che condividono, che è lo stesso (con alcune differenze) per tutti.
Questa è una delle ragioni che ha permesso la conservazione dello script cinese fino ad
oggi, d’altronde, “[a]n exclusively sound-related writing system is of little value to the
person who does not understand the language written by that system156”. Se il principio
alfabetico è quello più adatto quando si tratta di trascrivere parole di lingue diverse dalla
propria, quello logografico funziona meglio per mantenere l’unità culturale in una nazione
in cui non tutti condividono la stessa lingua (le differenze dialettali sono più che altro a
Fra tutte le soluzioni mai inventate per trascrivere una lingua, probabilmente quella più
156 Coulmas, F., “Writing and literacy in China”, in Coulmas, F., Ehlich, K., op. cit., p. 246.
92
sofisticata ed elegante è il già citato hangŭl coreano, che unisce i pregi dell’alfabeto con
parlato molto più realistica ed iconica di quanto non si abbia con i singoli grafemi degli
alfabeti occidentali. Come è stato già spiegato, i segni consonantici dell’hangŭl (o almeno
alcuni di essi) hanno una forma che richiama la loro pronuncia, ma per ora nessuno si è
ancora espresso, per quanto sappiamo, sulla reale utilità di questa scelta; le forme sono
ormai così stilizzate che difficilmente se ne terrà conto nella lettura. L’hangŭl inoltre è in
grado di rendere graficamente, in modo elegante, anche sillabe complesse (es. ssang ,
balp ), non sarebbe perciò eccessivamente legato al proprio linguistic fit come invece i
sillabari e gli abugida, con qualche aggiustamento potrebbe trascrivere anche parole
inglesi come crest, struggle, stranded, ecc. Fatto sta che a tutt’oggi l’hangŭl è utilizzato
solo in Corea, dove peraltro coesiste con una serie di ideogrammi cinesi. Quando fu
maggiore facilità di apprendimento rispetto alla scrittura cinese rischiava di far perdere ai
nobili la loro superiorità culturale, in quanto il saper scrivere non sarebbe più dipeso da
faticosi anni di studio, come accadeva con gli ideogrammi, bensì sarebbe bastato molto
meno tempo e molto meno sforzo. L’hangŭl si diffuse solamente sotto la dominazione
coreana; non quindi per i suoi pregi intrinseci, ma per questioni politiche157.
Se concludiamo che l’hangŭl sia lo script migliore, quello che più si avvicina
all’ideale, non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di un alfabeto, anche se è
(idealmente) ogni fonema della lingua. Ma è proprio necessaria tutta questa informazione
157 Oggigiorno, in Corea del Nord si utilizza solo l’hangŭl, mentre in Corea del Sud è ancora in uso un numero
limitato di logogrammi di origine cinese.
93
fonologica? Non basterebbe una componente logografica e una chiave, un indizio per la
pronuncia, come per esempio succede in un sistema misto come quello giapponese? La
senza uscita. In fondo, qualsiasi sistema di scrittura venga scelto, ci sono dei pro e dei
contro non indifferenti e il fatto stesso che esistano e vengano utilizzati tutti i giorni da
gioco criteri diversi che spesso entrano in opposizione tra loro. Ne considereremo
quattro:
Secondo il primo criterio, quello della massima distintività, lo script latino sarebbe
uno dei meno funzionali, in quanto le differenze tra i diversi caratteri non sono molto
evidenti ed è facile confondere l’uno con l’altro; lo stesso si potrebbe dire per l’abjad
arabo. Tutto al contrario, gli ideogrammi cinesi, i geroglifici egizi o i simboli maya si
distinguerebbero tra loro con molta facilità, grazie anche al loro carattere più o meno
<ancdejag>.
sarebbe il più veloce da memorizzare, mentre ci vogliono diversi anni per imparare le
94
Secondo il criterio della facilità di riproduzione, la semplicità dei grafemi utilizzati
viene considerata come uno dei fattori più importanti. Anche in questo campo, gli alfabeti
risultano essere i più semplici (almeno nelle loro varianti a stampa e maiuscole; il corsivo
necessario al trasferimento dal piano orale a quello scritto e viceversa richiesto dallo
script. Basandoci sui dati psicolinguistici più recenti, abbiamo già visto come, per un
individuo l’associazione più semplice sia quella immagine grafica – concetto o parola; un
po’ meno semplice è quella immagine grafica – morfema, ancora meno semplice
immagine grafica – sillaba e infine, la più difficile: immagine grafica – fonema. Più sale il
livello di astrazione, più aumenta lo sforzo cognitivo richiesto. Da questo punto di vista,
l’alfabeto sarebbe quindi il sistema più complicato e la pittografia quello più semplice.
un’ipotetica riforma ortografica, perché ovviamente ci sono anche gli altri tre criteri da
considerare. Difficile scegliere quale di questi sia il più importante e probabilmente non si
• il punto di vista del parlante nativo vs il punto di vista del parlante non
nativo.
un’unità di significato, una “visual Gestalt158”. Che il disegno della parola sia composto dai
lettore, fintanto che il suo lessico ortografico mentale viene attivato dal riconoscimento
logografie e nelle ortografie opache. Per chi legge, i criteri di massima distintività e
massima naturalezza sono estremamente utili, mentre chi scrive probabilmente si trova
più a suo agio con un numero di simboli ridotto e di facile riproduzione159. Allo stesso
modo, per un parlante nativo non sarà necessaria un’informazione fonologica dettagliata,
parola; ad esempio, Bentin160 avrebbe dimostrato che in ebraico le decisioni lessicali non
sono basate su un’analisi fonologica dettagliata: “lexical decisions for the unvoweled
ambiguous strings [a]re faster than lexical decisions for either of their voweled (…)
alternatives. (…) lexical decisions for Hebrew unvoweled words occu[r] prior to the
process of phonological disambiguation161”. Per una persona che non conosce la lingua
minore (basti pensare all’esempio fatto poco fa della frammentazione dialettale in Cina),
mentre per chi sta imparando la lingua trascritta come L2 un’indicazione dettagliata della
pronuncia sarà desiderabile; tenere conto anche delle esigenze dei parlanti non nativi
però sembra un lusso che difficilmente ci si potrà permettere nel riformare o creare
punto rimane il dubbio se andare incontro alle esigenze di chi legge o di chi scrive.
propendere dalla parte del lettore, infatti, come dice Sampson, “[a]ny literate adult, even a
professional author, reads far more than he writes; so if (…) the ideal script for a reader is
a somewhat unphonemic script, (…) the balance of advantage has been tending to move
159 Cfr. Sampson, G., Writing systems, London, Hutchinson, 1985, pp. 204-213,
160 Bentin, S., Bargai, N., Katz, L., “Orthographic and Phonemic Coding for Lexical Access: Evidence from
Hebrew”, in Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory & Cognition, n. 9, 1984, pp. 353-368.
161 Bentin, S., Frost, R., “Processing Lexical Ambiguity and Visual Word Recognition in a Deep Orthography”, in
Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory & Cognition, n. 25, 1987, pp. 13-23, citato da Frost, R.,
“Orthography and phonology: The psychological reality of orthographic depth”, in Downing, P., Lima, S. D.,
Noonan ,M., op. cit. p. 262.
96
towards the reader and away from the writer: extra trouble in writing a single text can now
be massively repaid by increased efficiency of very many acts of reading that text. (…) [I]t
is worth spending more time nowadays to learn an orthography, if the extra time is the
cost of acquiring a system that is relatively efficient once mastered, because the period
during which the average individual will enjoy mastery of an orthography is now longer
accessibile a tutti anche a livelli superiori. Ma basta pensare all’Africa perché l’ago della
bilancia si sposti decisamente dalla parte dello scrivente: un’ortografia troppo complicata
tempo e di denaro eccessivo per un bambino africano medio. La scelta finora adottata
nella maggior parte dei casi in territorio africano, ovvero quella di attenersi a scritture a
complicazioni si hanno per il fatto che spesso ai bambini africani viene insegnato a
sono quasi sempre l’inglese e il francese. Le ortografie di queste due lingue, per quanto
con elenchi di eccezioni e casi particolari), consistono in sistemi misti, con componenti di
quelle che abbiamo definito nel primo capitolo ortografie opache. Generalmente
recentemente rivalutate alla luce di dati linguistici e psicolinguistici. Vedremo ora le loro
divenuto la lingua franca mondiale, tanto da essere ormai materia di studio obbligatoria in
tutti i sistemi scolastici. La sua conoscenza è ormai un sine qua non per trovare lavoro
all’estero e anche per l’esercizio di molte professioni nel proprio paese. Claude Hagège
individua, tra le ragioni del successo dell’inglese (a scapito del francese, che ha perso il
suo ruolo di lingua di cultura europea) l’assenza di diacritici163 e anche Josef Vachek
cediglie, dieresi, ecc. si paga in lettere superflue, grafie diverse su base lessicale per
essere considerato ottimale secondo il criterio della facilità di riproduzione, sia che si tratti
di scrittura informatica (non c’è bisogno di particolari tipi di tastiera o di inserire caratteri
speciali con complicate combinazioni di tasti) sia che si tratti di scrittura a mano (non c’è
bisogno di staccare la penna dal foglio, se non per lo spazio tra le parole; scrivendo in
una qualche lingua slava, invece, sarà necessario fermarsi molte volte per aggiungere
segni diacritici; Nina Catach segnala che in francese, negli usi privati, spesso gli accenti
163 Hagège, C., Le français et les siècles, Paris, Odile Jacob, 1987, pp. 226-232.
164 Vachek, J., Written language. General problems and problems of English, La Haye, Mouton, 1973 p. 49.
98
sono neutralizzati in un unico diacritico, l’accento piatto, o addirittura abbandonati165).
quella italiana) è la sua oggettiva difficoltà, non solo per gli stranieri che si trovano a
doverla imparare come ortografia seconda, ma anche per i madrelingua. La visione più
diffusa e condivisa presso gli stessi inglesi è che ci fosse un qualche periodo storico,
caotico coacervo di grafie irrazionali166. Questo quadro non è poi così lontano dalla realtà.
normanna la grafia inglese fosse più stabile e più vicina alla realtà fonologica. Più o meno
in concomitanza con l’inizio del periodo che viene convenzionalmente chiamato Middle
grafiche del francese167. Allo stesso tempo, alcuni suoni andavano scomparendo o
modificandosi ma la grafia non teneva conto di tali cambiamenti, es. nella parola night il
digramma <gh> serviva per rappresentare il fonema /x/ che però cominciava a
scomparire (modificandosi prima in /ç/); il sistema era poi instabile, a /x/ potevano
corrispondere, sul piano grafico, <h, з, g, зh, gh, ch>; inoltre la lettera yogh <з>, che
talvolta appariva come <ʒ>, oltre che per /x/ poteva stare anche per /j/, solo dopo il 1300
venne rimpiazzata, a seconda dei casi, da <gh> o da <y>168. I prestiti dal francese non
il Medio Evo sono perfettamente anglicizzati nella grafia: royal, gentle, chance, danger
grafici come <ch> per indicare /tʃ/ (al tempo aveva questo valore anche in francese, oggi
invece vale /ʃ/) e <cw> venne sostituito da <qu>. L’aggiunta di grafemi superflui non fu
dovuta solo all’invasione francese, ma anche ai copisti e agli scribi: questi erano pagati a
seconda della quantità di inchiostro che utilizzavano e perciò avevano ogni interesse
momento iniziò un particolare fenomeno linguistico che durò per altri due secoli
conosciuto come il Great Vowel Shift. In breve, si ebbe un innalzamento di tutte le vocali,
[ɛː] > [eː] > [iː], es. east [ɛːst] > [iːst];
[aː] > [æː] > [ɛː] > [eː] > [eɪ], es. name [naːm] > [neɪm];
[æj] > [æːi] > [ɛːi] > [ɛː] > [eː] > [eɪ], es. day [dæj] > [deɪ];
[ɔː] > [oː] > [oːu̯] > [oʊ̯] > [əʊ̯], stone
es. [stɔːn] > [stəʊn];
know
[ɔu̯] > [ou̯] > [oː] > [oːu̯] > [oʊ̯] > [əʊ̯], es. [nɔu] > [nəʊ];
[eu̯] / [iu̯] / [ɛu̯] > 172 , es. new [neu] > [njuː];
[juː]
[o] > [ɔ] > [ɒ], es. fox [foks] > [fɒks];
Il Great Vowel Shift spiega in gran parte come mai i grafemi vocalici dell’inglese
hanno oggi dei valori così diversi rispetto a quelli che hanno in tutte le altre lingue
europee e si sono ritrovati a corrispondere, a seconda dei casi, alla free pronunciation o
alla checked pronunciation dei fonemi vocalici (ovvero, alla pronuncia rilassata o a quella
tesa). Nella maggior parte dei casi la free pronunciation viene segnalata con un grafema
diacritico <e>: si confrontino mat /mæt/ vs mate /meɪt/, bit /bɪt/ vs bite /baɪt/, con /kɒn/ vs
tone /təʊn/, ecc. Questo uso diacritico di <e> ha però fatto sì che si creasse una
mancanza di isomorfismo tra la sillaba grafica e la sillaba fonica, in quanto spesso parole
di due sillabe grafiche corrispondono a una sola sillaba fonica, es. make /meɪk/, take
Per giunta, a partire dal Rinascimento fino al XVIII secolo, vennero introdotte in
numero cospicuo una serie di grafie etimologizzanti di origine greca e latina, che
andarono a sostituire grafie fonologiche già in uso: così cors divenne corpse, langage
divenne language, doute divenne doubt, samon divenne salmon, ecc. Questioni estetiche
<e> per aggiustare i margini di riga: doe, goe, heere vs do, go, here. Una volta che si
stabilì uno standard tipografico, gli insegnanti ebbero finalmente un modello ortografico
meno dello spelling diventò la maniera più facile e veloce per misurare il livello di
Nell’ultimo secolo molti studiosi hanno studiato a fondo l’ortografia inglese per
Venezky nel 1970 pubblica The Structure of English Orthography, opera dove egli tenta
punti interessanti:
mentre nei composti e nei derivati è più che altro morfofonologica; per
Più avanti si riflette sul fatto che molti educatori insistano sul principio che i primi
tra grafemi e fonemi. I risultati portati dagli psicologi al riguardo sono spesso
contraddittori. Venezky sottolinea che “in the unpredictable class [of patterns], the low-
interiorizzare che l’ortografia funziona sempre allo stesso modo e si potrebbe ostinare a
risulti, senza ovviamente che questo fosse previsto, spesso utile. L’esempio più diffuso è
quello della distinzione degli omofoni, come write vs rite vs right vs Wright; quattro parole,
pronunciano tutte /raɪt/ ma che la grafia permette di distinguere. In questo modo, come
dei morfemi visivi, per usare il termine di Bolinger, queste parole grafiche parlano
del testo. Come avevamo già accennato, Chomsky & Halle177 trovavano l’ortografia
inglese una buona rappresentazione della forma soggiacente dei lessemi. Un’ortografia
sarebbe in qualche modo inferiore a quella inglese: la coniugazione del verbo pedir
“chiedere” è soggetta ad un’alternanza morfofonologica per cui il suono /e/ della base
{ped-} diventa /i/ in posizione tonica, ottenendo un paradigma di questo tipo: pido, pides,
pide, pedimos, pedís, piden. Essendo questa trasformazione del tutto regolare e
potrebbe anche concordare con Chomsky & Halle, se davvero l’ortografia inglese fosse
numero di esempi scelti ad hoc. In primo luogo, sembra poco credibile che un parlante
nativo inglese possieda una competenza così fine e dettagliata di tutti i processi
fonologici profondi della propria lingua; in secondo luogo, ci sono numerosissimi casi
dove la presunta profondità dell’ortografia inglese viene meno: si scrive infatti speak ma
speech, collide ma collision, see ma sight, ecc. Albrow179 propone una divisione del
lessico inglese in due classi, di cui la prima convoglia le parole di origine germanica e la
selezionerebbe un numero ridotto di suffissi: -er, -ly, -ship, mentre la seconda avrebbe a
disposizione una scelta maggiore: -ic, -ical, -ity, -orious, ecc. Inoltre, nella prima classe i
consonante in parole polisillabiche) nella prima classe e vocale breve nella seconda
(dove invece la lunghezza vocalica verrebbe indicata da digrammi come <ai, ee, ou,
ecc.>). Albrow fa anche notare come la lunghezza delle parole sia in qualche modo
legata al loro status morfosintattico: le parole lessicali devono essere formate da almeno
tre grafemi, mentre quelle grammaticali possono accontentarsi di uno o due, cfr. see,
bee, odd, cliff vs me, be, a, at, if; il suono [ɪ] viene reso con <i> in un morfema lessicale e
con <e> in uno grammaticale, cfr. solid vs wanted. La teoria di Albrow, per quanto
ribald vs ribbon, entrambe parole di origine germanica dove <i> ha lo stesso valore ma
nella prima parola, irregolare, /b/ è reso da <b> e nella seconda, regolare, da <bb>; per di
più, la selezione dei suffissi non è così coerente, ad esempio, nella parola partnership il
primo elemento partner, viene, attraverso il francese antico partenaire dal latino (partitio,
può essere applicato in maniera sistematica; si pensi a casi come hat, bed, bin, pie
(morfemi lessicali) in contrasto con around, about, very, from (morfemi grammaticali di
Una soluzione che mette d’accordo molti esperti della materia è invece quella di
considerare l’inglese scritto come un sistema che inizialmente era fortemente a base
fonologica, pur con tutte le oscillazioni del caso, e che poi lentamente è andato
assomiglia alla scrittura giapponese, in cui alcuni elementi servono a richiamare l’entrata
104
sue funzioni: una notazione fonologica era assolutamente necessaria in un periodo
storico dove la ragion d’essere di un testo scritto era quella di essere letto ad alta voce;
“[t]he fluent reader reads English or French or German efficiently only insofar as he treats
4.2 L’ortografia
L’ortografia del francese
Un altro immenso capitolo della storia degli studi di grafematica è dedicato al
dell’inglese; prima di tutto, come abbiamo visto, il francese è responsabile di molti dei
normanna, sia indirettamente, grazie al prestigio della cultura francese durante gran parte
dell’Età Moderna. Le storie delle due ortografie poi hanno diversi punti in comune. Anche
il francese avrebbe conosciuto una sorta di periodo ideale, intorno al XII secolo, dove la
grafia rifletteva la realtà fonetica con semplicità e precisione. Si trattava di “une graphie
des jongleurs”181, poeti, cantori e buffoni di corte che, vista la loro professione, erano
interessati a una trascrizione pratica e veloce dei testi di cui si servivano, caratterizzati da
sostituì al latino nella vita pubblica, gli scribi cominciarono ad aggiungere nei testi ufficiali
représenter, au prix de tout cela, quelques lettres superflues de plus ou moins? (…) Et
180 Berry, J., op. cit., p. 10; Berry si riferisce alla possibilità, nella scrittura giapponese di leggere un kanji
secondo la On-yomi (la lettura cinese) o secondo la Kun-yomi (la lettura giapponese), in cui quest’ultima
considera il kanji globalmente come collegato direttamente al morfema lessicale, mentre la prima si basa sulla
resa fonologica (un’approssimazione della pronuncia cinese antica di quel carattere).
181 Fournier, P., “Sur l’origine des complications de l’orthographe française”, in Le français moderne, n. 8,
1940, p. 258.
182 Beaulieux, C., Histoire de l’orthographe française, tome I : La formation de l’orthographe, Paris, Champion,
1927, p. 47.
105
cela d’autant plus que les scribes (…) les farcissaient, ces écritures, d’abréviations,
era più in prestigio che in denaro. Importante fu anche l’influenza del latino: da una parte,
influenzasse quella delle neonate lingue romanze; dall’altra, c’era anche una volontà
ostentare la presenza di lettere etimologiche non più pronunciate era un modo per
conferire al francese lo stesso prestigio del suo antenato. Tra i problemi principali
- il francese, /E/ in sillaba aperta può realizzarsi come [e], [ɛ] o [ə],
che si trova a metà tra [e] e [ɛ] e che di solito appare prima di
[mɛdsɛ̃];
oscillato, per vari secoli, tra diverse soluzioni: <il, ll, ille, y> per il
primo suono e <ign, ingn, ngn, gn, n, ni> per il secondo; oggi /ʎ/
em>, /ɛ̃/ come <in, im, yn, ym>, /ɔ̃/ come <on,m>
o e /œ̃/ come
<un, um>, per non citare poi tutti i casi eccezionali; inoltre, nella
meno, facendo sì che le grafie <in, im, yn, ym, un, um>
107
- in generale, si fa un largo uso di grafie distintive utilizzando
dall’arabo ninufar).
Al di là delle corrispondenze tra grafemi e fonemi, uno degli aspetti più salienti
dell’ortografia francese, in rapporto alla lingua orale con cui è in relazione, è il piano
spesso non c’è differenza tra singolare e plurale e solo l’articolo, il contesto o l’accordo
differenziano nemmeno tra maschile e femminile; nella coniugazione verbale, le prime tre
persone e la sesta hanno quasi sempre la stessa desinenza (e spesso questa coincide
con la marca –Ø). Nel francese scritto, invece, la forma maschile e femminile dei
sostantivi è quasi sempre distinta, il plurale è indicato sempre da <s> finale (che talvolta
molto più che all’orale. Vediamo alcuni esempi: ami “amico” /ami/, amie “amica” /ami/185, il
genere grammaticale cambia, nell’orale non viene segnalato ma nello scritto invece
abbiamo una <e> marca del femminile; nemmeno l’articolo determinativo può aiutare a
disambiguare nell’orale, in quanto in entrambi i casi si ha /lami/, mentre nello scritto l’ami
un ami vs une amie = /œ̃(n)ami/ vs /ynami/; al pluraleles amis “gli amici” vs les amies “le
amiche”, nell’orale è sempre /lezami/; il presente indicativo di parler, verbo regolare della
prima coniugazione, allo scritto distingue le desinenze di tutte le persone (la prima
persona e la terza però coincidono): je parle, tu parles, il parle, nous parlons, vous parlez,
ils parlent, ma nell’orale è molto diverso: /paʀl(ə)/ alla prima, seconda, terza e sesta
omofono di parler infinito, di parlé participio passato maschile singolare, parlés participio
morfi sottrattivi, per riuscire a spiegare le differenze tra maschile e femminile di molti
aggettivi: /pla/ al maschile diventa /plat/ al femminile, /bɑ/ al maschile diventa /bɑs/ al
processi si parte invece dall’ipotesi che la forma del femminile coincida con la forma
soggiacente del morfema lessicale e che il maschile derivi da essa con un processo di
troncamento186. Tutti questi problemi non si pongono invece allo scritto, visto che il
femminile si distingue dal maschile per l’aggiunta del grafema <e> (con eventuale
Questa diversità notevole tra la morfologia orale e la morfologia scritta del francese ha
normativa o che addirittura fosse un'altra lingua, distinta dal francese orale, ipotizzando
una situazione di diglossia nella comunità linguistica francofona. Nina Catach, ispirandosi
così sistematica, la struttura dell’ortografia francese nella sua interezza. Dalle sue
una serie di arcigrafemi: A, E, I, O, U, EU, OU, AN, IN, ON, UN, ILL, Y, OI, OIN, P, B, T,
leggere l’80-90% dei grafemi del francese, ma il 10-20% composto dalle varianti
grafemi con valore morfologico (che possono avere anche un valore fonologico, ma non
necessariamente); i più importanti sarebbero <e> (marca del femminile) e <s> (marca del
plurale); i logogrammi sarebbero delle sequenze grafiche che vanno considerate nella
loro interezza, come temps, corps, août, ecc. il cui aspetto grafico è spiegabile in
come questi sono abbastanza numerosi in francese: rispetto alle altre lingue romanze, il
francese ha subito delle trasformazioni fonologiche molto più profonde che hanno
semplificato gran parte del lessico, ottenendo un alto numero di parole monosillabiche e
di omofoni; inoltre, la norma grafica tradizionale del francese tende verso la brevità: la
parola francese ha in media quattro lettere, non di più; anche questo dato concorre a
spiegare l’abbondanza delle ridondanze grafiche: c’è bisogno sia di distinguere omofoni
con grafemi diversi sia di distinguere tra di loro possibili omografi, pur mantenendo la
brevità della parola grafica. Con ideogrammi, infine, Catach intende i segni di
187 Catach, N., “Que faut-il entendre par système graphique du français?”, in Langue française, vol. 20, n. 1,
1973, pp. 30-44.
188 Ead., “La ponctuation”, in Langue française, vol. 45, n. 1, 1980, p. 16-27.
110
La particolarità dell’ortografia francese ha creato ovviamente vari problemi per il
suo insegnamento, che tradizionalmente è diviso tra i sostenitori del metodo sintetico e
tra fonemi e grafemi, i secondi invece partirebbero dalla frase grafica come unità da
compréhension sont ici dans un rapport proportionnellement inverse. (…) [I]l est illusoire
graphiques190”.
sono complesse e per essere apprese richiedono tempo e dedizione, in misura molto
spagnolo, ecc. La più complessa tra le due sembrerebbe essere quella dell’inglese, in
(una volta che si ha la forma scritta di una parola, è facile risalire alla sua pronuncia), il
difficile sta nel procedimento inverso, ovvero partire dalla forma orale e arrivare alla sua
(si pensi alla differenza tra but, cut, gut, nut in cui <u> sta per /ʌ/ e put dove sta per /ʊ/).
etimologizzanti, perché si mantengono ancora, nel XXI secolo, epoca in cui, grazie
rispetto a solo un secolo fa? A tutt’oggi, i sostenitori delle riforme sono riusciti ad ottenere
189 Tétart, J.-P., “À propos de la lecture à l’école élémentaire”, in Langue française, vol. 13, n. 1, pp. 95-114.
190 Ibid., p. 96.
111
nordamericano, grazie al lessicografo Noah Webster (1758-1843), oggi si può scrivere
color, flavor, savior senza <u>, traveler con una sola <l>, defense con <s> al posto di
immutata. Questo conservatorismo è dovuto solo della “pigrizia” tipica dell’essere umano
o ci sono altre ragioni? Possiamo ipotizzare che un’ortografia opaca possieda dei
l’inglese non “scrivano come leggono” è dovuto solo a ragioni extralinguistiche o ci sono
anche ragioni strutturali, che stanno anche alla base delle differenze tra queste due
lingue e altre lingue ad esse imparentate ma con ortografie più trasparenti? Cercheremo
4.3.1 Il finlandese
Nella letteratura scientifica, l’esempio più ricorrente di ortografia trasparente è
scritto, all’ideale dei fonocentristi secondo cui ci dovrebbe essere una corrispondenza 1:1
tra grafema e fonema, senza grafemi ambigui o con diversi valori in base al contesto;
l’unica eccezione è il digramma <ng> che serve a notare /ŋː/, ma non è un grande
problema, in quanto non sarebbero possibili letture alternative della sequenza di grafemi
<n> + <g> (per un parlante nativo). Il finlandese utilizza nel suo alfabeto anche alcune
lettere ridondanti che vengono impiegate per trascrivere parole straniere o in nomi propri:
<c, å, q, x, w, z, š, ž> compaiono principalmente in prestiti non adattati, mentre a <b, f> si
preferiscono spesso le grafie <p> e <hv>; <g> è presente in vocaboli nativi solo come
191 http://en.wikipedia.org/wiki/Noah_Webster.
192 Hakulinen, L., The structure and development of the Finnish language, The Hague, Mouton, 1961, pp. 5-
17; cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Finnish_language.
112
parte del digramma <ng>, in tutti gli altri casi si tratta di prestiti. In finlandese, sia la
lunghezza vocalica sia quella consonantica hanno valore distintivo e questo aspetto
viene reso puntualmente anche nella grafia: muta vs muuta vs mutta vs mutaa vs
Come si è ottenuto un tale sistema ortografico, così vicino a quella che potrebbe essere
parlata da più o meno 6 milioni di persone (un numero quindi abbastanza contenuto), con
frammentazioni dialettali minime e che quasi tutti i parlanti sono distribuiti tra la Finlandia
apparizione di una tradizione letteraria in Finlandia: prima del XIX secolo la letteratura
finlandese era praticamente inesistente: la Bibbia e i libri giuridici erano solo in latino o in
nel XVI secolo, basandosi su convenzioni dello svedese, del tedesco e del latino, ma un
vero standard fu raggiunto solo nel 1880, dopo che il finlandese aveva subito diverse e
importanti trasformazione fonologiche (/ð/, /θ/ e /ɣ/ erano passati a /d/, /ts/ e /v~Ø/). Nella
sua forma orale, la lingua standard possiede 13 consonanti e 8 vocali, con una media di
96 consonanti ogni 100 vocali, contro 108 ogni 100 dell’italiano, 117 ogni 100 del greco
antico, 122 ogni 100 dello spagnolo, ecc. Anche in posizione finale in sillaba atona le
vocali conservano il loro valore pieno. Il principio dominante nella formazione delle parole
è quello di evitare qualsiasi fonema di difficile articolazione o che richieda uno sforzo da
parte degli organi articolatori (un riflesso di questa caratteristica è anche l’armonia
vocalica). Una sillaba non comincia mai con un gruppo consonantico. Questo limita molto
le risorse fonologiche e il numero delle radici monosillabiche. Gli unici gruppi consonantici
possibili a fine sillaba sono /lk, lt, lp, ls, rk, rt, rp, rs, nk, nt, np, ns/. Generalmente la
consonante della sillaba seguente è la stessa della precedente e questo non rende
necessaria l’articolazione di tre consonanti di seguito. Nel sistema fonologico nativo del
113
finlandese mancano le sonore /b, d, ɡ/, anche se ultimamente /d/, per influsso di prestiti
(e della grafia) si sta imponendo, mentre le occlusive sorde sono pronunciate in maniera
così lieve che i popoli germanici vicini le interpretano come sonore (in effetti, sembra che
ci sia una breve sonorità all’inizio e alla fine dell’emissione). Con la tendenza dei parlanti
più colti a pronunciare <b, d, g> come /b, d, ɡ/, le occlusive sorde sono diventate di
conseguenza più tese, per mantenere i diversi fonemi distinti. Infatti, visto che moltissime
pronuncia del finlandese richiede una precisione maggiore rispetto a quella di altre lingue
europee (tranne che nelle sillabe finali portatrici di caso, dove la lunghezza non conta
mai). Se confrontiamo la struttura del finlandese con quella del francese e dell’inglese,
del francese;
ecc. Ancora più numerosi sono gli anglofoni (tra chi lo parla come prima
ecc.);
193 Contando sia i parlanti madrelingua (64 milioni) sia coloro che lo parlano come L2 (141 milioni).
194 396 milioni di madrelingua e 955 milioni che lo parlano come L2; non consideriamo in questa sede gli 83
milioni di persone che parlano creoli o pidgin a base inglese e i 34 milioni che parlano creoli o pidgin a base
francese.
114
• il francese e l’inglese hanno una tradizione scritta che risale agli inizi del
1800;
presenti in francese);
• gli unici monosillabi CV con vocale breve in finlandese sono: me, te, he,
se, ne, ja, jo, no, he, ka (rispettivamente: “noi, voi, essi, esso, loro, e, già,
numerosi.
4.3.2 L’italiano
L’italiano, come molte altre lingue, tra cui il tedesco e il sopraccitato finlandese,
deve la sua standardizzazione orale all’imporsi di una norma scritta uguale per tutti,
Lucia (che sarebbe poi diventato I Promessi Sposi), avvertì l’esigenza di “sciacquare i
scritto basato sulla parlata fiorentina spogliata delle caratteristiche locali troppo
piuttosto stabile, questo è un fatto relativamente recente. Dal 1200 al 1400 si assiste
nella produzione scritta della penisola a un alternarsi di grafie in concorrenza dovuto sia
alla mancanza di uno standard grafico condiviso sia alle profonde differenze dialettali che
hanno sempre caratterizzato l’Italia e che continuano a farlo tuttora: <k> alternava con
<c> per rendere /k/, mentre a /ɡ/ potevano corrispondere i grafemi <k, g, q>. Il toscano
occidentale trascriveva /ts/ con <th>, come in vethosa (oggi vezzosa), ma si trovavano
anche <tz> e <cz>. Nel 1300 <k> cominciava a comparire sempre di meno, mentre
prendevano piede <c> e <ch>, con ipercorrettismi come chane per cane. /ɲ/ veniva resa
con <gn> ma anche con <ngn> e <ni>, mentre /ʎ/ appariva trascritta in modi diversi, es.
figlio, figlo, filglio; la variante <lgl> potrebbe essere giustificata dal fatto che in italiano /ʎ/
intervocalico è lungo e polisillabico. Solo Lucca e Pisa distinguevano /z/ da /s/ scrivendo
<z>; nella zona padana <ce, ci> valevano /tse, tsi/, mentre a Genova sihavo si leggeva
/stʃavo/; al sud, <cz> stava per /ts/ e /tʃ/, mentre la scomparsa di <k> aveva reso <ch>
ambiguo, in quanto poteva stare sia per /k/, sia per /tʃ/195. Nel Quattrocento furono
introdotte grafie di tipo etimologico (come accadde in Francia e Gran Bretagna nello
stesso periodo): <ch, ph, th, y>. Sempre durante il Rinascimento, l’umanista Gian Giorgio
Trissino (1478 – 1550) propose di distinguere graficamente /e/ da /ɛ/ e /o/ da /ɔ/
aggiungendo all’alfabeto le lettere greche <ε> e <ω> 196. Trissino voleva anche
differenziare <j> da <i>, <u> da <v>, introdurre <ç> per indicare /ts/ (mentre <z> avrebbe
195 Migliorini, B., Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani, 1994, pp. 146-147 e pp. 206-207.
196 Ibid., pp. 259-260 e pp. 335-336.
116
indicato solo /dz/). Queste proposte non ebbero seguito (i/j e u/v furono distinte solo nel
Seicento). Nel periodo compreso tra il 1300 e il 1700 la lingua insegnata a scuola era
unicamente il latino, tuttavia il prestigio del toscano cominciò a diffondersi in tutta Italia,
tanto che è un’impresa difficile stabilire il reale valore di alcune grafie dei diversi volgari
italiani, perché vanno considerati sia gli influssi del prestigio del latino (grafemi etimologici
toscano, sia, infine, le peculiarità proprie del dialetto dello scrivente. Per esempio, in una
lettera del poeta milanese Gaspare Visconti indirizzata a Francesco Gonzaga e scritta nel
colgono nella preposizione de al posto di di, nei pronomi atoni ridondanti el e la per la
ripresa del soggetto, e poco altro198. Fu verso l’Ottocento che l’ortografia cominciò a
prendere la forma che ha tuttora e con l’Unità d’Italia, la diffusione della scolarizzazione
e, più tardi, l’avvento della radio e della televisione, si raggiunse un’inedita omogeneità
regione. Pur avendo la fama di “leggersi come si scrive”, l’italiano è meno trasparente di
altre ortografie europee: mantiene alcuni resti storici, come <q> in molte parole di origine
latina che contenevano la sequenza /kw/, o come <i> non pronunciata in parole come
scienza, efficiente, deficiente, cielo, ecc. L’accento tonico, pur essendo variabile in
italiano, viene indicato solo sulle parole polisillabiche tronche (e su alcuni monosillabi con
sequenze come –cia, -gia, che sono suscettibili di essere lette sia [tʃia, dʒia] sia [tʃa, dʒa].
197 Lettera riportata da Bongrani, P., Morgana, S. S., “La Lombardia”, in L’italiano nelle regioni. Lingua
nazionale e identità regionali, a cura di Bruni, F., Torino, UTET, 1992, pp. 84-142.
198 De Blasi, N., Piccola storia della lingua italiana, Napoli, Liguori, 2008, pp. 54-55.
117
Il gruppo <gl> sta per /ʎ/ davanti a <i>, ma diventa <gli> davanti a qualsiasi altra vocale e
vi sono parole, di solito di ambito scientifico, in cui <gli> vale /ɡli/, es. glicerina. Il gruppo
<gn> sta per /ɲ/ ma in parole di origine greca o tedesca può anche valere /ɡn/, come in
gnosi, Gneiss. Non è segnalata la distinzione tra timbro aperto e timbro chiuso di <e> se
non in finale assoluta: è /ɛ/ vs perché /perˈke/ma pesca /ˈpɛska/ (frutto) e pesca /ˈpeska/
(sport). Lo stesso vale per le due letture possibili di <o>. Non vengono distinti dalla grafia
nemmeno /i/ da /j/, /u/ da /w/, /s/ da /z/, /ts/ da /dz/. Normalmente l’ortografia segnala la
per scontato che <gli>, <gn> e <sc(i)> stiano per suoni lunghi; nel suffisso di origine
latina –zione il suono reso da <z> è lungo, ma viene considerato errore grave scrivere *<-
zzione>. Parole come camicia, ciliegia, pioggia, buccia, al plurale, non pongono problemi
una regola artificiale per cui <i> rimane quando è preceduta da una sola consonante e
Sorvoleremo su altri problemi minori (citeremo solo qual è, spesso scritto *qual’è ma
e *un pò invece di un po’, anche questo corretto da Word ma tollerato dal suggeritore, il
immediata tra grafia e fonia e un parlante nativo sa quasi sempre come scrivere o come
leggere una parola nuova che non conosce, l’unica difficoltà rimane l’accento tonico non
segnalato (la qual cosa rende più semplice la scrittura della lettura, al contrario del
francese e dell’inglese). Tra le lingue romanze, che oltre l’origine dal latino condividono
anche l’uso dello stesso script, l’italiano è quella che meno si è allontanata
inventario alfabetico anche <j, ñ, x, y>, il rumeno <â, ă, î, ş, ţ> e il francese ha reso
possedere un alfabeto che ancora gli si adattava bene. Definire l’ortografia italiana
non riflesse dalla scrittura non sono pertinenti per tutti i parlanti. /ɛ/ e /e/ entrano in
opposizione distintiva in un numero molto ristretto di vocaboli (es. t[ɛ] “bevanda” e t[e]
“pronome di seconda persona singolare”), e lo stesso vale per /o/ e /ɔ/ (cólto e còlto), /s/
e /z/ (ri[s]entire nel senso di “sentire di nuovo” e ri[z]entire nel senso di “avere a male,
soffrire”), /ts/ e /dz/ (ra[tːs]a nel senso di “genere, stirpe” e ra[dːz]a “tipo di pesce”).
Queste distinzioni inoltre, già poco numerose, non sono condivise dalla maggior parte dei
parlanti nativi. La maggior parte dei dialetti italiani ha un sistema fonologico a cinque
vocali (/a/, /E/, /i/, /O/, /u/); alcuni, come il veneto, ne hanno di più ma con distribuzioni
diverse da quelle del toscano. Il toscano, inoltre, è l’unico in cui la distribuzione di /s/ e di
/z/ non è prevedibile in base alla posizione, infatti ha ca[s]a ma ro[z]a; al Nord, invece, /s/
sud si ha [z] solo nell’ultimo caso (come allofono davanti a consonante sonora). Anche la
realizzazione di <z> varia da regione a regione, senza che questo crei problemi nella
che già fa) i parlanti che più si allontanano dal sistema fonologico toscano; alla luce di
questo, la scelta dell’italiano di non segnalare queste differenze (come invece proponeva
dialettale tocca molto profondamente l’ortografia, infatti uno degli errori più frequenti nella
scrittura (anche di adulti) riguarda la segnalazione delle consonanti doppie: per esempio,
200 Non ci è dato sapere cosa sarebbe successo se la proposta di Trissino fosse stata accettata.
119
un parlante veneto tenderà a segnalarle meno del dovuto, in quanto il suo dialetto (o il
suo italiano regionale) mal tollera le consonanti geminate, mentre magari un laziale
potrebbe essere tentato di notare come geminate anche consonanti che non lo sono
secondo la norma grafica. Altri errori dovuti a differenti sostrati dialettali possono
riguardare la resa grafica di suoni palatali: alcuni parlanti possono confondere <li> con
<gli>, <ni> con <gn>, <si> con <sc(i)>, ecc. Inoltre, il fatto che l’insegnamento dell’italiano
induce i bambini a una notazione ipercorretta dei fenomeni fonetici e possono insorgere
errori come *<nb, np> invece di <mb, mp> dimostrano che il bambino considera il fonema
mentre altri errori, come quelli di segmentazione sbagliata, mostrano che il bambino
scrive ciò che sente, es. *lagenda, *ledicola, invece di l’agenda, l’edicola)201. A differenza
di altre ortografie più o meno trasparenti, l’italiano non si è posto negli ultimi tempi
problemi riguardo a possibili riforme e la tendenza degli ultimi anni è quella di accogliere
utilizzo molto massiccio di <h>, relegato in italiano a funzioni di diacritico. Negli usi privati,
soprattutto dei più giovani, <k> concorre con <ch> per segnalare /k/ o /kː/; <j> viene
talvolta usato, specialmente al centro e al sud, al posto di <gli>, es. er mejo per “il
meglio”, con una grafia che prova a rendere la pronuncia di Roma202. <x> acquisisce un
201 Cfr. Bozzo, M. T., Pesenti E., Siri S., Usai M. C., Zanobini, M., CEO – classificazione degli errori ortografici,
Trento, Erickson, 2000, pp. 101-108.
202 Questo impiego di <j> per /j/ risale però ad abitudine grafiche desuete dell’italiano, in quanto <j> aveva
questo valore fino agli inizi del XX secolo, v. nomi come Jacopo o toponimi come Jesi, Jesolo. Casi in cui <j>
sta per /dʒ/ si hanno solo in prestiti inglesi come jack, jam session, jeans, jolly, joker o in nomi propri come
Jessica. Persistono anche alcuni francesismi in cui <j> rende /ʒ/, come j’accuse, abat-jour. Quando invece si
tratta di <g>, la pronuncia oscilla tra l’inglese e il francese: stage, che andrebbe letto [staʒ], alla francese, viene
spesso interpretato come inglese e pronunciato [steɪdʒ] (parola che esiste in inglese ma che sta per
120
valore logografico, in quanto sta per la preposizione “per”, ma appare anche in altre
parole con valore fonico [per], secondo il principio del rebus (esattamente come nella
scrittura egizia): xdonare, xdono, coxta per perdonare, perdono, coperta. <y> diventa il
grafema per eccellenza dei diminutivi e vezzeggiativi: Susy, Mary, Roby, Tony entrano in
concorrenza con grafie più italiane come Susi, Mari, Robi, Toni; questa preferenza per
<y> rivela senz’altro il prestigio dell’inglese, lingua da cui viene l’abitudine di usare <y> al
posto di <i> in fine di parola e conferma il valore estetico di <y>, in quanto, grazie alla sua
forma più saliente, si presta meglio a usi affettivi (come per gli ipocoristici).
regole di scrittura e lettura, l’Italia viva una situazione assai differente e nonostante da
analfabetismo di ritorno203.
differenza dell’italiano, non mantiene il digramma <qu> per trascrivere /kw/ ma preferisce
usare <cu> in tutti i casi (mentre l’italiano ha quando ma cuoio); <qu> viene quindi usato
“palcoscenico”); vintage, espressione molto di moda negli ultimi anni per indicare indumenti, automobili e
accessori degli anni ’50, ’60 e ’70 tornati in voga, in Italia ha una pronuncia molto curiosa, un misto
anglofrancese [vinˈtæ(d)ʒ], quando l’inglese sarebbe [ˈvɪntɪdʒ] e il francese [vɛ̃ˈtɑʒ]; in prestiti a
dllo spagnolo,
dove <j> starebbe per /x/, la pronuncia corretta viene considerata affettata e di solito <j> non viene letto, es. il
cocktail Mojito, in spagnolo [moˈxito], si preferisce chiamarlo in italiano [moˈito].
203 Giscel (a cura di), Educazione linguistica democratica a trent'anni dalle 10 Tesi, Franco Angeli, Milano, 2007.
121
per /k/ davanti a <e, i>; mentre l’italiano per il suono /ɲ/ usa il digramma <gn> lo spagnolo
ha un solo grafema, <ñ>. Lo spagnolo ha due grafemi perfettamente omofoni, <b> e <v>,
anche la conservazione di <h>, che non corrisponde a nessun fonema e indica una /f/
latina, poi caduta, come in hierro (dal latino ferru(m)) o un /h/ latina come in haber; <h>
ha anche una funzione diacritica nel distinguere parole omofone: hecho, echo; a, ha, ah;
deshecho, desecho; hojear, ojear; haya, aya; rehusar, reusar; herrar, errar; honda, onda;
hizo, izo. Si conserva <x> con valore di /ks/, anche se nella pronuncia spontanea la
origine latina contenenti la sequenza grafemica <sc + i, e> ha portato a una pronuncia
artificiale204 /sθ/ (si confrontino gli esiti conocer, decender, nacer, in cui il suono /s/ è
caduto, con piscina, ascensor in cui si conserva)205. Fuori dalla Spagna (e anche in
alcune zone di essa) <s>, <z> e <c + e, i> sono omofoni e stanno per /s/ (mentre in
castigliano standard <z> e <c + e, i> stanno per /θ/). Tendenzialmente, /x/ si indica con
<g> davanti a <e, i> e con <j> in tutti gli altri casi ma ci sono eccezioni alla regola. Il
fonema /ʎ/ ormai è in recessione e tende a neutralizzarsi con /j/, cosicché le grafie <ll> e
meno che non si tratti di una parola piana; in conseguenza a questo, quando legge, uno
spagnolo sa sempre come pronunciare una parola (può avere dei dubbi nella scrittura,
nel caso di fonemi come /b/, /j/, /x/, /s/). È importante sottolineare due aspetti notevoli
dell’ortografia spagnola:
204 Si tratta di un caso di spelling pronunciation (v. il paragrafo 5.1 di questo capitolo).
205 Morreale, M., “La (orto)grafía como tropiezo”, in Blecua, M. J., Gutiérrez J., Sala L., op. cit., pp. 189-197.
122
Brasile), svolgendo un ruolo coesivo per le diverse varianti locali; queste
Juan Ramón Jiménez e di Gabriel García Márquez. Fatto sta che di tanto
representing sounds and you perceive the respects in which they fail to
come mai in ambito ispanofono sia più semplice attuare riforme rispetto a
viceversa e sono in uso alcuni digrammi: <gj, ll, nj, rr, sh, th, xh,
zh>;
• il basco, che usa l’alfabeto latino più il simbolo <ñ> preso dallo
il fatto di poter usare diversi script per la propria lingua che per
etimologica di <â>;
Tra le lingue che utilizzano l’alfabeto cirillico, hanno delle ortografie trasparenti,
mkhedruli, apparso per la prima volta in un’iscrizione in una chiesa in Palestina nel 430
sarebbe l’ideale di un’ortografia profonda, ovvero un sistema ortografico che non tenga
conto solo della fonologia superficiale di una parola ma della sua forma soggiacente.
Abbiamo visto che nelle ortografie opache si danno casi in cui la forma scritta di una
parola coincide con la sua forma soggiacente, per esempio grand in francese, ma ci sono
ortografie dove questo procedimento viene attuato in maniera più sistematica. Gli esempi
tipici sono il tedesco e il russo, il primo usa lo script latino e il secondo quello cirillico. Una
volta imparante le regole per leggere e scrivere il tedesco non si incontrano particolari
difficoltà (il 96% dei monosillabi in tedesco può essere letto senza problemi una volta
applicarsi in tutti i casi, alcune regole vanno applicate solo dopo altre. L’ordine con cui
derivazione delle parole. Uno dei criteri principali di cui si tiene conto è quello della
massima somiglianza, per cui un morfema lessicale tende a non modificarsi nello scritto
anche se la sua pronuncia all’orale cambia, in questo modo l’ortografia tedesca “tends to
prevent certain morphological changes since it keeps alive the native speaker’s
208 Holisky, D. A., “The Georgian Alphabet”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., p. 367.
209 Ziegler, J. C., Perry, C., Coltheart, M., “The DRC model of visual word recognition and reading aloud: An
extension to German”, in European Journal of Cognitive Psychology, n. 12, 2000, pp. 413- 430.
125
knowledge about those derivational relations, which could easily be lost if this knowledge
had to be based on the sound system alone210”. L’uso del diacritico per segnalare
l’umlaut è uno dei modi in cui si applica il criterio della massima somiglianza: Haus,
Häuser, Auge, Äugen. Ci si potrebbe chiedere perché non si applica lo stesso principio
completamente di significato i grafemi vocalici, perché qualsiasi segno potrebbe stare per
qualsiasi fonema, si pensi a casi come: trinke – trank – getrunken; ci sarebbe bisogno di
per mantenere l’identità delle singole parole ed evitare di rendere omografe parole già
tendenza a formare parole abbastanza lunghe. In russo i valori dei fonemi vocalici si
modificano in base alla posizione dell’accento tonico nella parola. In particolare, /a/ e /o/
passano a [ʌ] o a [ə] in base alla loro distanza dalla sillaba accentuata, ma questo non
viene riflesso nella grafia. Nella morfologia nominale, il grafema che indica
palatalizzazione chiamato segno dolce <ь> (мягкий знак [ˈmʲæxʲkʲi znak]) viene aggiunto
alle basi in sibilante solo al femminile, per distinguerlo dal maschile. Tuttavia, sia
l’ortografia tedesca sia quella russa mantengono anche delle componenti prettamente
morfofonologico. Inoltre ci sono anche casi dove è prevalso il criterio fonologico, creando
delle asimmetrie nel sistema, per esempio, perché in tedesco si scrive Mann e Männer
ma alt e Eltern? Come tutte le ortografie che hanno una lunga storia, il tedesco e il russo
sono frutto della sedimentazione degli usi di diversi ideatori, riformatori, scrittori, ecc. che
210 Eisenberg, P., “Writing system and morphology. Some orthographic regularities of German”, in Coulmas, F.,
Ehlich, K., op. cit., p. 66.
211 Ibid., passim.
126
riforma dovrebbe tenere conto di queste incongruenze, ma invece sembra più necessario
dopo la riforma Gabo del 1894 e quella della Hangŭl Society del 1933, è diventata
morfofonologica come oggi. Ad esempio, la frase “un uomo che non può” si scrive oggi
, la cui trascrizione è [mos ha nɯn sa ram i]; nella pronuncia, il suono [s] di
discorso sulla trasparenza delle ortografie anche per sistemi di scrittura diversi
dall’alfabeto213. Tuttavia, alla luce di alcuni dati emersi, possiamo perlomeno tentare di
differenze sostanziali riguardo alla storia e alla struttura delle tre lingue. In primo luogo, la
212 http://it.wikipedia.org/wiki/Hangul#Ortografia.
213 Un’ortografia opaca non è alfabetica è, per esempio, quella della lingua khmer, un abugida il cui
funzionamento riprende quello degli script indiani; il primo elemento grafico tracciato rappresenta una
consonante, le vocali vengono indicate con dei simboli a destra, a sinistra, sopra o sotto il grafema
consonantico; la consonante si scrive per prima anche nel caso in cui il diacritico vocalico venga posto alla sua
sinistra (il ductus è da sinistra a destra). Come l’inglese e il francese, il khmer ha un sistema vocalico molto
complesso (non si è ancora raggiunto un accordo riguardo al numero di fonemi vocalici), i grafemi vocalici
possono avere valori diversi (nel caso specifico del khmer, due, a seconda del grafema consonantico a cui
sono legati) e la pronuncia si è allontanata molto dalle fasi più antiche della lingua. Le parole di origine sanscrita
o pāli seguono delle regole di pronuncia proprie. Un esempio dell’opacità dell’ortografia è data dalla grafia del
nome della Cambogia: កមពុ ជ, traslitterato kambujā, pronunciato [kampuciə] ma viene scritto oggi Cambodia,
riprendendo una forma desueta per ragioni politiche (cfr. Schiller, E., “Khmer Writing”, in Daniels, P. T., Bright,
W., op. cit., pp. 467-473).
127
all’abbondantissima produzione letteraria francese e inglese. Questo ha impedito il
crearsi di grafie etimologiche, storiche e/o prestigiose in finlandese, in quanto non c’è uno
standard di riferimento anteriore al XIX secolo; che dire invece dei moltissimi grandi
autori ed editori della tradizione francofona e anglofona, le cui scelte grafiche si sono
imposte agli occhi dei lettori per secoli? In secondo luogo, si può considerare il numero
dei locutori. Come abbiamo già sottolineato, uno dei vantaggi delle scritture logografiche
in situazioni con milioni di parlanti, magari con divergenze nella pronuncia dovute ai
diversi dialetti, è quella di permettere l’intercomunicabilità tra tutti i membri della comunità
Allo stesso modo, si può supporre che l’opacità dell’ortografia inglese e francese abbia
milioni di persone che parlano la stessa lingua possono utilizzare il loro sistema di
scrittura come se fosse logografico (o perlomeno in parte tale). Pensiamo invece ad altre
albanese, bulgaro, ceco, slovacco, croato, serbo, estone, rumeno, ungherese, ecc. si
tratta quasi sempre di lingue con comunità di parlanti medie o piccole; fa eccezione il
turco, con 50 milioni di parlanti. Dell’italiano, che pure ha 60 milioni circa di parlanti,
abbiamo sottolineato come l’ortografia basata sul toscano sia fonte di diversi errori
spagnola, che è riuscita a rimanere piuttosto trasparente nonostante una lunga e ricca
numero di parlanti nativi. Di conseguenza, ci deve essere anche un’altra ragione che
vocalici con timbri chiaramente definiti e che non sono troppo lontani da quelli che
128
probabilmente possedeva il latino. Invece il francese e l’inglese hanno un numero di
fonemi vocalici estremamente superiore a quello dei grafemi vocalici di base; molte
lingue risolvono questi problemi con dei diacritici, ma nel caso del francese e dell’inglese
non solo si avrebbe bisogno di un numero di segni diacritici non indifferente, ma sarebbe
un’operazione difficile anche perché la diversità tra le diverse vocali è spesso molto
sottile e soggetta a diverse interpretazioni a seconda della classe sociale del parlante e
della sua regione d’origine. Le lingue slave hanno meno difficoltà in questo senso in
quanto, notoriamente, si tratta di lingue dove sono presenti molte più consonanti che
vocali e sopportano sequenze consonantiche molto complesse; nelle lingue slave, inoltre,
una parola è in media molto più lunga che in inglese e francese, e lo stesso vale per il
dover far fronte alle differenze di pronuncia di milioni di parlanti, alla frammentazione
dialettale interna, a un sistema fonologico molto instabile con dei timbri vocalici poco
distinti tra di loro con diversi fonemi che tendono a neutralizzarsi in [ə] e un sistema
degli inglesi e dei francesi alla loro ortografia, in quanto vista come uno strumento di
Grafie storiche, etimologiche e arbitrarie sono state trasformate dai parlanti in mezzi per
distinguere le parole tra di loro e accedere al proprio lessico mentale, dove la pronuncia,
anche se non indicata con precisione dalla scrittura, viene recuperata in fretta; all’orale gli
omofoni creano meno problemi in quanto è quasi sempre possibile chiedere al proprio
invece è difficile (e atipica) per lo scritto214. Non è perciò così scontato che un’ortografia
214 L’omofonia tra due parole di diverso significato può talvolta dare luogo a fenomeni di reinterpretazione, per
129
fonologica svolga meglio la sua funzione di un’ortografia opaca, nel caso dell’inglese e
del francese. Questa però non vuole essere una capitolazione davanti ai fatti o
un’apologia del conservatorismo grafico; la nostra ipotesi non contesta il fatto che
l’evoluzione di queste due lingue ha reso lo script latino sempre meno adatto alla loro
notazione; come reazione a questo fatto, gli utenti dello script hanno cominciato ad
attuare delle strategie di lettura e scrittura differenti rispetto agli utenti di un’ortografia
fonologica. Un’ortografia opaca, tra i suoi mille difetti, possiede anche alcuni pregi tipici
(soprattutto l’inglese, che non usa diacritici). Al contrario, l’italiano e lo spagnolo, non
allontanandosi eccessivamente dalla struttura fonologica del latino, hanno mantenuto il fit
della loro lingua madre, e casualmente, anche il finlandese, pur non essendo imparentato
da 5 milioni di persone);
• i fonemi della lingua trascritta sono molto più numerosi dei grafemi a
disposizione;
cui i due significati, inizialmente distinti, vengono fatti confluire nello stesso ambito semantico; è il caso, in
inglese, di sight e site (“vista” e “sito”); anche ear “spiga”, parola omofona e omografa di ear “orecchio” ma con
una diversa etimologia, è state reinterpretata come orecchio della pianta.
130
• la lingua possiede un sistema vocalico relativamente instabile, con vocali
eccessivamente;
• la lingua trascritta non ha molte varianti o non è molto diffusa fuori dal
sull’oralità sono stati Saussure e Bloomfield. Dei casi elencati da Saussure abbiamo già
citato gageure e Lefebvre; il linguista ginevrino faceva anche notare come i parlanti
131
francesi più colti pronunciassero l’ultima consonante di sept e di vingt, che era
scomparsa all’orale da qualche secolo215. Anche Bloomfield, nella sua opera Language,
cita diversi casi di spelling pronunciation. In un’opera del 1935, Vladimir Buben216,
nel 1978219. Come fanno notare Chevrot & Malderez220, negli attuali studi di linguistica,
anche diacronica, l’effetto Buben è stato trascurato; viene invece ripreso come campo
favore di un’interattività funzionale tra il sistema di trattamento della forma scritta delle
parole e il sistema di trattamento della loro forma orale221. In fonologia, potremmo definire
La prima sarebbe la tendenza del parlante a diminuire lo sforzo articolatorio, es. latino
amatu(m) > amato > ama[d]o > ama[ð]o = spagnolo amado “amato”; la seconda
fonema, un tempo pronunciato e poi caduto, viene restituito alla pronuncia per influsso di
sincronia, ad ogni modo, andranno entrambi considerati come innovazioni. Vediamo degli
esempi: in inglese, /h/ iniziale stava andando scomparendo dalla pronuncia di diversi
vocaboli, tra cui i pronomi personali he, him, his, hit (= it), hem (= them); l’insegnamento
scolastico ha però sempre cercato di ripristinare la pronuncia di <h>, riuscendoci con he,
him, his; it è sfuggito al processo e per hem si ha oggi una forma colloquiale ‘em, ma la
latino legatus e si è cominciato a scriverla legs, con il risultato che oggi i più pronunciano
/lɛɡ/ con l’apparizione di un fonema /ɡ/ che non c’era mai stato prima che la grafia della
basa sulle ortografie dell’inglese e del francese, ma il fenomeno può apparire anche in
esempi presi dal tedesco, dallo spagnolo e dall’italiano e la restaurazione nella pronuncia
delle consonanti occlusive sonore in finlandese si può probabilmente attribuire alla norma
223 Ibid.
224 Mioni, A., Elementi di morfologia generale, Padova, Unipress, 2006, p. 131n.
225 Ibid.
226 Levitt, J., op. cit.
133
grafica che mantiene nell’uso <b, d, g>227; in danese la pronuncia dei grafemi <v> e <d>
televisivi è molto più vicina all’ortografia: [huʋəð̩ʔstɛð̩ən]. L’ortografia può anche avere
conseguenze che non vanno a influire direttamente sul piano fonologico, ma sul piano
attribuire un significato diverso in base alla scrittura; in questi casi, Bolinger parla di
biforcazione: in inglese “grigio” all’orale è /ɡreɪ/ ma può essere scritto <gray> o <grey>; la
parlanti, che si tratti di due sfumature diverse dello stesso colore e si è registrata una
tendenza a preferire <grey> quando si parla del colore con un’accezione positiva, <gray>
prestigiosi; per esempio, in inglese c’è alternanza nella grafia tra <-er> e <-or> per
rendere il suffisso /-əː/; ebbene, si tenderebbe a preferire <-or> con parole a cui si
attribuisce uno status più elevato. Secondo Levitt229, l’introduzione del digramma <th> in
fonologizzazione di un allofono: fino al XVII [θ] e [ð] erano allofoni dello stesso fonema
pathetic) con pronuncia sorda, avrebbe creato delle coppie minime del tipo either vs
alla grafia e dimostra i limiti di un’analisi grafocentrica: la distinzione fonologica di /θ/ e /ð/
con le loro controparti sonore [v, z, ð] che acquisirono lo status di fonemi indipendenti230;
inoltre, a causa della caduta delle vocali finali, si crearono coppie minime come teeth /tiːθ/
“denti” e teethe /tiːð/ “mettere i denti”; [ð] in posizione iniziale apparve più tardi in parole
grammaticali atone come the, there, ecc. Per assurdo, proprio quando i due foni
<þ> e <ð>. Levitt cita poi anche il caso in cui, quando due grafonemi diversi
distinzione tra wail e whale: nella Received Pronunciation queste due parole sarebbero
identiche fonologicamente, /weɪl/, ma a causa della grafia <wh> sarebbe passato a [ʍ],
oltre che per l’influsso della pronuncia irlandese e scozzese231; anche qui è difficile
stabilire il reale ruolo svolto dall’ortografia nella pronuncia, perché risulta impossibile
provare quale fattore in gioco abbia avuto più peso; accanto alla pronuncia standard
coesistono una serie di pronunce concorrenti, alcune più innovative, altre più
conservative, e prima o poi una di queste alternative può prevalere sullo standard,
specialmente se riceve l’avvallo dell’ortografia, ma questo non prova che sia quest’ultima
anche la situazione di [e~ɛ], [o~ɔ], [s~z] e [ts~dz] in italiano; lo standard toscano vorrebbe
che queste varianti fossero fonemi ma in quasi nessuna variante regionale questo
avviene con regolarità e le parole in cui questa distinzione è operativa sono veramente
decisivo alla perdita di queste opposizioni nel parlato232, ma probabilmente vale l’inverso:
la maggior parte dei parlanti sono allofoni e non fonemi. In tedesco c’è una tendenza,
nelle famiglie più istruite, a incoraggiare i bambini a pronunciare Vater e Mutter come
[fatɛr] and [mʊtɛr], al posto delle varianti più naturali in [-ər] o in [-ɐ]; similmente, nomi
propri femminili si vedono restituire una [-a] finale al posto di [-ə], come Mari[ə] che passa
a Mari[a]. I due fenomeni sembrano collegati, ma nel primo caso è più facile ipotizzare un
influsso dell’ortografia, mentre nel secondo è difficile dimostrare che <Marie> possa
indurre a pronunciare [maʀia] al posto di [maʀiə]; entrambi i casi invece possono essere
spiegati in base a un bisogno linguistico, il primo per armonizzare i sostantivi in <-er> con
i loro paradigmi, es. Vater con väterlich, il secondo per ripristinare una distinzione tra il
maschile e il femminile perlomeno in un ambito come quello dei nomi propri dove il
l’influenza dell’ortografia entri in gioco solo quando questo coincida con dei bisogni
linguistici già presenti. Questa idea la troviamo anche in Vachek, quando parla del
digramma <oi> in inglese: parole come joint e point erano pronunciate con [əi] nel XVIII
perché non hanno subito lo stesso processo anche love, come (ovvero perché si
pronunciano con [ʌ] e non con [ɔ])234? Perché alla lingua “conveniva”: il digramma <oi> in
inglese è avvertito come indice di forestierismo; nel Middle English l’originale dittongo
inglese [ui] passò a [əi] e così <oi/oy> straniero e <oi/oy> originario si fusero nella
233 In fenomeno simile si è avuto in francese, lingua in cui, per esempio, una volta che i due nomi propri André
(maschile) e Andrée (femminile) hanno cominciato a essere pronunciati nello stesso modo, si è diffusa la
variante Andréa per il femminile.
234 A Vachek sfuggiva forse l’origine di queste grafie: love e come si scrivono con <o> e non con <u> per un uso
del Middle English di notare /u/ con <o> davanti a <v> e <m> che a causa della loro forma potevano dare luogo
a confusione nella lettura.
136
mentre love e come fanno parte dello strato nativo del lessico inglese e non c’era
[ŋ] è dovuta alla necessità di riempire la casella vuota nella serie [p, b, m – t, d, n – k, ɡ,
ŋ]235. Anche in francese la restituzione sul piano fonico della pronuncia di diverse
vs eau; donc vs dont; tous vs tout; nef vs nez; moeurs vs meurt; but vs bu; sept vs c’est,
ces, ses; soit (congiunzione) vs soit (verbo); finir vs fini, finis, finit (la prima parola di ogni
serie ha ora l’ultima consonante pronunciata). Non possiamo dire quindi che l’ortografia
agognato da molti di una lingua dove si legge come si scrive; in caso di necessità però,
essa fornisce delle possibilità discriminatorie alla lingua e, in presenza di più alternative,
sancisce l’accettabilità sociale di una forma piuttosto che un’altra. I tedeschi del Nord
pronunciano sprechen con [s] invece di [ʃ], in accordo con il locale Plattdeutsch e con la
grafia, facendo sì che anche nella Germania meridionale questa variante sia considerata
perché lo spelling <sch> esige [ʃ]236. Casi simili a questo sono quelli della liaison in
francese; essa nascerebbe come metodo per evitare lo iato, dispendioso a livello
articolatorio, così vous êtes viene letto [vuzɛt] e non *[vuɛt]; ma quando la liaison, nella
pronuncia, viene ampliata anche a casi dove non c’è la sanzione dell’ortografia (ovvero
quando il suono che lega una parola all’altra non ha una controparte grafica), essa non
iato viene tollerato se esso combacia con la grafia (à eux [aø]), mentre una liaison come
t-il dove invece la grafia indica [t] con <-t->). Un fatto che è sfuggito ai più è che quasi tutti
235 Vachek, J., Written language. General problems and problems of English, The Hague, Mouton, 1973, pp.
41-48.
236 Levitt, J., op. cit., p. 52.
137
i neologismi ricavati artificialmente da radici greche e latine sono, alla fin fine, casi di
spelling pronunciation, in quanto queste parole non erano mai state pronunciate prima
della loro invenzione in ambito letterario o tecnico-scientifico e la loro resa orale viene
ricavata dal valore dei grafemi che le compongono, per analogia con altre parole dove
pronuncia originale (è il caso di <ch> che in grecismi e latinismi viene fatto corrispondere
con /k/ in inglese e francese, invece che prendere il suo valore abituale; la pronuncia più
corretta sarebbe /x/, ma questo fonema non appartiene a nessuna delle due lingue).
L’effetto Buben, o spelling pronunciation, che dir si voglia, è senz’altro uno degli
aspetti più interessanti dei rapporti tra fonologia e ortografia; tuttavia non bisogna né
dell’evoluzione fonetica per ristabilire una ridondanza perduta che permetta di diminuire
linguistico. I dati di Chevrot & Malderez dimostrano però che sono molto più numerosi i
casi in cui la forma (o diverse forme) orali prevalgono sulla forma scritta piuttosto che il
contrario, infatti la maggior parte del lessico viene appreso dal bambino prima nella forma
orale e poi nella forma scritta; “si l’effet Buben existe malgré la robustesse des
acquisitions orales, c’est parce que la solution consistant à aligner la graphie sur la
séquence de phonèmes, bien que moins coûteuse sur le plan cognitif, l’est davantage sur
le plan social. (…) la coïncidence de fait entre formes phonologiques longues, graphies et
138
variantes orales valorisées garantit qu’une partie des prononciations orthographiques
che può avere sulla pronuncia, ne parleremo analizzando le differenze che possono
dovrebbe aspettare che gli stati anglofoni sfornino ogni anno miriadi di semianalfabeti
mentre quelli ispanofoni possano vantare studenti tra i migliori del mondo. Ovviamente
non è tutto così semplice e immediato e le varianti in gioco sono numerose e spesso
quelle opache è che richiedono meno tempo per essere apprese e ciò permetterebbe agli
del senso generale del testo, ecc. Gli ottimi risultati degli studenti finlandesi
livello scolastico; ma in un loro recente studio, Hagtvet, Helland e Lyster238 mostrano una
effettivamente in prima posizione troviamo la Finlandia, al secondo posto ecco gli Stati
Uniti, nazione dove si parla l’inglese (e dove perciò l’ortografia è profondamente opaca),
sé predittivo per il successo scolastico; esso piuttosto va messo in relazione con una
serie di variabili tra cui la complessità dell’ortografia non è certo tra le più importanti: l’età
insegnanti, il livello socioculturale dei discenti, la distanza delle varietà parlate dagli
scolari rispetto allo standard, ecc. Inoltre, il fatto che si riscontrino problemi di correttezza
ortografica, talvolta seri, anche in scolari italiani o spagnoli ci induce a concludere che
scrivere (e leggere) siano delle abilità complesse sempre e comunque e che delle
difficoltà possano sorgere con un sistema quasi perfettamente fonetico come con un
sistema logografico. Il bambino deve imparare ad associare a dei concetti linguistici una
forma grafica fissa e predeterminata e dei fonemi a dei grafemi, deve essere in grado di
fare generalizzazioni, di sapere come comportarsi nel caso di parole mai udite, mai lette
o mai scritte prima, ecc. Spesso si pensa, superficialmente, che nel caso di ortografie
scritto dimostrano che la consapevolezza fonologica gioca un ruolo molto importante nei
primissimi tempi ma poi vanno prese in considerazione tutta una serie di altre capacità
140
cognitive239. Insomma, i bravi lettori non hanno problemi ad assimilare né grafie
perfettamente fonologiche (es. <rana> /rana/) né grafie contestuali (es. <cela> vs <cala>,
anche se ci mettono più tempo a elaborarle) né grafie logografiche (es. <ha> /a/), mentre
chi ha problemi di lettura può averli tanto nelle ortografie opache che in quelle trasparenti.
Inoltre, sembra che, per quanto complicata possa essere un’ortografia, le parole ad alta
sono spesso le parole ad altra frequenza ad avere uno spelling irregolare). Frith240
parole nuove e di non parole; la strategia ortografica comporta l’analisi istantanea delle
parole nelle loro unità ortografiche senza conversione fonologica, dove le unità
Frith, come la maggior parte dei modelli di acquisizione delle conoscenze ortografiche, si
basa sull’inglese e non ci è ancora chiaro quanto esso possa adattarsi ad altre lingue.
opache e ortografie trasparenti, emergerebbe che, almeno nelle prime fasi, le tappe siano
comuni; soprattutto, la consapevolezza fonologica sarebbe importante per tutti coloro che
239 Müller, K., Brady, S., “Correlates of Early Reading Performance in a Transparent Orthography”, in Reading
and Writing: An Interdisciplinary Journal n. 14, Kluwer Academic Publishers, Netherlands, 2001, pp. 757-799.
240 Frith, U., Beneath the surface of developmental dyslexia, London, Lea, 1985, pp. 301-330.
241 Müller, K., Brady, S., op. cit.
141
a quello di Frith, nonostante si tratti sempre di un sistema opaco. Vengono individuati
una sola entrata lessicale)242. Se la fase logografica in Frith è quella di base, in Elbro è
l’ultimo livello, quello in cui ci si arrende all’impossibilità di stabilire relazioni regolari tra
sentiamo più vicini alle posizioni di Frith, in quanto sia la filogenesi sia l’ontogenesi della
grafema-fonema e solo quando questo non è più possibile si danno i casi particolari di
suoi frutti con una lingua e un’ortografia come il finlandese, risulta perlomeno poco
economico quando si ha a che fare con ortografie anche solo leggermente più irregolari.
Innanzitutto, la scarsa intuitività del concetto di fonema renderebbe necessaria una sua
introduzione più avanti, quando il bambino ha già preso dimestichezza con la pratica
scrittoria e ha già sviluppato altre complesse capacità cognitive (non a caso la scuola
dell’obbligo inizia a 7 anni in Finlandia); come abbiamo già avuto modo di accennare, poi,
242 Elbro, C., “Literacy Acquisition in Danish: A Deep Orthography in Cross-Linguistic Light”, in Malatesha
Joshi, R., Aaron, P. G., op. cit., pp. 31-46.
142
particolari243. L’insegnamento, per essere efficace, dovrebbe cercare di essere più
naturale possibile e, nel caso particolare dell’apprendimento della lingua scritta, sarebbe
desiderabile che esso ricalcasse quanto più possibile l’apprendimento della lingua orale.
Nel caso delle ortografie opache, l’approccio più vantaggioso potrebbe essere quello
globale, selezionando come unità di partenza la parola grafica e la frase; si potrà poi
lasciare che l’apprendente ricavi da solo le regole più semplici e regolari, imitando in
questo modo il processo naturale deduttivo con cui si impara a parlare; uno studio
alfabetico esplicito244. La maggior parte degli errori di ortografia, infatti, deriva dalla
mancanza di isomorfia tra scritto e parlato, perché viene insegnato che questa isomorfia
c’è e deve essere individuata a tutti i costi. Con un approccio globale, invece, le parole
principio del minimo sforzo poi, tipico degli esseri umani, permetterebbe anche, in un
didattica fonocentrica può far sì che l’apprendimento richieda ancora più tempo del
dovuto, in quanto spesso invece che aiutare l’alunno, lo depista. Ovviamente sarebbe
struttura fonologica e lessicale simile. Invece, nel caso di parole composte, sarà meglio
attuare una divisione in morfemi piuttosto che insegnare una parola globalmente. Dopo
un approccio globale iniziale, si potrà procedere con una didattica basata sulla sillaba245
piuttosto che sul fonema, ovvero, pur mantenendo un sistema di scrittura alfabetico, che
per varie ragioni abbiamo dimostrato essere vantaggioso, lo si tratterà come se fosse un
sillabario, in quanto la sillaba è l’unità fonica più intuitiva e più facile da cogliere per un
bambino; questa idea non è assolutamente rivoluzionaria, in quanto veniva già attuata in
molte scuole elementari in Italia nel XX secolo e come metodo didattico veniva utilizzato
anche dai Venetici e dagli Etruschi: l’alfabetario di Reitia prova che, pur usando la lingua
tecnica della puntuazione sillabica. La tavola segnalava tutte le sillabe aperte di tipo CV.
consonanti e le vocali che non facevano parte della sequenza CV. C’era però bisogno di
fornire una regola apposita per i gruppi C + sonante: invece di elencare le sillabe aperte
CrV, ClV, CnV, si usava un metodo più economico: si davano le giunzioni Cl, Cr, Cn
conoscere le sillabe elementari CV, applicando poi una regola di isolamento per le lettere
logografico. Insegnare l’ortografia partendo da unità come la parola e poi la sillaba (quindi
trattando l’alfabeto prima come un sistema logografico e poi come un sillabario), per poi,
una volta presa dimestichezza con la pratica di leggere e scrivere, arrivare al fonema,
potrebbe rivelarsi il metodo allo stesso tempo più naturale e più conveniente.
145
146
IV. PIANIFICAZIONI
PIANIFICAZIONI E RIFORME
1. Problemi generali
scienza esatta: di fronte alla massa amorfa e caotica delle produzioni singole di miliardi di
parlanti, essa non può che fare previsioni, postulare modelli o formulare ipotesi, ma
raramente può giungere a dimostrare delle verità inconfutabili. Questo stato di cose non
dipende tanto dai paradigmi di analisi, i quali diventano sempre più raffinati, quanto dalla
La scrittura invece, essendo una tecnologia, per quanto sui generis, si presta a
più nello specifico, il linguista, può, attraverso la scrittura, tentare di dare ordine e
scrittura propria. Ciononostante, nella maggior parte dei casi, la pianificazione linguistica
247 Il language planning si può dividere in corpus planning e status planning. Il corpus planning si occupa della
grafizzazione di una lingua (scelta del sistema di scrittura, dello script e dell’ortografia), della standardizzazione
(scelta della varietà dialettale da elevare a lingua dell’insegnamento scolastico) e della modernizzazione del
lessico (spesso una lingua deve creare una serie di neologismi per definire entità esterne di recente
invenzione). Lo status planning si riferisce principalmente al prestigio della varietà linguistica e alle sue funzioni
147
numero ristretto di essi è di natura prettamente linguistica. Infatti sono dei fattori sociali,
emotivi, economici e tecnici che il più delle volte rendono queste operazioni difficili e
meglio la struttura della lingua da trascrivere, rispettando il suo esprit; si è già parlato più
volte precedentemente del linguistic fit di un dato script e dei diversi criteri che possono
dibattiti riguardo alla superiorità del sistema alfabetico rispetto ad altri tipi di scrittura,
rapporto tra ortografia trasparente e opaca e la loro relazione con l’apprendimento della
lettura e della scrittura, ecc. Ebbene, tutte queste variabili vanno prese in considerazione
ogni qualvolta si desideri procedere con la creazione di una nuova ortografia per lingue
che non hanno mai conosciuto una forma scritta e con la riforma di un sistema ortografico
già esistente (passaggio da uno script a un altro o mantenimento dello script ma riforma
delle regole ortografiche). Il linguista che terrà conto scrupolosamente di tutti questi
aspetti nella creazione o riforma del suo sistema ortografico, si troverà poi a fare i conti
con la cruda realtà: scoprirà che anche il sistema di scrittura più perfetto mai congegnato
degli utenti alle regole imparate a scuola può essere un impedimento alla riforma; nel
caso di nuovi sistemi di scrittura, l’atteggiamento dei parlanti nativi verso la lingua del
del prestigio della lingua di dominio, potranno voler mantenere nella propria ortografia usi
(lingua ufficiale o meno, lingua dell’amministrazione, della scuola, della cultura, della scienza, ecc.). cfr. Cooper,
R., Language planning and social change, Cambridge, UP, 1989.
148
e regole dell’ortografia della lingua colonizzatrice, oppure potranno volersene allontanare
il più possibile. Nella scelta di uno script piuttosto che un altro, una variabile importante
sarà la religione della maggioranza: lo script cirillico rimanda subito alla religione
caratteri o l’uso di diacritici o di simboli poco diffusi saranno scoraggiati dalla difficoltà di
riproduzione: anche oggi, nell’era informatica, se è vero che è diventato molto facile
procurarsi qualsiasi tipo di font, è anche vero che, specialmente nel secondo e terzo
nella creazione di nuovi sistemi ortografici e nella riforma di sistemi già esistenti e
tenteremo poi di armonizzare i dati che emergeranno con quelli già esposti nei capitoli
linguistica e alla grafizzazione di lingue solo orali; nella maggior parte dei casi però, viene
necessità di fornire una lingua di uno standard ortografico? Linguisti e studiosi di solito
comunicazione a distanza (nel tempo e nello spazio). I popoli dell’oralità, di cui facevano
e fanno parte molte etnie dell’Africa, delle Americhe, dell’Asia e dell’Oceania, per
248 Nei Balcani in particolare l’adozione dello script latino corrisponde di solito alla fede cattolica o protestante
della comunità, contrapposta alla fede ortodossa (associata allo script cirillico) e a quella islamica (script arabo).
149
migliorare la loro condizione ed entrare nella storia devono essere messi in condizione di
utilizzare la scrittura, infatti, secondo la visione occidentale, “history starts with writing.
Any event taking place prior to the use of writing (…) is dismissed as ‘prehistorical’. The
criterion of transmission of knowledge through the written medium has certainly been
used to disqualify Africa [for example] as a place where any meaningful history could
have occurred (…). It is believed that oral people cannot store and pass on significant
information through the ages (…). Some have argued that for a nation to do well
sarebbero quindi delle strette correlazioni tra alfabetizzazione da una parte e progresso
dalla magia. Tuttavia, la storia ci insegna che le eccezioni esistono e non sono nemmeno
così rare. In Africa “per secoli non [si] ebbe scrittura, ma altri sistemi mnemotecnici. La
duratura, questa non deve necessariamente essere soddisfatta da una scrittura del tipo a
noi familiare. (…) [I]n Africa (…) la maggior parte del sapere (…) è stato affidato alla
dell’ansa del Niger, i sistemi di scarificazioni facciali e corporee, gli oggetti con scene in
rilievo (i bastoni-messaggio o rècadi del regno del Dahomey, nell’odierno Benin), i vasi di
249 Mazama, A., “An Afrocentric Approach to Language Planning”, in Journal of Black Studies, vol. 25, n. 1,
1994, pp. 8-9, cfr. Goody, J., Watt, I., “The consequences of literacy”, in Literacy in traditional societes, a cura di
Goody, J., Cambridge, Cambridge University Press, 1977, pp. 27-68; Prieswerk, R., Perrot, D., Ethnocentrism
and history: Africa, Asia and Indian America in Western textbooks, New York, NOK, 1978, p. xxi; Graff, H., The
labyrinths of literacy: Reflections on literacy past and present, London, Falmer, 1987, p. 64.
150
ceramica con i coperchi figurati di Cabinda, ecc.250”; la civiltà Inca avrebbe raggiunto
livelli di civiltà considerevoli pur non avendo un vero e proprio sistema di scrittura
(oggigiorno l’opinione più diffusa è che i quipu fossero più che altro degli aides-mémoire);
in Svezia e in Scozia la quasi totalità della popolazione era stata alfabetizzata prima del
dimenticare che la scrittura stessa si è sempre prestata, nella storia, a rivestire il ruolo di
elemento magico intorno al quale proliferavano leggende e credenze di ogni tipo (si pensi
al ruolo delle rune nell’ambiente germanico), per non parlare poi del valore sacrale
acquisito nei secoli dalla Bibbia o dal Corano. Il motore che ha spinto generazioni di
delle lingue native orali, era quella di poter tradurre la Bibbia e solo secondariamente
aree del secondo e terzo mondo) è stata attuata come una colonizzazione mentale, come
peculiarità dei diversi popoli, della loro visione del mondo e della loro cultura.
comunicazione. La scrittura inoltre permette di non dover più ricordare a mente gli eventi
difficile e dispendioso in tempo, energie e denaro, non sarebbe consigliabile lasciare che
francese, inglese, tedesco, olandese e portoghese in Africa, ecc.? Agli inizi del Medio
Evo in Europa nessuno ormai parlava più latino come lingua materna, ma era l’unica
lingua usata nei documenti ufficiali e religiosi; e a tutt’oggi, l’insegnamento della forma
scritta della lingua materna in Africa è quasi sempre vista come una tappa per
l’apprendimento della lingua dominante253 (è il caso, per esempio, della Akan Unified
Orthography, emanata nel 1978 dal Bureau of Ghana Languages per i dialetti asante,
akuapem e fante; l’Akan Unified Orthography ha il limite di essere stata concepita fin
Secondo Mioni “chaque langue dont l’emploi écrit n’est pas sporadique, doit avoir une
orthographe régulière, fixée par des conventions bien adaptées à sa structure et à son
252 Secondo Cardona la memoria ha due dimensioni: la profondità e l’estensione. Alcuni popoli, come i Tuareg,
riescono a ricordare gli eventi almeno dell’ultimo secolo della loro storia, dando ad ogni anno un nome diverso,
a seconda dell’evento più saliente che l’ha caratterizzato (esempio di profondità della memoria). Invece i
Maenge (popolo della Papua Nuova Guinea) ricordano al massimo i nomi dei genitori e della nonna materna
ma hanno una memoria che si sviluppa in estensione: riescono ad enunciare tutte le relazioni di parentela di un
villaggio di 200 persone (Cardona, G. R., La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, Bari, Laterza, 1985, pp.
21-24)
253 D’ora in poi chiameremo esolingua la lingua degli ex colonizzatori che gode di particolare prestigio presso
una o più comunità linguistiche e/o che svolge la funzione di lingua franca tra popoli che parlano idiomi diversi.
254 Guerini, F., “La grafia unificata dei dialetti Akan (Akan Unified Orthography): costi e benefici
dell’armonizzazione ortografica”, articolo presentato al IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di
Linguistica Applicata (AITLA), Pescara, 20 febbraio 2009.
152
emploi255”; idealmente è difficile opporsi a questa posizione: la grafizzazione di una lingua
prestigio alla variante scritta rispetto a quelle puramente orali. Mazama può anche avere
ragione nell’affermare che la diffusione della scrittura nel terzo mondo da parte dell’uomo
giorno d’oggi, non si può prescindere dalla necessità della comunicazione intra-nazionale
e inter-nazionale e questa non può avvenire senza lo stabilirsi di uno standard grafico
non favorisce la creazione di una identità nazionale, può avere i seguenti vantaggi: a)
culturali e commerciali con gli altri stati che parlano la lingua di prestigio; c) non pone il
problema della scelta di una variante dialettale come standard e della sua
decodificazione nello scritto. Nella maggior parte dei casi si preferisce comunque
alfabetizzare i popoli nella loro madrelingua (o nella lingua franca che più possa
avvicinarsi ad essa), e questo perché si pensa che sia più facile imparare a leggere e a
scrivere nella propria lingua piuttosto che in un’altra. Una volta alfabetizzati, il processo di
standard ortografico della lingua materna sono quindi di diversa natura, la prima è
255 Mioni, A., Problèmes de linguistique, d’orthographe et de coordination culturelle au Burundi, Napoli, Istituto
Universitario Orientale, 1970, pp. 12-13.
256 L’Africa ha subito, da parte dei paesi coloniali, una spartizione territoriale arbitraria, che non ha tenuto conto
dei confini etnici e geografici ma solo degli interessi economici delle diverse potenze europee. Ciò ha provocato
la formazione di nazioni dove etnie diversissime si sono trovate a convivere e l’unità nazionale si è potuta
raggiungere talvolta solo grazie all’introduzione della scolarizzazione per mezzo di un’esolingua.
153
seconda è pratica: facilitare l’interiorizzazione del funzionamento della scrittura per poi
operare una serie di scelte: innanzitutto, quale varietà linguistica sarà la base per lo
inventare uno script ex novo o usarne uno già esistente? Nel caso ne venga scelto uno
già esistente, come ovviare alle possibili deficienze del sistema? Introducendo digrammi,
diacritici o nuovi simboli? Nel caso si opti per un alfabeto, ci si limiterà unicamente al
segnalare anche fenomeni fonetici? E come porsi nei confronti della lingua di prestigio
dell’ex-colonizzatore? Di tutti questi problemi si sono occupati diversi studiosi, tra cui
William A. Smalley (1923 – 1997), linguista, antropologo e missionario. Lavorò per diversi
anni per l’American Bible Society e fu autore di vari libri a proposito dell’alfabetizzazione;
a lui i Hmong del Laos devono il loro attuale alfabeto. Per Smalley, nella creazione di un
Come ci fa notare Coulmas, è interessante che il primo criterio di Smalley non sia
257 Smalley, W. A., “How Shall I Write This Language?”, in Orthography Studies, London/Amsterdam, United
Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A., p. 34.
154
if it is rejected by the community for extrasystemic reasons258”. I linguisti impegnati nella
sistema dipende dalle reazioni emotive dei futuri utenti; queste reazioni hanno ben poco
a che fare con la struttura della lingua e riguardano solitamente questioni di prestigio,
Laos, Africa, Haiti e in America Latina l’influenza dei bilingui più istruiti attribuisce
imparare una scrittura quanto più simile possibile a quella della lingua di prestigio259. In
Bolivia i gruppi etnici che parlano la lingua aymara vogliono che gli allofoni di /u/ e /i/,
rispettivamente [o] e [e], vengano rappresentati dall’ortografia con dei grafemi distinti
renderebbe l’ortografia aymara meno prestigiosa di quella spagnola261. Gli Zuni (o Zuñi),
popolazione amerindia di agricoltori che vive in New Mexico, hanno scelto, tra le varie
ortografie possibili proposte, quella che più si avvicinava al modello inglese, lingua che
sapevano già leggere e scrivere262. L’inglese è la lingua di prestigio che più influenza le
scelte dei popoli africani, ai quali poco importa in fondo se l’ortografia della propria
258 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, pp. 226-227.
259 Berry, J., op. cit., p. 5.
260 Un caso simile si è avuto in tagalog, lingua parlata nelle Filippine. Originariamente il sistema vocalico
possedeva solo tre fonemi, /a/, /i/ e /u/ ma l’introduzione di parole spagnole e kapampangan (lingua
austronesiana) ha finito con fonologizzare anche gli allofoni /ɛ/ e /o/, perciò la grafia riflette un sistema a cinque
vocali.
261 Sjoberg, A., “Writing, Speech and Society: Some Changing Interrelationships”, in Proceedings of the Ninth
International Congress of Linguists, The Hague, Mouton, 1964, pp. 892-897.
262 Walker, W., “Notes on Native Writing Systems and the Design of Native Literacy Programs”, in
Anthropological Linguistics, n. 11, 1969, pp. 148-166. Questo tipo di ortografie vengono solitamente chiamate
etnofonemiche. Un’altro esempio di ortografia etnofonemica è quella scelta per il creolo a base francese di Haiti,
cfr. Hall, R. A. Jr, Pidgin and Creole Languages, Ithaca/New York, Cornell University Press, 1966. Il termine
ethnophonemic riferito alle ortografie sembra essere stato suggerito da William Wonderly, del Summer Institute
of Linguistics, come riporta Kenneth L. Pike (“The Problem of Unwritten Languages in Education”, negli atti del
Meeting of Experts on the Use of Vernacular Languages, Paris, Unesco House, 1951).
155
madrelingua non è ottimale, visto che il desiderio più impellente è quello di assorbire la
literary and cultural knowledge is acquired. Very good listening, reading and writing skills
and habits are acquired early in a child’s education in this language. (…) All this tended to
limit the written functions of African languages. (…) [M]any people (…) assume that
African languages are basically oral means of communication within the ethnic group
concerned. (…) There is no or little political (…) pressure to improve the writing systems
of many African languages in the continent263”. Situazioni simili a quella africana si hanno
oggi in diverse parti del mondo, sia le istituzioni sia gli stessi parlanti non vedono l’utilità
di sviluppare una literacy nella proprio lingua madre quando questa sarà di impiego
conoscenze e abilità sempre più approfondite nella lingua della cultura e della tecnologia.
l’interesse a utilizzare lo stesso script e delle regole ortografiche simili a quelle delle
lingue culturalmente dominanti. È per questo che nella quasi totalità dei casi si opta per lo
lingue dell’ex Unione Sovietica sceglieranno l’alfabeto cirillico, anche se non imparentate
genealogicamente con il russo, per far sì che l’apprendimento della lingua russa sia poi
più semplice264. Nel 2002 il parlamento russo ha approvato una legge per cui tutte le
263 Abdulaziz, M. H., “Standardization of the Orthographies of Kenyan Languages”, in Language Standardization
in Africa, a cura di Cyffer, N., Schubert, N., Weier, H.-I., Wolff, E., Hamburg, Helmut Buske Verlag, 1991, p. 193.
264 Fishman, J. A., “Advances in the Creation and Revision of Writing Systems”, in Fishman, J. A., op. cit.,, p.
XIII.
156
lingue ufficiali della Federazione Russa dovranno usare l’alfabeto cirillico, provocando un
forte dissenso in regioni come il Tatarstan, dove si parla il tataro, una lingua turcica, e in
Carelia, regione adiacente alla Finlandia dove si parla il careliano265, simile al finlandese.
I tatari e i careliani protestano perché sostengono che avere una scrittura differente,
rispettivamente, dal turco e dal finlandese, renderà difficile mantenere i legami culturali
con queste lingue; ritengono inoltre che il procedimento messo in atto dal governo russo
violi i diritti umani fondamentali e la costituzione russa, che prevedrebbe che tutti i popoli
possano preservare la loro lingua madre e creare le condizioni per il suo studio e
sviluppo. Il governo russo ribatte che insegnare le lingue della Federazione usando
dall’informazione coloro che non padroneggiano l’alfabeto cirillico. Per giunta, limitandoci
dell’ortografia, in quanto la maggior parte della popolazione è sparsa tra Europa e Asia e
solo una piccola percentuale vive in Tatarstan266; infine, se ragioni di carattere linguistico
all’alfabeto, vista l’importanza delle vocali per queste lingue, non vi sono reali differenze
di linguistic fit tra lo script latino e quello cirillico267. Ci troviamo dunque in un ambito
assolutamente extralinguistico, che ha a che fare con dinamiche politiche e sociali. I tatari
vogliono distinguersi dai russi e invocare la loro vicinanza etnica e culturale alla Turchia,
265 Il careliano però, a differenza del tataro, ha sempre usato lo script latino. Il tataro è stato scritto invece con
l’alfabeto orkhon, con l’abjad arabo, in caratteri latini e poi in cirillico.
266 Il termine tataro è molto vago. Nel XIX secolo definiva in generale le lingue altaiche (turco, mongolo, ecc.). In
questa sede ci riferiamo al tataro di Kazan’, parlato in Tatarstan e in parte della Repubblica della Baškiria, e ai
dialetti di Astraxan’, Kasimov, Mišer, Turinsk, Išim, Tura, Jalutorovsk, Barabinsk, Tobol’sk e Tjumen’, parlati in
Uzbekistan.
267 Sebba, M., “Ideology and alphabets in the former USSR”, in Language Problems and Language Planning, n.
30, John Benjamins, 2006, pp. 99-125.
157
con un atto di distalità verso il russo e di prossimalità verso il turco268. In India, Tibet,
Filippine, Indonesia e Indocina sono in uso oggi una quantità considerevole di abugida
diversi, con pochissime differenze tra loro (brahmi, kharoshthi, devanāgarī, gujarātī,
gurmukhi, bengali, oriya, sinhala, kannada, telugu, tamil, tibetano, ecc.269) ma ogni
mantenendo un proprio sistema distinto da quello delle comunità vicine270. Infine, non tutti
i popoli neo-alfabetizzati hanno voluto uno script simile a quello dei colonizzatori e usano
tutt’oggi un proprio sistema di scrittura inventata ad hoc: è il caso degli Inuit del Quebec
che usano l’abugida Inuktitut (uuBvV[R), script ricavato dal missionario anglicano
missionario, James Evans, per le lingue ojibwa e cree del Canada. L’invenzione
dell’Inuktitut e del Cree è stata incoraggiata dal successo del sillabario Cherokee271; la
leggere né scrivere ma che aveva intuito le potenzialità della scrittura. Uno script di
Duwalu Bukɛlɛ272. Il sultano Njoya, intorno al 1895, creò lo script Akauku per la lingua
268 Prendo i due termini da Mioni, A., “Conoscenze, memorie e riti della scrittura e della parola. Continuando il
viaggio di Giorgio R. Cardona”, articolo presentato al IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di
Linguistica Applicata (AITLA), Pescara, 20 febbraio 2009, p. 7.
269 Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., pp. 371-440. Alcune differenze tra i diversi abugida potrebbero essere
dovute al diverso supporto materiale, per es., il tamil, che ha un ductus circolare, si scriveva su foglie di palma
battuta.
270 Mioni, A., “Conoscenze, memorie e riti della scrittura e della parola. Continuando il viaggio di Giorgio R.
Cardona”, articolo presentato al IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata
(AITLA), Pescara, 20 febbraio 2009, p. 7.
271 V. nota 7.
272 L’idea di inventare una scrittura per la lingua del suo popolo sarebbe arrivata a Sequoya in sogno.
Similmente, Cardona racconta che una notte un uomo sarebbe apparso al sultano Njoya, inventore dello script
Bamum nel Camerun, dicendogli “Re, prendi una tavoletta e disegnaci una mano d’uomo, poi lava il disegno e
bevine l’acqua”; successivamente l’uomo sconosciuto avrebbe cominciato a disegnare dei simboli sulla
tavoletta. Al suo risveglio, Njoya chiamò a raccolta i suoi sudditi e disse loro: “Se disegnerete molte cose
158
Bamum del Camerun; l’Akauku ha la particolarità di essere stato nato come
quando Njoya era ancora in vita273. È notevole che oltre a modificare la forma dei
simboli, quasi tutti274 questi inventori di nuove scritture abbiano scelto il principio sillabico
e non quello alfabetico, dando alla luce sillabari e abugida ed evidenziando ancora di più
probabilità che questa scelta dipenda anche dalla maggiore intuitività della sillaba rispetto
A parte questi pochi esempi di sistemi di scrittura creati dal nulla, in generale si
tenderà a tenere sempre conto delle culture confinanti, “[e]ven if a linguist takes a strictly
scientific stance to the effect that the systematically relevant entities of the language be
converted into writing, and only these, should be rendered graphically (…), even then the
linguist will tend not to be at odds with the pre-established and widely accepted
per /dz/ e <ǰ> per /dʒ/, scelta coerente visto che <s> sta per /s/, <š> per /ʃ/, <c> per /ts/ e
<č> per /tʃ/; i problemi nascono dal fatto che nessuno che abbia una qualche familiarità
diverse e darete a loro un nome, farò un libro che parli senza che lo si debba ascoltare”. Una cosa simile
sarebbe successa a Mɔmɔlu Duwalu Bukɛlɛ, l’inventore del sillabario Vai in Liberia (Cardona, G. R., Storia
universale della scrittura, Milano, Mondadori, 1986, pp. 95-96; Dalby, D., “A Survey of the Indigenous Scripts of
Liberia and Sierra Leone: Vai, Mende, Loma, Kpelle and Bassa”, in African Language Studies, n. 8, 1967, pp. 1-
51).
273 Daniels, P. T., “The Invention of Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., pp. 583 – 584.
274 Un’eccezione è Soulemayne Kante che inventò l’alfabeto N’ko per le lingue mande dell’Africa occidentale
(Singler, J. V., “Scripts of West Africa”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., p. 593).
275 Winter, W., “Tradition and innovation in alphabet making” in Coulmas, F., Ehlich, K., op. cit., p. 227.
276 Ibid. Esiste un’altra ortografia in cui <j> vale /dz/, quella del malgascio.
159
eccessivamente dal modello tipografico occidentale, per esempio, “the Bamako Meeting
on the Use of the Mother Tongue for Literacy (February 28-March 25, 1966, UNESCO
sponsored) (…) recommended that new writing systems be similar to those of unrelated
but important languages for the learners (…) but it also warned of ‘possible repercussions
neo-grafizzate che usano uno script non latino sono relativamente poche e quelle che
non usano un alfabeto ancora meno. Una delle eccezioni più considerevoli è avvenuta in
Algeria; dopo l’indipendenza del paese, i popoli berberi rappresentavano un terzo della
popolazione e parlavano la lingua kabyle. Gli attivisti berberi sono riusciti a riportare in
uso, per la scrittura della loro lingua, lo script libico-berbero di origine punica, impiegato
anche dalle popolazioni Tuareg e chiamato Tifinagh (la versione adattata al kabyle viene
cuore molto di più ai linguisti e ai language planners piuttosto che all’uomo comune, e,
anche quando c’è accordo tra la popolazione e i creatori della nuova ortografia, rimane
problematico stabilire in che senso e fino a quale livello vada rappresentato il parlato. Si
277 Bowers, J., “Language Problems and Literacy”, in Language Problems of Developing Nations, a cura di
Fishman, J. A., Ferguson, C. A., Das Gupta, J., New York, Wiley, 1968, pp. 381-401, citato da Fishman, J.,
“Advances in the Creation and Revision of Writing Systems”, in Advances in the Creation and Revision of
Writing Systems, The Hague/Paris, Mouton, 1977, p. xiii.
278 Pasch, H., “Competing Scripts: the introduction of the Roman alphabet in Africa”, in International Journal of
the Sociology of Language, vol. 2008, n. 191, 2008, pp. 65 – 109.
279 http://en.wikipedia.org/wiki/Neo-Tifinagh; O’Connor, M., “The Berber Scripts”, in Daniels, P. T., Bright, W., op.
cit., pp. 112 – 115.
160
• Scelta del dialetto da elevare a varietà standard (o di eventuali forme di
compromesso);
da segnalare nell’ortografia.
dalla lingua culturalmente più influente: alfabeto cirillico per lingue dell’ex Unione
Sovietica, abjad arabo per lingue di molti popoli di fede islamica, alfabeto latino per le
Per la scelta del dialetto Sadembouo propone diversi criteri, tra cui280:
fattori: quella che potrà essere una varietà prestigiosa per un gruppo potrà non esserlo
280 Cfr. Sadembouo, E., “Préalables à la standardisation des langues africaines”, in Cyffer, N., Schubert, K.,
Weier, H.-I., Wolff, E., op. cit., pp. 21-33.
161
per un altro. Inoltre, c’è una comprensibilità oggettiva, data dalla vicinanza di strutture
linguistiche tra due varietà, e una comprensibilità soggettiva che dipende dall’attitudine
del parlante; infatti spesso si capisce ma si finge di non capire in base agli atteggiamenti
e ai pregiudizi che si possono avere verso un determinato gruppo che parla una varietà
varietà rispetto a un’altra: poniamo il caso di due varietà diverse della stessa lingua (A),
una più innovativa (B) e l’altra più conservativa (C); nella progettazione dell’ortografia di A
sarà preferibile favorire coloro che parlano B, perché per loro sarebbe più difficile
mentre per chi parla la varietà C basterà applicare delle semplici regole di cancellazione
in determinati contesti.
Ci sono casi dove la scelta della varietà dialettale da elevare a lingua standard è
molto ardua, tuttavia, come suggerisce Nida, “it is not advisable to ‘make up’ an artificial
dialect. Such attempts are rarely, if ever, successful281”. Nella storia delle lingue europee
ci sono stati vari casi di varietà artificiali che sono diventate lo standard per
l’insegnamento scolastico; gli esempi più lampanti sono l’italiano e il tedesco: il primo è
basato su una forma di fiorentino emendato che corrisponde più o meno alla parlata di
Firenze del XIV secolo; il secondo è basato sulla traduzione che fece Martin Lutero della
burocratica standard usata in Sassonia) che univa elementi dei dialetti nordorientali e
centrorientali della Germania del tempo. Fino al 1800 il tedesco standard era solo una
lingua scritta; i tedeschi la imparavano quasi come se fosse una lingua straniera
avvenuto in Italia e in Germania, è stato grazie al prestigio delle varianti scelte (la
sociali attuate su ampia scala e in un lasso di tempo molto lungo. Un esempio più recente
è quello del Rumantsch Grischun, il romanzo grigionese, lingua artificiale creata dal
romanista zurighese Heinrich Schmid nel 1982 a partire dalle cinque varietà esistenti del
ladino dei Grigioni. Il Rumantsch Grischun contiene il maggior numero possibile di tratti
“l’accettazione [del romanzo grigionese] è talmente vasta che (…) è ormai usato
occasionalmente anche nella sfera privata e addirittura come lingua letteraria282”, oltre
che nella stampa, nell’amministrazione e nel settore dei servizi. È importante sottolineare
che in area retoromanza c’erano state, fin dal Medio Evo, diverse tradizioni scritte e che
Una situazione del genere non potrebbe crearsi presso società dove non esiste
una produzione letteraria degna di nota oppure dove essa è del tutto assente. Il ruolo di
modello di riferimento è di solito assunto dalle lingue dominanti (lingue europee, arabo,
sorgono dalle difficoltà di insegnare a leggere e a scrivere una varietà a persone che ne
parlano un’altra. Secondo Nida, può essere saggio, in questi casi, introdurre
preliminarmente alcuni materiali didattici direttamente nel dialetto dei parlanti e poi, una
volta apprese le regole di base della lettura e della scrittura, passare al dialetto scelto
come standard283. Secondo Sadembouo invece, “l’on peut être tenté dans certains cas,
d’accepter un second dialecte standard dans une langue, comme une mesure de
transition vers le standard. Mais c’est une attitude dangereuse. Quelques exemples au
Cameroun n’ont pas été concluants. Notamment sur le daba. L’on se dessaisit
de la ‘littérature’ bulu284”.
Tutti si trovano d’accordo però sull’importanza della scelta di una sola variante
minore differenza tra i diversi dialetti sarà anche alla base delle scelte ortografiche che
verranno attuate. Per esempio, in una realtà linguistica dove vi sono varietà molto diverse
per quanto riguarda il numero e il tipo di toni, sarà sconsigliato indicare questi ultimi
puntualmente nell’ortografia, perché quella che può essere una notazione estremamente
seguire sarà generalmente quello fonografico, con una corrispondenza 1:1 fonema-
grafema. Tuttavia possono esserci delle buone ragioni per deviare da questo principio285.
Per esempio, “[i]f the allophonic range of a phoneme is such that the choice of one
of reference may be preferable to a phonemic one. If, for instance, there is an area of
recurrent variation in the phonetic shape of forms which would require the introduction of
form, and if this variation could be covered adequately by a small number of realization
phonemically oriented one286”. Non bisogna dimenticare però che raramente le analisi
fonologiche di una data lingua sono attuate da persone che la parlano come nativi, nella
284 Sadembouo E., op. cit., p. 32. La lingua daba e la lingua bulu sono varietà parlate in Camerun; la lingua bulu
è stata usata come lingua franca da parte dei missionari e dei colonizzatori per scopi commerciali, educativi e
religiosi, ma oggigiorno è sempre meno diffusa.
285 Winter, W., op. cit., p. 229.
286 Ibid.
164
quasi totalità dei casi sono linguisti o missionari che incontrano spesso difficoltà nel
esempio, i missionari anglofoni non hanno notato le vocali lunghe nell’ortografia di una
lingua come il khmuˀ287, in cui ci sono diverse coppie minime del tipo /pat/ “anatra” e /paːt/
scientifico, bisognerebbe cogliere quali sono gli aspetti fonologicamente rilevanti per la
segnalare, per esempio, la lunghezza vocalica o il tono solo quando questo serviva per
evitare ambiguità; secondo Smalley, “this type of approach is rarely the best, [because]
(…) the reader never makes the proper habit of association and the symbols are of little
sono casi in cui, per ragioni sociolinguistiche, si può optare per una
abitudini grafiche della lingua di prestigio (come il già citato caso degli aymara che
vogliono mantenere <e> e <o> allo scritto, nonostante nella loro lingua [e] e [o] siano
l’intercomprensibilità con le lingue vicine (come in yakoma, dove i tre allofoni [l], [n] e [r]
287 Lingua appartenente alla famiglia Mon-Khmer e parlata nel Laos settentrionale e in parte del Vietnam.
288 Smalley, W. A., “How Shall I Write This Language?”, in Orthography Studies, London/Amsterdam, United
Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A., p. 40.
289 Ibid., p. 41.
290 Smalley la chiama overdifferentiation, v. Smalley, W. A., “Writing Systems and Their Characteristics”, in
Orthography Studies, London/Amsterdam, United Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a
cura di Smalley, W. A., p. 9.
165
vengono distinti nella scrittura per adeguarsi agli usi delle popolazioni confinanti e della
sono posti è quello della scelta della forma di parlato da rappresentare: Dressler
distingue in tutte le lingue del mondo uno stile di enunciazione più accurato (lento) e uno
stile più veloce (allegro). A seconda dello stile, la resa fonologica può essere molto
nello stile lento, globalmente e obbligatoriamente nello stile allegro (per es. in tedesco
geschnitten “tagliato” può essere pronunciato [ɡəʃnitən] nella forma più accurata fino a
totalità dei suoi studi allo stile lento e le ortografie sono normalmente basate su di esso,
causando spesso fenomeni di ipercorrettismo: “[i]n the elicitation of the most careful
speech styles, one ends up with unnatural, frequently hypercorrect forms, in which
where there are no illiterates. How far one ought to go in proclaiming the psychological
representation is still not clear292”. Dovremmo allora concludere che sarebbe meglio
basare la grafia sulla pronuncia dello stile allegro? Assolutamente no. Gli esiti fonici del
velocemente nel tempo, un’ortografia basata sulle forme dello stile allegro diventerebbe
obsoleta nel giro di pochi anni. Come sempre l’ideale sta nel mezzo, in una forma di
esito lento [ʃpʀeçɛʁ], uno allegro [ʃpʀeçʁ̩] e uno medio [ʃpʀçəʁ]. La grafia attuale
291 Dressler, W. U. “Approaches to Fast Speech Rules”, in Phonologica, Dressler and Mares, 1972, pp. 219-234.
292 Ibid., p. 221.
166
ovviamente è basata sulla forma lenta ma forse la soluzione ideale sarebbe quella di
fondo, grafie inglesi come isn’t, aren’t, wouldn’t sono dovute senz’altro all’imporsi di forme
criterio di Smalley, quello della massima facilità di apprendimento: abbiamo visto nel
terzo capitolo che un’ortografia totalmente fonologica non è per forza più facile e intuitiva
rispetto a una che veicola anche informazioni di carattere morfolessicale; ciò che rende
nella creazione di un’ortografia questo può essere possibile: si può per esempio decidere
di rappresentare le radici lessicali sempre nello stesso modo, se esse sono soggette a
questo non appesantisce troppo l’immagine grafica della parola e non entra
dedicare all’istruzione può andare dai pochi mesi a un massimo di due anni293.
293 Smalley, W. A., “How Shall I Write This Language?”, in Orthography Studies, London/Amsterdam, United
Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A., p. 33.
167
Nonostante non sia in assoluto e sotto tutti i punti di vista il sistema più semplice,
primissimi anni d’età, tuttavia la scelta dipenderà anche dalla struttura della lingua in
numero molto superiore di grafemi. Se una lingua è formata principalmente da sillabe del
tipo CV e queste non sono eccessivamente numerose, l’idea di un sillabario può essere
presa in considerazione; in tutti gli altri casi, sarà più conveniente optare per il criterio
sillabario vengono spesso scritte con un alfabeto, perché i criteri della massima
motivazione e della massima facilità di trasferimento sono più importanti, per la persona
colonia olandese. Lo sranan ha una struttura sillabica di base CV ma molto spesso, nel
parlato veloce, le vocali cadono e si formano gruppi consonantici anche complessi (suma
> sma, susu > ssu, kaba > kba, ecc.). L’ortografia tradizionale non ha mai segnalato
syllable writing the word image does not alter if we elide the syllable vowel295”. Tuttavia in
latino. Lo script arabo, grazie al suo legame inscindibile con la religione islamica e il
Corano, è stato utilizzato per la notazione di lingue dalla struttura diversissima, come lo
294 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, p. 232.
295 Voorhoeve, J., “Spelling Difficulties in Sranan”, in Orthography Studies, London/Amsterdam, United Bible
Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A., p. 64.
168
spagnolo, il malesiano, lingue del Medio Oriente, del Nord Africa, del Pakistan, ecc.
segni consonantici grazie all’uso di punti posti sopra o sotto i simboli già esistenti ma si è
fatto poco o niente per segnalazione vocalica, la cui assenza è l’ostacolo principale al
linguistic fit dello script per lingue non semitiche296. Una volta constatato che la scelta del
dall’approccio didattico adottato: innanzitutto, motivando gli studenti, facendo loro capire
che una volta appreso a leggere a scrivere, essi potranno accedere alla cultura della
lingua rappresentati dalla scrittura: prima la parola come unità grafica, in seguito la sillaba
e il morfema, poi il fonema e le unità soprasegmentali (il fatto che uno script sia di per sé
logografico, sillabico o alfabetico non impedisce una descrizione indipendente delle unità
1:1 non è più valido e si dovranno postulare unità di corrispondenza più ampie tra il piano
Per quanto riguarda l’ultimo criterio elencato da Smalley, quello della facilità di
riproduzione, molte cose sono cambiate rispetto a pochi decenni fa. Le difficoltà che un
tempo sorgevano nella riproduzione di caratteri diversi da quelli latini ora sono superate.
Non conta più che le lettere latine siano in numero molto minore e più lineari rispetto, per
296 Smalley, W. A., “The Use of Non-Roman Script for New Languages”, in Orthography Studies,
London/Amsterdam, United Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A.,
pp. 73-74. cfr. Kaye, A. S., “Adaptations of Arabic Script”, in Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., pp. 743-764.
169
esempio, ai simboli del devanāgarī. Nell’era del computer, migliaia di caratteri diversi
tastiera o attraverso l’ausilio di tastiere virtuali. Anche difficoltà legate alla correttezza
ritornare su quanto si è scritto e correggere297. Come fa notare Mitton, “[that is] what a
computer spelling corrector offers: you use whatever spelling system seems to you most
natural for writing, and the computer converts it into the standard system for reading298”.
Non è detto però che l’accesso alle tecnologie informatiche sia possibile a tutta la
popolazione e probabilmente la maggior parte delle persone, quando produrrà dei testi
scritti, lo farà a mano. Per questo, è meglio evitare di rendere una scrittura
eccessivamente pesante dal punto di vista grafico, riducendo al minimo i segni diacritici;
questi infatti tendono a essere abbandonati nella scrittura veloce, creando delle
ambiguità non indifferenti quando poi si va a rileggere il testo (è una delle difficoltà
maggiori nella notazione dei toni nelle lingue tonali; Coulmas ci riporta l’esempio del
vietnamita, che impiega più di dieci segni diacritici tra quelli per notare il timbro vocalico e
quelli per notare i toni: “[i]n handwritten script they are easily and often omitted; and in
print they make for a cluttered appearance299). Quindi, nella scelta tra un digramma e un
segno diacritico, nonostante da un punto di vista scientifico sia preferibile il secondo, dal
punto di vista della facilità di riproduzione è meglio il primo. Ad ogni modo, quello che
favorirà più di ogni altra cosa la facilità di riproduzione sarà l’armonizzazione con gli usi
grafici già diffusi nella comunità, ovvero quelli della lingua dominante o dell’ortografia
tradizionale già esistente, almeno in un primo periodo, nell’attesa che una situazione di
297 Fiormonte, D., traduzione inglese di passi scelti tratti da L’influenza del computer sulla scrittura: Ipotesi ed
esperimenti, tesi di laurea all’Università “La Sapienza” di Roma, aprile 1994, p. 8.
298 Mitton, R., op. cit., p. 39.
299 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, p. 237.
170
maggiore stabilità culturale, economica e linguistica favorisca un miglioramento
dell’ortografia.
committed to writing and the position of the layman: (…) [for a linguist]
values. [for example] (…) Semitic writing system is quite inadequate from
the point of view of an outside linguist (…) but it has served its purpose
senufo, lingua voltaica, entrambe della Costa d’Avorio; <ʋ> e <ɩ> sono
presenti negli alfabeti dell’abidji, dell’agni sanvi, del bété, del bisa, del
dagara, del dida, del godié, del kabiyɛ, del kasɩm, del kroumen tépo, del
lama, del lokpa302, ecc.; <ɛ>, <ɔ> e <ŋ>, diffusissimi in tutta l’Africa,
possono alternare rispettivamente con <e, ȩ, ah>, <o, ò, ọ, oh, or, ö>,
confronterà con quello di altre lingue che utilizzano lo stesso script che si
301 Smalley, W. A., “The Use of Non-Roman Script for New Languages”, in Orthography Studies,
London/Amsterdam, United Bible Society/North-Holland Publishing Company, 1964, a cura di Smalley, W. A.,
pp. 81-83.
302 L’agni sanvi è una lingua kwa della Costa d’Avorio, il bété, il dida e il godié sono lingue krou della Costa
d’Avorio, il bisa una lingua mande del Burkina Faso, il dagara e il kasɩm sono lingue voltaiche del Burkina Faso,
il kabiyɛ una lingua voltaica del Togo, il kroumen tépo è una lingua isolata della Costa d’Avorio, il lama e il lokpa
sono lingue voltaiche parlate rispettivamente in Togo e in Benin; per approfondimenti, v. Hartell, R. L.,
Alphabets des langues africaines, Dakar, UNESCO-SIL, 1993; il materiale è reperibile anche online nel sito del
centro LLACAN (Langage, Langues et Cultures d’Afrique Noire), all’indirizzo http://sumale.vjf.cnrs.fr/.
303 Cfr. Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, p. 231.
172
teorie sociolinguistiche del tempo ma anche con l’importanza attribuita
the official orthography. Without model texts authors cannot get sufficient
Non è un caso che nel trattare i criteri di Smalley non si sia seguito l’ordine in cui
parlato dovrebbe essere, insieme alla massima motivazione dell’apprendente, uno dei
inoltre che la motivazione nel diventare alfabetizzati nella propria lingua materna sia
304 Venezky, R. L., “Principles for the Design of Practical Writing Systems”, in Anthropological Linguistics, n. 12,
1970, pp. 256-270.
305 Pasch, H., op. cit.
306 Ibid.
173
strettamente legata alla possibilità di passare, in breve tempo, a saper leggere e scrivere
in inglese, francese, arabo o qualsiasi altra lingua culturalmente dominante. Per di più,
bisogna considerare che, per quanto riguarda la facilità di apprendimento, si dovrà tenere
conto più dei criteri dell’ampiezza dell’inventario e della facilità di riproduzione, piuttosto
che dei criteri della massima distintività e della massima naturalezza (v. capitolo III,
preferire una notazione imperfetta, riducendo al minimo i diacritici e il numero dei grafemi,
perché il tempo che le popolazioni non alfabetizzate hanno a disposizione è molto minore
nella propria lingua non è sufficiente per stimolare costantemente la lettura, si rischia che
si creino episodi di analfabetismo di ritorno. I criteri scientifici devono, ancora una volta,
3. Riforme ortografiche
Se non è facile creare una tradizione ortografica dove essa sia assente o poco
diffusa, lo è talvolta ancora di più riformare un’ortografia già esistente. In fondo, non è un
tradizioni scrittorie vicine può essere forte, ma i parlanti nativi non hanno ancora
associato le parole della loro lingua a delle forme scritte stabili, mentre in società
sofisticato tende a pensare la relazione tra una parola e la sua immagine grafica come
compongono. La storia delle riforme ortografiche è però molto varia: si danno casi dove il
processo non incontra particolari ostacoli e altri casi dove, nonostante innumerevoli
proposte, si è ottenuto ben poco. In generale, un problema che può sembrare poco
rilevante può dare inizio a veri e propri dibattiti, spesso dalle tinte molto accese. Una
riforma ortografica può essere drastica e consistere nel cambiamento dello script in uso
174
(è il caso del turco, che è passato dall’abjad arabo all’alfabeto latino) oppure essere di
portata minore e andare a toccare solo alcune regole ortografiche (uno dei casi più
recenti riguarda il tedesco). Come nella creazione di nuove ortografie, anche nelle riforme
fedeltà alla realtà fonologica della lingua, sembrano essere di minore interesse per i
parlanti. Di grande importanza sono anche questioni emotive ed estetiche: per esempio,
l’islandese conserva <y> nonostante questo grafema sia omofono di <i>. Per la maggior
parte degli islandesi, la scomparsa di <y> altererebbe l’aspetto dei testi scritti in maniera
inaccettabile. Non ha creato invece problemi l’abolizione della distinzione tra <æ> e <œ>
a favore del primo simbolo perché “in that case, the look of the writing was
dell’ortografia mantiene accessibili i testi in antico nordico, ancora intelligibili per gli
nei Paesi Bassi, molti fiamminghi scrivono <k> e non <c> in parole come kultuur perché
<c> rimanda troppo agli usi grafici del francese; al contrario, i nederlandofoni
nella sua fase attuale. Un caso del primo tipo è quello della già citata riforma attuata nel
307 Pind, J., “Evolution of an Alphabetic Writing System: The Case of Icelandic”, in Malatesha Joshi, R., Aaron,
P. G., op. cit., p. 12.
308 Geerts, G., Broeck, J. van den, Verdoodt, A., “Successes and Failures in Dutch Spelling Reform”, in
Fishman, J. A., Advances in the Creation and Revision of Writing Systems, The Hague/Paris, Mouton, 1977, p.
234.
175
1928 in Turchia da Kemal Atatürk, un carismatico leader nazionalista. La riforma fu un
successo grazie alla capacità di Atatürk di convincere la popolazione della bontà della
sua iniziativa: egli decise di non inimicarsi inutilmente il potere religioso dell’Islam,
tradizionalmente legato allo script arabo; il passaggio allo script latino veniva attuato in
nome del fatto che quest’ultimo si adattava meglio alla lingua turca rispetto allo script
arabo. Infatti in turco l’armonia vocalica gioca un ruolo molto importante e le vocali sono
otto; lo script a base araba distingueva invece solo tre vocali lunghe, /aː/, /iː/ e /uː/. La
questione poteva essere risolta facendo degli aggiustamenti al sistema già in uso, ma in
emanciparsi dalla sfera di influenza araba (ci fu anche una riforma nel lessico, in cui
prestiti di origine araba e persiana vennero sostituiti da parole derivate da radici lessicali
turche). Bisogna anche sottolineare che al tempo in cui la riforma fu attuata solo una
piccola parte della popolazione turca era alfabetizzata, dunque non veniva richiesto un
grande sforzo nel passaggio da un tipo di grafia all’altra309. Oggigiorno l’ortografia turca è
estremamente trasparente, con una corrispondenza quasi perfetta tra fonemi e grafemi.
Usi tipici del turco sono l’impiego di <c> per /dʒ/, di <ç> per /tʃ/ e la distinzione tra <i>, che
vale /i/ e la cui versione maiuscola è <İ>, e <ı>, che sta per /ɯ/. Un caso particolare è
quello del grafema <ğ> che stava per /ɣ/ ma ora serve a segnalare, in posizione
nello scritto è giustificata perché il fonema /ɣ/ è scomparso dalla lingua standard ma si
conserva in molti dialetti; i casi in cui la caduta di /ɣ/ ha comportato l’allungamento della
dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese formò una commissione per lavorare
309 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, pp. 243-244.
176
alla riforma dell’ortografia cinese. Lo scopo era di trascrivere la lingua utilizzando lo script
latino. Quello che ne uscì fu l’hànyŭ pīnyīn, basato su alcuni sistemi precedentemente
adottati. Oggigiorno l’hànyŭ pīnyīn è il sistema più diffuso per la scrittura del cinese in
caratteri latini e svolge diverse funzioni: serve per l’insegnamento scolastico della
pronuncia standard del mandarino, per la trascrizioni di nomi cinesi in assenza di font
gruppi di grafemi di questo sistema si distinguono in due categorie: quello degli iniziali,
unità che possono apparire solo a inizio sillaba, e finali, unità che possono apparire solo
a fine sillaba. Le consonanti occlusive e affricate in cinese non si distinguono tra sorde e
sonore ma tra aspirate e non aspirate; i grafemi che normalmente nella tradizione latina
servono per indicare le consonanti sonore vengono quindi impiegati per le consonanti
non aspirate, mentre quelli che normalmente servono a indicare le consonanti sorde sono
impiegati per le consonanti aspirate, ad es. <d> sta per /t/ e <t> sta per /tʰ/310. Per
indicare i toni, che nel cinese mandarino standard sono cinque, si usano quattro diacritici
posti sui grafemi vocalici (il tono neutro non è indicato da nessun segno), per es. mā
un’ortografia latina standard per il cinese, il premier Zhōu Ēnlái si proponeva anche la
nazionale, della varietà linguistica standard. Così, molti hànzì311 estremamente complessi
sono stati semplificati diminuendo il numero di tratti di cui erano composti, spesso
adottando ufficialmente forme manoscritte che erano già diffuse negli usi privati.
310 Questo metodo sembra molto più conveniente di quello utilizzato dal sistema di trascrizione Wade-Giles (in
uso per gran parte del XX secolo), in cui le consonanti aspirate e non aspirate venivano distinte con un
apostrofo: <p, p’; t, t’; k, k’, ch, ch’> (cfr. pīnyīn <b, p; d, t; g, k; zh, ch>).
311 Nome dei caratteri in cinese, kanji è il nome giapponese.
177
Ovviamente, la scrittura degli hànzì semplificati diventa più veloce e agevole, ma allo
possibili per uno stesso carattere è estremamente vantaggiosa, ma non si può affermare
lo stesso con la stessa sicurezza per quanto riguarda l’uso di hànzì semplificati.
Nonostante Mao Tse Tung312 abbia preconizzato l’abbandono degli hànzì a favore
dell’hànyŭ pīnyīn alla scrittura tradizionale con lo scopo di una graduale sostituzione di
quest’ultima, per come stanno ora le cose sembra difficile immaginare un cambiamento
così drastico. Dato il grandissimo numero di parlanti, è difficile predire gli effetti che una
tale rivoluzione culturale potrebbe avere: l’uso di un’ortografia fonologica basata sul
che è certo che la diffusione della scolarizzazione, iniziata in Cina già nel 1910, ha fatto
avvertito da molti come una perdita culturale immensa e una capitolazione di fronte
La riforma ortografica del turco e del cinese sono stati segnali molto importanti
dell’apertura di queste due culture verso l’Occidente, anche se nel primo caso l’alfabeto a
312 Mao Tse Tung è la grafia con cui tradizionalmente questo nome appare nei testi italiani, ma seguendo
l’hànyŭ pīnyīn la translitterazione corretta sarebbe Máo Zédōng.
313 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, p. 247.
314 Sembrerebbe tuttavia che, rispetto al cinese classico, il cinese moderno abbia molti meno omofoni perché
ormai moltissime parole sono almeno bisillabiche.
178
base latina è stato adottato con successo in tutti gli ambiti della vita pubblica, mentre nel
secondo caso l’hànyŭ pīnyīn conosce ancora degli usi settoriali ed è lungi dal divenire il
sistema di scrittura ufficiale, se mai lo diverrà315. Il passaggio da uno script all’altro, con
senz’altro un cambiamento molto forte. Anche riforme di portata minore hanno però
ricevuto resistenze. L’inglese ha conosciuto nella sua storia diverse proposte di riforma:
per citarne solo alcune, il sistema Shavian di Kingsley Read nel 1959, composto da 48
grafemi completamente creati ex novo (vista la rottura totale con le abitudini grafiche
precedenti, c’erano poche probabilità che il sistema venisse accolto con successo); il
sistema proposto dallo svedese Axel Wijk, chiamato Regularized English (anche questo
lasciando il 90% delle parole con il loro aspetto tradizionale; l’ITA (Initial Teaching
insegnare quella tradizionale per far acquisire familiarità ai bambini con la scrittura e la
lettura; una volta che fu introdotto in alcune scuole inglesi negli anni ’60, effettivamente, i
verificarsi di seri deficit di lettura era raro; tuttavia, a causa della mancanza di sostegno
dove alcuni quotidiani usano la SR1 (Spelling Reform One), un tipo di ortografia
moderatamente riformata che, per esempio, fa corrispondere /ɛ/ sempre e solo a <e> (es.
dead > ded)316. Tra i pochi che riuscirono ad apportare alcuni cambiamenti nell’ortografia
inglese ci fu il già citato Noah Webster, statunitense vissuto tra il XVIII e XIX secolo, il
315 Alcuni problemi nascono dal fatto che i diacritici per indicare i toni scompaiono nell’uso internazionale del
pīnyīn; per questa ragione, due province cinesi i cui nomi differiscono solo per la tonalità, vengono distinte
raddoppiando in un caso il grafema vocalico: così Shǎnxī viene scritto Shaanxi e Shānxī diventa semplicemente
Shanxi.
316 Sampson, G., Writing systems, London, Hutchinson, 1985, pp. 195-197.
179
quale fu aiutato dal clima di crescente nazionalismo dell’epoca e dalla volontà di
Gran Bretagna. A parte qualche semplificazione (come color invece di colour), l’aspetto
stesso vale per il francese: i riformatori riuscirono nel XVI secolo a introdurre gli accenti
grafici per distinguere i diversi valori di /E/, ovvero [e], [ɛ] e [ə]317, permettendo anche
lunghezza vocalica (ormai perduta), ma da quel momento poco è stato fatto. Il 3 maggio
1990 l’Accademia francese approvò delle rettifiche ortografiche che furono pubblicate nel
toccavano all’incirca 2000 vocaboli; ciononostante sono state rifiutate o ignorate dalla
rettifiche consistono nella regolarizzazione degli usi dell’accento grave su <e>, dell’uso
su <i> e <u>, tranne che nei casi dove questo svolga la funzione di diacritico lessicale
essere scritti oggi connaitre, bruler). Sembrerebbe che “le fait de pouvoir écrire plus
facilement et simplement ne justifi[e] pas l’abandon des signes diacritiques, auxquels [on]
trouv[e] un certain charme318”. Nel 2004 è stata pubblicata una brochure chiamata Le
l’applicazione della riforma del 1990. L’edizione del dizionario Le Petit Robert del 2009
317 Secondo le regole attuali dell’ortografia francese, [e] si rappresenta con <é>, [ɛ] con <è>, <ê> o <e> in
sillaba grafica chiusa, [ə] con <e> in sillaba grafica aperta senza nessun diacritico.
318 Ousselin, E., “Aux accents, citoyens ! la résistance à la réforme de l’orthographe”, in The French Review,
vol.77, n. 3, 2004, p. 492.
180
incorpora tutti i cambiamenti proposti dalla riforma, a fianco della grafia tradizionale e
molte pubblicazioni online belghe scrivono oggi seguendo la nuova ortografia: questo può
essere un segno che in futuro la riforma, con il sostegno di tutta la Francofonia, potrebbe
considerando gli stati germanofoni come Austria, Svizzera, Liechtenstein, ecc.), arrivando
sette anni in cui la norma ortografica tradizionale sarebbe stata considerata obsoleta ma
non scorretta (mentre il correttore automatico di Word l’ha adottata quasi subito) 319. La
regolarizzazione nella divisione o unione di certi morfemi allo scritto (radfahren diventa
Rad fahren, “andare in bicicletta”; prima della riforma si scriveva radfahren ma Auto
fahren “guidare l’automobile”); uso del trait d’union (Hair-stylist può essere scritto oggi
punteggiatura; semplificazione delle regole dell’andare a capo (prima della riforma Zucker
veniva diviso in Zuk-ker, oggi invece Zu-cker)320. Se da alcuni la riforma fu accolta senza
troppi problemi, da altri fu vivacemente respinta e attaccata. Nel 1996 Rolf Gröschner,
intrapresero una lotta contro la riforma arrivando addirittura a presentare le loro lamentele
alla Corte Costituzionale Federale. Secondo loro, la riforma andava contro i diritti
319 Johnson, S., “On the origin of linguistic norms: Orthography, ideology and the first constitutional challenge to
the 1996 reform of German”, in Language in Society, n. 31, 2002, p. 549.
320 Ibid., p. 556.
181
linguistica, requisito base per il libero sviluppo della personalità. Inoltre, un altro articolo
sono liberi; secondo Gröschner questa libertà gli sarebbe stata negata se la riforma fosse
stata imposta dall’alto. Infine, visto che sua figlia avrebbe imparato un’ortografia
fondamentalmente diversa da quella appresa da lui a scuola, gli veniva tolto il diritto di
educarla come voleva. La figlia stessa aggiunse che il dover modificare le regole che
aveva appreso fino ad allora andava contro il libero sviluppo della sua personalità, dato
anni nel suo lessico mentale. La Corte rifiutò le ragioni di Gröschner e di sua figlia,
asserendo che una riforma riguardante lo 0,5% della lingua scritta non poteva essere
però il solo a opporsi alla riforma e a tutt’oggi la questione è dibattuta, tanto che tra i
quotidiani tedeschi più venduti, solo il Deutsche Presse Agentur e il Reuters aderiscono
completamente all’ortografia riformata, mentre, per esempio, Die Zeit segue delle regole
Russia, dopo la Rivoluzione, il russo standard fu promosso con una riforma ortografica;
furono abolite grafie etimologiche e dei grafemi inutili scomparvero dall’alfabeto. Tuttavia
la forma presa come standard non era basata sullo stile negligente (ritmo allegro) della
pronuncia dei proletari (la vecchia pronuncia moscovita), bensì sullo stile diligente lento,
vicino agli usi di quelle classi alte contro cui si era scagliata la Rivoluzione323. In
indicare /tʃ/, <dj> è passato a <j> per indicare /dʒ/ e <j> è passato a <y> per indicare /j/.
In Giappone, nel 1946, l’uso dei kana è stato riformato, eliminando alcuni caratteri
obsoleti e allineando la grafia alla pronuncia moderna. In Norvegia, la cui lingua ufficiale,
il bokmål, è basata sul danese scritto, ci sono state numerose riforme nel corso del XX
secolo, per l’esattezza nel 1907, 1917, 1938, 1941, 1981 e l’ultima nel 2005. La
situazione norvegese è degna di nota in quanto esiste, oltre al bokmål, un altro standard
ortografico, il nynorsk; il primo è più conservativo e più vicino al danese scritto, il secondo
è più innovativo e vicino ai dialetti norvegesi. Durante i primi anni della scuola elementare
gli allievi possono scegliere se imparare il bokmål o il nynorsk, ma una volta attuata la
scelta viene chiesto loro di essere coerenti; dopo le scuole medie inferiori sono però
tenuti a conoscere entrambe le varietà. La percentuale degli alunni che viene educato in
La quasi totalità delle riforme ortografiche hanno visto schierarsi da una parte i
motivazioni addotte dall’uno o dall’altro gruppo per sostenere le proprie posizioni sono
comuni a tutti i vari dibattiti; Geerts326, in un articolo in cui tratta in particolare della riforma
324 La riforma ha portato all’unificazione grafica in Indonesia, Malaysia, Singapore e Brunei, stati dove si parla,
con leggere differenze, una stessa lingua.
325 http://en.wikipedia.org/wiki/Spelling_reform; vedi anche Tuttle, E., “Adaptations of the Roman Alphabet”, in
Daniels, P. T., Bright, W., op. cit., pp. 633 – 651, e Gundersen, D., “Successes and Failures in the Reformation
of Norwegian Orthography”, in Fishman, J. A., Advances in the Creation and Revision of Writing Systems, The
Hague/Paris, Mouton, 1977, pp. 247-266.
326 Geerts, G., Broeck, J. van den, Verdoodt, A., op. cit., pp. 201-206.
183
una volta apprese; i riformatori ribattono che si tratta solo di una
questione di tempo;
razionalmente, per esempio, che rhyme sia più bello da leggere di rime;
ribattere con la stessa accusa, infatti può essere indice di pigrizia anche
nella grafia può essere di qualche interesse per gli studiosi della lingua,
per i filologi, i linguisti, gli insegnanti, ecc. ma per il parlante comune non
è altro che un inutile fardello; per di più, la maggior parte dei vocaboli non
reca di solito indizi della sua etimologia e questo fatto non è mai
184
nessuna ortografia distingue puntualmente gli omofoni e sono presenti
i riformatori ribattono che, nel giro di poco tempo, ci si abitua alla nuova
immagine grafica327;
327 Un certo tipo di poesia basata principalmente su “giochi grafici” (es. Apollinaire, Futurismo, ecc.) con una
riforma radicale perderebbe immediatamente accessibilità.
185
è tutt’altro che pacifica e si presta a essere considerata da diversi punti di
vista);
grafico di alcune parole può oscurare i legami con le altre tradizioni: per
A seconda della nazione e del periodo storico gli argomenti che prevalgono sugli
prima di tutto nella società, non a caso due delle riforme citate, quella in Turchia e quella
in Cina, corrispondono a dei periodi estremamente significativi per la storia di queste due
nazioni. Come dice Gramsci in un celebre passo dei suoi Quaderni del carcere, “[o]gni
volta che affiora, in un modo o nell'altro, la questione della lingua, significa che si sta
186
imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l'allargamento della classe
dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la
328 Gramsci, A., Quaderni del carcere (Quaderno 29), 1935 (rist. Torino, Einaudi, 2007).
187
188
CONCLUSIONE
alcune conclusioni e di dare delle risposte alle domande che ci eravamo posti
inizialmente.
abbiamo distinto i sistemi di scrittura in due tipologie: quelli pleremici, che traducono
graficamente unità del piano del contenuto, e quelle cenemici, che invece annotano unità
del piano dell’espressione. Tra quelli pleremici, avevamo elencato le pittografie, i cui
elementi richiamano in modo più o meno iconico i referenti esterni a cui essi si
riferiscono; le ideografie, le cui unità grafiche corrispondono a dei concetti astratti e la cui
iconicità è minore rispetto alle pittografie; le logografie, in cui normalmente a ogni segno
grafico corrisponde un morfema o una parola della lingua trascritta. Tra quelli cenemici
avevamo individuato i sillabari, in cui a ogni simbolo corrisponde una sillaba fonica; gli
possono in caso essere rese con dei diacritici); gli abugida, sillabari in cui è possibile
identificare quale parte del simbolo grafico corrisponde alla consonante e quale parte
corrisponde alla vocale; gli alfabeti, in cui vengono rappresentate da simboli diversi sia le
consonanti sia le vocali; le grafie di tratti, alfabeti in cui la forma di alcuni simboli richiama
non esistono sistemi di scrittura puri e in qualsiasi tradizione scrittoria sono presenti
viene interpretato dal lettore in un modo o nell’altro. Abbiamo poi voluto definire anche il
189
significato di script, inteso come tipo di grafia; nel mondo sono diffusi moltissimi script
all’aspetto grafico dei simboli utilizzati (ad es., il devanāgarī e il Ge’ez sono due script
diversi ma sono entrambi abugida);. Con ortografia abbiamo inteso invece l’insieme di
Ci siamo poi posti il problema delle unità minime del sistema grafico e abbiamo
cercato di vedere se era possibile stabilire un parallelo con le unità minime della
sul piano terminologico, per cui grafema richiama fonema e i tratti grafemici richiamano i
tratti fonologici, ma mentre le diverse lingue del mondo condividono diversi fonemi e i
enormemente ed essendo legate a supporti materiali non sono sottoposti alle stesse
limitazioni fisiologiche del piano fonico329. È quindi importante considerare le unità minime
della grafematica in maniera indipendente da quelle della fonologia, perché, per esempio,
i tratti grafemici possono avere corrispondenze articolatorie solo in una grafia di tratti
come l’hangŭl ma non in tutte le altre tradizioni, dove vanno invece considerati, ad
esempio, per la loro importanza nella lettura (per la discriminazione dei diversi grafemi) o
per le loro applicazioni pratiche (creazione di nuovi simboli in armonia con quelli già
Per le stesse ragioni per cui è importante considerare le unità minime in maniera
indipendente dal piano fonico sarà necessario postulare, oltre ad una grafematica
sistematica (che studi i rapporti tra lingua scritta e lingua orale) anche una grafematica
329 Ci sono anche delle limitazioni fisiologiche proprie della scrittura, legate ai movimenti della mano, alla luce,
all’accessibilità e reperibilità del supporto materiale, ecc.
190
autonoma (che studi la scrittura indipendentemente dalla lingua). I risultati delle due
integrati in una terza grafematica, generale, che tenga conto, oltre che dei risultati delle
prime due, anche degli aspetti della scrittura legati al linguaggio ma indipendenti
l’integrazione della grafematica nella linguistica (Saussure, Jakobson, Bloomfield, tra gli
lingua. I linguisti interessati alla scrittura hanno invece evidenziato come, anche nei
sistemi alfabetici, fossero presenti elementi pleremici utili nei processi di comprensione
parlato della sua ottimalità, ovvero dell’auspicabilità, per una lingua, di avere un giorno
una propria controparte scritta. Hjelmslev e i suoi sostenitori hanno ripreso l’affermazione
di Saussure secondo cui la lingua non è sostanza ma forma, per negare la necessità di
limitarsi allo studio dell’espressione fonica. Tuttavia, affermare che lingua scritta e lingua
tratti grafemici, il cui numero varia a seconda dello script. Questi tratti grafemici
alla prima articolazione. Il grafema può avere un significato linguistico, come nel caso dei
significato fonico, come la maggior parte dei grafemi delle ortografie trasparenti o
191
piano del significato e poi un corrispettivo sul piano fonico, come proverebbero diversi
di punteggiatura sono quelli che meglio si prestano a dimostrare la doppia natura dei
grafemi, infatti questi segni sono suscettibili, quasi in tutte le tradizioni scrittorie, di essere
interpretati sia come pleremici sia come cenemici, in quanto legati sia a categorie logiche
infinito di parole memorizzando solo qualche decina di caratteri. Secondo Gelb, infatti,
nella storia, i sistemi di scrittura sono passati da una fase pittografica ad una alfabetica
indietro. Se è vero che la maggior parte dei sistemi di scrittura sono nati con una forte
criterio fonologico, diventando sillabari, abugida o alfabeti, è anche vero che la stessa
casi di ritorno parziale alla logografia? La spinta iniziale verso il fonografismo può essere
spiegata, forse, con la necessità che un popolo incontra durante la sua storia di
comunicare con altri popoli che parlano lingue diverse e usano scritture diverse; infatti,
come è stato già detto, l’alfabeto è il sistema più funzionale quando si tratta di trascrivere
suoni estranei alla propria lingua; anche Coulmas sottolinea l’importanza del passaggio
Un’altra spinta verso il fonografismo può essere stata data dalla supposta maggiore
società, solo l’élite aristocratica potrà avere il tempo di dedicare molti anni alla
piuttosto recenti e si danno in società altamente alfabetizzate e con una lunga tradizione
storica (o con una parziale ristrutturazione fonologica compiutasi nel tempo), dove la
lettura silenziosa è molto diffusa (si pensi ai casi delle società anglofone e francofone):
applicare un criterio di lettura più veloce e naturale, ovvero quello che fa corrispondere
unità grafiche con unità di significato; in secondo luogo, il fatto che le scritture tendano a
tutte le potenzialità date dal medium scrittorio. Il cambiamento della natura dei rapporti
grafia-fonia non va quindi interpretato come una regressione, bensì come una
compresenza di diversi elementi e potenzialità che, a seconda del periodo storico, della
situazione sociale di un dato popolo, degli usi pubblici o privati della scrittura,
dell’evoluzione della struttura linguistica, ecc. vengono espressi con maggiore o minore
331 Coulmas, F., “Theorie der Schriftgeschichte”, in Schrift und Schriftlichkeit. Ein interdisziplinäres Handbuch
internationaler Forschung / Writing and its Use, vol. 1, a cura di Günther, H., Ludwig, O., Berlin/New York, De
Gruyter, 1994, p. 262.
193
frequenza. In fondo, come abbiamo già messo in evidenza, non esistono sistemi di
scrittura puri (lo dice lo stesso Gelb: “There are no pure writing systems”332), il processo
che va dalla pittografia alla fonografia andrebbe quindi visto più come una tendenza
piuttosto che come una legge naturale333. Coloro che, nel XIX secolo, sostenevano che le
lingue evolvevano necessariamente da una fase isolante verso una fase flessiva
passando per una fase agglutinante, avrebbero dovuto fare i conti oggi con il caso
dell’inglese, lingua inizialmente flessiva (come per es. il tedesco) che tende ad avere una
morfologia quasi isolante (con pochi tratti agglutinanti) che l’avvicina a quella del cinese;
possiamo tracciare un interessante parallelo con l’ortografia della lingua inglese, che
nasce come altamente fonologica durante il Medio Evo e tende oggi verso la logografia
(anche se il rapporto grafemi-fonemi non è ancora del tutto perduto), fatto che, al di là
delle apparenze, abbiamo dimostrato avere anche dei vantaggi. Infatti abbiamo visto,
confrontando la situazione dell’inglese e del francese con quella di altre lingue che hanno
Abbiamo poi individuato quattro criteri per giudicare l’ottimalità dei diversi sistemi
riproduzione (scarsa complessità dei caratteri) ma sistemi logografici come quello cinese
risultano molto più efficaci secondo il criterio della massima distintività (le unità grafiche si
differenziano molto tra di loro) e secondo quello della massima naturalezza (in quanto
morfema piuttosto che un’unità come il fonema). Per il lettore saranno di grande
legge nel corso della sua vita molto di più di quanto scriva e l’era informatica diminuisce
assente da nessun sistema? In realtà, bisogna considerare altri fattori che nella pratica
risultano più importanti dei criteri qui appena esposti, ovvero il prestigio culturale dello
script e l’insegnamento scolastico: l’Occidente ormai vede l’alfabeto latino come parte
integrante della sua cultura e sarebbe impensabile farne a meno; allo stesso tempo,
anche in tradizioni culturali come quella cinese o quella indiana, che usano scritture
proprie, è diventato necessario conoscere i caratteri latini, quanto meno per comunicare
in inglese, lingua franca mondiale; dal punto di vista della didattica, è sempre preferibile
logografie e le ortografie opache richiedano molto più tempo delle fonografie e delle
tempo più naturale sembra essere il sillabario (o meglio, l’abugida), poiché la sillaba è più
intuitiva del fonema e i simboli da memorizzare non sarebbero numerosi quanto quelli di
una scrittura logografica. Ciononostante, non tutte le lingue hanno una struttura sillabica
complicate (come nel devanāgarī) o all’aumento eccessivo del numero di caratteri: in casi
195
veramente necessaria e auspicabile o se si trattasse solamente di un ennesimo esempio
concludendo che, al di là dei singoli episodi storici, la scrittura può veramente servire
principalmente per la comunicazione a lunga distanza nel tempo e nello spazio e per la
casi invece i parlanti nativi non sofisticati hanno rifiutato sistemi scientificamente
1964, cinque criteri da seguire per la creazione di una nuova ortografia, in ordine di
importante, ma secondo noi essa è strettamente legata al quarto criterio, quello della
popolazioni recentemente alfabetizzate veda l’apprendimento della scrittura come una via
inglese, spagnolo, francese, tedesco, olandese per le ex colonie europee, l’arabo per gli
stati di fede islamica, il russo per i popoli dell’ex Unione Sovietica, ecc. Per questo
anche casi in cui i parlanti vogliono distinguersi dalla lingua degli ex colonizzatori a causa
196
di atteggiamenti negativi nei confronti di questi ultimi o addirittura, per mostrare la propria
unicità, decidono di introdurre sistemi di scrittura creati ex novo (es. Cherokee, Cree,
Inuktitut, Vai, Akauku, N’ko, ecc.) o riprendono sistemi molto antichi (es. il Tifinagh per le
lingue berbere in Marocco, l’antica grafia mongola per soppiantare l’alfabeto cirillico in
essere più rilevante per i linguisti che per i parlanti comuni, mentre la facilità di
comunicative e la riproduzione sarà tanto più semplice quanto più si allinea agli usi delle
culture dominanti, che normalmente hanno il controllo della tecnologia (e quindi della
stampa).
gioco diversi fattori. I principali sono tre: quello linguistico, quello sociale e quello tecnico-
creazione di nuove ortografie, i criteri che renderebbero un’ortografia ottimale dal punto di
vista linguistico spesso non coincidono, ma addirittura si scontrano, con i criteri che la
efficiente, pur basandosi in larga misura sulla componente fonica del linguaggio,
dovrebbe contenere anche delle informazioni di livello più alto, morfologico e/o lessicale e
possibilmente dare una certa rilevanza alla sillaba piuttosto che al fonema. Se questo
traguardo non può essere raggiunto nella struttura interna dello script, è auspicabile che
si sottolinei l’importanza della sillaba, del morfema e della parola perlomeno durante
l’insegnamento scolastico.
Qualsiasi affermazione si faccia in merito a fenomeni sociali non può però mai
197
ottimale, un’ortografia trasparente a base alfabetica è senz’altro veloce da apprendere,
tanto più che si tratta spesso di comunità linguistiche non troppo numerose, in cui quindi i
coerente, esso dovrà anche permettere un accesso immediato alle ortografie delle lingue
deviazioni dal principio fonografico per armonizzarsi con determinati usi di altre
ortografie. Il sistema dovrà anche essere di facile riproduzione tecnica, visto le scarse
risorse economiche dei paesi in via di sviluppo (ma è anche spesso il caso di piccole
standard).
Per quanto riguarda la riforma di ortografie già esistenti, sembra valere questo
trasparente richiede più tempo e più memoria per l’apprendimento; una volta appresa, la
ortografie trasparenti le riforme possono avvenire regolarmente (si pensi allo spagnolo),
visto che si tratta di modificare delle relazioni tra un grafema e un fonema, nelle ortografie
opache e nelle logografie il cambiamento si situa ad un livello più alto, quello del lessico:
modificare l’immagine grafica di una parola richiede uno sforzo cognitivo molto maggiore
molto meglio del linguista che il linguaggio non è suono. L’attaccamento spesso giudicato
334 Bettoni, C., Imparare un’altra lingua, Roma/Bari, Laterza, 2007, pp. 145-147.
198
irrazionale a una data grafia può essere anche interpretato come la prova del fatto che la
scrittura viene considerata dall’uomo comune come linguaggio, non come mero sistema
di trascrizione; il non desiderare che la propria ortografia sia al 100% fonologica non è
per forza una visione miope, ma può essere il sintomo della necessità (e dell’utilità) che
la rappresentazione della lingua tramite lo scritto non si fermi solo al livello della sostanza
fonica ma che si ponga in relazione anche con il piano del contenuto. Un’ortografia può
se a quel punto manca il sostegno popolare, la lingua scritta perde di prestigio e viene
perciò meno la motivazione per l’apprendimento, il gioco sarà valso la candela? Non si
politica di una riforma. Anche se spesso i problemi intorno ai quali si discute possono
are hard to change because, concrete as they are, they constitute the most obvious part
of language to which loyalty can be tied335”. L’ideale a cui un’ortografia dovrà puntare
da rappresentare, sia sul piano fonologico, sia sul piano morfolessicale (la percentuale
della lingua in questione, ecc.). Nel caso un tentativo di miglioramento del sistema grafico
non venisse sostenuto dalla comunità di parlanti per ragioni di carattere extralinguistico,
possibilmente mettendo in luce alcuni aspetti linguistici che possono sfuggire alla
maggior parte dei parlanti, per convincerli della bontà delle proposte di cambiamento. Se
335 Coulmas, F., The Writing Systems of the World, Oxford, Blackwell, 1989, p. 260.
199
anche in quel caso la riforma non dovesse avere successo, questo significherebbe che
evidentemente il sistema in uso, con tutti i suoi difetti, fornisce la motivazione necessaria
affinché venga imparato, utilizzato e insegnato. A quel punto sarà compito del sistema
scolastico impostare l’insegnamento ortografico nel modo migliore, puntando sulle unità
intuitivamente più salienti del linguaggio e descrivendo il sistema di scrittura per quello
che è, evitando, per esempio, di trattare un’ortografia come quella dell’inglese come se
clemente che si ha tipicamente verso le deviazioni dallo standard nell’orale (fintanto che
rimane possibile l’intelligibilità) anche nello scritto, ambito in cui solitamente si tende ad
essere molto più severi di fronte alla variazione; questo perché normalmente le ortografie
si basano sullo stile di enunciazione lento-accurato, scelta che poi si riflette in fenomeni
di fortizione e di spelling pronunciation. Come la lingua orale conosce diverse varianti sul
comunicative, così anche all’espressione scritta della lingua dovrebbe essere concesso
un margine di variazione possibile, sia a livello stilistico sia a livello delle unità minime
corrisponda a tutti i criteri di ottimalità che abbiamo enunciato; ci sono delle variabili
dedicare alla scolarizzazione, ecc. che rendono l’alfabeto il sistema più elastico e diffuso,
200
decisamente alto che non lo rende più facilmente apprendibile di altri sistemi. E le
misto come quello giapponese sono appresi da milioni di persone, lo stesso può
accadere (e accade) per le ortografie opache; il problema è che, a causa della loro
analisi indipendente della lingua? La nostra risposta è sì, nelle società che conoscono e
l’immagine grafica di una parola può acquisire un’importanza uguale o superiore a quella
fonica.
all’uscita della fonologia, almeno nei suoi presupposti iniziali; tuttavia, diversi esempi
hanno dimostrato che non è sempre così; il piano dell’espressione scritta, specialmente
nelle logografie e nelle ortografie opache, si pone in relazione con dei livelli più alti
(morfologia, sintassi, lessico), alcune volte mantenendo un contatto con il piano fonico,
notevoli alla maggiore conoscenza dei fenomeni linguistici (nel senso più ampio del
termine). Essendo l’espressione grafica della lingua una delle componenti più esterne e
associata, nella storia, ad aspetti religiosi, estetici, magici e ideologici dalle diverse
201
culture, una teoria della grafematica generale non potrà non tenere conto degli aspetti
sociali del linguaggio, oltre che dei rapporti tra i grafemi e i diversi piani della lingua e tra
Se poi negli anni a venire alla scrittura verrà veramente data l’importanza che si
merita tra le scienze del linguaggio, questo non possiamo saperlo. Per adesso, ci
202
BIBLIOGRAFIA
204
CECCHINI, M., Fontestesie: L’interpretazione sensoriale del carattere
tipografico, tesi di laurea al Politecnico di Milano, 2005/2006.
CERQUIGLINI, B., L’accent du souvenir, Paris, Éditions de Minuit, 1981.
ID., La genèse de l’orthographe française (XII – XVII siècles), Paris, Unichamp
Essentiel Honoré Champion, 2004.
CHERVEL, A., Histoire de la grammaire scolaire… et il fallut apprendre à écrire
à tous les petits français, Paris, Payot, 1977.
CHEVROT, J.-P., MALDEREZ, I., “L’effet Buben: de la linguistique diachronique à
l’approche cognitive (et retour)”, in Langue française, vol. 124, n. 1, 1999.
CHO, J-R., MCBRIDE-CHANG C., “Levels of Phonological Awareness in Korean
and English: A 1-Year Longitudinal Study” in Journal of Educational
Psychology, vol. 97, N. 4, 2005.
CHOMSKY, N., HALLE, M., The sound pattern of English, New
York/Evaston/London, Harper & Row Publishers, 1968.
CIPRIANO, P., D’AVINO, R., DI GIOVINE, P. (a cura di), Linguistica storica e
sociolinguistica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Roma,
1998.
CLARK, H. H., CLARK, E. V., Psychology and language, Brace and Jovanovich,
New York, 1977.
COLTHEART, M., RASTLE, K., PERRY, C., LANGDON, R., ZIEGLER, J., “DRC: A
Dual Route Cascaded Model of Visual Word Recognition and Reading Aloud”
in Psychological Review, vol. 108, n. 1, 2001.
COOPER, R., Language planning and social change, Cambridge, UP, 1989.
COSSU, G., SHANKWEILER, D., LIBERMAN, I. Y., KATZ., L. E., TOLA, G.,
“Awareness of phonological segments and reading ability in Italian children”, in
Applied Psycholinguistics, n. 9, 1988.
COULMAS, F., “Writing and literacy in China”, in Coulmas, F., Ehlich, K., 1983.
ID., The writing systems of the world, Oxford, Blackwell, 1989.
ID., “Theorie der Schriftgeschichte”, in Günther, H., Ludwig, O., 1994.
ID., “Back to the Future: Literacy and the Art of Writing in the Age of
Cyberspace”, articolo presentato al IX Congresso Internazionale
dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata (AITLA), Pescara, 20
febbraio 2009.
205
COULMAS, F., EHLICH, K. (a cura di), Trends in Linguistics, Studies and
Monographs – Writing in Focus, n. 24, The Hague, Mouton, 1983.
CYFFER, N., SCHUBERT, K., WEIER, H.-I., WOLFF, E., (a cura di), Language
Standardization in Africa – Sprachstandardisierung in Afrika – Standardisation
des Langues en Afrique, Hamburg, Helmut Buske Verlag, 1991.
DALBY, D., “A Survey of the Indigenous Scripts of Liberia and Sierra Leone:
Vai, Mende, Loma, Kpelle and Bassa”, in African Language Studies, n. 8, 1967.
DANIELS, P. T., “The syllabic origin of writing and the segmental origin of the
alphabet”, in Downing, P., Lima, S. D., Noonan, M., 1992.
ID., “The Invention of Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
DANIELS, P. T., BRIGHT, W. (a cura di), The world’s writing systems, New York,
Oxford University Press, 1996.
DEVIENNE, F., “Considérations théoriques sur l’écriture par deux lettrés chinois
au début du 20ème siècle. Analyse de l’œuvre linguistique de Zhang Binglin
(1869-1936) et de son disciple Hunag Kan (1886-1935)”, in Cahiers de
Linguistique – Asie Orientale, vol. 30, n. 2, 2001.
DIKI-KIDIRI, M., “Réflexions sur la graphématique”, in Cahiers d’études
africaines, vol. 23, n. 89, 1983.
DIRINGER, D., The Alphabet: A Key to the History of Mankind, New York, Funk
& Wagnalls, 1880.
DOWNING P., LIMA S. D., NOONAN M. (a cura di), The Linguistics of Literacy,
Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 1992.
DRESSLER, W. U., “Approaches to Fast Speech Rules”, in Phonologica, Dressler
and Mares, 1972.
ID., “Sketching Submorphemes within Natural Morphology”, in Méndez
Dosuna, J., Pensado, C., 1990.
DRESSLER, W. U., MAYERTHALER, W., PANAGL, O., WURZEL, W.U., Leitmotifs
in Natural Morphology, Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing
Company, 1987.
EHRI, L., “Apprendre à lire et écrire des mots”, in Rieben, L., Fayol, M., Perfetti,
C. A., 1989.
EISENBERG, P., “Writing system and morphology. Some orthographic
regularities of German”, in Coulmas, F., Ehlich, K., 1983.
206
ELBRO, C., “Literacy Acquisition in Danish: A Deep Orthography in Cross-
Linguistic Light”, in Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
ELIZAINCÍN, A., MALCOURI, M., COLL, M., “Grafemática histórica: seseo y
yeísmo en el Río de la Plata”, in Blecua, M. J., Gutiérrez J., Sala L., 1998.
FABER, A., “Phonemic segmentation as epiphenomenon: Evidence from the
history of alphabetic writing”, in Downing, P., Lima, S. D., Noonan, M., 1992.
FERRAND, L., “Evaluation du rôle de l’information phonologique dans
l’identification des mots écrits”, in L’année psychologique, vol. 95, n. 2, 1995.
FIRTH, J. R., “The Use and Distribution of Certain English Sounds”, in English
Studies, n. 17, 1935.
FISCHER-JØRGENSEN, E., “Remarques sur le principe de l’analyse
phonématique”, in Travaux du cercle linguistique de Copenhague, n. 5, 1949.
FISHMAN, J. A. (a cura di), Advances in the Creation and Revision of Writing
Systems, The Hague/Paris, Mouton, 1977.
ID., “Advances in the Creation and Revision of Writing Systems”, in Fishman, J.
A., 1977.
FISHMAN, J. A., FERGUSON, C. A., DAS GUPTA, J. (a cura di), Language
Problems of Developing Nations, New York, Wiley, 1968.
FISIAK, J., A short grammar of Middle English – Part One: Graphemics,
Phonemics and Morphemics, Warszawa/London, Polish Scientific
Publishers/Oxford University Press, 1968.
FIORMONTE, D., traduzione inglese di passi scelti tratti da L’influenza del
computer sulla scrittura: Ipotesi ed esperimenti, tesi di laurea all’Università “La
Sapienza” di Roma, aprile 1994.
FONTINHA, R. F., Epítome de gramática portuguesa elementar, Porto, Editorial
Domingo Barreira, 1946.
FOSS, D. J., SWINNEY, D. A., “On the Psychological Reality of the Phoneme:
Perception, Identification and Consciousness”, in Journal of Verbal Learning
and Verbal Behavior, n. 2, 1973.
FOURNIER, P., “Sur l’origine des complications de l’orthographe française”, in
Le français moderne, n. 8, 1940.
FRITH, U., Beneath the surface of developmental dyslexia, London, Lea, 1985.
207
FROST, R., “Orthography and phonology: The psychological reality of
orthographic depth”, in Downing, P., Lima, S. D., Noonan , M., 1992.
GAK, V. G., L’orthographe du français, Paris, SELAF, 1976.
GEERTS, G., BROECK, J. VAN DEN, VERDOODT, A., “Successes and Failures in
Dutch Spelling Reform”, in Fishman, J. A., 1977.
GELB, I. J., A study of writing, Chicago, University of Chicago Press, 1952 (rist.
1963).
GEYMONAT, M. “Antichità greca e latina, cultura bizantina e latinità medievale”,
in Mortara Garavelli, B., 2008.
GIRALDI, C., “Dei Romanzi”, in Scritti Estetici, Milano, Daelli, 1864.
GISCEL, Educazione linguistica democratica a trent'anni dalle 10 Tesi, Franco
Angeli, Milano, 2007.
GLEITMAN, L., ROZIN, P., “The structure of acquisition in reading”, in Reber, A.
S., Scarborough, D. L., 1977.
GÓMEZ TORREGO, L., Gramática didáctica del español, Madrid, Zanichelli,
2002.
GOODY, J., Literacy in traditional societes, Cambridge, Cambridge University
Press, 1977.
GOODY, J., WATT, I., “The consequences of literacy”, in Goody, J., 1977.
GOSWAMI, U., “Orthography, Phonology and Reading Development: A Cross-
Linguistic Perspective”, in Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
GRAFF, H., The labyrinths of literacy: Reflections on literacy past and present,
London, Falmer, 1987.
GRAMSCI, A., Quaderni del carcere (Quaderno 29), 1935 (rist. Torino, Einaudi,
2007).
GREENBERG, J., Anthropological Linguistics: An Introduction, New York, 1968.
GUERINI, F., “La grafia unificata dei dialetti Akan (Akan Unified Orthography):
costi e benefici dell’armonizzazione ortografica”, articolo presentato al IX
Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata
(AITLA), Pescara, 20 febbraio 2009.
GUNDERSEN, D., “Successes and Failures in the Reformation of Norwegian
Orthography”, in Fishman, J. A., 1977.
208
GÜNTHER, H., LUDWIG, O., Schrift und Schriftlichkeit. Ein interdisziplinäres
Handbuch internationaler Forschung / Writing and its Use, vol. 1, Berlin/New
York, De Gruyter, 1994.
HAAS, W., “Determining the level of a script”, in Coulmas, F., Ehlich, K., 1983.
HAGÈGE, CL., Le français et les siècles, Paris, Odile Jacob, 1987.
HAGTVET B., HELLAND T., LYSTER S.-A. H., “Literacy Acquisition in
Norwegian”, in Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
HAKULINEN, L., The structure and development of the Finnish language, The
Hague, Mouton, 1961.
HALL, R. A. JR, “A Theory of Graphemics”, in Acta Linguistica, vol. 8, n. 1,
1960.
ID., Pidgin and Creole Languages, Ithaca/New York, Cornell University Press,
1966.
HAMMARSTRÖM, G., “Graphemes and nuncemes of English”, in Studia
linguistica, n. XXVI, 1972.
HANS-BIANCHI, B., “La competenza scrittoria mediale – Studi sulla scrittura
popolare”, in Beihefte zur Zietschrift für romanische Philologie, n. 330,
Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 2005.
HARRIS, R. Signs of Writing, London/New York, Routledge, 1995.
HARTELL, R. L., Alphabets des langues africaines, Dakar, UNESCO-SIL, 1993.
HJELMSLEV, L., “Introduction à la discussion générale des problèmes relatifs à la
phonologie des langues mortes, en l’espèce du grec et du latin”, in Acta
Congressus Madvigiani, 1954.
ID., Prolégomènes à une théorie du langage, Paris, Minuit, 1971.
HOCKETT, C. F., A course in modern linguistics, New York, The Macmillan
Company, 1958.
HOLENSTEIN, E., “Double articulation in writing”, in Coulmas, F., Ehlich, K.,
1983.
HOLISKY, D. A., “The Georgian Alphabet”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
HOREJSI, W., “Formes parlées, formes écrites et systèmes orthographiques des
langues”, in Folia linguistica, n. V, 1971.
JAKOBSON, R., “Fonetica e fonologia”, in Saggi di linguistica generale, Milano,
Feltrinelli, 1976.
209
JOHNSON, S., “On the origin of linguistic norms: Orthography, ideology and the
first constitutional challenge to the 1996 reform of German”, in Language in
Society, n. 31, 2002.
JUILLAND, A. DEVINE, A. M., STEPHENS, L. D., Linguistic Studies offered to
Joseph Greenberg, vol.1, Saratoga, California, Anma Libri, 1976.
JUSTESON, J. S., “Universals of Language and Universals of Writing”, in
Juilland, A., Devine, A. M., Stephens, L. D., 1976.
KAYE, A. S., “Adaptations of Arabic Script”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
KERCHKOVE, D. DE, “A theory of Greek tragedy”, in Sub-stance, Madison,
University of Wisconsin, 1981.
LAUDANNA, A., “Ortografia”, in Laudanna A., Voghera, M., 2006.
LAUDANNA, A., VOGHERA, M., Linguaggio, strutture e processi, Roma/Bari,
Laterza, 2006.
LEHTONEN, A., “Sources of Information Children Use in Learning to Spell: The
Case of Finnish Geminates” in Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
LEPSCHY, A. L., LEPSCHY, G., “Punteggiatura e linguaggio”, in Mortara
Garavelli B., 2008.
LEVITT, J., “The Influence of Orthography on Phonology: a Comparative Study
(English, French, Spanish, Italian, German)”, in Linguistics, n. 208, The Hague,
Mouton, 1978.
LIBERMAN, I. Y., SHANKWEILER, D., FISCHER, F. W., CARTER, B., “Explicit
syllable and phoneme segmentation in the young child”, in Journal of
Experimental Child Psychology, n. 18, 1974.
LYYTINEN H., ARO M., HOLOPAINEN L., LEIWO M., LYYTINEN P., TOLVANEN A.,
“Children’s Language Development and Reading Acquisition in a Highly
Transparent Orthography”, in Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
MAGNUS, M., Gods of the Word: Archetypes in the Consonants, Truman State
University Press, 1999.
MALATESHA JOSHI, R., AARON, P. G., Handbook of Orthography and Literacy,
Oxford/New York, Routledge, 2006.
MARTINET, A., Éléments de linguistique générale, Paris, Armand Colin, 1960.
MARTLEW, M., “The development of writing: Communication and Cognition”,
in Coulmas, F., Ehlich, K., 1983.
210
MASICA, C. P., The Indo-Aryan languages, Cambridge, Cambridge University
Press, 1993.
MAZAMA, A., “An Afrocentric Approach to Language Planning”, in Journal of
Black Studies, vol. 25, n. 1, 1994.
MCCLELLAND, J. L., RUMELHART, D. E., “An interactive activation model of
context effects in letter perception: Part 1. An account of basic findings”, in
Psychological Review, n. 88, 1982.
MCINTOSH, A., “‘Graphology’ and meaning”, in McIntosh, A., Halliday, M. A.
K., 1966.
MCINTOSH, A., HALLIDAY, M. A. K. (a cura di) Patterns of Language – Papers
in General, Descriptive and Applied Linguistics, Longmans’ Linguistics Library,
London, 1966.
MCLUHAN, M., La galassia Gutenberg, Roma, Armando, 1976.
MÉNDEZ DOSUNA, PENSADO, C. (a cura di), Naturalists at Krems, Salamanca,
Ediciones Universidad de Salamanca, 1990.
MIGLIORINI, B., Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani, 1994.
MILLER, D. G., “Ancient Scripts and Phonological Knowledge”, in Current
Issues in Linguistic Theory, n. 116, John Benjamins Publishing Company, 1994.
MIONI, A., Problèmes de linguistique, d’orthographe et de coordination
culturelle au Burundi, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1970.
ID., “Le macrocause dei mutamenti linguistici e i loro effetti”, in Cipriano, P.,
d’Avino, R., Di Giovine, P., 1998.
ID., Elementi di morfologia generale, Padova, Unipress, 2006.
ID., “Conoscenze, memorie e riti della scrittura e della parola. Continuando il
viaggio di Giorgio R. Cardona”, articolo presentato al IX Congresso
Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica Applicata (AITLA),
Pescara, 20 febbraio 2009.
MITTON, R., English Spelling and the Computer, Longman, London/New York,
1996.
MOLINARI, M. V., La filologia germanica, Bologna, Zanichelli, 1987.
MORAIS, J., CARY L., ALEGRIA J., BERTELSON P., “Does awareness of speech as
a sequence of phoneme arise spontaneously?”, in Cognition, n. 7, 1979.
211
MORETTO, P., “Louis Hjelmslev e la grafematica” in Janus, n. 3, Vicenza,
Terraferma, 2002.
MORREALE, M., “La (orto)grafía como tropiezo”, in Blecua, M. J., Gutiérrez J.,
Sala L., 1998.
MORTARA GARAVELLI, B. (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa,
Bari, Laterza, 2008
MORTON, J., “The interaction of information on word recognition”, in
Psychological Review, n. 76, 1969.
MÜLLER K., BRADY S., “Correlates of Early Reading Performance in a
Transparent Orthography” in Reading and Writing: An Interdisciplinary Journal
n. 14, Kluwer Academic Publishers, Netherlands, 2001.
NIDA, E. A., “Practical Limitations to a Phonemic Alphabet”, in Smalley, W. A.,
1964.
O’CONNOR, M., “The Berber Scripts”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
ONG W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino,
1986.
OUSSELIN, E., “Aux accents, citoyens ! la résistance à la réforme de
l’orthographe”, in The French Review, vol.77, n. 3, 2004.
PASCH, H., “Competing Scripts: the introduction of the Roman alphabet in
Africa”, in International Journal of the Sociology of Language, vol. 2008, n.
191, 2008.
PENTTILÄ, A., “Zur Grundlagenforschung der geschrieben Sprache” in Acta
Universitatis Upsaliensis. Acta Societatis linguisticae Upsaliensis, vol. 2.2,
Uppsala, 1970.
PERFETTI, C. A., “Représentation et prise de conscience au cours de
l’apprentissage de la lecture”, in Rieben, L., Fayol, M., Perfetti, C. A., 1989.
PERRI, A., “Trasposizione, segnale, metasemiotica (non scientifica). Spunti per
una grafematica (post)hjelmsleviana e per una tipologia semiotica dei segni
grafici”, in Janus, n. 7, Vicenza, Terraferma, 2007.
PIKE, K. L., “The Problem of Unwritten Languages in Education”, negli atti del
Meeting of Experts on the Use of Vernacular Languages, Paris, Unesco House,
1951.
212
PIND, J., “Evolution of an Alphabetic Writing System: The Case of Icelandic”, in
Malatesha Joshi, R., Aaron, P. G., 2006.
PRIESWERK, R., PERROT, D., Ethnocentrism and history: Africa, Asia and Indian
America in Western textbooks, New York, NOK, 1978.
PROSDOCIMI, A. L., “Puntuazione sillabica e insegnamento della scrittura nel
venetico e nelle fonti etrusche”, in ΑΙΩΝ, n. 5, Napoli, Istituto Universitario
Orientale, 1983.
PULGRAM, E., “Phoneme and grapheme: a parallel”, in Word, n. 7, 1951.
REBER, A. S., SCARBOROUGH, D. L. (a cura di), Towards a psychology of
reading, Hillsdale, New Jersey: Lawrence Erlbaum Associates, 1977.
RENOUVO (a cura di), Le millepatte sur un nénufar – Vadémécum de
l’orthographe recommendée, Saint-Léonard, Québec, De Champlain S. F., 2005.
RIEBEN, L., FAYOL, M., PERFETTI, C. A. (a cura di), L’apprenti lecteur,
Delachaux & Niestlé, 1989.
SADEMBOUO, E., “Préalables à la standardisation des langues africaines”, in
Cyffer, N., Schubert, K., Weier, H.-I., Wolff, E., 1991.
SAMPSON, G., Writing systems, London, Hutchinson, 1985.
ID., “Chinese Script and the Diversity of Writing Systems”, in Linguistics, n. 32,
1994.
SAUSSURE, FERDINAND DE, Cours de linguistique générale, Paris, Payot, 1968
(rist. Roma/Bari, Laterza, 1987).
SCHILLER, E., “Khmer Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
SCHLÖSSER, R., Le lingue romanze, Bologna, il Mulino, 2005.
SEBBA, M., “Ideology and alphabets in the former USSR”, in Language
Problems and Language Planning, n. 30, John Benjamins Publishing Company,
2006.
SEBEOK, T., A sign is just a sign, Milano, Spirali, 1998.
SERIANNI, L., Prima lezione di grammatica, Roma/Bari, Laterza, 2007.
SINGLER, J. V., “Scripts of West Africa”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
SJOBERG, A., “Writing, Speech and Society: Some Changing Interrelationships”,
in Proceedings of the Ninth International Congress of Linguists, The Hague,
Mouton, 1964.
213
SMALLEY, W. A., Orthography Studies, London/Amsterdam, United Bible
Society/North-Holland Publishing Company, 1964.
ID., “How Shall I Write This Language?”, in Smalley, W. A., 1964.
ID., “Writing Systems and Their Characteristics”, in Smalley, W. A., 1964.
ID., “The Use of Non-Roman Script for New Languages”, in Smalley, W. A.,
1964.
SMITH, J. S., “Japanese Writing”, in Daniels, P. T., Bright, W., 1996.
STEINBERG, D.D., HARPER, H., “Teaching written language as a first language to
a deaf boy”, in Coulmas, F., Ehlich, K., 1983.
TETART, J.-P., “A propos de la lecture à l’école élémentaire”, in Langue
française, vol. 13, n. 1, 1972.
THORNTON, A. M., Morfologia, Roma, Carocci, 2007.
TUTTLE, E., “Adaptations of the Roman Alphabet”, in Daniels, P. T., Bright, W.,
1996.
ULDALL, H. J., “Speech and writing”, in Acta linguistica, n. IV, 1944.
VACHEK, J., “Zum Problem der geschriebenen Sprache”, in Travaux du Circle
Linguistique de Prague, Prague, 1939.
ID., Written language. General problems and problems of English, La Haye,
Mouton, 1973.
VALERI, V., La scrittura – storia e modelli, Roma, Carocci, 2001.
VENEZKY, R. L., The Structure of English Orthography, The Hague/Paris,
Mouton, 1970.
ID., “Principles for the Design of Practical Writing Systems”, in Anthropological
Linguistics, n. 12, 1970.
VOGEL, I., La sillaba come unità fonologica, Bologna, Zanichelli, 1982.
VOORHOEVE, J., “Spelling Difficulties in Sranan”, in Smalley, W. A., 1964.
WALKER, W., “Notes on Native Writing Systems and the Design of Native
Literacy Programs”, in Anthropological Linguistics, n. 11, 1969.
WINTER, W., “Tradition and innovation in alphabet making” in Coulmas, F.,
Ehlich, K., 1983.
ZIEGLER, J. C., PERRY, C., COLTHEART, M., “The DRC model of visual word
recognition and reading aloud: An extension to German”, in European Journal of
Cognitive Psychology, n. 12, 2000.
214
SITOGRAFIA
http://en.wikipedia.org/wiki/Cherokee_syllabary
http://en.wikipedia.org/wiki/East_Asian_punctuation.
http://en.wikipedia.org/wiki/Finnish_language.
http://en.wikipedia.org/wiki/German_spelling_reform_of_1996.
http://en.wikipedia.org/wiki/Spelling_reform.
http://en.wikipedia.org/wiki/Neo-Tifinagh.
http://en.wikipedia.org/wiki/Noah_Webster.
http://it.wikipedia.org/wiki/Hangul#Ortografia.
http://sumale.vjf.cnrs.fr/.
215
INDICE
RINGRAZIAMENTI p. 5
INTRODUZIONE p. 7
I. PROBLEMI DI DEFINIZIONE p. 11
1. Scrittura e scritture p. 11
2. Unità minime p. 18
3. Grafematica p. 27
216
4.2 L’ortografia del francese p. 105
4.3 Alcune ortografie trasparenti p. 112
4.3.1 Il finlandese p. 112
4.3.2 L’italiano p. 115
4.3.3 Altre ortografie trasparenti p. 121
4.4 Ortografie morfofonologiche p. 125
4.5 Opacità vs trasparenza p. 127
5. Effetti dell’ortografia e del suo insegnamento p. 131
5.1 Spelling pronunciation o effetto “Buben” p. 131
5.2 Trasparenza e opacità ortografica in ambito didattico p. 139
CONCLUSIONE p. 189
BIBLIOGRAFIA p. 203
SITOGRAFIA p. 215
INDICE p. 216
217
218
219
220
221