1. CLASSIFICAZIONE STATISTICA
2. CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
3. CLASSIFICAZIONE AREALE
4. CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA
1.CLASSIFICAZIONE STATISTICA
La classificazione statistica si occupa fondamentalmente del numero (quante sono le lingue del mondo?), della
distribuzione geografica (come sono distribuite geograficamente?) e di capire qual è la loro vitalità. È ovvio che quanto
più una lingua sarà parlata da un numero di persone alto, tanto più alto sarà il suo grado di vitalità; minore è il numero di
parlanti, maggiore è il rischio di estinzione. La distribuzione delle lingue nel pianeta non è certamente omogenea (v.d
Linguasphere) ed è spesso difficile stabilire i confini tra una lingua e l’altra poiché la distribuzione linguistica prescinde
dai confini politici. Per capire se due lingue sono diverse si usa il criterio della distanza strutturale: se i parlanti si
comprendono vicendevolmente allora queste due varietà e lingue sono da considerarsi come un’unica entità. Quando si
classificano le lingue si fa riferimento alle lingue orali poiché la scrittura è un codice linguistico secondario e non segue di
pari passo tutte le evoluzioni linguistiche. Inoltre una lingua non è mai definitivamente morta perché anche quando essa
non conta più un numero di parlanti nativi, risulta comunque confluita in un’altra lingua e agisce da sostrato in un territorio
particolare (es: il latino).
NUMERO e VITALITA’. Contare le lingue del mondo non è semplice e questo per varie ragioni . Se è difficile questo,
ancor di più è contare le lingue morte, a meno che non abbiano lasciato una documentazione storico-letteraria (es.
sanscrito, greco antico, latino, gotico). Alcune lingue morte, invece, non hanno lasciato alcuna documentazione scritta
perché si sono estinte prima della nascita della scrittura.
- Innanzitutto bisogna pensare a quelle aree linguistiche poco studiate, delle quali abbiamo meno informazioni
linguistiche;
- inoltre appare difficile distinguere le lingue diverse perché può capitare che una delle due costituisca una
sottovarietà dell’altra.
- Poi la suddivisione delle lingue prescinde dalle suddivisioni amministrative, politiche e territoriali. Es. Ex
Jugoslavia fino al 1996 parlava una sola lingua ufficiale; in seguito alla guerra il territorio è stato suddiviso e sono
state riconosciute tante lingue ufficiali quanto il numero di territori riconosciuti autonomi (bosniaco, sernio).
Tuttavia queste lingue sono da considerarsi uguali poiché facenti parte di una lingua comune.
- Inoltre nel corso degli anni le situazioni amministrative e politiche cambiano, quindi un modo utile per tenere
sotto controllo le lingue è dato dagli osservatori. Nel 1983 nasce nel Québec LINGUASPHER OBSERVATORY, che:
monitora il numero delle lingue viventi, il luogo in cui sono parlate e crea infine una classificazione, attribuendo a
ogni lingua un codice alfanumerico univoco.
In particolare, propone dieci ordini di grandezze. L’italiano è a livello 7 poiché parlato da 70 milioni di persone al mondo,
di cui 60 milioni sono abitanti dell’Italia e 10 milioni sono dislocati altrove. Ad oggi la lingua più parlata al mondo è il cinese
mandarino (1 miliardo di parlanti nativi), seguito dall’inglese, dall’hindi (900 milioni), dallo spagnolo (450 milioni), dal
russo (320 milioni) e dal bengali e arabo (250 milioni all’incirca). Una differenza è che i parlanti del cinese mandarino sono
ubicati in un unico territorio, quindi questa lingua è la più parlata in virtù del numero significativo della popolazione cinese;
mentre l’inglese è parlato in una circoscrizione territoriale più ampia e frammentata, non è solo parlata dai madrelingua
(come il cinese). Ciò è sicuramente dovuto all’influenza coloniale dell’impero britannico e alla diffusione della cultura
americana.
Le lingue cambiano per varie ragioni anche extralinguistiche (migrazioni, invasioni, terremoti, carestie, guerre). In tal
contesto possono avvenire fenomeni di DIVERGENZA: quindi a causa di questi eventi naturali e non le popolazioni si
spostano da un territorio all’altro portando con sé la propria lingua (L1) la quale, nel territorio che accoglie il popolo, può
sovrapporsi alla lingua seconda (L2), sottomettersi completamente ad essa o convivere assieme ad essa. Es. La
frammentazione dell’impero romano d’Occidente ha dato luogo alla scomposizione del latino, prima causa della nascita di
diverse lingue romanze e di centinaia dialetti neo-latini. Oppure abbiamo fenomeni di CONVERGENZA: fattori
extralinguistici tendono a uniformare una lingua, come urbanizzazione o unità nazionale.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. Non solo il numero di parlanti varia da lingua a lingua, ma ci sono anche territori geografici
molto più ricchi di lingue naturali rispetto ad altri. Dagli studi sappiamo che i due terzi delle lingue naturali si trovano in
Asia e in Africa, a seguire l’Oceania, le Americhe e l’Europa (che conta solo 239 lingue, per una percentuale di varietà
linguistica bassa poiché pari al 4%). Ogni dato va comunque spiegato: il vecchio continente europeo ha attraversato
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anch’esso una fase di differenziazione linguistica, tuttavia una serie di eventi politici ha innescato dei processi di unificazione
e standardizzazione oltre che territoriale, anche linguistica. Secondo i genetisti le aree che mostrano una maggiore
diversità linguistica non si distribuiscono in maniera casuale bensì causale dato che le zone più ricche di varietà linguistica
sono quelle più vicine all’equatore. Se il clima è stabile, è più probabile che più lingue convivano in uno stesso territorio,
come avviene in Africa e in Asia. Infine, la distribuzione geografica non coincide con quella numerica: avere un minor
tasso di diversità linguistica non vuol dire che l’Europa abbia un numero di parlanti minore rispetto all’Africa o all’Asia, ma
piuttosto che in Europa si è avuta una maggiore omogeneizzazione linguistica.
Nel 2000 a Dallas nasce il secondo osservatorio più importante: ETHNOLOGUE. Si tratta di un catalogo linguistico dove
sono elencate e classificate 7100 lingue, parlate in 228 nazioni. Queste lingue sono classificate in termini di parlanti e sono
classificate in base al grado di vitalità:
1. DEVELOPING. Lingue in fase di sviluppo, quelle emergenti dunque, che via via stanno accogliendo nuovi parlanti e
rafforzando il loro grado di vitalità e anche il loro grado di rappresentatività politica e culturale.
2. VIGOROUS. Lingue attive, vigorose e robuste, già affermate.
3. IN TROUBLE. Lingue che cominciano a barcollare.
4. DYING. Lingue in fase di estinzione.
1. Quando sviluppa un sistema di scrittura che ne comporta la standardizzazione della pronuncia e delle sue
strutture interne;
2. Quando viene tradotta in altre lingue;
3. Quando comincia a svilupparsi anche nel settore cinematografico (è parlata nei film).
4. Quando è usata come lingua seconda.
Quanto più una lingua svilupperà tali criteri, tanto più sarà vitale e attiva. I dati UNESCO del 2020 affermano che le lingue
viventi sono 1717, di cui 205 dormienti e 431 quasi estinte. Secondo le stime, negli ultimi 500 anni si sarebbe estinta la
metà delle lingue. I paesi che contano il maggior numero di lingue sono:
LINGUE E DIALETTI. Il termine dialetto fu coniato nell’antica Grecia e a partire dal Rinascimento cominciò ad assumere
una connotazione negativa. Ecco i criteri che occorre per forza prendere in considerazione: il dialetto è una varietà
linguistica ristretta geograficamente (invece la lingua nazionale è quella ufficiale, parlata su tutto il territorio geografico),
che deriva dalla lingua madre, per cui lingua madre e dialetto condividono almeno l’80% del loro lessico, altrimenti sono
lingue diverse, quindi c’è una comprensione reciproca. Il dialetto di norma non ha tradizione scritta, è privo
generalmente di letteratura (ma non è detto) e non è usato in contesti formali. Un dialetto non nasce, lo diventa: una
lingua può, per motivi storici, culturali e politici, essere declassata allo statuto di dialetto. La differenza tra lingua e dialetto,
però, non è mai una differenza linguistica dato che il dialetto si considera una lingua a tutti gli effetti.
si occupa di individuare cosa c’è di uguale e cosa c’è di diverso nel modo in cui le diverse lingue storico-naturali
sono organizzate e strutturate, a prescindere dalle relazioni genetiche, dalla loro attestazione storica e dai processi
evolutivi (è un’analisi sincronica).
Qual è il presupposto di partenza della tipologia linguistica? Mediante un confronto interlinguistico si può notare che
molte lingue presentano tratti e aspetti comuni. Inizialmente si può pensare che esistano dei rapporti di parentela tra
queste lingue, tuttavia esse possono presentare punti di contatto e somiglianza pur non avendo alcun rapporto di
parentela dal punto di vista genetico. Questo accade per varie ragioni: (1) tendenze universali; (2) struttura tipologica; (3)
rapporti duraturi e prolungati tra le lingue (di cui si occupa la linguistica areale). Dunque, la tipologia linguistica è un’analisi
che prescinde dalla componente tempo (dunque è un’analisi sincronica), in quanto fotografa una realtà linguistica in un
particolare periodo storico e prescinde anche dal concetto di parentela genealogica, perché anche lingue non
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imparentate genealogicamente possono essere messe a confronto (questo perché la tipologia è uno studio che guarda
propriamente alla configurazione strutturale. Ne consegue che per questo, quello della tipologia linguistica è un approccio
diverso da quello della linguistica storica, che invece studia le lingue a partire dalle loro relazioni di parentela, classificandole
nelle cosiddette famiglie linguistiche.). Ne consegue che la tipologia linguistica studia non solo le lingue vive, ma anche
le morte (che avranno validità soltanto se in possesso di documentazione scritta, sufficiente a cogliere eventuali divergenze
e convergenze strutturali – es: latino, greco, gotico). Quindi l’ittita, lingua che si è estinta intorno al 1300 a.C., da questo
punto di vista ha la stessa legittimità del cinese mandarino. Quindi:
la tipologia linguistica classifica le lingue in base a convergenze e divergenze strutturali, indipendentemente sia dai processi
evolutivi
Stabilire, ove possibile, se esistano dei limiti alla variazione interlinguistica e, in caso di riscontro positivo, di
comprendere quale sia la natura di questi limiti.
* La tip. Linguistica propone una classificazione delle lingue basata sull'individuazione di caratteristiche strutturali comuni e
in base a questi risultati classifica le lingue stabilendo la loro appartenenza a uno o più "tipi linguistici".
Il tipo linguistico:
è l’insieme di proprietà strutturali logicamente indipendenti le une dalle altre ma reciprocamente correlate perché
tutte definiscono la configurazione strutturale di quella determinata lingua.
- È un’entità astratta e teorica che filtra la realtà linguistica. Questo possiamo spiegarlo mediante la metafora
degli occhiali: i tipi sono gli occhiali attraverso cui i linguisti osservano le lingue. Come gli occhiali filtrano la realtà,
non sempre nella stessa maniera, dato che cambiando il colore delle lenti o la gradazione, la realtà risulta alterata;
allo stesso modo se cambiamo i parametri in base ai quali si fonda un tipo, la realtà linguistica può assumere
diverse fisionomie agli occhi del linguista. Proprio perché sono dei “modelli astratti” e, come tali ed in quanto tali,
non sono fedelmente riprodotti da alcuna lingua storico-naturale.
- Come si costruisce un tipo? Bisogna capire su quali proprietà fondare il tipo di riferimento: se un tipo è la
combinazione di proprietà, ciascuna di queste proprietà risulterà pertinente se permetterà di prevedere la presenza
di altre proprietà del tipo. È questa la capacità predittiva della tipologia. Ad esempio un parametro che ha
dimostrato una piena pertinenza tipologica è quello relativo all’ordine dei costituenti di alcune strutture
sintattiche, come il sintagma verbale, nominale e adposizionale. Partendo dall’ordine dei costituenti di queste
strutture, si può prevedere l’ordine dei costituenti di altre strutture. Ad esempio una lingua che pone il verbo prima
dell’oggetto (Luigi mangia una mela) tenderà a collocare il nome prima del genitivo (il libro di Luisa).
- Il carattere strutturale dei tipi: dopo aver scelto su quali proprietà fondare la ricerca tipologica e aver selezionato
i parametri davvero pertinenti, occorre valutare quanti e quali correlazioni tra i parametri d’indagine siano
effettivamente attestate. Infine si ascrive la lingua ad un tipo piuttosto che ad un altro in base alla porzione
statisticamente rilevante dei parametri esaminati che risulta compatibile con la configurazione del tipo. Al termine si
osserverà che alcuni tipi esibiscono un elevato indice di occorrenza nella realtà linguistica, mentre altri paiono
rarissimi o addirittura del tutto inesistenti: il compito della tipologia diviene quello, decisamente più arduo, di
trovare le spiegazioni di questi squilibri, considerando la funzione principale della lingua: la comunicazione.
- NON ESISTONO TIPI PURI: una sola lingua non corrisponde mai in assoluto a un tipo particolare , dato che in
una lingua si trovano, assieme a caratteristiche tipologiche prevalenti di un tipo, anche caratteri propri di altri tipi (le
lingue si caratterizzano, dunque, tipologicamente miste). L’analisi tipologica deve tener conto delle tendenze
prevalenti, prevedendo, nei casi estremi, la possibilità di assegnare una stessa lingua a più tipi o addirittura
l’impossibilità di classificare tipologicamente una lingua.
Esempio tipico di lingua che si oppone a ogni tentativo di catalogazione tipologica: l’inglese.
Questa lingua si configura come VO (the boy loves the girl): i modificatori e i complementi dovrebbero trovarsi
sempre alla destra della testa. Quest’aspettativa, però, viene smentita dai fatti:
Aggettivo e articolo precedono il nome (the black dog)
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Nell’espressione del possesso, coesistono forme come the leader of the party (il leader del partito)
e forme al genitivo sassone Anne’s bike (la bicicletta di Anna).
Dunque risulta chiara la domanda: a quale tipo morfologico appartiene l’inglese (VO o OV)?
1) Isolante?
a. Dato che le parole inglesi appaiono in buona parte non analizzabili (non hanno marche
di genere e di numero, ad esempio);
b. Dato che l’inglese applica il processo della conversione (derivazione zero), caratteristica
tipica delle lingue isolanti che permette loro di cambiare la categoria sintattica delle
parole senza variazioni nella forma: l’elemento round, per esempio, è un aggettivo in a
round table (un tavolo rotondo), un nome in rounds of paper (tondini di carta), un
avverbio in the earth goes round (la terra gira in tondo), una preposizione in to travel
round (viaggiare intorno al mondo) ecc.
c. Molte parole sono costituite da un solo morfema, ovvero la radice lessicale libera: man,
book, all, good ecc.
2) Agglutinante?
a. Dato che il plurale dei nomi e il comparativo degli aggettivi si realizzano con strategie di
natura agglutinante: boys e taller prevedono, cioè, l’aggiunta di un morfema legato (- s e –
er) a una forma libera ( boy e tall). A differenza dell’italiano però, dove se diciamo ragazzi,
quella –i finale, morfema flessionale, indica sia il genere che il numero, in inglese quella –s
indica soltanto il numero.
3) Fusiva?
a. Dato che le forme pronominali di terza persona singolare vedono la presenza di un
antico sistema di genere tripartito: he (terza persona, maschile, singolare), she (terza
persona, femminile, singolare) e it (terza persona, neutro, singolare).
b. Dato che il morfema grammaticale – ed somma il valore di passato semplice a quello di
participio passato.
La classificazione delle lingue avviene sulla base delle loro caratteristiche dominanti. L’italiano presenta
molti aspetti flessivi, ma anche tratti delle lingue isolanti che vanno progressivamente aumentando. Questo
significa che la nostra lingua si sta avviando verso il tipo isolante? Non possiamo saperlo. Però certamente
le lingue si spostano di tipo. Alcune hanno modificato, in un arco temporale lungo, le loro tendenze
tipologiche a causa di:
o Contatto con altre lingue;
o Nuovi equilibri interni;
o Fattori extalinguistici che cambiano in modo graduale la struttura delle lingue.
o
- È un’entità strutturale: la lingua è un sistema strutturato, il che vuol dire che i suoi elementi intrattengono delle
relazioni, sono posti in maniera strutturata (un’entità dipende dalle altre), tanto che De Saussure considera la lingua
“sistema di sistemi”. Es. in italiano ci sono quattro consonanti affricate. Se per una ragione qualsiasi la lingua
perdesse un’affricata, il sottosistema delle affricate dovrebbe ristrutturarsi poiché perderebbe un’entità.
Si tratta di configurazioni strutturali che hanno una diversa diffusione e un diverso indice di influenza statistica. Dunque la
linguistica si avvale anche di strumenti per rilevare l’incidenza statistica dei tipi. È infatti importante precisare che non tutti
i tipi possibili hanno la medesima diffusione tra le lingue storico-naturali: ci sono i tipi molto ricorrenti e anche quelli più rari
o completamente inesistenti.
Quali sono i fattori in grado di influenzare, determinare e giustificare la distribuzione dei tipi linguistici? La stabilità
e la frequenza. Si tratta di due fattori indipendenti l’uno dall’altro, la cui azione congiunta consente di spiegare la
distribuzione dei tipi linguistici.
Con stabilità s’intende la probabilità che un determinato tipo venga abbandonato o mantenuto dalle lingue, quindi
più l’indice di stabilità di un tipo è elevato, più esso tende a essere mantenuto dalle lingue storico-naturali. I tipi stabili
esibiscono di norma una diffusione omogenea all’interno delle famiglie linguistiche.
Con frequenza, invece, si intende la probabilità che un determinato tipo venga impiegato nelle lingue storico-
naturali. I tipi frequenti si diffondono non tanto verticalmente (dalla lingua madre alle lingue figlie), quanto più
orizzontalmente (espandendosi tra le lingue adiacenti). Occorre precisare che frequente non è sinonimo di diffuso: le aree
in cui i tipi frequenti sono attestati possono essere anche molto circoscritte. La combinazione dei due criteri appena
menzionati dovrebbe giustificare la diffusione di tutti i tipi linguistici, secondo lo schema seguente:
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Tipi probabili: sono quelli più Tipi stabili e frequenti diffusi Tipi instabili e frequenti diffusi
ovvi, ad esempio tutte le lingue geneticamente, quindi nell’ambito geograficamente, ma in modo
presentano parole e vocali. delle famiglie linguistiche, e disomogeneo e sporadico nelle
geograficamente. Un esempio varie famiglie linguistiche. (es: vocali
Tipi improbabili: es: assenza di sarebbe quello delle vocali anteriori nasali non sono tipiche di alcune
vocali e consonanti in una lingua. non arrotondate /i/ e /e/, che sono famiglie linguistiche ma piuttosto
praticamente universali, in quanto compaiono nelle lingue parlate in
diffuse in quasi tutte le famiglie contesti areali omogenei).
linguistiche e in ogni parte del
mondo; quindi possono definirsi Tipi instabili e infrequenti
stabili e frequenti; altro esempio piuttosto rari sia nelle famiglie
verbo e nome. linguistiche, sia arealmente. Es. le
consonanti faringali riscontrabili, ad
Tipi stabili e infrequenti diffusi esempio, nell’arabo.
in singole famiglie linguistiche,
ma non geograficamente. (es.
armonia vocalica);
Nel corso della storia anche i tipi possono cambiare: la lingua è un sistema in lento ma perenne movimento, dunque:
- I tipi più coerenti tenderanno ad affermarsi nella storia maggiormente, a scapito dei tipi meno coerenti assunto
smentito dal fatto che le lingue tipologicamente incoerenti, dunque miste, si sono affermate ugualmente.
- Una lingua passa sempre da uno stadio tipologicamente meno coerente a uno più coerente assunto che ha più
validità del primo, eppure occorre considerare che il mutamento linguistico avviene molto lentamente, grado per
grado: è vero che una lingua di tipo X passi al tipo Y, altrettanto coerente, ma è anche vero che lo slittamento
avviene lentamente quindi si deve prevedere una fase intermedia in cui le caratteristiche del tipo X convivono con
quelle del tipo Y.
- Le proprietà e le correlazioni sono più forti degli eventi, dunque resistono ad essi e sopravvivono al
mutamento. l’unico dei tre assunti che sembra avere una piena realizzazione.
La costruzione del campione. L’analisi tipologica perde tuttavia consistenza ed efficacia se si considera solo una lingua o
un paio. Per questo motivo, quest’analisi si avvale di un processo comparativo molto vasto. C’è però un problema: è
umanamente impossibile pensare di procedere alla comparazione di tutte le lingue del mondo. Inoltre ci sono lingue più
documentate di altre perché magari hanno una ricca tradizione scritta, a differenza di altre che si basano su una cultura
prevalentemente orale. Per cui per tracciare un quadro della variazione linguistica occorre selezionare un campione che sia
rappresentativo della varietà delle lingue e che, per essere tale, deve essere immune da alcune “distorsioni”:
1. Distorsioni genetiche: un campione non deve rappresentare alcune famiglie linguistiche a scapito di altre. Se in
più lingue viene rintracciata una medesima configurazione strutturale, solo l’assenza di relazioni genetiche tra le stesse
può farmi capire che essa dipende da alcune tendenze tipologiche che agiscono in modo generale tra le lingue del
mondo;
2. Distorsioni areali: un campione deve tenere conto che le lingue non imparentate, ma parlate nel medesimo
contesto geografico, possono sviluppare tratti comuni a causa del contatto tra i parlanti.
3. Distorsioni tipologiche: un campione non deve apparire sbilanciato a favore di determinate configurazioni tipologiche
a svantaggio di altre:
4. Distorsioni legate alla consistenza numerica delle comunità parlanti: un campione non deve riprodurre al suo
interno questi rapporti numerici, difatti un atteggiamento prudente del tipologo è quello di dimenticare il numero di
parlanti di ciascuna lingua, poiché esso rischierebbe di essere fuorviante in chiave tipologica, dal momento che i
successi e gli insuccessi delle lingue non dipendono da fattori prettamente linguistici ma dipendono dalle vicende
storiche delle comunità parlanti.
Oggi, un particolare aiuto in tal senso giunge dalla tecnologia: WALS, ovvero World Atlas of Language Structures,
coordinato da Bernard Comrie, Matthew Dryer, David Gil e Martin Haspelmath. Contando sull’apporto di decine di
linguisti, questo atlante, avviato nel 2005 e continuamente aggiornato, ambisce a tracciare un quadro attendibile su vasta
scala della variabilità interlinguistica rispetto a vari parametri d’indagine, relativi ai principali livelli di analisi della
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lingua (e avvalendosi anche dell’Etnhologue, che fornisce una serie di dati statistici in grado di completare il dato
tipologico):
Nel caso del WALS, il campione è composto da cento lingue, in rappresentanza di oltre cinquanta famiglie linguistiche. I
risultati delle indagini condotte vengono poi verificati su un secondo campione di altre cento lingue. Gli ordini SOV e
SVO sono quelli attestati in un maggior numero di lingue, tuttavia circa 189 non sembrano avere un ordine dominante.
In Africa l’ordine prevalente sembra essere SVO, pur non essendoci stato mai alcun contatto con l’Europa, ad eccezione
della zona mediterranea.
La tipologia è stata avviata intorno all’800. L’individuazione dei tipi può essere effettuata su un piano morfologico, sintattico,
fonologico e lessicale, tuttavia prima la tipologia guardava solo alla morfologia e solo successivamente anche alla sintassi, i
quali ad oggi sono gli ambiti tipologici più studiati ed esplorati. Nicola Grandi sfrutta la metafora dell’uovo:
- Il lessico corrisponde al guscio dell’uovo, quindi essendo la parte più esterna di esso è anche quella più soggetta ai
cambiamenti, dunque inadeguata all’analisi tipologica.
- La fonologia, al contrario, è la parte più interna dell’uovo e corrisponde infatti al tuorlo. Proprio perché la più interna, è
la più impenetrabile e dunque anch’essa inadatta all’analisi tipologica.
- Morfologia e sintassi, invece, rappresentano l’albume dunque poiché occupano una posizione intermedia, sono adatte
all’analisi tipologica.
Indicano proprietà o correlazioni di proprietà che si suppone contraddistinguano ogni lingua storico-naturale, del presente
e del passato. Infatti nonostante le divergenze, le lingue si conformano a dei principi universali, infatti dobbiamo
ricordare che sono manifestazione concreta di un’unica facoltà mentale genetica e comune a tutti gli esseri umani, ovvero il
linguaggio. Così in maniera complementare alla linguistica tipologica agisce la cosiddetta linguistica degli universali. La
tipologia linguistica si occupa della variazione interlinguistica, cioè di come le lingue si differenziano le une dalle altre; la
seconda studia ciò che è comune a tutte le lingue, concentrandosi su quelle proprietà rispetto alle quali le lingue non
possono variare. Quindi sommariamente la presenza di un universale indica i limiti alla variazione tipologica: se
l’analisi tipologica ricerca la variazione interlinguistica, la scoperta di un universale rappresenta un limite a questa variazione.
Entrambe si collocano su un livello sincronico e hanno carattere descrittivo: gli universali fotografano uno stato di cose:
osservano che una specifica proprietà occorre in tutte le lingue storico-naturali ma non dicono che essa debba
necessariamente esserci né perché effettivamente ci sia.
L’universale assoluto. non è da porre in relazione agli altri; esiste ed è presente di per sé, indipendentemente dalle altre
configurazioni strutturali e da altri fenomeni. La rilevanza degli universali assoluti sta principalmente nel fatto che essi,
stabilendo dei requisiti che accomunano ogni lingua, forniscono indirettamente informazioni sulla natura profonda del
linguaggio umano. Essi infatti rimandano a condizionamenti che la lingua subisce oggettivamente, cioè a causa della
conformazione fisica dell’apparato fonatorio e a costrizioni neurologiche e psicologiche che intervengono nell’atto
comunicativo. Un esempio di universale assoluto è che tutte le lingue hanno vocali orali, mentre non tutte hanno vocali
nasali. Quindi il tipo “vocali orali” è universale assoluto. È universale la negazione e che ogni lingua distingua tra vocali e
consonanti. Tutte le lingue hanno i mezzi per generare frasi interrogative. L’universale assoluto è comunque indotto da
restrizioni articolari, neurologiche e cognitive imposti dalla memoria a breve termine, che rende problematica la
realizzazione di costrutti davvero complessi.
Universali e tendenze.
L'allargamento del campione di lingue dovuto all'innovazione tecnologica, ha fatto affiorare una copiosa messe di
eccezioni e controesempi alle generalizzazioni che, in precedenza, erano state etichettate come universali e tutto ciò
ha obbligato a rimettere in discussione lo statuto stesso degli universali.
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E, soprattutto, le eccezioni hanno davvero tutte lo stesso peso?
In molti casi la presenza di controesempi ed eccezioni si mantiene entro limiti contenuti e di fatto non sembra contraddire il
valore di fondo dell’universale.
Allo scopo di preservare il significato ed il valore di generalizzazioni per le quali siano state rilevate eccezioni di scarsa
rilevanza numerica, è stata introdotta la distinzione tra universali e tendenze universali .
Gli universali indicano quelle proprietà, correlazioni o strutture linguistiche che, senza alcuna eccezione, ricorrono in ogni
lingua storico-naturale.
Le tendenze universali designano le proprietà, le correlazioni o le strutture linguistiche che sono attestate in una porzione
statisticamente rilevante delle lingue storico-naturali.
Il valore delle tendenze, intese come descrizioni di situazioni statisticamente significative, sta nel fatto che esse dimostrano
inequivocabilmente che la distribuzione dei tratti linguistici e delle correlazioni tra essi non è casuale, ma obbedisce ad una
ratio rigorosa.
L’universale implicazionale. Gli universali implicazionali pongono in relazione due o più proprietà. Vincolando la presenza
di una alla presenza dell’altra. In una data lingua un tratto linguistico può realizzarsi in una lingua socio-culturale solo nella
lingua è attestato anche un altro tratto linguistico. Ad esempio consideriamo due tratti linguistici come “ presenza di
genere” (maschile vs. femminile) e “presenza di numero” (singolare vs. plurale), possiamo individuare quattro tipi
linguistici, in base alla combinazione dei suddetti tratti:
1. Se una lingua ha vocali nasali avrà necessariamente vocali orari, ma non il contrario.
2. Se una lingua ha le vocali I e U avrà anche la A, poiché universale assolta.
3. Se una lingua ha consonanti fricative allora avrà anche quelle occlusive.
4. Se una lingua ha la categoria del genere, avrà anche quella del numero.
5. Se una lingua ha la classe degli accrescitivi allora avrà anche quella dei diminutivi.
6. Se una lingua ha la flessione, allora ha anche la derivazione.
7. Nelle lingue con preposizioni, il genitivo segue quasi sempre il nome che lo regge, mentre nelle lingue con
posposizioni esso lo precede quasi sempre.
8. Le lingue con l’ordine VSO sono sempre preposizionli.
9. Se una lingua ha categorie di genere nel nome, ha categorie di genere nel pronome . Se una lingua è
esclusivamente suffissante, è posposizionale; se è esclusivamente prefissante è preposizionale.
Come spiegare gli universali? La presenza di un universale ha varie motivazioni. A livello intuitivo, la loro importanza
risulta chiara: essi, soprattutto se di carattere assoluto, indicano una serie di requisiti che ogni lingua storico-naturale,
indipendentemente dall’epoca e luogo di attestazione, deve soddisfare. Ma se dovessimo spiegare la loro funzione su basi
scientifiche, in realtà non è emersa alcuna soluzione chiara. Sarebbe quindi opportuno rinunciare all’ambizione di
spiegare unitariamente tutti gli universali e convincersi del fatto che essi possono obbedire a fattori di natura diversa.
Eppure una sorta di generalizzazione sarebbe possibile: visto che la funzione primaria della lingua è essenzialmente quella di
comunicare, gli universali possono essere intesi come strategie comunicative così efficaci da essere condivise da tutte le
lingue storico-naturali. Tre fattori fondamentali in tal senso sono: l’economia, l’iconicità e la motivazione
comunicativa.
ECONOMIA (economia articolatoria). Essa consiste nella tendenza a snellire il più possibile l’apparato formale di un
sistema linguistico, nel tentativo di ottenere il massimo risultato comunicativo con il minimo sforzo da parte del
parlante. L’economia si manifesta innanzitutto contenendo entro certi limiti l’inventario delle unità di base della lingua, e
poi nella limitazione di strutture ridondanti, ovvero quelle strutture in cui un’informazione viene marcata ed esplicitata
più volte. Un universale che può essere ricondotto al principio di economia è quando l’aggettivo segue il nome, questo
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esprime tutte le categorie flessive del nome, legittimando il nome a non esprimere tali informazioni. Una marcatura
plurima di queste informazioni, al contrario, potrebbe sembrare ridondante.
ICONICITA’ (economia cognitiva). Il discorso cioè viene articolato in modo da riprodurre fedelmente l’esperienza che
avviene nella mente del parlante. Un esempio in questo caso ha a che fare con il fatto che nelle frasi dichiarative
canoniche, il soggetto corrisponde nella maggior parte dei casi all’informazione data, cioè tema, mentre il resto della
frase coincide con l’informazione nuova, cioè rema (ciò che si dice del tema). Quando si comunica, l’informazione data è
generalmente tale di tutti i parlanti perché fa parte di una sorta di background comune e, conseguentemente, pare naturale
collocarla a inizio di frase, giusto per chiarire di chi si sta parlando.
Negli anni, queste forme di economia hanno prodotto tre diversi approcci:
Approccio biologico: tutti gli uomini sono dotati del medesimo equipaggiamento uditivo, visivo, fonologico e
respiratorio, di conseguenza mentre parlano adottano gli stessi meccanismi. Per questo, alcuni processi sono
universali e comuni: la vocale A è la più semplice da articolare e anche la più udibile.
Approccio pragmatico: colui che parla e colui che deve codificare il linguaggio sono sincronizzati.
Approccio storico-genetico (ipotesi monogenetica): secondo l’ipotesi gli universali linguistici e la comunanza di
strutture tipologiche tra le lingue sono dovute al fatto che in origine tutte le lingue del mondo derivavano da una
sola lingua. Quest’ipotesi nel corso dei secoli è stata contestata, fino al 1900, quando Cavalli-Sforza, compiendo uno
studio sulle migrazioni e ramificazioni della specie umana ha messo in evidenza come le specie umane siano partite
da un unico ceppo e che poi si siano diversificate. I suoi studi, quindi, rimisero in gioco questo approccio, più volte
contestato.
GRAMMATICA UNIVERSALE.
La ricerca sugli universali linguistici ha tratto un impulso decisivo dalla pubblicazione, negli anni Sessanta del secolo
scorso, dei risultati della ricerca condotta da Joseph Greenberg. Nel suo studio, effettuato con i mezzi allora disponibili, ha
individuato 45 universali, molti dei quali implicazionali. Di questi, circa la metà riguarda l’ambito della morfologia,
ovvero il più studiato. Ha considerato un campione di 30 lingue appartenenti a 15 famiglie linguistiche; tuttavia lo stesso
Greenberg è consapevole che il suo campione sia limitato, poiché comprendente poche lingue. Egli inoltre confessava di
aver selezionato le lingue del campione per pura convenienza, scegliendo cioè lingue con cui lui stesso aveva una certa
familiarità o per le quali disponeva di una grammatica adeguata. (v.d. invece come opera il tipologo oggi: WALS).
Ciononostante, ancora oggi i risultati raggiunti con il suo studio costituiscono un riferimento essenziale per coloro che
intendano occuparsi di tipologia. Egli identifica più tipi di generalizzazioni, incentrate:
UNIVERSALE 28. Sia la derivazione che la flessione seguono la radice, tuttavia la derivazione si trova sempre tra la radice
e la flessione. L’italiano e l’inglese rappresentano bene questo universale, poiché posseggono sia la flessione che la
derivazione. Es. Giardin-ier-i -ier- è la derivazione, situata al centro. Garden-er-s;
UNIVERSALE 34. Nessuna lingua ha un numero triale se non ha un duale. Nessuna lingua ha un duale se non ha anche
un plurale.
UNIVERSALE 39. Se una lingua ha sia il numero che il caso nella stessa parola, il numero sarà più vicino alla radice del
caso, quindi saranno ammissibili più strutture: (1) RADICE, NUMERO, CASO; (2) CASO, NUMERO, RADICE. Non saranno,
invece, ammissibili: (1) RADICE, CASO, NUMERO; (2) NUMERO, CASO, RADICE.
UNIVERALE 43. Se una lingua ha il genere del nome, ha anche il genere del pronome.
L’universale 38 è uno dei più noti universali e afferma che in presenza di un sistema di casi, l’unico caso che può essere
espresso mediante un affisso zero (ovvero che può essere privo di una desinenza specifico) è quello che include tra le
sue funzioni quella di soggetto del verbo intransitivo. È importante specificare l’espressione “ tra le sue funzioni”, dal
momento che il caso, senza avere una desinenza specifica, può svolgere anche altre funzioni. Vediamo se questo universale
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viene rispettato nei due sistemi di caso più diffusi: quello nominativo-accusativo e quello ergativo-assoluto. Il sistema
nominativo-accusativo è quello con cui un parlante occidentale ha più dimestichezza. In queste lingue il caso nominativo
assolve le funzioni di soggetto di verbo transitivo e soggetto di verbo intransitivo, mentre l’accusativo assolve la
funzione di oggetto diretto. In latino l’eventualità che il nominativo sia privo di desinenze trova conferma se si considera ad
esempio la frase: puer currit (il ragazzo corre). Nelle lingue di tipo ergativo-assoluto, la marcatura del soggetto è vincolata
alla valenza verbale. Se il verbo è transitivo il soggetto assume caso ergativo ma se è intransitivo il soggetto ha la
desinenza del caso assolutivo, che è propria anche dell’oggetto diretto. I dati esaminati suggeriscono che l’universale è
rispettato e che i due sistemi in questione sono meno ridondanti e lacunosi e per questo motivo soddisfano la necessità del
linguaggio di comunicare, e sono anche i più utilizzati.
Ci sono certamente importanti punti di contatto tra la tipologia linguistica e la ricerca riguardo gli universali linguistici.
Il dibattito risale al 1800 quando gli studiosi, mentre cercavano di studiare i rapporti tra le lingue, si sono soffermati sul fatto
che diverse lingue presentassero strutture morfologiche simili, anche quando le lingue, poste a confronto, non risultavano
imparentate geneticamente. Le lingue, sul versante morfologico, si classificano in tre tipi morfologici maggiori e uno minore:
Ad ogni tipo corrispondono, dunque, gruppi di lingue che presentano delle caratteristiche morfologiche diverse.
I tipi morfologici si determinano in base all’azione di due parametri: indice di sintesi e indice di fusione:
1) L’indice di sintesi è un parametro che riguarda il numero dei morfemi individuabili all’interno della parola,
quindi misura il rapporto tra numero dei morfemi e numero delle parole. Dal punto di vista ideale, non sempre
realistico, il rapporto sarebbe: 1:1 una radice lessicale : un solo morfema. Ad ogni parola, dunque, corrisponde un
solo morfema.
+ ANALITICO
o Lingue isolanti: 1:1 (una parola : un morfema);
o Lingue agglutinanti 3:1 );
o Lingue flessive: tra 2:1 e :1;
o Lingue polisintetiche: l’indice di sintesi 4:1 o maggiore.
+ SINTETICO
Più è basso l’indice di sintesi, più la lingua sarà analitica; più è alto, più sarà sintetica.
2) L’indice di fusione è un parametro che riguarda il grado di difficoltà con cui vengono individuati i confini tra i
morfemi, dunque misura il rapporto tra il numero dei morfemi e il numero dei morfemi fusi. I morfemi
all’interno della parola, infatti, si cumulano gli uni sugli altri e non è sempre possibile distinguerli e isolarli in
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maniera corretta, quindi la segmentabilità della parola è poco trasparente. Per le lingue isolanti questo
parametro non è calcolato poiché non c’è giuntura tra morfemi (esistono, cioè, solo parole separate).
Quindi la tipologia morfologica guarda alla struttura interna della parola, e la combinazione dei due indici consente di
individuare quattro tipi di lingua (isolante, agglutinante, flessiva e polisintetica). Passando dal tipo linguistico isolante al tipo
linguistico polisintetico, la struttura della parola si complica sempre di più: le lingue isolanti sono lingue analitiche (che
spezzano il contenuto e lo trasmettono in blocchi unitari e semplici), mentre le lingue agglutinanti ma anche le polisintetiche
sono sintetiche (impacchettano più contenuto in entità complesse).
1. Nella lingua ISOLANTE la parola è costituita da un unico morfema, ovvero il morfema lessicale quindi è priva
del morfema flessionale (inoltre hanno poca o nulla morfologia derivazionale). Ne consegue che le parole di
questa lingua sono invariabili. Inoltre essendovi un unico morfema, i morfemi non si combinano mai tra loro e
non esistono legami tra morfemi, ma solo confini di parole. Due tra le più note lingue isolanti sono il cinese
mandarino e il vietnamita. (poi anche thailandese, yoruba, hawaiano). Se consideriamo l’inglese, alla domanda: “A
quale tipo morfologico appartiene l’inglese?” in realtà non sapremmo rispondere. Partendo dal presupposto che
non esistono tipi puri in quanto, come ricorda Edward Sapir, la lingua, al pari di ogni istituzione umana, è troppo
variabile ed elusiva per essere etichettata (quindi non si può ricondurre la variabilità delle lingue entro schemi
fissi e rigidi), possiamo affermare che l’inglese ha molti tratti isolanti, ma anche agglutinanti e flessivi. Se da un
lato molte parole cambiano categoria grammaticale senza subire modificazioni dal punto di vista della forma (es.
round può essere aggettivo, nome, avverbio, preposizione), e dunque danno l’idea che l’inglese sia isolante,
dall’altro il fatto che il plurale dei nomi e il comparativo degli aggettivi si realizzino con strategie di tipo
agglutinante (es. boy-s e tall-er), smentisce questa convinzione. Tutto questo perché non esistono tipi puri.
Esempio CINESE MANDARINO:
Xian sheng de sh-u = il libro del signore.
Signore + particella di appartenenza + libro
Ognuno di questi elementi corrisponde a una singola parola, costituita a sua volta da una singola
radice lessicale. Inoltre, come vediamo, non c’è nemmeno l’articolo in quanto il cinese mandarino è
una lingua priva della categoria dell’articolo.
2. La lingua AGGLUTINANTE contiene un alto indice di sintesi e il minor indice di fusione. L’agglutinante è una
lingua in cui le parole sono caratterizzate dalla giustapposizione di più morfemi, che danno vita a una catena di
morfemi anche lunga. Le parole sono poche ma hanno forma complessa perché piuttosto lunghe e formate da
molti morfemi, i quali sono ben separabili l’uno dall’altro, quindi ben riconoscibili e ricoprono una sola funzione
(non ci sono, o sono rari, i morfemi cumulativi). Quindi le parole possono essere anche molto lunghe e sono
costituite da una radice lessicale a cui sono attaccati più affissi. È agglutinante il turco, ma anche l’ungherese,
finlandese, giapponese, swahili, le lingue bantu ecc.
Esempio TURCO:
3. La lingua FUSIVA o FLESSIVA ha un indice di sintesi minore rispetto alle lingue agglutinanti ma anche un indice di
fusione massimo. Infatti se da un lato presentano un indice di sintesi minore perché le parole hanno una struttura
meno complessa e sono composte da una catena meno lunga di morfemi, dall’altro presentano un indice di
fusione massimo perché i singoli morfemi sono amalgamati nella catena tanto da non essere più ben separabili
e identificabili (formate da radice lessicale + morfemi flessionali). All’interno di queste lingue individuiamo il
sottotipo introflessivo, caratterizzato dal fatto che i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la radice
lessicale: i morfemi flessionali ed eventualmente derivazionali sono in parte dei transfissi vocalici che si
inseriscono all’interno di una base triconsonantica, intercalandosi fra le consonanti di questa (es. esco-ucii;
faccio-feci). Un esempio tipico di lingua introflessiva è l’arabo. L’italiano è fondamentalmente una lingua flessiva (o
fusiva), però presenta anche tratti isolanti ( auto civetta), agglutinanti (come nei cumoli di suffissi e/o prefissi:
ristrutturazione,) e anche polisintetici (capostazione).
Esempio CONIUGAZIONE VERBALE IN ITALIANO:
Verbo dire verbo irregolare che presenta fenomeni di allomorfia.
Dic-o;
Dic-iamo;
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Dic-ono.
Ognuno di questi morfemi flessivi include più funzioni. – o è l’unico morfo flessivo cui
corrispondono ben tre morfemi: persona, tempo e modo.
È persona, tempo e modo. Se ci troviamo di fronte a questa parola, come la scomponiamo? Non
possiamo farlo, ma possiamo classificarla come morfo flessivo. Al suo interno dovrebbe esserci la
base lessicale, cioè quella del verbo essere.
Libr-o il flessionale indica simultaneamente genere e numero.
L’esempio si ripete anche per il latino:
Pulchro (bello);
Pulchr-i (genitivo singolare);
Pulchr-is (accusativo singolare)
Pulchr-orum (genitivo plurale)
4. La lingua POLISINTETICA è l’opposto della lingua isolante e infatti qui l’indice di sintesi assume il livello
massimo. Esse infatti concentrano un numero elevato di morfemi, giungendo a condensare in una sola
parola informazioni che normalmente richiederebbero la costruzione di un’intera frase. Una differenza tra
le lingue polisintetiche e quelle agglutinanti è che le prime possono presentare in una sola parola due o più
radici lessicali. Un esempio di lingua polisintetica è l’eschimese siberiano, e poi inuit, le lingue amerindiane, le
australiane ecc. Le lingue polisintetiche a volte sono anche dette incorporanti da alcuni studiosi, invece altri
considerano quest’ultime un sottotipo delle lingue polisintetiche, caratterizzato dal fatto che il complemento
diretto è incorporato dalla radice verbale.
Esempio INUIT
La tipologia morfologica, insieme a quella sintattica, si presta maggiormente a uno studio di natura tipologica. La tipologia
sintattica si occupa principalmente della struttura della frase, non guardando agli indici di sintesi né di fusione. La tipologia
sintattica si è sviluppata a partire dagli anni ’60 del XX secolo, quindi si tratta di studi piuttosto recenti. Il punto di partenza
è stato lo studio di Greenberg, che ha evidenziato varie correlazioni tra tipologia delle parole e ordine che queste
assumono all’interno della frase. Lo studio si concentra soprattutto sull’ordine delle parole, dunque: ORDINE DEI
COSTITUENTI FRASALI, un parametro fondamentale utile alla classificazione delle lingue in tipi linguistici. I costituenti
fondamentali che prendiamo in considerazione sono tre: soggetto (S), verbo (V) e complemento oggetto (O). Di questi:
Soggetto e oggetto: sono funzioni che possono essere svolte da più categorie sintattiche. Entrambi devono essere
realizzati con un lessema pieno, e non vuoto.
Verbo: è una categoria sintattica.
86
Questi due tipi sono i più diffusi (nell’87% delle lingue). hanno in comune la posizione iniziale del S. Infatti la
maggior parte delle lingue antepone il soggetto all’oggetto, forse perché il soggetto di una frase coincide di
solito con il tema, quindi è fondamentale collocarlo in posizione iniziale per chiarire di chi o cosa si parla. Invece
l’oggetto è il rema, corrisponde a ciò che si dice del tema. Inoltre in questi due tipi sembrano agire due
principi, rispondenti a esigenze comunicative, che giustificherebbero la loro diffusione: principio di
precedenza secondo cui il soggetto, data la sua priorità logica, deve precedere l’oggetto; principio di
adiacenza, meno forte del primo e secondo cui verbo e oggetto devono essere contigui, data la loro forte
relazione sintattica e semantica.
3. VSO (11-15%)
a. Lingue celtiche
b. Ebraico
c. Aramaico
d. Arabo
e. Berbero
f. Masai
g. Lingue polinesiane
4. VOS (5-10%)
a. Malgascio
b. Lingue centroamericane
5. OVS (1-5%)
a. Lingue caraibiche
b. Lingue amazzoniche
6. OSV (1%)
a. Dyirbal
Occorre in questo contesto fare anche una distinzione tra universali veri e propri e tendenze (tipi universali): i primi sono
schemi strutturali riscontrabili in ogni lingua del mondo, senza eccezioni, come la presenza della vocale A; i secondi,
invece, sono schemi tipologici molto diffusi ma con qualche eccezione: questo rende l’universale ‘tendenza’.
Il S ha una scarsa variazione interlinguistica, poiché nell’87% delle lingue, dunque per il principio di precedenza, esso si
antepone sia al verbo che all’oggetto. Questo parametro non è universale, tuttavia il soggetto gode di una prominenza
informativa e cognitiva tale da collocarsi, generalmente, in posizione iniziale nelle frasi dichiarative. Ma analizziamo, ora,
anche gli altri costituenti della frase dichiarativa, ovvero V e O. Si riconoscono due strategie diverse: VO e OV.
Dati due costrutti linguistici, uno di essi viene definito marcato in rapporto all’altro se in esso compare un elemento in
più, detto appunto “marca”, vale a dire un elemento assente nell’altro costrutto.
vengono disposti i costituenti in un contesto comunicativo pragmaticamente neutro, cioè quando l’intento è
trasmettere l’informazione che deriva dalla somma dei significati degli stessi costituenti.
Ad esempio in italiano la sequenza naturale è SVO: il bimbo mangia una mela. Tuttavia anche una sequenza OVS è
accettabile, eppure è meno frequente e può essere utilizzata in condizioni pragmatiche particolari, ad esempio per
contraddire un’affermazione precedente: il bambino mangia una pesca; (No.) Una mela, mangia il bambino. In essa compare
una pausa piuttosto forte dopo il primo costituente, rappresentata dalla virgola. Questa pausa è assente nella frase di tipo
SVO e non è altro che una marca (ovvero un elemento assente nell’altro costrutto).
N.B. Questo primo resoconto è puramente descrittivo in quanto ci fornisce delle indicazioni, tuttavia a questo punto la
tipologia deve diventare predittiva, deve cioè avere la capacità di prevedere e verificare se i tipi considerati più rari (es. VOS
o OSV) siano o no attestati nelle lingue non ancora esplorate. Infatti partendo dall’ordine SVO è possibile fare ulteriori
predizioni sulla costruzione di alcuni costrutti sintattici (es: posizione avverbio rispetto al verbo, posizione dei
modificatori rispetto al nome ecc.), che dunque dipendono dall’ordine delle parole e dalla posizione di verbo e
oggetto. Riconosciamo due strategie:
Le lingue europee possono essere classificate proprio partendo da queste diverse strategie (ordini). Partendo da questi due
ordini, stiliamo una lista di sette tipi caratterizzati da una diffusione interlinguistica significativa.
Pr, NG, NA
1. VSO
lingue celtiche (no bretone), ebraico, aramaico, arabo, berbero, masai. L
2. SVO Pr, NG, NA e
lingue romanze, albanese, neogreco e maltese.
3. SVO Pr, NG, AN
in una parte delle lingue germaniche e le lingue slave
4. SVO Pr, NG, AN
Lingue germaniche del gruppo settentrionale (svedese, norvegese e danese)
5. SVO Po, GN, NA
Finnico e estone
6. SOV Po, GN, AN
Lingue turche, hindi, bengalese, armeno moderno, giapponese, coreano
7. SOV Po, GN, Na
Basco, birmano, la maggior parte delle lingue australiane
lingue VO antepongono il verbo all’oggetto, dunque sono ricorsive a destra, hanno la testa a sinistra e i
complementi/modificatori a destra sono POSTDETERMINANTI.
o NG: nome-genitivo ‘libro bambino’ (il libro del bambino)
o NA: nome-aggettivo ‘casa bella’ (una casa bella)
o NN: nome-numerale
o Nrelativo: nome-relativo
o NAvv: nome-avverbio
o VO: verbo-oggetto ‘egli compra cibo’
o AuxV: ausiliare-verbo (sintagma verbale)
o VA: verbo-avverbio
o Npossessivo: nome-possessivo
o nome-dimostrativo ‘argomento questo’
o Preposizioni ‘con paesani’ (preposizione-complemento)
o Congiunzione subordinate-frase subordinata
o Pronome interrogativo-frase interrogativa
o Comparativo-secondo termine di paragone
o Pronome interrogativo in posizione iniziale
Le lingue OV, invece, adottano la strategia opposta in quanto sono ricorsivi a sinistra, hanno la testa a destra e i
modificatori/complementi alla sinistra di questa sono PREDETERMINANTI.
o OV: oggetto-verbo
o GN: genitivo-nome
o Dimostrativo-nome
o Numerale-nome
o Relativo-nome
o Posposizioni (complemento-adposizione)
o Verbo-ausiliare
o Frase subordinata-congiunzione subordinante
o Frase interrogativa-pronome interrogativo
o Secondo termine di paragone-comparativo
TESTA E MODIFICATORI:
La testa è posta a destra (anahtar), e i due modificatori la precedono; è una lingua del tipo aggettivo + nome, genitivo +
nome. Nella traduzione italiana, in questo sintagma la prima testa è “chiave” e sta a sinistra, in modo speculare a quello
che avviene in turco.
Ci sono però delle incongruenze che riguardano soprattutto la posizione dell’articolo e dell’aggettivo. L’articolo di norma
precede la testa nelle lingue VO, la segue nelle lingue OV. Ci sono poi altre incongruenze rilevabili anche all’interno di una
stessa lingua, che presenta simultaneamente tipi diversi. Ciò vuol dire che quella lingua dal punto di vista tipologico e
sintattico ha messo in atto delle modifiche, si sta quindi evolvendo in una direzione diversa.
Una delle lingue in cui si osserva questa variabilità interna è, ancora una volta, l’inglese, lingua germanica che appartiene
comunque alle lingue indoeuropee, potremmo dire essere cugina dell’italiano. È lingua SVO, che dovrebbe presentare il
costrutto NG (The book of John), ma che presenta anche GN, ovvero il genitivo prima del nome (genitivo sassone): John’s
book. Questa incoerenza, la presenza di un diverso ordine all’interno di uno stesso costrutto sintattico (GN e NG), è dovuta
innanzitutto a:
- Motivi diacronici: probabilmente, questo genitivo sassone è un costrutto più datato che continua ad essere
presente assieme ad un costrutto con la stessa funzione e che l’inglese ha accolto sull’esempio di altre lingue (es.
lingue romanze).
- Motivi pragmatici funzionali: cioè per esigenze pragmatiche che fanno riferimento all’enunciato, dunque non alla
langue ma alla parole.
A questo punto consideriamo la TEORIA ‘BRANCHING DIRECTION’ (teoria della direzione della ramificazione), Dryer, 1992,
secondo cui:
1. La coerenza tipologica deve essere rispettata sempre e solo dai costituenti aventi una struttura interna, cioè i
sintagmi che hanno una ramificazione interna. Es. leader of the party SN, di cui: leader (N), of the party (SP), diviso
a sua volta in of (P), the party (SN).
2. Invece i costrutti puramente lessicali, di norma senza struttura interna, mostrano maggiore libertà di posizione.
Articoli e aggettivi non ramificano. Es. nell’inglese, lingua VO, l’aggettivo e l’articolo non si adattano al principio di
“testa a sinistra”. Black dog (cane nero); the table (il tavolo) la testa è a destra non a sinistra.
ITALIANO.
È una lingua SVO, come l’inglese, ma a differenza dell’inglese non è isolante ma flessiva. Tendenzialmente l’aggettivo
segue il nome (il ragazzo biondo), NA, ma anche l’aggettivo può precedere il nome (enormi difficoltà) AN. Ecco altre
caratteristiche:
- Nome + Genitivo (il professore di musica)
- Nome + Relativo;
- Presenza di preposizioni;
- Ausiliare precede il verbo lessicale (ho comprato).
Le incongruenze riscontrabili:
- Avverbio precede l’aggettivo (molto difficile, molto buono);
- Possessivo precede il nome (il mio gatto, i miei nonni),
- Articolo precede il nome (il cane, il professore
ITALIANO ANTICO.
Il soggetto è spesso in posizione postverbale (inversione V-S); sembra aderisse quindi a un tipo sintattico diverso
dall’italiano contemporaneo. L’ordine, dunque, non sarebbe SVO. Esempi: ciò tenne il re a grande maraviglia (VS) →
soggetto posto dopo il verbo; Tanto gentile e tanto e onesta pare la donna mia (VS).
Il postverbale non è un fenomeno assente nell’italiano contemporaneo, anzi è molto frequente nel parlato. È arrivata la
nave (frase marcata, ma costrutto tipico dell’italiano contemporaneo). È più frequente con alcuni verbi che con altri, ma
nell’italiano antico era molto più diffuso.
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ASPETTI PROBLEMATICI
- Così come per la morfologia non esiste il tipo puro, anche in ambito sintattico il tipo puro è difficile da realizzare
- Non è sempre facile definire se una lingua è di tipo SVO, VSO o SOV perché ci sono delle incoerenze tipologiche,
come abbiamo visto nell’italiano o nell’inglese;
- Ci sono lingue, come tedesco o olandese, in cui l’ordine SVO vale nelle dichiarative principali, ma SOV nelle
dipendenti.
- Ci sono lingue SOV che a volte presentano l’aggettivo dopo il nome, altre volte prima di esso.
Tornando all’italiano:
SVO → Maria legge il libro;
SOV → Maria lo legge (il lo è clitico e sta per “libro”);
OVS → Il libro lo legge (Maria sottinteso).
Dunque, ogni lingua presenta ordini di parole differenti in base alla struttura informativa che vuole veicolare; anche in
questo è possibile nucleare non solo strutture frasali adatte a studiare dal punto di vista sintattico, ma anche da un punto di
vista pragmatico e prosodico, in quanto ogni volta che si modifica ‘ordine delle parole si cambia anche la prosodia (modo in
cui le intoniamo, le pronunciamo). Se una lingua permette ordini diversi, il tipo sintattico si assegna facendo
riferimento a quello che avviene nell’italiano nella dichiarativa non marcata. In italiano quella prevalente è SVO,
mentre gli altri – VSO e SOV – sono non marcati perché presentano costrutti intanto meno diffusi, e soprattutto veicolano
funzioni pragmatiche diverse.
Distinguiamo tra:
- lingue che hanno un ordine stabile: l’italiano rientra tra le lingue con ordine abbastanza stabile, anche se ci sono
spostamenti nei costrutti, specie quando l’oggetto è riempito da un clitico atono (Mario lo compra); Inglese →
ordine più rigido delle parole rispetto alle lingue slave o romanze perché non è una lingua flessiva, quindi la
posizione è automaticamente più rigida
- le lingue che hanno un ordine dominante.
Ricorda: L’ordine delle parole è un tipo, un tipo è un’astrazione, e quindi una semplificazione della realtà. Il tipo
non esaurisce lo spettro delle possibilità espressive della lingua. Il tipo puro non esiste mai.
Si distinguono
- Lingue con ordine stabile
Who is coming? = Is who coming?
- Lingue con ordine libero.
Es. latino → lingua con il caso, pur spostando in qualsiasi modo gli elementi, le funzioni saranno sempre trasparenti
e recuperabili. Marius vidit Claudium Marius Claudium vidit Claudium vidit Marius
- Lingue con ordine manovrabile
Es. lingue romanze e slave.
Giovanni sta arrivando/Sta arrivando Giovanni.
In italiano, il soggetto postposto è possibile perché la declinazione verbale reca sempre un morfema di persona,
diversamente da ciò che accade nella lingua inglese.
Tipologia e fonologia
Gli studiosi dibattono molto riguardo al tono, questo tratto soprasegmentale nonché una proprietà che caratterizza i
suoni sonori, ovvero quei suoni che prevedono, nell’articolazione, la vibrazione delle corde vocali. In breve, tanto più è
elevata la frequenza con ci vibrano le corde vocali, tanto più alto è il tono del suo prodotto . Il tono si realizza in tutte
le lingue storico-naturali, seppur con modalità differenti. Tuttavia solo in circa la metà delle lingue parlate oggi sulla terra
esso ha valore distintivo: è infatti possibile che due parole, con significato diverso, siano uguali in tutto a eccezione del
tono. Lingue di questo tipo sono dette “lingue tonalI”, e il cinese mandarino ne è un esempio. Questa lingua ha quattro
toni: il tono 1 parte da un livello massimo e si mantiene costante, il tono 2 parte da un livello medio-alto e raggiunge poi il
livello massimo, il tono 4 segue un percorso inverso perché inizia con un valore massimo e poi scende al minimo, e il tono3
parte da un valore medio-basso, scende al minimo e poi sale al massimo. Le lingue tonali sono concentrate nell’Africa
90
subsahariana, nell’America centrale e nell’Asia sudorientale. Le lingue tonali sono all’interno disomogenee quindi non
consentono l’elaborazione di un profilo omogeneo. Due parametri che però sono prevalenti sono: l’unità a cui è associato
il tono e la funzione che il tono può assolvere. Rispetto alla funzione dei toni, la prima e più importante suddivisione è
quella tra toni che distinguono morfemi lessicali e toni che distinguono morfemi grammaticali. I toni possono anche
svolgere una funzione derivazionale. In lendu, lingua parlata tra il Congo e l’Uganda, essi consentono di trasformare un
verbo in nome (insultare – insulto).
Un altro parametro fonetico e fonologico, oltre al tono, è l’armonia vocalica. L’armonia vocalica è un fenomeno
soprasegmentale e può essere descritto come un processo di assimilazione a seguito del quale i tratti della vocale della
sillaba iniziale si estendono alle vocali delle sillabe seguenti, indipendentemente dalla loro collocazione nel
morfema radicale o in eventuali suffissi. Tra le lingue d’Europa l’armonia è assente nella famiglia indoeuropea e
caratterizza, invece, le lingue turche e uraliche. In turco l’armonia vocalica coinvolge sia il parametro dell’anteriorità
(contrappone, cioè, vocali anteriori e posteriori), sia il parametro di arrotondamento (contrappone vocali arrotondate e
non arrotondate). In sostanza, se la prima vocale di una parola si caratterizza per i tratti [+ anteriore] e [+ arrotondato], allora
anche tutte le altre vocali della medesima parola assegneranno il valore positivo ai due tratti in questione. Ad esempio nella
parola gel-di “venne” [+ant] [-arr] la prima vocale /e/ è anteriore non arrotondata, e questa vocale, quindi, attribuisce
questi tratti anche alla vocale del suffisso.
Tipologia e lessico
Gli studi tipologici a base lessicale che hanno prodotto i risultati più convincenti sono quelli riguardanti la terminologia
utilizzata per le relazioni di parentela e il lessico dei colori. Soffermandoci su quest’ultimo è importante la ricerca di
Berlin e Kay, che hanno individuato undici colori che sembrano essere riconosciuti e indicati allo stesso modo dai
parlanti delle oltre cento lingue incluse nel campione. Ma l’aspetto più rilevante risiede che queste undici classi di colori
sono disposte in una gerarchia organizzata in modo rigido. Si tratta di una struttura implicazionale, che impone che non
si possa accedere a un livello senza essere passati per quelli precedenti. Quindi ad esempio è impossibile che una lingua
abbia un termine per il bianco, uno per il nero e per il blu, senza avere il rosso, il giallo e/o il verde.
Quali sono i rapporti tra la tipologia linguistica e la linguistica storico-comparativa? In primo luogo essi ricorrono al
medesimo procedimento di analisi, cioè quello comparativo. La tipologia linguistica non può prescindere dagli studi della
linguistica storico-comparativa perché quando si riscontra il bisogno di più tratti linguistici, per sancire l’esistenza di una
tendenza tipologica, è necessario escludere che questi tratti siano stati ereditati da una medesima lingua madre, e
quindi l’apporto della linguistica storico-comparativa è in tal caso essenziale. Ma viceversa anche la linguistica storico-
comparativa ha bisogno dell’analisi tipologica. Quest’ultima infatti può suggerire alla linguistica storico-comparativa una
sorta di “gerarchia di pertinenza” di tratti linguistici nei processi di costruzione dei legami di parentela. Inoltre la tipologia
può contribuire ad avvalorare o smentire le ipotesi formulate dalla linguistica comparativa. Può infine sostenere la
classificazione genetica in aree geolinguistiche particolarmente intricate in cui, a fronte di un’alta concentrazione di
lingue diverse, l’assenza di un’adeguata documentazione scritta rende problematica la ricostruzione dei legami di parentela.
3. CLASSIFICAZIONE AREALE
La linguistica areale è un sottotipo di classificazione tipologica perché è una sorta di miscela tra condizionamento
geografico e tipologico. Nel De vulgari eloquentia Dante intuisce che anche la lingua è sottoposta alla variazione
locale e temporale, quindi fa riferimento a ciò che oggigiorno chiamiamo dimensione diatopica e diacronica. Quando due
o più lingue mostrano una somiglianza, abbiamo tre diverse spiegazioni:
1. Di tipo genealogico: le lingue presentano punti in comune, hanno dunque un’origine genetica comunque (hanno
la stessa lingua madre).
2. Di tipo areale: il contatto innestato nel tempo tra comunità linguistiche diverse.
3. Di tipo tipologico: tendenze universali che fanno riferimento a un’interpretazione di tipo tipologico.
Si tratta di tre metodi differenti tuttavia complementari: una somiglianza linguistica non è mai casuale ma deve essere
argomentata; lo studioso deve escludere un’origine genetica, che la somiglianza abbia a che fare con delle tendenze
universali o che questa sia il frutto di un contatto prolungato tra le comunità linguistiche.
Quando parliamo di INTERPRETAZIONE AREALE, dobbiamo considerare che le lingue NON sono ENTITA’ ISOLATE o
INALTERABILI nel tempo e nello spazio, anzi, si evolvono sotto l’azione di svariati fattori come vicende storiche, culturali
e politiche che contribuiscono a modificare i territori, i confini e gli assetti geografici e persino quelli demografici, e sono
anche causa del contatto tra le comunità diverse. Inoltre la storia di una lingua è sempre la storia di una comunità e dei
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rapporti che quest’ultima intrattiene con altri popoli; è un dato di fatto che l’analisi di una lingua contenga in sé sempre
tracce del proprio passato (che la glottologia contribuisce a studiare). Quando due o più lingue entrano in contatto per
periodi prolungati si determinano processi di vario tipo: il più importante è l’interferenza. Nessuna lingua, infatti, può
sottrarsi a dei processi di contatto interlinguistico poiché nessuna lingua si può considerare un sistema a sé stante e isolato.
Naturalmente ci sono sistemi linguistici che, per la loro posizione, sono molto più esposti al contatto esterno e altri sistemi
linguistici, invece, che sono più isolati e dunque più protetti dall’influenza esterna, che dunque hanno mantenuto una
maggiore stabilità delle proprie strutture linguistiche. Le dinamiche di sovrapposizione, conflitto tra codici linguistici e
l’individuazione e datazione di questi fenomeni sono l’argomento di studio preferito della linguistica del contatto.
Il fenomeno può essere occasionale o duraturo, consapevole o inconsapevole. Se involontario, prende il nome di
COMMUTTAZIONE IN CODICE, ovvero code switching. Quest’ultimo fenomeno, assieme all’interferenza, è frequente
in ambito acquisizionale, ad esempio quando si apprende una seconda lingua e ci si trova in un contesto ospite.
L’interferenza determina dei prestiti di elementi lessicali, di pronunce, e anche mutamenti linguistici veri e propri. È
infatti uno dei principali fattori del mutamento diacronico delle lingue; il più delle volte, quindi, un mutamento
linguistico avviene non per una questione interna al sistema bensì perché c’è un contatto linguistico alla base che
scatena il mutamento. Solitamente gli elementi lessicali sono i più ceduti, infatti è la componente della lingua che
più si rinnova facilmente, sotto l’azione di spinte esterne; inoltre oggigiorno il fenomeno è più diffuso se si pensa che
l’interferenza non avviene solo tramite i canali classici di trasmissione, come in passato, ma c’è anzi una comunicazione
multimediale immediata e istantanea tra popoli e culture diverse. La cessione o convergenza di tratti morfologici e
sintattici, invece, è minoritaria perché essendo il cuore della grammatica, questi due livelli sono meno propensi alla
trasmissione. Il contatto tra lingue (soprattutto se non paritarie per prestigio sociale) se prolungato nel tempo può
anche comportare la creazione di lingue miste o nuove. Può anche capitare che esito del contatto sia la scomparsa di
una lingua minoritaria, dunque più debole, il che fa capire che il contatto tra popoli è avvenuto in maniera non
democratica. Le lingue, però, non muoiono mai completamente. Questi fenomeni, inoltre, non sono tanto diffusi
quanto quelli di convergenza, i quali possono coinvolgere tutte le dimensioni della lingua, dal fonologico al lessicale,
anche se non tutte le dimensioni mostrano la medesima sensibilità ad accogliere un fenomeno di convergenza.
C’è, comunque sia, un settore specifico che si occupa di studiare i fenomeni di convergenza: LINGUISTICA AREALE, che
studia: l’analisi delle somiglianze tra le lingue parlate in una stessa area geografica, dovute proprio al contatto tra i
parlanti. Nel Discorso intorno alla nostra lingua, redatto nel 1515, Niccolò Macchiavelli dice: “le lingue non possono
essere semplici ma conviene che siano miste con altre lingue ”. L’interferenza linguistica può manifestarsi anche
attraverso semplici prestiti lessicali, e comunque è uno dei fenomeni che può essere ricondotto al fatto che non esistono,
nella concreta realtà linguistica, tipi puri. L’interferenza linguistica è, quindi, un fenomeno a cui nessuna lingua può
sottrarsi. Questo anche perché le persone si sono sempre spostate sulla terra, generando così il contatto reciproco di diversi
gruppi di parlanti.
Essa si determina sotto l’azione di specifici fattori: le lingue da considerare devono essere adiacenti, poste all’interno di un
territorio geografico circoscritto (presupposto necessario ma non sufficiente); tra le lingue in questione devono sussistere
degli scambi commerciali, culturali, storici e politici duraturi, dunque dei contatti stabili e non occasionali; infine non
devono esserci degli ostacoli geografici insormontabili (fiume, catena montuosa, mare). La lega linguistica si verifica in
presenza di tali presupposti, anche se non è detto che debba realizzarsi per forza. Affinché si possa parlare di lega
linguistica, le lingue prese in considerazione devono avere convergenze legate ai loro rapporti duraturi e non alla
parentela genetica. Quindi è necessario escluda la presenza di parentele.
ESEMPI: cinese e giapponese non hanno la stessa lingua madre, ma nel corso dei secoli hanno intrattenuto contatti stabili e
duraturi, tanto che ad oggi, dinnanzi ad un’analisi sincronica, presentano tratti comuni, ovvero risultato di questa vicinanza
storico-geografica.
l’insieme dei tratti linguistici che si sono imposti in una data regione geografica a seguito di una profonda
contaminazione interlinguistica.
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La definizione di tipo areale ricorda quella generale di tipo, perché anche in questo caso abbiamo a che fare con una serie di
proprietà e strutture linguistiche che possono presentarsi in toto o parzialmente nelle lingue storico-naturali. Per assicurarsi
che le somiglianze riscontrate tra le lingue hanno una motivazione areale e non genetica, occorre innanzitutto confrontare
le tendenze tipiche dell’area in esame e quelle prevalenti nelle lingue del mondo, e poi individuare i fenomeni
sospetti, quelli cioè che inducono a ipotizzare un contatto areale.
I BALCANI. I Balcani presentano una stratificazione etnica non indifferente, conseguenza di una serie di ondate
migratorie, tanto che nel corso dei secoli i Balcani sono diventati il confine naturale tra Occidente e Oriente, due mondi
opposti e contrapposti per scelte politiche, culturali, religiose e linguistiche. L’area balcanica è quella in cui si concentra il
maggior numero di lingue appartenenti a gruppi linguistici diversi: neogreco, albanese, serbo, croato, sloveno, bulgaro,
rumeno, ungherese ecc. Tra i tratti essenziali dell’area balcanica vi sono:
1) Sistema vocalico neogreco, basato su cinque fonemi vocalici: /i/, /u/, /e/, /o/, /a/.
2) Sincretismo tra i casi genitivo e dativo: la tendenza prevalente è quella di far confluire nel genitivo le funzioni
precedentemente esercitate dal dativo;
3) Postposizione dell’articolo definito: tra le lingue balcaniche, l’articolo definito si colloca in posizione
postnominale in bulgaro, macedone, albanese e rumeno, dove l’articolo posposto consente di preservare la
distinzione tra caso nominativo-accusativo e genitivo-dativo.
4) Perdita dell’infinito, sostituito da proposizioni finte di natura finale, consecutiva o dichiarativa.
5) Comparativo analitico
6) Perdita infinito: queste strutture sono tipiche anche delle aree della magna Grecia in cui è evidente l’influsso
bizantino.
7) Futuro perifrastico (quindi di forma analitica)
8) Formazione dei decimali da 10 a 20 con preposizione su (11: uno su dieci).
ESEMPIO: BULGARO
edin-na-deset = (1:10); dva-na-deset (2:10). Sono indici di balcanizzazione. Uno dei balcanismi primari è la confluenza
di genitivo e dativo. E’ probabile che stadi linguistici più antichi di quel territorio abbiano lasciato un influsso di
qualche tipo; questo potrebbe essere vero alla luce che i balcanismi non sono distribuiti uniformemente su tutto il
territorio. Ogni supposizione va presa con cautela, perché le somiglianze possono essere il risultato congiunto di più fattori
condizionanti; la conclusione a cui giungono più studiosi è che nelle lingue balcaniche ci sono più effetti: quelli
imputabili al modello greco e quelli imputabili al modello latino, in quanto quest’ultimo è stato in queste aree molto
importante per un periodo di tempo. Greco classico e latino, nei secoli, si sono comportati in modo diverso: mentre per il
latino è possibile riconoscere una diffusione territoriale, linguistica a religiosa, il modello greco ha, invece, subito l’effetto di
un’estrema chiusura, la quale è imputabile a più fattori: forte ideologia che sta dietro la lingua stessa, considerata quasi un
oggetto sacro. Questa contrapposizione tra lingua dotta e lingua popolare si pose solo a fine millennio, ma le conseguenze
furono gravi perché la condanna del greco parlato ha portato a una sorta di sublimazione del greco classico.
Le conseguenze sono state gravi per l’evoluzione socio-culturale per la grecità in sé, perché a differenza del latino, il
greco non ha prodotto delle filiazioni importanti se non nel mondo greco; il latino, per l’appunto, si è aperto enormemente
per vari millenni, tanto da determinare una deriva linguistica molto importante: le lingue neo latine e i dialetti che si
sono generati dalla “morte” dello stesso latino. La fortuna del latino, la sua emancipazione, ha un successo linguistico
laddove il greco resta sigillato nella propria ideologia, sotto il peso e la spinta di un modello fortemente
conservatore. Alla luce di quello che avviene nelle lingue balcaniche, sono diversi i fattori che hanno svolto un ruolo
importante, sia seguendo il greco sia il sostrato di antiche lingue.
Ci sono fenomeni lacunosi nelle lingue balcaniche, per cui ogni balcanismo è necessario individui l’isoglossa. La lingua
balcanica non può essere considerata casuale perché il territorio balcanico ha una posizione geografica strategica, teatro
non solo di conflitti ma anche di mire migratorie, e sul territorio europeo c’è un elevato numero di lingue diverse dal
punto di vista genetico. Inoltre rappresenta molto bene l’antica opposizione tra mondo orientale e mondo
occidentale, due mondi per molti secoli opposti per ideologie politiche, religiose e linguistiche diverse: da una parte il latino,
dall’altro il greco; da una parte il cattolicesimo dall’altro l’ortodossia. Questa contrapposizione ha circoscritto questo territorio
facendo emergere una serie di contatti nello stesso territorio, e di conseguenza la formazione di una lega linguistica.
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L’EUROPA CENTRO-OCCIDENTALE (L’AREA DI CARLO MAGNO). Linguisticamente definitiva Standard Average European, vale
a dire europeo medio standard, questo territorio è stato spesso oggetto di ricerca nel tentativo di cogliere le somiglianze e
le convergenze per capire fino a che punto si potesse parlare di lega linguistica. Il territorio considerato corrisponde
all’antico regno dei franchi il cui imperatore, Carlo Magno, che fondò la sua residenza reale ad Aquisgrana, in Germania,
tentò di unificare il più possibile (Francia, Germania, Austria, Italia Settentrionale). Infatti i contatti e gli scambi commerciali
tra i popoli ci sono sempre stati, nonostante ci fossero Alpi e Pirenei, ovvero catene montuose fortunatamente non
invalicabili, che dunque non hanno ostacolato il contatto. All’interno di quest’area notiamo la presenza di lingue
caratterizzate da tratti comuni e condivisi. L’analisi di queste convergenze è stata al centro degli studi di EUROTYP (typology
of languages in Europe), studi che hanno portato alla luce alcuni tratti che sembrano caratterizzare alcune lingue
d’Europa, e il cui insieme contribuirebbe a formare il tipo linguistico europeo. Più precisamente, l’insieme di questi tratti è
noto come SAE = Standard Average European. Ecco alcuni tratti:
1) Somiglianze lessicali: tra le lingue europee si evince la presenza di un lessico colto di matrice greca e latina, e la
presenza di comuni strategie nella formazione delle parole, mediante l’utilizzo di voci dotte come filo, antropo,
logo, grafio ecc,
2) Ordine dei costituenti del tipo SVO;
3) Uso di avere ed essere come ausiliari nella formazione di alcuni tempi verbali complessi;
4) Presenza simultanea di articoli definiti e indefiniti (es. the dog “il cane”, a cat “un gatto”);
5) Pro-dop: le lingue pro-dop tollerano l’omissione del pronome personale soggetto in quanto già il verbo con le sue
desinenze è portatore dell’informazione; invece le lingue non pro-dop non accettano l’omissione del soggetto
perché questo andrebbe a creare stringhe del tutto incomprensibili e agrammaticali. In ambito europeo, inglese e
francese sono lingue non pro-dop, mentre l’italiano lo è (es. essi mangiano una mela mangiano una mela).
Nell’italiano il pronome però si specifica per disambiguare forme altrimenti uguali (es: congiuntivo presente che io
abbia, che tu abbia, che egli abbia, e imperfetto che io avessi, che tu avessi ).
6) Agente e soggetto possono divergere: il ruolo di “agente” corrisponde a chi compie l’azione, e nella maggior
parte dei casi l’agente corrisponde al soggetto (ad esempio in una frase del tipo il cane insegue il gatto ). Nelle
lingue europee però non sempre accade così, ad esempio nella frase the door opened “la porta si aprì”, il soggetto
door non ha alcun controllo sull’azione espressa dal verbo opened.
7) Accordo delle forme del verbo con il soggetto: nella maggior parte delle lingue europee il verbo concorda solo
con il soggetto (es. io leggo un libro). Tuttavia alcune lingue come quelle uraliche e il basco prevedono che il verbo
anticipi tratti dell’oggetto.
È bene precisare che non sono i singoli tratti a caratterizzare le lingue d’Europa, ma è la loro correlazione a farlo. Inoltre, vi
sono lingue in cui si realizzano quasi tutti i tratti (lingue pienamente europee come tedesco, francese e nederlandese),
lingue in cui si realizza solo un numero esiguo (lingue parzialmente europee, come basco e turco) e lingue che
potremmo collocare in posizione intermedia. Tra quest’ultime ricordiamo principalmente l’inglese e l’italiano (ma
anche lingue slave, germaniche, romanze, neogreco, albanese ecc.), dove nell’italiano si realizzano solo i tratti: 1,2,3,4,6 e
7. Un’area linguistica non copre uno spazio omogeneo, alzi al suo interno si possono distinguere tre sotto aree: un centro di
irradiazione (Germania, Olanda, Italia settentrionale e una parte della Francia) dove è nato e si è sviluppato il contatto
interlinguistico, una zona di transizione (il resto d’Italia) in cui gli effetti del contatto si sono propagati lasciando tracce
evidenti; e una zona di relitto (Ungheria, Turchia) solo marginalmente toccata da fenomeni di interferenza linguistica. Il
fatto che la zona focale sia la regione renana ha indotto gli studiosi a definirla area linguistica di Carlo Magno.
Vi sono nel mondo vari contesti in cui, nonostante le premesse favorevoli, i sistemi linguistici non hanno intrapreso alcuna
marcia di avvicinamento a un tipo strutturale parzialmente unitario. Il progetto MEDTYP che ha coinvolto otto università
italiane sotto la direzione dell’Università di Pisa, e il progetto Language Typology around the baltic sea, varato presso
l’Università di Stoccolma, hanno lavorato all’elaborazione di una sorta di “mappa tipologica-linguistica” delle regioni che
circondano il Mediterraneo e il Baltico, proponendosi di censire le peculiarità che caratterizzano le lingue parlate in
queste zone attraverso un confronto, sia con le lingue parlate nelle zone circostanti, sia con le tendenze tipologiche
prevalenti tra le lingue del mondo. L’obiettivo principale della ricerca è l’individuazione di eventuali fenomeni specifici di
queste aree, la cui evoluzione potesse essere stata determinata dal contatto tra le lingue coinvolte. Le conclusioni a cui si è
giunti dicono che né il Mediterraneo, né il Baltico possono essere considerate aree linguistiche. I due progetti infatti
hanno portato alla luce molti punti di contatto, ma ciascuno di essi coinvolge solo una piccola porzione delle lingue
coinvolte mancano tratti condivisi globalmente!
Anche la ricerca sugli universali può offrire un contributo di rilievo sugli studi del mutamento linguistico. Gli spunti
d’interesse derivano dagli universali implicazionali. Dati due tratti linguistici, X e Y, essi sono in un rapporto di
implicazione se la presenza di X richiede necessariamente quella di Y. Quindi Y è la condizione affinché si realizzi X.
Assunti di questo tipo sono universali se trovano riscontro in tutte o almeno in una percentuale significativa di lingue del
passato e del presente. Però considerando che la lingua è un qualcosa di dinamico e in continua trasformazione, sarebbe
opportuno aggiungere che la correlazione X-Y è universale se si ritrova in ogni segmento delle vicende evolutive
delle lingue storico-naturali. Quindi nella storia delle lingue non dovremo avere mai fasi in cui all’assenza di X corrisponde
la presenza di Y. Un esempio concreto riguarda quello dei diminutivi ed accrescitivi. Se una lingua dispone di un
procedimento morfologico per realizzare gli accrescitivi, allora dispone di un procedimento morfologico per realizzare i
diminutivi, però non viceversa (da diminutivi ad accrescitivi). Questa tendenza può, però, essere interpretata in chiave
diacronica: tanto il latino quanto il greco antico disponevano di un sistema di diminutivi che, in parte è stato tramandato alle
moderne lingue romanze. Al contrario, lo spazio relativo ai suffissi accrescitivi è rimasto a lungo vuoto e solo in tempi recenti
si sono attivati processi per colmare tale vuoti. Quindi, in conclusione, gli universali implicazionali sono strumenti significativi
per lo studio del cambiamento linguistico perché ci dicono che alcune proprietà linguistiche sono “più fondamentali” di
altre (i diminutivi, paiono più basici degli accrescitivi) e quindi nella costruzione di una lingua queste ultime si sviluppano
piuttosto precocemente rispetto alle altre.
Ogni previsione sull’evoluzione linguistica va sempre interpretata in chiave probabilistica. Questa consapevolezza
permette di giungere ad un’altra, ovvero che i cambiamenti linguistici possono essere classificati (come i tipi) in base al
grado di probabilità. Nulla vieta che intervengano circostanze esterne al sistema lingua in grado di determinare una brusca
e inattesa deviazione nel percorso evolutivo intrapreso dalla lingua. Edward Sapir ha definito “deriva” la lenta
trasformazione della lingua. Questo termine rende bene l’idea di un movimento libero e incontrollato, guidato da forze
esterne, come quello della barca che si muove spinta dalla corrente del mare.
Tipologia e dialetti
La lingua cambia nello spazio e la differenza più evidente è quella dell’accento. È certamente fondamentale in tal senso fare
riferimento alla variazione dialettale. La differenza tra lingua e dialetto è molto labile e talvolta fuorviante. In questo
contesto appare significativo affermare che il dialetto deve essere geneticamente imparentato alla lingua di cui è
considerato una variante. La tipologia in genere si basa sulle lingue ufficiali, dove il materiale è più consistente e
certamente più accessibile. È innegabile però che i dialetti costituiscano un serbatoio inesauribile di dati e proprio per il
fatto di essere perlopiù inesplorati, inducono a prevedere interessanti sviluppi anche in chiave tipologica. In effetti si
può presumere che, se ci fosse la possibilità di scandagliare le varietà dialettali delle lingue, molte delle più note
generalizzazioni tipologiche andrebbero riviste. Le lingue ufficiali e i dialetti hanno quindi, almeno in chiave
tipologica, la stessa legittimità. Un esempio è relativo alla struttura della frase negativa. Si distinguano tre tipi: la
negazione precede il verbo (portoghese), la negazione segue il verbo (nederlandese), la negazione precede e segue il
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verbo (francese). L’italiano appartiene al primo tipo, tuttavia l’apparenza inganna perché in alcuni dialetti trovano
attestazione anche altri tipi.
Conoscere e parlare una lingua vuol dire anche essere in grado di adeguare la propria produzione linguistica alle diverse
situazioni comunicative. Quindi la lingua è un sistema che non cambia solo nel tempo e nello spazio ma anche, in
sincronia, in base alla situazione comunicativa, alla caratterizzazione sociale dei parlanti e al mezzo utilizzato per la
comunicazione linguistica. Potremmo pensare che la lingua sia un blocco statico e immobile, ma così non è. Al suo interno è
possibile individuare una stratificazione, una variabilità dovuta a vari fattori esterni alla lingua (es. prestigio, ruolo dei
partecipanti, confini politici, situazioni storiche ecc). Le grammatiche fotografano in genere una sola varietà della lingua,
quella che si è soliti definire standard. Lo standard include le consuetudini linguistiche che identificano
“ufficialmente” un’ideale comunità linguistica, trascurando gli usi non standard della lingua, cioè le varianti diafasiche,
diastratiche, diamesiche e anche diatopiche, che invece paiono caratterizzare le comunità linguistiche reali. Quindi la lingua
non dovrebbe essere estrapolata dal contesto sociale, perché la lingua non è un sistema, ma un DIASISTEMA, vale a dire un
sistema di sistemi. Anche la tipologia dovrebbe calarsi in questa realtà e studiare la variazione interlinguistica
aprendosi anche alla varietà intra-linguistica.
Tipologia e acquisizione
96
FANCIULLO
4.CLASSIFICAZIONE GENEALOGICA
La classificazione genealogica rientra in un ambito specifico, quello della glottologia, o linguistica storica.
La glottologia:
1. È lo studio strutturale delle lingue in rapporto alla loro evoluzione temporale. Saussure aveva individuato una
dicotomia fondamentale: diacronia/sincronia e aveva sottolineato come non fosse sempre possibile dividere in
maniera agevole il comparto diacronico dal sincronico, poiché queste due dimensioni si sostengono a vicenda. non
è possibile, infatti, effettuare un’analisi diacronica di una lingua senza sapere come essa si presenta a un livello
sincronico. Quindi la glottologia pone al centro dei propri interessi l’asse tempo. Il fattore tempo, irrilevante per la
tipologia linguistica, è fondamentale per la glottologia.
2. Si contrappone alla linguistica descrittiva, cioè sincronica.
3. Si occupa dell’analisi e comparazione delle lingue vive e scomparse; per queste ultime non è più possibile
effettuare uno studio sincronico, in mancanza di documenti moderni, invece le lingue parlate, essendo strumenti di
comunicazione ancora attivi permettono di essere valutate sia in sincronia che in diacronia.
1. Descrive la storia di comunità linguistiche: lo studio di una lingua è infatti al contempo lo studio di una
comunità. Poiché la lingua è lo strumento utilizzato dalla comunità per comunicare, lingua e comunità sono
inscindibili.
2. Delinea le affiliazioni genetiche delle lingue del mondo (parlate ed estinte): permette di ricostruire i rapporti di
parentela tra le lingue.
Però la glottologia non opera da sola, anzi si avvale delle informazioni pervenute da:
1. Ambito archeologico: fonte imprescindibile della linguistica storica, fornente informazioni salienti.
2. Le fonti scritte: ad eccezione per le lingue solo orali e per quelle estinte e mai scritte.
3. Confini geografici: sempre da considerare in un’ottica amministrativa e geografica (e cambiati nel corso della
storia)
4. Genotipi: i genetisti hanno fornito informazioni significative al fine della ricostruzione di famiglie linguistiche.
COME FA TUTTO QUESTO? La glottologia si avvale del metodo STORICO-COMPARATIVO (storico perché fondato sul
tempo; comparativo perché mette a confronto più lingue), elaborato agli inizi dell’800 e che permette di: individuare le
corrispondenze e i mutamenti linguistici tra le lingue.
Finalità? Decretare se due o più lingue sono o meno imparentate tra di loro. Ovvio che il glottologo deve mettere in
ordine le informazioni ricavate e tanto più conosce la storia dei popoli che analizza, tanto più semplice sarà per lui scoprire
la parentela (questo perché la storia della lingua è storia della comunità). Ma il glottologo nel suo studio fino a dove può
spingersi? Se lo studio avviene mediante documenti scritti la profondità temporale è di 5.000 anni (è condizionato dalla
nascita della scrittura), se invece avviene mediante ricostruzione circa 10.000 anni. è ovvio però che più indietro si va con gli
anni, meno attendibile sarà l’analisi.
Il presupposto della glottologia? LE LINGUE CAMBIANO NEL TEMPO. Questo è intuibile anche in un arco temporale
abbastanza ristretto (basta, ad esempio, una sola generazione). Più si va indietro negli anni, più i cambiamenti diventano
incisivi.
Classificazione genealogica.
- Si classificano le lingue in base alla loro parentela genetica . Due lingue fanno parte dello stesso
raggruppamento genealogico se derivano da una stessa lingua originaria, come avviene ad es. nel caso di
italiano, spagnolo, portoghese, francese, rumeno, gallego, provenzale ecc.: tutte queste lingue, dette romanze
o neolatine, derivano da un’unica lingua madre, il latino. A loro volta le lingue romanze, insieme a molte altre
ancora, formano un’unità genealogica più ampia, quella delle lingue indoeuropee, che costituiscono una famiglia
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linguistica. La famiglia linguistica è l’unità genealogica più alta; le unità di livello inferiore alla famiglia sono dette
gruppi.
- Scaturisce dalle riflessioni di primo ‘800 derivate dalla Germania, soprattutto da Jones.
- È il prodotto finale che viene messo appunto partendo dall’applicazione di un metodo storico-comparativo,
finalizzato alla ricostruzione delle lingue.
Se vogliamo una data convenzionale, la nascita della moderna linguistica storica possiamo fissarla intorno al 1786, anno
in cui William Jones, alto funzionario dell’inglese Compagnia delle Indie, tiene a Calcutta una conferenza nella quale,
evidenziando numerose e specifiche corrispondenze tra il latino, il greco e il sanscrito, avanza l’idea che le tre lingue
dette potessero discendere da un più antico, comune antenato.
1. Scoperte geografiche (scoperte per mare, ma si ricordi, anche per terra: esplorazioni dei territori asiatici a est degli
Urali) e colonialismo il quale, mettendo gli europei a diretto contatto con un numero elevato di lingue
precedentemente sconosciute, ne stimolano non poco la curiosità.
2. Romanticismo (fine ‘700-prima metà ‘800) che, favorendo il gusto per l’esotico e il remoto, promuove lo studio delle
lingue e delle civiltà orientali (tra cui il sanscrito e l’antico persiano).
L’accesso ai testi sanscriti spinse studiosi tedeschi a proseguire negli studi. Quindi dopo Jones:
Friedrich von Schlegel, intellettuale tedesco fondatore del movimento romantico, teorizza che:
a. La lingua-madre da cui lingue come il greco, latino, persiano, lingue germaniche e tutte le altre lingue che poi
verranno dette indoeuropee è il sanscrito (ammirato notevolmente per la sua struttura flessiva).
A livello fonetico sono però Jacob Grimm e Rasmus Rask a identificare le prime corrispondenze sistematiche
tra le lingue i.e. a livello fonetico, e in particolare, per quel che riguarda le consonanti occlusive; mentre Franz
Bopp si interessa alla comparazione soprattutto delle unità portatrici di significato grammaticale o morfemi, con
speciale riguardo alla morfologia verbale.
L’ALBERO GENEALOGICO
All’interno della grammatica comparata ci sono state diverse figure di spicco, tra cui August Schleicher. Secondo
August, le lingue non sono organismi storici, ma organismi naturali con leggi da un lato immutabili, dall’altro operanti al di
fuori della volontà dei parlanti. Schleicher era principalmente un botanico, (utilizza termini quali genere, specie, varietà)
infatti appare molto condizionato dalle rivoluzionarie teorie di Charles Darwin. Secondo lui, infatti, le lingue sarebbero
organismi naturali forniti all’uomo dalla natura, dunque sottoposte alle stesse leggi della natura. È all’interno di
questa visione propriamente naturalistiche che collochiamo la teoria dell’albero genealogico.
il sanscrito e le altre lingue i.e. derivano da una più antica lingua originaria comune, ovvero
una lingua-madre da cui, attraverso ramificazioni successive simili ai rami di un albero
genealogico, sono derivate le lingue i.e.
Inoltre, egli recupera anche la preesistente classificazione delle lingue in base ai tipi: isolante, agglutinante e flessivo; e
interpreta questi tipi non come modelli, ma come STADI SUCCESSIVI DI SVILUPPO (il tipo agglutinante rappresenterebbe,
per esempio, l’evolversi naturale di quello isolante; e il tipo flessivo, a sua volta, l’evolversi di quello agglutinante).
1. LINGUE FLESSIVE:
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a. Fanno uso di desinenze (cioè marche morfologiche) le quali, oltre a completare il lessema, sono
polifunzionali, cioè veicolano più informazioni grammaticali contemporaneamente: nell’it. gatto, ad es., la
marca –o veicola la nozione di singolare e di maschile mentre nell’it. gatti, la marca –i veicola la nozione di
plurale e di maschile.
i. Per lessema si intende, in opposizione a morfema, è l’unità più
piccola che veicola il significato lessicale, ad es. it: /kant-/ di cant-
are, cant-icch-iar-e ecc. e che non va confuso con la parole, anche
se, in certi casi, può esserci coincidenza tra i due; tuttavia in una lingua
come l’italiano la parola nella sua forma normale è costituita da un
lessema che viene completato da informazioni morfologiche le quali,
a loro volta, sono veicolate da morfemi: cantare è scomponibile in
/kant-/ [lessema], più /-are/, morfema di infinito. In altre lingue come
l’inglese la coincidenza di lessema con parola è più frequente che in
italiano. In inglese, ad esempio, book non è soggetto a ulteriore
scomposizione e, preso da solo, è indistinguibilmente tanto
sostantivo, ‘libro’, quanto verbo ‘annotare, registrare, prenotare’ ecc.
2. LINGUE AGGLUTINANTI:
a. Ogni marca morfologica veicola un tipo di informazione, e solo uno, e può essere aggiunta senza
intaccare l’autonomia semantica e formale del lessema. In turco, tipico esempio di lingua agglutinante,
una forma come adamlarimda riconosciamo un lessema ( adam ‘uomo), che coincide con la parola in
isolamento, poi un morfema (- lar) che veicola solo la nozione di plurale e può essere usato in qualunque
altra parola, poi il morfema (-im) che veicola la nozione di possessivo di prima persona (di me = mio) e
che può essere usato in qualsiasi altra parola, e infine un morfema (- da) che veicola solo la nozione di
locativo, e che quindi può essere usato in qualunque altra parola.
3. LINGUE ISOLANTI:
a. Prive di marche morfologiche;
b. Le relazioni morfosintattiche sono inoltre espresse tanto dall’ordine, assai rigido, delle parole, quanto da
parole semanticamente vuote usate in funzione grammaticale.
L’albero genealogico di Schlechier ha subito molte critiche: essendo molto meccanico dava la possibilità solo di poter
cogliere le somiglianze ereditarie, ma non è in grado di catturare le connessioni che possono stabilirsi da ramo a ramo
anche a prescindere dall’origine comune (come i dialetti italiani e l’italiano: pur derivando dalla stressa base latina, hanno in
comune caratteristiche stabilite secondariamente dal momento in cui, per i dialetti, l’italiano è divenuta lingua di riferimento.
La lingua madre è l’indoeuropeo, da cui derivano tanti sottogruppi, e poi altre affiliazioni, ovvero lingue finali (ancora parlate
o estinte):
Ivanov ha formulato una nuova formulazione dell’albero genealogico, la quale colma alcuni limiti di Schleicher (che ad
esempio non rappresenta i rami derivanti da altri rami e dunque i contatti che si instaurano tra i diversi gruppi e sottogruppi
della famiglia). Egli, ad esempio, non colloca al vertice dell’albero l’indoeuropeo bensì alla radice dell’albero. Da qui si
dipartono vari rami: rami piccoli (anatolico) e molto grandi (Protogermanico); rami antichi e altri meno; rami di altri
rami (es. il germanico si divide in ulteriori rami); rami che addirittura si incrociano. È, quindi, una formulazione più
dinamica che rispetta la dislocazione geografica delle lingue.
1. Trasforma la lingua da organismo astorico (esistente, cioè, al di fuori dei parlanti) in un PRODOTTO STORICO
(le onde che si irradiano successivamente sono innovazioni operate dai parlanti ad una lingua), quindi in un
organismo in divenire, sottoposto a correnti che si sovrappongono continuamente.
2. Infatti non è un albero di semplificazione rigido bensì offre un’immagine diversa in cui i sistemi linguistici sono
parzialmente sovrapposti tra loro o persino inglobati all’interno di un altro gruppo. Secondo Schmidt,
infatti, la rappresentazione non deve procedere per mezzo di uno schema rigido e meccanico come quello
formulato da Schleicher, bensì propone una rappresentazione più realistica e dinamica delle onde, che si
propagano in cerchi concentrici, affievolendosi via via che ci si allontana dal centro. Le zone
immediatamente vicine al centro focale accolgono per prime e con maggiore facilità l’innovazione linguistica,
mentre man mano che ci si allontana dal centro l’innovazione perde d’intensità e si distribuisce in modo minore
sul territorio. Il passaggio da una varietà all’altra non avviene in modo rigido e discreto, bensì continuo.
3. Introduce il concetto di SPAZIO, trascurato da Schleicher. Schmidt, infatti, mette anche in evidenza come lingue
parlate in territori limitrofi mostrino un maggior numero di affinità linguistiche rispetto a quelle dislocate su
territori più lontani.
Oggi la comunità scientifica non considera queste due teorie come lontane e opposte, ma anzi COMPLEMENTARI (non
si escludono vicendevolmente, quindi). Se vogliamo mettere a confronto in modo netto le proprietà di più sistemi
linguistici è più efficace l’albero, mentre se si vuole illustrare la diffusione di una certa innovazione linguistica sul
territorio è più utile la teoria delle onde. L’immagine delle onde ha anche permesso di concepire un concetto
essenziale della glottologia: l’isoglossa.
Quanto allo Schuchardt, lo studioso sposta l’interesse verso lo studio di fasi linguistiche (come il latino volgare) di
cui possediamo informazioni e su cui possiamo fare argomentazioni. (Prima invece si cercava di studiare una
lingua originaria i.e. con la sua ricostruzione senza documentazione).
Il movimento dei neogrammatici nasce nella seconda metà dell’Ottocento e i suoi fondatori sono considerati Hermann
Osthoff e Karl Brugmann. Ai neogrammatici indubbiamente si lega il concetto dell’ineccepibilità delle leggi
fonetiche. Questo concetto era stato già affrontato da Grimm, Rask e Bopp:
legge fonetica intesa come constatazione di regolarità nel corrispondersi fonetico tra due
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fasi storiche del medesimo continuum linguistico.
Ma i neogrammatici aggiungono un altro aspetto:
Se in una data lingua, a diventa b nel contesto X, allora ogni a che si trovi nel contesto X deve passare a b ineccepibilmente
presso tutti i parlanti di quella lingua. L’ineccepibilità, a sua volta, è giustificata dalle abitudini articolatorie, dalla
conformazione della glottide, dall’apparato fonatorio dei parlanti, nel senso che apparati fonatori abituati per generazioni a
certe produzioni fonetiche tenderanno di per sé a perpetuarle. Infatti una particolare applicazione del principio delle
abitudini articolatorie porta in Italia, nella seconda metà dell’800, alla formulazione della teoria del sostrato etnico (o
più semplicemente sostrato):
Le eccezioni però esistono perciò devono essere spiegate. Proprio per questo motivo, tra il 1860 e il 1880 si trovarono le
soluzioni alle apparenti eccezioni della legge di Grimm, risolte da:
1. Grassmann (1863). Riguarda l’esistenza riscontrata di alcune forme esistenti nel prototipo i.e., ma che sono state
‘aberrate’ dal greco e sanscrito. Questo può essere spiegato come dissimilazione, processo per cui: in sanscrito e
greco, una sequenza di occlusiva sonora aspirata + occlusiva sonora aspirata, in sillabe contigue si sia
dissimilata in una sequenza di occlusiva sonora non aspirata + occlusiva sonora aspirata.
3. Collitz-De Saussure. Legge che riguarda il sanscrito, del quale si era sempre ritenuto che conservasse al meglio
le caratteristiche fonetiche della lingua-madre (i.e.). Ma in questo caso non è cosi perché, secondo questa legge, l’i.e.
ha avuto tre timbri *a,*e,*o, che sono rimasti più o meno in greco e latino e che ha avuto anche il sanscrito
predocumentario. Infine, il sanscrito e l’indoiranico hanno fuso i tre timbri nell’unica *a, ma soltanto dopo che la
w
vocale *e (palatale) aveva palatalizzato la labiovelare o la velare pura precedente. i.e. ‘penk e’> (per
delabializzazione della labiovelare) sscr.’penke’> (per palatizzazione della velare da originaria labiovelare)
sscr.’pence’> (con passaggio di *e ad ‘a’)sscr.panca.
SI RITIENE DI AVERE COSI’ LA PROVA CONCRETA CHE LE LEGGI FONETICHE NON CONOSCONO
ECCEZIONI; E CHE, ANCHE QUANDO PARE CHE ESSE ESISTANO, OCCORRE SOLO CERCARE
MEGLIO E, PRIMA O POI, SALTERA’ FUORI LA SUB-REGOLA IN GRADO DI SPIEGARE L’ECCEZIONE
APPARENTE.
I NEOGRAMMATICI, IL PRESTITO,L’ANALOGIA
1. PRESTITO: Da una diversa tradizione linguistica entrano nella lingua che li adotta mantenendo all’ingrosso le
caratteristiche fonetiche presenti nella lingua di partenza.
2. ANALOGIA: Processo di regolarizzazione in base al quale al posto delle forme attese ne troviamo altre, ottenute in due
modi:
Mediante allineamento a moduli all’inizio loro estranei ma che, a un certo punto e per motivi diversi,
hanno incontrato il favore dei parlanti:
Esempio: Rispetto agli antecedenti latini PONO/PONUNT, in italiano abbiamo PONGO/PONGONO, presentano
una velare [g] foneticamente ingiustificabile (nel passaggio dal latino all’italiano, la N intervocalica corrisponde,
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infatti, ad una -n, non ad una -ng). Ciò che qui è successo è che il paradigma dei verbi in questione è stato
allineato a un altro paradigma , quello dei verbi come ‘vengo/vengono (dal lat. VENIO/VENIUNT).
Modellate su forme concorrenti all’interno dello stesso paradigma:
Esempio: In certe varietà lucchesi troviamo ‘ tu dichi’ al posto di ‘ tu dici’. E’ evidente che l’esito [k] sia avvenuto
per pressione della k che troviamo in ‘io dico’, assolutamente regolare = PRESSIONE PARADIGMATICA.
Con pressione paradigmatica si intende il fenomeno particolare che si stabilisce fra due elementi che vengono
a trovarsi in stretta successione nella catena fonica. Esempio: l’italiano moderno su ‘sopra’ è forma abbreviata
dell’italiano antico suso, che deriva dal latino SUSUM. A sua volta l’italiano moderno giù ‘sotto’ è forma
abbreviata d’un giuso, che deriva dal latino DEO[R ]SUM. Questo è da condurre al fatto che i due avverbi
ricorrono spesso insieme in espressioni del tipo su e giù, e per questo sono diventati simili.
La linguistica storica si sviluppa nell’800, ma nel ‘900 avvengono al suo interno una serie di rivoluzioni. Ora la
linguistica si apre a ventaglio e da origine a un vero e proprio fascio di discipline (dalla sociolinguistica alla
semiologia), al cui interno la linguistica storico-comparata è solo uno dei tanti modi di occuparsi delle lingue.
In che cosa consiste? Saussure non si accontenta di ricostruire, egli si interroga sulla natura delle lingue e
sui principi generali e universalmente validi, i quali, al di là dei particolarismi di ciascuna varietà, regolano delle lingue
l’organizzazione. Concepisce le lingue come un insieme di relazioni (système, cioè sistema, che da Saussure verrà
chiamato ‘struttura’ = ogni lingua è un sistema nel quale tout se tient, cioè tutto è reciprocamente collegato). Egli
quindi esalta che:
4. ARTICOLATORIO (relativo a ciò che produciamo con gli organi fonatori) e ACUSTICO (ciò che percepiamo con
l’udito). Si badi che quello che può sembrare simile dal punto di vista acustico può non esserlo dal punto di vista
articolatorio.
5. SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO;
6. SINTAGMATICO e PARADIGMATICO;
7. DIACRONICO e SINCONICO;
8. LANGUE e PAROLE.
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