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prima parte
le competenze linguistiche
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gaetano berruto
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che cosa vuol dire ‘sapere una lingua’?
gaetano berruto *
The paper deals with the relative importance of the various layers and elements of a language
for the mastery of this language. After a short explanation of the meaning of ‘language
competence’, the components of language mastery and luency proposed by linguists such as
Bloomield, Fillmore and Lehmann are examined and discussed, the very notion of ‘native
speaker’ is questioned, and the weight of syntax and lexicon is evaluated both reciprocically
and by comparison with other components. There is a large consensus among the authors
that the leading role in determining a good mastery of a language is played by the control
of formulaic expressions and phraseological items. Merely phonetic/phonological aspects
seem to be of little interest instead. Finally a list of eleven main indicators of language
competence is proposed, taking into consideration the respective cognitive, cultural and
social importance.
1. Introduzione
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parlante. Quindi, in una prospettiva che credo non sarebbe dispiaciuta a Monica,
pur così giustamente e gentilmente critica nel disciplinare le speculazioni che
si sentiva propinate durante le chiacchiere serotine di una coppia di linguisti,
vorrei illustrare come può essere visto nell’ottica di un linguista non applicato
un tema che è di spettanza della linguistica applicata, della glottodidattica, della
psicolinguistica. un tema che è però molto interessante per i linguisti perché
pone in primo piano anche la questione del rapporto e della distinzione fra natura
e cultura nei fatti di linguaggio, e tra ciò che è interno e ciò che è esterno nel
sistema linguistico e quindi nel sapere una lingua. se si assume che la lingua sia
un intreccio intimo di natura e di autonomia iuxta propria principia da un lato, e
di cultura e dipendenza dall’esterno dall’altro lato, è indubitabile che sapere una
lingua e sapere, conoscere, una cultura hanno un rimando continuo e reciproco.
che cosa vuol dire allora ‘sapere una lingua’, dal punto di vista del linguista? una
risposta, tautologica, è: sapere una lingua equivale ad essere parlanti competenti
di quella lingua, averne la competenza. la questione diventa quindi quella di che
cosa sia la ‘competenza linguistica’. o le competenze linguistiche, al plurale,
come opportunamente recita il tema del congresso. che cosa sono? Quali sono i
contenuti del ‘sapere una lingua’?
bighellonando in google, il grande megamercato e discount del consumo intellet-
tuale di questi nostri anni, troviamo naturalmente anche molte chiacchiere su questo
argomento. nel sito <answers.yahoo.com>, visitato il 29 aprile 2011, un intervenuto
per es. chiede
(1) supponete che io voglia imparare una lingua a me del tutto estranea. Quanti vocaboli
dovrei conoscere per comprendere e parlare quella lingua?,
(2a) eloquentia constat ex verbis et ex sententiis (cic., De opt. gen. orat., ii.4)
(2b) rerum enim copia verborum copiam gignit (cic., De orat., 3, 125);
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e fa dire a cesare che il fondamento del parlare un bel latino è la scelta delle parole,
verborum dilectus1:
(3) de ratione latine loquendi accuratissime scripserit [scil. caesar] primoque in libro
dixerit verborum dilectum originem esse eloquentiae (cic., Br., 253).
che sapere una lingua equivalga a saperne le parole pare dunque un truismo. occorre
subito dire però che questa affermazione preliminare risulterebbe immediatatamente
priva di contenuto, un truismo invalido, se accettiamo una posizione come quella di
Haspelmath (2011), che nega del tutto la possibilità di deinire e delimitare la nozione
di parola come categoria universale (e quindi riiuta anche e radicibus la distinzione
fra morfologia e sintassi che appunto su questa si basa). Qui ovviamente mi tengo ben
lontano da questi massimi problemi2, anche in ragione della considerazione che il con-
statare quali cose il parlante sa fare, e il valutare le cose che si sanno fare, è abbastanza
indipendente dal sapere come e attraverso quali vie le si sanno, per quali percorsi siano
acquisite; e anche, vorrei dire, dalla descrizione scientiica dell’oggetto.
2. La competenza
1
sulla teoria dell’eloquenza di cesare si veda lomanto (1994-1995). altri ingredienti per un primo
potenziale schizzo del saper parlare bene li troviamo ovviamente nella Retorica di aristotele, per es.
dove si afferma che la prima qualità della léxis (la buona lingua, l’elocuzione) è la chiarezza, che il suo
fondamento è usare un greco corretto, e che il primo dei cinque elementi in cui ciò consiste è cavarsela
bene con i syndésmoi (le congiunzioni, le particelle connettive): «[…] kaì ốristhô lékseōs àretề saphê
éinai […] èsti d’àrkhề tês lékseōs tò éllēnizein·tôuto d’èstìn èn pénte. Prōton mèn èn tôis syndésmois
[…]» (arist., Tekh. Rhēt. iii, 2, 5). non entro nel merito di quale sia la traduzione contestuale più cor-
retta di termini aristotelici come léxis: il Wartelle (1982) dà per es. come corrispondenti di léxis: parole,
langage, style, expression, élocution, manière de s’exprimer.
2
non mi parrebbe tuttavia, come prima impressione, che i molti e stringenti argomenti di haspelmath
contro la deinibilità della nozione di parola obblighino davvero a riiutare totalmente una nozione pro-
totipica della medesima; e quindi ad accettare una distinzione fra morfologia e sintassi sulla base della
categoria prototipica su cui si fondano.
3
Lehmann (2007) ne enumera e deinisce anche altri, ma qui ci accontenteremo di distinguerne i due
fondamentali.
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(4) red-cloud-Woman, a woman in the sixties, speaks a beautiful and higly idiomatic
Menomini […]. her husband, storms-at-it, a shaman, […] often uses unapproved
– let us say, ungrammatical, – forms which are current among bad speakers; […]
4
lehmann (2007: 45-46) parla di ‘relatività’ della competenza, per questo e per altri aspetti: non solo
«linguistic competence is relative to the individual who possesses it», ma, avendo una componente
valutativa, appare per es. anche relativa in dipendenza ai giudizi soggettivi dei valutatori.
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stands-Close, a man in the ifties, speaks only Menomini. His speech, though less
supple and perfect than red-cloud-Woman’s, is well up to standard. […] bird-hawk,
a very old man […] spoke with bad syntax and meagre, often inept vocabulary, yet
with occasional archaisms. White-thunder, a man around forty, speaks less english
than Menomini, and that is a strong indictment, for his Menomini is atrocious. his
vocabulary is small; his inlections are often barbarous; he constructs sentences of a
few threadbare models. He may be said to speak no language tolerably (Bloomield,
1964 [1927]: 395).
commentando questi quadretti, hymes (1977: 72) si chiede se allora occorra conclu-
dere che (fatta salva l’assenza di uno standard scritto di riferimento) il menomini sia
una lingua che quasi nessuno parla in maniera tollerabile, o che semplicemente il
menomini sia una lingua dal vocabolario ridotto e di frasi costruite su pochi e triti
modelli. né l’una né l’altra conclusione è ovviamente accettabile. tuono bianco
e Falco uccello sono evidentemente parlanti poco competenti della loro lingua
(presumibilmente, quelli che nelle ricerche di decenni dopo sulla decadenza delle
lingue saranno chiamati semispeakers). Seguendo Bloomield, la loro cattiva com-
petenza si manifesta nella sintassi (‘cattiva’ in Falco uccello, mentre tuono bianco
padroneggia, appunto, solo pochi e triti modelli frasali); nel vocabolario, ‘ridotto’ in
tuono bianco, ‘povero’ e ‘inadeguato’ in Falco uccello; per tuono bianco anche
nelle ‘inlessioni barbare’ (qualunque cosa ciò voglia dire), e per Infuria A Questo
nell’uso di forme scorrette, sgrammaticate. per converso, un’alta competenza si
manifesta in una lingua ‘bella e ricca di espressioni idiomatiche’, ‘lessibile’, ‘per-
fetta’ (donna nuvola rossa), ‘a livello dello standard’ (sta vicino). il problema del
che cosa voglia dire sapere una lingua si incrocia già qui con quello della ‘buona’
e ‘cattiva’ lingua, e per questa via con quello dello standard e del substandard, e
del rapporto con un canone di riferimento: sapere bene una lingua signiica saperne
(anche) la forma standard.
Certamente, comunque sia, le valutazioni di Bloomield non potrebbero costituire
una base per una griglia di criteri che permettano di stabilire che cosa vuol dire sapere
una lingua. usando in positivo i giudizi espressi sul menomini di tuono bianco, Falco
uccello, e infuria a Questo, padroneggiare bene una lingua vorrebbe dire possedere
un vocabolario ampio, ricco e appropriato, e usare una sintassi buona e con modelli
frasali molteplici e variati, inlessioni non barbare, e forme corrette; e, guardando a
Donna Nuvola Rossa e Sta Vicino, impiegare una lingua lessibile, ricca di espressioni
idiomatiche, all’altezza dello standard. tutte cose intuitivamente molto condivisibili,
ma non facili da esprimere in termini di una criteriologia operativa.
non sembra però, alquanto sorprendentemente per un ingenuo in materia, costituire
una base afidabile ed empiricamente veriicabile, tre quarti di secolo dopo, nemmeno
la criteriologia del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (coste, 2001;
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versione ital. 2002), cerc (Qcer), dove per il livello più avanzato (c2) per es.
leggiamo (archivio.pubblica.istruzione.it/dg_post.../comp_linguistiche.pdf):
(5) È in grado [scil. l’apprendente, g.b.] di comprendere senza sforzo praticamente tutto
ciò che ascolta o legge. sa riassumere informazioni tratte da diverse fonti, orali e
scritte, ristrutturando in un testo coerente le argomentazioni e le parti informative. si
esprime spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso e rende distintamente
sottili sfumature di signiicato anche in situazioni piuttosto complesse.
5
giustamente lehmann (2007: 224, nota 2) osserva che nel cerc «what is generally missing is the
operationalization of the levels in terms of tests and measures». si tratta in effetti di una critica ampia-
mente avanzata al Quadro da più parti: cfr. anche qui il contributo di Wisniewski.
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(9) many distinct kinds of knowledge and skills enter into the formation of luency in
speech […]
(i) the size and character of the speaker’s repertory of morphemes, words, idioms and
ixed phrases […]
6
Fillmore (1979: 92) sottolinea che, in questo senso generale, «the word ‘luency’ seems to cover a
wide range of language abilities», e distingue poi quattro tipi di luenza. ‘Fluenza’ può peraltro avere
altri signiicati, più speciici: un valore frequentemente impiegato nelle ricerche sul parlato è quello di
‘velocità nell’elocuzione’.
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come lo stesso Fillmore osserva, dal componente (vi) in avanti si procede dall’interno
all’esterno della lingua, dalla conoscenza linguistica alla conoscenza del mondo
(quella che viene spesso chiamata ‘conoscenza enciclopedica’). in particolare, (vi) è
tipicamente un’interfaccia fra la lingua e il mondo esterno.
colpiscono due fatti, nell’elenco peraltro dichiaratamente provvisorio ed
esempliicativo di Fillmore: da un lato l’assenza della fonetica, e dall’altro la
parentela/analogia di alcuni degli ingredienti, in particolare quelli di (iv) e (v), con i
principi di semplicità/complessità di una lingua8. la cosa non stupisce affatto; è anzi
ovvio, e anche banale, dire che avere una buona padronanza della lingua equivalga a
dominarne gli aspetti più complessi e dificili da processare.
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volendo approntare sulla base delle considerazioni di Fillmore un catalogo di indicatori, avremmo
allora: (1) quantità e qualità di vocabolario; (2) conoscenza di espressioni formulari; (3) controllo dei
procedimenti di formazione di nuove espressioni (3i, neologismi; 3ii, nuove frasi); (4) controllo di
dispositivi sintattici come: (4i) comportamenti marginali, speciali, legati a parole speciiche, (4ii) incas-
satura multipla di proposizioni, (4iii) pronominalizzazione cataforica, (4iv) accumulo di negazioni; (5)
conoscenza degli schemi cognitivi e semantici per cui la lingua ha codiicazione; (6) conoscenza degli
schemi di interazione nella conversazione (compreso il controllo dei principi di comunicazione indiretta);
(7) conoscenza degli schemi discorsivi (per es.: raccontare ‘storie’); (8) conoscenza dell’appropriatezza
di forme e costrutti a particolari tipi di contesti.
8
in berruto (1990: 26-27 e 30), per esempio, incassatura ricorsiva di proposizioni e pronominalizzazione
cataforica sono collocati al polo della complicazione nel gradiente di fattori o criteri di semplice vs.
complesso; cfr. anche dietrich & Klein (1989), Klein & Franceschini (2003).
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Nel più recente dei pochi lavori speciici su questi temi che io conosca, affronta
la questione lehmann (2007), che unisce a un’approfondita discussione dei ca-
ratteri e delle dimensioni della competenza linguistica un tentativo di misurare la
competenza in tedesco di parlanti nativi e non nativi mediante test appositamente
costruiti. lehmann, sulle orme di coseriu (1988 [2007]) distingue due macrosettori
che intervengono a costituire la capacità di padroneggiare una lingua: la competenza
linguistica generale, allgemein-sprachliche Kompetenz o elocutionary competence
(elokutionelles Wissen in coseriu), che secondo lehmann corrisponde grosso modo
a ciò a cui spesso ci si riferisce con ‘competenza comunicativa’9, ma che in realtà è
piuttosto una competenza semiologica e cognitiva generale; e la competenza di una
lingua speciica, einzelsprachliche Kompetenz o language-speciic competence (idio-
matisches Wissen in coseriu). Quest’ultima ha come componenti la competenza del
sistema linguistico, la competenza pragmatica e la competenza variazionale (coseriu
accosta invece alle prime due una Textkompetenz o expressives Wissen, riguardante
la capacità discorsiva).
su questa base, lehmann ha approntato 31 test riguardanti le diverse sottocompo-
nenti della competenza. presumendo che ogni test espliciti un indicatore di competenza,
il quadro dei contenuti del sapere una lingua che ne risulta è composto dall’elenco di
29 items che riporto sotto in (10) e in (11):
9
così lehmann (2007: 258); ma a me pare che la competenza comunicativa corrisponda piuttosto
all’expressives Wissen.
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(xii) costruzione di frasi complesse a partire da una serie di frasi semplici date
(xiii) produzione di frasi mediante trasformazione a partire da una frase data
(xiv) capacità di ordinare frasi date in un testo coerente.
(xv) conoscenza lessicale passiva e attiva
(xvi) conoscenza dei lessemi di un campo semantico
(xvii) conoscenza dei lessemi di una famiglia lessicale
(xviii) individuazione di opposti
(xix) capacità di fornire sinonimi di espressioni idiomatiche
(xx) capacità di deinizione del signiicato di parole
(xi) produzione di connettivi adeguati a un contesto
(xxii) riconoscimento e controllo attivo della variazione stilistica nel lessico.
commento solo brevemente il punto xxv sulla capacità di trarre inferenze, in quanto
pone specialmente un problema che spesso serpeggia dietro la nostra questione.
la capacità di inferenza è un’abilità linguistica? gran parte della questione che
stiamo trattando può avere sullo sfondo il problema di che cos’è linguistico interno
e che cosa no. per ‘interno’ al sistema linguistico intendo qui intrinseco alla sua
organizzazione strutturale e funzionale, vuoi perché, secondo un approccio formale, fa
parte del patrimonio geneticamente determinato; vuoi perché, secondo un approccio
funzionale, rappresenta il modo in cui il cervello/la mente organizzano il materiale
linguistico in risposta ai limiti e ai bisogni posti dalle esigenze della comunicazione
e dalle caratteristiche dell’utente, sfruttando le risorse cognitive possedute dall’homo
sapiens sapiens. agiscono entrambe le cose, nel determinare come sono fatte e come
funzionano le lingue. sta di fatto comunque che la capacità di trarre inferenze mi pare
molto più una questione di conoscenza del mondo che di competenza linguistica.
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4. Competenza minima
a questo punto occorre tener conto che tutto quello che abbiamo detto sinora riguarda
un’alta competenza linguistica, il sapere bene una lingua. Ma non è detto che sapere
una lingua debba voler dire saper bene una lingua. sarà quindi opportuno dare
un’occhiata per converso al polo opposto, basso, del grado o rango di competenza.
Quali sono gli ingredienti essenziali di una competenza minimale? quand’è che si
sa un po’, un livello minimo, di lingua? possiamo qui fare riferimento da un lato ai
tratti delle varietà basiche di apprendimento, le interlingue rudimentali iniziali di
parlanti non nativi, cioè la basic variety nella linguistica acquisizionale; e dall’altro,
per es., a un esperimento di costruzione di un curriculum minimo per fornire una
competenza molto elementare di italiano recentemente compiuto da bruno Moretti
e collaboratori.
cominciando da quest’ultimo, vediamo che (cfr. Moretti, 2009; bernasconi et
al., 2009) sono stati usati come ingredienti di input di una competenza minimale di
italiano: un lessico di 347 unità (relative a cinque tipi di situazione comunicativa
fondamentale), fra cui 28 numerali, i pronomi personali, alcuni avverbi temporali e
l’avverbio forse (per indicare la non-fattualità); la morfologia lessionale nominale
saliente in italiano (rinforzata nell’input con strategie lessicali aggiuntive quali l’uso
di quantiicatori e numerali); una morfologia verbale ridotta alle prime quattro persone
del presente indicativo, le prime tre persone del passato prossimo e l’imperativo di
prima persona plurale e seconda singolare in diatesi attiva (più alcuni ininiti). Quanto
alle strutture sintattiche fornite, erano contenute nell’input le normali strutture svo
dell’italiano di frasi dichiarative e interrogative, alcune strutture marcate dal punto di
vista pragmatico e informativo, e subordinazioni semplici (con proposizioni relative,
oggettive, temporali, ecc.). Inine, l’input era costruito tenendo presente un catalogo di
atti linguistici essenziali, derivante da cinque situazioni comunicative fondamentali:
salutarsi, presentarsi e parlare di sé; descrivere qualcuno o qualcosa, esprimere tratti
del carattere e stati d’animo; fare acquisti, esprimere fame, sete, preferenze e gusti;
attività del tempo libero: organizzare un’attività (proporre, accettare o riiutare una
proposta); orientarsi nello spazio: chiedere la strada e capire le indicazioni ricevute.
È ovvio che per più di un aspetto la preparazione di un curriculum minimo di questo
genere sia debitrice dei risultati della ricerca sulle varietà iniziali di apprendimento
spontaneo di una lingua seconda. varietà di apprendimento da cui possiamo trarre
per il nostro obiettivo gli ingredienti costitutivi di una basic variety che schizzano
Klein & perdue (1997). anzitutto, la basic variety viene deinita, nonostante la sua
rudimentalità strutturale, come «a well-structured, eficient and simple form of
language» (Klein & perdue, 1997: 301), «a relatively stable system which […] [is]
simple, versatile, and highly eficient for most communicative purposes» (Klein &
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perdue, 1997: 303). essa è costituita dai seguenti ingredienti (Klein & perdue, 1997:
311-314):
(12) (a) lessico: «a repertoire of noun-like and verb-like words, with some adjectives and
adverbs […] the pronoun system consists of minimal means to refer to speaker, hearer,
and a third person […] a few quantiiers, a word for negation, a few prepositions with
overgeneralised lexical meanings, but no complementisers […] some determiners (in
particular demonstratives) but hardly ever a determiner system»
(b) morfologia: «There is no inlection in the basic variety, hence no marking of case,
number, gender, tense, aspect, agreement by morphology»
(c) sintassi: «three basic phrasal patterns with some subvariants»: (i) np1 – v, np1 – v
- np2, np1 – v - np2 – np2/adJ; (b) np1 – cop - np2/pp; (c) v/cop – np2; «all
patterns may be preceded or followed by an adverbial».
torniamo al saper bene una lingua. esaminando 14 dei 31 test sottoposti a 20 parlanti
nativi e 20 non nativi, 3 relativi alla competenza elocutiva e 11 alla competenza
idiomatica, lehmann (2007) arriva ai risultati che cerchiamo qui di riassumere nella
loro essenza. la tabella 1 (tratta da lehmann, 2007: 264) riguarda i punteggi ottenuti
(in percentuale su tutti gli items dei test presi in considerazione):
10
nessuna indicazione utile, in questa disamina circa l’insieme di utensili essenziale per parlare una lin-
gua, ci viene invece da un esperimento di creazione artiiciale di un pidgin (peraltro piuttosto maldestro),
compiuto più di trent’anni or sono alla ucla da Master et al. (1989), che fornirono come materiale
di input (in farsi e in tedesco, che dovevano essere le lingue lessicalizzatrici dei pidgin rispettivi che si
volevano simulare) semplicemente una lista memorizzata di 250 items lessicali, quasi tutti parole piene,
i pronomi di prima e seconda singolare, avverbi di luogo distale e prossimale, un elemento interrogativo
per “what”, i primi dieci numerali, il quantiicatore per “tutto”, i comparativi per “più” e “meno”, la
forma di asserzione e la forma di negazione.
11
È una pista che non voglio né saprei percorrere qui; ma segnalo comunque, speciicamente a proposito
del rapporto fra risultati degli studi sull’acquisizione di lingue seconde e ricerca applicativa sulle com-
petenze linguistiche, lavori recenti come quelli di bartning et al. (2010) o di grassi et al. (2008).
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tab. 1
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in generale, non si può non essere d’accordo con lehmann sul fatto che la disamina della questione
di che cosa voglia dire sapere una lingua conduce a essere perplessi sulla nozione di competenza à la
chomsky, soprattutto attraverso una crisi del concetto idealizzato di parlante nativo.
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schema 1
lehmann (2007: 266) nota poi anche che «the internal structure of competence in
one’s native language is like the internal structure of one’s competence in a foreign
language», come è mostrato da dati empirici come quelli della tabella 2, dove è note-
vole la corrispondenza delle gerarchie dei componenti linguistici della competenza,
che presentano lo stesso proilo di punteggio per nativi e non nativi.
tab. 2
13
a questa conclusione si può tuttavia, almeno entro certi limiti, obiettare che si viene così ad azzerare
la distinzione posta all’inizio, quando si deinisce la nozione di competenza, e cioè la distinzione fra
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riprendiamo ora il problema del rapporto con la conoscenza del mondo, e della
gerarchia fra conoscenza del mondo e conoscenza dei principi di strutturazione
della lingua. secondo lombardi vallauri (2004: 367), «the knowledge of syntax is
probably less important than the knowledge of reality in the process of interpretation
of utterances». Questo può certo essere vero quando si constata che per es. spesso solo
la conoscenza della realtà consente la disambiguazione di frasi ambigue o permette
o no di attribuire un signiicato a certe frasi. Ma ciò che interessa di più nel nostro
discorso è che, dato che il lessico è l’interfaccia privilegiato fra sistema linguistico e
mondo esterno, mentre la sintassi è l’aspetto più ‘interno’, e per molti il componente
autonomo centrale, del sistema stesso, questo pone il problema del rapporto fra lessico
e sintassi, e del loro ruolo, nella competenza linguistica. nel sapere una lingua, è più
importante il lessico o la sintassi? a questa domanda fondamentale si possono dare
risposte diverse (il parlante comune direbbe che è certo più importante il lessico, il
linguista hard-boiled direbbe che è sicuramente più importante la sintassi). senza
contare che messa così l’alternativa risulta troppo semplicistica, dato che il lessico per
molti aspetti implica o contiene già una parte di sintassi (per es., schemi argomentali
dei verbi; restrizioni sulla combinabilità dei lessemi; selezioni di reggenza; ecc.), che
vi sono nel lessico le parole piene e le parole vuote, diversamente coinvolte rispetto
alla sintassi (molte parole vuote sono unicamente correlatori sintattici); che in alcuni
modelli teorici il lessico genera la sintassi, o che, all’opposto, secondo alcuni (per es.,
la Fauci, 2010) la sintassi crea il lessico, per via di opposizioni, relazioni e differenze,
e questo è inscindibile da quella.
competenza 1, ‘sapere’, e competenza 2, abilità, ‘saper fare’: dopo aver separato le due nozioni e aver
sostenuto, argomentatamente, che si tratta di due cose diverse, si arriva a criticare la nozione di compe-
tenza 1 sulla base di analisi empirica riferita alle competenze 2.
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gaetano berruto
credo ragionevole ritenere però che la domanda in questi termini sia mal posta,
poiché sia il lessico che la sintassi sono ugualmente centrali, e importanti, nel
costituire la lingua; e quindi come fattori della competenza linguistica. una lingua
senza sintassi pare inconcepibile, il solo lessico privo di una sintassi (rudimentale e
semplice quanto si vuole: vedi basic variety) non dà luogo a un sistema linguistico;
una lingua senza lessico, altrettanto: una sintassi che operi su entità semanticamente
vuote non dà luogo a un sistema linguistico. se non è conosciuto il lessico, la sintassi
produce strutture vuote, prive di signiicato, non interpretabili; se non è conosciuta la
sintassi, o se manca la sintassi, non sono di fatto prodotte strutture decodiicabili, ma
semplici accozzaglie di elementi lessicali. senza alcuna sintassi non si ha accesso alla
comprensione/interpretazione della frase e dell’evento che questa mette in scena.
ho provato comunque a questo proposito a svolgere un piccolo test, dal valore del
tutto pleonastico, tanto per avere una controparte empirica di questa assunzione. a una
trentina di parlanti nativi di italiano almeno mediamente colti (studenti universitari)
sono stati sottoposti due gruppetti di enunciati, a e b. a constava di tre enunciati con
struttura sintattica lineare che copia strutture sintattiche normali in italiano secondo
un pattern più o meno facilmente riconoscibile, ma con lessico sconosciuto, fatto di
parole certamente possibili per la struttura fonomorfologica dell’italiano, ma inesi-
stenti (veniva oscurato solo il lessico pieno nel primo item, anche il lessico funzionale
parzialmente nel secondo e totalmente nel terzo); e b di tre enunciati ricavati da frasi
effettivamente prodotte con strutture sintattiche non marcate conformi all’italiano stan-
dard, le cui parole costitutive erano però elencate in una sequenza casuale disordinata,
e nella forma di citazione (per evitare per il possibile le informazioni già sintattiche che
vengono date dalle forme lesse e dagli accordi che queste permettono o escludono;
per l’italiano la potatura ed esclusione totale di ogni informazione morfosintattica è
cosa dificile, se non impossibile, da ottenere).
in a, la frase (1) lo sdragotto lamascia le biore presenta intatto il lessico funzionale
ed oscurato il lessico pieno (la struttura della frase potrebbe essere la stessa di, per es.,
il postino consegna le lettere); nella frase (2) il bogo laspo berava dunto le spartulle
socche proga è oscurato il lessico pieno e parte di quello funzionale (la struttura
sequenziale della frase potrebbe essere quella di per es. il vecchio zio partiva per le
vacanze in barca); nella frase (3) to berco i an pralgo il lessico, parole piene e parole
vuote, è totalmente oscurato (potrebbe essere la stessa struttura di per es. il gatto è un
felino, ma anche di frasi predicative di cinque parole totalmente diverse da queste).
in b, la struttura sequenziale della frase da ricostruire (che è riportata sotto, in 13: 4’-
6’), il cui ordine lineare degli elementi è stato totalmente scombussolato, è costituita
da elementi via via più numerosi ed è via via più complessa.
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(13) (a) solo sintassi: (1) lo sdragotto lamascia le biore, (2) il bogo laspo berava dunto le
spartulle socche proga, (3) to berco i an pralgo
(b) solo lessico: (4) Paolo partire il Gianni di che sapere iglio, (5) ghiaccio bere il
di il per richiesta con avere o acqua disturbare di rubinetto il tiepida di un sete non
acqua albergo minerale (6) quale il lavorare ilosoia a si conoscenza via per il lungo
attraverso europeo il deinire formare il
[(4’) Gianni sa che il iglio di Paolo parte/Paolo sa che il iglio di Gianni parte/
il iglio di Gianni sa che Paolo parte/ecc.; (5’) avendo sete bevono l’acqua tiepida
del rubinetto per non disturbare l’albergo con una richiesta d’acqua minerale o di
ghiaccio (n. ginzburg, Mai devi domandarmi, garzanti, Milano, 1970: 117); (6’) la
ilosoia europea ha lavorato a lungo per deinire le vie attraverso le quali si forma la
conoscenza (r. simone, La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, laterza,
roma-bari, 2000: 14)].
si voleva ovviamente provare a vedere nei parlanti che cosa succede quando, diciamo
così, c’è sintassi ma non c’è lessico, e che cosa succede quando c’è lessico ma non c’è
sintassi. i risultati attesi erano che il compito fosse nel complesso irresolubile. inoltre:
alla frase (1), ci si poteva aspettare che, dato che in realtà la sintassi è sempre presente,
e sfruttando l’input rappresentato dal lessico funzionale noto, che dà già accesso
parziale alla morfosintassi, venissero eventualmente fornite parafrasi generiche
del tipo “qualcuno o qualcosa, lo sdragotto, fa qualcosa, lamascia, a un insieme di
qualcuno o qualcosa, le biore”; a (4) ci si aspettava che venisse facilmente fornita
la corrispondenza con una o più delle alternative in (4’), utilizzando le conoscenze
date dal lessico funzionale e dalla categorizzazione in parti del discorso. i risultati
ottenuti, schematizzati nella tabella 3, confermano pienamente tale assunto.
1 2 3 4 5 6
sì 6 3 1
no 26 29 31
corrisponde a x’ 16 0 0
non sa 16 32 32
tab. 3
in particolare, sul versante del ‘no lessico’, solo un parlante ha provato a fornire una
possibile interpretazione, lessicalmente determinata e rispettosa di rapporti sintattici
supponibili, per 3 (ti cerco e intanto penso), e tre parlanti per 2; sei invece hanno
fornito parafrasi o interpretazioni di 1, o totalmente sintattiche (riconosco un sogg.
+ verbo + c. ogg.; che lo sdragotto compie l’azione del lamasciare le biore), o les-
sicalmente determinate (il ragazzo insegue le libellule), o semanticamente glossate
(non so, ma potrebbe signiicare: lo sdragotto (un cibo) lamascia (fa bene) le biore
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7. Un bilancio provvisorio
dopo questa sommaria discussione dello stato dell’arte, vediamo di tracciare qual-
che considerazione conclusiva. anzitutto, è evidente che la competenza linguistica è
costituita da tante capacità plurime, sfaccettate, diverse, dificili da considerare ana-
liticamente nel loro complesso. È un’abilità indubbiamente molto multifattoriale, e
presumibilmente modulare, come si usa dire. Questo non signiica che non si possa, e
non sia importante, individuare dei fattori o componenti che siano specialmente signi-
icativi come indicatori di competenza linguistica. Tali fattori o componenti andranno
cercati in capacità e conoscenze di livello alto, che implichino e comprendano in sé
un certo numero di altre capacità e conoscenze di livello più basso. abbiamo visto
che c’è accordo sul ruolo importante delle espressioni idiomatiche nelle competenze
linguistiche: «i believe that a large part of our ability to get along well in a language
is our facility with formulaic expressions» (Fillmore, 1979: 100). particolarmente
esplicito in questo senso è Coulmas (1981) nel tracciare il proilo linguistico di una
perfetta spia ideale, che parlando in un paese una l2 sia in grado di mimetizzarsi
completamente ai parlanti nativi:
(14) it is indubitable that our mental repertoire of linguistic units contains not only
elementary lexical items but also a great many expressions that display higher than
word level grammatical structure. there is a variety of set expressions which the
competent members of a speech community recognize as units which are passed as
such from one generation to the next: idioms of various sorts […]; routine formulae
[…]; gambits […]; collocations […]; as well as some other, less readily classiiable
kinds of phraseological items all of which are part of the automatized linguistic
knowledge. phraseological items are linguistic units whose structure is transparent
but whose make-up is automatized. they don’t need to be construed anew every time
they are used. […] clearly, mastery of the phraseology of a language is an important
component of its competent usage (coulmas, 1981: 360-361; sottol. g. b.)
e ancora recentemente, lombardi vallauri (in c. di st.: 7), pone le «costruzioni idioma-
tiche», assieme ai «valori assunti dai parametri in ogni lingua» (nel senso della gram-
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che cosa vuol dire ‘sapere una lingua’?
matica generativa) e al lessico, come uno dei tre grandi settori che, essendo diversi da
lingua a lingua, devono essere essere acquisiti indipendentemente dai principi generali
del sistema linguistico e allo stesso tempo «raggruppano una quantità di informazione
maggiore». non ci si può quindi esimere dal considerare il padroneggiamento delle
espressioni idiomatiche come un ingrediente essenziale della capacità linguistica e
quindi come un indicatore di alta competenza linguistica. Signiicativamente, si tratta
di dispositivi linguistici nei quali il linguistico è inscindibile dall’extralinguistico, e
l’apparato generale a base naturale che fornisce strutture risulta impotente se non
si nutre della speciicità culturale: la conoscenza del linguaggio formulare e delle
espressioni idiomatiche è così rilevante perché signiica allo stesso tempo conoscenza
della lingua e soprattutto conoscenza della cultura che nella lingua si esprime; e varia
da lingua a lingua.
Non sarà privo di signiicato il fatto che le espressioni idiomatiche, assieme ad
altre classi di fenomeni che condividono il carattere di pezzi per così dire prefabbricati
dotati di una loro strutturazione autonoma interna e signiicato unitario e si situano a
cavallo fra la microsintassi e il lessico, che per lungo tempo non sono state oggetto di
peculiare interesse da parte della linguistica internazionale (o comunque al massimo
hanno interessato dal punto di vista lessicologico e descrittivo), lo siano recentemente
diventate, anche in un contesto di linguistica teorica14. possiamo chiamare nel loro
complesso tali classi di elementi ‘espressioni formulari’. uso provvisoriamente tale
designazione per coprire un’ampia e variegata fenomenologia che comprende un vasto
raggio di elementi diversi, per designare i quali c’è una terminologia non sempre univoca
né ben deinita, e spesso in sovrapposizione. Si comprende infatti ciò che va dalle
formule propriamente dette (spesso, formule di routine) alle espressioni idiomatiche (o
idioms o idiomatismi), ai modi di dire o fraseologismi, ai binomi e trinomi irreversibili,
alle locuzioni, alle espressioni isse o sintagmi issi, alle espressioni multiparola o
unità plurilessicali (o polirematiche) o parole sintagmatiche, ai cosiddetti chunks, ino
ad arrivare alle collocazioni e alle ‘costruzioni’ (le prime già molto più nell’ambito
dell’uso che non del sistema, e le seconde molto più nell’ambito della sintassi che non
del lessico); e si potrebbero aggiungere all’elenco anche le citazioni (del genere questa
o quella per me pari sono).
Mettere ordine in tale eterogeneo insieme di oggetti linguistici, che nella recente
opera a cura di corrigan et al. (2009) vengono designati anche con l’etichetta di
nuovo conio di prefab, non è semplice. Molto benvenute sono quindi proposte
di classiicazione come quella di Raffaele Simone (2006: 393-4), che distingue
14
v. per es. i due volumi di corrigan et al. (2009), o Korhonen et al. (2010); e in italia i lavori di raf-
faele simone, nell’ambito del modello di grammatica di costruzioni e categorie che è andato elaborando
(simone, 2006; 2008).
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15
le varie grammatiche costruzionali, construction grammars, da Fillmore a goldberg, e ora la gram-
matica di costruzioni e categorie di simone, dànno addirittura alle ‘costruzioni’ uno dei posti centrali
nell’organizzazione strutturale della lingua. la prospettiva ha già anche avuto ricadute glottodidattiche:
v. per es. holme (2010).
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che cosa vuol dire ‘sapere una lingua’?
16
per alcune argomentazioni sulle prestazioni connesse alle parafrasi, cfr. Marello (1999). alla giusta
sottolineatura che (p. 109) «il procedimento della parafrasi riveste un ruolo cruciale in tipi di comu-
nicazione che hanno carattere metalinguistico o metacomunicativo o metatestuale» aggiungerei che la
parafrasi non ha solo una funzionalità “meta-”, ma ha anche un valore importante nella gestione verbale
dell’interazione e nello sviluppo semantico del discorso.
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ove il criterio è quello di correttezza rispetto alla norma, e quindi in termini ‘sì/no’
(rispetto a quello dell’appropriatezza delle scelte, in termini ‘più/meno’), ove ciò
che vale è il rispetto delle norme invece che l’exploitation delle regole, dovrebbe
rappresentare un settore a sé nel quadro delle competenze linguistiche, da trattare in
termini diversi dal resto.
il tutto si può schematizzare in un catalogo di undici indicatori o fattori della
competenza propriamente linguistica, scelti in base alla loro rilevanza generale
secondo quanto sopra argomentato. lo schema della tabella 4 è costruito tenendo
conto di tre dimensioni delle sottocompetenze, cognitiva, culturale e sociale. per
per ciascuna di esse attribuisco a ogni fattore, del tutto soggettivamente, un grado di
importanza relativa17. i fattori, selezionati per la loro rilevanza generale, sono ordinati
nella matrice secondo due parametri congiuntamente: il grado via via decrescente di
importanza cognitiva e il grado via via crescente di importanza ‘sociale’18.
tab. 4
17
distinguo impressionisticamente col simbolo + tre gradi di importanza: alta (+++), intermedia (++),
ridotta (+).
18
In prospettiva più applicativa, sarebbe anche da speciicare per ogni fattore il criterio relativo di va-
lutazione, se basato sulla conformità a una norma o canone standard (giusto/sbagliato) o basato su una
maggiore o minore attuazione di potenzialità. il riferimento a una norma e a un metro stabilito di cor-
rettezza vale per es. per la fonetica e la graia, o la morfologia, ma per molti fatti di sintassi complessa,
lessico e discorso non vale.
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Se volessimo poi rappresentare con una scala di rilevanza speciica per la valutazione
della competenza linguistica i settori e sottolivelli in cui si articola una lingua, mi
sentirei forse – tornando in chiusura al titolo del presente contributo – di proporre
una sequenza del genere (dove < vale ‘è meno rilevante di’): fonetica < fonologia
< graia e scrittura < morfologia lessionale < morfologia derivazionale < sintassi
frasale < sintassi incassata e sintassi testuale / lessico e semantica lessicale <
collocazioni < idiomatica. il guaio, per chi scrive, è che collocazioni e idiomatismi
sono probabilmente i fatti più sensibili per valutare la competenza di una determinata
lingua – ma sono poco interessanti dal punto di vista della teoria e analisi del sistema
linguistico!
È evidente che ci sarebbero tante altre questioni da discutere, in tema di che
cosa vuol dire sapere una lingua. ne cito un paio: da un lato, in termini interni, il
rapporto fra le ‘quattro abilità’ classiche; dall’altro, in termini esterni, il rapporto
fra grado di istruzione, livello di scolarizzazione e grado di competenza linguistica
(fra i quali gradi esiterei nel dire che ci sia sempre una relazione biunivoca). tutt’un
altro problema, e neanche questo toccato direttamente nelle mie considerazioni, è
poi quello dell’operazionalizzazione dei fattori e componenti della competenza, per
testarli19. Ma di questo magari un’altra volta.
gaetano berruto
gaetano.berruto@unito.it
bibliograFia
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velopment: Intersections between SLA and Language Testing Research, european second
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in contatto. Ricerche di linguistica italiana in Svizzera, osservatorio linguistico della svizzera
italiana, bellinzona, 2009, 371-382.
19
ottimi paiono senz’altro in generale i test proposti, come abbiamo visto, da lehmann (2007), anche se a
volte paiono risentire di un’impostazione ‘da linguista’. alcuni dei test utilizzati da taddei gheiler (2005)
in un importante studio sulla lingua degli anziani (che si suppone possano non sapere più tanto bene la
lingua) mi parrebbero anche ben congegnati a questo ine. Sul tema, cfr. comunque Lugarini (2010).
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che cosa vuol dire ‘sapere una lingua’?
taddei gheiler F., La lingua degli anziani. Stereotipi sociali e competenze linguistiche in un
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