(Alessandra Toni)
La neuropsicologia è la disciplina che studia la relazione tra danni cerebrali e funzioni cognitive
superiori. Lo scopo è quello di descrivere e definire i disordini conseguenti alla lesione cerebrale e di
indicare i percorsi diagnostici e i trattamenti terapeutici e riabilitativi. La neuropsicologia è, di base,
una disciplina sperimentale, cioè, partendo dalla condizione patologica, si traggono inferenze sulla
funzione normale. Vengono, quindi, ipotizzati dei modelli del funzionamento cognitivo che possono
aiutare la comprensione e la gestione delle condizioni cliniche. La neuropsicologia si è sviluppata nel
corso del tempo:
Il metodo più utilizzato nella neuropsicologia cognitiva si basa sul paradigma della dissociazione, per cui
un danno cerebrale può danneggiare la capacità A, lasciando intatta la capacità B. Dissociazione
semplice: deifici in A ma non in B. Dissociazione doppia: paziente 1 con deficit in A ma non in B e
paziente 2 con deficit in B ma non in A. Un altro metodo, di recente sviluppo, è quello della
correlazione anatomo-clinico tramite tecniche di neuroimmagini: Tomografia a emissione di positroni
(PET) – permette di visualizzare quale regione cerebrale accumuli il tracciante impiegato (glucosio
radioattivo (18F-FDG)), per quantificare il metabolismo cerebrale, Risonanza magnetica (funzionale o
strutturale) - indagare quale area del cervello è maggiormente attiva (segnale BOLD) durante un
compito (funzionale) o quale area è maggiormente danneggiata da un processo atrofico o da una
lesione vascolare (strutturale), Stimolazione cerebrale non invasiva (TMS o tDCS) - indagare la
funzionalità di aree cerebrali più (TMS) o meno (tDCS) specifiche modulandone l’attività (eccitazione o
inibizione) per periodi brevi o lunghi in funzione del protocollo di stimolazione.
Spunto di riflessione: quale parametro è possibile indagare tramite lda tomografia a emissione di positroni?
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Condotta dell’esame neuropsicologico
Fasi dell’esame neuropsicologico: ricevimento della richiesta, colloquio preliminare, scelta del test più
adeguato, valutazione vera e propria, refertazione. L’obiettivo è quello di ottenere la migliore
prestazione dal paziente. Infatti, la prestazione del paziente può essere influenzata da fattori esterni,
che è necessario controllare. Per questo motivo, si effettua l’esame in un luogo adeguato e
confortevole, assicurarsi che il paziente sia a proprio agio, evitare tutti i possibili fattori di
disturbo/condizionamento ambientale, evitare che il locale adibito alla testistica sia utilizzato in orari
diversi per altre funzioni. Inoltre, gli strumenti testistici vanno conservato all’interno di armadietti, da
cui vengono prelevati al bisogno. Il computer va spento, se non utilizzato. Evitare fattori di disturbo, sia
all’interno del locale, sia negli ambienti attigui (campanelli, altoparlanti, ascensori, ecc.). Il paziente
deve essere messo a proprio agio, seduto in modo confortevole, con fonti di luce che non creino
difficoltà nella visione e occorre evitare che l’ambiente sia troppo riscaldato o, all’inverso, troppo
freddo.
Spunto di riflessione: quali caratteristiche deve avere il setting per l’esame neuropsicologico?
L’Anamnesi
L’anamnesi riguarda la raccolta e lo studio critico dei sintomi e dei fattori di interesse medico/psicologico
riferiti dal paziente o dai suoi familiari. L’obiettivo è quello di arricchire il quadro delle informazioni utili a
una diagnosi corretta della condizione morbosa presente. Nella fase anamnestica esistono tre tappe: la
parte dedicata alla generalità del paziente, quella dedicata all’anamnesi familiare e quella dedicata
all’anamnesi personale. Gli aspetti indagati sono: il motivo per cui il paziente è giunto alla valutazione
clinica; capire in che modo il disturbo si è evoluto; la personalità premorbosa (capire le caratteristiche
personologiche prima del paziente prima dell’evento morboso); la storia medica dei familiari; l’impatto che
i disturbi hanno sulla vita quotidiana. Documenti da prendere in visione: cartella clinica, precedenti referti
neuropsicologici, esami clinici, esami neuroradiografici.
Spunto di riflessione: quali sono gli aspetti da indagare durante la raccolta anamnestica?
Il colloquio clinico
Il colloquio clinico è necessario per ottenere indicazioni sulla capacità di comprendere e di esprimersi, sul
mantenimento dell’attenzione e della concentrazione, sulle funzioni di memoria, sulle conoscenze
semantiche, sulla capacità di stime cognitive e sulle abilità esecutive. Inoltre, bisogna verificare la
presenza di limitazioni sensoriali che possono avere un impatto sull’esecuzione dei test e indagare gli
aspetti emotivo-affettivi, comportamentali e motivazionali. Infine, è necessario ottenere informazioni
anche da familiari e caregiver e informare il paziente sulle finalità, sulle modalità e su durata e
conseguenze dell’esame. Gli argomenti da affrontare sono: obiettivo dell’esame, natura dell’esame,
utilizzo delle informazioni ottenute, riservatezza, rilascio delle informazioni al paziente, spiegazione delle
procedure testistiche, vissuto del paziente nel sottoporsi alla valutazione.
Spunto di riflessione: quali sono gli argomenti da trattare durante il colloquio clinico?
Formazione e professionalità
Strumenti di valutazione
Fra gli strumenti di valutazione, si trovano test psicometrici e/o neuropsicologici, come: tecniche
osservazionali formalizzate o classificazione quantitativa della prestazione (continua o categoriale). I test
possono avere diverse origini: esame clinico neurologico, psicologia sperimentale, psicologia clinica, ricerca
neuropsicologica, neuropsicologia clinica. I test pubblicati devono rispondere a determinate
caratteristiche: attendibilità, standardizzazione e ripetibilità; rappresentatività delle funzioni psichiche;
valutazione, campione normativo e taratura; misurazioni delle differenze individuali. Se non esistono test
standardizzati, è necessario utilizzare strumenti ad-hoc. In questo modo, si avrà un’interpretazione più
qualitativa che quantitativa, sottolineando i limiti di interpretazione dei risultati, ottenuti appunto con
strumenti non standardizzati.
Refertazione
Spunto di riflessione: Elencare i principali elementi che devono essere presenti in un referto neuropsicologico
Settori trasversali
È molto importante, all’interno di un esame neuropsicologico, definire e rispettare i ruoli – ad es. il ruolo
dell’esaminato e degli altri interlocutori (familiari, caregivers, altri specialisti, colleghi, avvocati, giudici, ecc).
Il rapporto neuropsicologo/paziente riveste significato di comportamento etico. I ruoli vanno stabiliti e
chiariti (anche in forma scritta fra le parti ab initio, con eventuali periodici richiami e chiarimenti). Evitare di
ricoprire più ruoli (neuropsicologo clinico, riabilitatore e perito). Un aspetto importante da considerare
riguarda la neuropsicologia cross-culturale, ovvero, le diversità culturali o linguistiche tra l’esaminatore,
l’esaminato, gli informatori, i test e/o il contesto sociale; frequente richiesta di valutazione
neuropsicologica in soggetti di lingua, etnia, cultura, provenienza geografica diversa da quella italiana;
utilizzare test poco sensibili alle diversità culturali; utilizzare un interprete professionista (no familiari o
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amici del paziente); prevedere nelle tarature una maggior inclusione di soggetti di etnia e cultura diversa;
disegnare test ad hoc per esplorare comportamenti influenzati da diverse culture. Esame su richiesta di
terze parti (avvocato, giudice, assicurazione): informare il soggetto della natura e delle finalità
dell’intervento richiesto da terzi, chiarire con le parti il destinatario delle informazioni, indirizzare il referto
conclusivo al committente.
Spunto di riflessione: Quali azioni andrebbero intraprese nell’ambito della neuropsicologia cross-culturale?
Settori specifici
Neuropsicologia geriatrica: l’aumento dell’aspettativa di vita porta a un maggiore confronto con i pazienti
anziani; paziente complesso con disturbi cognitivi, motori e patologie croniche; reazioni catastrofiche e
rifiuto dell’esame; comorbidità psichiatriche e condizioni mediche generali; deficit di varia natura
(sensoriali, motori, ecc.) che possono falsare i risultati; pochi dati normativi su grandi anziani (a volte, i dati
si basano su pazienti fino a 80 anni e non si sa come misurare, ad esempio, chi ne ha 85 o di più);
considerare fattori confondenti e rilevare condizioni di fragilità cognitiva a esordio subdolo; quantificare la
presenza di deficit cognitivi e disturbi comportamentali (ansia, depressione e apatia); verificare l’esistenza
di limitazioni sensoriali; mantenere un atteggiamento accogliente ma non amichevole; chiarire il ruolo del
neuropsicologo; definire a priori chi è l’interlocutore; concordare l’eventuale uso delle informazioni
ottenute; mettere al centro dell’esame l’anziano, non i familiari.
Spunto di riflessione: Quali sono i fattori confondenti nella valutazione neuropsicologica dell’anziano?
Fra le caratteristiche formali, vi è la validità, cioè il grado di precisione con cui un test riesce a misurare ciò
che dichiara di misurare. Ci possono essere la validità di contenuto (il test deve valutare tutti i possibili
aspetti del fenomeno che vuole misurare), la validità predittiva (capacità del test di predire i risultati del
soggetto, in base alla caratteristica misurata dal test) e la validità concorrente/discriminante
(sovrapposizione/differenziazione su variabili simili o diverse (introversione/estroversione). Un’altra
caratteristica è l’attendibilità o la fedeltà (più somministrazioni di un test forniscono risultati
sovrapponibili). Quest’ultima si valuta con forme parallele, test-retest e divisione a metà (split half). Oltre a
questo, ci devono essere sensibilità, cioè la probabilità di documentare il difetto in tutti i soggetti deficitari
(l’ALTA SENSIBILITA’ è l’alta probabilità che un soggetto malato risulti negativo ai test), specificità, cioè la
probabilità di risultare normale, nei casi in cui la malattia è assente (l’ALTA SPECIFICITA’ è l’alta probabilità
che un soggetto sano risulti negativo al test. Se la probabilità è bassa, significa che il soggetto sano risulta
positivo al test) e la standardizzazione: un test può tendere verso l’obiettività solo attraverso la coerenza e
la congruenza al suo interno, fra tutte le sue parti costitutive. Infine, si utilizzano “modalità o procedure
specifiche” standardizzate, per ridurre la componente soggettiva dell’esaminatore.
Tipi di test
Ci sono test di screening (pochi item per funzione, semplici da somministrare, più specifici che sensibili) e
test specifici (misure per le singole capacità cognitive): memoria a lungo termine (episodica, semantica,
procedurale, prospettica, ecc.), memoria a breve termine e memoria di lavoro, attenzione (allerta, divisa,
selettiva, sostenuta), linguaggio (produzione, comprensione, orale, scritto), funzioni esecutive (planning e
monitoring, flessibilità, ecc.=, funzioni visuopercettive e visuocostruttive), prassie. Quando si utilizza una
batteria fissa, ogni paziente è valutato con lo stesso protocollo testistico. In questo caso, il pro è che si
tratta di un esame completo del funzionamento cognitivo del paziente, mentre il contro è il dispendio in
termini di tempo. Nella batteria flessibile, invece, ogni paziente è valutato con diversi test, in base al
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quesito diagnostico o valutativo. È un test delle ipotesi. Il pro è che si ha versatilità e una minore richiesta
di tempo. Il contro è la soggettività degli strumenti utilizzati. Esiste anche un approccio misto, cioè lo
screening + test specifici. I test di screening servono per orientarsi in maniera generale su quali possono
essere i deficit del paziente, mentre, con quelli specifici, si analizza il singolo problema. Quando non è
possibile utilizzare dei test standardizzati perché, magari, non esistono per misurare quella determinata
situazione, si ricorre ai test sperimentali: strumenti (non standardizzati) creati ad-hoc per patologie rare,
per caratteristiche cliniche non comuni e per la ricerca.
Il neuropsicologo deve avere a disposizione e saper usare un’ampia gamma di test e deve conoscerne i capi
d’applicazione, così come i limiti. La scelta del test è raramente fatta a priori. La raccolta dei dati effettuata
durante la valutazione non può essere disgiunta dall’interpretazione dei risultati. Nella scelta dei test da
utilizzare, pesa la finalità dell’esame: ad esempio, se è diagnostico oppure prognostico, se è per la
pianificazione e il monitoraggio di un programma riabilitativo, se è descrittivo (punti di forza e debolezza
del profilo cognitivo individuale), se è per la gestione e l’assistenza del paziente, se è per verificare gli effetti
delle terapie farmacologiche e chirurgiche sull’efficienza cognitiva, se è per una finalità legale-assicurativa
oppure se serve per la ricerca.
Spunto di riflessione: Quali sono i fattori che pesano nella scelta dei test da utilizzare?
La somministrazione
Nella somministrazione dei test, il neuropsicologo deve: apparire calmo, interessato a ciò che dice o fa il
paziente, mantenere un ruolo fermo e distaccato; evitare di frustrare ma anche di assecondare il paziente;
rispettare le richieste del paziente (ad esempio, considerare il suo livello di stanchezza); dividere l’esame in
più sessioni, che non superino i 90-120 ciascuna; osservare con attenzione il paziente, annotando ogni
comportamento e verbalizzazione; seguire fedelmente le modalità previste da ogni test (ogni test, infatti,
ha un proprio libretto di istruzioni che contiene informazioni sullo svolgimento, sulla consegna, sulle
domande da fare e sulla tipologia di risposte da parte del paziente che è possibile accettare oppure no). Per
l’analisi e l’interpretazione dei risultati, si va dal punteggio grezzo ai punti Z (cioè la distanza positiva o
negativa che il punteggio ha dalla media: punteggio grezzo – la media del gruppo a cui è stato
somministrato il test, diviso la deviazione standard). Dal punteggio grezzo al punteggio corretto (età, sesso
e scolarità), si ricava il punteggio equivalente: (PE= 0 deficitario, al di sotto del 5° percentile; PE= 1 ai limiti
della norma – tra il 5° e il 20° percentile; PE = 2-3 Medio-inferiore – tra il 20° e il 50° percentile; PE= 4
Medio-superiore – oltre il 50° percentile. Se, ad esempio, si ha un paziente di 67 anni, con 5 anni di
scolarità, per cui si ottiene un punteggio grezzo di 20, il punteggio corretto sarà di 20+8+=28. Di
conseguenza, il punteggio equivalente sarà 1.
Fra gli esami strumentali, ci sono esami elettrofisiologici: elettroencefalogramma – EEG (registrazione
dell’attività elettrica cerebrale spontanea mediante elettrodi), potenziali evento-correlati – ERPs (piccole
modificazioni dell’attività elettrica cerebrale spontanea, sincronizzati con un evento definibile
sperimentalmente), magnetoencefalografia – MEG (campi magnetici generati dai potenziali sinaptici dei
neuroni piramidali corticali. Gli esami di neuroimmagini forniscono informazioni anatomiche (sede ed
estensione della lesione), informazioni funzionali (flusso e metabolismo cerebrale). Fra questi, vi sono la
tomografia computerizzata – TC (si basa sui differenti coefficienti di assorbimento di raggi X), la risonanza
magnetica nucleare – MRI, l’angiografia MRI (permette di visualizzare i vasi cerebrali), la DWI – diffusion-
weighted imaging (segnali precoci dell’ictus), la PWI – perfusion-weighted imaging (riduzione del flusso
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sanguigno), la DTI – diffusion tensor imaging (ricostruzione e visualizzazione dei fasci di sostanza bianca).
Infine, vi è anche la tomografia a emissione di positroni – PET che produce immagini sulla distribuzione
spaziale di un tracciante, per misurare: flusso cerebrale regionale (regional cerebral blood flow, rCBF), il
metabolismo di sostanze (es. glucosio oppure ossigeno), vari neurotrasmettitori, l’accumulo di proteine
anomale (es. beta amiloide).
Lo screening
Uno dei metodi di screening è la clinical dementia rating scale (Hughes et al. 1982) che prevede
un’intervista semistrutturata, somministrata sia al paziente che al caregiver, per raccogliere informazioni
sui domini esplorati e tutte le informazioni raccolte dal caregiver più l’osservazione diretta delle abilità del
paziente. Inoltre, si sottopone il mini mental state examination test (Folstein et a. 1975) che indaga
funzioni come: orientamento, memoria, linguaggio, prassia costruttiva ma anche attenzione e calcolo.
Riguardo all’esito dei punteggi:
Infine, esiste anche il montreal cognitive assessment – MOCA (Nasredine et al. 2005) che indaga: funzioni
esecutive e prassicostruttive, memoria (span, memoria di lavoro, memoria a lungo termine), linguaggio
(denominazione e ripetizione), attenzione e calcolo, astrazione, orientamento.
Batterie di test
Fra le batterie di test, vi è il Milan Overall Dementia Assessment (Brazzelli et al. 1994) che è diviso in una
sezione 1 (orientamento temporale, speziale, personale e familiare), in una sezione 2 (autonomia
quotidiana) e in una sezione 3 (test neuropsicologici per verificare: apprendimento, attenzione, intelligenza
verbale, memoria di prosa, comprensione orale, produzione di parole, capacità visuo-spaziali, agnosia
digitale, aprassia costruttiva). Il punteggio massimo è 100: se è maggiore di 89, c’è una situazione di
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normalità, se è uguale o maggiore di 85.5 e minore di 89, il paziente è borderline, mentre se è minore di
85.5, è presente la patologia. Oltre a questo, esiste il mental deterioration battery (Carlesimo et al. 1996)
che indaga funzioni come memoria immediata e differita, ragionamento logico-deduttivo, linguaggio,
prassia. Fra le prove singole si utilizzano la rievocazione immediata e differita delle 15 parole di Rey, la
fluenza verbale fonologica (si chiede al paziente di dire il maggior numero di parole che iniziano con le
lettere F, A, S in un minuto, per ciascuna lettura), la costruzione di frasi (il paziente deve costruire una frase
di senso compiuto a partire da 2 o 3 parole proposte dall’esaminatore, per un totale di 5 prove), le matrici
progressive di Raven (36 tavole a colori divise in tre serie A, B, C), la memoria visiva immediata (22 coppie
di tavole con figura da memorizzare e riconoscere tra 4 alternative), la copia di disegni (copia a mano libera
di 3 item: uno bidimensionale e due tridimensionali, tipo stella, cubo e casa), copia di disegni con elementi
di programmazione(facendo vedere il disegno completo, vengono somministrate le prove con elementi di
programmazione: punti, linee da completare con segmenti).
Spunto di riflessione: quante tavole prevede il test delle matrici progressive di Raven?
Lo stato funzionale
Per lo stato funzionale, si utilizza la scala di valutazione delle attività della vita quotidiana (Barthel Index –
Mahoney et al. 1965), il cui punteggio (da 0 a 100) è indicativo di 10 capacità su 3 livelli (indipendente, con
aiuto, dipendente). A parte questa, vi è l’attività di base della vita quotidiana – BADL (Katz et a. 1983), in
cui sono proposte 6 attività di base: fare il bagno, vestirsi, toilette, spostarsi, continenza urinaria e fecale,
alimentarsi. La tipologia di risposta (SI/NO) lo rende meno flessibile del Bartel Index. L’ attività della vita
quotidiana – ADL (Katz et a. 1983) valuta la capacità di compiere attività della vita quotidiana che hanno un
impatto sull’indipendenza del paziente e ci sono 6 domini (toilette, alimentazione, abbigliamento, cura di
sé, deambulazione, bagno). Infine, si misurano le attività strumentali della vita quotidiana – IADL (Katz et
a. 1983). Questa scala valuta la capacità di compiere attività che richiedono l’utilizzo di uno strumento, che
vengono normalmente svolte anche da soggetti anziani e che sono considerate necessarie per il
mantenimento della propria indipendenza.
Spunto di riflessione: quali demenze non Alzheimer sono caratterizzate da deficit visuo-costruttivi?
Nella valutazione delle capacità mnestiche, è necessario verificare la memoria a lungo termine verbale,
attraverso il free and cued selective reminding test (FCSRT – Frasson et al- 2011), in cui vi sono 3 tavole
con 4 stimoli colorati, presentate in sequenza, secondo un ordine standard. Nella fase 1, si ha la codifica
(indicazione e denominazione su cue semantico), nella fase 2, invece, si procede con la rievocazione
immediata (dopo un’interferenza di 20 secondi, contando indietro da 100), libera e facilitata (per gli item
non rievocati) per 3 trial. Nella fase 3, si continua con la rievocazione differita (dopo 30 minuti), libera e
facilitata. Un altro metodo di valutazione consiste nel raccontino di Babcock: rievocazione immediata e
differita (dop 10 o 20 minuti) di un breve racconto, prima in una versione A e poi in una versione B. E’
necessario valutare anche la memoria a lungo termine spaziale, tramite la rievocazione differita della
figura complessa di Rey, in cui si deve riprodurre una figura complessa a distanza di 15 minuti dalla copia e
il punteggio è calcolato su 18 elementi.
Spunto di riflessione: descrivere le 3 fasi del free and cued selective reminding test
Per la valutazione delle capacità linguistiche, si utilizza lo screening for Aphasia in NeuroDegeneration –
SAND (Catricalà et al. 2017), che riguarda:
Spunto di riflessione: descrivere le singole prove della batteria screening for aphasia in neurodegeneration
Per le capacità attentive, si utilizza, ad esempio il test delle matrici attentive (Della Saia et al. 1992), in cui
ci sono tre differenti matrici di numeri: il soggetto deve barrare i numeri bersaglio (uno per la prima matrice
con 10 stimoli bersaglio, fra altri numeri distrattori, due per la seconda con 20 stimoli bersaglio e tre per la
terza con 30 stimoli bersaglio). Il punteggio da assegnare riguarda le risposte esatte, i falsi allarmi e le
omissioni. Altrimenti, esiste anche il multiple features targets cancellation – MFTC (Garinotti et al. 2001):
80 stimoli quadrati vuoti che presentano 2 segmenti sul bordo, disposti in varie posizioni. In questo caso,
bisogna cancellare gli item identici all’item target, posto nella parte superiore del foglio. Infine, si utilizza il
trial making test – versione AB (Giovagnoli et al. 1996). Nel TMT-A, bisogna riordinare in maniera
crescente, con una matita, tutti i numeri presenti nel foglio. Nel TMT-B, è richiesto di alternare numeri e
lettere.
Per la valutazione della capacità visuo-spaziali, si utilizzano, ad esempio, lo street’s completion test
(Spinnler e Tognoni, 1987), in cui bisogna riconoscere 14 figure degradate, oppure il Birmingham Object
Recognitio Battery (Riddoch e Humphreys, 1993), composto da 14 sub-test divisi in due gruppi. Nel primo
gruppo, si verifica l’elaborazione pre-categoriale, cioè la copia di forme geometriche, il confronto di
dimensioni, la denominazione e il matching di figure con diversa prospettiva. Nel secondo gruppo, si
analizza l’accesso alle conoscenze semantiche, tipo il disegno a memoria, gli oggetti reali/inesistenti,
l’associazione semantica e la denominazione di stimoli con stessa classe semantica.
Spunto di riflessione: In cosa si differenziano i due gruppi di test del Birmingham Object Recognition
Battery?
I disturbi cognitivi colpiscono dal 30 al 40% dei pazienti con la forma recidivante-remittente di sclerosi
multipla e fino al 60-90% dei pazienti con forme progressive. Sono già presenti nei pazienti con sindrome
clinicamente isolata (primo episodio di un disturbo attribuibile a un danno del sistema nervoso centrale ma
non ancora attribuibile alla sclerosi multipla perché non è stata ancora diagnosticata) e sindrome
radiologicamente isolata (casi in cui il paziente effettua una risonanza magnetica per altri motivi perché
magari lamenta un certo tipo di cefalea. Invece, in seguito all’esame, si scoprono le lesioni della sclerosi
multipla. I domini cognitivi compromessi da considerare sono: elaborazione delle informazioni (velocità
e/o accuratezza dell’elaborazione), funzioni attentive (attenzione complessa – sostenuta e divisa),
memoria (memoria di lavoro, apprendimento verbale, visuo-spaziale, memoria prospettica), funzioni
esecutive (fluidità verbale, ragionamento astratto e concettuale, pianificazione e organizzazione,
mantenimento di strategie, ordine temporale), funzioni visuo-spaziali (stadio associativo della percezione
visiva), linguaggio (errori semantici, uso di circonlocuzioni, significati indiretti, pragmatica), intelligenza
generale preservata (possibile declino dell’intelligenza fluida). Altri aspetti che riguardano il funzionamento
cognitivo che, però, sono considerabili più come dei “comportamenti”, sono la capacità decisionale, la
cognizione sociale e il giudizio morale (o cognizione morale).
Spunto di riflessione: II deficit cognitivi possono presentarsi anche precocemente nei pazienti con sclerosi
multipla?
Le conseguenze dei disturbi cognitivi sono molteplici e rilevanti. Le compromissioni cognitive comportano
una significativa disabilità funzionale ed interferiscono notevolmente con la condizione di vita del paziente.
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Negli ultimi anni, inoltre, è stato dimostrato che i deficit cognitivi, a volte, interferiscono ancora di più nella
vita del paziente, rispetto ai deficit motori. I correlati dei deficit cognitivi con parametri strutturali e
funzionali di risonanza magnetica nei pazienti con sclerosi multipla sono: lesioni focali, atrofia diffusa e
atrofia di specifiche strutture, danni della sostanza bianca e grigia apparentemente normali, alterazione
della neuro-trasmissione (sindrome da disconnessione multipla), età, sesso, scolarità (riserva cognitiva),
disabilità fisica (expanded disabilità status scale, EDSS), durata della malattia, decorso di malattia . Si tratta
di correlazioni che non sono utili per stabilire se un paziente con sclerosi multipla sia cognitivamente
compromesso e quanto.
Spunto di riflessione: È possibile stabilire, sulla base dei parametri di risonanza magnetica, le caratteristiche
della compromissione cognitiva in un paziente con sclerosi multipla?
Altri aspetti da considerare nella valutazione delle funzioni cognitive nei pazienti con sclerosi
multipla
Esistono, purtroppo, alcuni fattori di confondimento nella determinazione dei deficit cognitivi nei pazienti
con sclerosi multipla, ovvero: depressione e ansia, fatica, apatia, disturbi del sonno e disturbi di personalità.
Ci sono spesso delle differenze rilevanti fra un paziente e un altro, per quanto riguarda il grado e le
caratteristiche della compromissione cognitiva. Per questo, è necessario distinguere fra “compromissione
cognitiva” e “declino cognitivo”. Nel rapporto fra invecchiamento e compromissione cognitiva causata
dalla sclerosi multipla, ci sono pochi dati a disposizione. L’invecchiamento, nel paziente malato, comporta
un incremento dei deficit della IPS e maggior deficit della fluidità verbale categoriale (funzioni esecutive o
competenza semantica).
Gli strumenti di valutazione della compromissione cognitiva nella sclerosi multipla: le batterie
estese
Delle batterie estese, fanno parte la brief repeatable batteri di Rao (Rao BRB) e la minimal assessment of
cognitive function in MS (MACFIMS). Si fa poi un confronto nella composizione delle due più note batterie
neuropsicologiche per la valutazione nella sclerosi multipla. Entrambe le batterie hanno quasi gli stessi test,
come, ad esempio, il PASAT (velocità di elaborazione delle informazioni e memoria di lavoro), il SIMBOL
DIGIT MODALITY TEST, il SELECTIVE REMINDING TEST (al paziente vengono ripetute solo le parole che lui
aveva escluso nella sua ripetizione) e il CALIFORNIA VERBAL LEARNING TEST (le parole vengono ripetute
tutte e 16 – raggruppabili in 4 categorie semantiche). La differenza fra le due batterie è che nella batteria
di Rao non ha il test delle funzioni esecutive e quello dell’elaborazione spaziale, mentre sono considerate
nella MACFIMS. Nel SDMT (associare il maggior numero di simboli ai numeri in 90 secondi), la
presentazione del paziente viene fatta oralmente nei casi di sclerosi multipla perché quest’ultimo può
soffrire di problemi di destrezza manuale ed è il neuropsicologo che scrive le risposte per conto del
paziente.
La valutazione delle compromissioni cognitive nei pazienti con sclerosi multipla: strumenti di
screening e questionari
Fra gli strumenti di screening, si trovano il symbol digit modality test (SDMT) e il brief international
cognitive assessment for multiple sclerosis (BICAMS). L’SDMT è uno strumento molto sensibile e si è anche
pensato di sostituirlo al PASAT. La BICAMS è una piccola batteria che prevede sempre il SDMT e anche una
versione abbreviata del CVLT (solo la ripetizione immediata) BRIEFING VISUO-SPACIAL MEMORY TEST
(anche qui solo ripetizione immediata) e richiede circa 15 minuti in totale, meno della norma. Inoltre, si può
anche utilizzare un questionario: multiple sclerosis neuropsychological questionnaire (MSNQ) – domande
che vertono nelle capacità cognitive del paziente nella vita di tutti i giorni, a cui rispondono sia i familiari
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che il paziente stesso. In quest’ultimo caso, si nota di più l’influenza dell’umore sulla prestazione e sul
risultato.
Spunto di riflessione: Tra la versione per il paziente e quella per la persona informata del MSNQ, quale
corrisponde maggiormente al risultato della valutazione con i test neuropsicologici?
L’approccio ecologico alla valutazione delle compromissioni cognitive nei pazienti con sclerosi
multipla
Spunto di riflessione: Qual è l’aspetto critico per considerare valido l’approccio ecologico alla valutazione?
Il sistema attentivo
Lo scopo del sistema attentivo è quello di selezionare gli stimoli esterni e preparare l’individuo a
rispondere. E’ possibile se l’individuo è in uno stato di attivazione (arousal) e se è garantito lo stato di
vigilanza. Esistono diversi tipi di attenzione:
L’allerta e l’attenzione sostenuta sono delle componenti intensive, mentre l’attenzione selettiva e quella
divisa sono componenti selettive. Il supervisory attentional system utilizza in maniera strategica delle
componenti intensive e selettive, attraverso componenti delle funzioni esecutive (attraverso strategie,
flessibilità e inibizione). Il sistema attentivo, inoltre, interagisce in maniera complessa insieme a sistema
percettivo, sistema motorio, memoria di lavoro e con funzioni esecutive. Le basi neurobiologiche del
sistema attentivo riguardano il sistema dorsale, che aiuta a dirigere l’attenzione, il sistema ventrale, che
serve a definire la salienza degli stimoli. Gli studi che sono stati fatti per definire le aree implicate nei
processi attentivi si sono serviti di neuroimmagini funzionali, sia con pazienti sani che con pazienti che
avevano lesioni.
L’allerta (componenti intensive) riguarda i tempi di reazione semplici (componente tonica) e i tempi di
reazione con preallarme visivo o uditivo (componente fasica). L’attenzione sostenuta comprende, invece,
compiti semplici e monotoni, in cui il paziente deve rilevare uno stimolo da un rumore di fondo per un
periodo lungo (circa 20 minuti): vengono registrati i tempi di reazione, le risposte corrette, i falsi allarmi e le
omissioni. Esistono diversi test per l’attenzione sostenuta. Il primo è il continous performance test (CPT)
che consiste in premere un tasto quando appare sullo schermo una lettera X, insieme ad altri distrattori e
per un determinato tempo, oppure premere un tasto solo se la X è preceduta da una lettera A. Un altro test
è il sustained attention to response task (SART), in cui bisogna premere un tasto, quando ci sono tutti i
numeri tranne il 3. Si può somministrare anche il test delle matrici (di Spinnler e Tognoni, 1987), in cui
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bisogna individuare uno stimolo target (ad esempio, il numero 5) fra i vari distrattori. Infine, l’ attenzione
sostenuta si può valutare con il Digit-symbol test, in cui si associano simboli e numeri. L’attenzione divisa,
invece, comprende test come il Trial making test (versione A e B) e con il paced auditory serial addition
task, dove si ascolta una sequenza di numeri e si riporta la somma ogni due numeri consecutivi. Inoltre,
esistono batterie di test per valutare tutte le funzioni attentive come, ad esempio, il test per l’esame
dell’attenzione (TEA), computerizzata, in cui si verificano l’allerta (tonica e fasica), la vigilanza (visiva,
acustica, visivo acustica), il go/no-go (attenzione selettiva, 2 tra 5 pattern come target) e l’attenzione divisa
(croci che formano un quadrato e suono che cambia tono) oppure il test dell’attenzione nella vita
quotidiana (TAQ) che comprende: ricerca su mappa (selettiva visiva) di stimoli target a tempo, conto dei
piani in ascensore (selettiva visiva e uditiva: visiva bidirezionale e inversa, uditiva con e senza distrattori),
ricerca telefonica (selettiva visiva) di simboli a tempo, ricerca telefonica (selettiva divisa) con compito di
conto, lotteria (sostenuta), cioè la presentazione uditiva di 2 lettere, seguite da 3 numeri. Se il biglietto
termina con 2 numeri uguali, il soggetto deve scrivere su un foglio le prime 2 lettere del biglietto.
Spunto di riflessione: Indicare i principali strumenti per la valutazione dei disturbi di attenzione divisa
- Egocentrico: la posizione degli oggetti è codificata con riferimento all’intero corpo o a parti di esso
- Allocentrico: gli oggetti sono rappresentati con riferimento alle loro proprietà spaziali e al rapporto
con quelle di altri oggetti presenti nell’ambiente
- Spazio personale: spazio occupato dal corpo,
- Spazio peripersonale: spazio esplorabile tramite il movimento degli arti (grasping/reaching)
- Spazio extrapersonale: spazio non raggiungibile tramite il movimento degli arti.
La valutazione del neglect si può effettuare tramite il visual object space perception (VOSP), che verifica la
percezione degli oggetti (lettere incomplete, silhouette, oggetti, silhouette progressive) e la percezione
spaziale (conta dei punti, discriminazione di posizione, localizzazione di numeri e analisi cubetti). Altrimenti,
si utilizza il test di barrage di linee, il cui risultato è patologico quando si verifica anche una sola omissione a
sinistra. Un altro test è quello della cancellazione di lettere (tipo cancellare tutte le H), in cui le omissioni,
per una situazione patologica, devono essere maggiori o uguali a 5 (spesso i pazienti con problemi partono
a guardare da destra e non da sinistra). Dopodiché, esiste il test dell’illusione dell’area di Wund-Jastrow, in
cui è patologica anche una sola omissione a sinistra. Infine, si possono somministrare la bisezione di linee,
la lettura di frasi, il neglect personale (occhiali, pettine e rasoio/cipria) oppure il behavioural inattention
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test con prove convenzionali e prove ecologiche. Nelle prove convenzionali, si procede con cancellazioni di
linee, lettere e stelle; copia di disegni e figure geometriche; bisezioni di linee. Per le prove ecologiche,
bisogna descrivere figure, comporre dei numeri telefonici, leggere degli articoli e un menù, distribuire
delle carte da gioco, leggere o impostare l’ora, copiare una frase o un indirizzo e indicare un percorso su
una mappa.
Spunto di riflessione: Indicare i principali strumenti per la valutazione del neglect peripersonale
Il linguaggio è la facoltà di attivare un processo di comunicazione tra due o più individui attraverso un
complesso definito di suoni, gesti e simboli di significato comune a uno specifico ambiente di interazione.
Si tratta di un codice arbitrario, poiché non c’è nulla in una parola che abbia un rapporto con il suo
significato. Inoltre, è un codice discreto perché la differenza tra due unità non è graduale ma assoluta. Il
linguaggio è anche un codice aperto perché attraverso poche unità linguistiche si possono comporre un
numero potenzialmente infinito di messaggi ed è un codice ricorsivo perché le regole sono riapplicabili.
L’afasia è la perdita totale o parziale della capacità di comprendere, elaborare o produrre messaggi di
natura linguistica (oralo o scritti) a seguito di una lesione cerebrale. Non si tratta di una difficoltà dovuta a
un ritardo evolutivo nello sviluppo delle abilità linguistiche (la parola perdita esclude i disturbi di chi il
linguaggio non lo ha mai posseduto). Inoltre, l’afasia non è un deficit a carico dei sistemi percettivi e motori
di base: i disturbi dei canali periferici che ci permettono di produrre e comprendere il linguaggio non
danneggiano il codice linguistico.
Elementi di linguistica
Il linguaggio umano è composto da più componenti. I suoni, in primo luogo, comprendono la fonetica
(studio e classificazione di tutti i suoi che possono essere prodotti attraverso il linguaggio articolato, cioè i
foni) e la fonologia (studio del modo in cui i foni si raggruppano in classi funzionali, cioè i fonemi, aventi un
valore linguistico). Le parole si compongono, invece, di morfologia (descrive e classifica le unità minime
dotate di significato, cioè i morfemi: man-), i morfemi lessicali (il significato), i morfemi grammaticali
flessivi (man-o) e derivazionali (man-uale) e la semantica (studio del significato delle parole: lessico). Tra le
variabili che influenzano la comprensione e la produzione del linguaggio ci sono la fonologia (complessità
fonologica, cioè: numero di sillabe, presenza di cluster consonantici, iati – poesia – e dittonghi – piaga) e il
lessico (frequenza d’uso, concretezza, immaginabilità, classe grammaticale, vivente/non vivente). Il sistema
semantico-lessicale è il modo in cui le parole vengono elaborate a livello cognitivo:
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Spunto di riflessione: Quali sono le variabili lessicali che influenzano la produzione o la comprensione del
linguaggio?
Clinica dell’afasia
Una lesione, solitamente a carico dell’emisfero sinistro, può causare un deficit di elaborazione del
linguaggio (sindromi afasiche). L’afasia può essere non fluente o fluente. Fra quelle non fluenti, si trovano:
Inoltre, esistono altre sindromi come la sordità verbale pura (molto rara) che comporta dei gravi deficit
di comprensione orale oppure i deficit linguistici da lesione destra che implica, invece, aspetti
prosodici e pragmatici (metafore, sarcasmo, linguaggio umoristico).
Per valutare i disturbi afasici, è necessario fare l’esame del linguaggio II (Ciurli, Basso Marangolo 1990), in
cui si analizza, ad esempio, il linguaggio spontaneo, tipo la descrizione di procedure (pasta al sugo, barba e
giornata di vacanza) o la descrizione di figura, in modo da verificare l’efficacia comunicativa e la qualità
della produzione. Oltre a questo, nell’esame, si testa la produzione del linguaggio tramite la
denominazione orale e scritta di sostantivi e verbi, la comprensione orale e scritta di parole, la
comprensione orale e scritta di frasi (es. aprire un libro, piegare un foglio in quattro, alzare la mano
sinistra, mettere la matita in tasca, toccarsi la fronte, passare il posacenere) e la transcodifica (ripetizione,
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lettura e dettato di parole, non parole e frasi). I vantaggi dell’esame del linguaggio II sono la valutazione
completa, la facile applicabilità e i tempi brevi di somministrazione e correzione. Comporta, però, anche
degli svantaggi perché non è adatto a pazienti lievi e c’è poca considerazione delle variabili linguistiche. A
disposizione per la valutazione, c’è anche la batteria per l’analisi dei deficit afasici, che è basata sulle teorie
dell’organizzazione dei processi mentali e sul funzionamento del linguaggio (neuropsicologia cognitivista) e,
inoltre, permette di formulare ipotesi sul deficit funzionale dei pazienti.
Nella fonologia, si verifica la discriminazione di sillabe, la ripetizione, la lettura e il dettato di non parole.
Nel lessico, si valutano la decisione lessicale uditiva e visiva, la ripetizione, la lettura e il dettato di parole,
la comprensione orale e scritta di sostantivi e di verbi, la denominazione orale e scritta di sostantivi e
verbi e la denominazione degli oggetti descritti. Riguardo alla grammatica, si esaminano i giudizi di
grammaticalità uditiva e visiva, la ripetizione e la lettura di frasi, la comprensione uditiva e visiva di frasi
mentre, nella produzione spontanea, si guardano le attività quotidiane, cappuccetto rosso (descrivere una
fiaba), sequenze di immagini e descrizione di immagini. I vantaggi di questa batteria sono il controllo delle
variabili psicolinguistiche e l’analisi qualitativa degli errori. Gli svantaggi, invece, sono i lunghi tempi di
somministrazione e, inoltre, non è adatta ai pazienti gravi. Per la valutazione dei disturbi afasici, si
utilizzano anche il test dei gettoni, che è un test di comprensione orale di messaggi complessi oppure
l’Aachener aphasie test: linguaggio spontaneo, test dei gettoni, ripetizione (suoni, parole, parole prestito,
parole composte e sintagmi, frasi), linguaggio scritto (lettura ad alta voce, dettato per composizione,
dettato con scrittura a mano), denominazione (oggetti, colori, nomi, oggetti con nome composti di figure
semplici) e comprensione (orale e scritta parole e frasi). Vantaggi: semplice e veloce da somministrare,
taratura strutturata dell’analisi tramite software, diverse lingue. Svantaggi: poco adatto a pazienti lievi,
scoring del linguaggio spontaneo complesso.
Spunto di riflessione: Indicare le prove lessicali presenti nella Batteria per l’Analisi dei Deficit Afasici
Le aprassie
Le nostre azioni quotidiane riguardano azioni intransitive, cioè gesti con significato, che non implicano l’uso
di oggetti (ad esempio, salutare) e azioni transitive, cioè l’uso di oggetti (ad esempio, preparare il caffè).
Una lesione cerebrale può danneggiare selettivamente la produzione di gesti con significato e la capacità di
manipolare e utilizzare gli oggetti di uso comune. L’aprassia è l’inabilità a eseguire atti motori conosciuti,
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che non dipende dalla presenza di disordini primari del movimento, della sensibilità o della capacità di
comprensione. Il disturbo aprassico non è un disturbo di tipo motorio, bensì di ideazione, scelta o
organizzazione del comportamento motorio. L’aprassia ha poco impatto nella vita quotidiana, malgrado
un’alta incidenza (30% nei pazienti con lesione sinistra), ha una scarsa consapevolezza e una dissociazione
automatico/volontaria: il gesto che viene eseguito correttamente nella vita quotidiana non viene prodotto,
quando è richiesto come produzione intenzionale. L’aprassia si classifica in base al sistema effettore
colpito(aprassia degli arti, aprassia bucco-facciale e aprassia del tronco), al tipo di attività (utilizzo di
oggetti, produzione di sequenze motorie complesse, produzione di gesti simbolici, imitazione di gesti), al
livello del processo di elaborazione (aprassia ideomotoria: il paziente non è in grado di tradurre la
sequenza motoria corretta nel programma motorio per i singoli gruppi muscolari, non sa come fare) e il
livello del processo di elaborazione (aprassia ideativa: il paziente non riesce a formare una
rappresentazione mentale del gesto che deve compiere, non sa cosa fare).
Modelli interpretativi
Il primo modello interpretativo è quello di Liepmann, ovvero, esiste un programma motorio dov’è
rappresentata la sequenza spaziale e temporale dei singoli gesti. Il programma motorio è tradotto nel
pattern di innervazione adeguato, la cui memoria è depositata nel sensomotorio. L’ aprassia ideativa (AI) è
un deficit nel formulare programmi motori (cosa fare). L’aprassia ideomotoria (AIM) è un deficit
nell’implementare il programma motorio adatto (come fare). L’aprassia mielo-cinetica (AM) riguarda
l’impaccio motorio che interessa solo l’arto controlaterale alla lesione. Secondo il modello di Geshwind, il
sensomotorio diventa la corteccia premotoria, stazione finale degli ordini che guidano il gesto. L’aprassia è
vista come una sindrome da disconnessione. Infatti, la corteccia premotoria di sinistra manda afferenze sia
alla corteccia motoria di sinistra, sia attraverso il corpo calloso, alla corteccia premotoria di destra, che a
sua volta invia fibre alla corteccia motoria di destra. Il fascicolo arcuato connette i sistemi motori di output
(anteriori) coi sistemi concettuali e di programmazione motoria (posteriori). Una lesione della connessione
tra processi anteriori e posteriori genera un’aprassia ideomotoria. Infine, il modello di Rothi, Ochipa e
Heilman, individua due meccanismi legati al disturbo prassico sono: lesione delle tracce mnestiche nel
lobo parietale (lessico dell’azione: impossibile discriminare gesti o produrli su comando verbale) e lesioni
anteriori (deficit nella produzione del gesto ma buona comprensione della pantomima).
Clinica dell’aprassia
L’aprassia degli arti può essere ideomotoria o ideativa. L’aprassia ideomotoria è l’incapacità di produrre
un gesto conosciuto quando la sua esecuzione viene richiesta o su imitazione. E’ un deficit per gesti
intransitivi (dimostrazione d’uso di un oggetto, sia con l’oggetto reale che nella pantomima senza oggetto,
e imitazione di gesti senza significato). I pazienti non sono in grado di riprodurre i movimenti richiesti o
mostrano errori nelle sequenze spaziotemporali, nell’ampiezza e nella forma del movimento e nel
posizionamento dell’arto. L’aprassia ideativa è l’incapacità di eseguire azioni con significato, con gesti in
sequenza (preparare il caffè o accendere una candela). E’ presente anche in situazioni ecologiche e non
solo in laboratorio. L’aprassia bucco-facciale (orale) è la difficoltà a riprodurre gesti con significato o
associati a movimenti specifici per la produzione di atti motori efficaci, con la muscolatura del volto, della
lingua, della faringe e della laringe. E’ spesso associata all’aprassia ideomotoria degli arti (dissociazione
automatico-volontaria): i pazienti non sono in gradi di fischiare, soffiare, dare un bacio, fare il verso per
chiamare il gatto, sia su richiesta verbale che su imitazione. L’aprassia costruttiva è un deficit nella
produzione e nella copia di figure bidimensionali o nella realizzazione, costruzione e assemblaggio di
forme e strutture tridimensionali. Si tratta di un problema nella capacità di integrare e tradurre le
relazioni spaziali del modello, nel programma motorio necessario all’esecuzione del compito. Nelle
lesioni destre, vi è un deficit nella riproduzione delle relazioni spaziali tra gli elementi dei modelli da
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riprodurre. Nelle lesioni sinistre, invece, si manifesta una produzione di copie molto semplificate, rispetto
ai modelli proposti.
La valutazione
La valutazione delle capacità prassiche varia a seconda del distretto e delle ipotesi diagnostiche. Inoltre,
bisogna considerare l’eventuale co-presenza di afasia. Nel caso di un’aprassia degli arti, si eseguono diversi
test. Il primo è il test dell’aprassia ideomotoria di De Renzi, in cui il paziente deve riprodurre 10 gesti con
significato, il cui modello viene proposto dall’esaminatore (azioni intransitive). Un secondo test è quello
dell’imitazione di gesti, in cui ci sono 24 prove di imitazione e vengono coinvolti distretti diversi
(movimento delle dita, della mano o altre sequenze motorie), gesti con o senza significato. Un terzo
metodo è lo short test ideo-motor “Apraxia” (STIMA), dove bisogna imitare azioni con e senza significato
(18 e 18), relativamente a diverse parti corporee degli arti superiori (prossimali e distali). In questo caso, si
fa una distinzione tra via semantica (gesti già appresi) e via non semantica (gesti nuovi). Inoltre, si utilizza la
pantomima d’uso di oggetti di De Renzi, in cui si valuta la capacità di produrre un gesto relativo all’uso di
un oggetto in diverse modalità. L’oggetto può essere mostrato ma il paziente non può toccarlo (modalità di
presentazione visiva). Quando l’oggetto non viene mostrato, la pantomima viene richiesta per via verbale
(modalità di presentazione acustica). Il paziente viene bendato e l’oggetto può essere manipolato prima di
produrre la pantomima. Infine, esiste la praxis assessment battery (PAB), in cui vengono analizzati i gesti
transitivi (con oggetto) e gesti intransitivi (senza oggetto), utilizzando e riconoscendo azioni eseguite
dall’esaminatore. Per l’aprassia bucco-facciale, si eseguono, ad esempio, il test di aprassia buccofacciale,
che è un test di imitazione di 10 movimenti della bocca (gesti con significato) che dura pochi minuti oppure
la prassia della faccia “upper and lower face apraxia test”, in cui il paziente deve imitare alcuni gesti del
volto, distinguendo tra una parte superiore (9 item) e inferiore (29 item) del volto. I punteggi sono
assegnati in base alla difficoltà del compito. Nella valutazione dell’aprassia costruttiva si utilizza la terapia
razionale dei disordini costruttivi (esplorazione visiva: punti e lettere): si procede con un’analisi preliminare
del compito (dimensione e orientamento di rette, grandezza degli angoli e posizione dei punti) e con
un’organizzazione centrale del compito (rotazioni mentali, identificazione di figure complesse e nascoste).
Un altro metodo molto utilizzato è quello della rievocazione differita della figura complessa di Rey (copia
di una figura complessa). Altrimenti, si può sottoporre una copia di disegni, con figure geometriche che
hanno una difficoltà crescente.
Spunto di riflessione: Che strumenti si usano per valutare l’aprassia degli arti?
I disturbi mentali
Kräpelin, nel 1919, aveva già individuato la schizofrenia, dato che, secondo lui, un disturbo cognitivo
precoce è un aspetto primario della malattia (schizofrenia). Sono arrivate, poi, successive conferme, dato
che si riscontravano un QI premorboso molto basso, dei sintomi cognitivi già presenti nei first-episode e
delle disfunzioni frontali visibili tramite neuroimaging. Ci sono alcuni livelli del processo della schizofrenia:
pathology (anomalia dell’attività cerebrale, evidenziata tramite EEG e neuroimaging), impairment (è
presente un deficit in diverse capacità attentive), disability (difficoltà nella vita quotidiana, anche solo nella
lettura di un giornale o nell’ascoltare una lezione) e handicap/participation (deficit funzionale conclamato
che interferisce totalmente con la vita del paziente). Inoltre, anche la memoria di lavoro è un ambito
coinvolto nei disturbi più comuni che affliggono i pazienti con schizofrenia. Infatti, chi ne è affetto, perde
l’abilità nel mantenere e manipolare le informazioni in un breve periodo di tempo. Questi deficit sono
presenti anche in parenti di primo grado non affetti da schizofrenia. La memoria di lavoro è un deficit
correlato a sintomi psicopatologici (disturbi formali del pensiero) e a disfunzioni prefrontali (soprattutto
a carico della corteccia prefrontale dorsolaterale). Le basi neurobiologiche del disturbo coinvolgono la
corteccia dorsolaterale prefrontale per la selezione delle informazioni e corteccia prefrontale ventrale per il
mantenimento delle informazioni. Il paziente con schizofrenia presenta anche diverse difficoltà con le
funzioni esecutive. Infatti, sono danneggiati l’iniziativa e l’intenzionalità dei comportamenti, la capacità di
astrazione, l’attribuzione di significato agli stimoli esterni in relazione all’esperienza, la pianificazione e
l’elaborazione di strategie, la flessibilità cognitiva. Inoltre, la sfera dell’attenzione, comporta deficit in tutte
le componenti attentive (intensive e selettive), un disturbo primario e non legato a farmaci ed è presente
dal primo episodio psicotico. In merito alla memoria dichiarativa, vi sono deficit di memoria e
apprendimento verbale e non verbale, che è presente nel 91% dei pazienti. È un disturbo primario e
presente in parenti di primo grado. Le aree maggiormente associate alla presenza di un disturbo di
memoria dichiarativa sono l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Inoltre, la processing speed è ridotta,
ovvero la velocità nell’esecuzione e nell’elaborazione a monte degli altri deficit. Inoltre, sembra che sia
associato a un deficit di connettività strutturale (integrità strutturale della sostanza bianca).
Ai disturbi dell’umore si collega la depressione (deficit di memoria gravi, attenzione, funzioni esecutive e
deficit correlati a gravità dei sintomi). A questo proposito, la pseudodemenza riguarda dei deficit cognitivi
causati non da disturbi organici ma dall’episodio depressivo e che dev’essere necessariamente
reversibile. Trattando ad esempio la depressione, il disturbo cognitivo della pseudodemenza scompare
perché si tratta di una condizione secondaria. Nel disturbo bipolare, ci sono deficit di working memory,
attenzione sostenuta, memoria, funzioni esecutive e capacità visuo-spaziali che sono presenti anche in
fase eutimica (fase in cui il paziente ha un umore stabile). I deficit correlano col numero di episodi
(soprattutto la memoria e le funzioni esecutive) e la durata della malattia. Nel disturbo ossessivo-
compulsivo, vi sono dei deficit nelle funzioni esecutive che sono primari, rispetto alle altre capacità, dei
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deficit consistenti in ambito visuo-spaziale e costruttivo e dei deficit nei compiti di memoria (non verbale)
dovuti a difficoltà di encoding più che di richiamo delle informazioni.
La Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS) valuta il QI dei soggetti adulti, attraverso il confronto delle
prestazioni di un individuo con il punteggio medio ottenuto da membri di pari età. Ci sono 15 subtest (10
fondamentali e 5 supplementari): indice di comprensione verbale (ICV), indice di ragionamento visuo-
percettivo (IRP), indice di memoria di lavoro (IML), indice di velocità di elaborazione (IVE). L’indice di
comprensione verbale (ICV) riguarda somiglianze, vocabolario, informazione, comprensione
(supplementare); l’indice di ragionamento visuo-percettivo (IRP) riguarda il disegno con i cubi, il
ragionamento con le matrici, i puzzle, il confronto di pesi (solo tra i 16 e i 69 anni; supplementare) e il
completamento di figure (supplementare). Nell’indice di memoria di lavoro (IML) si analizzano la memoria
di cifre, il ragionamento aritmetico, il riordinamento di lettere e numero (solo fra i 16 e i 69 anni;
supplementare), mentre nell’indice di velocità di elaborazione (IVE), si misurano la ricerca di simboli, il
cifrario, la cancellazione (solo tra i 16 e i 69 anni; supplementare). Per la processing speed, si utilizza il
continuous performance test (CPT) in cui bisogna premere un tasto, ogni volta che compare la X, oppure
premerlo quando compare la X ma solo se è stata preceduta da una lettera A. Inoltre, si sottopone il trial
making test (versione A e B). Per la valutazione delle funzioni esecutive, si procede con lo stroop color
word test, tramite la resistenza all’interferenza con 3 compiti. Fra le batterie, si trova il brief assessment of
cognition in schizophrenia (BACS), che misura memoria e apprendimento verbale (15 parole per 5 trial),
fluenza semantica (animali) e fonemica (T), sequenze di numeri in ordine crescente, un compito motorio
dei gettoni (gettoni in una scatola in 60 secondi), la codifica di simboli e la torre di Londra. Una seconda
batteria è la MATRICS consensus cognitive battery (MCCB): processing speed (fluenza, codifica di simboli,
trial making A), attenzione (continuous performance test), working memory (maryland letter number span,
span spaziale della WAIS), apprendimento verbale (hopkins verbal learning test), apprendiento spaziale
(figure del brief visuo-spatial memory test), ragionamento e problem solving (labirinti della
Neuropsychological Assessment Battery), cognizione sociale (intelligenza emotiva Mayer-Salovey-Caruso
Emotional Intelligence Test).
Spunto di riflessione: Descrivere le batterie utilizzate per valutare i disturbi cognitivi nella schizofrenia
I disordini cognitivi nelle gravi cerebrolesioni acquisite hanno un’importanza centrale perché influiscono
sulla qualità del recupero, sull’autonomia personale, nelle capacità di interazione nel reinserimento socio-
lavorativo. Un’alta variabilità dell’estensione delle lesioni cerebrali e del livello di disconnessione tra le aree
corticali provoca un’alta eterogeneità dei profili cognitivi. I deficit più frequenti riguardano le funzioni
esecutive (sindrome frontale) e la memoria. La sindrome frontale è un quadro clinico caratterizzato da
deficit cognitivi e disturbi comportamentali a seguito di lesioni prefrontali. Ci sono tre diversi quadri
clinici:
I quadri clinici possono anche alternarsi nelle tre fasi della malattia.
I disturbi della memoria comportano dei danni alle aree mediali del lobo temporale (ipossia) con
deficit nella codifica della traccia e danni alle aree prefrontali (trauma) con dei deficit nel recupero
della traccia. Oltre a questo, si manifestano anche altri problemi:
La valutazione globale
Si eseguono osservazioni dirette (colloquio col paziente, osservazioni in diversi contesti tipo ospedale,
scuola, casa, ecc, si somministrano check-list e questionari) e indirette (colloqui con i familiari, si
somministrano questionari ai familiari, ci si confronta con la propria equipe fra gli operatori). Inoltre, si
utilizza la Levels of cognitive functioning scale (LCF), che è una classifica che descrive il livello di coscienza,
di confusione, di agitazione e il funzionamento cognitivo comportamentale dalle prime fasi del recupero
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alla stabilizzazione degli esiti. Si tratta di una scala descrittiva di tipo nominale (8 o 10 livelli), che ha buone
caratteristiche psicometriche (in merito ad affidabilità e validità), un’osservazione sistematica senza
partecipazione attiva del paziente e un linguaggio interdisciplinare comune.
Oltre alla LCF, si esegue anche la disability rating scale, uno strumento che consente di misurare il livello di
disabilità in soggetti con traumi cranici di gravità moderata o severa: 8 item su 4 sottoscale (punteggio
totale da 0 a 30).
La valutazione neuropsicologica
L’amnesia post-traumatica è il periodo di tempo che intercorre tra il momento del trauma e il momento
in cui il paziente dimostra di saper rievocare episodi verificatesi nelle 24 ore precedenti. Esiste un indice
standardizzato che definisce la gravità del trauma cranico, vi è un fattore predittivo fondamentale, rispetto
al recupero cognitivo del paziente e dell’outcome stesso ed è importante la presenza medico-legale.
Fondamentale è anche definire l’uscita dall’amnesia post-traumatica (APT), in quanto dalla sua risoluzione
si inizia un assessment specifico delle funzioni cognitive e una programmazione riabilitativa.
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Un deficit di memoria a breve termine verbale e spaziale si verifica mediante il digit span e lo span di
parole bisillabiche. Inoltre, si utilizzano il tapping del test di Corsi (cubi numerati da toccare secondo la
sequenza indicata del neuropsicologo), il pattern span (tre quadrati bianchi e tre neri in maniera sparsa)
oppure il benton visual retention test. Il deficit di memoria a lungo termine verbale prevede 0uso del
raccontino di Babcock, l’apprendimento di coppie di parole associale (10), il test delle 15 parole di Rey e
l’apprendimento supra-span visuo-spaziale (8 cubi fino a 3 sequenze corrette). Inoltre, si somministrano il
route learning task (cubi di Corsi in versione non interferente – stesso percorso di 8 cubi per 12 serie – o
interferente – alternando lo stesso percorso con percorsi differenti) e la rievocazione differita della figura
complessa di Rey. Fra le batterie, si trova in questo caso la batteria ecologica Rivermead Behavioural
Memory Test con nomi e cognomi (2 persone raffigurate), effetti personali (ritrovare due effetti personali
nascosti), appuntamenti (ricordare due frasi per un tempo stabilito), riconoscimento di figure (ricordare
stimoli visivi), un brano (rievocazione immediata e differita), il riconoscimento di volti, un percorso
(rievocazione immediata e differita), messaggi (collocare nello spazio degli oggetti), orientamento e data
(collocare eventi nel tempo e nello spazio). Per le funzioni esecutive, si sottopone la frontal assessment
battery, che comprende: somiglianza, fluenza, programmazione di una serie motoria, risposta a istruzioni
contrastanti, go-no-go, comportamento di prensione. All’interno di questa batteria, si trovano il Wisconsin
card sorting test, il Weigl test, sia in modalità attiva (dove il paziente categorizza), sia in modalità passiva
(in cui è l’esaminatore che categorizza) e il test delle stime cognitive. Un’altra batteria è la Behavioural
Assessment of Dysexecutive Syndrome (BADS), in cui si trovano diversi test:
- Test del cambio di regola delle carte: modificazione di un pattern di risposta precedentemente
stabilito
- Test di programmazione delle azioni: estrazione di un tappo mediante l’uso di diversi materiali a
disposizione
- Test della ricerca delle chiavi: ricerca di un insieme di chiavi “smarrite” in un ambiente
- Test delle stime cognitive: giudizi temporali
- Test della mappa dello zoo: pianificazione e scelta di un percorso in uno zoo
- Test codificato dei 6 elementi: pianificare l’esecuzione di parte di 6 diversi compiti in un tempo
massimo di 10 minuti (2 set di descrizione di eventi, denominazione scritta, aritmetica)
alternandoli.
Spunto di riflessione: Indicare gli strumenti principali per valutare le funzioni esecutive
Definizione di riabilitazione
La riabilitazione è la strategia di base che, fondata sul modello integrativo del funzionamento umano e
della disabilità della World Health Organization (WHO), ha lo scopo di abilitare le persone con una
condizione di salute che comporti, o verosimilmente possa comportare, una disabilità a ottenere e
mantenere un funzionamento ottimale in interazione con l’ambiente.
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Spunto di riflessione: Qual è la parola che sembra più fuori contesto nella definizione di riabilitazione che vi
è stata presentata?
Il termine strategia, in questo contesto, è molto importante. La strategia serve, infatti, per raggiungere il
proponimento generale della riabilitazione. Il proponimento è composto da scopi, il cui insieme, determina
la linea di condotta. La strategia, a sua volta, è fatta di obiettivi, he possono essere anche suddivisi in sotto-
obiettivi. Questi corrispondono alla tattica. Gli obiettivi, inoltre, devono essere SMART: Specifici, Misurabili,
Attuabili, Rilevanti, Temporizzabili. Se, ad esempio, abbiamo un paziente afasico, il proponimento generale
sarà quello di migliorare la comunicazione. Come scopi, sarà importante migliorare la comprensione e
l’espressione verbale. Di conseguenza, la strategia, comprenderà il recupero della
comprensione/produzione delle parole (obiettivi) e, come sotto-obiettivi, la decodifica dei fonemi in
comprensione orale oppure la codifica dei fonemi in produzione verbale.
Il team riabilitativo
Il team riabilitativo è un team multi- o inter-disciplinare, composto da professionisti e altre figure con
competenze diverse. Quello che cambia, è la differenza nella modalità di interazione. Nella riabilitazione
psicologica, sono presenti i membri abituali del team e, in base alla situazione specifica, possono
intervenire anche altri professionisti.
Spunto di riflessione: Qual è la differenza più rilavante tra un team multisciplinare e uno interdisciplinare?
Definizione di outcome
- Recupero: parziale o completo restituzione allo stato precedente l’insorgenza del danno
- Compenso: ci sono 2 possibili significati meccanismi messi in atto dal sistema nervoso oppure
adattamento alla situazione (con possibile utilizzo di ausili).
I fattori che influenzano l’outcome sono fattori relativi a: patologia, persona, ambiente, riabilitazione,
fattori relativi alle caratteristiche della patologia (ad esempio, patologie acute o progressive o sia acute
che progressive), localizzazione ed estensione del danno, patologie acute (stroke, traumatismi), patologie
acute e croniche (sclerosi multipla), patologie croniche (degenerative) demenze degenerative. I fattori
relativi alla persona comprendono: fattori sociodemografici, situazione premotoria (es. riserva cerebrale e
cognitiva), fattori legati alla salute, presenza e altre condizioni patologiche (con relative terapie) e fattori
psicologici. I fattori relativi all’ambiente sono: caregiver, familiari, professionali, sistemi sanitari, fattori
legati alla comunità, alla società e alla politica. I fattori relativi alla riabilitazione sono: disponibilità,
efficacia, tempi e dosi.
Spunto di riflessione: Da cosa deriva il maggior interesse per l’influenza dei fattori relativi alla persona e
all’ambiente sull’outcome della riabilitazione?
Outcome e valutazione
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- Validità: lo strumento misura quello che ci si aspetta debba misurare ed è predittivo
- Affidabilità: riproducibilità
- Responsività: sensibilità al cambiamento
- Interpretabilità: differenza minima clinicamente importante
Alcuni esempi sono: test, questionari (pros), dati derivati da valutazioni strumentali, problema dell’ecologia
dello strumento, oggetto della misurazione, privilegiare il funzionamento (ICF). La ricerca e la riabilitazione
neuropsicologica si suddividono in ricerca sperimentale, ricerca clinica e ricerca traslazionale (il problema
del linguaggio).
Spunto di riflessione: È sufficiente un test di memoria verbale per stabilire l’efficacia di un programma di
rieducazione della memoria?
La base strutturale e funzionale (fisiologica) dell’efficacia della riabilitazione cognitiva (e non solo) è
rappresentata dai fenomeni di neuroplasticità: in parte, sono aspetti che intervengono anche nel
determinare l’efficacia di tutti gli approcci rieducativi. Infatti, la neuroplasticità è un fenomeno che
continua anche in età avanzata. La riserva cognitiva è, ad esempio, è strettamente legata alla
neuroplasticità e può verificarsi sotto due meccanismi diversi: la riserva neurale (differenze individuali in
termini di resilienza di network cognitivi) e la compensazione neurale (cioè il reclutamento di risorse
compensatorie). L’attività fisica è sempre inclusa nella riserva cognitiva (più ci si allena e maggiore saranno
le possibilità di mantenere attiva una certa neuroplasticità nel tempo).
Spunto di riflessione: Quali sono le basi teoriche e le evidenze a favore del possibile utilizzo della
riabilitazione cognitiva nei pazienti con demenza?
Approcci riabilitativi: R. O. T.
Approcci riabilitativi: terapia della reminiscenza; terapia della rimotivazione; training cognitivo
La terapia della reminiscenza si basa sulla tendenza dell’anziano a ricordare gli eventi del passato
(nell’anzianità, i ricordi più antichi sono conservati molto di più, proprio perché si fa fatica a immagazzinare
nuove informazioni). In questo caso, è necessario puntare sul ricordo, sulla nostalgia e sugli aspetti positivi,
ci devono essere maggiore consapevolezza e deliberazione e può essere una terapia individuale o di
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gruppo. Il paziente deve cercare di ricomporre una catena di ricordi, in modo da arrivare a comprendere la
realtà che sta vivendo in quel momento. La terapia della rimotivazione cerca di riattivare gli interessi per
gli stimoli e per le relazioni. Si tratta di una terapia strutturata, individuale o di gruppo. Si può anche
utilizzare il programma 3R, cioè training di orientamento alla realtà (R.O.T.), terapia della reminiscenza e
terapia della rimotivazione. Il training cognitivo, invece, è un approccio aspecifico, non personalizzato, in
cui si esegue una stimolazione ripetitiva relativamente a un dominio cognitivo (ad es. esercizi per la
memorizzazione o per l’attenzione) e può essere individuale o di gruppo. È un training di massima efficacia
sulle prestazioni nel dominio trattato (Cochrane review: manca chiara evidenza) e ci sono programmi di
esercizi computerizzati per testare l’efficacia su memoria e abilità visuo-costruttive.
La terapia della validazione ha lo scopo di entrare in relazione empatica col paziente immedesimandosi
nella sua condizione e condividendo la sua visione. Si utilizza in casi di demenza di grado moderato-severo,
per migliorare le relazioni interpersonali del paziente. La rieducazione funzionale riguarda attività e
occupazioni diverse (per il recupero e il potenziamento di abilità residue). In questo caso, è necessaria
l’identificazione delle attività che presentano potenzialità di effettuazione e potenziamento.
Spunto di riflessione: Qual è la premessa all’effettuazione della terapia occupazionale nei pazienti con
demenza?
Gli approcci riabilitativi specifici prevedono interventi sulle capacità di memoria dichiarativa e non-
dichiarativa e si servono di ausili mnesici esterni. I presupposti teorici sono quelli di avere a che fare con
deficit di codificazione con immagazzinamento e rievocazione parzialmente risparmiati e di avere un
processo di memorizzazione e di richiamo di informazioni di natura semantica che è migliore, rispetto ai
nuovi ricordi di tipo episodico. Gli interventi che si fanno sulle capacità di memoria dichiarativa riguardano
le metodiche utilizzate, l’errorless learning (ad esempio, l’associazione di volti-nomi/legame tra
rappresentazione fonologica e semantica), space retrieval (si apprende in diversi intervalli di tempo: è
molto più efficace, rispetto all’apprendimento durante un tempo prolungato), vanishing cues (si esegue
un’eliminazione graduale dei suggerimenti: es. si tolgono sempre più lettere a una parola), forward cueing (i
suggerimenti aumentano). Mancano, però, evidenze chiare sulla sua efficacia. Come presupposti teorici, la
memoria non-dichiarativa (implicita e procedurale) è più conservata della memoria dichiarativa, fino alle
fasi intermedie della demenza di Alzheimer; l’efficacia dell’allenamento in attività di vita quotidiana, sia di
base che strumentali. Gli ausili mnesici esterni possono essere sia di vecchia che di nuova concezione
(strumenti elettronici). Inoltre, sono utili per compensare i deficit di memoria prospettica ed è necessario
un training all’uso. Un altro approccio riabilitativo è la stimolazione cerebrale non invasiva, tramite
stimolazione magnetica transcranica (TMS) o stimolazione transcranica a corrente continua. Anche in
questo caso, si associa un training, prima dell’utilizzo e vengono fatti degli studi preliminari, così da
considerare tutte le variabili in gioco.
Spunto di riflessione: Quali sono i presupposti teorici degli interventi sulla memoria dichiarativa e non-
dichiarativa nei pazienti con demenza?
Per la riabilitazione dei disturbi attenzionali, esistono due approcci. Il primo è diretto e riguarda la
restituzione della funzione del tutto o in parte. Il secondo ha a che fare con delle strategie compensative,
in cui vi è un adattamento più efficace delle risorse residue. Un primo esempio di programma “diretto” è
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quello di Ben-Yishay (uno dei maggiori esperti della riabilitazione cognitiva): orientation remedial module
(ORM). Quest’ultimo si compone di 5 procedure che sono organizzate in modo gerarchico: da prove più
semplici, (stimoli esterni) si passa a quelle più complesse (stimoli interni), fino alla sincronizzazione delle
due fonti. Le procedure dell’orientation remedial module (ORM) sono: attention reaction conditioner
(arousal e responsività: stimoli prevalentemente esterni. La risposta deve essere congrua per poter passare
al livello successivo), zeroing accuracy conditioner (ignorare distrattori e/o indirizzi ambientali: attenzione
selettiva), visual discrimination conditioner (scansione visiva), time estimation (stima della durata
temporale: stimoli interni) e rhythm synchrony conditioner (sincronizzazione: fra stimoli esterni ed interni).
Un secondo esempio di programma “diretto” è l’attention process training (APT), cioè il trattamento
modulare delle varie funzioni attentive: attenzione sostenuta, attenzione selettiva, alternanza attentiva
attenzione divisa. In questo caso, i trattamenti gerarchici riguardano una crescente complessità delle
funzioni attentive, all’interno del trattamento delle singole funzioni, valutazione del miglioramento prima
dei passaggi, sia in termini di tempi di esecuzione che di accuratezza. Esempi di esercizi per l’ attenzione
sostenuta (modalità visiva): su un foglio, si visualizzano forme geometriche colorate (riduzione della
dimensione) forme senza senso in bianco e nero (riduzione della salienza) numeri (densità crescente).
Per quanto riguarda la modalità uditiva, un esempio di esercizio è l’identificazione di un solo numero
identificazione di parole con indicazione dell’iniziale coppie di lettere successione ascendente di
giorni numero precedente più 3 moltiplicazione del numero precedente meno 1. Esercizi per
l’attenzione selettiva in modalità visiva sono: la cancellazione di forme con un disturbo visivo (schermi),
l’attenzione selettiva in modalità uditiva e l’identificazione come per attenzione sostenuta con disturbo
uditivo (rumore di fondo). Nell’alternanza attentiva, si sottopongono: cancellazione alternata di forme,
addizione/sottrazione, esercizio tipo Stroop, comando “cambia”. Per l’attenzione divisa, esistono esercizi
con doppio compito: esercizio di cancellazione (modalità visiva), associato a esercizio di attenzione
sostenuta uditiva. L’efficacia dei programmi di riabilitazione diretta (approccio restitutivo), presenta
un’efficacia sugli aspetti sottoposti al training (significatività di grado basso o medio) e la generalizzazione
(scarsa o dubbia). L’approccio compensativo si confronta con situazioni in cui non si possono ottenere dei
risultati adeguati. Un esempio è il time pressure management (TPM), che utilizza capacità residue di tipo
strategico e tattico. Il paziente non riuscirà a svolgere un compito con gli stessi tempi in cui lo svolgeva
prima della patologia e, se lo mettiamo in condizione di rispettarli comunque, il risultato sarà ancora
peggiore. L’obiettivo per il paziente sarà, quindi, quello di darsi un tempo sufficiente per lo svolgimento del
compito. In generale, l’approccio compensativo è più efficace dell’approccio diretto.
Spunti di riflessione: 1) Nella scala gerarchia prevista dall’ORM, qual è il livello più semplice?
2) Prima di passare da un livello di complessità all’altro, cosa è necessario verificare?
E’ una sindrome molto rara che origina da lesioni vascolari e che colpisce regioni parietali e occipitali in
entrambi gli emisferi. E’ caratterizzata da una triade di sintomi: simultanagnosia (incapacità di identificare
due oggetti presenti contemporaneamente su un determinato sfondo o di identificare figure che sono
composte da più parti), aprassia ottica (il paziente non riesce a organizzare i movimenti oculari di
inseguimento in modo adeguato), atassia ottica (movimenti erratici degli occhi/non coordinati). I tentativi
di tipo riabilitativo riguardano sessioni informative per il paziente, il potenziamento abilità residue, l’uso di
strategie di compenso, le modificazioni dell’ambiente (rendendo gli oggetti più salienti, in modo che siano
più in evidenza per il paziente).
I disturbi costruttivi, in seguito a lesioni cerebrali, comportano problemi nel disegnare (figure geometriche,
rappresentative di una persona, ecc). L’obiettivo è, quindi, quello di potenziare le abilità di pensiero
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spaziale. Le modalità che di solito si svolgono in modo automatico devono, in questo caso, essere
“pensate” in ogni singola fase. Di grande aiuto è l’applicazione delle capacità logiche e astrattive (problem
solving) in modalità verbale (es. ripetere le fasi di un disegno). Gli aspetti strettamente operativi per la
riabilitazione dei disturbi costruttivi sono: la consapevolezza della disabilità, le scelte operative esplicite, la
motivazione, la previsione dell’effetto e la definizione verbale dell’operato. Una terapia che ha formalizzato
tutti questi aspetti è la terapia razionale dei disturbi costruttivi (Te.Ra.Di.C.) ha 6 momenti operativi:
scomposizione in tappe, analisi ed elaborazione della singola tappa, formulazione di procedure esecutive,
verifica delle procedure, esecuzione vera e propria, ricerca di eventuali errori.
Spunto di riflessione: Qual è il senso del termine “razionale” nella denominazione della Te.Ra.Di.C?
Per la riabilitazione del disorientamento topografico (incapacità di orientarsi nei luoghi), si considerano le
mappe a rete (uso di punti di riferimento), le mappe vettoriali (stima di distanze e direzioni), l’uso della
memorizzazione, delle descrizioni verbali delle immagini mentali.
Riabilitazione dell’emi-inattenzione
Spunto di riflessione: Fra il training di scanning visuo-spaziale e l’adattamento prismatico, qual è di tipo
restitutivo?
Cenni storici
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efficaci, indipendentemente dal fatto che siano linguistiche. L’approccio neurolinguistico (Hècaen e Dubois,
1971), fa una classificazione neurolinguistica dei disturbi del linguaggio per costruire, così, il programma
riabilitativo, che sia specifico per il disturbo. La scuola neo-classica (Geschwind, Benson, Kaplan, anni
’60-‘70) contiene esercizi che variano in base alle singole forme di afasia e all’analisi dei vari livello deli
linguaggio (es. fonemi, morfemi, parole e frasi), vi sono un maggiore rigore metodologico, una maggiore
attenzione alle diverse forme di afasia e un maggiore riscontro sperimentale sull’efficacia dei metodi di
intervento che vengono utilizzati. Infine, per la neuropsicologia cognitiva (Caramazza, anni ’80-‘90), si
esegue uno studio dell’architettura funzionale dei processi cognitivi: modularità (sottocomponenti
funzionalmente indipendenti), universalità (no variazioni individuali), trasparenza (quando una o più
componenti sono danneggiate, le altre continuano a operare normalmente). Inoltre, si procede con una
diagnosi funzionale, in cui si programma un iter terapeutico focalizzato sul deficit funzionale.
I disturbi fonologici
Per quanto riguarda i disturbi fonologici, è stato stabilito un modello di produzione lessicale:
Spunto di riflessione: Indicare i principali tipi di esercizi per il trattamento dei disturbi fonologici
I disturbi semantico-lessicali
Si tratta di disturbi che sono determinati dal danno a una componente lessicale, cioè a uno o più
meccanismi ritenuti coinvolti nell’elaborazione delle parole: anomie, parafasie fonologiche, deficit di
denominazione, lettura e ripetizione e deficit di comprensione, parafasie semantiche. Ci sono due tappe per
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l’intervento: identificare la sede del danno funzionale, in riferimento al modello teorico, e considerare i
criteri di organizzazione di ciascuna componente del sistema (ad esempio, la frequenza d’uso per i lessici di
output). La riabilitazione del sistema semantico (sistema concettuale) prevede l’uso di materiale
figurativo (caratteristiche strutturali dello stimolo) e l’attivazione di informazioni semantiche e il rinforzo
del concetto. Per quanto riguarda gli esercizi, invece, si sottopongono compiti come: classificazione,
domande e confronti e la manipolazione di oggetti. Nella riabilitazione dei lessici di input, ci sono esercizi
di inazione (tra stimoli fonologicamente diversi) e compiti di decisione lessicale. Per i lessici di output,
invece, si utilizzano esercizi di evocazione lessicale (categoria semantica o fonemica) e la priorità alla
classe grammaticale compromessa.
Spunto di riflessione: Indicare gli esercizi da svolgere per trattare i disturbi ai lessici di output
I disturbi morfo-sintattici
Nella riabilitazione dei disturbi morfo-sintattici, è necessario stabilire degli stadi di elaborazione della
rappresentazione concettuale a quella articolatoria (Garret, 1980): planning concettuale, planning
sintattico, selezione semantico-lessicale, realizzazione morfologica delle parole nella frase (scelta dei
funtori, concordanze tra elementi, collocazione delle parole nell’ordine corretto), realizzazione sonora della
stringa. Inoltre, esistono vari livelli di elaborazione sintattica: analisi della struttura sintagmatica della
frase, recupero della griglia tematica (azione, agente, tema) e mapping della struttura sintagmatica a
quella tematica (mettere in corrispondenza gli argomenti del vergo coi corrispondenti ruoli tematici) . Lo
schema di trattamento presenta quattro punti fondamentali. Il primo è il mapping del ruolo di agente e
tema in frasi semplici reversibili soggetto-verbo-oggetto (s-v-o) – distinzione tra chi svolge l’azione e chi la
subisce (es. baciare, cercare). Il secondo è il mapping tematico e discriminazione tra verbi in coppia di
significato – contrasti per opposta direzione di un evento (es. spingere-tirare: agente/tema,
fonte/destinatario). Il terzo prevede un trattamento sintattico (ordine non canonico degli argomenti),
mentre l’ultimo è inerente alla produzione di forme sintattiche progressivamente più complesse (più
sintagmi).
Il trauma cranio-encefalico è una condizione clinica caratterizzata da un danno encefalico causato da una
forza fisica esterna, rapida, improvvisa e violenta, determinante un diminuito o alterato stato di
coscienza, con coinvolgimento delle funzioni cognitive, neurosomatiche e emotivo-comportamentali. I
danni del trauma cranico possono essere di varia natura (stravaso di sangue, eventi di tipo ischemico –
trazione e compressione) e non si possono vedere sempre tutti in un primo momento. Infatti, ad esempio,
esiste il danno assonale diffuso (es. incidente stradale: oltre al punto dell’impatto, l’onda d’urto sposterà le
fibre nervose/gli assoni all’interno dell’encefalo, comportando uno sguainamento della mielina).
Spunto di riflessione: Le conseguenze sul piano cognitivo dei trami cranici severi sono dovute solo a lesioni
focali?
Come indici predittivi, si utilizza la Glasgow coma scale (misura una serie di attività minime, che sono
vitali), si guardano la durata dello stato di coma e la durata dello stato di minima coscienza e la durata
dell’amnesia post-traumatica (tempo che intercorre fra il trauma e quando la persona è di nuovo in grado
di registrare dei ricordi). Inoltre, si considera l’età del paziente, la fase acuta; si verifica il danno assonale
diffuso, l’entità e la localizzazione delle lesioni cerebrali, le complicanze, le lesioni extracraniche, l’abuso
di alcool e sostanze e la presenza di depressione, ansia e bassa autostima. I capisaldi della
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programmazione riguardano: la gravità degli esiti, la fase dell’intervento, il profilo neuropsicologico, la
metodologia di approccio e gli obiettivi. Per quanto riguarda il livello di gravità clinica, si fa riferimento a
scale standardizzate Level of Cognitive Function – LCF: livello I-III, livello IV-V, livello VI, livello VII-VIII. Si
basano sull’osservazione della persona e valutano il singolo funzionamento degli aspetti cognitivi. I livelli
più bassi (fino a 3) sono quelli più gravi.
Spunto di riflessione: E’ possibile, solo in base al livello di gravità clinica stabilire il grado e le caratteristiche
delle compromissioni cognitive?
La fase evolutiva si riferisce alla prossimità all’evento traumatico, alla fase intermedia, alla fase avanzata e
alla fase prodromica al reinserimento sociale o scolastico/lavorativo. Nella fase post-traumatica precoce, si
utilizza la LCF V: modalità aspecifica, stimoli e situazioni concrete, azioni semplici. Nella LCF VI, invece, si
verificano: continui stimoli, ricostruzione dell’identità e corretta interazione con l’ambiente, terapia
occupazionale, maggior coinvolgimento del familiare/caregiver.
Sempre nella fase evolutiva, si utilizzano la LCF VII e la LCF VIII. La LCF VII riguarda il profilo
neuropsicologico definito, il passaggio al trattamento neuropsicologico specifico e si va in base alle
caratteristiche dei deficit. La LCF VIII prevede una ricostruzione delle strategie operative, un utilizzo dei
compensi, un reinserimento socio-lavorativo e un supporto a lungo termine.
Come criteri di formulazione degli obiettivi, si vanno a valutare i livelli di autonomia, in merito alle attività
personali, attività domestiche, attività della vita quotidiana, autonomia nelle relazioni interpersonali e
sociali, autonomia nelle attività lavorative o scolastiche, autonomia nell’auto-programmazione e nell’auto-
esecuzione, autonomia nella programmazione delle attività di altri. Le metodologie applicabili sono:
approccio strutturale (es. rieducazione dell’afasia o del neglect), approccio cognitivista, strategie
comportamentali, terapia occupazionale, terapia di gruppo.
Spunto di riflessione: Qual è il criterio guida per l’individuazione delle metodologie della riabilitazione
cognitiva nei traumatizzati cranici?
I vantaggi e gli svantaggi della consapevolezza per il traumatizzato cranico lieve sono: informazione,
educazione, psicoterapia, terapie cognitive, incontri con i familiari, monitoraggio. Per quanto riguarda,
invece, il traumatizzato cranico grave, si utilizzano la LCF VII e la LCF VIII. Si procede, quindi, con una
riabilitazione olistica, secondo le 3 fasi del programma di Ben-Yishay (fase intensiva, preparazione al
reinserimento lavorativo, ricerca del lavoro e monitoraggio sul campo) e, poi, con la LCF VII ed LCF VIII
(terapia di gruppo, terapia occupazionale, trattamento finalizzato al reinserimento socio-lavorativo).
Spunto di riflessione: Quante e quali sono le fasi della riabilitazione olistica secondo il programma di Ben-
Yishay?
Le gravi cerebrolesioni acquisite non traumatiche sono delle condizioni morbose conseguenti a lesioni
cerebrali acute di natura non traumatica, tali da determinare una condizione di coma (Glagow Coma Scale
maggiore o uguale a 8) per più di 24 ore e menomazioni senso-motorie, cognitive e comportamentali che
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comportano disabilità severa. Le differenze fra le gravi cerebrolesioni acquisite non traumatiche e
traumatiche sono: l’età media, una maggiore gravità e complessità, un quadro disfunzionale più grave, una
durata maggiore della degenza e una minore probabilità di rientro a domicilio. Possono esistere 5 quadri
clinici diversi: fluttuazione della vigilanza, marcato rallentamento, precoce faticabilità e distraibilità,
alterazioni comportamentali e quadri con deficit da lesione emisferica. Gli aspetti prognostici della fase
acuta sono: età, punteggio alla GCS, durata dello stato di coma, andamento della fase acuta, complicanze,
estensione e localizzazione della/e lesione/i. Gli aspetti prognostici della fase avanzata, invece, sono: età,
durata amnesia post-evento, abuso di sostanze, livello di gravità clinica, fase evolutiva, profilo
neuropsicologico e contesto familiare.
Spunto di riflessione: Tra i criteri prognostici della riabilitazione cognitiva delle gravi cerebro-lesioni
acquisite non traumatiche, il profilo neuropsicologico fa parte di quelli della fase acuta o della fase
avanzata?
Per la riabilitazione neuropsicologica delle gravi cerebrolesioni acquisite non traumatiche si può
intervenire in diversi modi: intervento riabilitativo cognitivo-comportamentale, non vi sono particolari
differenze con quanto si applica nelle GCA post-traumatiche, problema di minore accessibilità ai progetti
applicati in altre condizioni. Esistono, inoltre, diversi livelli di compromissione (LCF da IV/V): amnesia post-
lesionale, alterazioni comportamentali. In questo caso, l’approccio riabilitativo è ecologico e
compensativo e prevede degli obiettivi semplici (bisogni primari, azioni semplici e routinarie,
miglioramento partecipazione/autonomia nelle ADL e dell’orientamento generale e personale). Gli obiettivi
dell’LCF IV e V sono: promozione dell’attenzione sostenuta e selettiva, promozione dell’iniziativa
comunicativa, contenimento e prevenzione dell’agitazione psico-motoria, recupero dell’orientamento
temporo-spaziale e personale, recupero di un adeguato esame della realtà, promozione della
partecipazione.
Spunto di riflessione: Quali sono le ragioni di un approccio ecologico e compensativo nella riabilitazione
cognitiva delle conseguenze delle gravi cerebro-lesioni acquisite non traumatiche?
Il rimedio cognitivo
I deficit cognitivi sono un sintomo fondamentale dei disturbi mentali (in particolare per la schizofrenia). Le
disfunzioni cognitive sono un fattore predittivo negativo del funzionamento sociale e lavorativo, della
qualità di vita e un fattore limitante il successo degli interventi riabilitativi. Gli interventi di tipo
farmacologico si sono dimostrati in grado di migliorare solo parzialmente la componente cognitiva. Tra
questi, ci sono gli antipsicotici di prima generazione, che danno effetti negativi e antipsicotici di nuova
generazione, che risultano in effetti modesti. Gli antipsicotici, infatti, possono comportano problemi
metabolici (obesità, displipidemia, diabete di tipo 2) che possono poi sfociare in ulteriori deficit cognitivi.
Dagli anni 2000, ci sono stati uno sviluppo e un’applicazione clinica di interventi non farmacologici,
finalizzati al recupero del funzionamento cognitivo. Le strategie e le tecniche di rimedio cognitivo sono
volte a potenziare la performance cognitiva, a migliorare l’esito clinico e a ottimizzare il recupero funzionale.
I presupposti per mettere in pratica queste strategie dipendono dal fatto che i deficit cognitivi sono in
qualche misura modificabili e che ci devono essere nuove abilità che supportino quelle perdute, così da
svilupparle di conseguenza. Per rimedio, s’intende, quindi, lo sviluppo di nuove capacità che compensino
quelle perdute, la riparazione di processi alterati e la facilitazione di un processo di ripresa che avverrebbe
naturalmente. Le tecniche di rimedio cognitivo sono basate su interventi di training comportamentale per
migliorare i processi cognitivi e ottenere persistenza e generalizzazione dei risultati. Gli obiettivi principali
sono il cambiamento della performance cognitiva e il miglioramento del funzionamento globale e della
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qualità di vita del paziente. Gli interventi di rimedio cognitivo sono due. Il primo riguarda il modello
compensatorio, in cui si elimina o si by-passa il deficit cognitivo, facendo affidamento sulle abilità cognitive
residue e/o sulle risorse ambientali (si lavora sulle capacità che sono rimaste intatte). Il secondo intervento
di rimedio cognitivo è il modello riparativo/compensatorio, che corregge dei deficit, attraverso la
“riparazione” dei processi neurali compromessi e le capacità plastiche del cervello. Quest’ultimo modello
prevede sia un approccio bottom-up (in cui vi è un recupero delle capacità neurocognitive di base, per
giungere poi a livelli più complessi di abilità), sia un approccio top-down (il cui target sono le abilità più
complesse per cercare di migliorare i domini cognitivi più specifici).
Fra le varie strategie di rimedio cognitivo, c’è l’apprendimento senza errori (errorless learning), che è
stato inizialmente sviluppato per i pazienti amnesici, con intatta memoria implicita e compromessa
memoria esplicita. In questo caso, si applicano tecniche che limitano la possibilità da parte del paziente di
compiere errori (ad esempio, fornendo aiuti e suggerimenti, semplificando le richieste e rallentando
l’esecuzione dei compiti). Un’altra strategia è lo scaffolding, in cui si adegua il livello di difficoltà del
compito proposto, in modo che il partecipante applichi progressivamente le competenze precedentemente
apprese, si usano richieste dirette per assicurarsi che il partecipante arrivi immediatamente a una risposta
appropriata, ci si assicura che il partecipante stia usando sufficienti strategie di elaborazione delle
informazioni per compensare i deficit, si riduce la quantità di informazioni con cui il partecipante si deve
confrontare oppure si rende più breve il compito, si concedono delle pause adeguate e si deve impedire che
il partecipante si blocchi. Oltre a queste, esiste anche la massed practice, cioè la ripetizione di un compito
(almeno 2-3 volte a settimana) in modo da favorire la memorizzazione e l’applicazione delle competenze
sviluppate. Quest’ultima è utile a permettere al partecipante di imparare da esperienze precedenti,
incoraggiare i partecipanti a monitorare le proprie performance e a mantenere l’alleanza terapeutica. Il
rinforzo positivo, invece, aumenta la probabilità di mettere in atto un determinato comportamento,
fornisce le informazioni sul miglioramento di alcune abilità e favorisce la motivazione a ottenere tali
miglioramenti. Infine, esistono strategie di elaborazione dell’informazione, che vengono insegnate,
incoraggiando il paziente ad adottare le abilità apprese a seconda delle richieste del compito e del contesto.
Infatti, ci sono delle istruzioni scheda per scheda (ripetere le regole e dare istruzioni), addestramento
didattico (fornire esempi e svolgere prove per ciascuna regola), automonitoraggio delle istruzioni e
dell’esecuzione, tramite la verbalizzazione, scomposizione e semplificazione del compito, organizzazione e
pianificazione del compito, categorizzazione come strategia di memoria.
La cognitive remediation therapy è una terapia psicologica per migliorare il funzionamento cognitivo,
senza intervenire direttamente sul contenuto del pensiero, sulle convinzioni o sulle emozioni del
paziente. Inoltre, serve per promuovere lo sviluppo delle abilità cognitive di base, per favorire dei
comportamenti sempre più complessi e adeguati e migliorare le abilità di vita quotidiana. L’approccio
utilizzato è prevalentemente di tipo riparativo/restorativo, sia top-down (dal generale al particolare), sia
bottom-up (dal particolare al generale) con tecniche di apprendimento basate sull’elaborazione di strategie
e sulla ripetizione di compiti. La cognitive remediation therapy è organizzata in tre moduli:
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Il cambio di set cognitivo riguarda dei compiti che coinvolgono l’impiego, il disimpiego e il re-impiego di un
singolo set cognitivo o lo spostamento tra due set cognitivi. E’ necessario scegliere il maggior numero di
esercizi consigliati per ogni sessione (che non deve durare più di un’ora): per ognuna di questa, è necessario
terminare con esercizi con gettoni (di forme e colori diversi, in modo da essere categorizzati secondo
determinati criteri) e con esercizi con le mani. Nel modulo di memoria (A e B), ci sono sempre due sessioni:
memoria di lavoro (due o più set d’informazione da trattenere simultaneamente o da trasformare
mentalmente) e memoria a lungo termine (raggruppamento, organizzazioni semantiche o fonologiche del
materiale da ricordare, utilizzo di strategie mnemoniche). La pianificazione (A e B) richiede un numero
crescente di set d’informazioni da trattenere o da trasformare e favorisce l’organizzazione di set cognitivi
per raggiungere un obiettivo. Importante è anche il coinvolgimento del paziente. Infatti, è necessario:
spiegare gli obiettivi della cognitive remediation therapy e in che modo questa terapia gli può essere utile,
discutere insieme le difficoltà cognitive che sperimenta nella vita quotidiana, usare molti rinforzi positivi ed
evidenziare immediatamente ogni miglioramento, adattare la lunghezza delle sessioni e includere una
varietà di compiti, prevedere frequenti pause durante la sessione e accogliere con cura i timori del
paziente.
Roder e Muller (1997) hanno elaborato la terapia neurocognitiva integrata, che è un rimedio cognitivo
strutturato, di gruppo, completo di manuale, che si compone di 30 sessioni. Il terapeuta e il co-terapeuta
lavorano con gruppi di 6-8 pazienti. Gli obiettivi terapeutici sono: miglioramento delle funzioni cognitive di
base, miglioramento delle funzioni relative alla cognizione sociale (processi emozionali, percezione sociale,
teoria della mente) e promozione della consapevolezza. I 4 moduli sono divisi in area neurocognitiva e area
della cognizione sociale. Il modulo A prevede un’elevata elaborazione delle informazioni (coinvolte
attenzione e vigilanza) e la percezione delle emozioni (riconoscimento e comprensione delle emozioni). Il
modulo B riguarda l’apprendimento visivo e verbale e la memoria, più la percezione sociale con la teoria
della mente. Nel modulo C, ci si riferisce al ragionamento e al problem solving con schemi sociali (script
sociali e norme), mentre nel modulo D, si agisce sulla memoria di lavoro e sulla percezione sociale e teoria
della mente. Per ogni modulo, ci sono delle sedute introduttive, delle sedute di lavoro (compensazione e
ripristino) e degli esercizi in vivo.
Spunto di riflessione: Descrivere gli obiettivi terapeutici della terapia neurocognitiva integrata
La neuroplasticità
La stimolazione magnetica transcranica una metodologia non invasiva che si basa sull’induzione di una
corrente elettrica nel tessuto cerebrale, in grado di stimolare i tessuti nervosi del cervello per mezzo di un
campo magnetico esterno. Il macchinario è composto da un’unità principale (sistema di carica, uno o più
condensatori per l’accumulo di energia, un interruttore di scarica) e dalla bobina per la stimolazione.
L’impulso del campo magnetico indotto attraversa lo scalpo e il cranio, raggiungendo così il tessuto
cerebrale sottostante, inducendo a sua volta una corrente elettrica secondaria all’interno del tessuto
nervoso. La stimolazione dell’area avviene per via transinaptica, ovvero partendo dalle fibre più sottili, per
poi raggiungere quelle più grosse dei primi strati della corteccia. L’intensità deve tenere conto della
differente suscettibilità alla TMS delle varie regioni corticali e anche di quelle tra i vari soggetti. La
regolazione varia in base al caso, utilizzando misure funzionali, come la soglia della corteccia motoria. La
stimolazione viaggia lungo il tratto corticospinale e i motoneuroni periferici, risultando in una risposta del
muscolo, che può essere registrata come potenziale motorio evocato (MEP). La TMS, quindi, produce
cambiamenti della plasticità, migliorando l’inibizione o l’eccitazione dei circuiti corticali. Si applica sia
online (durante lo svolgimento di un compito), che offline (per indurre plasticità a lungo termine LTP o
LTD). I parametri da definire sono: stimolo singolo vs doppio vs ripetitivo, online vs offline, intensità di
stimolazione, durata e frequenza di stimolazione, dove e quando (fMRI, ERPs), localizzazione dell’area di
stimolazione, sicurezza. I vantaggi della TMS sono diversi: è replicabile (ripetibile nello stesso soggetto e/o
in soggetti diversi con lo stesso paradigma), ha una buona risoluzione spaziale e temporale e la si può
combinare con tecniche di neuroimaging per fornire un quadro completo delle informazioni
neurofisiologiche. Gli svantaggi della TMS comportano che, ad esempio, la stimolazione delle regioni
cerebrali sia solo a livello superficiale, che possa essere “fastidiosa” per alcuni soggetti e che vi siano dei
rischi nel suo utilizzo (es. aspetti etici).
Nel 43-48 A.C., Scrobonius Largus osserva una diminuzione del dolore legato all’emicrania tramite il
posizionamento di una torpedine sullo scalpo del paziente. Nel 1804, Giovanni Aldini riporta il successo del
trattamento della depressione tramite l’applicazione di correnti galvaniche sulla testa dei pazienti. Il
periodo tra il 1870 e il 1920 viene definito come l’età d’oro dell’elettroterapia in America e in Europa. La
stimolazione transcranica con correnti dirette (transcranial direct current stimulation – tDCS) consiste
nell’applicazione sullo scalpo di elettrodi eroganti una corrente continua di bassa intensità (circa 1-2 mA).
L’apparecchiatura utilizzata è composta da due elettrodi (anodo e catodo) che formano un circuito chiuso
e un dispositivo a batteria in grado di fornire un flusso di corrente costante/continuativo. Gli elettrodi
vengono solitamente posizionati secondo il sistema di riferimento internazionale 10-20. La corrente
induce cambiamenti nell’attività elettrica dei neuroni, modificandone l’efficienza sinaptica. In funzione della
polarità, la stimolazione può depolarizzare (tDCS anodica) o iperpolarizzare (tDCS catodica) il potenziale
di membrana. Gli effetti della stimolazione singola possono durare per oltre 30 minuti dalla fine della
stimolazione stessa ed è possibile aumentare la durata, tramite delle applicazioni ripetute. I vantaggi della
tDCS riguardano gli effetti durevoli, un’apparecchiatura a basso costo e un basso rischio di eventi avversi.
Gli svantaggi, invece, sono rappresentati da una scarsa risoluzione spaziale e temporale, da una limitazione
alle aree corticali superficiali e può provocare delle emicranie transitorie.
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Spunto di riflessione: Indicare la differenza tra stimolazione anodica e catodica
Applicazioni cliniche
La TMS è efficace per i pazienti che soffrono di neglect e anche per i compiti di apprendimento verbale, nei
pazienti con malattia di Alzheimer. Alcuni studi hanno anche dimostrato che, nei pazienti con demenza
fronto temporale, dopo aver eseguito 10 sessioni di stimolazione bilaterale della corteccia prefrontale
dorsolaterale, c’è stato un decremento dei disordini cognitivi. Inoltre, pazienti che soffrono di afasia sono
stati sottoposti a 10 sessioni di stimolazione dell’area di Broca, grazie alle quali i sintomi sono migliorati
nell’immediato e a distanza di un mese. L’applicazione clinica della tDCS prevede una stimolazione
bilaterale anodica, catodica e sham (stimolazione finta in cui il coil viene posto in alto e la corrente va
verso l’alto, quindi non produce alcun cambiamento) della corteccia temporo-parietale in pazienti in
malattia di Alzheimer. La stimolazione anodica è più efficace sulle funzioni esecutive, mentre quella
catodica sul controllo delle inibizioni.
Spunto di riflessione: E’ possibile modulare le performance cognitive in pazienti con malattia di Alzheimer
tramite le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva?
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