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“AUTISMO: L’APPROCCIO A.E.R.

C”

PROF.SSA GENEROSA MANZO


Università Telematica Pegaso Autismo: l’approccio A.E.R.C

Indice

1 L’APPROCCIO A.E.R.C. : RECIPROCITÀ CORPOREA E ATTIVAZIONE EMOTIVA ------------------- 3


2 L’ETODINAMICA DI N. ED E. TINBERGEN -------------------------------------------------------------------------- 7
3 PRINCIPI E FONDAMENTI DELL’ A.E.R.C --------------------------------------------------------------------------- 9
4 ATTIVAZIONE EMOTIVA, RECIPROCITÀ CORPOREA E GIOCO ------------------------------------------ 22
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 26

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 L’approccio A.E.R.C. : reciprocità corporea e


attivazione emotiva

L’A.E.R.C. è un trattamento-protocollo educativo ideato dal professore Michele Zappella,

psichiatra e studioso della sindrome autistica. Egli si ispira alla holding (abbraccio) di derivazione

americana ha tratto ispirazione per un approccio educativo che fa dell’area emotiva il canale di

avvio di un percorso di educazione del bambino autistico alla vita sociale ed emotiva.

Il lavoro del professore M. Zappella, nasce dalla fusione di molteplici precedenti ed

intuizioni, che gli hanno consentito di dare vita ad un articolato sistema teorico e di azione

educativa e terapica, focalizzati sui principi dell’attivazione emotiva e della reciprocità corporea

con le figure genitoriali.

Siamo di fronte ad un lungo percorso professionale ed intellettuale che si basa sulla

dinamicità, infatti, si prende continuamente atto delle esperienze e delle progressive evidenze

scientifiche che arricchiscono lo scenario delle conoscenze in materia.

Zappella arricchisce e basa la sua ricerca su contributi transdisciplinari che provengono da

campi come l’etologia, psichiatria, neurologia e pedagogia ma, nonostante ciò si mantiene nella

piattaforma neurobiologica e nel conseguente deficit cognitivo, in particolare nel deficit della mente,

la collocazione prioritaria dell’autismo, indicando la decisività, per il corretto sviluppo

dell’individuo, delle connessioni funzionali tra la dimensione biologica e le condotte emotivo-

affettive del bambino.

Egli pone l’accento sulla sfera emotiva ed affettiva, quest’ultima si configura come un

motivo conduttore dell’analisi e della teorizzazione dell’autore e ne sottolinea la natura clinica,

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immersa nella considerazione della irripetibile individualità di ogni caso, il che rende anche plastico

il lavoro sul campo, ben disposto a confrontarsi con i casi e le condizioni più svariate.

Convergendo con le ricerche do De Long e Nothria, Zappella afferma che i Disturbi di tipo

Autistico sono di origine organica o neurobiologica con una incidenza di almeno il 10% di

familiarità di disturbi neurologici. Egli afferma che non si può escludere una genesi psicogena,

soprattutto di tipo depressivo o similare, ma più credibile è la presenza di un qualche danno

neurologico, soprattutto a carico dei neurotrasmettitori corticali, come del resto si riscontra nel

Disturbo di Rett.

Importante è, per Zappella anche la diagnosi, essa infatti, richiede l’osservazione del decorso

della malattia stessa, la quale può essere accompagnata o risolversi in sindromi come i disturbi

dell’umore o i disturbi dismaturativi e con essi risolversi totalmente o parzialmente.

Non è sempre semplice scorgere la natura della patologia per questo non ha più senso

parlare di sindromi autistiche piuttosto che di autismo infantile, come è errato un atteggiamento

purista che contrappone autismi e pseudo autismi.

Uno degli obiettivi fondamentali di tale approccio è quello di rilanciare nel bambino la

motivazione e la capacità di interagire positivamente con la realtà. L’assunzione della prospettiva

educativa, ovvero di un trattamento che affiancandosi a quello farmacologico si delinea come

un’azione di aiuto portata allo sviluppo delle funzioni umane.

L’intervento educativo si connota in questo caso come attivazione e rimanda a situazioni

condotte da un educatore nello stile della sollecitazione e della spinta ad agire globale della persona.

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L’A.E.R.C. tende a dinamizzare tutte le aree di comportamento dal motorio al sensoriale a

quello cognitivo e meta cognitivo, ed ha una chiara natura educativa e si coordina necessariamente

con la scuola da un lato e con la presenza dei genitori dall’altro.

In ragione di questa ampia prospettiva, possiamo collocare tale approccio tra i trattamenti

educativi e, in seno ad essi , negli approcci ecologici, orientati all’interezza della persona e del suo

contesto di vita.

Uno degli elementi focali della ricerca di Zappella è quello di cercare di consolidare tutte le

forme comunicative tra bambini ed adulti. In questa direzione sono centrali alcuni ambiti del

trattamento educativo come il metodo etodinamico e la modificazione della holding.

Una condizione dell’attivazione della strategia relazionale ed educativa indicata da Zappella,

prima come holding, poi come A.E.R.C. , è la competenza degli adulti per un verso, e le risorse

psicodinamiche di cui, a vari livelli, dispone ciascun soggetto1.

Molto impegnati sono i genitori, sui quali poggia l’attivazione della relazione e ai quali

vengono richieste sia dedizione che conoscenza dello sviluppo umano e della patologia autistica

nello specifico.

Generalmente l’educatore che si interessa di svantaggio o disabilità deve pertanto saper

comprendere le caratteristiche del pensiero nel suo andamento evolutivo, le esigenze e le

motivazioni dei bambini, deve inoltre saper parlare con loro facendo uso dei linguaggi appropriati.

Nell’approccio viene definito il cosiddetto paradigma della Triade Educativa, la quale viene

ad essere assunta come criterio di riferimento per tutti coloro che adottano l’ A.E.R.C. o modalità

1
Zappella M., I bambini autistici, l’holding e la famiglia, Carocci, Roma 1987.

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educative simili:

 Le capacità genitoriali;

 Le risorse dei bambini;

 Le competenze metodologiche degli operatori2.

2
Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior, Bergamo 2002.

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2 L’etodinamica di N. ed E. Tinbergen

I coniugi inglesi Niko ed Elisabeth Tinbergen, portano a termine una lunga osservazione di

casi clinici che sono esaminati dalla prospettiva della comparazione etologica, quindi del

comportamento individuale in relazione all’ambiente, pervenendo a classificare ed interpretare le

condotte autistiche.

Basandosi su ciò, i Tinbergen inseriscono l’autismo nel gruppo di disturbi della sfera

emotivo-affettiva che si consolida nei primi mesi di vita. Nello specifico l’attenzione è rivolta ad un

persistente conflitto motivazionale, prolungato nel tempo, che comporta un disturbo/ritardo dello

sviluppo generale e si pone alla genesi di conflitti e squilibri psicodinamici che sono all’origine

delle reazioni autistiche, i sistemi funzionali principali3.

Si osservano in realtà una serie di comportamenti tipici come bizzarrie, stereotipie ecc., tra i

quali si notano, come condotte alternate, da un lato l’evitamento, come spinta a ritirarsi

dall’ambiente di vita, e dall’altro l’avvicinamento ad esso ovvero l’esplorazione. Queste tendenze

conflittuali, sono a certi livelli, costitutive della natura umana ma presenti con maggiore pervasività

nel soggetto con autismo, il quale pertanto si pone rispetto alle persone e alle situazioni nella

duplice dinamica di avvicinarsi o ritirarsi.

Il soggetto con autismo tende a ripetere sistemi funzionali di evitamento, sia come

estraneazione dagli altri, sia come rifiuto do ogni avvicinamento degli altri a sé. Pertanto risultano

compromesse alcune dimensioni della personalità umana, quella cognitiva e simbolica e quella

relazionale e comunicativa, quindi l’autonomia, il linguaggio e la reciprocità sociale. Oltre a tali

3
Tinbergen N., Tinbergen A., Bambini autistici: nuove speranze di cura, Adelphi, Milano 1989.

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comportamenti ve ne sono alcuni di difficile classificazione e che si collocano nei conflitti

motivazionali, di simultanea attivazione di reazioni contrarie da cui la comparsa di ammiccamenti,

sguardi curiosi, instabilità relazionale ecc.

La teoria psicogena dei Timbergen , esclude condizioni congenite, mentre individua alcuni

eventi potenzialmente autismogeni nelle esperienze prenatali come in quelle postnatali, soprattutto

connesse alla relazione genitoriale.

Gli autori ritengono fondamentali per gli esiti del trattamento, discriminare il grado di

gravità della sindrome, distinguendo un autismo debole da uno forte, ma anche la sua maggiore

pervasività in soggetti psicologicamente vulnerabili, in quanto dotati di particolare sensibilità o

elevate doti artistiche.

Tale lavoro oltre a fornire le chiavi di esplorazione e di interpretazione dello scenario

autistico veramente acuti e singolari, indica una linea di trattamento, quello emodinamico, che

riprende esperienze in ambito etologico condotte fin dagli anni ’70.

Pur essendo una modalità poliedrica, quella emodinamica dei coniugi Tinbergen è letta

tendenzialmente come di segno psicoterapico perché privilegia la ricostruzione della

comunicazione, a partire di quella gestuale, e quindi dalla rivisitazione del vissuto personale e duale

con i genitori. Motivi fondamentali sono infatti, il ricorso alla holding da un lato e alla

modificazione della comunicazione nel sistema familiare dall’altro.

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3 Principi e fondamenti dell’ A.E.R.C

Dell’originario metodo emodinamico messo a punto dai coniugi Timbergen, M. Zappella

utilizza una serie di paradigmi di natura etologica.

Nell’approccio di Zappella resta comunque predominante il persistente conflitto

motivazionale fra bambino ed adulto, che si protrae dannosamente come conflitto motivazionale

prolungato nel tempo e che genera un complesso di comportamenti tipici tra i quali svettano le

condotte alternate di avvicinamento e evitamento.

Nella strutturazione di tale condizione, dinamiche necessarie coinvolgono, la figura materna,

poiché la primaria relazione comunicative ed emozionale con la madre costituisce per il neonato

l’indispensabile sponda del processo di sviluppo affettivo e mentale, che gli consente da un lato di

scoprire il mondo e dall’altro di sentirsi accolto e confermato in quello che vive e fa.

Al contrario di quanto a lungo sostenuto nel versante psicologico, non vi sono conferme di

attribuzione di responsabilità dell’atteggiamento materno, mentre con più probabilità accade il

contrario, ovvero che la genitrice esperisce forti sensazioni di privazione e di frustrazione e , spesso,

cade in stati di depressione, a seguito degli insuccessi nella comunicazione col proprio bambino, dal

quale non viene corrisposta nelle modalità affiliative, non ottiene lo scambio del sorriso, dello

sguardo e delle altre gestualità.

La madre introduce il figlio gradualmente nella realtà ad aiutarlo ad orientarsi nel mondo dei

suoni, dei colori, delle persone , ma il bambino autistico non riesce a beneficiare di queste

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opportunità. Egli resta intrappolato in un permanente conflitto motivazionale, nel quale prevale la

spinta all’evitamento, e che si manifesta in una dinamica di reazioni circolari4.

Tutto avviene come se la madre fosse sotto uno stress permanente in cui il suo allarme

Per la sopravvivenza del figlio è elevato: di conseguenza la madre sarà portata più

facilmente a dare delle risposte critiche rivolte a lui.

Il bambino è a sua volta prigioniero com’è d’un conflitto motivazionale, è anche molto

insicuro e si rifugia in una sorta di onnipotenza infantile, di fatto alle risposte critiche della madre

tende a dare in cambio dei comportamenti della serie autistica, spesso proprio quelli che sono

particolarmente disturbanti per lei.

Fra l’uno e l’altra, generalmente poi fra il bambino e l’intero sistema familiare, si mette a

punto una specie di gioco ripetitivo, che spesso si complica e al tempo stesso si accentua.

La struttura familiare si altera nei ruoli e nei rapporti di potere per cui si può arrivare a non

capire più quali sono i genitori e quali sono i figli, e chi comanda di fatto può essere proprio il

bambino autistico almeno in una varietà di situazioni quotidiane.

L’autore si sofferma anche sullo studio delle dinamiche dell’io e in tal caso egli riprende la

lettura dello sviluppo relazionale da Trevarthen che, nel solco della tradizione psicoanalitica,

individua 4 fasi dello sviluppo relazionale.

1) Intersoggettività primaria. Condizione diadica, interazione diretta ed esclusiva con l’adulto,

senza mediazione di oggetti.

4
Zappella M., Autismo infantile. Studi sull’affettività e sulle emozioni, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996.

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2) Intersoggettività secondaria. Condizione triadica, interazione mediata tra bambino- adulto-

oggetto, quindi esplorazione e relazione con la realtà.

3) Interazione sociale. Condizione di ampia interazione, scoperta delle intenzioni e pensieri

degli altri.

4) Gioco simbolico. A partire dal secondo anno di vita, quale capacità che schiude

all’imitazione, al pensiero differito, alla finzione, al narrare ecc.

Zappella propone un tipo di approccio centrato sul recupero della reciprocità tra il bambino

autistico e il genitore, adattando in modo significativo la modalità eccessivamente intensiva

dell’holding, maturata in ambito psicoanalitico ed etologico, proponendo un trattamento terapeutico

ed educativo fondato sull’integrazione progressiva del modello etologico-comportamentale con

quello sistemico.

Il paradigma della holding mantiene tutto il suo rilievo e la conseguente azione di

modificazione della comunicazione nel sistema familiare, alleggerita tuttavia di alcuni aspetti

eccessivamente intrusivi resi dalla esperienza psicoanalitica5.

Zappella ritiene infatti che se ne debba fare un uso appropriato, confrontandosi con i diversi

tipi di manifestazione della holding, non mancando di privilegiare il parlare e i contenuti della

comunicazione6.

5
Crispiani P., op.cit., p.5.
6
Zappella M., Il pesce bambino, Feltrinelli, Milano 1976.

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La prima modalità holding infatti si connotava per certa forza intrusiva e schematicità

procedurale, prevedendo una serie di esperienze provocate, in qualche modo forzate:

 Il bambino è tenuto sulle ginocchia del genitore, coadiuvato dall’altro;

 Attivazione faccia a faccia;

 Attivazione di prime forme comunicative pre-linguistiche;

 Attivazione di semplici comunicazioni linguistiche di riconoscimento, elogio ecc.

Tale condizione suscitava facilmente dapprima uno stato di crisi reattiva nel bambino

autistico, sulla quale agiva l’azione di gestione da parte dei genitori, fatta di contatti e

comunicazioni positive.

Elementi costitutivi di tale pratica sono:

 Il contatto corporeo ed oculare;

 Un flusso verbale dall’adulto al bambino;

 Un dislivello di potere tra bambino e adulto, a favore del secondo.

Per effetto di tali condizioni, la holding si pone come strumento efficace per il chiarimento

dei ruoli e dei rapporti di potere fra le persone, ma anche per l’instaurarsi di una comunicazione

diretta, seppur a qualche livello modellata.

Su questa prima esperienza, dai tratti più psicoterapici che educativi, che pur ha ottenuto

risultati, come segnala Zappella, dagli anni ’80 sia avvia la definizione di una modalità più affinata

e collegata a una comprensione più attenta della reattività individuale della comunicazione

familiare.

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Marcata da maggiore sensibilità e complessità è la modalità di trattamento che Zappella e

collaboratori sviluppano, come evoluzione della holding psico-etologico-dinamica, e che pone a

protagonista la condotta emozionale sia del bambino che dei genitori a partire dalla consapevolezza

che vi sono diversi modi di attivare il contatto corporeo e di sostenere le forme di comunicazione.

Non appare sufficiente la semplice situazione strutturata della holding, poiché la

comunicazione si erige in quanto scambio di significati comuni più che come tecnica direzionata

dall’adulto al bambino, rimanda cioè a una forte connotazione semantica che si ritrova nella parola

come nella gestualità, per il carico di significati emotivi che esse veicolano.

La nuova procedura si discosta quindi sensibilmente dalla precedente, alla luce di alcune

considerazioni:

 Attenta osservazione clinica dei casi;

 Necessità di riservare maggior rispetto al bambino in trattamento;

 Azioni terapico-educative di minore rispetto al bambino in trattamento;

 Massimo coinvolgimento dei genitori;

 Incremento qualitativo e semantico delle forme comunicative7.

Occorre anzitutto che l’intera famiglia, sia messa in grado di ristrutturare la comunicazione

interna, di ciascuno con il soggetto autistico con coscienza e senza giochi, in regime di Holding

chiara e corretta. Per questo, adulto deve acquisire una maturità emotiva tale che sia in grado di

resistere ai tentativi di evitamento e non cada nel gioco del circuito evitamento-avvicinamento,

7
Crispiani P., op.cit., p.5.

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quindi sappia mantenere la comunicazione, pur nell’essenziale asimmetria o dislivello di potere tra

gli adulti e il bambino.

Presupposto di tale condizione è l’unione dei genitori, l’omologia del loro comportamento,

quindi l’assenza di conflitti, crisi, mancanza di identità e ruoli, caos, improvvisazione ecc.

In proposito, sono utili interventi specialistici di tipo sistemico-familiare, nei casi di

destrutturazione familiare accentuata, prima di avviare la situazione di holding.

L’approccio A.E.R.C. non esclude pertanto un organico intervento di modificazione del

sistema di relazioni e delle comunicazioni nel nucleo familiare, allorché si presentino alterati e non

funzionali al recupero delle funzioni comunicative nel bambino autistico. A tal proposito , Zappella

precisa che le psicoterapie basate sulla convinzione che l’autismo è causato dai genitori sono

attualmente sconsigliate da alcuni specialisti mentre la possibilità di un sostegno psicoterapico ad

una famiglia in difficoltà è tuttora considerata una risorsa utile.

L’osservazione clinica appartiene a varie discipline e interpreta funzioni essenziali

nell’economia dell’A.E.R.C., quale impegno professionale e genitoriale di comprendere i segnali

ritenuti più significativi, nel quadro dello spettro autistico, come pure di escludere gli indizi invece

non pertinenti. Il compito è ovviamente gravoso e richiede apposita specialistica formazione per

terapeuti ed educatori e formazione consapevole per i familiari8.

La conoscenza dei sintomi primari e secondari appare dunque fondamentale e si distende

sull’intero arco delle condotte umane. Con particolare riferimento al bambino fino ai 6/7 anni,

risultano decisivi i sintomi manifesti a tale precocità quindi:

 Inespressività del viso;

8
Crispiani P., op.cit., p.5.

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 Assenza di attitudine anticipatrice;

 Assenza dell’aggiustamento posturale;

 Scarsa reazione ai suoni;

 Evitamento corporeo;

 Variabilità esagerata dell’umore;

 Attitudine a rimanere solo per ore senza lamentarsi;

 Emissione di suoni strani e monotoni;

 Incapacità a organizzare un semplice gioco;

 Assenza o ridotta capacità del gioco simbolico;

 Assenza o ridotta curiosità;

 Ridotto coinvolgimento emotivo con l’altro;

 Assenza o ridotta restituzione dello sguardo9.

Emerge nell’organico sistema teorico qui trattato, il paradigma dell’attivazione,

emblematico del senso e della direzione del tipo di approccio in questione. Si tratta di una

attivazione condotta dell’adulto, che si protrae nel motorio e nel percettivo, ma che tende a rendersi

significativa nell’interiorità del vissuto emozionale e affettivo del bambino e quindi, a tradursi in

comunicazione. Potremo dire, forzando un po’ la mano all’Autore, che il processo psicodinamico è

9
Crispiani P., op.cit., p.5.

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qui sospinto dal fuori al dentro, dall’esperienza senso-motoria verso quella relazionale, fino

all’interiorità delle reazioni emozionali del bambino.

Fattore di divergenza rispetto alle pregresse esperienze cliniche diventa allora la

dinamizzazione dell’emotività, come risorsa essenziale per muovere le competenze comunicative e

cognitive in genere.

L’attivazione emotiva consiste nel creare un aumento quantitativo di stimoli specifici ,

creando in questo modo una instabilità del sistema nervoso e poi esponendolo ad una situazione per

lui nuova e quindi ridirezionarlo.

Questa condizione viene ricercata mediante forme più significative di stimolazione ,

soprattutto a carico delle espressioni gestuali e verbali, quindi la variazione del tono di voce ,

l’incontro di sguardi, l’attività motoria e il contatto corporeo.

Si tratta di varianze che il terapista e l’educatore attiva modula in relazione alla reattività del

bambino in trattamento e che hanno lo scopo di sollecitare percezioni e risposte di vario tipo e

quindi la reciprocità. Su questa, si inizia a costruire l’iterazione umana in forme progressive.

Per il soddisfacimento di tale obiettivo, genitori ed educatori devono a volte acconsentire al

copione comportamentale espresso dal bambino, compresi i comportamenti tipicamente autistici,

per poi modificarli, mutandoli in positivo, in una serie di opportunità di collaborazione mediante il

ricorso alla modulazione della voce, al gioco corporeo, all’attività motoria, alla corsa improvvisa,

all’imitazione di suoi tratti comportamentali personali, e in generale alle modalità affiliative.

Circa il setting è possibile affermare che le situazioni terapico-educative sono condotte in

un setting progettato in sedute bisettimanali in apposite sedi dove il genitore, assistito da un

terapeuta, cerca di condurre il bambino ad attività pittoriche, manipolatorie e di gioco. Le sale in cui

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si svolge l’azione di tale approccio sono ampie ed attrezzate, esse sono inoltre, provviste di uno

specchio unidirezionale e di una videocamera che consente poi, ad un altro terapeuta e all’altro

genitore di seguire la vicenda. Il trattamento ha seguito a casa, ad opera dei genitori, non

escludendo particolari adattamenti dell’ambiente e delle condotte degli insegnanti a scuola10.

Anche in questo approccio come in quello di Peeters si pone l’accento sull’importanza

dell’educazione per tutta la vita, il sostegno e l’aiuto dell’azione educativa, il che rimanda ad un uso

pedagogico e intelligente dei metodi educativi esistenti e delle risorse

Dei sussidi disponibili. Il soggetto con autismo infatti, è portatore di varie difficoltà sia

inerenti alla sfera comunicative che cognitiva, ovvero di un modo proprio e singolare di rapportarsi

con l’ambiente e di codificare i messaggi provenienti dall’esterno, esprime un forte bisogno di

questa mediazione educativa11.

È compito dell’intelligenza pedagogica dell’educatore, guidarlo verso la più organizzata e

ordinata comprensione della realtà ponendosi come mente più esperta.

Ogni educatore, a tal scopo costruisce ed adotta un proprio stile di lavoro ovvero un modo

personale di comunicare e di utilizzare strategie didattiche ed educative.

10
Cottini L., Educazione e riabilitazione del bambino autistico, Carocci, Roma 2002.
11
Crispiani P., op.cit., p.5.

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FASI ATTUATIVE DELL’ A.E.R.C.

1. Colloquio con i genitori e valutazione delle abilità e delle capacità relazionali nel nucleo

familiare;

2. Ridefinizione in positivo delle abilità presenti nel bambino;

3. Ridefinizione in positivo delle capacità genitoriali;

4. Modulazione della voce per catturare l’attenzione del bambino;

5. Presenza (quando è possibile)di due terapeuti/educatori;

6. Uso dello specchio unidirezionale;

7. Esposizione a situazioni emozionali intense;

8. Attivazione motoria e corporea;

9. Tempi brevi di relazione diretta12.

12
Crispiani P., op.cit., p.5.

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DURANTE IL TRATTAMENTO
L’EDUCATORE PONE IN ATTO LE
SEGUENTI RISORSE E STRATEGIE:

 Il proprio sguardo;

 La modulazione della voce;

 La guida motoria;

 Il contatto corporeo;

 L’espressione del viso;

 Modalità relazionali poco intrusive;

 Saper attendere, osservare e cogliere l’inatteso;

 Anticipazione di alcuni comportamenti problematici;

 Far finta di essere poco interessato ai suoi comportamenti per alcuno momenti;

 Modalità creative e flessibili;

 Narrazione e gioco simbolico;

 Dare senso a ciò che avviene, ricostruire le situazioni, reinterpretare il copione;

 Introdurre graduali modificazioni;

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 Conoscenza approfondita del percorso evolutivo normale di un bambino;

 Essere consapevole dei propri canali di espressione e del linguaggio corporeo usato13.

Per lo svolgimento di tale azione professionale, all’educatore, terapeuta, genitore, si

richiedono una serie di specifiche capacità.

LE CARATTERISTICHE
PROFESSIONALI
DELL’EDUCATORE

 Saper parlare al bambino;

 Mantenere il suo viso frontale al genitore;

 Esporre il bambino a modalità di contatto corporeo e di confronto verbale a due, tipo

frontale prima e laterale dopo;

 Ottenere l’attenzione del bambino;

 Saper attendere le risposte/ condotte;

 Promuovere il muoversi verso l’altro;

 Variare la stimolazione;

 Variare gli stili comunicativi gestuali e verbali;

13
Crispiani P., op.cit., p.5.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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 Accogliere modalità educative/terapiche personali;

 Attivare la reciprocità;

 Dissolvere il conflitto motivazionale.

Al contrario di quanto si possa pensare , oltre a capacità creative l’A.E.R.C. richiede

all’educatore una solida preparazione teorica e clinica, una profonda conoscenza dei bisogni dei

bambini e una opportuna cultura generalista.

In definitiva l’educatore che utilizza l’A.E.R.C. mantiene nel proprio scenario professionale

la triade educativa :

1) Conoscenza;

2) Esperienza;

3) Intelligenza pedagogica14.

Prima di mettere a punto un trattamento educativo e terapeutico l’ A.E.R.C. prevede, oltre

all’osservazione clinica, una valutazione multifattoriale che comprende quella medica, psicologica,

pedagogica, rivolte all’interezza della persona, ovvero all’insieme delle aree funzionali che

costituiscono la sua personalità. Diventano oggetto di osservazione e analisi i comportamenti riferiti

alla globalità dello sviluppo, con particolare attenzione, all’intelligenza non verbale, all’intelligenza

senso-motoria e al livello cognitivo. Ci si avvale inoltre, dove è possibile, di materiali video che

riguardano il bambino, girati in casa in occasione di feste, in vacanza o a scuola.

14
Crispiani P., op.cit., p.5.

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4 Attivazione Emotiva, Reciprocità Corporea e


gioco

L’attivazione emotiva e la reciprocità corporea, avendo una chiara connotazione

psicomotoria e relazionale trova un significato alleato nella proposta ludica, infatti gioco ed attività

motoria costituiscono azioni fondamentali in tutti i bambini con o senza autismo.

L’attività giocosa consente una quantità di guadagni formativi, in direzione della

esplorazione e conoscenza del proprio corpo, scoperta dei propri limiti, attivazione di ampie

relazioni comunicative e sociali, esperienze emozionali di piacere e soddisfazione, potenziamento

della comprensione delle intenzioni proprie e altrui. Questa straordinaria opportunità deve essere

offerta a tutti i bambini, anche a coloro che vivono in una condizione autistica. Le loro difficoltà

non devono essere ostacolo alle situazioni di gioco.

Il bambino con autismo presenta una difficoltà nella reciprocità sociale, nel pensiero

immaginativo, nella comunicazione, incontra molti ostacoli nel gioco spontaneo e organizzato, nel

mostrare interesse verso i giochi condivisi15.

Per tali ragioni ogni programma educativo, oltre alle abilità linguistiche, non può trascurare

la dimensione ludica, come parte fondamentale di ogni intervento mirato ai processi integrativi.

Generalmente, il bambino sin da molto piccolo, mostra le sue competenze ludiche egli è curioso ed

entra in relazione con la figura materna che lo avvia verso la conoscenza e l’interpretazione

dell’ambiente.

15
Zappella M., Non vedo, non sento, non parlo. Autismo infantile: come i genitori possono guarire da soli i propri figli,
Mondadori, Milano 1984.

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Quasi da subito instaura un rapporto significativo con il mondo delle persone e degli oggetti,

con il mondo delle relazioni. La maggior parte di questa conoscenza passa proprio attraverso il

gioco solitario e condiviso.

Il gioco si modifica e si evolve a seconda delle opportunità, dello stadio evolutivo raggiunto,

alle difficoltà relazionali e cognitive16.

Schematicamente si possono mostrare alcune tipologie:

 Gioco iniziale;

 Gioco senso motorio-esplorativo;

 Gioco imitativo;

 Gioco organizzato-costruttivo;

 Gioco di finzione;

 Giochi con le regole17.

Per un bambino autistico raggiungere questi modi di giocare risulta particolarmente difficile

ma non possibile. Difficile perché molte delle competenze necessarie per giocare sono quelle

interessate di deficit: non è possibile, tuttavia, poiché attraverso un approccio precoce a valenza

A.E.R.C. si può favorire l’acquisizione di abilità quali la disponibilità, la reciprocità, utili per le

prime fasi del gioco.

16
Crispiani P., op.cit., p.5.
17
Crispiani P., op.cit., p.5.

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Insegnare a giocare ad un soggetto con autismo può rispondere a molte esigenze tra le quali:

 migliorare alcune funzioni cognitive di base;

 favorire il rapporto con l’altro;

 favorire la comprensione di sé e dell’altro;

 consentire forme di prevenzione al fine di ridurre il peso delle problematiche

comportamentali future e delle stereotipie.

Il gioco rappresenta anche un utile percorso per completare la valutazione del bambino

autistico, pertanto saranno osservati i seguenti comportamenti:

 Gioca da solo;

 Gioca con l’altro adulto;

 Propone giochi;

 Accetta le proposte di gioco del gioco da un altro;

 Compie giochi senso-motori;

 Compie giochi di costruzione;

 Si diverte ad imitare;

 Usa giocattoli per lo scopo per cui sono stati costruiti;

 Fa giochi simbolici con il corpo;

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 Organizza un gioco da solo con un altro18.

18
Crispiani P., op.cit., p.5.

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Bibliografia

 Cottini L., Educazione e riabilitazione del bambino autistico, Carocci, Roma 2002

 Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior,

Bergamo 2002

 Tinbergen N., Tinbergen A., Bambini autistici: nuove speranze di cura, Adelphi, Milano

1989

 Zappella M., Il pesce bambino, Feltrinelli, Milano 1976

 Zappella M., Autismo infantile. Studi sull’affettività e sulle emozioni, La Nuova Italia

Scientifica, Roma 1996

 Zappella M., I bambini autistici, l’holding e la famiglia, Carocci, Roma 1987

 Zappella M., Non vedo, non sento, non parlo. Autismo infantile: come i genitori possono

guarire da soli i propri figli, Mondadori, Milano 1984

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