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DISTURBI COGNITIVI IN ETA’ EVOLUTIVA

DIAGNOSI E VALUTAZIONE PSICOLOGICA IN ETA' EVOLUTIVA

LA VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA è un percorso ragionato e complesso che si svolge


attraverso la raccolta di informazioni provenienti da varie fonti:
 – colloquio con i genitori;
 – ricostruzione delle tappe di sviluppo;
 – osservazione del comportamento del bambino;
 – osservazione dell’interazione con i genitori;
 – somministrazione di prove strutturate.
SCOPI della Valutazione sono:
1. Individuare gli aspetti problematici (segni e sintomi).
2. Dare un senso alle difficoltà, alla sofferenza sperimentate dal bambino.
La valutazione si inserisce all’interno di un più ampio quadro di operazioni condotte con l’intento di
giungere ad una formulazione del caso per:
- identificare i meccanismi di mantenimento e aggravamento della sintomatologia presentata;
- individuare i fattori (interni o esterni) che hanno portato alla rottura dell’equilibrio della condizione
premorbosa (scompenso);
- ricostruire la storia che ha favorito lo sviluppo del problema o dei problemi.
Tra le finalità di un processo di valutazione vi è quello di giungere ad una DIAGNOSI che, nel caso
dell’età evolutiva richiede:
 – una classificazione nosografica di riferimento;
 – la comprensione del funzionamento psicologico e relazionale del bambino (profilo interno del
disturbo);
 – Inquadramento della fase di sviluppo che il bambino sta attraversando;
 – la conoscenza delle condizioni ambientali (famiglia e società) in cui vive ed è vissuto fino a quel
momento.
 Le fasi della valutazione prevedono i seguenti passi:

1. Segnalazione da parte di un adulto di riferimento (genitori, insegnanti, figure educative,


ecc.), più raramente da parte del minore;
2. Colloqui anamnestici e clinici con i genitori e altre figure di riferimento del minore;
3. Colloqui clinici con il minore;
4. Esame psicodiagnostico del minore;
5. Analisi dei dati e delle informazioni raccolte;
6. Stesura di un report o di una relazione psicologica;
7. Restituzione ai genitori e al minore.
LA SEGNALAZIONE rappresenta il primo contatto con i genitori utile a condurre un buon
assessment e che permette di :
– Raccogliere i dati necessari alla concettualizzazione del caso;
– Raccogliere gli elementi per la ricostruzione dei meccanismi e dei processi connessi a i
sintomi presentati;
– orientarsi verso un’ipotesi diagnostica.
Le principali difficoltà che si possono incontrare in questa fase riguardano:
- mancato riconoscimento del problema da parte del bambino e/o dei genitori (es: invio avvenuto da
parte di altre figure);
- presenza di teorie ingenue sul problema(cause e cura);
- timore (da parte dei genitori) di essere accusati e colpevolizzati.
COLLOQUI ANAMNESTICI E CLINICI con i genitori e altre figure di riferimento del minore
permettono di ricostruire la storia dello sviluppo del bambino (anamnesi) mediante la raccolta di
informazioni :
- sulla storia “reale” delle tappe di sviluppo motorio, linguistico, cognitivo e affettivo del bambino dato
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oggettivo.
- Sullo stato emotivo ed affettivo con cui il genitore ha vissuto eventi, circostanze, tappe di sviluppo.
In particolare si andrà ad indagare le Rappresentazioni mentali di Sé come genitore in
relazione al figlio ed al partner, le aspettative riguardo la propria idea di genitorialità, il significato
e l’ impatto dei sintomi in relazione al bambino ed al suo ambiente familiare.
UNA SCHEDA AMANNESTICA dovrà contenere
1. I dati socio anagrafici;
2. Il motivo della segnalazione;
3. L’Anamnesi fisiologica;
4. L’Anamnesi psicologica;
5. La scolarità del bambino,
6. Informazioni sul tempo libero
7. Informazioni sulla relazione bambino-genitore
8. Informazioni sulla relazione bambino-fratelli
IL PROCESSO DIAGNOSTICO in età evolutiva è un percorso ragionato e complesso che si
svolge attraverso la raccolta di informazioni provenienti da varie fonti:
- colloquio con i genitori;
- ricostruzione delle tappe di sviluppo;
-  osservazione del comportamento del bambino;
- osservazione dell’interazione con i genitori;
- somministrazione di prove strutturate
La raccolta di queste informazioni permette di giungere alla FORMULAZIONE DEL CASO ossia ad
una Diagnosi. Il processo diagnostico è articolato in tre aree.
1. Diagnosi Nosografica in cui il disturbo è inserito all’interno di un quadro riconoscibile di segni
e sintomi, ciò rende più agevole il confronto tra clinici oltre a rendere possibile la diagnosi
differenziale con altri disturbi.
2. Diagnosi Psicopatologica descrive, invece, in ottica evolutiva, la progressiva
trasformazione/riorganizzazione della personalità frutto dell’adattamento continuo con
l’ambiente.
3. Diagnosi Funzionale definita Profilo di Sviluppo indica le linee di sviluppo delle competenze
(cognitive, motorie, linguistiche del bambino), descrivendo il disturbo in termini di atipie,
”diversità” rispetto alla distanza da una “norma”.

Riguardo la diagnosi nosografica in età evolutiva attualmente si fa rifermento:

DSM 5 - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (American Psychiatric Association,
2013).

ICD 10 - Classificazione delle sindromi e dei disturbi psichiatrici e comportamentali (World Health
Organization, 1992).
Classificazione 0-3 - National Center for Clinical Infant Programs di Washington, 1994.
Si tratta di sistemi diagnostici che, nel tempo, hanno iniziato ad interagire, possono, quindi essere
utilizzati anche in maniera integrata. Il DSM 5° è il più recente sistema diagnostico tassonomico, ma
nonostante lo sforzo impiegato in questa ultima edizione nel coniugare la diagnosi nosografica con
gli aspetti più dimensionali del disturbo, non è stato esente da CRITICHE. Tra le principali:

– I criteri diagnostici non tengono conto della mutevolezza dell’espressività clinica della
patologie in età evolutiva che risentono ovviamente dello sviluppo cognitivo emozionale.
– Manca un’adeguata presa in considerazione dell’ecosistema.
– Presente un’enfasi particolare su segni e sintomi e non sui sentimenti.
– Molti dei sintomi risentono della valutazione soggettiva dell’operatore.
– I criteri di inclusione/esclusione dalla diagnosi sono rigidi il che può portare a porre diagnosi
solo nei casi più gravi. (mancata diagnosi).
– La mancanza di possibilità di riflettere sulla contemporanea presenza di più quadri
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diagnostici in compresenza. (problema della comorbilità)

STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI gli strumenti psicodiagnostici utlizzati nell’età evolutiva sono:

A)COLLOQUIO PSICOLOGICO è uno degli strumenti utilizzati nella valutazione


psicodiagnostica dell’età evolutiva, finalizzato a:
 esame psicologico del bambino risulta in quest’area lo strumento privilegiato, anche
se bisogna tenere conto dell’età del bambino: con i più piccoli si potrà ad es. usare il
disegno, con bambini più grandi sarà possibile porre domande di approfondimento e di
riflessione sui propri stati mentali, sui propri pensieri.
 l’esplorazione delle preoccupazioni e delle aspettative dei genitori sullo sviluppo del
bambino;
 l’indagine sulle caratteristiche personali e sulle risorse di cui dispongono i genitori;
 indagare i l sostegno che ricevono dalla famiglia allargata (La rete socio-familiare)
 indagare il contesto socio economico ;
 il funzionamento del sistema familiare;
 i valori culturali di riferimento;
 il sistema di credenze presente all’interno del nucleo familiare.

B)L’OSSERVAZIONE del comportamento del bambino e dell’interazione con i genitori


rappresenta lo strumento elettivo di valutazione dello sviluppo, soprattutto nella prima infanzia,
parte integrante dei processi di misurazione. Distinguiamo in:
1. Osservazione non strutturata: caratterizzata da un grado minimo di formalizzazione e di
restrizione riguardo il setting di osservazione, le risposte dei soggetti osservati (bambino solo o
in interazione) e la tecnica di raccolta dati. Può essere applicata a vari contesti: Es:
osservazione del gioco libero o osservazione della gestione dello spazio.
2. Osservazione strutturata: è un tipo di osservazione del bambino che segue delle regole
precise, si tratta di un osservazione in cui lo psicologo varia il comportamento nei confronti del
soggetto osservato, proponendo compiti differenziati in funzione dell’età e/o dello scopo
dell’osservazione che si vuole raggiungere, si avvale dell’utilizzo di griglie.

C)INTERVISTE distinguiamo due grandi categorie:


- RESPONDENT BASED INTERVIEW interviste altamente strutturate, a domande chiuse,
basate sulle risposte dell’intervistato. (es CBCL).
- INTERVIEWER BASED INTERVIEW nelle quali si usano domande aperte, la codifica
delle risposte è basata sul giudizio di un intervistatore esperto; (Es. K- SADS).
TIPI DI INTERVISTE
● K-SADS (Kaufman et al.) fascia di età 6-17 anni. E’ un intervista semi-strutturata, basata
sul giudizio clinico di un intervistatore esperto, la diagnosi è di tipo categoriale basata
informazioni raccolte con il paziente, con i suoi genitori e sui dati osservativi.
● LA VINELAND ADAPTIVE BEHAVIOR SCALE è un intervista semi-strutturata
sull’autonomia personale del soggetto, da proporre ai suoi genitori o ai suoi tutori (se adulto
disabile). Le scale misurano le 4 dimensioni principali del comportamento adattivo:
- Comunicazione
- Socializzazione
- Abilità quotidiane
- Abilità motorie.
● SCICA 6-18 anni è un intervista semi-strutturata per bambini e adolescenti (oltre alle
risposte, anche osservazioni dell’intervistatore sul comportamento dell’intervistato; prevede
anche domande su eventuali problemi emotivi o comportamentali riferiti da genitori o
insegnanti al CBCL, o al Teacher Report Form). Gli item confluiscono in 7 scale
sindromiche, che possono dare indicazioni nella valutazione del rischio evolutivo.

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D) QUESTIONARI E TEST
1. (ASEBA) (Achenbach System of Empirically Based Assessment) è un sistema
multiassiale di valutazione empirica, elaborato da Thomas Achenbach e dai suo
collaboratori nell'ambito di un paradigma valutativo interessato a ottenere informazioni
sull'adattamento, le competenze, i problemi comportamentali ed emotivi del bambino e
dell'adolescente, individuabili in situazioni diverse e derivate da fonti multiple (genitori,
insegnanti, educatori, bambino stesso ). Integra l’aspetto categoriale con quello
dimensionale. Gli strumenti valutativi utilizzati sono:
 Questionari autodescrittivi compilati dall'adolescente SELF - REPORT
 Questionari di valutazione REPORT FORM per raccogliere descrizioni sul
bambino e sull'adolescente fornite da persone familiari che conoscono
l'adattamento del soggetto nell'ambiente di vita condiviso (genitori, insegnanti) e
da altri osservatori esperti (clinici, educatori, operatori dei servizi sociali). È
possibile, quindi, effettuare un confronto incrociato dei risultati forniti dagli
strumenti self report e report form.
Per i bambini fino a 5 anni esistono solo due questionari (non esistendo un auto-somministrato
per questa fascia d'età):
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST (CBCL).
- IL CAREGIVER- TEACHER REPORT FORM
Per i bambini più grandi e per gli adolescenti si possono, invece, utilizzare, tre questionari:
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST 6-18 (CBCL)
- LO YOUTH SELF-REPORT (YSR)
- IL TEACHER’SREPORT-FORM (TFR)
Dai punteggi, confrontati con i valori normativi si ottengono due profili separati: un profilo di
competenze (attività, socialità, scuola) e un profilo psicologico e/o psicopatologico.
Le 8 sindromi individuate dalla CBCL sono:
- Ritiro
- Lamentele Somatiche,
- Ansia/Depressione ( Internalizzazione o problemi di Personalità),
- Problemi Sociali,
- Problemi di Pensiero,
- Problemi di Attenzione
- Comportamento Delinquenziale,
- Comportamento Aggressivo
Tali sindromi sono a loro volta raggruppabili in due scale globali:
- scala dei problemi internalizzanti (reattività emotiva, ansia, depressione, lamentele
somatiche, ritiro sociale, problemi del sonno) e
- scala dei problemi esternalizzanti (comportamento aggressivo, trasgressione delle
regole).
2. BATTERIA SAFA questionari autosomministrabili (maggiore sincerità) 8-18 anni; 6 scale:
- Ansia (presente in 3 versioni, distinte per fasce di età)
- Depressione
- Sintomi ossessivo-compulsivi
- Disturbi alimentari psicogeni
- Disturbi somatici
- Fobie
3. Q-PAD Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza 14-19 anni
4. MMPI-A (per gli adolescenti: 14-18 anni) l'MMPI-A composto da 478 items, 6 scale di
validità per cui è un questionario che permette di individuare eventuali profili non validi in
più c'è un indicatore di validità che non è una vera e propria scala, denominato “non so”,
che indica il numero totale di items che l'esaminato lascia in bianco o a cui non risponde sia
“vero” che “falso”. Poi abbiamo 10 scale cliniche di base, 15 scale di contenuto che
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riguardano problemi scolastici legati all'adolescenza, basse aspirazioni, l'alienazione,
problemi di condotta e poi l'ansia, l'ossessività, la depressione, la preoccupazione per la
salute, la bizzarria, la rabbia, il cinismo, la bassa autostima, il disagio sociale, problemi
familiari e indicatori di difficoltà di trattamento. Vi sono poi 6 scale supplementari quali:
- la scala dell'ansia,
- la scala della repressione,
- la scala dell'alcolismo,
- la scala dell'ammissione a problemi con alcol e droga,
- la tendenza all'abuso di alcool o droga
- l'immaturità.

BATTERIA SAFA La batteria SAFA è uno strumento diagnostico che si serve di questionari
autosomministrabili che permettono di valutare sintomi e stati psichici. La sua struttura è
organizzata in maniera tale da potersi adattare alle modalità di comprensione e di valutazione di
ogni fascia di età. La batteria è adatta alla fascia di età 6-18 e comprende 6 scale, somministrabili
sia congiuntamente che singolarmente, che valutano l'ansia, la depressione, i sintomi ossessivo-
compulsivi, i sintomi somatici e ipocondria, le fobie ed i disturbi alimentari psicogeni.

CBCL ( Child Behavior Checklist) è un sistema di valutazione psicodiagnostica dell’età evolutiva


che rientra nel un sistema multiassiale di valutazione empirica, elaborato da Achenbach
(ASEBA); prevede l’utilizzo di vari strumenti standardizzati per la valutazioni di problemi emotivi e
comportamentali, inoltre richiede il coinvolgimento di più osservatori esterni: genitori, insegnanti,
educatori, clinico e il bambino stesso.. Dall’incrocio dei dati si arriva ad un profilo globale. La
Classificazione, definita dimensionale, è molto usata in studi epidemiologici, consente di
definire e misurare un fattore “generale” relativo a due diverse aree in cui includere i disturbi:
esternalizzanti e internalizzanti.
È composta da un protocollo basato su domande aperte organizzate in 6, 7 o 8 sezioni (in base
alla fascia d’età a cui viene somministrata ed alle informazioni che è necessario acquisire) ed una
valutazione quantitativa ottenuta rispondendo ad alcuni item che permettono di individuare la
presenza di problemi emotivi e comportamentali:
Sez. 1: Attività, scuola e lavoro
Sez. 2: Amici
Sez. 3: Relazioni familiari
Sez. 4: Fantasie
Sez. 5: Percezione di sé, sentimenti
Sez. 6: Problemi riferiti
Sez. 7: Livello di apprendimento (opz.)
Sez. 8: Screening per anomalie della motricità grossolana e fine (opz.)
I due strumenti di raccolta dati utilizzati sono:
1. SELF - REPORT questionari autodescrittivi compilati dall'adolescente
2. REPORT FORM questionari di valutazione per raccogliere descrizioni sul bambino e
sull'adolescente fornite da persone familiari che conoscono l'adattamento del soggetto
nell'ambiente di vita condiviso (genitori, insegnanti) e da altri osservatori esperti (clinici,
educatori, operatori dei servizi sociali). È possibile, quindi, effettuare un confronto
incrociato dei risultati forniti dagli strumenti self report e report form.
Per i bambini fino a 5 anni esistono solo due questionari (non esistendo un auto-somministrato
per questa fascia d'età):
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST (CBCL).
- IL CAREGIVER- TEACHER REPORT FORM
Per i bambini più grandi e per gli adolescenti si possono, invece, utilizzare, tre questionari:
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST 6-18 (CBCL)
- LO YOUTH SELF-REPORT (YSR)
- IL TEACHER’SREPORT-FORM (TFR)
Dai punteggi, confrontati con i valori normativi si ottengono due profili separati: un profilo di
competenze (attività, socialità, scuola) e un profilo psicologico e/o psicopatologico.
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Le 8 sindromi individuate dalla CBCL sono:
- Ritiro
- Lamentele Somatiche,
- Ansia/Depressione ( Internalizzazione o problemi di Personalità),
- Problemi Sociali,
- Problemi di Pensiero,
- Problemi di Attenzione
- Comportamento Delinquenziale,
- Comportamento Aggressivo

LA VALUTAZIONE COGNITIVA IN ETA’ COGNITIVA


INTELLIGENZA EXCURSUS STORICO
Gli studi sull'intelligenza hanno origine all'inizio del XX secolo. Nel 1883 Sir Francis Galton fu
uno dei primi a dare una definizione di intelligenza, per questi l’intelligenza è abilità generale su
base genetica la cui misurazione può essere effettuata mediante indicatori psicofisici
(discriminazione sensoriale e tempi di reazione). Binet nel 1911 mise a punto, insieme a Simon, la
prima "scala metrica dell'intelligenza" e per primo ad introdusse il concetto di “Età Mentale”. Il suo
approccio teorico sottolineava l’aspetto globale dell’intelligenza, intesa appunto come capacità di
comprendere, ragionare e giudicare. Secondo l’autore la misurazione può essere effettuata
mediante prove a crescente difficoltà, non è misurabile nelle singole parti che la compongono (ad
es. memoria o capacità associativa). Stern (1914): presenta un metodo per il calcolo del
Quoziente Intellettivo (QI), indice misurabile secondo la formula QI = EM (Età Mentale/Età
Cronologica x 100). Spearman nel 1927 elabora la teoria bifattoriale dell’intelligenza:ogni test
misura due componenti dell’intelligenza: un fattore G che indica l’abilità generale, primaria e
innata, un fattore S, una componente specifica dell’intelligenza. Nel 1938 Thorndike mise in
discussione il fattore “g” e individuò tre tipi di intelligenza: l'intelligenza astratta o verbale,
contraddistinta dalla capacità di servirsi dei simboli; l'intelligenza pratica, basata sulle abilità
manipolative, l'intelligenza sociale, che permette agli esseri umani di comunicare e di entrare in
relazione sociale tra loro. Ma l'autore che si è occupato di intelligenza e che ha contribuito anche
alla creazione di uno strumento importante per la sue misurazione è Weschsler (1944) che ha
definito l'intelligenza come capacità globale complessa di un individuo di agire per uno scopo
determinato, di pensare in maniera razionale e di avere rapporti utili con il proprio ambiente, quindi
un'abilità fatta di diverse sotto-abilità e orientata al raggiungimento di scopi e obiettivi.
Secondo Wechsler l’intelligenza è multidimensionale e multideterminata comprende fattori
intellettivi, emotivi, affettivi, motivazionali. Egli parla di QUOZIENTE INTELLETTIVO TOTALE
costituito dalla somma di due fattori di intelligenza:

- Il Quoziente Intellettivo Verbale (QIV)


- Il Quoziente Intellettivo di Performance (QIP)

QIV: fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest, raggruppati nella SCALA
VERBALE che comprende compiti che sottendono: “Abilità verbali-educazionali e rappresenta le
acquisizioni cumulativamente ricavate dal soggetto dal sistema educativo e scolastico in cui è
cresciuto. Riguarda la capacità di apprendimento delle informazioni e delle abilità verbali e la loro
applicazione per la soluzione di nuovi problemi. Sono componenti del fattore QIV la capacità di
ritenzione (mantenere) e manipolazione di dati verbali nella memoria a breve e a lungo
termine e le abilità numeriche”.

QIP: Fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest raggruppati nella SCALA DI
PERFORMANCE che comprende compiti di tipo visuo-percettivo, meccanico e manuale che
sottendono: “Abilità spaziali-meccanico-pratiche. Rappresenta la capacità del soggetto di operare
cognitivamente con immagini visive e di manipolarle con fluidità e flessibilità. Sono componenti del
fattore QIP la capacità di riconoscimento e richiamo visivo, di analisi e sintesi visuo-
percettiva e di coordinazione visuo- motoria”.

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L’INTELLIGENZA SECONDO WESCHLER E SCALA
Weschsler (1944) ha definito l'intelligenza come capacità globale complessa di un individuo di
agire per uno scopo determinato, di pensare in maniera razionale e di avere rapporti utili con il
proprio ambiente, quindi un'abilità fatta di diverse sotto-abilità e orientata al raggiungimento di
scopi e obiettivi.
Secondo Wechsler l’intelligenza è multidimensionale e multideterminata comprende fattori
intellettivi, emotivi, affettivi, motivazionali. Egli parla di QUOZIENTE INTELLETTIVO TOTALE
costituito dalla somma di due fattori di intelligenza:

- Il Quoziente Intellettivo Verbale (QIV)


- Il Quoziente Intellettivo di Performance (QIP)

QIV: fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest, raggruppati nella SCALA
VERBALE che comprende compiti che sottendono: “Abilità verbali-educazionali e rappresenta le
acquisizioni cumulativamente ricavate dal soggetto dal sistema educativo e scolastico in cui è
cresciuto. Sono componenti del fattore QIV la capacità di ritenzione (mantenere) e
manipolazione di dati verbali nella memoria a breve e a lungo termine e le abilità numeriche”.
QIP: Fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest raggruppati nella SCALA DI
PERFORMANCE che comprende compiti di tipo visuo-percettivo, meccanico e manuale che
sottendono: “Abilità spaziali-meccanico-pratiche. Rappresenta la capacità del soggetto di operare
cognitivamente con immagini visive e di manipolarle con fluidità e flessibilità. Sono componenti del
fattore QIP la capacità di riconoscimento e richiamo visivo, di analisi e sintesi visuo-
percettiva e di coordinazione visuo- motoria”.
WISC-IV (Weschler Intelligence Scale for Children) è la scala che permette di misurare
l’inteloigenza e che deriva da quella ideata da Weschsler .E’ uno strumento clinico costruito per
valutare le capacità cognitive dei bambini di età compresa tra i 6 anni e i 17 anni. Con la WISC-IV
si possono calcolare 5 punteggi compositi:
a) un Quoziente intellettivo totale (QIT) (capacità cognitive complesse del bambino);
b) l'indice di Comprensione verbale (ICV);
c) l'Indice di Ragionamento percettivo (IPR);
d) l'Indice di Memoria di lavoro (IML);
e) l'Indice di Velocità di Elaborazione (IVE)
È composta da 15 subtest: 10 principali e 5 supplementari:
 Disegno dei cubi
 SomiglianzeConcetti per immagini
 Cifrario
 Vocabolario
 Riordinamento di lettere e numeri
 Ragionamento con matrici
 Comprensione
 Ricerca di simboli
 Completamento di figure
 Cancellazione
 Informazione
 Ragionamento aritmetico
 Ragionamento con le parole

È utile per:
 Ottenere una valutazione complessiva del funzionamento cognitivo generale.
 Valutare e identificare doti intellettuali.
 Individuare difficoltà di apprendimento.

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 Avere una guida nella pianificazione del trattamento.
 Ottenere informazioni cliniche per la valutazione neuropsicologica del bambino.
 INOLTRERE PERMETTE UNA VALUTAZIONE DI TIPO VERBALE.

CONFRONTO TRA WISC 3 E WISC 4


WISC 4 rispetto alla terza versione presenta un'attenzione alla memoria di lavoro e alla velocità
di elaborazione. Inoltre :
 abbandona il tradizionale raggruppamento dei subtest in scala verbale e di performance; vi è un
aggiornamento delle norme; riformulazione ed eliminazione di alcuni item.
 Vengono eliminati 3 subtest (Riordinamento di storie figurate, Ricostruzione di oggetti e
Labirinti); e introdotti 5 nuovi subtest (Ragionamento con le parole, Ragionamento con le
matrici, Concetti illustrati, Riordinamento di lettere e numeri, Cancellazione).
 Presenta l’aggiunta di suggerimenti e domande per una più chiara comprensione del compito da
parte dell’esaminato e tavole di conversione dei punteggi grezzi in punteggi ponderati suddivise
in fasce di 4 mesi.

STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA

WISC-IV (Weschler Intelligence Scale for Children) ideata da Weschsler è uno strumento
clinico costruito per valutare le capacità cognitive dei bambini di età compresa tra i 6 anni e i 17
anni. Con la WISC-IV si possono calcolare 5 punteggi compositi:
a) un Quoziente intellettivo totale (QIT) (capacità cognitive complesse del bambino);
b) l'indice di Comprensione verbale (ICV);
c) l'Indice di Ragionamento percettivo (IPR);
d) l'Indice di Memoria di lavoro (IML);
e) l'Indice di Velocità di Elaborazione (IVE)
È composta da 15 subtest: 10 principali e 5 supplementari:
 Disegno dei cubi
 SomiglianzeConcetti per immagini
 Cifrario
 Vocabolario
 Riordinamento di lettere e numeri
 Ragionamento con matrici
 Comprensione
 Ricerca di simboli
 Completamento di figure
 Cancellazione
 Informazione
 Ragionamento aritmetico
 Ragionamento con le parole

È utile per:
 Ottenere una valutazione complessiva del funzionamento cognitivo generale.
 Valutare e identificare doti intellettuali.
 Individuare difficoltà di apprendimento.
 Avere una guida nella pianificazione del trattamento.
 Ottenere informazioni cliniche per la valutazione neuropsicologica del bambino.
 Inoltre permette una valutazione di tipo verbale
CONFRONTO TRA WISC 3 E WISC 4
WISC 4 rispetto alla terza versione presenta un'attenzione alla memoria di lavoro e alla velocità
di elaborazione. Inoltre :
 abbandona il tradizionale raggruppamento dei subtest in scala verbale e di performance; vi è un
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aggiornamento delle norme; riformulazione ed eliminazione di alcuni item.
 Vengono eliminati 3 subtest (Riordinamento di storie figurate, Ricostruzione di oggetti e
Labirinti); e introdotti 5 nuovi subtest (Ragionamento con le parole, Ragionamento con le
matrici, Concetti illustrati, Riordinamento di lettere e numeri, Cancellazione).
 Presenta l’aggiunta di suggerimenti e domande per una più chiara comprensione del compito da
parte dell’esaminato e tavole di conversione dei punteggi grezzi in punteggi ponderati suddivise
in fasce di 4 mesi.

LA SCALA DI LEITER (Leiter International Performance Scale) – VALUTAZIONE NON


VERBALE DELL’INTELLIGENZA
La Scala Leiter fornisce una misura generale dell’intelligenza non verbale, basata su concetti
astratti e progettata per una gamma molto ampia di funzioni, non legate alla cultura di
appartenenza.
Questo tipo di scala non richiede capacità di percepire, manipolare e ragionare con parole o
numeri, o con altro materiale verbale, utilizza figure, illustrazioni e simboli in codice.
La scala va a misurare funzioni quali ragionamento, la visualizzazione spaziale, la visualizzazione
bidimensionale, la memoria, la concentrazione, la velocità di elaborazione di informazioni
complesse.
Comprende:
1. Test per la Valutazione della capacità intellettiva, della memoria e dell’attenzione che
vengono valutate con due batterie indipendenti:
- Visualizzazione e Ragionamento (VR) – Indaga l’abilità intellettiva non verbale (10
subtest).
- Attenzione e Memoria (AM) – Indaga funzioni mnestiche e attentive non verbali (10
subtest).
2. La possibilità possibile calcolare diversi indici diagnostici:
QI totale
QI sintetico (si ottiene da un numero minore di subtest e con meno tempo)
Punteggi composti per le due batterie VR e AV,
età mentale corrispondente ai QI,
età mentale corrispondente ai punteggi composti e ai singoli item.
3. Questionari per ottenere informazioni sul comportamento, sugli aspetti emotivi e
sociali del bambino: – 4 scale di valutazione da compilare a cura dell’esaminatore, del
genitore, dell’insegnante e del bambino esaminato.
La Batteria VR offre la possibilità di calcolare i seguenti punteggi composti:
- Ragionamento Fluido
- Visualizzazione Fondamentale
- Visualizzazione Spaziale
La Batteria AM offre la possibilità di calcolare i seguenti punteggi composti:
- Screener di Memoria
- Memoria di Riconoscimento
- Memoria Associativa
- Span di Memoria
- Attenzione
- Processo di Memoria

LE MATRICI PROGRESSIVE DI RAVEN


Costruite negli anni ‘30 in Gran Bretagna da John Raven, sono state elaborate con l’intento di
individuare uno strumento che valutasse l’intelligenza generale. Sono prove di tipo esclusivamente
non verbale che consistono nel cogliere relazioni tra figure geometriche e proprio per questa
caratteristica non vengono influenzate da fattori culturali e sono indipendenti dal linguaggio La
modalità di somministrazione può essere sia individuale che collettiva. Il tempo necessario per
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la somministrazione è di circa 15-30 min.

Esistono diverse forme del test, adatte a diverse fasce di età:


1. Matrici Progressive Standard (PM38) agli 11 anni all’età adulta.
2. Matrici Progressive Colorate (PM 47) dai 4 agli 11 anni disponibili in due forme differenti:
forma incastro o forma quaderno.
3. Matrici Progressive Avanzate (ASP o PM 47 set I e II) dagli 11 anni all’età adulta, ma
destinate a soggetti con abilità superiori alla media.

LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO

ORIGINI TEORICHE DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO


Con il termine attaccamento BOWLBY intende quel processo affettivo-relazionale che porta
il bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento, spesso la madre,
ma non solo.
Nel 1959 Bowlby fu incaricato dall’OMS di redigere un rapporto (Maternal Care and Mental
Health) sulla salute mentale dei bambini senza famiglia. Egli condusse un’indagine sistematica
sugli effetti che la separazione dalla madre produce nella prima infanzia e sullo sviluppo
successivo della personalità.
Avvalendosi della ricerca empirica Bowlby dimostrò la correlazione tra la privazione di
adeguate cure materne e la sofferenza psichica.
Bowlby, diversamente dagli Psicoanalisti, considera l’attaccamento del piccolo alla Figura di
Accudimento (FdA) come un legame psicologico a sé stante, non come un istinto derivato
dalla nutrizione o dalla sessualità infantile. Nello specifico Bowlby rmprovera alla Psicoanalisi
di sopravvalutare i pericoli interni (le proiezioni) rispetto a quelli esterni, mentre lo scopo biologico
dell’attaccamento è la protezione dai predatori e dai pericoli ambientali in genere, inoltre Bowlby
è critico, rispetto alla concezione Psicoanalitica dello sviluppo della Personalità nel quale tutte le
fasi (orale, anale, fallica e genitale) si susseguono in modo lineare. Egli propone un modello
EPIGENETICO: lo sviluppo è concepito come un progredire all’interno di possibili linee di sviluppo,
il cui risultato dipende dalle interazioni tra l’organismo ed il suo ambiente. Bowlby critica anche il
modello della scarica pulsionale e concepisce, invece, la motivazione in termini di TEORIA DEL
CONTROLLO.
BOWLBY nell’elaborazione della propria teoria subisce l’influenza del di DARWIN, dell’etologo
KONRAD LORENZ, la sua teoria viene inquadrata, infatti, in una prospettiva etolologica-
evoluzionista. Ma anche FAIRBAIRN con il suo rifiuto del narcisismo primario e l’introduzione del
concetto di libido oggettuale influenza il pensiero di Bowlby.
Bowlby riprese da Lorenz il concetto di IMPRINTING. Dall’osservazione e dallo studio dei
comportamenti animali Lorenz osservò che esiste un periodo sensibile in cui i piccoli
riconoscono e apprendono le caratteristiche della figura principale nel loro allevamento.
Questo apprendimento, che avviene nella finestra temporale del periodo sensibile, diventa poi
irreversibile. Lorenz ha studiato il fenomeno dell’imprinting in delle oche selvatiche e ha visto
che durante le prime 48 ore di vita, i piccoli imparano a seguire il primo oggetto in movimento,
che in genere è rappresentato dalla madre, e lo riconoscono come figura principale nel loro
allevamento. Una volta che i piccoli riconoscono la figura principale dell’allevamento, tale
riconoscimento non è più modificabile.
Dagli esperimenti del primatologo HARLOW sui comportamenti affettivi di piccoli macachi
Rhesus, Bowlby partì per concettualizzare che l’attaccamento è indipendente dal nutrimento e
dalla sua soddisfazione e che esiste un altro bisogno alla base dei legami affettivi con le
persone significative che è il bisogno di vicinanza e che il semplice nutrimento non era
sufficiente a garantire uno sviluppo psichico sano.
Nell’esperimento di laboratorio di Harlow, le scimmiette venivano allevate in gabbia da due madri
“surrogate”, cioè da due pupazzi, uno rivestito di morbida spugna, l’altro stilizzato fatto di solo filo
metallico; a quest’ultima “mamma fedda” veniva affidato il nutrimento (questo pupazzo era dotato
di un biberon con il latte). La seconda madre invece non forniva il latte. Ebbene, i piccoli una
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volta nutriti ricercavano la presenza della “mamma calda e morbida” di spugna, mostrando,
appunto, un comportamento di attaccamento.
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO (Bowlby e Ainsworth)
Con il termine attaccamento BOWLBY intende quel processo affettivo-relazionale che porta il
bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento, spesso la madre, ma
non solo.
Sulla base dei risultati degli esperimenti del primatologo Harlow, Bowlby arriva a stabilire che la
motivazione primaria degli esseri umani non è la ricerca del piacere, ma la ricerca di contatto,
di attaccamento con una figura di allevamento principale. Questa motivazione è innata, è
specie-specifica, si manifesta in comportamenti universali che rappresentano il sistema di
attaccamento (ricerca di vicinanza, la suzione, il sorriso, l’abbraccio, il pianto e il seguire).
L’attaccamento è definito come RICERCA DELLA SICUREZZA caratterizzata da:

- Il mantenimento della vicinanza con un altro animale e la tendenza a ristabilire


questa vicinanza quando viene a mancare;
- La specificità dell’altro animale, che in genere è la madre biologica.
L’ ATTACCAMENTO È UN ISTINTO INNATO che ha una funzione adattiva legata alla
sopravvivenza, per Bowlby, infatti, svolge la funzione biologica di aumentare la probabilità di
sopravvivenza del bambino e assicurare una corrispondenza tra la sicurezza percepita e l’effettiva
sicurezza dell’ambiente.
IL SISTEMA DI ATTACCAMENTO è organizzato in termini di sistema di controllo, un sistema
omeostatico, che ha lo scopo di mantenere in equilibrio le condizioni esterne e quelle
interne della sicurezza:
- se l’ambiente è sicuro, l’individuo si sente sicuro;
- quando nell’ambiente è presente un pericolo il sistema si attiva e porta alla messa in atto di
una serie di comportamenti quali il pianto, l’aggrapparsi, il seguire, che consentono il
mantenimento del contatto con la figura di attaccamento e fanno sì che si ripristini una
condizione di sicurezza;
- tramite la prossimità con la madre i piccoli potevano usufruire della sua protezione e quindi
sopravvivere.
Caratteristiche del comportamento di attaccamento
- Specificità: è diretto verso uno o pochi individui specifici.
- Durata: persiste per tutto il ciclo vitale.
- Ontogenesi: si sviluppa durante i primi nove mesi di vita nei confronti della figura che
interagisce con maggiore frequenza con il bambino. Generalmente può essere attivabile
fino al terzo anno di vita.
- Apprendimento: l’attaccamento può svilupparsi malgrado ripetute punizioni da parte della
FDA.
- Organizzazione: si attiva e disattiva in relazione a stimoli determinati.
- Funzione biologica adattiva: la sopravvivenza dell’individuo e della specie, la protezione
dai predatori.

IL PROCESSO è attivato ogni volta che emerge un pericolo reale o supposto. Il neonato è dotato
di comportamenti di richiamo atti ad assicurarsi la vicinanza della figura di attaccamento
(COMPORTAMENTO DI ATTACCAMENTO). La disponibilità, le cure e il calore emotivo, la
protezione e il fornire conforto rappresentano i comportamenti più significativi del caregiver per lo
sviluppo della relazione di attaccamento. SCOPO: fornire una base sicura.

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I comportamenti di attaccamento sono specie-specifici, quindi ogni specie ha i suoi
comportamenti di attaccamento che sono diretti verso l’obiettivo di stabilire o ristabilire la vicinanza
con la madre.
Il SISTEMA DI ACCUDIMENTO, nella teoria di Bowlby, è l’esatto complementare del sistema di
attaccamento, ovvero è quel sistema che si attiva nella madre ( o care giver principale) quando i
comportamenti di attaccamento segnalano (con il pianto, sorriso, aggrapparsi) il bisogno di
vicinanza e sicurezza del bambino. Il sistema di accudimento include comportamenti appunto che
offrono vicinanza, aiuto e protezione dal pericolo. L’ATTACCAMENTO è un tema centrale
NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le esperienze, infatti, vissute dall’individuo con
le figure di attaccamento durante i primi anni di vita rappresentano il modello in cui si
organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le modalità in cui i bisogni di attaccamento sono
stati soddisfatti nel corso dell’infanzia rappresentano la base su cui si costruiscono le
aspettative future. L’individuo attraverso il legame di attaccamento, sviluppa dei modelli, delle
categorizzazioni delle esperienze che applica successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “
modelli operativi interni”. I MODELLI OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la
rappresentazione delle figure di accudimento, del sé e della relazione tra sé e l’altro, sono
rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il ruolo di modulare la percezione e
l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le aspettative future, Bowlby chiama
l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.
Successivamente Mary Ainsworth( allieva di Bwlby) e coll. mettono a punto una procedura
osservazionale, la STRANGE SITUATION attraverso la quale verifica sperimentalmente e
definisce i diversi stili di attaccamento del bambino
La Strange Situation è una procedura standardizzata di laboratorio che consta 8 EPISODI (il
primo di 1 minuto gli altri 7 di minuti per un totale di 22 minuti ) in cui emerge lo stile di
attaccamento del bambino alla figura principale di attaccamento ( spesso la madre), il
tutto registrato e sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili
osservate sono comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita
della madre dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’
estranea; risposta del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:

1.ATTACCAMENTO SICURO il B si dedica all’esplorazione, utilizzando la madre come BASE


SICURA, può essere amichevole o meno con l’estraneo.
2.ATTACCAMENTTO INSICURO-EVITANTE
Il B Esplora l’ambiente e non mostra alcun interesse per gli spostamenti della madre. Si tratta di
B in cui il care giver ritiene che le manifestazioni di ricerca di sicurezza e cura non vadano
accolte o perché sentite come segno di debolezza o perché percepite come un pericolo in quanto
attivano memorie traumatiche irrisolte.
3.ATTACCAMENTO INSICURO-RESISTENTE (O AMBIVALENTE)
L’esplorazione dell’ambiente è ridotta, il B non usa la madre come base sicura, è passivo,
presenta un comportamento ambivalente cioè ricerca la vicinanza della madre, ma allo stesso
tempo mostra un comportamento di resistenza (piange, strilla, si dimena). Sono B che hanno una
figura di riferimento emotivamente calda , ma percepita come distratta da problemi personali. A
volte è sollecita nel rispondere ai bisogni del bambino altre volte, imprevedibilmente non risponde
agli stessi richiami ( cosiddetta mamma a “corrente alternata”).

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Successivamente Main introduce una quarta categoria quella dall’ATTACCAMENTO
DISORGANIZZATO in cui il B non presenta alcuna strategia coerente di attaccamento.
I FATTORI CHE PROMUOVONO UN ATTACCAMENTO SICURO sembrano essere:
- Un contatto fisico frequente e prolungato;
- La sensibilità della madre ai segnali del bambino;
- Un ambiente regolato in cui il bambino possa trarre un senso di efficacia delle proprie
azioni;
- La libertà di esplorare e imparare.
- Il piacere reciproco che la madre e il bambino ricavano dai loro scambi.
La funzione più importante dell’attaccamento di un bambino alla madre, o alla figura di
allevamento principale, è la sua capacità di ricorrere a essa come BASE SICURA
nell’esplorazione del mondo.
*Un attaccamento insicuro non è di per sé una psicopatologia o una causa di psicopatologia, ma
un fattore di rischio. Al contrario un attaccamento sicuro è un fattore di resilienza.

Il SISTEMA DI ACCUDIMENTO, nella teoria di Bowlby, è l’esatto complementare del sistema di


attaccamento, ovvero è quel sistema che si attiva nella madre ( o care giver principale) quando i
comportamenti di attaccamento segnalano (con il pianto, sorriso, aggrapparsi) il bisogno di
vicinanza e sicurezza del bambino. Il sistema di accudimento include comportamenti appunto che
offrono vicinanza, aiuto e protezione dal pericolo.
La funzione adattiva del sistema di accudimento è la protezione del piccolo. Stimoli esterni o
interni che il genitore percepisce come spaventanti, pericolosi o stressanti per il bambino attivano il
sistema. Una volta che il sistema è attivato, il caregiver può mettere in atto un certo repertorio di
comportamenti il cui scopo è quello di assicurare la protezione del piccolo.

- Il sistema di attaccamento viene disattivato dalla vicinanza e/o dal contatto fisico o
psicologico con la figura di attaccamento quando questa risponde ai bisogni di
attaccamento del bambino in modo soddisfacente.
- Il sistema di accudimento del genitore viene disattivato dalla vicinanza fisica o psicologica e
segnala che il piccolo è confortato, appagato, soddisfatto.
- La modalità specifica e le varie possibilità di comportamenti di accudimento sono variabili in
relazione al contesto, all’età e alle esperienze del genitore o del bambino.
L’ATTACCAMENTO è un tema centrale NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le
esperienze, infatti, vissute dall’individuo con le figure di attaccamento durante i primi anni
di vita rappresentano il modello in cui si organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le
modalità in cui i bisogni di attaccamento sono stati soddisfatti nel corso dell’infanzia
rappresentano la base su cui si costruiscono le aspettative future. L’individuo attraverso il
legame di attaccamento, sviluppa dei modelli, delle categorizzazioni delle esperienze che applica
successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “ modelli operativi interni”. I MODELLI
OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la rappresentazione delle figure di accudimento, del sé
e della relazione tra sé e l’altro, sono rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il
ruolo di modulare la percezione e l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le
aspettative future, Bowlby chiama l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.

FASI DI SVILUPPO DEL SISTEMA DI ATTACCAMENTO


Il sistema di attaccamento, termine con il quale Bowlby indica quel processo affettivo-
relazionale che porta il bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento,

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impiega diversi mesi per svilupparsi a partire dalla nascita. Solo dopo i 6 mesi il bambino
comincia ad esibire la triade che contraddistingue il sistema di attaccamento:
A. ricerca di vicinanza;
B. effetto base sicura;
C. protesta alla separazione.
Si realizzza attraverso 4 fasi:
1. orientamento;
1. pattern di riconoscimento;
2. attaccamento orientato allo scopo della vicinanza;
3. relazione di reciprocità.

ORIENTAMENTO 0-3 mesi:


Appena nato il bambino non distingue una persona dall’altra, ma reagisce intensamente al contatto
umano.
A 4 settimanedi vita si assiste al sorriso del bimbo in risposta della madre, all’ apprendimento
delle prime sequenze di interazione. In questa fase svolge un ruolo cruciale il “tenere” (holding):
l’affidabilità e la capacità di risposta (soprattutto ad esigenze fisiologiche) dell’ambiente forma il
nucleo (prime aspettative/schemi) dei pattern di attaccamento emergenti mentre il bambino
comincia il processo di individuazione di sé e dell’altro.

RICONOSCIMENTO 3-6 mesi


Nei successivi 3 mesi cominciano a diventare evidenti gli inizi di una relazione di attaccamento
vera e propria: il bambino discrimina con maggiore accuratezza attraverso la vista; ascolta e
reagisce in modo differenziato alla voce della madre; piange differentemente quando lei se ne va
rispetto a quando se ne vanno altre persone. Iniziano ad essere più evidenti i comportamenti di
ricerca attiva di vicinanza: il bambino allunga le braccia verso la madre per essere preso in
braccio.
La madre e il bambino comprendono, in maniera evidente ad un osservatore esterno, i reciproci
segnali comunicativi: Si stabilisce un sistema reciproco di feedback e di omeostasi.

ATTACCAMENTO SET –GOAL 6 mesi-3 anni:


fase di attivazione del vero e proprio attaccamento.
Verso i 7 mesi il bambino inizia a mostrare “paura per l’estraneo”: si fa silenzioso e si aggrappa
alla madre in presenza di una persona sconosciuta (Spitz). Questo timore coincide con
l’attivazione della locomozione, per cui si ipotizza che costituisca un sistema innato di regolazione
reciproca della distanza in funzione del mantenimento di una “vicinanza di sicurezza” (Sroufe,
2000).
Bowlby descrive il sistema dell’attaccamento in questo periodo come basato su un sistema di
regolazione simile ad un sistema di controllo a feedback. Lo scopo, per il bambino, consiste nel
mantenersi “abbastanza vicino” alla madre utilizzandola come base sicura per le prime
esplorazioni quando la minaccia ambientale è minima, ed esibendo proteste per la separazione o
segnali di allarme in condizioni di pericolo percepito o bisogno. In questa fase si possono
riconoscere consistenti differenze individuali negli stili di attaccamento tra bambini differenti:
rudimenti dei MOI e prime strategie interpersonali.

RELAZIONE RECIPROCA 3 anni in poi


Sorgono schemi di regolazione della condotta molto più complessi (utilizzo del linguaggio) che
non possono essere più descritti in termini di semplice comportamento di ricerca di vicinanza.
Il bambino può rappresentarsi i propri genitori come individui separati da sé, con propri scopi e
progetti ed escogitare modi per influenzarli (strategie coercitive).
La teoria dell’attaccamento, a questo punto, si fonde con una teoria generale sulle relazioni e su
come esse vengono mantenute, controllate e possono fallire.
Stabilizzarsi dei Modelli Operativi Interni.

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ONTOGENESI DEL COMPORTAMENTO DI ATTACCAMENTO con l’espressione
comportamento di attaccamento si intende ogni comportamento finalizzato ad ottenere o a
mantenere la vicinanza ad un altro individuo differenziato e preferito. Comportamento innescato
dalla separazione o dalla minaccia di separazione dalla figura di attaccamento (FDA) e ridotto o
eliminato dalla vicinanza o vista della stessa. Alcuni esempi di tipi di comportamento che hanno
come risultato la vicinanza della madre: richiami vocali, pianto, movimenti motori ed altri che
Bowlby definisce in generale come comportamento di attaccamento.
Durante i primi mesi di vita il bambino identifica una determinata figura a cui desidera
principalmente essere vicino. Intorno al sesto mese la sua preferenza diventa inequivocabile.
Dalla seconda metà del primo anno fino al terzo anno si dimostra molto attaccato alla figura
privilegiata ed è sereno in sua presenza e profondamente turbato in sua assenza.
Dal primo anno possono diventare importanti anche altre figure.
BOWLBY è l’autore che ha teorizzato il SISTEMA E IL COMPORTAMENTO DI
ATTACCAMENTO. Con il termine attaccamento intende quel processo affettivo-relazionale
che porta il bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento, spesso la
madre, ma non solo.
Sulla base dei risultati degli esperimenti del primatologo Harlow, Bowlby arriva a stabilire che la
motivazione primaria degli esseri umani non è la ricerca del piacere, ma la ricerca di contatto,
di attaccamento con una figura di allevamento principale. Questa motivazione è innata, è
specie-specifica, si manifesta in comportamenti universali che rappresentano il sistema di
attaccamento (ricerca di vicinanza, la suzione, il sorriso, l’abbraccio, il pianto e il seguire).
L’attaccamento è definito come RICERCA DELLA SICUREZZA caratterizzata da:

- Il mantenimento della vicinanza con un altro animale e la tendenza a ristabilire


questa vicinanza quando viene a mancare;
- La specificità dell’altro animale, che in genere è la madre biologica.
L’ ATTACCAMENTO È UN ISTINTO INNATO che ha una funzione adattiva legata alla
sopravvivenza, per Bowlby, infatti, svolge la funzione biologica di aumentare la probabilità di
sopravvivenza del bambino e assicurare una corrispondenza tra la sicurezza percepita e l’effettiva
sicurezza dell’ambiente.

SEPARAZIONE PRECOCE MADRE- BAMBINO ( ANGOSCIA DA SEPARAZIONE )


Nel 1959 Bowlby fu incaricato dall’OMS di redigere un rapporto (Maternal Care and Mental
Health) sulla salute mentale dei bambini senza famiglia. Egli condusse un’indagine sistematica
sugli effetti che la separazione dalla madre produce nella prima infanzia e sullo sviluppo
successivo della personalità.
Avvalendosi della ricerca empirica Bowlby dimostrò la correlazione tra la privazione di
adeguate cure materne e la sofferenza psichica.
Bowlby descrive il comportamento di attaccamento attivato ad alta intensità definendone tre
fasi:
1. Fase di protesta
2. Fase di separazione
3. Distacco

1. FASE DI PROTESTA: La fase di protesta è quella iniziale, può cominciare subito o con un
certo ritardo, dura da alcune ore ad una settimana o più. Il bambino appare in preda a grave
disagio, spesso ha violente crisi di pianto, scuote il letto, si agita, etc... In tutto il suo
comportamento si manifesta l’intensa aspettativa del ritorno della madre. In tale fase egli
tende a rifiutare tutte le figure sostitutive che cercano di assisterlo, anche se alcuni bambini si
attaccano disperatamente ad un’infermiera.
2. FASE DI DISPERAZIONE: È ancora evidente l’interesse per la madre lontana, ma il bambino
mostra con il suo comportamento che va perdendo sempre più la speranza di ritrovarla. I
movimenti fisici attivi diminuiscono o cessano e il bambino può piangere ininterrottamente o a
intermittenza. Egli è chiuso e inattivo, non pone domande alle persone circostanti, sembra
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trovarsi in uno stato di profonda desolazione. Fase appparentemente tranquilla che a volte, in
modo errato, viene ritenuta segno di minore disagio.
3. FASE DEL DISTACCO: Il bambino mostra maggiore interesse per l’ambiente; tale fase viene
spesso accolta come segno di recupero. l bambino non rifiuta più le infermiere, accetta le cure,
il cibo e i giocattoli, può anche sorridere ed essere socievole. Però quando la madre finalmente
viene a trovarlo diventa evidente che le cose non vanno bene: colpisce l’assenza del
comportamento di attaccamento, lungi dal fare festa alla madre egli sembra a malapena
riconoscerla. Può capitare che rimanga distante ed apatico e invece di piangere si distolga da
lei svogliatamente. Sembra che il bambino abbia perso ogni interesse per la madre.

MOI
L’ATTACCAMENTO è un tema centrale NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le
esperienze, infatti, vissute dall’individuo con le figure di attaccamento durante i primi anni di
vita rappresentano il modello in cui si organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le modalità in
cui i bisogni di attaccamento sono stati soddisfatti nel corso dell’infanzia rappresentano la
base su cui si costruiscono le aspettative future. L’individuo attraverso il legame di
attaccamento, sviluppa dei modelli, delle categorizzazioni delle esperienze che applica
successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “ modelli operativi interni”. I MODELLI
OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la rappresentazione delle figure di accudimento, del sé
e della relazione tra sé e l’altro, sono rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il ruolo
di modulare la percezione e l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le aspettative
future, Bowlby chiama l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.
Sono strutture di conoscenza a partire dalle quali si attribuisce significato alle relazioni ed alle
emozioni percepite in sé e nell’altro.
Distinguiamo tre livelli gerarchici:
1. esito della relazione (accettazione/rifiuto);
2. rappresentazione di Sé e dell’Altro (amabile/non amabile; amato/non amato);
3. strategie interpersonali (modelli cognitivo-affettivi del Sé e del Sé con l’altro che verranno
attivati ogni qualvolta sarà necessario raggiungere la maggiore prossimità possibile
con la figura di attaccamento).
Se il bambino ha potuto sperimentare una relazione con un genitore sensibile, affettuoso e
disponibile, egli costruirà una rappresentazione del genitore come persona affettuosa pronta ad
aiutarlo e sostenerlo nei momenti difficili e di se stesso come persona piacevole e amabile.
Se il bambino ha sperimentato una relazione con un genitore inconsistente e poco attento
alle sue necessità costruirà una rappresentazione del genitore come persona insensibile, poco
presente o respingente e di se stesso come individuo poco amabile.

STILI DI ATTACCAMENTO M.Ainsworth


I patterns di attaccamento si costruiscono nella prima infanzia, si mantengono lungo tutto il
ciclo di vita e si traducono in atteggiamenti e stati mentali che esprimono una sorta di sintesi delle
memorie dell’interazione con le figure di attaccamento. Gli stili di attaccamento sono la
manifestione di specifici MOI (modelli Operativi Interni) risultato dell’interazione in fase precoce
con la figura di riferimento. Va comunque, sottolineato che ciò non costituisce una condanna, nel
corso della vita, esperienze interpersonali adeguate possono modificare gli stili di
attaccamento.
Mary Ainsworth e coll. mettono a punto una procedura osservazionale, la STRANGE
SITUATION attraverso la quale verifica sperimentalmente e definisce i diversi stili di
attaccamento del bambino
La Strange Situation è una procedura standardizzata di laboratorio che consta 8 EPISODI (il
primo di 1 minuto gli altri 7 di minuti per un totale di 22 minuti ) in cui emerge lo stile di
attaccamento del bambino alla figura principale di attaccamento ( spesso la madre), il
tutto registrato e sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili

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osservate sono comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita
della madre dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’
estranea; risposta del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:

1.ATTACCAMENTO SICURO il B si dedica all’esplorazione, utilizzando la madre come BASE


SICURA, può essere amichevole o meno con l’estraneo.
2.ATTACCAMENTTO INSICURO-EVITANTE
Il B Esplora l’ambiente e non mostra alcun interesse per gli spostamenti della madre. Si tratta di
B in cui il care giver ritiene che le manifestazioni di ricerca di sicurezza e cura non vadano
accolte o perché sentite come segno di debolezza o perché percepite come un pericolo in quanto
attivano memorie traumatiche irrisolte.
3.ATTACCAMENTO INSICURO-RESISTENTE (O AMBIVALENTE)
L’esplorazione dell’ambiente è ridotta, il B non usa la madre come base sicura, è passivo,
presenta un comportamento ambivalente cioè ricerca la vicinanza della madre, ma allo stesso
tempo mostra un comportamento di resistenza (piange, strilla, si dimena). Sono B che hanno una
figura di riferimento emotivamente calda , ma percepita come distratta da problemi personali. A
volte è sollecita nel rispondere ai bisogni del bambino altre volte, imprevedibilmente non risponde
agli stessi richiami ( cosiddetta mamma a “corrente alternata”).
Successivamente Main introduce una quarta categoria quella dall’ATTACCAMENTO
DISORGANIZZATO in cui il B non presenta alcuna strategia coerente di attaccamento.
I FATTORI CHE PROMUOVONO UN ATTACCAMENTO SICURO sembrano essere:
- Un contatto fisico frequente e prolungato;
- La sensibilità della madre ai segnali del bambino;
- Un ambiente regolato in cui il bambino possa trarre un senso di efficacia delle proprie
azioni;
- La libertà di esplorare e imparare.
- Il piacere reciproco che la madre e il bambino ricavano dai loro scambi.
La funzione più importante dell’attaccamento di un bambino alla madre, o alla figura di
allevamento principale, è la sua capacità di ricorrere a essa come BASE SICURA
nell’esplorazione del mondo.
*Un attaccamento insicuro non è di per sé una psicopatologia o una causa di psicopatologia, ma
un fattore di rischio. Al contrario un attaccamento sicuro è un fattore di resilienza.

CORRELAZIONE TRA AAI E STRANGE SITUATION


La Strange Situation é una procedura osservazionale attraverso la quale si verificano
sperimentalmente i diversi stili di attaccamento del bambino. Con il termine attaccamento
BOWLBY intende quel processo affettivo-relazionale che porta il bambino a stabilire un legame
significativo con la figura di accudimento, spesso la madre, ma non solo.
Si tratta di una procedura standardizzata di laboratorio che consta 8 EPISODI (il primo di 1
minuto gli altri 7 di minuti per un totale di 22 minuti ) in cui emerge lo stile di attaccamento
del bambino alla figura principale di attaccamento ( spesso la madre), il tutto registrato e

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sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili osservate sono
comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita della madre
dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’ estranea; risposta
del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:

1.ATTACCAMENTO SICURO il B si dedica all’esplorazione, utilizzando la madre come BASE


SICURA, può essere amichevole o meno con l’estraneo.
2.ATTACCAMENTTO INSICURO-EVITANTE
Il B Esplora l’ambiente e non mostra alcun interesse per gli spostamenti della madre. Si tratta di
B in cui il care giver ritiene che le manifestazioni di ricerca di sicurezza e cura non vadano
accolte o perché sentite come segno di debolezza o perché percepite come un pericolo in quanto
attivano memorie traumatiche irrisolte.
3.ATTACCAMENTO INSICURO-RESISTENTE (O AMBIVALENTE)
L’esplorazione dell’ambiente è ridotta, il B non usa la madre come base sicura, è passivo,
presenta un comportamento ambivalente cioè ricerca la vicinanza della madre, ma allo stesso
tempo mostra un comportamento di resistenza (piange, strilla, si dimena). Sono B che hanno una
figura di riferimento emotivamente calda , ma percepita come distratta da problemi personali. A
volte è sollecita nel rispondere ai bisogni del bambino altre volte, imprevedibilmente non risponde
agli stessi richiami ( cosiddetta mamma a “corrente alternata”).
Successivamente Main introduce una quarta categoria quella dall’ATTACCAMENTO
DISORGANIZZATO in cui il B non presenta alcuna strategia coerente di attaccamento.
Sulla base dei tre pattern di attaccamento (sicuro, insicuro/evitante, insicuro/resistente),
hanno ipotizzato la possibilità di differenziare i modelli di attaccamento adulto sviluppando uno
strumento, l’ Adult Attachment Interview, questionario semi-strutturato in cui si registrano le
interviste che saranno classificate secondo diversi parametri. L’ Adult Attachment Interview ha
permesso di definire tre modelli rappresentativi interni del sé e delle figure di attaccamento in età
adulta e conseguentemente consente una classificazione degli adulti in altrettante categorie:
1. Adulti Sicuri (“F”, free): sono soggetti che mostrano valutazioni coerenti nella narrazione
delle loro esperienze, anche in presenza di un’infanzia difficile o segnata da eventi
traumatici. Dimostrano di aver libero accesso ai ricordi dell’infanzia, non hanno pregiudizi e
non operano una selezione di quello che viene riferito. Presentano consapevolezza del
passato e raccontano facilmente anche eventi spiacevoli.
2.  Adulti Distanzianti (“Ds”, dismissing): sono soggetti che tendono a fornire descrizioni
generalizzate dei propri genitori ma non riescono a supportare tali definizioni con ricordi
specifici. Se è presente il ricordo di un’esperienza difficile, a questa è attribuito scarso o
nessun peso nella vita. Hanno uno stile narrativo economico e scarno delle loro esperienze
infantili e dai loro racconti è difficile individuare le emozioni sottostanti.
3. Adulti Preoccupati (“E”, entangled): sono soggetti ancora fermi con i ricordi alle
esperienze precoci con i propri genitori che descrivono estensivamente ma con modalità
incoerente e confusa. Dai loro racconti si evince un’inversione di ruolo con i propri genitori
che non costituiscono pertanto una base sicura. Presentano una seria difficoltà a definire le
emozioni.
Esistono anche altre due possibili codifiche derivanti dall’ Adult Attachment Interview:
– Adulti Irrisolti (“U”, unresolved): sono soggetti che non hanno risolto le esperienze traumatiche
legate all’attaccamento, possono presentarsi coerenti nei loro racconti, ma fanno affermazioni

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decisamente non plausibili a proposito delle cause e delle conseguenze di eventi traumatici, quali
la perdita di una figura di attaccamento.
– Non classificabile (CC, cannot classify): utilizzata per descrivere i trascritti delle interviste che
non soddisfano pienamente i criteri per l’inserimento in una delle tre categorie “centrali”
dell’attaccamento.
I risultati dello studio della Main hanno mostrato una corrispondenza tra lo stile di attaccamento
genitoriale e quello del bambino, questa corrispondenza è stata definita: TRASMISSIONE
INTERGENERAZIONALE DELLO STILE DI ATTACCAMENTO.
La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, secondo la Main, avviene attraverso:

- fattori genetici a parte qualche risultato sulla vulnerabilità genetica per lo stile di
attaccamento disorganizzato, non è chiaramente dimostrata la correlazione.
- fattori cognitivi dipendono dalla “cognizione materna” che include le attribuzioni della
madre sul comportamento e sulle emozioni provate dal bambino.
- fattori emozionali uno stile di attaccamento sicuro sembra essere caratterizzato dalla
capacità:
1) di provare e mostrare una ampia gamma di emozioni che siano positive o negative;
2) da un’attitudine positiva verso la richiesta di aiuto;
3) dall’abilità di regolare le proprie emozioni.

LE QUATTRO VARIABILI DI MISURAZIONE DELLA STRANGE SITUATION


La Strange Situation é una procedura osservazionale attraverso la quale si verificano
sperimentalmente i diversi stili di attaccamento del bambino. Con il termine attaccamento
BOWLBY intende quel processo affettivo-relazionale che porta il bambino a stabilire un legame
significativo con la figura di accudimento, spesso la madre, ma non solo.
Si tratta di una procedura standardizzata di laboratorio che consta 8 EPISODI (il primo di 1
minuto gli altri 7 di minuti per un totale di 22 minuti ) in cui emerge lo stile di attaccamento
del bambino alla figura principale di attaccamento ( spesso la madre), il tutto registrato e
sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili osservate sono
comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita della madre
dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’ estranea; risposta
del bambino quando viene preso in braccio. L'esperimento, che si dipana in otto fasi, ha
queste caratteristiche:

1º episodio. In una stanza apposita vengono fatti entrare, e successivamente lasciati soli, un
genitore (caregiver) con il figlio.

2º episodio. Nella stanza sono presenti dei giocattoli in un angolo, il bambino ha così la possibilità
di esplorare l'ambiente ed, eventualmente, giocare con lui.

3º episodio. Entra un estraneo che siede prima in silenzio, poi parla con il genitore e
successivamente coinvolge il piccolo in qualche gioco.

4º episodio. Il genitore esce lasciando il bambino con l'estraneo.

5º episodio. Successivamente rientra il genitore nella stanza ed esce lo sconosciuto.

6º episodio. In questo episodio il genitore lascia di nuovo il bambino; è da notare che questa volta
lo lascia solo.

7º episodio. Entra l'estraneo e, se necessario, cerca di consolare il bambino.


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8º episodio. Il genitore rientra nella stanza.

La sequenza osservativa di tutte le fasi della strange situation, permette di definire quattro tipologie
di attaccamento che legano il caregiver al bambino:

- stile "sicuro": il bambino esplora l'ambiente e gioca sotto lo sguardo vigile del caregiver
con cui interagisce. Quando il caregiver esce e rimane con lo sconosciuto il bambino è
visibilmente turbato. Al ritorno del caregiver si tranquillizza e si lascia consolare.
- stile "insicuro-evitante": il bambino esplora l'ambiente ignorando il caregiver, è
indifferente alla sua uscita e non si lascia avvicinare al suo ritorno.
- stile "insicuro-ambivalente": il bambino ha comportamenti contraddittori nei confronti del
caregiver, a tratti la ignora, a tratti cerca il contatto. Quando il caregiver se ne va e poi
ritorna risulta inconsolabile.
- stile "disorganizzato": il bambino mette in atto dei comportamenti stereotipici, ed è
sorpreso/stupefatto quando il caregiver si allontana.

L’ATTACHMENT ADULT INTERVIEW, (AAI)


George, Kaplan e Main (1987), sulla base dei tre pattern di attaccamento (sicuro,
insicuro/evitante, insicuro/resistente), hanno ipotizzato la possibilità di differenziare i modelli di
attaccamento adulto. Per questo, hanno sviluppato uno strumento, l’ Adult Attachment
Interview, questionario semi-strutturato in cui si registrano le interviste che saranno classificate
secondo diversi parametri. L’ Adult Attachment Interview ha permesso di definire tre modelli
rappresentativi interni del sé e delle figure di attaccamento in età adulta e conseguentemente
consente una classificazione degli adulti in altrettante categorie:
4. Adulti Sicuri (“F”, free): sono soggetti che mostrano valutazioni coerenti nella narrazione
delle loro esperienze, anche in presenza di un’infanzia difficile o segnata da eventi
traumatici. Dimostrano di aver libero accesso ai ricordi dell’infanzia, non hanno pregiudizi e
non operano una selezione di quello che viene riferito. Presentano consapevolezza del
passato e raccontano facilmente anche eventi spiacevoli.
5.  Adulti Distanzianti (“Ds”, dismissing): sono soggetti che tendono a fornire descrizioni
generalizzate dei propri genitori ma non riescono a supportare tali definizioni con ricordi
specifici. Se è presente il ricordo di un’esperienza difficile, a questa è attribuito scarso o
nessun peso nella vita. Hanno uno stile narrativo economico e scarno delle loro esperienze
infantili e dai loro racconti è difficile individuare le emozioni sottostanti.
6. Adulti Preoccupati (“E”, entangled): sono soggetti ancora fermi con i ricordi alle
esperienze precoci con i propri genitori che descrivono estensivamente ma con modalità
incoerente e confusa. Dai loro racconti si evince un’inversione di ruolo con i propri genitori
che non costituiscono pertanto una base sicura. Presentano una seria difficoltà a definire le
emozioni.
Esistono anche altre due possibili codifiche derivanti dall’ Adult Attachment Interview:
– Adulti Irrisolti (“U”, unresolved): sono soggetti che non hanno risolto le esperienze traumatiche
legate all’attaccamento, possono presentarsi coerenti nei loro racconti, ma fanno affermazioni
decisamente non plausibili a proposito delle cause e delle conseguenze di eventi traumatici, quali
la perdita di una figura di attaccamento.
– Non classificabile (CC, cannot classify): utilizzata per descrivere i trascritti delle interviste che
non soddisfano pienamente i criteri per l’inserimento in una delle tre categorie “centrali”
dell’attaccamento.
I risultati dello studio della Main hanno mostrato una corrispondenza tra lo stile di attaccamento
genitoriale e quello del bambino, questa corrispondenza è stata definita: TRASMISSIONE
INTERGENERAZIONALE DELLO STILE DI ATTACCAMENTO.
La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, secondo la Main, avviene attraverso:
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- fattori genetici a parte qualche risultato sulla vulnerabilità genetica per lo stile di
attaccamento disorganizzato, non è chiaramente dimostrata la correlazione.
- fattori cognitivi dipendono dalla “cognizione materna” che include le attribuzioni della
madre sul comportamento e sulle emozioni provate dal bambino.
- fattori emozionali uno stile di attaccamento sicuro sembra essere caratterizzato dalla
capacità:
1) di provare e mostrare una ampia gamma di emozioni che siano positive o negative;
2) da un’attitudine positiva verso la richiesta di aiuto;
3) dall’abilità di regolare le proprie emozioni.

ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO E SIGNIFICATO DI MOI


Con il termine attaccamento BOWLBY intende quel processo affettivo-relazionale che porta il
bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento, spesso la madre, ma non
solo. L’ATTACCAMENTO è un tema centrale NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le
esperienze, infatti, vissute dall’individuo con le figure di attaccamento durante i primi anni
di vita rappresentano il modello in cui si organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le
modalità in cui i bisogni di attaccamento sono stati soddisfatti nel corso dell’infanzia
rappresentano la base su cui si costruiscono le aspettative future. L’individuo attraverso il
legame di attaccamento, sviluppa dei modelli, delle categorizzazioni delle esperienze che applica
successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “ modelli operativi interni”. I MODELLI
OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la rappresentazione delle figure di accudimento, del sé
e della relazione tra sé e l’altro, sono rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il
ruolo di modulare la percezione e l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le
aspettative future, Bowlby chiama l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente
Mary Ainsworth (allieva di Bowlby) e coll. mettono a punto una procedura osservazionale, la
STRANGE SITUATION attraverso la quale verificano sperimentalmente i diversi stili di
attaccamento del bambino. Individuano tre stili di attaccamento:
1.ATTACCAMENTO SICURO.
2.ATTACCAMENTTO INSICURO-EVITANTE Si tratta di B in cui il care giver ritiene che le
manifestazioni di ricerca di sicurezza e cura non vadano accolte o perché sentite come segno di
debolezza o perché percepite come un pericolo in quanto attivano memorie traumatiche irrisolte.
3.ATTACCAMENTO INSICURO-RESISTENTE (O AMBIVALENTE)
Sono B che hanno una figura di riferimento emotivamente calda , ma percepita come distratta da
problemi personali. A volte è sollecita nel rispondere ai bisogni del bambino altre volte,
imprevedibilmente non risponde agli stessi richiami ( cosiddetta mamma a “corrente alternata”).
Un quarto pattern di attaccamento è stato identificato dalla Main.Si tratta di bambini coloro che
non riescono a organizzare uno stile coerente e unitario di attaccamento nel corso del primo anno
di vita. La condizione che ne deriva è chiamata attaccamento disorganizzato.Gli altri stili
mantengono una certa coerenza nel comportamento (evitamento o mantenimento di una certa
distanza nel pattern A, ricerca attiva e sicura di vicinanza nel pattern B e ricerca di vicinanza
seguita da resistenza al conforto nel C). In questo caso invece non si può individuare
un’organizzazione nel comportamento nei confronti della figura di attaccamento. I bambini
con pattern D al momento della riunione con la figura di attaccamento possono mostrare
comportamenti incoerenti. Possono dirigersi verso la figura d’attaccamento con lo sguardo rivolto
altrove o fare rapidi cambi di direzione in senso opposto. Possono manifestare paura (come
immobilizzazioni, espressioni facciali spaventate) o confusione (sguardo assente,
disorientamento).

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CAUSE I dati raccolti dimostrano che la disorganizzazione dell’attaccamento è fortemente
correlata alla presenza di lutti o traumi non risolti nella memoria del caregiver . La correlazione è
altresì forte tra la disorganizzazione dell’attaccamento nel bambino e stati mentali
del caregiver caratterizzati da ostilità e impotenza. È stato ipotizzato che la figura di attaccamento
possa provocare paura nel bambino mentre lo accudisce, attraverso atteggiamenti apertamente
aggressivi (solitamente legati a memorie traumatiche) finanche violenti diventando apertamente
spaventante. La paura può essere indotta anche da un atteggiamento spaventato del caregiver,
che inconsapevolmente può esprimere paura (connessa alle proprie memorie dolorose).  Egli
perde la sintonia comunicativa e diventa spaventante indirettamente.

Nell’attaccamento disorganizzato, quindi, la figura d’attaccamento rappresenta per il bambino sia


una fonte di protezione che di pericolo. Provoca uno stato di paura che non trova soluzione né nei
comportamenti di allontanamento né in quelli di avvicinamento. Il comportamento quindi si
disorganizza.

Attaccamento disorganizzato e psicopatologia

L’instabilità dei comportamenti della figura d’attaccamento, insieme accudente e spaventata-


spaventante, porta infatti il bambino a formare rappresentazioni multiple e incoerenti di sé e
dell’altro. Questo può giocare un ruolo importante in disturbi come la depersonalizzazione e la
derealizzazione, frequenti anche negli stati fobico-ansiosi. Ad esempio il Disturbo da Attacchi di
Panico con o senza agoragobia o il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Anche nei Disturbi del
Comportamento Alimentare, nei Disturbi da Uso di Sostanze e nei Disturbi Somatoformi la
disorganizzazione dell’attaccamento può esercitare un’influenza importante. Infine può avere un
ruolo nei Disturbi dell’Umore.Infine nei Disturbi di Personalità, soprattutto nel Disturbo Borderline,
le esperienze precoci di disorganizzazione dell’attaccamento possono condizionare il nucleo
psicopatologico. In particolare incidono sulla difficoltà a riconoscere e a regolare le proprie
emozioni e sulla rappresentazione molteplice e incoerente di sé (Liotti, 1999).

SCALE DI VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO MATERNO il celebre studio longitudinale


di Baltimora (oltre ad evidenziare gli stili di attaccamento validando la teoria di Bowlby) ha messo
in evidenza delle scale di valutazione del comportamento materno. I profili materni evidenziati
sono:

1. Madre sensibile vs madre insensibile


2. Madre accettante vs madre rifiutante
3. Madre cooperativa vs madre interferente
4. Madre disponibile vs Madre indifferente

1.Madre sensibile vs madre insensibile La madre sensibile riesce a rispondere bene ai tentativi
comunicativi del bambino. E’ capace di assumere la prospettiva del bambino, di sintonizzarsi sui
suoi bisogni, coglie i segnali e risponde prontamente. La madre insensibile modella i suoi interventi
quasi esclusivamente in base al proprio volere. Non presta attenzione ai segnali di bisogno
mandati dal figlio ma scandisce le cure in base alle sue priorità senza considerare che il bambino
potrebbe avere bisogni in momenti differenti.

2. Madre accentante vs madre rifiutante. Ogni donna che diventa madre si ritrova a dover
gestire una grande frustrazione: il bimbo non è sempre facile da consolare, non sempre è facile
capire di cosa ha bisogno e questo potrebbe far insorgere sentimenti ambivalenti. Da un lato si
ama il bambino ma dall’altro può esserci l’intolleranza. La scala “Accettazione – Rifiuto” si riferisce
proprio all’equilibrio tra i sentimenti negativi e positivi che la madre nutre verso il bambino e
come è capace di integrarli e risolvere. La madre accettante tollera i comportamenti del bambino

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che altre madri troverebbero fastidiosi (pianto, difficoltà nell’imparare a usare il vasetto, bagnare il
letto, momenti di completa inconsolabilità, attacchi di rabbia, indifferenza alle cure materne…). In
questo contesto, la madre riesce a regolare e integrare i sentimenti contrastanti che innesca il figlio
abbracciando una piena accettazione. La mamma rifiutante vive spesso sentimenti di rabbia e
risentimento.

3. madre cooperativa vs interferente Spesso, le mamme, pensando di agire per il meglio si


sostituiscono al figlio in tutto. Non gli lasciano il giusto tempo ne’ i dovuti spazi. E’ chiaro che in
queste circostanze il bambino non riesce a sviluppare un propria autonomia. La scala
“cooperazione – interferenza” va a valutare il grado in cui la madre riesce a percepire il bambino
come una persona separata da sé e come riesce a equilibrare le sue esigenze in base a quelle
del piccolino. La madre cooperativa decide insieme al suo bambino, rispetta la sua autonomia e
cerca di evitare di interrompere il piccolo mentre tenta di imparare nuove azioni o di esplorare il
mondo. Tutela il figlio mediante un’attenta osservazione e concedendo spazio e tempo. la mamma
interferente impone i propri voleri e cerca di modellare il bambino secondo le sue idee. Non
considera che il bambino, essendo una persona diversa, può avere bisogni diversi da quelli che
proietta!

4. Madre disponibile vs madre indifferente La madre indifferente non è menefreghista ma


semplicemente troppo presa dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni tanto da non
notare i segnali del bambino. Potrebbe trattarsi di una madre con storia di depressione o ansia.
La madre indifferente sembra dedicarsi al bambino solo per qualcosa di già programmato. Al
contrario, la madre disponibile è quasi sempre sintonizzata con il bambino, sia da vicino che da
lontano.

I bambini con uno stile di attaccamento sicuro sono cresciuti con madri che avevano alti
punteggi nelle scale di sensibilità, accettazione, cooperazione e disponibilità. Le madri dei
bambini con attaccamento evitante e ambivalente, invece, erano soprattutto di tipo
rifiutante, interferente o indifferente.  Di solito, le madri dei bambini evitanti sono più
distaccate (o distanzianti) e tendono a ridurre al minimo il contatto con il figlio. Le madri dei
bambini ambivalenti sono le più ansiose e sopraffatte dal loro ruolo di madre, hanno
comportamenti più spesso contraddittori che interferiscono nelle attività del bambino e non sanno
gestire le richieste di contatto e consolazione.

CORRELATI NEUROBIOLOGICI DELL’ATTACCAMENTO


La ricerca contemporanea sullo sviluppo infantile suppone che lo sviluppo psicofisiologico
del bambino sia un processo di adattamento all’ambiente che avviene attraverso la capacità di
auto-regolazione del bambino all’interno di un contesto interattivo madre-bambino. I legami affettivi
tra gli individui svolgono, infatti, una funzione psico-biologica specifica:
-a livello cognitivo mantengono le rappresentazioni mentali delle esperienze di attaccamento
sulla cui base l’individuo predice e comprende il suo ambiente (MOI);
-a livello fisiologico influenzano la modalità di risposta alle situazioni stressanti.
Il sistema di attaccamento può essere definito come strategia di comunicazione e di gestione delle
emozioni e organizza le modalità di regolazione psicofisiologica dello stress.
Molti studi hanno documentato una dominanza dell’emisfero destro per diverse componenti
delle emozioni:
-comunicazione delle emozioni attraverso canali mimici e vocali;
-componenti vegetative della risposta emozionale;

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-esperienza soggettiva delle emozioni;
-processi di condizionamento emozionale inconscio.
L’emisfero sinistro ha più rilevanza nel controllo delle risposte emozionali.
Da un punto di vista anatomico l’emisfero destro nei primi due anni di vita ha un volume maggiore
di quello sinistro, rispetto quale si sviluppa più velocemente. Questa crescita è modulata dalle
interazioni con l’ambiente, in particolare dalle comunicazioni emotive con la figura di attaccamento.
Inoltre, è in questa fase che, grazie all’attivazione dei sistemi limbici dell’emisfero dx gli
apprendimenti condizionati si stabilizzano (imprinting).
Modello gerarchico dello sviluppo dei circuiti limbici dell’emisfero destro
-Alla nascita solo l’amigdala è attiva; questa regola i processi olfattivi che gli permettono di
riconoscere l’odore del latte della madre;
-Intorno alle 8 settimane inizia un periodo critico per lo sviluppo del cingolato anteriore; questo
regola il sorriso, il pianto, il riconoscimento dei volti e la modulazione del sistema autonomo;
-durante il primo anno di vita maturano l’insula e la corteccia parietale; queste regolano
l’esperienza soggettiva delle sensazioni corporee e la capacità di distinguere sé stessi dagli altri;
-dai 9 mesi ai 2 anni si sviluppa la corteccia orbitofrontale; questa regola il sistema di
attaccamento.
La corteccia orbitofrontale si trova tra il sistema limbico e la corteccia prefrontale si espande
particolarmente nell’emisfero destro il suo sviluppo avviene in particolar modo tra i 10/12 mesi e la
fine del secondo anno di vita ; regola l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene associato alle reazioni agli
stimoli stressanti e al comportamento emotivo. E’ fondamentale per la regolazione dei
comportamenti emotivi e più nello specifico:
-nell’elaborazione dei volti;
-nelle risposte emozionali positive a stimoli tattili, gustativi e olfattivi;
-nelle risposte emozionali positive a stimoli musicali;
-nelle risposte emozionali negative a volti tristi e arrabbiati;
-nella regolazione degli stati di attivazione corporea;
-nell’anticipazione dei rinforzi positivi o negativi.
Sembra, infatti, che l’ossitocina, neuromediatore rilasciato dall’asse ipotalamo-iposi-surrene, sia in
grado di tradurre esperienze precoci quali, l’allattamento al seno e altri aspetti dell’interazione
madre-bambino, in modificazioni comportamentali a breve e a lungo termine. La mancanza delle
cure materne sembra alterare il normale sviluppo dei sistemi dell’ossitocina e della vasopressina
nei bambini piccoli.I livelli di ossitocina e vasopressina infatti sono aumentati dalle esperienze
sensoriali piacevoli di natura sociale come le carezze e gli odori. Studi in animali non primati hanno
dimostrato che, quando le concentrazioni di questi ormoni aumentano, gli animali incrementano le
loro interazioni sociali positive. L’ossitocina e i suoi recettori compaiono assai precocemente
durante l’ontogenesi e, nei primati, nelle prime due settimane dopo la nascita, ne è stata
riscontrata un’iperproduzione marcata in aree cerebrali limbiche. La localizzazione dei recettori
dell’ossitocina in aree cerebrali appartenenti al circuito della gratificazione quale il nucleus
accumbens sembra rivestire un ruolo determinante nel rendere piacevoli le interazioni.
Secondo Schore
Attaccamento sicuro determina uno sviluppo efficiente dell’emisfero dx e, dunque, salute
mentale

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Attaccamento insicuro/traumatico invece determina un alterazione dello sviluppo dell’emisfero
dx, alterazioni che vanno a condizionare la salute mentale.

DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO

CAMBIAMENTI NEL CORSO DEL TEMPO DELLE ETICHETTE DIAGNOSTICHE NEL


DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Il termine “autismo” viene utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuler per
riferirsi ad alcune caratteristiche tipiche della schizofrenia quali lo scarso interessamento per il
mondo sociale, il ripiegamento su se stessi, la presenza di pensieri e comportamenti bizzarri e
ripetitivi.
Con la pubblicazione di un articolo Autistic disturbances of affective contact, lo psichiatra
tedesco Kanner (1943) che aveva condotto uno studio su 11 bambini di età compresa tra I 2 e gli
8 anni, separa definitivamente il termine schizofrenia da quello “autismo” e utilizza il termine
“autismo infantile precoce”. Kanner definì l’autismo come un “disturbo del contatto” ad un livello
profondo degli affetti e dell’istinto, identificando in particolare due caratteristiche fondamentali:
“l’estrema solitudine e l’ossessiva insistenza alla ripetitività”
Hans Asperger, nel 1944 (quasi contemporaneamente a Leo Kanner ma indipendentemente da
lui), descrisse una sintomatologia simile a quella descritta da Kanner (difficoltà nelle relazioni
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sociali, difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale) presente in alcuni bambini che, però,
presentavano capacità cognitive nettamente superiori. Fu però Lorna Wing (1981) ad utilizzare
per prima il termine “sindrome di Asperger” come categoria diagnostica. Più recentemente, data la
varietà di sintomatologie e la complessità nel fornirne una definizione clinica coerente e unitaria, si
è ritenuto opportuno parlare di Disturbi dello Spettro Autistico (DSM-5) comprendendo tutta una
serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune la compromissione
dell'interazione sociale e il deficit della comunicazione verbale e non verbale che è all’origine della
ristrettezza degli interessi e dei comportamenti ripetitivi. Distinguiamo, infatti in :

1. Disturbo Autistico;
2. Disturbo di Asperger;
3. Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia;
4. Disturbo di Rett;
5. Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non Altrimenti Specificato”.

La definizione di “spettro” è usata per evidenziare che la distribuzione della frequenza di un


dato comportamento problematico varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione.
Questo comporta che all’interno delle dimensioni dell’autismo, si racchiudono persone con
caratteristiche cliniche eterogenee che vanno da una lieve ad una grave sintomatologia. Nella
versione precedente del manuale (DSM-4) l’autismo rientrava nella categoria clinica dei disturbi
pervasivi dello sviluppo. Va sottolineato che, la presenza dei disturbi dello spettro autistico nel
DSM alimenta la confusione riguardo il considerare l'autismo (lo spettro autistico) non come una
sindrome più di competenza della neuropsichiatria (in quanto sindrome di origine neurologica) ma
della psichiatria (classificandola come disturbo prettamente mentale).

AUTISMO CRITERI DIAGNOSTICI

Il DSM V definisce i seguenti criteri per poter porre diagnosi di autismo:


A. deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale in diversi contesti,
come rilevato dalla condizione attuale e dalla storia clinica. Questo si articola in
- deficit socio-emotivi che si influenzano reciprocamente che portano ad un impoverimento
o una distorsione dell’interazione con gli altri.
- deficit della comunicazione non verbale utilizzata nell’interazione sociale,
- deficit nello sviluppo, nel mantenimento e nella comprensione delle relazioni che
vanno dalla difficoltà a regolare il proprio comportamento in base ai vari contesti sociali, alla
mancanza di interesse verso i pari.
B. un pattern di comportamento ripetitivo, con una riduzione degli interessi o delle attività,
come manifestato, attualmente o dalla storia clinica, da almeno due dei seguenti aspetti:
- movimenti motori, utilizzo degli oggetti o del linguaggio, che sono ripetitivi o stereotipati,
- persistenti ripetizioni, inflessibile aderenza alla routine, pattern di comportamento verbale e
non verbale estremamente ritualizzati.
- il campo degli interessi che è fortemente limitato e anomalo, sia per intensità che per il
focus d’attenzione
- Ancora ci può essere iper o ipo-reattività agli stimoli sensoriali o insolito interesse per gli
aspetti sensoriali dell’ambiente.
C. i sintomi devono essere presenti sin dal primo periodo dello sviluppo
D. i sintomi causano anche significativo deterioramento clinico nell’area sociale o
occupazionale o in altre aree importanti del funzionamento attuale,
E. i sintomi non sono spiegabili come disabilità intellettiva o ritardo dello sviluppo globale.
Per poter fare diagnosi di disturbo autistico, infatti, poiché spesso è in comorbilità con
una disabilità intellettiva, è necesserio che la comunicazione sociale sia inferiore a quella
prevista per il livello di sviluppo generale.
IN SINTESI L’autismo è una sindrome caratterizzata dalla presenza di deficit specifici che
riguardano le seguenti abilità:

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1. nell’ambito della teoria della mente e della metarappresentazione, e cioè la capacità di
rappresentarsi gli stati mentali dell’altro;
2. nella percezione e l’espressione delle emozioni,
3. nell’attenzione condivisa,
4. nell’orientamento sensoriale e nella regolazione dell’arousal,
5. nell’imitazione, e quindi una difficoltà nell’imitare gli altri;
6. nel gioco simbolico,
7. nella comunicazione e il linguaggio,
8. nell’attaccamento, e quindi una difficoltà nella capacità di chiedere aiuto, protezione nel caso di
bisogno
9. nel comportamento intenzionale o finalistico.
Ai fini della diagnosi bisogna, inoltre, specificare:
 Con o senza deterioramento intellettivo;
 Con o senza deterioramento del linguaggio;
 Associato a fattori ambientali o condizioni mediche o genetiche conosciute (in questo caso si
utilizza un codice addizionale).
Relativamente all’aspetto epidemiologico abbiamo una prevalenza nel sesso maschile di 3 /4
volte più frequente rispetto al sesso femminile.
Eziologia è multifattoriale riconducibile a fattori genetici, fattori neurobiologioci: alcune aree del
cervello regioni frontali, temporali, cervelletto risultano sovradimensionate, cominciano ad
aumentare di volume tra i 2 e i 4 anni.
Comorbilita’ (soprattutto quando la diagnosi é di lieve entità non é la prima a essere formulata)
con :
▪ ADHD disturbo da deficit di attenzione e iperattività
▪ Disturbo specifico del linguaggio DSL
▪ DSA disturbo specifico dell’apprendimento, disgrafia, discalculia, disortografia
▪ Disturbo della coordinazione motoria
▪ Disturbo depressivi
▪ Disturbo d’ansia. I soggetti sono maggiormente predisposti anche a causa dell’elevata sensibilità
sensoriale e della difficoltà a regolare le emozioni
▪ DOC disturbi del sonno
Esordio: tra i 12 e i 24 mesi d’età. I primi sintomi evidenti sono nell’area del linguaggio e nell’area
degli interessi che risultano essere ristretti e ripetitivi (utilizzo di pochi giochi e in modo
stereotipato). Sono goffi, assente/incostante risposta al richiamo, assenza di attenzione
condivisa/scambi/imitazione, assenza di gesti deittici (indicare, mostrare, offrire)

L’EZIOLOGIA - I FATTORI NEUROBIOLOGICI dell’autismo


Numerose ricerche indicano un’associazione tra anomalie cerebrali e deficit sociali,
emozionali e del linguaggio presenti nei soggetti con disturbo dello spettro autistico,
tuttavia non sono in grado di spiegare cosa possa causare le anomalie a livello cerebrale, e
dunque le disfunzioni nelle fasi precoci dello sviluppo.
Alcune di queste ricerche riguardano le dimensioni di determinate aree del cervello che
risultano essere sovradimensionate in soggetti affetti dal disturbo, mentre alla nascita
avevano dimensioni normali: le regioni frontali, temporali e il cervelletto aumentano
significativamente tra i 2 e i 4 anni.

TEORIE esistono più teorie che cercano di spiegare le cause dell’insorgenza dei disturbi dello
spettro autistico, nessuna delle quali, va sottolineato è in grado di fornire una spiegazione
esaustiva. Ricordiamo:
A) TEORIA DELLA MENTE
Con tale termine ci si riferisce alla capacità di attribuire a se stessi e ad altri stati mentali come
intenzioni, desideri e credenze, e di utilizzare tale conoscenza per prevedere il comportamento
proprio ed altrui (Premack e Woodrouf, 1978). Questa capacità emerge intorno ai 4 anni di vita e
sembra seriamente danneggiata in bambini con diagnosi di autismo (Baron-Cohen, 1995). Questa
teoria indica la presenza di PRECURSORI indicativi della futura insorgenza del disturbo, quali:

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- Mancanza della triangolazione dello sguardo (tra il bambino, l’adulto e l’oggetto);
- il gesto d’indicare per mostrare qualche cosa ad un’altra persona (pointing dichiarativo)
(Camaioni, 2001);
- assenza dell'imitazione del comportamento degli altri (Meltzoff e Gopnik, 1993);
- assenza del il gioco di finzione (“far finta di”, usare, ad esempio, un oggetto per
rappresentare un altro non esistente o non presente) (Leslie, 1991; Baron-Cohen et al.,
1996; Charman et al., 1997; Rogers et al., 2003).
I compiti utilizzati classicamente per valutare le competenze di teoria della mente sono i COMPITI
DI FALSA CREDENZA compiti di falsa credenza.

B) TEORIA DEL DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE


Questa teoria sottilinea, nei disturbi dello spettro autistic, l’assenza, di una serie di abilità
determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei
problemi (Pennington et al., 1996) come ad es.:
– capacità di attivare e di mantenere attiva, a livello mentale, un’area di lavoro (una sorta di
scrivania mentale) sulla quale disporre tutti gli elementi pertinenti al compito in esame;
– capacità di formulare mentalmente un piano di azione;
– capacità di non rimanere rigidamente ancorati, nella formulazione della risposta, ai dati
percettivi che provengono dal contesto;
– capacità di inibire risposte "impulsive";
– capacità di essere attenti alle informazioni di ritorno, per correggere in base ad esse il piano
inizialmente formulato;
– capacità, infine, di spostare in modo flessibile l’attenzione sui vari aspetti del contesto.
C) DEFICIT NELLA COERENZA CENTRALE secondo questa teoria i soggetti affetti da
disturbo dello spettro autistico, sembrano non essere capaci di sintetizzare l’
esperienza in maniera coerente ed organica. L’esperienza rimane perciò frammentata.il
soggetto ha difficolta ad accedere ad al particolare al generale. In sintesi il profilo
cognitivo del bambino autistico mette in evidenza:
- Un’incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso;
- Un’elaborazione segmentata dell’esperienza;
- Una difficoltà di accedere dal particolare al generale;
- Una polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza.

DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO


Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD – Autism Spectrum Disorder) è un disturbo del
Neurosviluppo che ha come caratteristiche principali:
- una grave compromissione dell’interazione sociale;
- una grave compromissione della comunicazione;
- la presenza di pattern di comportamento ristretti e ripetitivi.
L’esordio è precoce e si manifesta durante l’intero arco del ciclo di vita della persona. Le
manifestazioni del disturbo variano in base al suo livello di gravità, alle caratteristiche del bambino
e dell’ambiente, all’età, alla presenza o meno di altri disturbi associati (come la disabilità
intellettiva) ed alla possibilità di intraprendere interventi adeguati.Si accompagna spesso ad altri
disturbi (disabilità intellettiva, disturbo della struttura del linguaggio, disturbi specifici
dell’apprendimento, disturbo della coordinazione motoria, sintomi psichiatrici, etc.). Sull’insorgenza
del disturbo influiscono fattori genetici e biologici;
Nell’attuale DSM-5 (APA, 2013) il Disturbo dello Spettro dell’Autismo comprende diverse categorie
diagnostiche che nel DSM IV erano indicate separatamente:
1. il “Disturbo Autistico”;
2. il “Disturbo di Asperger”;
3. il “Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia”;
4. il “Disturbo di Rett”;
5. il “Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato”.
La definizione di “spettro” è usata per evidenziare che la distribuzione della frequenza di un
dato comportamento problematico varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione.
28
Questo comporta che all’interno delle dimensioni dell’autismo, si racchiudono persone con
caratteristiche cliniche eterogenee che vanno da una lieve ad una grave sintomatologia.
Il paziente ASPERGER presenta le seguenti caratteristiche:
-  una compromissione qualitativa dell'interazione sociale. I pazienti Asperger hanno difficoltà a
entrare in rapporto con gli altri. Infatti, nell'interazione spesso forniscono risposte incongrue,
perché non riescono a tener conto della prospettiva del loro interlocutore;
- presenza di schemi di comportamenti, interessi e attività che appaiono ristretti e ripetitivi, e
si manifestano nell'impegno totalizzante su un argomento o interesse circoscritto. 
Il paziente Asperger si differenzia dal paziente autistico per l'assenza nell'anamnesi di un
ritardo nel linguaggio (anche se insolito per la verbosità o la fissazione su argomenti circoscritti), 
di un ritardo nello sviluppo cognitivo che risulta normale (anche se prevale nettamente il QI
verbale sul QI di performance), per le caratteristiche dell’interazione sociale (il paziente
Asperger è motivato a rivolgersi all’altro, anche se lo fa in modo eccentrico, verboso e insensibile
rispetto alle aspettative altrui) e per le caratteristiche atipie nel repertorio di interessi e attività.
( Alan Turing soffriva di questo disturbo)
B) Nell'autismo prevalgono invece i manierismi motori, le stereotipie, l'attenzione circoscritta a
parte di oggetti e il marcato disagio nei confronti del cambiamento. 
C) La sindrome di Rett è un disturbo  neurodegenerativo con un’eziologia nota, cioè la mutazione
di un gene. Colpisce quasi soltanto le femmine ed esordisce fra 6 e 8 mesi dopo un periodo di
sviluppo normale. Presenta un quadro clinico di rallentamento nella crescita del capo,  atassia,
tremori, perdita delle competenze prassiche, perdita della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali e delle competenze interattive.
Si differenzia rispetto al disturbo autistico, perché le mani presentano delle stereotipie
tipiche e la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente. 

INDICATORI PRECOCI DI RISCHIO


In letteratura sono stati identificati diversi sintomi che possono rappresentare indicatori precoci di
autismo come:
- Mancanza della triangolazione dello sguardo (tra il bambino, l’adulto e l’oggetto);
- Imancanza del gesto d’indicare per mostrare qualche cosa ad un’altra persona (pointing
dichiarativo) (Camaioni, 2001);
- assenza dell'imitazione del comportamento degli altri (Meltzoff e Gopnik, 1993);
- assenza del il gioco di finzione (“far finta di”, usare, ad esempio, un oggetto per
rappresentare un altro non esistente o non presente) (Leslie, 1991; Baron-Cohen et al.,
1996; Charman et al., 1997; Rogers et al., 2003).
Relativamente alla fascia di età da monitorare bisogna porre attenzione:
Prima dei 6 mesi
•   all’  assenza di sorrisi o manifestazioni di affetto, espressioni gioiose;
•     al contatto oculare ridotto o assente.
A 9 mesi
•   all’assenza della condivisione dell’attenzione, sorrisi ed espressioni facciali.
A 12 mesi
•    Assenza della lallazione,
•    Assenza di gesti di condivisione: indicare, mostrare, raggiungere.
•    Difficoltà a orientarsi quando chiamati per nome.
A 16 mesi
•    Assenza di parole o presenza di un numero di parole molto ridotto.
A 24 mesi
•    Assenza di frasi a due parole dotate di significato (non si considerino le ripetizioni).
A qualunque età
•    Perdita di abilità precedentemente acquisite: lallazione, prime paroline, abilità sociali;
•    Evitamento del contatto oculare;
•    Preferenza consistente per la solitudine;
•    Difficoltà a comprendere le emozioni delle persone;
•    Ritardo nello sviluppo del linguaggio;

29
•    Ripetizione persistente di parole o frasi (ecolalia);
•    Difficoltà ad accettare cambiamenti nelle routine;
•    Interessi ristretti;
•    Comportamenti ripetitivi (per esempio sfarfallare, girare su se stessi…)
•    Reazioni intense e inusuali a suoni, sapori.

DALLA DIAGNOSI AL PROGETTO TERAPEUTICO


IL TRATTAMENTO DELL’AUTISMO
La diagnosi funzionale e la definizione del progetto terapeutico riabilitativo, deve essere condotta
da una équipe multi-professionale, con esperienza clinica e competenze aggiornate nell’ambito dei
disturbi del neurosviluppo, che preveda la presenza delle seguenti figure: neuropsichiatra,
psicologo, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, logopedista ed educatore.
Il percorso di valutazione mira a stabilire il profilo comportamentale del bambino, dal punto di
vista:
– cognitivo (capacità di comprensione);
– comunicativo (linguaggio);
– sociale (capacità di relazione);
– emotivo.
In una prima fase si procede ad una VALUTAZIONE CON I GENITORI, durante gli incontri
dedicati ai genitorisi raccolgono:
- i dati anamnestici;
- le informazioni sul comportamento del bambino in diversi ambienti (casa, scuola o altre
contesti);
- informazioni sulla capacità di adattamento del bambino;
- informazioni sulle risorse personali, familiari e, più in generale, del contesto sociale in cui
è inserito il sistema familiare (disponibilità dei servizi territoriali, aspetti socio- economici,
aspetti culturali);
- si cerca di instaurare un legame che renda l’equipe un punto riferimento, sia nella fase
iniziale di diagnosi, sia in quella di definizione ed eventualmente di attuazione del progetto
terapeutico).

Nella FASE DI VALUTAZIONE DEL BAMBINO si procede:


- Ad un esame obiettivo e neurologico, volto ad escludere la presenza di patologie che si
trovano con maggiore frequenza associate con l’autismo e ad individuare le specifiche
caratteristiche di salute del bambino. L’esame neurologico ha lo scopo di verificare la
presenza di sintomi maggiori e minori per la valutazione dell’integrità delle strutture nervose
centrali. In alcuni casi si potrà rendere necessaria un’indagine strumentale attraverso
l’elettroencefalogramma (presenza di alterazioni talvolta associate ad epilessia).
- Se sono emerse circostanze specifiche, dall’anamnesi familiare, si potranno rendere
necessarie indagini genetiche e/o metaboliche.
- Si esegue l’esame comportamentale che prevede incontri distribuiti in più giorni (perché
faticoso per il bambino), durante i quali, attraverso l’osservazione, il colloquio , la
somministrazione di strumenti di valutazione standardizzati, si valuteranno:
1.sintomi comportamentali (criteri diagnostici) codificati dalle classificazioni internazionali di
riferimento;
2. le competenze cognitive e linguistiche;
3.  lo sviluppo emotivo;
4.il profilo funzionale.

STRUMENTI DIAGNOSTICI
1.ADOS 2 ( Autism Diagnostic Observation Schedule ed. 2000) permette la valutazione
standardizzata e semi strutturata della comunicazione, dell’interazione sociale, del gioco e dell’uso
immaginativo di materiali. L’ADOS-2 è composta da 5 moduli:

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– Modulo Toddler per bambini fino ai 31 mesi;
– Modulo 1, dai 31 mesi modulo preverbale–parole singole;
– Modulo 2, linguaggio con frasi;
– Modulo 3, bambino/adolescente;
– Modulo 4, adolescente/giovane adulto.

2. CARS2 (Childhood Autism Rating Scale)


Comprende tre moduli costituiti da due fogli di raccolta dati:
– Childhood Autism Rating Scale, Second Edition - Standard Version (CARS2-ST);
– Childhood Autism Rating Scale, Second Edition – High-Functioning Version (CARS2-
HF);
– Questionario per i genitori (Questionnarie for Parents or Caregivers - CARS2-QPC).
CARS2-ST e CARS2-HF offrono informazioni sintetiche ma complete, quantitativamente
specifiche, che possono essere utilizzate per sviluppare un’ipotesi diagnostica su soggetti di
qualsiasi età e per valutare il livello di funzionamento. I giudizi espressi nella CARS2-ST e nella
CARS2-QF sono basati sulla frequenza dei comportamenti, sulla loro intensità, sulla peculiarità e
sulla durata.
È possibile utilizzare la CARS2 anche per comunicare la diagnosi ai genitori, caratterizzando i
profili funzionali e guidando la pianificazione dell’intervento.

TIPOLOGIE DI INTERVENTO
Nel trattamento dei disturbi dello spettro autisticoin età evolutiva si utilizzano:
- Interventi a supporto della comunicazione, come il linguaggio dei segni e le immagini a
supporto della verbalità, tra questi ultimi il più noto è il PECS (Picture Exchange
Communication System).
- Interventi a supporto della comunicazione sociale e dell’interazione, che prevedono
soprattutto un adattamento funzionale dell’ambiente.
- Programmi comportamentali: l’ABA (Applied Behavior Analysis), si è dimostrato efficace
nell’incrementare il punteggio di QI, nel promuovere il linguaggio e i comportamenti adattivi.
- La terapia cognitivo comportamentale é praticabile con soggetti aventi un QI non
inferiore a 69, è efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e per promuovere strategie di
gestione della rabbia nei soggetti con autismo ad alto funzionamento.

Gli OBIETTIVI dell’intervento terapeutico sono:


 favorire la motivazione, la stabilità attentiva e il comportamento intenzionale;
 favorire il riconoscimento e la differenziazione delle emozioni;
 incrementare la comprensione di sé e dell’altro;
 aumentare le capacità comunicative;
 favorire il gioco;
 aumentare le abilità di problem-solving.
Rispetto all’area della conversazione il trattamento è finalizzato
 recuperare una conversazione,
 fronteggiare l’incertezza e i dubbi,
 superare la tendenza a fare commenti a sproposito,
 sapere quando non bisogna interrompere.

Non è consigliabile applicare tecniche avversive volte a ridurre quelli che, in passato
(trascurandone l’aspetto funzionale), erano definiti “comportamenti devianti” come le stereotipie, le
ecolalie, l’auto e l’etero-aggressività. In molti casi i comportamenti devianti si riducono
spontaneamente via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro.
Quando ciò non avviene, l’intervento diretto su tali comportamenti prevede strategie più
complesse:
– il gesto stereotipato e l’uso bizzarro dell’oggetto, ad esempio, vengono inseriti in uno spazio di
condivisione, investiti di significato o integrati in una sequenza di attività ludica ove perdono la
caratteristica di devianza;
31
– i comportamenti auto ed etero-aggressivi invece vengono ridotti aiutando il bambino ad
esprimere il disagio e la rabbia attraverso modalità di comunicazione alternative tra cui la
verbalizzazione dei propri stati interni e l’attacco rivolto all’oggetto piuttosto che all’altro o a se
stesso.

DIFFERENZA TRA AUTISMO, ASPERGER E RETT


Il DSM IV distingueva l’autismo dal disturbo di Asperger e dal disturbo di Rett.
Nel DSM V tutte e tre le sindromi fanno parte dello spettro autistico, che a sua volta rientra nei
disturbi del neurosviluppo.
Nel disturbo dello spettro autistico si ha deficit in due aree principali:
1 deficit nella comunicazione ed interazione sociale, che comprende il fallimento di
conversazione, deficit di comunicazione non verbale, anomalie nel contatto visivo, mancanza di
gestualità, mancanza di comprensione delle relazioni, deficit dello sviluppo.
2 pattern di comportamento ripetitivi, come l’utilizzo di oggetti in modo stereotipato, difficoltà a
piccoli cambiamenti, campo di interessi molto limitato e iper o ipo sensibilità ad aspetti sensoriali
ambientali.
A) Il paziente ASPERGER presenta le seguenti caratteristiche:
-  una compromissione qualitativa dell'interazione sociale. I pazienti Asperger hanno difficoltà a
entrare in rapporto con gli altri. Infatti, nell'interazione spesso forniscono risposte incongrue,
perché non riescono a tener conto della prospettiva del loro interlocutore;
- presenza di schemi di comportamenti, interessi e attività che appaiono ristretti e ripetitivi, e
si manifestano nell'impegno totalizzante su un argomento o interesse circoscritto. 
Il paziente Asperger si differenzia dal paziente autistico per l'assenza nell'anamnesi di un
ritardo nel linguaggio (anche se insolito per la verbosità o la fissazione su argomenti circoscritti), 
di un ritardo nello sviluppo cognitivo che risulta normale (anche se prevale nettamente il QI
verbale sul QI di performance), per le caratteristiche dell’interazione sociale (il paziente
Asperger è motivato a rivolgersi all’altro, anche se lo fa in modo eccentrico, verboso e insensibile
rispetto alle aspettative altrui) e per le caratteristiche atipie nel repertorio di interessi e attività.
( Alan Turing soffriva di questo disturbo)
B) Nell'autismo prevalgono invece i manierismi motori, le stereotipie, l'attenzione circoscritta a
parte di oggetti e il marcato disagio nei confronti del cambiamento. 
C) La sindrome di Rett è un disturbo  neurodegenerativo con un’eziologia nota, cioè la mutazione
di un gene. Colpisce quasi soltanto le femmine ed esordisce fra 6 e 8 mesi dopo un periodo di
sviluppo normale.Presenta un quadro clinico di rallentamento nella crescita del capo,   atassia,
tremori, perdita delle competenze prassiche, perdita della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali e delle competenze interattive.
Si differenzia rispetto al disturbo autistico, perché le mani presentano delle stereotipie
tipiche e la  manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente. 

DISTURBO DISINTEGRATIVO DELL’INFANZIA (sindrome di Heller


Si tratta di un Disturbo dello spettro autistico. Per porre diagnosi, il DSM-5
indica i seguenti criteri:

A. Sviluppo apparentemente normale per almeno i primi 2 anni dopo la nascita,


come manifestato dalla presenza di comunicazione verbale e non verbale,
relazioni sociali, gioco e comportamento adattivo adeguati all’età.

B. Perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite in


precedenza (prima dei 10 anni) in almeno due delle seguenti aree:
1) espressione o ricezione del linguaggio
2) capacità sociali o comportamento adattivo
3) controllo della defecazione o della minzione

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4) gioco
5) abilità motorie

C. Anomalie del funzionamento in almeno due delle seguenti aree:


1) compromissione qualitativa dell’interazione sociale (per es., compromissione dei
comportamenti non verbali, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei,
mancanza di reciprocità sociale o emotiva)
2) compromissioni qualitative della comunicazione (per es., ritardo o mancanza del
linguaggio parlato, incapacità di iniziare o di sostenere una conversazione, uso
stereotipato e ripetitivo del linguaggio, mancanza di giochi vari di imitazione)
3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati,
incluse stereotipie motorie e manierismi

D. L’anomalia non è meglio attribuibile ad un altro specifico Disturbo Pervasivo


dello Sviluppo o alla Schizofrenia

DESCRIVI UN TIPO DI AUTISMO 


SINDROME DI ASPERGER
La Sindrome di Asperger è comunemente considerata una forma dello spettro autistico "ad alto
funzionamento". Il termine "Sindrome di Asperger" venne coniato dalla psichiatra inglese Lorna
Wing in una rivista medica del 1981; la chiamò così in onore di Hans Asperger, uno psichiatra e
pediatra austriaco il cui lavoro non venne riconosciuto fino agli anni novanta.
Gli individui portatori di questa sindrome (la cui eziologia è ancora ignota) sono caratterizzati
dall'avere una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di
comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi molto ristretti. Diversamente
dall'autismo classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o
dello sviluppo cognitivo. Alcuni sintomi di questa Sindrome sono correlati ad altri disturbi, come
ad esempio il disturbo dell'apprendimento non-verbale (Nonverbal learning disorder), la fobia
sociale o il disturbo schizoide di personalità. La Sindrome di Asperger non viene diagnosticata solo
con le proprie caratteristiche, ma anche con una vasta gamma di condizioni di comorbilità
(disturbi non dovuti alla Sindrome), come depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo.
SINTOMATOLOGIA
1. Esordio nell'infanzia
2. Limitate relazioni sociali, isolamento
- Nessuna o poche relazioni durature;
- relazioni che variano da troppo distanti a troppo intense.
- Interazioni con i coetanei difficili, goffe o sgraziate.
- Egocentrismo inusuale, con una mancanza di attenzione verso gli altri e i loro diversi punti di
vista; scarsissima empatia o sensibilità.
- Mancanza di conoscenza delle convenzioni sociali; predisposizione a infrangere le regole sociali.
3. Problemi di comunicazione
- Una voce strana, monotona, magari in un volume insolito.
- Parlare verso (piuttosto che con) gli altri, con poca preoccupazione circa la loro reazione di
risposta. - Linguaggio buono superficialmente, ma troppo formale/ampolloso/pedante;
- difficoltà ad afferrare un senso diverso oltre quello letterale. 1
4.Anomalie del comportamento comunicativo non verbale; in apparenza impassibile e con poca
gestualità.
5. Anomalie dello sguardo e delle espressioni facciali; contatto visivo assente o troppo intenso.
5.Postura e linguaggio del corpo strano, goffo o sgraziato.
6. Attività particolari
- Interessi perseguiti con ossessione.
- Circoscritti interessi che contribuiscono poco per un'aspettativa di vita più ampia, come
collezionare fatti e dati di poco valore pratico o sociale.
- Routine o rituali inusuali in cui i cambiamenti spesso sono visssuti come sconvolgenti. 2.
7.Alcuni sintomi fisici
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- Difficoltà motorie nell'infanzia.
- Goffaggine.
- Andature bizzarre o anomale, movimenti strani o impacciati.
- Anomalie di locomozione, di equilibrio, di destrezza manuale, di scrittura a mano.
- Movimenti rapidi, ritmici e di imitazione
Il paziente Asperger si differenzia dal paziente autistico per l'assenza nell'anamnesi di un
ritardo nel linguaggio (anche se insolito per la verbosità o la fissazione su argomenti circoscritti), 
di un ritardo nello sviluppo cognitivo che risulta normale (anche se prevale nettamente il QI
verbale sul QI di performance), per le caratteristiche dell’interazione sociale (il paziente
Asperger è motivato a rivolgersi all’altro, anche se lo fa in modo eccentrico, verboso e insensibile
rispetto alle aspettative altrui) e per le caratteristiche atipie nel repertorio di interessi e attività.
( Alan Turing soffriva di questo disturbo)
Nell'autismo prevalgono invece i manierismi motori, le stereotipie, l'attenzione circoscritta a parte
di oggetti e il marcato disagio nei confronti del cambiamento. 
La sindrome di Rett è un disturbo  neurodegenerativo con un’eziologia nota, cioè la mutazione di
un gene. Colpisce quasi soltanto le femmine ed esordisce fra 6 e 8 mesi dopo un periodo di
sviluppo normale.Presenta un quadro clinico di rallentamento nella crescita del capo,   atassia,
tremori, perdita delle competenze prassiche, perdita della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali e delle competenze interattive.
Si differenzia rispetto al disturbo autistico, perché le mani presentano delle stereotipie
tipiche e la  manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente. 

SINDROME DI RETT
La sindrome di Rett è un disturbo neurodegenerativo con un’eziologia nota, cioè la mutazione di
un gene. Colpisce quasi soltanto le femmine ed esordisce fra 6 e 8 mesi dopo un periodo di
sviluppo normale. Presenta un quadro clinico di rallentamento nella crescita del capo,   atassia,
tremori, perdita delle competenze prassiche, perdita della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali e delle competenze interattive.
Si differenzia rispetto al disturbo autistico, perché le mani presentano delle stereotipie
tipiche e la  manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente.

DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO NON ALTRIMENTI SPECIFICATO


(INCLUSO L’AUTISMO ATIPICO)e’ un disturbo dello spettro autistico dell’età evoltiva
caratterizzato da una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo
dell’interazione sociale reciproca associata con una compromissione della capacità di
comunicazione verbali o non verbali o con la presenza di comportamento, interessi o
attività stereotipati, ma non risultano soddisfatti i criteri per uno specifico
Disturbo Pervasivo dello Sviluppo , la Schizofrenia, il Disturbo Schizotipico di
Personalità o il Disturbo di Evitamento di Personalità . 
Uno di questi quadri è il Disturbo Multisistemico che presenta le seguenti
caratteristiche:
1. Disturbo significativo, ma non assenza completa, della capacità di entrare in
relazione emotiva e sociale con i genitori.
2. Disturbo significativo nella capacità di formare, mantenere e/o sviluppare una
comunicazione di qualsiasi tipo essa sia.
3. Disfunzione significativa nell’elaborazione delle informazioni uditive e di tutte le
altre sensazioni (visuo-spaziali, tattili, etc.).
 Tali difficoltà si possono manifestare in modi differenti ed al fine di aiutare l’indagine
clinica sono stati proposti tre pattern:
Pattern A
Quasi totale assenza di coinvolgimento nella relazione ; grande quantità di
autostimolazione; iporeattività alle sensazioni; difficoltà di pianificazione motoria.
Pattern B
Capacità di relazione intermittente e gesti intenzionali semplici; affettività
accessibile ma fugace; piacere nelle attività ripetitive e di perseverazione; reazioni
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estreme ai cambiamenti; pattern di evitamento intenzionale per controllare la quantità
di input sensoriali ed affettivi che questi bambini non sono in grado di sostenere.
Pattern C
Senso di relazione più consistente, “isole” di affetti piacevoli e profondi; in maniera
intermittente gesti sociali e comportamenti interattivi; atteggiamento perseverativo
con gli oggetti, ma possibilità di entrare nel loro gioco; iperreattività alla sensazione;
parole o frasi stereotipate.

TRATTAMENTO
Nel trattamento dei disturbi dello spettro autistic in età evolutiva si utilizzano:
- Interventi a supporto della comunicazione, come il linguaggio dei segni e le immagini a
supporto della verbalità, tra questi ultimi il più noto è il PECS (Picture Exchange
Communication System).
- Interventi a supporto della comunicazione sociale e dell’interazione, che prevedono
soprattutto un adattamento funzionale dell’ambiente.
- Programmi comportamentali: l’ABA (Applied Behavior Analysis), si è dimostrato efficace
nell’incrementare il punteggio di QI, nel promuovere il linguaggio e i comportamenti adattivi.
- La terapia cognitivo comportamentale é praticabile con soggetti aventi un QI non
inferiore a 69, è efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e per promuovere strategie di
gestione della rabbia nei soggetti con autismo ad alto funzionamento.

Gli OBIETTIVI dell’intervento terapeutico sono:


 favorire la motivazione, la stabilità attentiva e il comportamento intenzionale;
 favorire il riconoscimento e la differenziazione delle emozioni;
 incrementare la comprensione di sé e dell’altro;
 aumentare le capacità comunicative;
 favorire il gioco;
 aumentare le abilità di problem-solving.
Rispetto all’area della conversazione il trattamento è finalizzato
 recuperare una conversazione,
 fronteggiare l’incertezza e i dubbi,
 superare la tendenza a fare commenti a sproposito,
 sapere quando non bisogna interrompere.

Non è consigliabile applicare tecniche avversive volte a ridurre quelli che, in passato
(trascurandone l’aspetto funzionale), erano definiti “comportamenti devianti” come le stereotipie, le
ecolalie, l’auto e l’etero-aggressività. In molti casi i comportamenti devianti si riducono
spontaneamente via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro.
Quando ciò non avviene, l’intervento diretto su tali comportamenti prevede strategie più
complesse:
– il gesto stereotipato e l’uso bizzarro dell’oggetto, ad esempio, vengono inseriti in uno spazio di
condivisione, investiti di significato o integrati in una sequenza di attività ludica ove perdono la
caratteristica di devianza;
– i comportamenti auto ed etero-aggressivi invece vengono ridotti aiutando il bambino ad
esprimere il disagio e la rabbia attraverso modalità di comunicazione alternative tra cui la
verbalizzazione dei propri stati interni e l’attacco rivolto all’oggetto piuttosto che all’altro o a se
stesso.

DISTURBI DELLA NUTRIZIONE E DELL’ALIMENTAZIONE IN ETA’ EVOLUTIVA

DISTURBI DELLA NUTRIZIONE E DELL’ALIMENTAZIONE IN ETA’ EVOLUTIVA


Un problema alimentare in età evolutiva può essere legato a:
– Uno sviluppo delle competenze alimentari ritardato o assente;

35
– Una difficoltà di gestione o di tolleranza di liquidi o prodotti alimentari;
– Una riluttanza o un rifiuto nel mangiare legato al gusto, alla consistenza o ad altri fattori
sensoriali;
– Una mancanza di appetito o interesse per il cibo;
– All'utilizzo di comportamenti alimentari con finalità differenti (calmarsi, stimolarsi, lenire la
sofferenza). Una percentuale compresa tra il 25% e il 45% di bambini con uno sviluppo normale
(che raggiunge anche l’80% se si includono bambini con un ritardo nello sviluppo) sperimenta
qualche tipo di problema di alimentazione nell’arco evolutivo; Molte difficoltà di alimentazione
precoce sono transitorie e si risolvono senza un intervento clinico significativo.
Nel DSM-5 (APA, 2013) la sezione sui disturbi alimentari è stata rinominata “disturbi della
nutrizione e dell’alimentazione” ed è definita come: “un persistente disturbo dell’alimentazione
oppure comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o
assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento
psicosociale”. Nella precedente versione del DSM erano specificate solo due forme principali di
disturbi alimentari: anoressia nervosa e bulimia nervosa, spesso, se non venivano soddisfati
pienamente i criteri per l’una o l’altra forma, si arrivava ad una diagnosi di “disturbo del
comportamento alimentare non altrimenti specificato” (EDNOS). L’applicazione dei criteri del
DSM-5 oggi ha ridotto la frequenza della diagnosi EDNOS, inoltre i criteri necessari per la
diagnosi di anoressia, bulimia e disturbo di alimentazione incontrollata sono diventati meno
restrittivi:
1. la diagnosi di anoressia nervosa non richiede più l’assenza del ciclo mestruale;
2. per la bulimia nervosa la frequenza media delle abbuffate e delle pratiche di compenso è stata
ridotta da almeno due episodi a settimana a uno, per tre mesi consecutivi;
3. la stessa frequenza è richiesta per le abbuffate nel disturbo di alimentazione incontrollata.
Il Dsm -5 individua 6 CATEGORIE DIAGNOSTICHE PRINCIPALI più 2 RESIDUE :
1. pica (pica);
2. disturbo di ruminazione o mericismo (rumination disorder);
3. disturbo alimentare evitante/restrittivo (avoidant/restrictive food intake disorder);
4. anoressia nervosa;
5. bulimia nervosa;
6. disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
Le due categorie residue sono destinate ad accogliere le sindromi parziali o sottosoglia e altre
forme di rapporto problematico con il cibo:
- altro disturbo della nutrizione o dell’alimentazione specificato (other specified feeding or
eating disorder). I casi più comuni sono forme incomplete o sottosoglia di anoressia nervosa,
bulimia nervosa o disturbo di alimentazione incontrollata; disturbo con condotte di eliminazione
(purging disorder); sindrome del mangiare di notte (night eating syndrome);
- disturbo della nutrizione o dell’alimentazione non specificato (unspecified feeding or eating
disorder). Questa categoria diagnostica si usa quando il clinico vuole segnalare la presenza di un
disturbo della nutrizione o dell’alimentazione ma non ne specifica le caratteristiche, per esempio
per mancanza di informazioni sufficienti come può accadere in un ricovero in pronto soccorso.
IN SINTESI le principali caratteristiche dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione:
- PICA ingestione abituale per almeno un mese di sostanze non alimentari. Può essere
legato a disturbi mentali o psicotici.
- DISTURBO DI RUMINAZIONE abitudine che dura da più di un mese di rigurgitare il cibo
deglutito per masticarlo di nuovo e sputarlo. Nell’età evolutiva può essere transitorio, ha
una prevalenza negli individui con disabilita intellettiva o nei neonati con funzione
autocalmante.
- DISTURBO EVITANTE RESTRITTIVO caratterizzato da un eccitamento basato sulle
caratteristiche del cibo (solo bianco es), preoccupazione per le conseguenze avversive del
mangiare. Non è presente la preoccupazione per il peso. Può essere legato ad una
situazione traumatica es maltrattamenti del caregiver.
- ANORESSIA NERVOSA disturbo caratterzzato dalla restrizione nell’ assunzione di calorie
con conseguente diminuzione del perso. E’ presente un’intensa paura di aumentare di peso
o di diventare grassi, un’eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di

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autostima, mancanza di riconoscimento della gravità della situazione. Non sono presenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione
- BULIMIA disturbo caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate, sensazione di perdita il
controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo.
- DISTURBO DI ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA caratterizzato da episodi ricorrenti di
abbuffate, non vi sono però comportamenti compensatori inappropriati e non si verifica
esclusivamente in presenza di anoressia o bulimia nervosa.

DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE nel DSM-5


Nel DSM-5 (APA, 2013) la sezione sui disturbi alimentari è stata rinominata “disturbi della
nutrizione e dell’alimentazione” ed è definita come: “un persistente disturbo dell’alimentazione
oppure comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o
assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento
psicosociale”. Nella precedente versione del DSM erano specificate solo due forme principali di
disturbi alimentari: anoressia nervosa e bulimia nervosa, spesso, se non venivano soddisfati
pienamente i criteri per l’una o l’altra forma, si arrivava ad una diagnosi di “disturbo del
comportamento alimentare non altrimenti specificato” (EDNOS). L’applicazione dei criteri del
DSM-5 oggi ha ridotto la frequenza della diagnosi EDNOS, inoltre i criteri necessari per la
diagnosi di anoressia, bulimia e disturbo di alimentazione incontrollata sono diventati meno
restrittivi:
1. la diagnosi di anoressia nervosa non richiede più l’assenza del ciclo mestruale;
2. per la bulimia nervosa la frequenza media delle abbuffate e delle pratiche di compenso è stata
ridotta da almeno due episodi a settimana a uno, per tre mesi consecutivi;
3. la stessa frequenza è richiesta per le abbuffate nel disturbo di alimentazione incontrollata.
Il Dsm -5 individua 6 CATEGORIE DIAGNOSTICHE PRINCIPALI più 2 RESIDUE :
1. pica (pica);
2. disturbo di ruminazione o mericismo (rumination disorder);
3. disturbo alimentare evitante/restrittivo (avoidant/restrictive food intake disorder);
4. anoressia nervosa;
5. bulimia nervosa;
6. disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
Le due categorie residue sono destinate ad accogliere le sindromi parziali o sottosoglia e altre
forme di rapporto problematico con il cibo:
- altro disturbo della nutrizione o dell’alimentazione specificato (other specified feeding or
eating disorder). I casi più comuni sono forme incomplete o sottosoglia di anoressia nervosa,
bulimia nervosa o disturbo di alimentazione incontrollata; disturbo con condotte di eliminazione
(purging disorder); sindrome del mangiare di notte (night eating syndrome);
- disturbo della nutrizione o dell’alimentazione non specificato (unspecified feeding or eating
disorder). Questa categoria diagnostica si usa quando il clinico vuole segnalare la presenza di un
disturbo della nutrizione o dell’alimentazione ma non ne specifica le caratteristiche, per esempio
per mancanza di informazioni sufficienti come può accadere in un ricovero in pronto soccorso.
IN SINTESI le principali caratteristiche dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione:
- PICA ingestione abituale per almeno un mese di sostanze non alimentari. Può essere
legato a disturbi mentali o psicotici.
- DISTURBO DI RUMINAZIONE abitudine che dura da più di un mese di rigurgitare il cibo
deglutito per masticarlo di nuovo e sputarlo. Nell’età evolutiva può essere transitorio, ha
una prevalenza negli individui con disabilita intellettiva o nei neonati con funzione
autocalmante.
- DISTURBO EVITANTE RESTRITTIVO caratterizzato da un eccitamento basato sulle
caratteristiche del cibo (solo bianco es), preoccupazione per le conseguenze avversive del
mangiare. Non è presente la preoccupazione per il peso. Può essere legato ad una
situazione traumatica es maltrattamenti del caregiver.
- ANORESSIA NERVOSA disturbo caratterzzato dalla restrizione nell’ assunzione di calorie
con conseguente diminuzione del perso. E’ presente un’intensa paura di aumentare di peso
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o di diventare grassi, un’eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di
autostima, mancanza di riconoscimento della gravità della situazione. Non sono presenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione
- BULIMIA disturbo caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate, sensazione di perdita il
controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo.
- DISTURBO DI ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA caratterizzato da episodi ricorrenti di
abbuffate, non vi sono però comportamenti compensatori inappropriati e non si verifica
esclusivamente in presenza di anoressia o bulimia nervosa.

DISTURBI NELLO SPECIFICO

PICA: la Pica è l’ingestione abituale, per almeno un mese, di sostanze non nutritive e/o
considerate non alimentari nella cultura di appartenenza come carta (xilofagia), terra (geofagia),
feci (coprofagia), ghiaccio (pagofagia), sapone, capelli, ecc. Il termine “non nutritive” è stato
incluso perché la diagnosi di pica non va applicata quando sono ingeriti prodotti alimentari che
hanno un contenuto nutrizionale minimo. Tipicamente non c’è avversione nei confronti del cibo
in generale. Il comportamento può essere legato a insufficienze mentali o a disturbi psicotici
cronici con lunghe istituzionalizzazioni. A volte si associa ad anoressia o bulimia.
Una delle forme più comuni è la pagofagia, ingestione abituale e compulsiva di ghiaccio,
associata spesso a mancanza di ferro e anemia sideropenica.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
a) Persistente ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili per un periodo
di almeno 1 mese.
b) L’ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili è inappropriata rispetto
allo stadio di sviluppo dell’individuo.
c) Il comportamento di ingestione non fa parte di una pratica culturalmente sancita o
socialmente normata.
d) Se il comportamento di ingestione si manifesta nel contesto di un altro disturbo mentale (per es.,
disabilità intellettiva – disturbo dello sviluppo intellettivo – disturbo dello spettro dell’autismo,
schizofrenia) o di un’altra condizione medica, decve essere sufficientemente grave da giustificare
ulteriore attenzione clinica.
Si indica in remissione se successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la
pica, i criteri non sono stati soddisfatti per un consistente periodo di tempo.
Codici diagnostici: ICD-9: 307.52; ICD-10: F98.3 per bambini; F50.8 per adulti.
Prevalenza: i tassi di prevalenza non sono chiari. Tra gli individui con disabilità intellettiva, la
prevalenza del disturbo sembra aumentare con la gravità della condizione.
Sviluppo e decorso
• Può verificarsi in età infantile, in adolescenza o in età adulta.
• Nei bambini può verificarsi anche in condizione di sviluppo normale.
• Negli adulti è più probabile che si presenti in caso di ritardo intellettivo o di altri disturbi.
• In gravidanza possono verificarsi desideri incontrollati specifici di ingestione, per esempio di
gesso o di ghiaccio. Può essere posta diagnosi solo se l’ingestione comporta un rischio per la
salute.

DISTURBO DI RUMINAZIONE o Mericisimo è l’abitudine, che dura da almeno un mese, di


rigurgitare il cibo deglutito per poi masticarlo e deglutirlo di nuovo o sputarlo. Questo
comportamento può essere associato ad insufficienze mentali o a disturbi psicotici. Nei bambini
può essere un fenomeno transitorio. Il rigurgito non deve essere attribuibile ad una condizione
gastrointestinale associata o ad altra condizione medica, non deve manifestarsi durante il decorso
di altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e i sintomi, se si manifestano nel contesto di un
altro disturbo mentale, devono essere sufficientemente gravi da giustificare un’attenzione clinica
aggiuntiva.
I Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
• Ripetuto rigurgito di cibo per un periodo di almeno 1 mese. Il cibo rigurgitato può essere
rimasticato, ringoiato o sputato.
38
• Il rigurgito ripetuto non è attribuibile ad una condizione gastrointestinale associata o a un’altra
condizione medica (per es., reflusso gastroesofageo, stenosi del piloro).
• Il disturbo dell’alimentazione non si manifesta esclusivamente durante il decorso di anoressia
nervosa, bulimia nervosa, disturbo da binge-eating o disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di
cibo.
• Se i sintomi si manifestano nel contesto di un altro disturbo mentale (per es., disabilità intellettiva
– disturbo dello sviluppo intellettivo – o altro disturbo del neurosviluppo) sono sufficientemente
gravi da giustificare ulteriore attenzione clinica.
In remissione se successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per il disturbo di
ruminazione, i criteri non sono stati soddisfatti per un consistente periodo di tempo.
Codici diagnostici: ICD-9: 307.53; ICD-10:
Prevalenza: I tassi di prevalenza non sono specifici. Tra gli individui con disabilità intellettiva, la
prevalenza del disturbo è maggiore.
Sviluppo e decorso
• Può verificarsi in età infantile, in adolescenza o in età adulta.
• Nei bambini l’età di esordio è tra i 3 e i 12 mesi.
• Nei bambini il disturbo va frequentemente in remissione spontaneamente, ma può protrarsi ed
esitare in condizioni mediche.
• È potenzialmente letale.
• Può avere un decorso episodico.
• Nei neonati e nelle persone con disturbi intellettivi, il rigurgito e la ruminazione sembrano avere
una funzione auto- calmante.

DISTURBO EVITANTE/RESTRITTIVO DELL’ASSUNZIONE DI CIBO:


Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo sostituisce ed estende la diagnosi DSM-IV d
disturbo della nutrizione dell’infanzia è l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo per tre
motivi principali:
1. apparente mancanza d’interesse per il mangiare o il cibo;
2. evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo;
3. preoccupazioni per le conseguenze avversive del mangiare.
Non è presente la preoccupazione per il peso e la forma del corpo.
Non è dovuto ad una mancanza nella disponibilità di cibo o a un’altra malattia medica o mentale.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A.Un disturbo dell’alimentazione o della nutrizione (per es., apparente mancanza d’interesse per il
mangiare o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo; preoccupazioni
relativa alle conseguenze negative del mangiare) che si manifesta attraverso la persistente
incapacità di soddisfare le necessità nutrizionali e/o energetiche appropriate, associato a uno (o
più) dei seguenti aspetti:
– Significativa perdita di peso (o mancato raggiungimento dell’aumento ponderale atteso oppure
una crescita discontinua nei bambini).
– Significativo deficit nutrizionale.
– Dipendenza dalla nutrizione parenterale o dai supplementi nutrizionali orali.
– Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale
B.Il disturbo non è meglio spiegato da una mancata disponibilità di cibo o da una pratica associata
culturalmente sancita.
C.Il disturbo dell’alimentazione non si manifesta esclusivamente durante il decorso dell’anoressia
nervosa o della bulimia nervosa e non vi è alcuna evidenza di un disturbo nel modo in cui vengono
vissuti il peso o la forma del proprio corpo.
D.Il disturbo dell’alimentazione non è attribuibile a una condizione medica concomitante e non può
essere spiegato da un altro disturbo mentale. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica nel
contesto di un’altra condizione o disturbo la gravità del disturbo dell’alimentazione eccede quella
abitualmente associata alla condizione o il disturbo e giustifica ulteriore attenzione clinica.
– In remissione: Successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per il disturbo
evitante/restrittivo dell’assunzione, i criteri non sono stati soddisfatti per un consistente periodo di
tempo.
– Codici diagnostici: ICD-9: 307.59; ICD-10: F50.8
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Sviluppo e decorso
- L’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo associati a mancanza di interesse per
l’alimentazione si sviluppano più comunemente nell’infanzia e possono persistere in età
adulta.
- L’evitamento correlato a conseguenze avverse può insorgere a qualunque età.
- L’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo basati su aspetti sensoriali sono
relativamente stabili e di lunga durata.
- Quando persistono in età adulta possono essere associati ad un funzionamento normale.
- Il disturbo può essere associato alla modalità di presentazione del cibo da parte del
caregiver.
- Quando l’alimentazione o il peso cambiano in seguito alla sostituzione del caregiver
è ipotizzabile o una sua eventuale psicopatologia o la presenza di un abuso o di
abbandono.

ANORESSIA NERVOSA: disturbo caratterizzato da una restrizione nell’assunzione di calorie in


relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso rispetto all’età,
sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito
come un peso inferiore al minimo normale o, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo
previsto per l’età. E’ presente un’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi o un
comportamento persistente che interferisce con l'aumento di peso, nonostante il peso sia
significativamente basso e un’alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la
forma proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima,
oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
Specificare se:
• (F50.01) Tipo con restrizioni: Durante gli ultimi 3 mesi l'individuo non ha presentato ricorrenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto o l'uso inappropriato di lassativi,
diuretici o enteroclismi). Questo sottotipo descrive le manifestazioni in cui la perdita di peso è
ottenuta principalmente attraverso la dieta, digiuno e/o esercizio fisico eccessivo.
• (F50.02) Tipo abbuffate/condotte di eliminazione: Nel corso degli ultimi 3 mesi, l'individuo ha
episodi ricorrenti di abbuffate o condotte di eliminazione (vomito auto-indotto o l'uso improprio di
lassativi, diuretici o enteroclismi).
Specificare se:
• In remissione parziale: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri
dell’anoressia nervosa, il Criterio A (basso peso corporeo) non è stato soddisfatto per un costante
periodo di tempo, ma nessuno dei Criteri B o C è ancora soddisfatto.
• In remissione completa: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri
dell’anoressia nervosa, nessun criterio viene soddisfatto per un persistente periodo di tempo.
GRAVITA’ si valuta sulla base dell’Indice di massa corporeo (IMC o in inglese BMI Body Mass
Index): un numero che indica il rapporto tra il peso (in Kg) diviso per il quadrato dell’altezza (m2);
serve per stabilire se una persona è sottopeso, normopeso, sovrappeso o obesa:
• Obesità di III classe (gravissima) > 40,00
• Obesità di II classe (grave)- min 35,01 - max 40,00
• Obesità di I classe (moderata) - min 30,01 – max 35,00
• Sovrappeso- min 25,01 – max 30,00
• Regolare- min 18,51 – max 25,00
• Leggermente sottopeso- min 17,51 – max 18,50
• Sottopeso- min 16,01 – max 17,50
• Grave magrezza (inedia) < 16,01
Il livello minimo di gravità si basa sull’attuale indice di massa corporea (BMI) o, per bambini e
adolescenti, con IBM percentile. I range sono stabiliti da categorie dell'OMS:
• Lieve: BMI 17 kg/m2
• Moderato: BMI 16 -16.99 kg/m2
• Grave: BMI 15 -15.99 kg/m2
• Gravissimo: BMI < 15 kg/m2
Prevalenza: Tra gli individui giovani di sesso femminile è approssimativamente dello 0,4%.
40
Rapporto maschio-femmina 1:10.
Sviluppo e Decorso:
• Inizia comunemente durante l’adolescenza o in età adulta.
• Raramente inizia prima della pubertà o dopo i 40 anni.
• È spesso associato ad un evento stressante come lasciare la casa per motivi di studio.
• Il decorso e la remissione sono estremamente variabili.
• Molti individui presentano un periodo di comportamento alimentare modificati prima che i criteri
per il disturbo siano soddisfatti appieno.
• La maggior parte degli individui con AN va in remissione entro 5 anni dalla manifestazione.
• Il tasso grezzo di mortalità per l’anoressia nervosa è circa 5% per decennio.
EFFETTI DELL’ANORESSIA
CORPO
– Grave perdita di peso; difficoltà nel sonno e stanchezza; vertigini; dolore allo stomaco;
costipazione; sensazione di freddo; indebolimento pilifero; amenorrea o dismenorrea; disinteresse
verso il sesso; assottigliamento della pelle; caduta dei capelli.
COMPORTAMENTO
– Esercizio eccessivo; rituali o comportamenti ossessivi; essere riservati e mentire rispetto al cibo;
cercare di piacere a tutti, spesso alternato alla rabbia; cucinare per gli altri; indossare abiti ampi.
MODI DI PENSARE
– Sentirsi grassi anche se in sottopeso; diventare irritabile e umorale; porsi standard severi ed
essere perfezionisti; riduzione dell’interesse per la vita sociale; pensare in maniera dicotomica al
bene e al male; difficoltà di concentrazione.
Nella prima fase del disturbo, l'anoressia si presenta egosintonica, cioè in sintonia con gli scopi
della paziente. Diventa egodistonica quando la paziente realizza i costi dell'anoressia, ad es. la
difficoltà a studiare o lavorare causa le costanti ruminazioni sul cibo, la debolezza fisica e tutte le
limitazioni che seguono dovute alla inedia, cioè l’estenuazione dell'organismo, dovuta a totale e
prolungata mancanza di alimenti, e la solitudine dovuta al sempre maggiore assorbimento nella
lotta contro il cibo. Di conseguenza la paziente comincia a criticare il suo disturbo, a criticare
l’eccessiva perdita di peso e ciò genera un conflitto interiore. Il conflitto tra l'importanza di
restringere l'alimentazione e il desiderio di recuperare peso può far cominciare le abbuffate
TRATTAMENTO
Data la gravità psicologica e sociale e le conseguenze per la salute negli adolescenti con AN è
necessario:
1. un attento monitoraggio medico;
2. un trattamento psicoterapico che vede nella multidisciplinarietà il gold standard.
Le linee guida (Lock et al., 2015; NICE, 2004) indicano un trattamento multimodale che preveda:
– Riabilitazione
– counseling nutrizionale
– intervento sui problemi psicologici
– consulenza o terapia familiare e/o terapia individuale (e laddove possibile anche la terapia di
gruppo) per correggere i pensieri disfunzionali relativi al peso e alla forma corporea (Herpertz-
Dahlmann et al., 2015)
Nei casi più gravi, si può ricorrere al ricovero ospedaliero o al ricovero in day-hospital

SCOPI DEL PAZIENTE ANORESSICO


Va premesso che nell'anoressia la restrizione alimentare è una condotta regolata da scopi, tanto
è vero che, se la paziente per qualche ragione viene meno alla restrizione dietetica auto-imposta,
ricorrerà a condotte diverse per non ingrassare, quali ad esempio delle restrizioni alimentari
compensatorie, più esercizio fisico del solito, lassativi o diuretici e vomito auto-indotto.
Ciò premesso, la paziente anoressica persegue due scopi principali:
- lo scopo di non essere grassa,
- lo scopo di non perdere il controllo della propria alimentazione.
Rispetto al primo scopo va detto che per la paziente anoressica essere grassa equivale a
percepirsi e essere percepita come una persona volgare, disgustosa anche in senso
morale, disprezzabile, da ridicolizzare, e indegna di essere amata. Lo scopo della pz
anoressica, infatti non è diventare magra, ma è non essere grassa, la pz non persegue l’idea di
41
bellezza tramite la magrezza, ma vuole evitare di essere grassa, specialmente in parti del corpo
come addome e cosce.
Lo scopo di non essere grassa è anche connesso al senso del proprio valore personale, perché
l'anoressica giudica il suo valore quasi esclusivamente in termini di peso, forma del corpo, e anche
in base a quanto riesce a controllare l'alimentazione. La restrizione diventa estrema, perché lo
scopo è definito in modo negativo, e pertanto la regola di stop è mal definita. 
Rispetto al secondo scopo cioè il sapersi controllare nell’assunzione di cibo è vissuto come un
impegno morale preso con se stessa. Pertanto, sgarrare significa sperimentare senso di colpa e
desiderio di punirsi. A volte la dieta molto restrittiva e l'esercizio fisico hanno proprio
quest'ultimo significato. Inoltre, implica anche lo scopo di essere autonomi e meno obbligati a
tener conto di aspettative altrui, il saper rifiutare porta piacere.
Per altri autori, la pz rifiutando il cibo e mangiando diversamente dagli altri familiari ottiene il
risultato di marcare un confine per affermare la propria autonomia senza però dover ricorrere ad
opposizioni troppo esplicite che potrebbero mettere a repentaglio i legami affettivi.
Nel corso del disturbo lo scopo di non essere grassa può essere accompagnato o addirittura
sostituito da scopi che riguardano indicatori dell’ingrassare (scopi collegati) come l’evitare il
gonfiore che si prova dopo aver mangiato, prevenire difficoltà di digestione, evitare contaminazione
da forti odori come aglio, olio, unto.
Nella prima fase del disturbo, l'anoressia si presenta egosintonica, cioè in sintonia con gli scopi
della paziente. Diventa egodistonica quando la paziente realizza i costi dell'anoressia, ad es. la
difficoltà a studiare o lavorare causa le costanti ruminazioni sul cibo, la debolezza fisica e tutte le
limitazioni che seguono dovute alla inedia, cioè l’estenuazione dell'organismo, dovuta a totale e
prolungata mancanza di alimenti, e la solitudine dovuta al sempre maggiore assorbimento nella
lotta contro il cibo. Di conseguenza la paziente comincia a criticare il suo disturbo, a criticare
l’eccessiva perdita di peso e ciò genera un conflitto interiore. Il conflitto tra l'importanza di
restringere l'alimentazione e il desiderio di recuperare peso può far cominciare le
abbuffate. 

MECCANISMI DI MANTENIMENTO E AGGRAVAMENTO DEI SINTOMI NEL PAZIENTE


ANORESSICO
Alcuni meccanismi contribuiscono a mantenere e a rendere la restrizione alimentare ancora più
estrema. Possiamo suddividerli in due gruppi:
A) meccanismi conseguenti all'investimento per proteggersi dal rischio di essere grassa;
B) meccanismi conseguenti al successo della restrizione.
Quanto al PRIMO GRUPPO, l'attenzione selettiva dell'anoressica è orientata sulla paura di
diventare grassa. Per proteggersi da questo rischio la paziente anoressica tende a vedersi più
grassa di quanto non sia, soprattutto sulle cosce e sull'addome. L'effetto della distorsione della
percezione visiva del proprio corpo (dismorfismo) è quello dell'aumento della minaccia
percepita allo scopo. Anche la ruminazione sulle calorie assunte è un meccanismo che
contribuisce a mantenere la restrizione alimentare. L'anoressica pensa alle calorie e alla
composizione del cibo tutto il tempo. Per non rischiare di sottovalutare l'entità delle calorie ingerite,
tende a sopravvalutare le calorie assunte e questo la porta a compensare, restringendo ancora di
più l'assunzione di cibo. Senza contare che la ruminazione porta l’anoressica a focalizzarsi
esclusivamente sull'argomento ‘cibo e calorie’.
Un altro meccanismo di protezione è il body checking: la paziente si controlla in continuazione,
toccandosi, palpandosi e salendo sulla bilancia. Il body checking è collegato al fenomeno del
behaviour as information, ovvero il solo fatto di aver messo in atto un comportamento di
sicurezza fornisce alla paziente la conferma del pericolo di essere ingrassata.
Quanto al SECONDO GRUPPO di meccanismi di mantenimento e aggravamento dell'anoressia, il
successo nella perdita di peso fa aumentare il senso del proprio valore personale rispetto agli altri,
che sono schiavi di un istinto di basso livello come quello della fame; fa aumentare il senso di
autocontrollo, in quanto l'anoressica si sente padrona di se stessa; infine, fa aumentare la self-
efficacy, perché l'anoressica si sente capace di raggiungere i propri obiettivi. Tutto ciò rinforza
l'investimento nella restrizione del cibo. 

42
Il successo nella restrizione rafforza lo scopo di controllare l'alimentazione. Quest'ultimo
scopo probabilmente implica anche lo scopo di essere autonomi e dunque meno obbligati a
tener conto delle aspettative altrui, meno obbligati a essere oblative e compiacenti.
Un'altra motivazione di rinforzo alla restrizione è la dimensione interpersonale: mangiare
diversamente dagli altri e opporsi all’insistenza dei familiari serve a marcare un confine cioè ad
affermare la propria autonomia senza mettere a rischio i legami affettivi. 

EGOSINTONIA ED EGODISTONIA NELL’ANORESSIA


Nella prima fase del disturbo, l'anoressia si presenta egosintonica, cioè in sintonia con gli scopi
della paziente. Diventa egodistonica quando la paziente realizza i costi dell'anoressia, ad es. la
difficoltà a studiare o lavorare causa le costanti ruminazioni sul cibo, la debolezza fisica e tutte le
limitazioni che seguono dovute alla inedia, cioè l’estenuazione dell'organismo, dovuta a totale e
prolungata mancanza di alimenti, e la solitudine dovuta al sempre maggiore assorbimento nella
lotta contro il cibo. Di conseguenza la paziente comincia a criticare il suo disturbo, a criticare
l’eccessiva perdita di peso e ciò genera un conflitto interiore. Il conflitto tra l'importanza di
restringere l'alimentazione e il desiderio di recuperare peso può far cominciare le
abbuffate. 

BULIMIA NERVOSA è un disturbo dell’alimentazione caratterizzato da ricorrenti episodi di


abbuffate, sensazione di perdita il controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito
autoindotto, abuso di lassativi, diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A.Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i
seguenti aspetti:
• Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per esempio un periodo di 2 ore), una quantità di
cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello
stesso periodo e in circostanze simili.
• Sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (per esempio sensazione di non riuscire a
smettere di mangiare o controllare cosa o quanto si sta mangiando).
B.Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso, come
vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.
C.La abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media, almeno una
volta alla settimana per 3 mesi.
D. I livelli di valutazione di sé sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.
E. L'alterazione non si manifesta esclusivamente durante episodi di anoressia nervosa.
Specificare se:
• In remissione parziale: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri della
bulimia nervosa, alcuni, ma non tutti, i criteri sono stati soddisfatti per un consistente periodo di
tempo.
• In remissione completa: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri della
bulimia nervosa, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo.
Specificare gravità attuale:
Il livello di gravità si basa sulla frequenza di inappropriati comportamenti compensatori.
• Lieve: una media di 1-3 episodi di condotte compensatorie inappropriate a settimana.
• Moderato: una media di 4-7 episodi di condotte compensatorie inappropriate a settimana.
• Grave: una media di 8-13 episodi di condotte compensatorie inappropriate a settimana.
• Gravissimo: una media di 14 o più episodi di condotte compensatorie inappropriate a settimana.
Effetti della Bulimia
CORPO
Gola irritata, alitosi ed infezioni della bocca; mal di stomaco; ciclo irregolare; pelle secca o
assottigliata; difficoltà del sonno; costipazione; guance gonfie; disidratazione; svenimento;
problemi dell'intestino e del rene.
COMPORTAMENTO
Ingestione di una grande quantità di cibo; sentirsi male dopo i pasti o le abbuffate; uso di lassativi o
pillole dimagranti; nascondere agli altri le abbuffate.
• SENSO DI SE’
43
Sentirsi emotivi e depressi; sentirsi fuori controllo; avere oscillazioni di umore; essere ossessionati
dalla dieta.
Prevalenza
• Una prevalenza a 12 mesi della BN tra gli individui giovani di sesso femminile è dell’1-1,5%.
• La prevalenza è più elevata nei giovani adulti.
• Il picco si ha nell’adolescenza e nell’età adulta.
• Rapporto maschio femmina 1:10.
Sviluppo & Decorso:
• Inizia comunemente durante l’adolescenza o in età adulta.
• Raramente inizia prima della pubertà o dopo i 40 anni.
• Le abbuffate spesso iniziano in seguito a restrizioni dietetiche.
• Il decorso può essere cronico o intermittente, con fasi di remissione alternate a fasi di
ricomparsa delle abbuffate.
• Periodi di remissione più lunghi di un anno sono associati ad un migliore esito a lungo termine.
• Il tasso grezzo di mortalità per la BN è circa 2% per decennio.
TRATTAMENTO
Data la gravità psicologica e sociale e le conseguenze per la salute negli adolescenti con BN è
necessario:
3. un attento monitoraggio medico;
4. un trattamento psicoterapico che vede nella multidisciplinarietà il gold standard.
Le linee guida (Lock et al., 2015; NICE, 2004) indicano un trattamento multimodale che preveda:
– Riabilitazione
– counseling nutrizionale
– intervento sui problemi psicologici
– consulenza o terapia familiare e/o terapia individuale (e laddove possibile anche la terapia di
gruppo) per correggere i pensieri disfunzionali relativi al peso e alla forma corporea (Herpertz-
Dahlmann et al., 2015)
Nei casi più gravi, si può ricorrere al ricovero ospedaliero o al ricovero in day-hospital.

INDICAZIONI PER IL TRATTAMENTO DI ANORESSIA E BULIMIA NERVOSA


Data la gravità psicologica e sociale e le conseguenze per la salute negli adolescenti con AN e BN
è necessario:
1. un attento monitoraggio medico;
2. un trattamento psicoterapico che vede nella multidisciplinarietà il gold standard.
Le linee guida (Lock et al., 2015; NICE, 2004) indicano un trattamento multimodale che
preveda:
– Riabilitazione
– counseling nutrizionale
– intervento sui problemi psicologici
– consulenza o terapia familiare e/o terapia individuale (e laddove possibile anche la terapia di
gruppo) per correggere i pensieri disfunzionali relativi al peso e alla forma corporea (Herpertz-
Dahlmann et al., 2015)
Nei casi più gravi, si può ricorrere al ricovero ospedaliero o al ricovero in day-hospital.

DISTURBO DI ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA (Binge eating) caratterizzato da episodi


ricorrenti di abbuffate, non vi sono però comportamenti compensatori inappropriati e non si verifica
esclusivamente in presenza di anoressia o bulimia nervosa
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A. Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata compulsiva è
caratterizzato da:
- mangiare, in un periodo circoscritto di tempo (per esempio entro un paio d’ore), una quantità di
cibo che è indubbiamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello
stesso arco di tempo in circostanze simili;
- un senso di mancanza di controllo sul mangiare durante l’episodio (per esmpio sentire di non
poter smettere o controllare cosa o quanto si sta mangiando).
Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi: o
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mangiare molto più rapidamente del normale;o mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;o
mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati; o mangiare da soli
a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando;o sentirsi disgustati verso se stessi, depressi,
o molto in colpa dopo le abbuffate.
B.È presente un disagio marcato rispetto al mangiare senza controllo;
C.Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, in media, almeno una volta a settimana
per tre mesi consecutivi.
D.L’alimentazione incontrollata non risulta associata con l’utilizzazione sistematica di
comportamenti compensatori inappropriati (per esempio, uso di purganti, digiuno, eccessivo
esercizio fisico) e non si verifica esclusivamente in corso di Anoressia Nervosa o di Bulimia
Nervosa.
Specificare se:
• in remissione parziale: i criteri per la diagnosi di BED sono stati soddisfatti in precedenza ma la
frequenza è scesa da tempo al disotto di un episodio a settimana.
• in remissione totale: tutti i criteri per la diagnosi di BED sono stati soddisfatti in precedenza ma
nessuno di essi lo è più da tempo.
Specificare la gravità attuale. Il livello minimo di gravità si basa sulla frequenza media degli
accessi di binge eating (indicati di seguito sotto).
• Il livello di gravità può essere aumentato in funzione della presenza di altri sintomi e del grado di
disabilità funzionale:
• lieve: 1-3 episodi/settimana di comportamenti impropri di compenso;
• moderata: 4-7 episodi/settimana;
• grave: 8-13 episodi/settimana;
• estrema: ≥ 14 episodi/settimana.

IPOTESI TRANDIAGNOSTICA
La teoria cognitivo comportamentale transdiagnostica dei disturbi alimentari considera i disturbi
alimentari un'unica categoria e non disturbi separati e mantenuti da meccanismi comuni. I
pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione hanno, infatti, caratteristiche simili, inoltre migrano da
una diagnosi all’ altra.
La teoria sostiene che l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo
dell’alimentazione è la psicopatologia specifica e centrale dei disturbi dell’alimentazione.
Mentre le persone si valutano generalmente in base alla percezione delle loro prestazioni in una
varietà di domini della loro vita (per es. relazioni interpersonali, scuola, lavoro, sport, abilità
intellettuali e genitoriali, ecc.), quelle affette da disturbi dell’alimentazione si valutano in modo
esclusivo o predominante in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del
corpo o sull’alimentazione (spesso su tutte e tre le caratteristiche).
L’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione è di
primaria importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione: la maggior parte delle altre
caratteristiche cliniche deriva, infatti, direttamente o indirettamente da essa. Per esempio, i
comportamenti di controllo del peso estremi (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo e compulsivo,
vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o di diuretici, check ed evitamento del corpo,
sensazione di essere grassi) e perseguire il raggiungimento e il mantenimento di un grave
sottopeso sono comprensibili se una persona crede che il controllo dell’alimentazione, del peso e
della forma del corpo siano di estrema importanza per giudicare il suo valore. L’unico
comportamento, non strettamente legato a questo schema di autovalutazione disfunzionale
è l’abbuffata presente in un sottogruppo di persone affette da disturbi dell’alimentazione, sembra
essere la conseguenza del tentativo di restringere in modo ferreo l’alimentazione o, in taluni casi,
di modulare eventi ed emozioni associati all’ allentamento del controllo dell’alimentazione che si
verifica quando sono usati comportamenti di compenso (per es. vomito autoindotto, uso improprio
di lassativi e diuretici) dopo gli episodi bulimici. Le varie manifestazioni cliniche dei disturbi
dell’alimentazione a loro volta mantengono in uno stato di continua attivazione lo stato mentale del
disturbo dell’alimentazione e assieme ad esso formano i cosiddetti meccanismi di mantenimento
interni o specifici (perché sono presenti solo in questi disturbi).
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La teoria transdiagnostica propone che, in un sottogruppo di pazienti, siano presenti uno o più dei
seguenti meccanismi di mantenimento esterni o non specifici (perché sono presenti anche in
altre problematiche psicologiche).
- perfezionismo clinico;
- bassa autostima nucleare;
- difficoltà interpersonali e
- intolleranza alle emozioni.
I fattori di mantenimento esterni, se presenti, interagiscono con quelli interni nel perpetuare
il disturbo dell’alimentazione attraverso vari meccanismi.

DISTURBI DELLA NUTRIZIONE DA 0 -3 AA (DC:0-3)


I manuali diagnostici solitamente usati a livello internazionale nella diagnosi dei disturbi
psicopatologici sono la Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi
Sanitari Correlati (ICD-10; WHO, 2016) e il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
(DSM-5; APA, 2013). I disturbi alimentari nei bambini tuttavia non sono ben identificati
all’interno di questi manuali. Molti di essi ricadrebbero infatti in un generico “Disturbo di
evitamento/restrizione nell’assunzione di cibo”. Per tenere conto della specificità dei disturbi
alimentari nei bambini, alcuni gruppi di ricerca hanno sviluppato delle categorie e dei criteri
diagnostici appropriati per le caratteristiche dei disturbi alimentari in questa età. I sistemi
diagnostici e i criteri a cui qui si farà riferimento sono:

A)la Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood-Revised: 0-3R (DC: 0-3R; Zero To Three, 2005) che prende in considerazione i
bambini dagli 0 ai 3 anni;

B)i Great Ormond Street Criteria che si riferisce ai bambini dagli 8 ai 14 anni. Nel sistema GOS
engono differenziati 7 quadri clinici, distinti per peculiarità sintomatologiche e differente gravità
clinica e diagnostica.

La DC:0-3R riconosce una particolare categoria diagnostica per i disturbi alimentari nei bambini
dagli 0 ai 3 anni definita Feeding Disorder (Zero to Three, 2005), che consiste in una “Difficoltà
del bambino a stabilire pattern regolari di alimentazione con un’adeguata immissione di cibo e a
regolare la propria alimentazione con gli stati fisiologici di fame e sazietà”.

All’interno di questa categoria, è possibile distinguere diversi disturbi specifici:

1. Disturbo alimentare dell’autoregolazione Questo disturbo si presenta quando il bambino


non riesce a raggiungere e mantenere uno stato di calma vigile che permetta
l’alimentazione. Il bambino potrebbe essere troppo assonnato, troppo agitato o stressato
affinché la nutrizione sia possibile. Questa condizione si presenta nel periodo
immediatamente seguente alla nascita e porta il bambino a non aumentare o avere una
perdita di peso.
2. Disturbo alimentare della reciprocità tra caregiver e infante Il motivo per cui il bambino
non si nutre in questo caso, è la mancata creazione di un legame tra genitore e figlio, a
causa dell’assenza di reciprocità sociale (es: guardarsi negli occhi, sorridere, vocalizzare).
Il disturbo porta a significativi deficit di crescita, non dovuti ad una patologia fisica o ad un
disturbo dello spettro autistico.
3. Anoressia Infantile I bambini con Anoressia Infantile sono bambini che, nel passaggio
all’alimentazione con cucchiaio e autoregolata (6 mesi – 3 anni) si rifiutano di mangiare una
quantità adeguata di cibo. Questi bambini non riferiscono di avere fame e mostrano scarso
interesse per il cibo, ma sono comunque interessati all’esplorazione dell’ambiente e
all’interazione con i propri genitori. Anche in questo caso vi è ovviamente un deficit della

46
crescita. Va precisato che l’anoressia infantile non è dovuta ad un evento traumatico e non
ha una causa medica sottostante.
4. Avversione sensoriale per il cibo Nell’avversione sensoriale per il cibo, il bambino rifiuta
alcuni tipi di cibo a causa di alcune caratteristiche che li accomuna (sapore, odore e/o
consistenza) ma mangia senza problema i suoi cibi preferiti. Questo disturbo si presenta
solitamente quando si provano ad inserire nell’alimentazione cibi diversi. Le conseguenze
sono carenze nutrizionali specifiche e ritardi nello sviluppo orale-motorio.

5. Disturbo dell’alimentazione associato a condizione mediche concomitanti In alcune


patologie (es. allergie alimentari, celiachia, reflusso gastrico) il bambino, dopo aver iniziato
a mangiare, potrebbe rifiutarsi di continuare a causa dello stress. In questo caso sono
presenti delle condizioni fisiche che spiegano la condizione di stress, ma la gestione
puramente medica non riesce a risolvere il problema alimentare. Il disturbo causa una
mancanza di aumento di peso o una sua riduzione.

6. Disturbo alimentare post-traumatico Questo disturbo si presenta in seguito ad


esperienze traumatiche del tratto orofaringeo o gastrointestinale (es. soffocamento, forte
vomito, inserimento di tubi nasogastrici) che provocano al bambino un forte stress. Il rifiuto
potrebbe non essere totale ma in relazione alla modalità di assunzione e alle caratteristiche
del cibo che possono riattivare l’esperienza traumatica. In questi casi il bambino manifesta
ansia, resistenza davanti al cibo o al biberon o resistenza a deglutire. Il disturbo alimentare
post-traumatico è tale se il rifiuto del cibo porta ad una malnutrizione o ad una sua
mancanza.

DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE DA 3 A 14 ANNI Great Ormond Street Criteria (GOS)


I manuali diagnostici solitamente usati a livello internazionale nella diagnosi dei disturbi
psicopatologici sono la Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi
Sanitari Correlati (ICD-10; WHO, 2016) e il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
(DSM-5; APA, 2013). I disturbi alimentari nei bambini tuttavia non sono ben identificati
all’interno di questi manuali. Molti di essi ricadrebbero infatti in un generico “Disturbo di
evitamento/restrizione nell’assunzione di cibo”. Per tenere conto della specificità dei disturbi
alimentari nei bambini, alcuni gruppi di ricerca hanno sviluppato delle categorie e dei criteri
diagnostici appropriati per le caratteristiche dei disturbi alimentari in questa età. I sistemi
diagnostici e i criteri a cui qui si farà riferimento sono:

A)la Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood-Revised: 0-3R (DC: 0-3R; Zero To Three, 2005) che prende in considerazione i
bambini dagli 0 ai 3 anni;

B)i Great Ormond Street Criteria che si riferisce ai bambini dagli 8 ai 14 anni. Nel sistema GOS
engono differenziati 7 quadri clinici, distinti per peculiarità sintomatologiche e differente gravità
clinica e diagnostica.

1. Anoressia Nervosa
2. Bulimia Nervosa
3. Disturbo emotivo di rifiuto del cibo
4. Alimentazione selettiva
5. Disfagia Funzionale
6. Iperalimentazione compulsiva
7. Rifiuto Pervasivo

1. ANORESSIA NERVOSA disturbo caratterizzato dalla restrizione nell’ assunzione di calorie


con conseguente diminuzione del perso. E’ presente un’intensa paura di aumentare di peso
o di diventare grassi, un’eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di

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autostima, mancanza di riconoscimento della gravità della situazione. Non sono presenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione.
2. BULIMIA disturbo caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate, sensazione di perdita il
controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo. Anche in questo caso i bambini hanno
eccessive preoccupazioni per il peso e/o la forma del corpo
3. DISTURBO EMOZIONALE CON EVITAMENTO DEL CIBO ( Food Avoidance Emotional
Disorder) secondo i criteri GOS, ha le seguenti caratteristiche:
- L’evitamento del cibo rappresenta il sintomo prevalente;
- presenza di una storia di evitamento del cibo o difficoltà nell’alimentarsi (ad es., fare
capricci per mangiare o restrizioni);
- Non totale corrispondenza con i criteri per Anoressia Nervosa;
- Assenza di disturbi cerebrali, psicosi, abuso di droghe, effetti collaterali dovuti
all’assunzione di farmaci. I bambini con questo disturbo: possono ritrovarsi in condizioni
fisiche molto precarie, con peso molto basso e difficoltà nella crescita. Rispetto a quelli
che sogffrono di AN e BN non hanno la stessa preoccupazione per il peso e la forma
del corpo e nemmeno presentano distorsioni dell’immagine corporea; sanno di
essere sottopeso e vorrebbero ingrassare ma non conoscono il motivo di questa difficoltà.
4. ALIMENTAZIONE SELETTIVA Great Ormond Street Criteria (GOS) Si riscontra in
bambini che limitano l’assunzione di cibo ad un numero molto ridotto di cibi “preferiti”.
Tipicamente, potrebbero mangiare solamente cinque o sei cibi differenti, a volte facendo
attenzione alle marche o a dove il cibo è stato acquistato. Sembrano non abbandonare la
normale fase di sviluppo delle “preferenze” del cibo. I tentativi di ampliare il repertorio
dei cibi di solito incontrano estrema resistenza e se costretti a mangiare cibi nuovi
sembrano essere sul punto di vomitare. La dieta è solitamente ricca di carboidrati e anche
le bevande potrebbero essere selezionate. I bambini spesso mantengono un peso e
un’altezza appropriati per la loro età (la loro crescita non sembra essere compromessa
dalle abitudini alimentari). È più frequente nei ragazzi rispetto alle ragazze. Ha
ripercussioni sul funzionamento sociale (la richiesta di aiuto da parte dei genitori è dovuta
prevalentemente all’impatto che questo problema ha sul gruppo). Nella maggior parte dei
casi, l’alimentazione selettiva è considerata come un problema sociale piuttosto che
fisico. Tende a risolversi con l’età spesso avviene attraverso il conformarsi al gruppo
di pari.
5. DISFAGIA FUNZIONALE Great Ormond Street Criteria (GOS) - (Nicholls, Chater, e
Lask, 2000). Questo disordine dell’alimentazione si riscontra in bambini che mostrano un
marcato evitamento del cibo (vengono evitati soprattutto cibi di un certo tipo o
composizione) a causa della paura di deglutire, soffocare o vomitare, ciò li rende ansiosi e
provoca in loro una resistenza a mangiare normalmente. In molti casi si osserva un fattore
precipitante quale un evento aversivo (un’indagine gastrointestinale traumatica, aver
mangiato un cibo avariato o aver sofferto di un attacco di diarrea e vomito dove il bambino
ha vomitato in pubblico; un incidente in cui un pezzo di cibo sia rimasto incastrato in gola).
I bambini con disfagia funzionale non hanno preoccupazioni legate al peso e alla
forma del corpo tipiche dell’AN e della BN.
6. IPERALIMENTAZIONE COMPULSIVA (Great Ormond Street Criteria (GOS) - (Nicholls,
Chater, e Lask, 2000) questo disturbo riguarda bambini che mangiano molto sin dalla prima
infanzia e persistono nella stessa modalità anche in epoche successive. I genitori
frequentemente raccontano ricordi di piccoli sempre affamati, estrema difficoltà a far
seguire una dieta e sovrappeso. Si distingue dalla bulimia perché vi è assenza di
vomito auto indotto, abuso di lassativi e condotte di eliminazione. I ragazzi mangiano
in modo eccessivo e non si preoccupano del loro peso o della forma del corpo.
Inoltre, non è presente il senso di perdita di controllo durante l’abbuffata né senso di colpa.
L’unico punto in comune con la bulimia è la tendenza a mangiare se stressati nei momenti
di disagio. È importante che sia compreso il meccanismo psicologico da cui dipende il
comportamento alimentare: in risposta ad arousal emozionale o in risposta a stimoli
ambientali. La differenza tra questi due meccanismi può suggerire una grande varietà di
strategie di intervento di tipo cognitivo per la gestione dell’alimentazione.
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7. SINDROME PERVASIVA DI RIFIUTO Great Ormond Street Criteria (GOS) Termine
usato per descrivere un ridotto numero di bambini che presentano una condizione di vita
potenzialmente a rischio. Si manifesta con un profondo e pervasivo rifiuto di
mangiare, bere, camminare, parlare o prendersi cura di se stessi in alcun modo, per
un periodo di diversi mesi (Lask, Britten, Kroll, Magagna, & Tranter, 1991).I bambini con
questa particolare combinazione di sintomi e caratteristiche non rientrano in nessuna
categoria diagnostica esistente. Probabilmente tale condizione può essere spiegata come
un’estrema forma di disturbo post traumatico da stress. I bambini con questa “diagnosi”
presentano sottopeso e spesso disidratazione, rifiutano fermamente cibo e
bevandeDifferenza con un’anoressia nervosa acuta: il bambino tende a non essere
sufficientemente comunicativo e il rifiuto si estende a tutte le aree di funzionamento sociale
e personale.

COMPORTAMENTO DEI GENITORI CHE INDUCE O MANTIENE LE PROBLEMATICHE


ALIMENTARI
Esistono differenti comportamenti genitoriali che posso, involontariamente, scatenare o contribuire
al mantenimento di un disturbo alimentare in età evolutiva. Distinguiamo i seguenti casi:
1. Genitori assistono alle reazioni fisiche negative del bambino e sperimentano ansia
molto intensa per cui evitano di riproporre nuovamente quello stesso cibo. Questo
può portare ad una continuata e non necessaria restrizione della varietà, qualità o quantità
del cibo offerto, che potrebbe persistere anche molto dopo la risoluzione del problema
originario. I bambini imparano presto, infatti, che, rifiutandosi di mangiare alcuni cibi,
ottengono quelli che gradiscono di più e questo induce una restrizione della varietà di ciò
che mangiano, infatti, imparano ad attuare comportamenti (allontanarsi dal tavolo, sputare,
tirare il cibo, piangere, fare “sceneggiate”) che inducono i genitori a smettere di presentare i
cibi non graditi. I genitori di solito ricevono un rinforzo molto potente quando i loro
bambini mangiano. Per mantenere questa esperienza piacevole, spesso offrono ai
bambini i loro cibi preferiti o le varietà più gradite rinforzando così la restrizionebambini che
mangiucchiano per tutto il giorno merendine invece di mangiare pasti completi alle ore
stabilite;
2. Fraintendimento del comportamento alimentare del bambino. I genitori potrebbero
pensare che il rifiuto del proprio bambino sia per disobbedienza e negligenza, quando in
realtà il bambino sta male o non può mangiare per ragioni fisiche. Questo può indurre a
esercitare pressione sul bambino, a forzarlo ad alimentarsi, a scoppi d’ira e a
punizioni che provocano solo maggiore evitamento e stress emotivo.
3. Percezioni assenti o distorte sui bisogni alimentari ed emotivi evolutivi del proprio
bambino alcuni genitori non sono consapevoli della necessità di chiedere aiuto o perché
sono preoccupati dalle proprie difficoltà emotive o perché non hanno una conoscenza
sufficiente dello sviluppo del bambino. Potrebbero, infatti, offrirgli cibi inadeguati per
caratteristiche, quantità o varietà e sembrare inavvertitamente o ingiustamente indifferenti
oppure non fornire al bambino un aiuto fisico per accedere al cibo e un supporto al
momento dei pasti, creando una situazione potrebbero di grave denutrizione. Va
sottolineato, inoltre, genitori con difficoltà di attaccamento ai propri bambini mostrano
spesso scarsa attenzione ai pattern comunicativi relativi al cibo.
4. Quando i genitori hanno convinzioni irrazionali o distorte sul cibo queste convinzioni
possono indurre i genitori a restringere la dieta del proprio bambino sulla base di
informazioni distorte apprese dai media, di paura delle infezioni, degli additivi, di malattie o
allergie; a causa di pensieri e convinzioni personali religiose o animaliste e di aspettative
errate su cosa e quanto dovrebbe mangiare un bambino di una certa età.
5. Quando i genitori hanno l’ansia dell’igiene l’ansia relativa a igiene, disordine e pulizia
può essere appresa dal bambino che diventa, così, riluttante a toccare il cibo e chiede
continuamente di pulirsi le mani e il viso mentre mangia. I bambini più grandi possono
mostrare preoccupazioni sulla pulizia delle posate e delle stoviglie, mentre i bambini in età
prescolare possono avere fantasie di contaminazione fra cibi differenti che si toccano
49
dentro allo stesso piatto e potrebbero mangiare solo nel proprio piatto a casa propria.
6. Quando i genitori non sono più sicuri delle proprie competenze in questo particolare
condione le scarse capacità decisionali relative all’alimentazione del bambino potrebbero
essere la conseguenza di una malattia precoce del bambino o delle critiche fatte da altri
membri della famiglia o delle informazione date da altri considerarti “autorevoli”. Una
malattia del bambino nel primo anno di vita – per es. il reflusso gastroesofageo – può
minare gravemente la sicurezza dei genitori sulla capacità di affrontare la situazione.
L’incertezza dei genitori potrebbe perseverare a lungo anche dopo, quando il problema
fisico è scomparso .

Continuità tra problematiche alimentari in età evolutiva e disturbi alimentari in età adulta
L’insorgenza dei DCA solitamente avviene in adolescenza (Anoressia) o in tarda
adolescenza/prima età adulta (Bulimia). Alcuni studi longitudinali hanno dimostrato che esiste un
rapporto tra le problematiche alimentari in età evolutiva e quelle in età adolescenziale/adulta. Le
conclusioni a cui sono giunti questi studi sono che il comportamento alimentare nell’età adulta ha
continuato ad essere caratterizzato da:
- reattività disfunzionale alla sazietà,
- mancanza di piacere nel mangiare,
- crescita di meticolosità nella scelta dei cibi “mangiano pochi pasti, mangiano lentamente e
spesso sono selettivi e meno interessati al cibo”.

DISTURBI DEPRESSIVI IN ETA’ EVOLUTIVA

DISTURBI DEPRESSIVI IN ETA’ EVOLUTIVA


Fino agli anni ’70 si riteneva che i bambini non soffrissero di depressione, solo nel nel 1971
l’Unione degli Psichiatri Infantili Europei riconosce ufficialmente che la depressione poteva
manifestarsi anche nell’infanzia e nell’adolescenza e che potesse cronicizzare in età adulta. I
disturbi depressive hanno ripercussioni ed influenze profonde sulla crescita, sulle performance
scolastiche, sulle relazioni con i coetanei e con i familiari, sulla intera qualità della vita.
I sintomi depressivi associati a specifici sentimenti depressive come la tristezza, il senso di
inadeguatezza e di mortificazione, vergogna, paura di non essere amati, sensazione di esclusione
dal gruppo, senso di colpa, incapacità ad esprimere e a modulare l’aggressività.
I bambini depressi sono bambini tristi, consapevoli di esserlo, anche se possono negarlo o
esprimerlo in maniera paradossale o poco chiara:
- sono preoccupati, chiedono spesso se si vuol loro bene, ma non riescono ad esprimere il
proprio bisogno;
- non si divertono e/o non investono nel gioco e nelle attività previste per l’età. Nei I casi più
gravi, si può presentare una similitudine con la depressione melanconica dell’adulto,
caratterizzata da vera e propria anedonia.
- possono essere oppositivi e manifestare una compromissione delle prestazioni scolastiche;
- frequentemente sono presenti preoccupazioni e fantasie sul tema della morte, che
compaiono in maniera eccessivamente precoce o atipica .
EPIDEMIOLOGIA E DECORSO DEI DISTURBI DEPRESSIVI:
La prevalenza della depressione maggiore è stimata tra l’1,8% e il 2,5% in età prepubere e tra il
2,9% e il 4,7% negli adolescenti. La prevalenza del disturbo distimico è stimata tra lo 0,6% e il
4,6% nei bambini e tra l’1,6% e l’8% negli adolescenti (SINPIA, 2007).
L’età di insorgenza correla positivamente con il numero di episodi depressivi in entrambi i
sessi; tuttavia si rivela un predittore di maggiore gravità del disturbo solo per le femmine (Essau et
al., 2010). Le femmine in età prepubere sembrano avere uno stile esplicativo più ottimistico
rispetto ai maschi; nella tarda adolescenza si verifica l’inverso; tale inversione di tendenza
potrebbe essere spiegata da fattori culturali e sociali.
Negli ultimi anni si assiste ad un forte aumento dei tassi di depressione fra la prima infanzia e
l’adolescenza (Patrizi, 2016).

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DEPRESSIONE NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
Fino agli anni ’70 si riteneva che i bambini non soffrissero di depressione, solo nel nel 1971
l’Unione degli Psichiatri Infantili Europei riconosce ufficialmente che la depressione poteva
manifestarsi anche nell’infanzia e nell’adolescenza e che potesse cronicizzare in età adulta. I
disturbi depressive hanno ripercussioni ed influenze profonde sulla crescita, sulle performance
scolastiche, sulle relazioni con i coetanei e con i familiari, sulla intera qualità della vita.
I sintomi depressivi associati a specifici sentimenti depressive come la tristezza, il senso di
inadeguatezza e di mortificazione, vergogna, paura di non essere amati, sensazione di esclusione
dal gruppo, senso di colpa, incapacità ad esprimere e a modulare l’aggressività.
I bambini depressi sono bambini tristi, consapevoli di esserlo, anche se possono negarlo o
esprimerlo in maniera paradossale o poco chiara:
- sono preoccupati, chiedono spesso se si vuol loro bene, ma non riescono ad esprimere il
proprio bisogno;
- non si divertono e/o non investono nel gioco e nelle attività previste per l’età. Nei I casi più
gravi, si può presentare una similitudine con la depressione melanconica dell’adulto,
caratterizzata da vera e propria anedonia.
- possono essere oppositivi e manifestare una compromissione delle prestazioni scolastiche;
frequentemente sono presenti preoccupazioni e fantasie sul tema della morte, che compaiono in
maniera eccessivamente precoce o atipica
Nel DSM-5 distinguiamo:
1. Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente
2. Disturbo Depressivo Maggiore (incluso episodio depressivo maggiore)
3. Disturbo Depressivo Persistente ( prima Distimia)
4. Disturbo Disforico Premestruale
5. Disturbo Depressivo indotto da sostanze/farmaco
6. Disturbo Depressivo dovuto ad altra condizione medica
7. Altri Disturbi Depressivi Specifici
8. Disturbo Depressivo non specificato
Il comune denominatore di questi disturbi è la presenza di tristezza, sensazione di vuoto o umore
irritabile, accompagnati da cambiamenti somatici e cognitivi significativamente interferenti con il
funzionamento dell’individuo.
Le differenze tra i disturbi fanno riferimento a durata, distribuzione temporale e presunta
eziologia.
I PRIMI TRE DISTURBI SONO QUELLI PIU’ TIPICI DELL’ETA’ EVOLUTIVA.

DISTURBI DEPRESSIVI NEL DSM-5 (APA, 2013)


Nel DSM-5 scompare la sezione “Disturbi dell’Umore” e viene introdotta la dicitura “Disturbi
Depressivi”.
Per l’età evolutiva è stata aggiunta la diagnosi di Disturbo da Disregolazione dell’Umore
Dirompente con l’intento di escludere il rischio di sovradiagnosi e di trattamento del Disturbo
Bipolare in età evolutiva. La categoria diagnostica è stata aggiunta per includere i bambini, fino a
12 anni di età, che mostrano irritabilità persistenti e frequenti episodi di discontrollo
comportamentale estremo.
Viene inserito il Disturbo Persistente Depressivo (Disturbo Distimico e Depressione Maggiore
Cronica del DSM-IV) diagnosticabile nei bambini quando l’alterazione dell’umore ha una durata di
almeno 1 anno (2 negli adulti); inoltre viene omesso come criterio di esclusione la condizione
di lutto. Pertanto è possibile diagnosticare una depressione anche nei primi 2 mesi successivi
dalla perdita.Il lutto viene riconosciuto come un grave fattore di stress psicosociale che può
evolvere in un episodio depressivo maggiore in un individuo vulnerabile, in genere subito dopo la
perdita, e può incrementare il rischio per la sofferenza, il senso di inutilità, l’ideazione suicidaria e
lo scarso funzionamento interpersonale e lavorativa.
51
Nel DSM-5 distinguiamo:
9. Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente
10. Disturbo Depressivo Maggiore (incluso episodio depressivo maggiore)
11. Disturbo Depressivo Persistente ( prima Distimia)
12. Disturbo Disforico Premestruale
13. Disturbo Depressivo indotto da sostanze/farmaco
14. Disturbo Depressivo dovuto ad altra condizione medica
15. Altri Disturbi Depressivi Specifici
16. Disturbo Depressivo non specificato
Il comune denominatore di questi disturbi è la presenza di tristezza, sensazione di vuoto o umore
irritabile, accompagnati da cambiamenti somatici e cognitivi significativamente interferenti con il
funzionamento dell’individuo.
Le differenze tra i disturbi fanno riferimento a durata, distribuzione temporale e presunta
eziologia.
I PRIMI TRE DISTURBI SONO QUELLI PIU’ TIPICI DELL’ETA’ EVOLUTIVA.

DISTURBO DA DISREGOLAZIONE DELL’UMORE DIROMPENTE questo disturbo si caratterizza


per una cronica, grave e persistente irritabilità, che si esprime principalmente attarverso due tipi di
manifestazioni:
- scoppi di collera verbali e comportamentali improvvisi contro cose e persone (danneggiamento di
oggetti o proprietà altrui, aggressione fisica di coetanei, genitori, insegnanti, ecc.), in risposta ad
una profonda frustrazione interna, con o senza cause scatenanti riconoscibili;
- un umore irritabile e "arrabbiato", mantenuto in modo costante e persistente tra uno scoppio di
collera e l'altro.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A. Gravi e ricorrenti scoppi di collera manifestati verbalmente e/comportamentale, che sono
grossolanamente sproporzionati nell’intensità e nella durata alla situazione o alla
provocazione.
B. Gli scoppi di collera non sono coerenti con lo stadio di sviluppo.
C. Gli scoppi di collera si verificano, in media tre o più volte alla settimana.
D. L’umore tra uno scoppio di collera e l’altro è persistentemente irritabile o arrabbiato per la
maggior parte della giornata, quasi tutti i giorni, ed è osservabile da parte di altri (per es.
genitori, insegnanti, coetanei).
E. I criteri A-D sono stati presenti per almeno 12 mesi o più. Durante tale periodo, l’individuo
non ha avuto un periodo della durata di 3 o più mesi consecutivi senza tutti i sintomi dei
Criteri A-D.
F. I criteri A-D sono presenti in almeno due di tre contesti (casa, scuola, con i coetanei) e
sono gravi in almeno uno di questi.
G. La diagnosi non dovrebbe essere posta per LA PRIMA VOLTA prima dei 6 anni di età
oppure dopo i 18 anni di età.
H. Dall’anamnesi o dall’osservazione, l’età di esordio dei Criteri A-E è prima dei 10 anni.
I. Non vi è mai stato un periodo distinto della durata di più di 1 giorno durante il quale sono
stati soddisfatti i criteri sintomatologici completi (a parte la durata), per un episodio
maniacale o ipomaniacale.
J. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante un episodio di depressione
maggiore e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es. disturbi dello
spettro psicotico, disturbo post traumatico, disturbo d’ansia da separazione, disturbo
depressivo persistente).
K. I sintomi nonsono attribuibili a effetti fisiologici di sostanze o altre terapie mediche o da
condizioni neurologiche.

DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE


E’ una condizione caratterizzata da una forte tristezza e anedonia. In età evolutiva l’esordio nella
maggior parte dei casi è in adolescenza.
52
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A. 5 (o più) dei seguenti sintomi sono stati presenti durante un periodo di 2 settimane e
rappresentano un cambiamento dal funzionamento precedente: almeno uno dei sintomi è un
umore depresso o perdita di interesse o di piacere.
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come indicato dal soggetto
stesso o come osservato dagli altri ( Nei bambini e negli adolescenti, si presenta come umore
irritabile).
2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte
del giorno, quasi ogni giorno (come indicato dal soggetto stesso o osservato da altri).
3.Significativa perdita di peso senza essere a dieta o aumento di peso , o una diminuzione o
aumento dell'appetito quasi ogni giorno.
4.Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5.Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile da altri
6.Affaticamento o perdita di energia quasi ogni giorno.
7.Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti)
quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o senso di colpa per essere ammalato).
8.Diminuita capacità di pensare o concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (sia impressione
soggettiva che osservata dagli altri).
9.Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria con o senza
un piano specifico.
I sintomi causano una significativa sofferenza o comunque problematiche nell’area sociale,
occupazionale o altre aree o funzioni significative.
B.L’episodio non è collegabile ad effetti psicoattivi di sostanze o farmaci.
C. L’evento depressivo maggiore non è meglio spiegato da altri disturbi come: disturbo
schizoaffettivo, schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo delirante o altri specifici o
aspecifici disturbi dello spettro psicotico.
D. Non si è mai verificato un episodio di mania o ipomania. Questo criterio non si applica agli
episodi di mania o ipomania la cui causa è effetto di sostanze, farmaci o altre condizioni
mediche.
Inoltre il DSM-5 indica degli Specificatori:
– Con ansia
– Con caratteristiche miste: copresenza di sintomi maniacali/ipomaniacali
– Con caratteristiche melancoliche
– Con caratteristiche atipiche: es. “paralisi plumbea” (sensazione di pesantezza o di avere le
braccia o le gambe di piombo)
– Con caratteristiche psicotiche congruenti all’umore: deliri e allucinazioni sono su tematiche di
inadeguatezza personale, colpa, morte, ecc.
– Con caratteristiche psicotiche non congruenti all’umore
– Con catatonia
– Con esordio nel peripartum
– Con andamento stagionale

DISTURBO DEPRESSIVO PERSISTENTE (DISTIMIA) è caratterizzato da umore depresso


presente per la maggior parte del giorno, per molti giorni, per almeno 1 anno. Devono essere
presenti ulteriori sintomi quali: mancanza di appetito o iperfagia, insonnia o ipersonnia, perdita di
energie o affaticamento, bassa autostima, difficoltà di concentrazione, difficoltà a prendere
decisioni, sentimenti di disperazione. I sintomi non possono essere attribuiti ad altre patologie o
agli effetti fisiologici di una sostanza o ad un’altra condizione medica.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
Questo disturbo rappresenta l’unione del Disturbo Depressivo Maggiore Cronico e del Disturbo
Distimico definiti dal DSM-IV.
A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, per la maggior parte dei giorni, come indicato
dal soggetto stesso o osservato da altri, per almeno 2 anni. Nota: Nei bambini e negli
adolescenti l'umore può essere irritabile e la durata deve essere di almeno 1 anno.
B. La presenza, quando depresso, di 2 (o più) dei seguenti elementi:
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1. scarso appetito o iperfagia;
2. insonnia o ipersonnia;
3. diminuzione di energia o stanchezza;
4. bassa autostima;
5. scarsa concentrazione o difficoltà a prendere decisioni;
6. sentimenti di disperazione.
C. Durante il periodo di 2 anni (1 anno per bambini o adolescenti), l'individuo non è mai stato
libero da sintomi dei criteri A e B per più di 2 mesi.
C. Criteri per il disturbo depressivo maggiore possono essere costantemente presenti per 2 anni.
D. Non c'è mai stato un episodio maniacale o ipomaniacale e i criteri hanno mai soddisfatto la
diagnosi per il Disturbo Ciclotimico.
E. Il disturbo non è meglio spiegato da Disturbo Schizoaffettivo Persistente, Schizofrenia,
Disturbo Delirante o Disturbi dello Spettro Schizofrenico ed altri disturbi psicotici.
F. I sintomi nonsono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o di un'altra condizione
medica (es. ipotiroidismo).
G. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale,
lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento.

EPIDEMIOLOGIA E DECORSO DEI DISTURBI DEPRESSIVI


La prevalenza della depressione maggiore è stimata tra l’1,8% e il 2,5% in età prepubere e tra il
2,9% e il 4,7% negli adolescenti. La prevalenza del disturbo distimico è stimata tra lo 0,6% e il
4,6% nei bambini e tra l’1,6% e l’8% negli adolescenti (SINPIA, 2007).
L’età di insorgenza correla positivamente con il numero di episodi depressivi in entrambi i sessi;
tuttavia si rivela un predittore di maggiore gravità del disturbo solo per le femmine (Essau et
al., 2010). Le femmine in età prepubere sembrano avere uno stile esplicativo più ottimistico
rispetto ai maschi; nella tarda adolescenza si verifica l’inverso; tale inversione di tendenza
potrebbe essere spiegata da fattori culturali e sociali.
Negli ultimi anni si assiste ad un forte aumento dei tassi di depressione fra la prima infanzia e
l’adolescenza (Patrizi, 2016).

MANIFESTAZIONI SINTOMATICHE SPECIFICHE IN RELAZIONE ALL’ETÀ DEL BAMBINO

Quando parliamo di un disturbo in età evolutiva, è necessario fare delle distinzioni. Tutti noi
sappiamo che un bambino di tre anni ha capacità cognitive ed emotive diverse da un ragazzo di
dodici e di ciò si deve tener conto nell’effettuare una diagnosi. SINPIA (Società Italiana di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) ha pubblicato LINEE GUIDA(SINPIA, 2007)
che descrivono le principali manifestazioni comportamentali ed emotive del soggetto in base all’età

In ETA’ PRESCOLARE sono presenti sintomi specifici e stabili; inoltre sono stati rilevati correlati
biologici (elevata reattività dell'ormone dello stress) simili a quelli presenti nella depressione degli
adulti
I bambini piccoli incontrano spesso difficoltà nel descrivere i loro stati d'animo ne consegue una
maggiore frequenza di sintomi somatici quali:
- perdita di appetito,
- disturbi del sonno,
- scarsa crescita, disordini evolutivi .
Più frequentemente: ridotta attività psicomotoria, svogliatezza, sbalzi d'umore, irritabilità e
aggressività.
L'IRRITABILITA’, intesa come facilità a perdere la calma, essere particolarmente permaloso e
cronicamente arrabbiato, è un sintomo aspecifico che può presentarsi in una varietà di disturbi
della prima infanzia. Se si presenta insieme a ritiro sociale, anedonia e/o eccessivi sensi di
colpa deve essere presa in considerazione l'eventualità che si tratti di un disturbo depressivo.

In ETA’ SCOLARE , i principali sintomi in area emotiva sono:


– umore depresso, tristezza e spesso anche irritabilità;
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– genitori o insegnanti possono descrivere i bambini come arrabbiati, facilmente irritabili, ma
anche annoiati e “lunatici”;
– di frequente presentano anedonia (un crescente disinteresse e mancanza di piacere verso
qualsiasi attività), sintomo comportamentale ed affettivo. I ragazzi raccontano di sentirsi
annoiati per la maggior parte del tempo e confessano che nulla li diverte più tanto;
– apatia e disinteresse si manifestano anche nella mancanza di voglia di stare con i coetanei
ed a causa di ciò i contatti sociali tendono a diminuire e ad aumentare senso di solitudine
(Friedberg e McClure, 2015).
Principali sintomi in area cognitiva sono:
– stile di attribuzione , vale a dire il modo attraverso il quale spieghiamo gli eventi che ci
accadono nella vita, di tipo negativo: tendono a sovrastimare la frequenza degli eventi
negativi e a sottostimare gli aspetti positivi di sé. Infatti hanno difficoltà ad identificare
qualcosa di sé che possa piacere agli altri, è più facile sappiano ciò che di sé andrebbe
cambiato e nulla sembra piacergli così com’è (Dacomo e Pizzo, 2012);
– svalutazione di sé, visione del futuro come privo di speranza e immodificabile (Dacomo e
Pizzo, 2012);
– generalizzano le loro previsioni negative su tutto ciò che gli capita, magari incuranti delle
evidenze contrarie;
– gli eventi positivi sono tenuti in poca considerazione o dimenticati in fretta, mentre le
esperienze negative sono ricordate a lungo come riprova delle credenze di inadeguatezza,
diversità.
Principali sintomi in area fisica e comportamentale sono:
– scarso movimento, appaiono stanchi e lenti nei movimenti;
– tendono ad avere un ritiro sociale: diminuiscono, nel tempo, gli inviti e le opportunità di
passare del tempo con i coetanei;
– diminuisce o aumenta, considerevolmente, l’appetito;
– hanno difficoltà ad addormentarsi o si svegliano nel mezzo della notte o molto presto la
mattina e sono incapaci a riaddormentarsi. In altri casi, è possibile che dormano in modo
eccessivo, anche durante le ore di scuola.

In ETA’ ADOLESCENZIALE i principali sintomi sono:


– sintomi legati all’ansia, disturbi del sonno e dell’appetito, affaticamento, problemi di
concentrazione, bassa autostima e sentimenti di fallimento, insoddisfazione della propria
immagine corporea, ideazione suicidaria senza intenzione reale (nelle ragazze);
– anedonia, variazioni del tono dell’umore e del livello di attivazione psicofisica, presenza di
tentativi di suicidio o ideazione suicidaria (con progetto), in misura significativamente più
elevata rispetto ai bambini (nei ragazzi).

MODELLO COGNITIVO DELLA DEPRESSIONE DI BECK (1967)


Per Aaron Beck il depresso è caratterizzato da una triade cognitiva. Egli parte dall'osservazione che
il flusso di pensieri automatici e involontari dei pazienti depressi presenta dei contenuti
negativi ripetitivi che si riferiscono a 3 grandi temi che formano la cd. triade cognitiva:
- il tema del sé, che viene descritto da questi pensieri automatici come inadeguato, difettoso,
incapace, non all'altezza, senza valore e colpevole; (“sono un perdente”; “sono un fallito).
- il tema della realtà, che viene descritto automaticamente come un insieme di sconfitte,
privazioni, denigrazioni da parte degli altri, insopportabili e inutili sforzi;(“ il mondo è un luogo cattivo
e infelice”; “gli altri approfittano di me”; “la vita è ingiusta nei miei riguardi).
- il tema del futuro, che viene automaticamente immaginato come pieno di frustrazioni, difficoltà e
ostacoli. (“non cambierà mai nulla”; “sarò sempre un fallito”).
Beck rileva nei pazienti depressi la presenza di numerosi bias cognitivi, che sono specificamente
orientati a confermare le credenze alla base della depressione: deduzione arbitraria, attenzione
selettiva, ipergeneralizzazione; ingigantire o minimizzare, personalizzazione, pensiero
dicotomico o assolutistico, tendenza a darsi la colpa.

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I pensieri automatici negativi sono prodotti da schemi cioè modelli interpretativi di sé e
della realtà costituitisi in relazione alle esperienze, soprattutto precoci.
Questi schemi vengono immagazzinati e successivamente utilizzati per organizzare nuove
informazioni, dotandole di significato. Perciò, determinano il modo in cui gli eventi vengono
percepiti e interpretati. In sintesi gli schemi sono stabili, difficilmente modificabili, orientano i
processi cognitivi in modo confirmatorio, guidano il dialogo interno attraverso i pensieri
automatici negativi. Secondo Beck vengono appresi nell'infanzia a seguito di esperienze
negative di abbandono, di accudimento rifiutante, di trascuratezza, maltrattamenti e abusi e
di lutti. Probabilmente i fattori genetici hanno un peso nel contribuire alla traumaticità delle
esperienze negative. Gli schemi possono essere disattivati anche per tutta la vita. A seguito di
eventi stressanti gli schemi possono riattivarsi:
– reazione a catena, in cui la visione negativa di sé, degli altri e del futuro guida
l’attribuzione di significato agli eventi;
–  tutto comincia ad essere valutato come perdita, prova del proprio disvalore, della propria
incapacità e impotenza, come negatività certa del futuro e come indisponibilità degli altri.
Il contenuto degli schemi dei pazienti depressi è quello della triade cognitiva. 
Tutti i dati (genetici biochimici e di neuroimaging) provano che nei pazienti depressi è
compromessa la capacità di regolare le emozioni negative, e quindi c'è la tendenza a reagire in
modo più intenso disregolato agli eventi negativi
Gli schemi orientano i processi cognitivi in senso confirmatorio.
– Il senso di inutilità si traduce in senso di fatica che implica passività che a sua volta rafforza il
senso di fatica.
– La flessione dell’umore implica, soprattutto nelle persone tendenzialmente distimiche, un
aumento degli standard e quindi facilita insoddisfazione per i risultati.
– Gli stessi sintomi sono interpretati come conferma della visione negativa di sé.
– Il ritiro sociale può implicare allontanamento degli altri e dunque confermare la visione
negativa del mondo e di sé.

AREE DA INDAGARE DURANTE COLLOQUIO


Durante il colloquio con il bambino per la valutazione di un disturb depressivo bisogna:
- Porre domande mirate e specifiche.
- È necessario indagare il tono dell’umore (tristezza, sconforto e disperazione),
approfondendo frequenza, durata e pervasività di questi sintomi. A seguire bisogna
indagare la presenza di sentimenti di irritabilità o di rabbia come emozione predominante.
- Osservare e valutare i sintomi fisici come:
1. mancanza di energia o rallentamento psicomotorio;
2. agitazione psicomotoria;
3. modificazioni dell’appetito e del peso che si discostano in modo considerevole dalle
abitudini del soggetto;
4. perdita di piacere e di interesse;
5. ritmo sonno-veglia alterato (insonnia o ipersonnia)
Riguardo gli aspetti cognitive bisogna valutare la presenza di:
- svalutazione di sé;
- visione del futuro come privo di speranza e immodificabile;
- presenza di schemi disfunzionali e “bias”.
Infine bisogna valutare il rischio suicidario sulla base della presenza di seguenti elementi.
- Pensieri o affermazioni che riguardano la morte (per esempio “Se morissi starei meglio”).
- Il grado di disperazione presente nei pensieri.
- La presenza di un piano suicidario.
- La sensazione di inutilità.
- La sensazione di essere un peso per gli altri.
- La tendenza all’impulsività.
STRUMENTI DI VALUTAZIONE insieme al colloquio clinico vengono utilizzate diverse interviste
cliniche e questionari self-report per valutare la presenza dei disturbi depressivi.
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– Children’s Depression Inventory (Kovacs 1981): si tratta di una scala di autovalutazione per
soggetti di età compresa tra gli 7 e i 17 anni. È composta da 27 item che indagano un’ampia
varietà̀ di sintomi.
– Beck Depression Inventory-II (Beck, Steer e Brown 1996): strumento self-report per la
valutazione della gravità della depressione in pazienti già̀ diagnosticati. Si può utilizzare dai 13
anni in poi.
– Scala psichiatrica per fanciulli e adolescenti (SAFA) (Cianchetti e Sannio Fancello, 2001): la
batteria è uno strumento diagnostico che permette di esplorare un’ampia serie di sintomi
psicopatologici dagli 8 ai 18 anni.
– Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza (Q-PAD) (Sica et al.
2011): tale questionario può essere somministrato ai soggetti di età compresa tra 14 e 19 anni
indagando otto scale (ansia, depressione, insoddisfazione corporea, autostima, ecc.).
– Child Behavior Checklist (CBCL) (Achenbach e Rescorla, 2001): si tratta di un questionario di
screening che può essere compilato sia dai genitori, insegnanti e adolescenti. Valuta la presenza
di disturbi internalizzanti ed esternalizzanti.
– Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia for School-Age Children-
Present and Lifetime Version (K-SADS-PL) (Kaufmann et al. 1997): intervista diagnostica per
la valutazione dei disturbi psicopatologici, passati e attuali, in bambini e adolescenti secondo i
criteri del DSM-III-R e del DSM-IV. La somministrazione si può effettuare sia ai ragazzi sia ai loro
genitori.
– Test TAD - Ansia e Depressione nell’infanzia e adolescenza (Newcomer, Barembaum, Bryant
1994): può essere somministrato a soggetti di età compresa tra i 6 e i 19 anni e fornisce
informazioni per individuare l’entità dei problemi emozionali basandosi sul DSM-III-R.

STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELLA DEPRESSIONE IN ETA’EVOLUTIVAinsieme al


colloquio clinico vengono utilizzate diverse interviste cliniche e questionari self-report per valutare
la presenza dei disturbi depressivi.
– Children’s Depression Inventory (Kovacs 1981): si tratta di una scala di autovalutazione per
soggetti di età compresa tra gli 7 e i 17 anni. È composta da 27 item che indagano un’ampia
varietà̀ di sintomi.
– Beck Depression Inventory-II (Beck, Steer e Brown 1996): strumento self-report per la
valutazione della gravità della depressione in pazienti già̀ diagnosticati. Si può utilizzare dai 13
anni in poi.
– Scala psichiatrica per fanciulli e adolescenti (SAFA) (Cianchetti e Sannio Fancello, 2001): la
batteria è uno strumento diagnostico che permette di esplorare un’ampia serie di sintomi
psicopatologici dagli 8 ai 18 anni.
– Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza (Q-PAD) (Sica et al.
2011): tale questionario può essere somministrato ai soggetti di età compresa tra 14 e 19 anni
indagando otto scale (ansia, depressione, insoddisfazione corporea, autostima, ecc.).
– Child Behavior Checklist (CBCL) (Achenbach e Rescorla, 2001) si tratta di un questionario di
screening che può essere compilato sia dai genitori, insegnanti e adolescenti. Valuta la presenza
di disturbi internalizzanti ed esternalizzanti.
– Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia for School-Age Children-
Present and Lifetime Version (K-SADS-PL) (Kaufmann et al. 1997): intervista diagnostica per
la valutazione dei disturbi psicopatologici, passati e attuali, in bambini e adolescenti secondo i
criteri del DSM-III-R e del DSM-IV. La somministrazione si può effettuare sia ai ragazzi sia ai loro
genitori.
– Test TAD - Ansia e Depressione nell’infanzia e adolescenza (Newcomer, Barembaum, Bryant
1994): può essere somministrato a soggetti di età compresa tra i 6 e i 19 anni e fornisce
informazioni per individuare l’entità dei problemi emozionali basandosi sul DSM-III-R.

I DISTURBI DEPRESSIVI E RENDIMENTO SCOLASTICO


I disturbi depressivi hanno un forte impatto sul bambino, impatto che investe anche il
rendimento scolastico. Depressione, infatti, determina perdita di interesse per tutte le
attività quotidiane anche quelle scolatiche. Anche preoccuparsi troppo del proprio
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rendimento scolastico può essere un fattore di rischio per la depressione maggiore.
Inoltre, la depressione può influire negativamente sulla concentrazione, sulla capacità di
prendere decisioni, sull’attenzione, può provocare disinteresse, frustrazione, sensazione di
incapacità e di colpa, mancanza di motivazione, bassa tolleranza della frustrazione, ecc. Tutti
questi sintomi possono compromettere le prestazioni scolastiche, perché il bambino non
riesce a esprimere il suo pieno potenziale.
Va detto che il rendimento accademico può essere compromesso a seguito di diverse
variabili, non solamente a causa della depressione. Quindi non è possibile attribuire un
basso rendimento accademico solo alla depressione.
Per questo, quando parliamo del legame tra depressione e rendimento accademico ci
riferiamo a un rapporto bidirezionale. La depressione può ostacolare il rendimento
accademico e l’ansia per il rendimento accademico può portare, insieme ad altri fattori o
senza, alla depressione maggiore.
Anche se non c’è sempre una reazione causa-effetto, tale possibilità esiste.  Diverse
ricerche, di fatto, confermano la relazione fra depressione e basso rendimento accademico.
Per esempio, Franco Mejía, Gutiérrez Agudelo e Perea nel loro articolo pubblicato
sulla Revista Psicogente parlano di una relazione statisticamente significativa fra la
depressione e il rendimento accademico mediocre o basso tra gli studenti di Amministrazione
Aziendale di una Università Pubblica a Santa Marta, in Colombia.

DIFFERENZA TRA DOP E DISTURBO DA DISREGOLAZIONE DELL’UMORE DIROMPENTE

Disturbo oppositivo provocatorio (DOP) Caratteristica essenziale del disturbo è un pattern


frequente e persistente di umore collerico/irritabile (l’individuo è spesso in collera o risentito),
di comportamento polemico/provocatorio (litiga spesso con le persone che rappresentano
l’autorità perché si rifiuta di rispettarne le richieste o perché le sfida attivamente; frequentemente,
irrita deliberatamente gli altri o li accusa del proprio comportamento scorretto) e vendicatività.
Questa anomalia del comportamento è  associata a stress  nell’individuo o in chi lo circonda e ha
un impatto negativo nell’area sociale, scolastica, lavorativa o in altre importanti aree di
funzionamento. Il DISTURBO DA DISREGOLAZIONE DELL’UMORE DIROMPENTE si
caratterizza per una cronica, grave e persistente irritabilità, che si esprime principalmente
attarverso due tipi di manifestazioni:

 scoppi di collera verbali e comportamentali improvvisi contro cose e persone


(danneggiamento di oggetti o proprietà altrui, aggressione fisica di coetanei, genitori,
insegnanti, ecc.), in risposta ad una profonda frustrazione interna, con o senza cause
scatenanti riconoscibili;
 un umore irritabile e "arrabbiato", mantenuto in modo costante e persistente tra uno
scoppio di collera e l'altro. Come si vede i due disturbi sono quasi sovrapponibili se
non fosse che nel secondo prevalgono gli eccessi di ira verbale e comportamentale

DISTURBI DI ANSIA SOCIALE


ANSIA SOCIALE
L’ansia sociale-fobia sociale è un disturbo d’ansia che si manifesta in relazione all’esposizione a
situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico (conversazioni, incontro persone sconosciute,
essere osservati mentre si mangia, eseguire una prestazione di fronte ad altri) e consiste nel
timore di compromissione, o nella minaccia di compromissione, dello scopo della buona
immagine, sostanzialmente parliamo di timore della brutta figura.
La preoccupazione può essere anche, anticipatoria, cioè sperimentata prima di una situazione
sociale oppure successiva alla performance e caratterizzata dal ripercorrere i propri comportamenti
e le reazioni degli altri (ruminazione).
Lo stato mentale dell’ansioso sociale è caratterizzato dalla paura di essere criticato, ridicolizzato,
svilito e di conseguenza escluso, a seguito delle sue manifestazioni di inadeguatezza e incapacità
ma soprattutto a seguito dei sintomi, secondo lui evidente, della propria vergogna: siamo di fronte
a un caso particolarmente eclatante di metavergogna .
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Tre aspetti cruciali sono dunque alla base di questo timore:
- la grande importanza attribuita allo scopo di evitare brutte figure;
- l’idea che le proprie manifestazioni d’ansia, imbarazzo e vergogna siano giudicate dagli
altri come indici di debolezza di carattere;
- la paura di ridicolizzazione, svilimento e esclusione da parte degli altri.
Il paziente con ansia sociale è dunque un metavergognoso , assume quindi che il suo scopo della
buona immagine sia o possa essere compromesso proprio a causa dei sintomi della sua stessa
vergogna. Teme di apparire persona debole di carattere, eccessivamente dipendente dal giudizio
degli altri, disposto alla sottomissione. Inoltre è convinto che gli altri possano notare facilmente il
suo stato emotivamente alterato, molto più di quanto sia realmente.
In età ADOLESCENZIALE l’aspetto fenomenico è simile a quello presente nell’adulto.
Evitamenti più o meno sottili delle situazioni sociali ansiogene, meno evidenti che in altri disturbi
d’ansia e fobie (Bögels et al., 2010), frequentemente associato al rifiuto della scuola.
Comportamenti protettivi (indossare alcuni vestiti per coprire i sintomi evidenti di nervosismo o
sedersi nella parte posteriore della classe per evitare di avere addosso l’attenzione).
NELLA PRIMA INFANZIA è presente comportamento oppositivo (comorbilità o espressione di
evitamento?) (Beidel et. Al. 1999), sintomi somatici, resistenza alla separazione dalle figure
genitoriali e presenza di pianto e lamenti (Albano & Hayward, 2004).
Aspetti cognitive: In presenza di situazioni sociali ambigue, tendono a sopravvalutare il
pericolo (Bögels & Zigterman, 2000), a percepire la minaccia e fare interpretazioni negative più
facilmente e più frequentemente.

Esordio e decorso L’eta media di insorgenza del Disturbo d’Ansia Sociale e tra gli 8 ed i 15 anni
nel 75 % delle persone. Esso puo svilupparsi dopo aver avuto un’esperienza umiliante oppure
l’esordio puo essere lento e graduale. Alcuni cambiamenti di vita e di abitudini possono facilitare la
comparsa del disturbo, certe condizioni possono anche ridurlo temporaneamente per poi farlo
ripresentare. I soggetti giovani tendono a manifestare ansia sociale marcata ma focalizzata per
certe situazioni, mentre, con l’avanzare dell’eta, persone piu anziane hanno livelli piu bassi di
ansia, ma diffusa in svariati contesti. In soggetti con deficit fisici o malattie particolari la paura del
giudizio puo essere strettamente legata a questi fattori e generare un Disturbo d’Ansia Sociale.
Nella maggioranza dei soggetti, il 60 %, il disturbo non adeguatamente trattato va incontro a un
decorso della durata di anni.

Cause Le cause del Disturbo d’Ansia Sociale si collocano su piu livelli. Il temperamento stesso di
una persona può facilitare la comparsa del disturbo: individui con una forte tendenza a inibire certi
comportamenti o facilmente influenzabili dal giudizio altrui sono piu vulnerabili all’insorgenza del
disturbo. Maltrattamenti ed episodi traumatici nell’infanzia non rappresentano una causa del
disturbo, tuttavia sono stati riconosciuti come fattori di rischio per l’ansia sociale. I figli di genitori
ansiosi hanno possibilita da 2 a 6 volte maggiori di sviluppare un Disturbo d’Ansia Sociale.

Tuttavia la predisposizione genetica deve far fronte anche all’interazione ambientale: individui
molto predisposti possono non sviluppare alcun disturbo perche l’ambiente nel quale vivono non
ha manifestato le condizioni per crearlo.

CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO il DSM 5 (APA, 2013)

A. Marcata paura o ansia rispetto a una o più situazioni sociali in cui l'individuo è esposto al
possibile giudizio degli altri. Gli esempi includono le interazioni sociali (nel corso di una
conversazione, conoscere persone non familiari), di essere osservato (mangiare o bere) e le
performance di fronte ad altri (un discorso). Nota: Nei bambini, l'ansia deve manifestarsi con
i coetanei e non solo durante le interazioni con gli adulti.
B. L’individuo teme di mostrare i sintomi di ansia e che verranno valutati negativamente
(umiliazione, imbarazzo).
C. Le situazioni sociali provocano quasi sempre paura o ansia Nota: Nei bambini la paura o
l'ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, freezing o stare in disparte in
59
situazioni sociali.
D. Le situazioni sociali vengono evitate o sopportate con intensa paura o ansia.
E. La paura o ansia è sproporzionata alla minaccia reale rappresentata dalla situazione sociale e
al contesto socio-culturale.
F. La paura, l'ansia o l'evitamento sono persistenti, di solito della durata di 6 mesi o più.
G. La paura, l'ansia o l'evitamento causano disagio clinicamente significativo o menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento.
H. La paura, l'ansia o l'evitamento non è imputabile agli effetti fisiologici di una sostanza o di
un'altra condizione medica.
I. La paura, l'ansia o l'evitamento nonsono meglio spiegati con i sintomi di un altro disturbo
mentale, come il Disturbo di Panico, Disturbo da Dismorfismo Corporeo o da un Disturbo dello
Spettro Autistico.
J. Se è presente un’altra condizione medica (morbo di Parkinson, l'obesità o lesioni), la paura,
l'ansia o l'evitamento è chiaramente non correlata o eccessiva.
Specificare se solo legato alla performance: se la paura è limitata a parlare o esibirsi in
pubblico.

SVILUPPO E DECORSO
 L’età media dell’esordio è l’adolescenza (13 a.), ma il disturbo è presente anche nei bambini a
partire dall’età di 8 anni.
 75% dei soggetti insorgenza tra 8 e 15 anni
 Può avvenire in seguito a un’esperienza stressante o umiliante (essere vittima di bullismo,
vomitare durante un discorso in pubblico), oppure in modo graduale, lento ed insidioso (più
esperienze ripetute nel tempo).

LA DIAGNOSI DI ANSIA SOCIALE


Per effettuare una corretta diagnosi è necessario distinguere il Disturbo d’Ansia Sociale da altri
disturbi con caratteristiche affini. Si potrebbe per esempio confondere un carattere timido con un
Disturbo d’Ansia Sociale: in certi contesti la timidezza viene considerata come un costrutto positivo
a livello sociale, mentre il Disturbo d’Ansia Sociale è una condizione limitante e disadattiva per chi
ne soffre.
In individui che soffrono di Agorafobia, invece, il timore è legato agli spazi fisici e non alle alter
persone: queste persone temono di trovarsi in posti dai quali è difficile fuggire o trovare aiuto,
mentre chi soffre di ansia sociale teme esclusivamente il giudizio altrui e quindi, al contrario
dell’agorafobico, si troverebbe a suo agio se lasciato solo in un luogo e in lontananza da alter
persone. Chi soffre di ansia sociale potrebbe sperimentare attacchi di panico, crisi d’ansia molto
intense che raggiungono il picco in breve tempo e sono accompagnate dal timore di impazzire, di
perdere il controllo o di stare per morire. Nella fobia sociale gli attacchi di panico avvengono
sempre in occasione di situazioni sociali dove si teme il giudizio altrui, differenziandosi dunque dal
disturbo di panico nel quale gli attacchi, improvvisi e inaspettati, non sono obbligatoriamente legati
a contesti interpersonali.
Nel Disturbo d’Ansia Generalizzata lo stato ansioso è costante e, a differenza del Disturbo
d’Ansia Sociale, presente anche in contesti slegati dal giudizio altrui.
Nel Disturbo Depressivo Maggiore l’individuo può temere il giudizio negativo altrui perché si
sente svalutato e non degno di approvazione e apprezzamento, mentre nella condizione di ansia
sociale il timore di una cattiva valutazione da parte degli altri è legata alla convinzione che i propri
comportamenti siano inadeguati o il proprio aspetto e sintomi ansiosi siano motivo di scherno. Se il
motivo della preoccupazione è legato solo ed esclusivamente a una vergogna relativa al proprio
aspetto fisico o a un particolare del proprio corpo, si parla di Disturbo di Dismorfismo Corporeo
e non di Disturbo d’Ansia Sociale. In questo disturbo non si presentano idee deliranti e la maggior
parte degli individui con ansia sociale conservano un buon giudizio circa le loro convinzioni, ovvero
sanno che sono sproporzionate rispetto alla realtà. L’ansia sociale e i deficit di comunicazione
sono comuni nel disturbo dello spettro dell’autismo. Tuttavia chi soffre di ansia sociale ha una
iniziale compromissione in queste aree in fase conoscitiva, persone sconosciute e luoghi, che
scompare se si riesce a familiarizzare. Infine nel Disturbo Evitante di Personalità si trovano

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caratteristiche comuni con il Disturbo d’Ansia Sociale. Nel disturbo evitante gli evitamenti sono
solitamente più marcati ed estesi rispetto all’ansia sociale e durano da molto più tempo;tuttavia
Disturbo Evitante di Personalità e Disturbo d’Ansia Sociale spesso si presentano insieme.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE SECONDO IL DSM 5 (APA, 2013) IN SINTESI


 Timidezza non patologica (tratto e, a volte, culturalmente accettata).
 Agorafobia (gli evitamenti sono legati al timore del panico).
 Disturbo di panico (può essere in comorbilità se c’è timore della valutazione negativa durante
l’attacco di panico, per i sintomi del panico).
 Disturbo d’ansia di separazione (nel DAS i sintomi sono presenti anche con i familiari o tra
le mura domestiche).
 Fobie specifiche – legata alla performance, ma c’è uno specificatore.
 Mutismo selettivo (non temono la valutazione negativa se non gli è richiesto di parlare).
 Disturbo delirante (nel DAS consapevolezza della esagerazione rispetto alla reale minaccia
posta dalla situazione sociale).
 Disturbo dello spettro autistico (sono presenti deficit di comunicazione sociale).
 Disturbi di personalità –> disturbo evitante di personalità. Disturbi non tanto presenti in
età evolutivaperò, ma in età tarda-adolescenzale ci può essere un Continuum tra ansia
sociale e disturbo evitante di personalità .Ipotesi più accreditata è quella del continuum del
disagio sociale.
Timidezza Fobia Sociale Specifica F. S. Generalizzata Diaturbo Evitante di
Personalità

FENOMENOLOGIA DEL DAS IN BAMBINI E ADOLESCENTI


L’ansia sociale-fobia sociale è un disturbo d’ansia che si manifesta in relazione all’esposizione a
situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico (conversazioni, incontro persone sconosciute,
essere osservati mentre si mangia, eseguire una prestazione di fronte ad altri) e consiste nel
timore di compromissione, o nella minaccia di compromissione, dello scopo della buona
immagine, sostanzialmente parliamo di timore della brutta figura.
In età ADOLESCENZIALE l’aspetto fenomenico è simile a quello presente nell’adulto.
Evitamenti più o meno sottili delle situazioni sociali ansiogene, meno evidenti che in altri disturbi
d’ansia e fobie (Bögels et al., 2010), frequentemente associato al rifiuto della scuola.
Comportamenti protettivi (indossare alcuni vestiti per coprire i sintomi evidenti di nervosismo o
sedersi nella parte posteriore della classe per evitare di avere addosso l’attenzione).
Nella PRIMA INFANZIA prima infanzia è presente comportamento oppositivo (comorbilità o
espressione di evitamento?) (Beidel et. Al. 1999), sintomi somatici, resistenza alla separazione
dalle figure genitoriali e presenza di pianto e lamenti (Albano & Hayward, 2004).
Aspetti cognitive: In presenza di situazioni sociali ambigue, tendono a sopravvalutare il
pericolo (Bögels & Zigterman, 2000), a percepire la minaccia e fare interpretazioni negative più
facilmente e più frequentemente.

Che cosa si teme? Le credenze intrattenute e gli scopi in gioco


L’ansia sociale consiste nella minaccia di compromissione dello scopo della buona immagine
(desiderio di fare una bella figura vs. timore di fare una brutta figura).
 Quando lo scopo della buona immagine (centrale e attivo nella mente del soggetto) viene
compromesso (non raggiunto) o minacciato di compromissione si prova vergogna o
timore di provare vergogna.
 La vergogna segnala che si è oggetto di una valutazione negativa da parte di altri.

FATTORI DI RISCHIO SECONDO IL DSM 5 (APA, 2013)


Il DSM-5 indica come fattori di rischio del DSA
a)Fattori temperamentali
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– Inibizione comportamentale
– Paura della valutazione negative (?)
b)Fattori ambientali Maltrattamento e avversità infantile fattori di rischio “aspecifici”
c)Fattori genetici e fisiologici
-interazione gene-ambiente, per cui la forte inibizione comportamentale predispone alla
possibilità di ricevere (con maggiore probabilità) un’educazione secondo il modello
dell’ansia sociale.
- Forse ereditabile: i parenti di primo grado hanno una possibilità da 2 a 6 volte maggiore di
sviluppare il DAS.
d) STILE GENITORIALE :
- uno stile genitoriale iperprotettivo svolge un ruolo forte nello sviluppo del DAS (Masia
e Morris, 1998): Il genitore può “insegnare” al figlio ad aver paura davanti a numerose
situazioni, può limitare l’esplorazione del bambino, può mettere in guardia rispetto a
minacce e pericoli che il figlio non considera.
- Ipercontrollo genitoriale in bambini con forte inibizione comportamentale. Genitore che si
sostituisce al figlio;
- Stile genitoriale caratterizzato da rifiuto, iperprotezione e scarso (o assente) calore
emotive, in compresenza;
- Davanti a compiti di performance genitori mostrano scarso calore, alto livello di critiche
ed esprimono valutazioni negative circa la competenza del bambino (Budinger et al.,
2013)  genitore svalutante
- Frequentemente un bambino con DAS ha un genitore (spesso la madre) che incoraggia
molto poco i figli ad iniziare relazioni con coetanei non familiari.
e) Esperienze traumatiche possono avere le proprietà di veri e propri ricordi traumatici e
diventano centrali nella vita narrativa e nella costruzione di una identità, percezione di sé, di
rango sociale più basso e “carente” socialmente rispetto agli altri:
- Esperienze che diventano il fondamento per lo sviluppo di credenze personali, il cui nucleo è
fondato sulla vergogna e su un senso di sé percepito come inadeguato, difettoso ed imperfetto.
- Caratteristiche attribuite al sé che finiscono per diventare parte integrante dell’identità e delle
memorie autobiografiche dell’individuo.
- Esperienze di vergogna precoce e di rifiuto sociale che, anche se vissute nell’infanzia,
vengono utilizzate dai soggetti come fonte importante di riferimento su cui basare le valutazioni
di sé

PROFILO INTERNO DEL DSA


STATO ,ENTALE DEL DSA
L’ansia sociale-fobia sociale è un disturbo d’ansia che si manifesta in relazione all’esposizione a
situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico (conversazioni, incontro persone sconosciute,
essere osservati mentre si mangia, eseguire una prestazione di fronte ad altri) e consiste nel
timore della compromissione, o nella minaccia di compromissione, dello scopo della buona
immagine, cioè dal timore della brutta figura.
Le rappresentazioni di sé e dell’altro sono negative:
- sé (debole di carattere, emotivo, socialmente inadeguato/ridicolo, inetto, strano);
- altro (critico, giudicante, deridente, disapprovante e rifiutante).
l paziente con ansia sociale, in sintesi soffre di metavergogna, quindi assume che il suo scopo
della buona immagine sia o possa essere compromesso dalle manifestazioni stesse della sua
ansia, dal rossore del volto, dal tremore delle mani,ecc... che sarà inevitabilmente notato e
giudicato negativamente dagli altri.
Teme di apparire dunque come persona debole di carattere, eccessivamente dipendente dal
giudizio degli altri, disposto alla sottomissione, pensa che apparendo tale di poterlo
diventare veramente. Attribuisce alla possibilità di essere così giudicato, un debole, un
bamboccio, un valore negativo molto elevato o addirittura inaccettabile e assume che tale giudizio
sia espresso proprio a causa delle manifestazioni della sua stessa ansia sociale. L’ansioso sociale
e’ convinto che gli altri possano notare facilmente il suo stato emotivamente alterato, molto più di
quanto sia realmente. Crede che questo giudizio negativo si diffonderà e sarà condiviso da tutti e
che da questo seguiranno atteggiamenti umilianti e escludenti nei suoi confronti.
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*Timidezza (ansia sociale normale): sentimento di imbarazzo e vergogna vissuto in situazioni
sociali e con persone poco familiari (sente di poter essere giudicato negativamente per come si
comporta), che si associa manifestazioni neurovegetative, inibizione ed evitamento. Simile
all’ansia sociale, ma intesa in forma subclinica. Il 40% delle persone ha avuto negli ultimi 12 mesi
esperienze di timidezza e il 90% life-time, il 30% ha una sofferenza psicologica per questa
timidezza (studio con 5000 persone popolazione generale, Zimbardo, 1977).

LA METAVERGONA
La vergogna ha una sua funzione adattiva. Diventare rossi avrebbe il senso di segnalare che la
persona è consapevole della propria inadeguatezza, di un proprio errore. L’aspetto manifesto
dell’emozione ( il rossore) rappresenterebbe una sorta di captatio benevolentia nei confronti
degli altri, di condivisione se non altro dei valori del gruppo ed in quanto tale, ha una valenza
positive.
La metavergogna è “la vergogna della vergogna”, descrive la situazione in cui la persona, il
metavergognoso, si vergogna di vergognarsi, attivando di fatto ansia sociale dovuta alla minaccia
e compromissione dello scopo della buona immagine: l’attivazione fisiologica (arrossire, sudare,
tremare) in situazioni sociali porta il metavergognoso a percepire la propria inadeguatezza
crescente e in lui si manifesta il timore che gli altri si accorgano di queste manifestazioni, andando
a minare lo scopo della buona immagine, crescera’ allora l’ansia fino a raggiungere livelli anche
altissimi.
Il timore nasce dal fatto che, per i suoi segnali di vergogna gli altri lo valuteranno come persona
debole, troppo dipendente dal giudizio altrui, questa emozione è alla base dell’Ansi Sociale .
L’ansia sociale-fobia sociale è un disturbo d’ansia che si manifesta in relazione all’esposizione a
situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico (conversazioni, incontro persone sconosciute,
essere osservati mentre si mangia, eseguire una prestazione di fronte ad altri) e consiste nel
timore di compromissione, o nella minaccia di compromissione, dello scopo della buona immagine,
cioè dal timore della brutta figura
La preoccupazione può essere anche, anticipatoria, cioè sperimentata prima di una situazione
sociale oppure successiva alla performance e caratterizzata dal ripercorrere i propri comportamenti
e le reazioni degli altri.
La caratteristica principale dell’ansioso sociale è la paura di essere criticato, ridicolizzato, svilito e
di conseguenza escluso dagli altri, a seguito delle manifestazioni di inadeguatezza e incapacità ma
soprattutto a seguito dei sintomi della vergogna.
Teme di apparire persona debole di carattere, eccessivamente dipendente dal giudizio degli altri,
disposto alla sottomissione e attribuisce alla possibilità di essere giudicato debole di carattere, un
bamboccio, un sottomesso, un valore negativo molto elevato o addirittura inaccettabile e assume
che tale giudizio sia espresso a causa delle manifestazioni della sua stessa ansia sociale

SCOPI DELL’INDIVIDUO AFFETTO DA ANSIA SOCIALE


Innanzitutto bisogna dire che tutti gli esseri umani sono predisposti geneticamente a perseguire e a
preferire la possibilità che gli altri, o almeno alcuni altri in determinate circostanze, diano una
valutazione positiva di loro. Gli esseri umani quindi perseguono lo scopo della buona immagine,
scopo detto – terminale cioè è importante in sé.
La vergogna è l’emozione che si prova quando si assume che lo scopo della buona immagine sia
compromesso o minacciato di compromissione. Cioè banalmente ci vergogniamo quando abbiamo
l’impressione che gli altri abbiano un’immagine negativa di noi.
La presenza di altri quindi è un ingrediente fondamentale e necessario affinché si provi vergogna,
gli altri possono essere anche soltanto immaginati (“pensa se qualcuno mi avesse visto!”).
Inoltre la Vergogna è connessa ad un particolare tipo di valutazioni negative, quelle per inutilità,
pochezza, mancanze, carenze (ci si vergogna difetti fisici; –difetti del carattere; – posizione
sociale; – errori;– goffaggine; – colpe che dimostrano una pochezza d’animo – gaffe; – per la
stessa vergogna, vergognarsi di vergognarsi).

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E’ importante sottolineare però che la valutazione negativa temuta, per portare a vergona, deve
riferirsi a criteri di valore condivisi da colui che si vergogna (cioè deve essere relativa ad un tema
sentito come importante dal Vergognoso); è necessario anche un altro ingrediente, il
disvelamento
Si può provare vergogna sia nel prevedere e immaginare una figuraccia sia ovviamente
nell’esposizione a una “figuraccia” e anche nei momenti successivi: nel riesaminare cioè una
interazione si possono “scoprire” i segnali di una figuraccia non percepita nel corso dell’interazione
e ci si può vergognare solo dopo.

GLI HIKIKOMORI
Sin dalla fine degli anni ’90 (Saito, 1998), è stata descritta in Giappone una particolare condizione
psicologica che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti e che è stata
definita hikikomori, letteralmente ritiro sociale.
Tale condizione si caratterizza, infatti, proprio per un rifiuto verso la vita sociale, scolastica,
lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni
intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti.I giovani hikikomori possono
mostrare il loro disagio in vario modo: restare chiusi in casa tutto il giorno, oppure uscire solo di
notte o di prima mattina quando hanno la certezza di non incontrare conoscenti, oppure ancora
fingere di recarsi a scuola o al lavoro e invece girovagare senza meta per tutto il giorno.Il
fenomeno è stato spesso associato all’internet addiction, ma gli studi mostrano che solo nel 10%
dei casi è stato riscontrato anche questo tipo di dipendenza.

Da un punto di vista psicologico, si sono studiate innanzitutto le variabili familiari legate a


relazioni disfunzionali di tipo invischiato e la copresenza di disturbi psicopatologici associati, come
ad esempio la depressione.
Da un punto di vista sociologico, invece, si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare
sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo. L’ipotesi che ne è scaturita è che
questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler
sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro
richiesti e preferiscano quindi rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana
che avvertono come opprimente.
Il disinvestimento dei giovani verso la vita sociale e lavorativa, anche se non esattamente analogo
all’hikikomori, è stato riscontrato anche in alcuni paesi occidentali.
CLASSIFICAZIONE degli "hikikomori"
1. Deteriorati psicologicamente: necessitano di un intervento psichiatrico.
2. Otaku (geek): impegnati a leggere manga e/o a giocare ai videogiochi.
3. Alternativi: alla ricerca di modelli alternativi vs. desiderio di non conformarsi.
4. Isolati: persone che sperimentano una forte condizione di solitudine e cercano relazioni
sociali attraverso internet.
5. Ansiosi: vivono con forte tensione i passaggi da una condizione ad un’altra (passaggio dal
mondo della scuola al mondo del lavoro).
Diverse classificazioni, con caratteristiche simili, esistevano in Giappone da prima della definizione
di hikikomori e includevano alcune forme di comportamento insolito rispetto alla cultura
giapponese.
– Freeters: giovani che fanno lavori part time e cambiano spesso tipo e posto di lavoro
(Hirano, 2005).
– Neet: giovani che non studiano né lavorano (Genda, 2011).
– Futoko: giovani che non vanno a scuola e non avanzano con la carriera lavorativa.

RITIRO SOCIALE
Con il termine "ritiro sociale" si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da
sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società
nipponiche questo fenomeno si configura con l'espressione Hikikomori che deriva dal
verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (nascondere, recludere) Questa sindrome si manifesta in

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modi differenti: con permanenza in ambiente domestico per lunghi periodi di tempo, mancanza di
rapporti amicali, assenza di comunicazione con la famiglia, evitamento di qualsiasi forma di
contatto visivo, assenza quindi di relazioni significative e/o intimità emotiva e fisica.
Tale condizione si caratterizza, infatti, proprio per un rifiuto verso la vita sociale, scolastica,
lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni
intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti..Il fenomeno è stato spesso associato
all’internet addiction, ma gli studi mostrano che solo nel 10% dei casi è stato riscontrato anche
questo tipo di dipendenza.

Da un punto di vista psicologico, si sono studiate innanzitutto le variabili familiari legate a


relazioni disfunzionali di tipo invischiato e la copresenza di disturbi psicopatologici associati, come
ad esempio la depressione.

Da un punto di vista sociologico, invece, si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare
sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo. L’ipotesi che ne è scaturita è che
questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler
sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro
richiesti e preferiscano quindi rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana
che avvertono come opprimente.
Il disinvestimento dei giovani verso la vita sociale e lavorativa, anche se non esattamente analogo
all’hikikomori, è stato riscontrato anche in alcuni paesi occidentali.
CLASSIFICAZIONE degli "hikikomori"
6. Deteriorati psicologicamente: necessitano di un intervento psichiatrico.
7. Otaku (geek): impegnati a leggere manga e/o a giocare ai videogiochi.
8. Alternativi: alla ricerca di modelli alternativi vs. desiderio di non conformarsi.
9. Isolati: persone che sperimentano una forte condizione di solitudine e cercano relazioni
sociali attraverso internet.
10. Ansiosi: vivono con forte tensione i passaggi da una condizione ad un’altra (passaggio dal
mondo della scuola al mondo del lavoro).
Diverse classificazioni, con caratteristiche simili, esistevano in Giappone da prima della definizione
di hikikomori e includevano alcune forme di comportamento insolito rispetto alla cultura
giapponese.
– Freeters: giovani che fanno lavori part time e cambiano spesso tipo e posto di lavoro
(Hirano, 2005).
– Neet: giovani che non studiano né lavorano (Genda, 2011).
Futoko: giovani che non vanno a scuola e non avanzano con la carriera lavorativa

LA VALUTAZIONE DEL DAS


Il professionista nel valutare l’ansia sociale nel soggetto in età evoltiva deve tenere conto:
- Interpretazioni negative che il soggetto ha di se stesso e delle proprie performance in
situazioni sociali e non sociali.
- Della presenza di bias interpretativo davanti a situazioni ambigue.
(Adolescent Interpretation Bias Questionnaire) (AIBQ;Miersetal.,2008)
- Della prrsenza di emozioni di solitudine e di isolamento sociale.
o Loneliness Scale(LS;Asher&Wheeler,1985)
– Attenzione selettiva verso se stessi e le proprie attivazioni neurovegetative.
o ChildhoodAnxietySensitivityIndex(CASI;Silvermanetal.,1991)
Uno stumento di valutazione globale é la La RCMAS-2 ( Revised Children’s Manifest Anxiety
Scale) è uno dei questionari più diffusamente utilizzati nella ricerca e nel trattamento dell’ansia in
età evolutiva. Si tratta di uno strumento self-report composto da 49 item da somministrare sia
individualmente sia in gruppo che consente di valutare il livello e la natura dell’ansia di bambini e
ragazzi dai 6 ai 19 anni. Vengono forniti punteggi per sei scale distinte:

65
1. Ansia fisiologica (FIS): analisi di preoccupazioni somatiche, quali nausea, problemi di
sonno, mal di testa e stanchezza;
2. Preoccupazione (PRE): un elevato punteggio indica in questa scala che il soggetto è
spaventato, nervoso e ipersensibile alle pressioni ambientali;
3. Ansia sociale (SOC): non sentirsi bravi, validi e capaci come gli altri;
4. Indice di Ansia totale (TOT): un elevato livello di ansia può essere significativo di un
ampio spettro di problemi evidenziati nella vita di un bambino o di un adolescente, inclusi
quelli osservati in ambito scolastico, come scarso rendimento rispetto alle proprie capacità,
rifiuto per la scuola o abbandono scolastico precoce, ma anche difficoltà in famiglia, abuso
di sostanze e disturbi dell’alimentazione.
5. Atteggiamento difensivo (DIF): valuta se il soggetto è disposto ad ammettere le
imperfezioni quotidiane come parte dell’esperienza comune;
6. Indice di Incoerenza nelle Risposte (INC): viene ricavato considerando la congruenza
nelle risposte date a 9 coppie di item

STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEL DAS e TRATTAMENTO


La RCMAS-2 ( Revised Children’s Manifest Anxiety Scale) è uno dei questionari più diffusamente
utilizzati nella ricerca e nel trattamento dell’ansia in età evolutiva. Si tratta di uno strumento self-
report composto da 49 item da somministrare sia individualmente sia in gruppo che consente di
valutare il livello e la natura dell’ansia di bambini e ragazzi dai 6 ai 19 anni. Vengono forniti
punteggi per sei scale distinte:

7. Ansia fisiologica (FIS): analisi di preoccupazioni somatiche, quali nausea, problemi di


sonno, mal di testa e stanchezza;
8. Preoccupazione (PRE): un elevato punteggio indica in questa scala che il soggetto è
spaventato, nervoso e ipersensibile alle pressioni ambientali;
9. Ansia sociale (SOC): non sentirsi bravi, validi e capaci come gli altri;
10. Indice di Ansia totale (TOT): un elevato livello di ansia può essere significativo di un
ampio spettro di problemi evidenziati nella vita di un bambino o di un adolescente, inclusi
quelli osservati in ambito scolastico, come scarso rendimento rispetto alle proprie capacità,
rifiuto per la scuola o abbandono scolastico precoce, ma anche difficoltà in famiglia, abuso
di sostanze e disturbi dell’alimentazione.
11. Atteggiamento difensivo (DIF): valuta se il soggetto è disposto ad ammettere le
imperfezioni quotidiane come parte dell’esperienza comune;
12. Indice di Incoerenza nelle Risposte (INC): viene ricavato considerando la congruenza
nelle risposte date a 9 coppie di item

IL TRATTAMENTO del Disturbo d’Ansia Sociale può essere di tipo farmacologico,


psicoterapico o un’integrazione tra i due. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è
risultata efficace per affrontare adeguatamente il disturbo, con risultati a lungo termine, mentre
i farmaci possono essere efficaci per estinguere i sintomi immediati (per esempio, prendendoli
prima di fare un discorso in pubblico), ma i loro effetti sono limitati e il disturbo ritorna quando il
loro effetto svanisce.I farmaci possono costituire un valido aiuto iniziale per placare sintomi
maggiormente attivanti e agevolare l’aderenza al percorso psicoterapico. Le Linee Guida
NICE consigliano la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e il training di rilassamento, in

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quanto queste terapie hanno evidenziato prove di efficacia. Gli interventi di selfhelp e i gruppi
psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un orientamento di terapia cognitiva. (Fonte:
National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011)In terapia cognitiva, terapeuta
e paziente lavorano per far emergere processi e meccanismi disfunzionali che messi in atto
automaticamente. Vengono individuate le varie situazioni temute e si modificano i pensieri
pervasivi. In seguito si concordano esposizioni graduali alle varie situazioni temute,
affiancate da tecniche di rilassamento e apprendimento di abilità sociali. Il paziente
generalmente dopo qualche settimana dall’inizio della terapia avverte subito che sta
recuperando molti aspetti della sua vita e si sente in grado di proseguire con la terapia così
impostata, in modo graduale, fino alla risoluzione della problematica.
Tra i recenti trattamenti che hanno mostrato prove di efficacia nel trattamento del Disturbo
d’Ansia
Sociale citiamo il modello di Clark e Wells (1995), basato in parte sul modello metacognitivo.
Clark
et al. (2003) hanno dimostrato che la terapia cognitiva ha risultati migliori rispetto a farmaci
oplacebo, con effetti che si mantengono stabili a un anno.

LINEE GUIDA NICE PER IL TRATTAMENTO (Clark e Wells, 1995)


CBT individuale per il disturbo di ansia sociale:
– Psicoeducazione dell’ansia sociale (cos’è l’ansia, come si attiva..?)
– Esercizi esperienziali per dimostrare l’effetto avverso dell’attenzione focalizzata su di sé e dei
comportamenti protettivi;
– Video Feedback per correggere l’autoimmagine negativa distorta;
– Training sistematico di attenzione focalizzata verso l’esterno;
– Esperimenti comportamentali in seduta per testare le credenze negative con l’assegnazione di
homework associati;
– Training sulla discriminazione o di rescripting per affrontare i ricordi traumatici;
– Esaminare e modificare le credenze nucleari;
– Modificazione della problematiche pre e post elaborazione degli eventi;
– Prevenzione delle ricadute.

TRATTAMENTO DEL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE


La cura del Disturbo d’Ansia Sociale può essere di tipo farmacologico, psicoterapico o
un’integrazione tra i due. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è risultata efficace per
affrontare adeguatamente il disturbo, con risultati a lungo termine, mentre i farmaci possono
essere efficaci per estinguere i sintomi immediati (per esempio, prendendoli prima di fare un
discorso in pubblico), ma i loro effetti sono limitati e il disturbo ritorna quando il loro effetto
svanisce.
I farmaci possono costituire un valido aiuto iniziale per placare sintomi maggiormente attivanti e
agevolare l’aderenza al percorso psicoterapico.
Le Linee Guida NICE consigliano la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e il training di
rilassamento, in quanto queste terapie hanno evidenziato prove di efficacia. Gli interventi di
selfhelp e i gruppi psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un orientamento di terapia
cognitiva. (Fonte: National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011).
In terapia cognitiva, terapeuta e paziente lavorano per far emergere processi e meccanismi
disfunzionali che messi in atto automaticamente. Vengono individuate le varie situazioni temute
e si modificano i pensieri pervasivi. In seguito si concordano esposizioni graduali alle varie
situazioni temute, affiancate da tecniche di rilassamento e apprendimento di abilità
sociali. Il paziente generalmente dopo qualche settimana dall’inizio della terapia avverte subito
che sta recuperando molti aspetti della sua vita e si sente in grado di proseguire con la terapia
così impostata, in modo graduale, fino alla risoluzione della problematica.
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Tra i recenti trattamenti che hanno mostrato prove di efficacia nel trattamento del Disturbo
d’Ansia
Sociale citiamo il modello di Clark e Wells (1995), basato in parte sul modello metacognitivo.
Clark
et al. (2003) hanno dimostrato che la terapia cognitiva ha risultati migliori rispetto a farmaci
oplacebo, con effetti che si mantengono stabili a un anno.

LINEE GUIDA NICE PER IL TRATTAMENTO (Clark e Wells, 1995)


CBT individuale per il disturbo di ansia sociale:
– Psicoeducazione dell’ansia sociale (cos’è l’ansia, come si attiva..?)
– Esercizi esperienziali per dimostrare l’effetto avverso dell’attenzione focalizzata su di sé e dei
comportamenti protettivi;
– Video Feedback per correggere l’autoimmagine negativa distorta;
– Training sistematico di attenzione focalizzata verso l’esterno;
– Esperimenti comportamentali in seduta per testare le credenze negative con l’assegnazione di
homework associati;
– Training sulla discriminazione o di rescripting per affrontare i ricordi traumatici;
– Esaminare e modificare le credenze nucleari;
– Modificazione della problematiche pre e post elaborazione degli eventi;
– Prevenzione delle ricadute.

ANSIA SOCIALE E DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITA’ DIFFERENZE


In letteratura è molto dibattuto il rapporto tra il disturbo dell’ansia sociale (SAD) e il disturbo
evitante di personalità (DEP). Secondo diversi autori i due disturbi sarebbero simili e
differenziabili unicamente in base al livello sintomatologico, mentre per altri i due quadri
psicopatologici farebbero riferimento a costrutti diversi (aspetti di personalità versus
reattività ansiosa), pur presentando delle sovrapposizioni sintomatologiche. Quando
vennero inclusi entrambi nel DSM III, il principio per differenziarli fu basato su un singolo studio
empirico nel quale si riconosceva al DAS soltanto il timore per la performance, mentre nel DEP il
disagio per l’interazione sociale sembrava essere prevalente; nel corso degli aggiornamenti del
DSM questa differenza è venuta meno contribuendo a confondere le sindromi. In generale si può
affeermare che, nel disturbo evitante gli evitamenti sono solitamente più marcati ed estesi rispetto
all’ansia sociale e durano da molto più tempo; tuttavia Disturbo Evitante di Personalità e
Disturbo d’Ansia Sociale spesso si presentano insieme.

DISTURBO D’ ANSIA DA SEPARAZIONE


DISTURBO D’ ANSIA DA SEPARAZIONE
Il Disturbo d'ansia di separazione é il disturbo d'ansia più diffuso prima dei 12 anni e si caratterizza
per la difficolta del bambino (o di un adulto) di allontanarsi dalla casa o dalle figure di riferimento.
La probabilita di esserne interessati diminuisce passando dall'infanzia all'adolescenza, all'eta
adulta. Per chi soffre di Disturbo d'ansia di separazione ogni motivo o situazione che implica un
allontanamento (dai genitori, dal marito o dalla moglie, dall'amico del cuore, dalla propria
abitazione ecc.) genera paura e ansia cosi significative da risultare limitanti nelle scelte di vita, con
esiti anche invalidanti. Paura e ansia possono essere associate al timore che accada qualcosa di
negativo e irrimediabile ai propri cari durante la lontananza (malattie, morte ecc.) oppure all'idea di
poter essere personalmente vittima di incidenti, rapimenti ecc. Ancorche irragionevole, il disagio

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psicoemotivo associato al Disturbo d'ansia di separazione e cosi marcato e disturbante da indurre
la persona interessata a evitare in tutti i modi di allontanarsi da casa o di restare sola.
Quando un bambino soffre di Disturbo d'ansia di separazione puo essere pressoche impossibile
riuscire a farlo giocare o dormire da solo nella propria stanza e, spesso, i genitori o le altre figure di
riferimento sono costantemente seguite in ogni spostamento, anche di pochi metri, pur di
mantenerle nel raggio visuale. La presenza di Disturbo d'ansia di separazione nell'infanzia può
compromettere la crescita serena del bambino in quanto limita notevolmente le esperienze
relazionali e di vita con ripercussioni negative sulla vita sociale, affettiva e professionale anche in
età adulta. Il clima familiare che si crea, inoltre, può indurre tensioni e deteriorare la relazione tra i
genitori, specie in caso di disaccordo sulla strategia educativa da seguire.
Sintomi
L'ansia di separazione é un fenomeno normalmente presente durante lo sviluppo neuropsicologico
del bambino che, in genere, tende spontaneamente ad attenuarsi dopo i 2 anni, per scomparire
pressoché completamente prima della pubertà, benche con tempi e modalita differenti da caso a
caso. A dover preoccupare e la persistenza di un'ansia di separazione significativa dopo i 6-
5 anni. SINTOMI
- Difficoltà persistente a lasciare i genitori/persona di riferimento o l'abitazione.
- Timore costante ed eccessivo che possa accadere qualcosa di tragico a un
genitore/persona di riferimento.
- timore costante ed eccessivo che si possa essere vittima di incidenti o rapimenti mentre si
è soli.
- Rifiuto fermo e sistematico di allontanarsi da casa o di rimanere a casa da soli.
- Incubi ripetuti di separazione dai genitori/persona di riferimento o di perdersi in un luogo
ignoto.
- Comparsa di sintomi e malesseri fisici (veri o presunti), come mal di testa, dolori addominali
ecc. ogni volta che ci si deve allontanare da casa o dai genitori/persona di riferimento.
- Tendenza a essere molto "appiccicosi", invadenti, a richiedere attenzione e presenza
costanti.
- Umore ansioso e depresso, apatia e disinteresse, irrequietezza e forte malinconia se
costretti a restare soli lontano da casa.
Per poter porre diagnosi di Disturbo d'ansia di separazione, i sintomi devono essere significativi e
impedire a chi ne soffre di dedicarsi alle comuni attività tipiche dell'eta; i sintomi devono, inoltre,
essere presenti per almeno 4 settimane in bambini e ragazzi fino a 18 anni e per
almeno 6 mesi negli adulti. Tuttavia, in questo secondo caso, nella valutazione della durata del
disturbo come "clinicamente significativa" è ammessa una certa flessibilita.
Cause
Le cause esatte dell'ansia di separazione non sono note, ma si ritiene che a promuovere
l'insorgenza del disturbo sia la concomitanza di un profilo psicologico predisponente e
dell'esposizione a traumi o eventi stressanti nell'infanzia e/o negli anni successivi (compresi forti
traumi in eta adulta). Nel caso dei bambini, la nascita di un fratellino, un trasloco o la malattia
(anche non grave) di un genitore che comporti un ricovero ospedaliero di diversi giorni possono
costituire un fattore stressante sufficiente a indurre il disturbo.
Trattamento
Il disturbo d'ansia di separazione puo essere efficacemente affrontato con un
trattamentopsicoterapeutico, di tipo cognitivo-comportamentale, anche di breve durata. Soprattutto
nel caso dei bambini-adolescenti, la psicoterapia deve necessariamente coinvolgere anche i
familiari/le persone di riferimento. Soprattutto nel caso dei bambini, non é di norma previsto l'uso di
farmaci.

DATI EPIDEMIOLOGICI, SVILUPPO E DECORSO


É il disturbo d’ansia più diffuso nei bambini con meno di 12 anni.
– Nei bambini, la prevalenza da 6 a 12 mesi è stimata in circa il 4% del campione
– Negli adolescenti degli Stati Uniti, la prevalenza a 12 mesi è dell’ 1,6%
– Tra gli adulti negli Stati Uniti, sempre a 12 mesi, è dello 0,9-1,9%
L’andamento dei dati mostra come la prevalenza del disturbo tende a diminuire dall’infanzia

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attraverso l’adolescenza fino all’età adulta. Generalmente si assiste ad una risoluzione
spontanea.
In campioni clinici di bambini, il disturbo è distribuito equamente tra maschi e femmine; nella
popolazione è più frequente nelle femmine.
L’esordio del disturbo d’ansia di separazione può verificarsi anche in età prescolare, in qualsiasi
momento durante l’infanzia e, più raramente, in adolescenza.
Vi sono tipicamente periodi di peggioramento e di remissione.
In alcuni casi, sia l’ansia per la separazione sia l’evitamento di situazioni che la implicano possono
persistere in età adulta. Tuttavia, la maggior parte dei bambini con disturbo d’ansia di separazione
non sviluppa disturbi d’ansia nel corso della vita.
Nel corso del tempo emergono preoccupazioni che spesso riguardano pericoli specifici
(incidenti, aggressioni, morte). Negli adulti il disturbo può: limitare la loro capacità di affrontare
cambiamenti nelle circostanze di vita ed eccessiva preoccupazione e malessere se lontani da
coniugi e figli.

EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO


Il Disturbo d’ansia di separazione nei bambini può essere ereditabile; l’ereditabilità è stimata al
73% in un campione di popolazione di gemelli di 6 anni, con tassi piu alti nelle bambine (APA,
2013).
Tuttavia i fattori che maggiormente contribuiscono alla genesi del disturbo sono quelli
ambientali, classificabili in due differenti categorie:
1. FATTORI PRECIPITANTI
Spesso il disturbo si sviluppa dopo eventi di vita stressanti, quali:
– lutto, allontanamento, separazione da un genitore o familiare per divorzio/incidente/malattia;
– lutto di un animale domestico;
– ingresso a scuola per la prima volta;
– cambiamento di residenza, scuola o ordine di scuola

2. FATTORI PREDISPONENTI
In letteratura vengono riportate diverse caratteristiche familiari, che unite ad altre importanti
variabili temperamentali e cognitive del bambino, contribuiscono allo strutturarsi, nell’individuo,
di un certo grado di vulnerabilità al disturbo:
– situazioni conflittuali che suscitano fantasie di perdita;
– minacce da parte di uno dei genitori di abbandonare la famiglia oppure di suicidarsi, oppure
espressione di preoccupazione di ammalarsi/morire;
– separazione precoce dai familiari vissute in modo traumatico;
– modello genitoriale non in grado di tollerare e gestire la separazione (si allontanano con
l’imbroglio, confermando un modello di inaffidabilità).
– costruzione nel bambino, solitamente da parte dei genitori, di credenze riguardo il mondo
esterno a quello familiare come un luogo pericoloso che il bambino non saprà fronteggiare o
per la grandezza del pericolo o per ipotetici difetti, incapacità, incompetenze del bambino
stesso. Questi pertanto sulla base di ciò costruisce un’immagine di sé di persona debole e
incapace, bisognosa della protezione delle figure di riferimento;
– uno dei genitori, solitamente la madre, sopporta male la solitudine e trattiene il bambino con
sé per avere compagnia, impedendogli la possibilità di esplorare autonomamente l’ambiente
extrafamiliare;
– nella storia evolutiva di un genitore talvolta si trova un disturbo d’ansia di separazione;
– frequentemente i familiari di primo grado di questi bambini soffrono di disturbo di panico
con/senza agorafobia.

DIAGNOSI SECONDO IL DSM-5 (APA, 2014)


Nell’ultima versione del DSM, 5 edizione, il Disturbo d’Ansia di Separazione è stato classificato
come Disturbo d’Ansia. Viene presentato come primo disturbo, all’interno della categoria “disturbi
d’ansia”, in quanto classificato in ordine di età tipica di esordio. L’individuo con disturbo d’ansia
di separazione è spaventato o ansioso riguardo alla separazione dalle figure di attaccamento a
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un livello di gravità inappropriato rispetto allo stadio di sviluppo. Nonostante i sintomi si
sviluppino spesso durante l’età infantile, il disturbo può essere presente anche in età adulta
I criteri per porre diagnosi di ansia da separazione secondo il DSM-5 sono I seguenti:
A. Paura o ansia inadeguata ed eccessiva rispetto allo stadio di sviluppo, relativa alla
separazione da coloro ai quali l'individuo è attaccato, come evidenziato da almeno tre dei
seguenti criteri:
1. Malessere eccessivo ricorrente quando si anticipa o vive la separazione da casa o dalle
principali figure di attaccamento.
2. Persistente ed eccessiva preoccupazione di perdere le principali figure di attaccamento o
in caso di possibile rischio per loro (malattia, infortuni, calamità o morte).
3. Persistente ed eccessiva preoccupazione di sperimentare un evento avverso (perdite,
essere rapiti, avere un incidente, ammalarsi) che causa la separazione da una grande figura
di attaccamento
4. Persistente riluttanza o rifiuto a uscire, allontanarsi da casa, a scuola, al lavoro o altrove
per la paura della separazione.
5. Paura persistente ed eccessiva di stare soli o senza le principali figure di attaccamento a
casa o in altri ambienti.
6. Persistente riluttanza o rifiuto di dormire lontano da casa o di andare a dormire senza
essere vicino ad un’importante figura di attaccamento.
7. Incubi ripetuti che implicano il tema della separazione.
8. Ripetute lamentele di sintomi fisici (mal di testa, dolori di stomaco, nausea, vomito)
quando si verifica o si prevede la separazione dalle principali figure di attaccamento.
B. La paura, l'ansia o l'evitamento sono persistenti, per un periodo di almeno 4 settimane nei
bambini e adolescenti e in genere 6 mesi o più negli adulti.
C. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento
sociale, scolastico, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento.
D. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il rifiuto di uscire di
casa a causa di un'eccessiva resistenza al cambiamento nel Disturbo dello Spettro Autistico; deliri
o allucinazioni relativi la separazione nei disturbi psicotici; rifiuto di uscire senza un compagno
fidato nell’Agorafobia; preoccupazioni per la cattiva salute o altro danno degli altri significativi nel
Disturbo d‘Ansia Generalizzato
Per comprendere meglio il disturbo dell’ansia da separazione è possibile integrare i criteri
diagnostici del DSM-5 con quelli pubblicati dalla Classificazione Diagnostica della Salute
Mentale e dei Disturbi di Sviluppo nell’Infanzia (DC- ZERO TO THREE, 2018); in particolare
questi ultimi ne ampliano la descrizione prendendo in esame non solo il vissuto del bambino, ma
anche quello delle figure di riferimento, sottolineando così, sia il livello di compromissione del
benessere familiare, sia il possibile ruolo di mantenimento del disturbo costituito dal contesto
ambientale/relazionale.

CARATTERISTICHE ASSOCIATE A SUPPORTO DELLA DIAGNOSI (APA, 2013)


Le manifestazioni associate al Disturbo d’ansia di separazione possono includere:
– ritiro sociale, apatia, tristezza, nostalgia, irrequietezza o difficoltà a concentrarsi nel
lavoro o nel gioco, quando vengono separati da casa o dalle principali figure di
attaccamento;
– a seconda dell’età la paura può ampliarsi anche ad animali, mostri, buio, ladri, rapitori,
incidenti automobilistici, aerei o molte altre situazioni potenzialmente periocolose per se
stessi o la famiglia;
– rifiuto della scuola che conseguentemente può portare a difficoltà scolastiche e ad
isolamento sociale.
– quando sono soli, specie di sera o di notte, i più piccoli possono riferire esperienze
percettive insolite (vedere creature spaventose, avere la sensazione di essere osservati,
percepire la presenza di qualcuno di minaccioso);
– i bambini con questo disturbo possono essere descritti come esigenti, intrusivi e
bisognosi di attenzione costante, e da adulti possono mostrarsi dipendenti ed

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iperprotettivi;
– le richieste eccessive spesso divengono una fonte di frustrazione per i membri della
famiglia e portano a risentimento e conflittualità familiare.

DEFINIZIONE DEL DISTURBO SECONDO LA DC: 0-5 (ZERO TO THREE, 2018)


Per comprendere meglio il disturbo dell’ansia da separazione è possibile integrare i criteri
diagnostici del DSM-5 con quelli pubblicati dalla Classificazione Diagnostica della Salute
Mentale e dei Disturbi di Sviluppo nell’Infanzia (DC); in particolare questi ultimi ne ampliano la
descrizione prendendo in esame non solo il vissuto del bambino, ma anche quello delle figure di
riferimento, sottolineando così, sia il livello di compromissione del benessere familiare, sia il
possibile ruolo di mantenimento del disturbo costituito dal contesto ambientale/relazionale.

PROFILO INTERNO DELL’ANSIA DA SEPARAZIONE


Sebbene i criteri diagnostici forniscano già una descrizione delle principali caratteristiche che
descrivono il disturbo, per comprenderlo interamente risulta importante comprendere fondamentale
i fattori cognitivi che costituiscono il profilo interno del disturbo stesso e indagare quali siano I
pensieri “disfunzionali” che il bambino intrattiene sulla separazione, sulle sue conseguenze,
oltre che sul proprio ruolo nel processo di vicinanza/separazione
La separazione dal genitore viene vissuta come un evento insopportabile e spesso con
impossibilità di ricongiungimento (Fabbro e Ramponi, 2003) nell’arco di tempo in cui il bambino
vive la separazione i suoi pensieri sono in linea con i suoi timori di possibile perdita per cui la
minaccia si rappresenta in pensieri che prevedono la possibilità che mamma e/o papà possano
essere uccisi, rapiti, subire aggressioni o incidenti, morire o che comunque possano scomparire
per sempre; alcuni bambini ritengono che la separazione dai genitori possa provocare in uno,
o in entrambi, una così grande sofferenza che diventa impossibile per loro allontanarsi “altrimenti
la mamma piangerà”, “soffrirà”.
In altri casi ancora questo ruolo di responsabilità può stutturarsi anche in positivo, supportato da
credenze nel bambino del tipo “quando ci sono io mamma è felice, sorride” (...se invece mi
allontano è triste, preoccupata). Nei casi in cui nel contesto familiare si vivono situazioni più
problematiche, per malattia o altro, il ruolo del bambino può assumere ancora di più una
funzione protettiva del genitore, assumendo un ruolo di “salvatore”. La pratica clinica spesso
dimostra che con il tempo pensieri di questo tipo possono condurre allo strutturarsi di disturbi nei
quali i vissuti emotivi di minaccia legati alla separazione assumono i caratteri di altri disturbi di
ansia (es. disturbo ossessivo compulsivo, fobia sociale, fobia specifica).

LA VALUTAZIONE DEL DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE


Durante la fase di assessment, svolto sia attraverso il colloquio clinico che attraverso la
somministrazione di specifici strumenti psico-diagnostici, è necessario il coinvolgimento di:
 genitori;
 bambino;
 altre figure significative: insegnanti, nonni, ecc.

ASSESSMENT CON I GENITORI permette di:


- Descrivere specifiche situazioni in cui si è verificato il problema, indagando contesto,
durata, intensità e frequenza;
- Sondare le situazioni di separazione e valutare le reazioni dei genitori al
comportamento- problema, per individuare il loro ruolo nell’evoluzione e nel
mantenimento del problema;
- Raccogliere l’analisi evolutiva del sintomo;
- Ottenere informazioni su come i genitori percepiscono e vivono il problema;
- Individuare eventuali percezioni erronee, atteggiamenti irrazionali, comportamenti
inadeguati, come pure risorse e doti personali;

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- Identificare eventi di vita stressanti recenti o remoti;
- Sondare l’esistenza di minacce di separazione, di abbandono;
- Valutare le dinamiche affettive intrafamiliari e gli stili educativi dei genitori;
- Valutare la presenza di precedenti analoghi in famiglia;
- Identificare i tentativi attuati per risolvere il problema.
- Possono essere proposti questionari come: Children Behavior Checklist - CBCL
ASSESSMENT CON IL BAMBINO
Se in età scolare, con il bambino si può ricorrere, oltre che al colloquio clinico, anche alla
somministrazione di test. Il colloquio è finalizzato all’approfondimento dei seguenti aspetti:
– capire come il bambino percepisce il suo problema (“Cosa temi succeda?” “Cosa
potrebbe succedere e se questo succedesse cosa potrebbe significare per te?”, “Perché è
così brutto?”);
– ottenere dati sulle situazioni specifiche in cui si manifesta il problema, chiedendo al piccolo
qual è secondo lui la causa;
– ottenere una descrizione, dal punto di vista del bambino, di quali sono le conseguenze
situazionali di certi suoi comportamenti. Il bambino può fornire interessanti particolari su
come reagiscono i genitori e i suoi insegnanti quando si comporta in modo ansioso (sondare
eventuali “vantaggi secondari”)
– identificare le modalità di pensiero prevalenti nel bambino (presenza di distorsioni degli
eventi o catastrofizzazione). Al fine di aiutare il bambino a descrivere accuratamente i
dettagli delle sue reazioni d’ansia o paura, può essere utile chiedergli di immaginare una
tipica situazione temuta e verbalizzare ciò che accade in lui;
– ottenere una prima definizione degli scopi che il bambino desidera raggiungere negli
incontri con il terapeuta.
STRUMENTI DIAGNOSTI destinati al bambino:
  SAT Separation Anxiety Test (versione modificata di Attili 2001);
  Inventario delle paure (Kendall-Di Pietro; 1995);
  Questionario di Sicurezza e Protezione (8-11 anni) (Calvo; 2002)
  Scala di Valutazione della gravità del disturbo d’ansia di separazione (11-17 anni)

Poiché il disturbo si manifesta anche con comportamenti di rifiuto della scuola, è importante che
anche gli INSEGNANTI siano coinvolti nel processo di valutazione.
Gli OBIETTIVI principali sono:
– ottenere una chiara fotografia del comportamento problema: quando, come, con chi si
presenta; rilevare frequenza, intensità e durata del problema;
– reazioni della classe rispetto al comportamento del bambino/ragazzo;
– reazioni degli insegnanti ed eventuali loro differenze in merito a pensieri, emozioni,
comportamento;
– teorie di sofferenza e cura da parte degli insegnanti relativamente al problema dell’alunno;
– stili educativi degli insegnanti ed eventuali incongruenze o differenze;
– tentativi di soluzione e risultati ottenuti;
– meccanismi di mantenimento.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE (APA, 2013)


– Disturbo d’ansia generalizzata Il disturbo d’ansia di separazione si distingue dal disturbo
d’ansia generalizzata per il fatto che l’ansia riguarda in modo prevalente la separazione dalle
figure di attaccamento.
– Disturbo di panico e/o agorafobia Le minacce di separazione possono portare ad ansia
estrema e anche ad un attacco di panico; tuttavia diversamente dal disturbo di panico, l’ansia
riguarda la possibilità di essere lontani dalle figure di attaccamento o che possa capitare
loro qualcosa piuttosto che l’essere paralizzati da un attacco di panico. Ugualmente in
casi di agorafobia il timore non riguarda l’idea di essere intrappolati o impotenti in
situazioni di costrizione, se non per il fatto di essere lontani dalle figure significative.
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– Disturbo d’ansia sociale.In questo caso il rifiuto ad esempio della scuola, o di altre condizioni
sociali, è dovuto alla paura di essere giudicati negativamente dagli altri piuttosto che da
preoccupazioni legate all’idea di essere separati dall’altro significativo.
– Disturbo da stress post-traumatico (DSPT). Sebbene il Disturbo di ansia di separazione
possa insorgere dopo eventi considerati dall’individuo traumatici, nel DSPT i sintomi centrali
riguardano intrusioni, ed evitamento, di ricordi associati all’evento traumatico, mentre
nel primo caso le preoccupazioni riguardano il benessere delle figure di attaccamento e la
separazione da esse.
– Disturbo da ansia di malattia Individui con disturbo da ansia di malattia si preoccupano
riguardo a specifiche malattie che possono avere, ma la preoccupazione maggiore riguarda
la diagnosi medica stessa, e non l’essere separati dalle figura di attaccamento.
– Disturbo depressivo e disturbo bipolare questi disturbi possono essere associati alla
riluttanza ad uscire di casa, ma la problematica è piuttosto legata ad una scarsa
motivazione e disinteresse verso il mondo esterno. Tuttavia gli individui con disturbo
d’ansia di separazione possono diventare depressi mentre sono separati o quando prevedono
la separazione.
DISTURBI IN COMORBILITÀ (APA, 2013)
Nei bambini il disturbo d’ansia di separazione è altamente in comorbilità con il disturbo d’ansia
generalizzata e la fobia specifica. Negli adulti le comorbilità più comuni includono fobia
specifica, DSPT, disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzata, disturbo d’ansia sociale,
agorafobia, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo depressivo e disturbo bipolare.

L’INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO necessita di setting multipli, vale a dire che il percorso


terapeutico deve essere svolto sia prestando attenzione al mondo interno del bambino e del
genitore, sia cercando il significato relazionale che il sintomo ha nel rapporto genitore-figlio (quello
che I genitori pensano dei figli; quello che I figli pensano che i propri genitori pensino).
In base alla fascia di età del soggetto con ansia di separazione le persone presenti in seduta
possono variare a seconda delle esigenze del momento: il bambino ed i genitori, i genitori da
soli, il bambino da solo, la famiglia al completo. Distinguiamo le varie fasi:

L’intervento psicoterapeutico coni genitori:


E’ utile effettuare un incontro psicoeducativo sul disturbo d’ansia di separazione, al fine di fornire
informazioni circa la fenomenologia, il decorso e su come aiutare il bambino a tollerare la
separazione (es. non allontanarsi di nascosto, assegnazione di attività per riempire il vuoto,
reperibilità telefonica...). Se il disturbo interessa un bambino in età pre-scolare il rapporto
terapeutico privilegiato è con i genitori. In questa sede é indicato:
– concordare il programma di esposizione, permettendogli di prenderne parte attiva, in
maniera graduale si presentano situazioni di separazione;
– insegnare ad utilizzare l’estinzione di fronte al comportamento problematico presentato dal
figlio;
– aumentare la conoscenza della mente del bambino; aumentare la consapevolezza che il loro
stato emotivo, così come il loro modo di pensare e di percepire la realtà, condizionano il
proprio stile educativo, ripercuotendosi sull’emotività e sul comportamento del bambino;
–  aumentare la consapevolezza che le proprie reazioni comportamentali ed emotive
alimentano il disturbo del figlio;
–  favorire una maggiore sintonizzazione emotiva da parte dei genitori sugli stati d’animo del
figlio, con l’obiettivo di ridurre risposte genitoriali invalidanti l’esperienza interna del bambino
che a loro volta possono alimentare valutazioni secondarie di tristezza ed ulteriore ansia per
non sentirsi compreso.

Con il bambino/a...
Con il bambino in età scolare il percorso terapeutico può articolarsi nelle seguenti fasi:
– aiutare il bambino a identificare le emozioni di ansia e preoccupazione e le sue reazioni
all’ansia, normalizzandole;
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– fornire al bambino un modello di fronteggiamento delle situazioni ansiose;
– esposizione graduale (immaginativa ed in vivo) alle situazioni di separazione, dopo aver
discusso insieme le modalità di fronteggiamento;
– possono essere utili procedure di rilassamento che favoriscono la tollerabilità della reazione
ansiosaidentificazione dei pensieri disfunzionali;
– ristrutturazione cognitiva e sostituzione con affermazioni di fronteggiamento;
– modeling da parte di un adulto di riferimento o del terapeuta.

Con gli insegnanti...


– Anche in questo caso è utile effettuare un incontro psicoeducativo, sul disturbo d’ansia di
separazione oltre che sul funzionamento specifico del bambino/a in relazione al disturbo
stesso, così che il corpo docente possa aiutarlo a tollerare la separazione e riprendere la
frequenza scolastica;
– va concordata inoltre con gli insegnanti, unitamente ai genitori, una gerarchia di situazioni di
separazione ordinate in modo crescente di difficoltà che il bambino verrà stimolato ad
affrontare.

ANSIA DA SEPARAZIONE NORMALE E PATOLOGICA DIFFERENZE


Il disturbo d’ansia da separazione si manifesta come un’eccessiva paura o ansia riguardante la
separazione da casa o dalle figure più importanti per il bambino. A differenza delle occasionali e
lievi preoccupazioni che i bambini possono sperimentare durante l’allontanamento dai genitori, il
disturbo d’ansia di separazione può influenzare notevolmente la vita di una persona, limitandone la
capacità di impegnarsi in attività quotidiane. I bambini con questo disturbo diventano
estremamente agitati e preoccupati ogni volta che si separano dalla loro figura primaria di
riferimento, sia essa un genitore, un parente o una baby sitter.
A differenza dei bambini timidi, chi ha un disturbo d’ansia da separazione può sperimentare un
forte livello d’ansia e di agitazione solo anticipando mentalmente l’allontanamento da casa o dal
caregiver primario.Spesso il disturbo si sviluppa in seguito ad un evento stressante quale la morte
di un genitore, di un animale domestico, dopo la malattia di un familiare, un episodio di
ospedalizzazione, un cambio di scuola, di residenza o a seguito di una separazione/divorzio.Il
disturbo d’ansia di separazione si distingue dal disturbo d’ansia generalizzata per il fatto che
l’ansia riguarda in modo prevalente la separazione dalle figure di attaccamento.

DISTURBO DEL MOVIMENTO

Nel DSM-5 sono compresi i seguenti Disturbi del movimento:

1. Disturbo dello sviluppo della coordinazione;


2. Disturbo da movimento stereotipato;
3. Disturbi da TIC (questi ultimi comprendono il disturbo di Tourette, il Disturbo persistente da
TIC motori o vocali, il Disturbo transitorio da TIC, il Disturbo da TIC con altra specificazione e
il Disturbo da TIC senza specificazione).

1.DISTURBO DELLO SVILUPPO DELLA COORDINAZIONE MOTORA o DIPRASSIA


È un disturbo caratterizzato da deficit nell’acquisizione e nell’esecuzione delle abilità motorie
coordinate e si manifesta con goffaggine e lentezza o imprecisione nello svolgimento delle abilità
motorie che interferiscono con le attività della vita quotidiana. I bambini piccoli possono presentare
un ritardo nel raggiungimento delle tappe motorie fondamentali, sebbene molti raggiungono le
tappe motorie adeguate. Si possono inoltre sviluppare in ritardo alcune abilità quali salire le scale,
pedalare, abbottonarsi la camicia e chiudere le cerniere. Anche nel momento in cui l’abilità viene
acquisita, l’esecuzione dei movimenti può apparire scordinata lenta o meno precisa rispetto
ai coetanei e comunque interferisce significativamente con le attività quotidiane della vita familiare,
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sociale, scolastica o comunitaria. Il più grande problema della disprassia è la mancanza di
consapevolezza; si tende a pensare che il bambino sia semplicemente “impacciato” e che questo
non comporti lo sviluppo di situazioni peggiori con il passare del tempo.
In realtà questo disturbo interessa circa il 5-6% della popolazione infantile compresa tra i 5 e gli
11 anni (i maschi più delle femmine), e non migliora con la crescita, anzi, se non trattato
immediatamente può perdurare, anche oltre l’età evolutiva, nel 50-70% dei casi.
2.DISTURBO DA MOVIMENTO STEREOTIPATO
Viene diagnosticato quando un individuo presenta comportamenti motori ripetitivi,
apparentemente intenzionali e apparentemente afinalistici, come scuotere le mani, dondolarsi,
battersi la testa, morsicarsi o colpirsi. Tali comportamenti possono o non possono rispondere gli
sforzi per fermarli: tra i bambini con sviluppo tipico, i movimenti ripetitivi possono essere fermati
quando sono oggetto di attenzione o quando il bambino viene distratto dalla loro esecuzione,
mentre tra i bambini con disturbi del neurosviluppo, i comportamenti motori tipicamente rispondono
meno a tali sforzi. In altri casi l’individuo mostra comportamenti di autocontenimento (per
esempio sedersi sulle mani, avvolgere le braccia nei vestiti). Il repertorio di comportamenti è
variabile e può comprendere comportamenti autolesivi (ad esempio battersi la testa
schiaffeggiarsi il viso, mettersi le dita negli occhi, mordersi). La frequenza e la durata di tali
comportamenti può variare molto. I movimenti stereotipati sono comuni nei bambini piccoli con
sviluppo tipico e tra il 4 e il 16% degli individui con difficoltà disabilità intellettiva manifesta
stereotipie e autolesionismo.
3.DISTURBI DA TIC
Con la denominazione TIC si intende tutti quei movimenti stereotipati, a-finalistici, che l’individuo
compie senza averne il controllo. Il DSM-5 include in questa categoria 4 tipologie del disturbo:
A- Disturbo di Tourette
B- Disturbo Cronico da TIC motori o vocali
C- Disturbo Transitorio da TIC
D- Disturbo da TIC NAS
A)DISTURBO DI TOURETTE
Questa Sindrome è caratterizzata da tic facciali, movimenti involontari multipli del corpo,
ecolalia e coprolalia; la gravità dei tic può variare , ma sono persistenti nel tempo (più di un anno)
ed il 43% dei pazienti presentano alcune comorbilità come il Disturbo da Deficit d’attenzione e
iperattività (ADHD), il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC); queste condizioni sono spesso
secondarie al peggioramento del quadro clinico.
B) DISTURBO CRONICO DA TIC MOTORI O VOCALI
Prevede la presenza di tic motori o vocali semplici o complessi, ma non sia motori che vocali,
presenti in modo persistente nel tempo (almeno un anno).
C)DISTURBO TRANSITORIO DA TIC
Prevede la presenza di tic motori e/o vocali singoli o multipli, per un periodo inferiore a un anno.
D)DISTURBO DA TIC NAS
Questa categoria si usa per i disturbi caratterizzati da TIC che non soddisfano i criteri per un
Disturbo da TIC Specifico. Gli esempi includono TIC che durano meno di 4 settimane o TIC con
esordio dopo i 18 anni di età

TRATTAMENTO
- FARMACOLOGICO nei tic semplici e complessi vengono utilizzati generalmente tre
categorie di psicofarmaci: Benzodiazepine; Ansiolitici non benzodiazepinici; Neurolettici;
Antidepressivi.

- INTERVENTO PSICOLOGICO I Disturbi da TIC vengono trattati principalmente utilizzando


la tecnica dell’esposizione e della prevenzione della risposta con lo scopo di estinguere
i pensieri e i rituali che il soggetto mette in atto per contenere l’ansia e di modificare le
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credenze disfunzionali e le interpretazioni della persona sulle possibili conseguenze che
possono essere scatenate dalle situazioni-problema. Nel caso di pazienti con disturbo da
TIC in età evolutiva è fondamentale il coinvolgimento dell’intero nucleo familiare con
l’obiettivo di favorire la comprensione dei comportamenti del bambino, fornire strategie per
la loro gestione e modificazione e porre attenzione sugli atteggiamenti dei componenti
familiari in merito al disturbo ed al soggetto stesso. Risulta controproducente sgridare o
spazientirsi in seguito alla manifestazione dei TIC perché come in un vortice questo
aumenta l’ansia e di conseguenza gli stessi TIC. Indispensabile risulta anche nel contesto
familiare il monitoraggio delle situazioni in cui i TIC si manifestano così da poterle
prevedere e quando possibile evitare.

DEFINIZIONE DI TIC
Con la denominazione TIC si intende tutti quei movimenti stereotipati, a-finalistici, che l’individuo
compie senza averne il controllo. Distinguiamo vari tipi di TIC:
- TIC motori come smorfie del viso, movimenti del collo, colpi di tosse, ammiccamenti.
- TIC vocali (emissioni di suoni non voluti) che includono per esempio il raschiarsi la gola e
lo sbuffare.
I TIC motori o vocali possono essere semplici o complessi:
TIC MOTORI
- semplici: coinvolgono pochi muscoli, ad esempio ammiccamenti, arricciamenti di naso,
torsioni di collo, alzate di spalle, smorfie del viso e contrazione addominale.
- complessi: coinvolgono gruppi multipli di muscoli reclutati per l'emissione di esplosioni
orchestrate, ad esempio movimenti delle mani, saltare, toccare, schiacciare, pestare i piedi,
contorsioni del viso, annusare ripetutamente un oggetto, accovacciarsi, flettere
profondamente le ginocchia, tornare sui propri passi, piroettare camminando ed assumere
e mantenere insoliti atteggiamenti posturali e tic distonici come mantenere il collo in una
posizione particolarmente contratta. Sono TIC motori complessi: La Coproprassia:
gesto simile ad un tic volgare, sessuale o osceno i fenomeni a specchio come l'ecoprassia
che è l'imitazione spontanea ed involontaria di movimenti di un altro. I TIC motori
complessi sono di durata più lunga di quelli semplici.
TIC VOCALI
- Semplici sono suoni senza significato come raschiarsi la gola, grugnire, annusare soffiare
e stridere.
- complessi coinvolgono più chiaramente l'eloquio e il linguaggio ed includono l'espressione
spontanea ed improvvisa di singole parole o frasi, il blocco dell'eloquio, cambiamenti
improvvisi e senza senso dell'altezza, dell'enfasi e del volume dell'eloquio, la palilalia e
l'ecolalia. I TIC di solito vengono avvertiti come irresistibili, ma possono essere repressi
per periodi variabili di tempo. I soggetti con TIC possono sentire che il TIC è volontario e
involontario poiché spesso viene vissuto come un cedere ad una tensione che cresce o al
bisogno quasi irresistibile di grattarsi. Un soggetto può sentire il bisogno di portare a
termine un TIC complesso in un modo particolare o ripetutamente fino a raggiungere la
sensazione che il TIC sia stato fatto “proprio bene”. Solo allora il soggetto proverà una
riduzione dell'ansia o della tensione. I TIC possono variare di frequenza e di perturbazione
nei diversi contesti: ad esempio i bambini e gli adulti possono essere capaci di sopprimere i
TIC a scuola, al lavoro o nello studio medico meglio che a casa. Inoltre possono
aggravarsi nei periodi di stress come quando vi è un aumento della pressione sul lavoro o
durante gli esami.
NELLO SPECIFICO
DISTURBO DELLO SVILUPPO DELLA COORDINAZIONE MOTORA o DIPRASSIA
È un disturbo caratterizzato da deficit nell’acquisizione e nell’esecuzione delle abilità motorie
coordinate e si manifesta con goffaggine e lentezza o imprecisione nello svolgimento delle abilità
motorie che interferiscono con le attività della vita quotidiana. I bambini piccoli possono presentare
un ritardo nel raggiungimento delle tappe motorie fondamentali, sebbene molti raggiungono le
tappe motorie adeguate. Si possono inoltre sviluppare in ritardo alcune abilità quali salire le scale,
pedalare, abbottonarsi la camicia e chiudere le cerniere. Anche nel momento in cui l’abilità viene
77
acquisita, l’esecuzione dei movimenti può apparire scordinata lenta o meno precisa rispetto
ai coetanei e comunque interferisce significativamente con le attività quotidiane della vita familiare,
sociale, scolastica o comunitaria. Il più grande problema della disprassia è la mancanza di
consapevolezza; si tende a pensare che il bambino sia semplicemente “impacciato” e che questo
non comporti lo sviluppo di situazioni peggiori con il passare del tempo.
In realtà questo disturbo interessa circa il 5-6% della popolazione infantile compresa tra i 5 e gli
11 anni (i maschi più delle femmine), e non migliora con la crescita, anzi, se non trattato
immediatamente può perdurare, anche oltre l’età evolutiva, nel 50-70% dei casi.
DECORSO
– Il riconoscimento del Disturbo di Sviluppo della Coordinazione avviene di solito quando il
bambino fa i primi tentativi in attività come correre, usare coltello e forchetta, abbottonarsi i
vestiti o giocare a palla.
– Il decorso è variabile, ma stabile fino ad 1 anno di follow up.
– In adolescenza possono presentarsi miglioramenti, ma continuano i sintomi del 50-60% dei
soggetti.

FATTORI DI RISCHIO
– Ambientali
o All’esposizione prenatale all’alcol e in bambini prematuri e con basso peso alla nascita.
– Genetici e Fisiologici
o Sono state ipotizzate disfunzioni cerebellari, ma le basi neuronali del disturbo
rimangono poco chiare.
– Modificatori Del Decorso
o Gli individui con DDAI (deficit di attenzione e iperattività) e disturbo della coordinazione
motoria mostrano una maggior compromissione rispetto agli individui con DDAI senza
disturbo dello sviluppo della coordinazione motoria.
CONSEGUENZE FUNZIONALI AL DISTURBO
– Ridotta partecipazione a giochi di squadra e attività sportive;
– Scarsa autostima;
– Problemi emotivi e del comportamento;
– Rendimento scolastico compromesso;
– Scarsa forma fisica;
– Ridotta attività fisica;
– Obesità.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE E COMORBIDITÀ
Diagnosi differenziale
– Compromissione dovute ad un’altra condizione medica generale;
– Disabilità intellettiva;
– ADHD;
– Disturbo dello spettro dell’autismo;
– Sindrome da ipermobilità articolare
Comorbidità
– Disturbo del linguaggio e dell’eloquio;
– DSA;
– Disturbo dello Spettro dell’Autismo
– Ipermobilità articolare

SINTOMI E CRITERI DIAGNOSTI DEL DISTURBO DELLO SVILUPPO DELLA


CORDINAZIONE SECONDO IL DSM-5 Per porre diagnosi il DSM-5 dipone che siano presenti
I seguenti criteri:
A. L’acquisizione e l’esecuzione delle abilità motorie coordinate risultano notevolmente
inferiori rispetto a quanto atteso considerando l’età cronologica dell’individuo e l’opportunità
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che ha avuto ad apprendere ed utilizzare tali abilità. Le difficoltà si manifestano in
goffaggine (per es. cadere o battere contro oggetti) così come lentezza ed imprecisione
nello svolgimento delle attività motorie (ad es. afferrare un oggetto, usare forbici o posate,
scrivere a mano, guidare la bicicletta o partecipare ad attività sportive).
B. Il deficit delle abilità motorie indicate nel criterio A interferisce in modo significativo e
persistente con le attività della vita quotidiana adeguate all’età cronologica (per es. nella
cura e nel mantenimento di sé) e ha un impatto sulla produttività scolastica, sulle attività
preprofessionali e professionali, sul tempo libero e sul gioco).
C. L’esordio dei sintomi avviene nel primo periodo dello sviluppo. – Non viene di solito
diagnosticato prima dei 5 anni di età.
D. I deficit delle abilità motorie non sono meglio spiegati da disabilità intellettiva (disturbo dello
sviluppo intellettivo) o da deficit visivo e non sono attribuibili ad una condizione neurologica
che influenza il movimento (per es. paralisi cerebrale, distrofia muscolare, disturbo
degenerativo).

2.DISTURBO DA MOVIMENTO STEREOTIPATO


Viene diagnosticato quando un individuo presenta comportamenti motori ripetitivi,
apparentemente intenzionali e apparentemente afinalistici, come scuotere le mani, dondolarsi,
battersi la testa, morsicarsi o colpirsi. Tali comportamenti possono o non possono rispondere gli
sforzi per fermarli: tra i bambini con sviluppo tipico, i movimenti ripetitivi possono essere fermati
quando sono oggetto di attenzione o quando il bambino viene distratto dalla loro esecuzione,
mentre tra i bambini con disturbi del neurosviluppo, i comportamenti motori tipicamente rispondono
meno a tali sforzi. In altri casi l’individuo mostra comportamenti di autocontenimento (per
esempio sedersi sulle mani, avvolgere le braccia nei vestiti). Il repertorio di comportamenti è
variabile e può comprendere comportamenti autolesivi (ad esempio battersi la testa
schiaffeggiarsi il viso, mettersi le dita negli occhi, mordersi). La frequenza e la durata di tali
comportamenti può variare molto. I movimenti stereotipati sono comuni nei bambini piccoli con
sviluppo tipico e tra il 4 e il 16% degli individui con difficoltà disabilità intellettiva manifesta
stereotipie e autolesionismo.

SINTOMI E CRITERI DIAGNOSTICI DEL MOVIMENTO STEREOTIPATO secondo il DSM-5

A. Il comportamento motorio ripetitivo, apparentemente intenzionale ed evidentemente


afinalistico.
B. Il comportamento motorio ripetitivo interferisce con attività sociali, scolastiche o di altro tipo
e può portare ad autolesionismo.
C. L’esordio avviene nel primo periodo dello sviluppo.
D. Il comportamento motorio ripetitivo non è attribuibile agli aspetti fisiologici di una sostanza o
una condizione neurologica e non è meglio spiegato da un altro disturbo del neurosviluppo
o mentale. Specificare se:
– Con comportamento autolesivo:
– Senza comportamento autolesivo.
Specificare se associato ad una condizione medica o genetica nota, ad un disturbo del
neurosviluppo o a un fattore ambientale.
Specificare se:
– Lieve: i sintomi sono facilmente soppressi da stimoli sensoriali o da distrazione.
– Moderata: i sintomi richiedono misure protettive esplicite e modifiche del comportamento.
– Grave: per prevenire lesioni serie sono richiesti un monitoraggio continuo e misure
protettive.
Decorso
– I bambini che sviluppano stereotipie motorie complesse, circa l’80% presenta sintomi prima dei
24 mesi di età, il 12% tra i 24-35 mesi, e l’8% a 36 mesi o più.
– Nella maggior parte dei bambini con sviluppo tipico, questi movimenti si risolvono nel tempo o
possono scomparire.
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FATTORI DI RISCHIO
Ambientali
– L’isolamento sociale può portare a comportamenti stereotipati con autolesionismo.
– Lo stress ambientale.
– La paura può alterare lo stato di attivazione fisiologica, con conseguente aumento della
frequenza di comportamenti stereotipati.
Genetici e Fisiologici Un funzionamento cognitivo basso
DIAGNOSI DIFFERENZIALE E COMORBIDITÀ
Diagnosi differenziale
– Sviluppo morale;
– Disturbo dello spettro dell’autismo;
– Disturbo da TIC;
– Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati;
– Condizioni neurologiche o mediche.
Comorbidità
Disturbi neurogenetici (sindrome di Rett, sindrome X fragile ecc);

3.DISTURBO DA TIC
Il DSM-5 include in questa categoria 4 tipologie del disturbo:
- Disturbo di Tourette
- Disturbo Cronico da TIC motori o vocali
- Disturbo Transitorio da TIC
- Disturbo da TIC NAS

DISTURBO DI TOURETTE
Questa Sindrome è caratterizzata da tic facciali, movimenti involontari multipli del corpo,
ecolalia e coprolalia; la gravità dei tic può variare , ma sono persistenti nel tempo (più di un anno)
ed il 43% dei pazienti presentano alcune comorbilità come il Disturbo da Deficit d’attenzione e
iperattività (ADHD), il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC); queste condizioni sono spesso
secondarie al peggioramento del quadro clinico.

il DSM-5 stabilisce I seguenti criteri per porre diagnosi


A. In qualche momento della malattia si sono manifestati sia tic motori multipli che uno o
più TIC vocali sebbene non necessariamente in modo concomitante.
B. I TIC si manifestano molte volte al giorno, quasi ogni giorno o in maniera intermittente
durano un periodo più lungo di 1 anno e durante questo periodo non vi è mai stato un
periodo di più di 3 mesi consecutivi senza TIC.
C. L'esordio è prima dei 18 anni.
D. L'anomalia non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. stimolanti) o di
una condizione medica generale (per es. malattia di Huntington o encefalite postvirale).
 Questa Sindrome è caratterizzata da TIC facciali, movimenti involontari multipli del corpo,
ecolalia e coprolalia.
 La gravità dei TIC può variare da lievi a invalidanti ed il 43% dei pazienti presentano alcune
comorbilità come il Disturbo da Deficit d’attenzione e iperattività (ADHD) e il Disturbo
Ossessivo Compulsivo (DOC).
 Queste condizioni sono spesso secondarie al peggioramento del quadro clinico del
paziente ed è fondamentale identificarle e trattarle (Du J.C. et al., 2010).
 Le cause della sindrome non sono ancora certe, vi sono fattori genetici e ambientali e si
ipotizza esservi un metabolismo anormale della dopamina 4 volte più frequente nel
maschio.
 I TIC di questa Sindrome iniziano durante l’infanzia, l’età più comune di insorgenza è tra i
cinque e i sette anni e raggiunge la massima severità intorno ai 10 anni (Leckman J.F. et
al., 2006).

80
 In adolescenza i TIC si riducono o scompaiono in circa un quarto dei bambini; per
quasi la metà di essi i TIC si riducono ad una forma lieve, per meno di un quarto di
loro invece i TIC persistono. Gli adulti invece presentano un peggioramento dei TIC
rispetto all’età pediatrica in percentuale compresa tra il 5% e il 14% (Du J.C. et al., 2010).
 La probabilità di trasmettere il disturbo alla prole è del 50% (Zinner S.H., 2000); solo una
piccola percentuale di bambini portatori di geni sviluppano sintomi tanto severi da
richiedere cure mediche.

B)DISTURBO CRONICO DA TIC MOTORI O VOCALI


Prevede la presenza di tic motori o vocali semplici o complessi, ma non sia motori che vocali,
presenti in modo persistente nel tempo (almeno un anno).
Il DSM-5 stabilisce, per pore diagnosi , I seguenti criteri
A. Per qualche tempo durante la malattia si sono manifestati TIC o motori o vocali singoli o
multipli, ma non entrambi.
B. I TIC si manifestano molte volte al giorno, quasi ogni giorno o in maniera intermittente
durano un periodo più lungo di 1 anno e durante questo periodo non vi è mai stato un
periodo di più di 3 mesi consecutivi senza TIC.
C. L'esordio è prima dei 18 anni.
D. L'anomalia non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. stimolanti) o di
una condizione medica generale (per es. malattia di Huntington o encefalite postvirale).
E. Non sono mai stati soddisfatti i criteri per il Disturbo di Tourette.

C)DISTURBO TRANSITORIO DA TIC


Prevede la presenza di tic motori e/o vocali singoli o multipli, per un periodo inferiore a un anno.
Criteri del DSM-5 per porre diagnosi:
A. TIC motori e/o vocali singoli o multipli.
B. I TIC si manifestano molte volte al giorno, quasi ogni giorno per almeno 4 settimane,
ma non per di più di 12 mesi consecutivi.
C. L'esordio è prima dei 18 anni.
D. L'anomalia non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. stimolanti) o di
una condizione medica generale (per es. malattia di Huntington o encefalite postvirale).
E. Non sono mai stati soddisfatti i criteri per il Disturbo di Tourette o per il Disturbo Cronico da
TIC motori o vocali.
 Specificare se:
- Episodio Singolo; -
- Episodio Ricorrente.
D)DISTURBO DA TIC NAS
Questa categoria si usa per i disturbi caratterizzati da TIC che non soddisfano i criteri per un
Disturbo da TIC Specifico. Gli esempi includono TIC che durano meno di 4 settimane o TIC con
esordio dopo i 18 anni di età

DIFFERENZA TRA TIC E SINDROME DI TOURETTE

I Tic sono definiti come movimenti stereotipati, a-finalistici, che l’individuo compie senza averne il
controllo. Distinguiamo vari tipi di TIC:
- TIC motori come smorfie del viso, movimenti del collo, colpi di tosse, ammiccamenti.
- TIC vocali (emissioni di suoni non voluti) che includono per esempio il raschiarsi la gola e
lo sbuffare.
I TIC motori o vocali possono essere semplici o complessi:
TIC MOTORI semplici: coinvolgono pochi muscoli, ad esempio ammiccamenti, arricciamenti di
naso, torsioni di collo, alzate di spalle, smorfie del viso e contrazione addominale, quelli complessi
coinvolgono gruppi multipli di muscoli.
TIC VOCALI semplici sono suoni senza significato come raschiarsi la gola, grugnire, annusare
soffiare e stridere, quelli complessi coinvolgono più chiaramente l'eloquio e il linguaggio ed
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includono l'espressione spontanea ed improvvisa di singole parole o frasi, il blocco dell'eloquio,
cambiamenti improvvisi e senza senso dell'altezza, dell'enfasi e del volume dell'eloquio, la
palilalia e l'ecolalia.
La sindromne di Tourette è diagnosticata quando I soggetti presentano Tic vocali e motori per un
period superiore all’anno. La diagnosi é clinica. Spesso I soggetti affetti da questa sindrome
presentano una comborbilità con altri disturbi psicologici comportamentali comeil disturbo da deficit
dell’attenzione e iperattività (ADHD), il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), stati d’ansia,
disturbi dell’umore, eccessiva sensibilità emotiva, disturbi dell’apprendimento, comportamento
distruttivo, balbuzie, abuso di sostanze, aggressività e depressione.
I tic sono trattati solo se interferiscono con le attività del bambino o se vanno a compromettere
l’immagine che il bambino ha di sè: il trattamento può comprendere l’intervento comportamentale e
l’utilizzo di farmaci come la clonidina o antipsicotici.

IL DSA: IL DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO


Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) i disturbi specifici di
apprendimento (DSA) sono caratterizzati dalla persistente difficoltà di apprendimento
delle abilità scolastiche presenti per almeno 6 mesi: si assiste alla lettura delle parole lenta o
imprecisa, faticosa, alla difficoltà nella comprensione del significato di cio che viene letto, difficoltà
nello spelling, difficoltà con l’espressione scritta, nel padroneggiare il concetto di numero, i dati
numerici o il calcolo, nel ragionamento matematico. Negli adulti, una difficolta persistente
si riferisce a difficoltà continuative nel leggere e nello scrivere o nelle abilità di calcolo.
Le abilità scolastiche sono al di sotto di quelle attese per età e causano interferenza con il
rendimento scolastico o lavorativo.
Le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici e, non solo influenzano le abilita
scolastiche, ma possono anche ostacolare l’apprendimento di altre materie; questi problemi sono
attribuiti alle difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche sottostanti.
La prevalenza dei disturbi specifici di apprendimento (DSA) nell’ambito di lettura, scrittura e
calcolo é pari al 5-15% tra i bambini in età scolare ed é trasversale a linguaggi e culture.
La prevalenza negli adulti sembra essere del 4%.

CRITERI DIAGNOSTICI NEL DSM -5 Nell’ultima versione del DSM-5 il disturbo specifico
dell’apprendimento (DSA) figura tra i disturbi del neurosviluppo. Inoltre scompare la disgrafia; il
disturb della lettura si sovrappone alla dislessia; si assiste ad una migliore definizione della
discalculia; si tiene maggiormente in conto l’apporccio dimensionale.
Il disturbo include le diagnosi di:
–  Disturbo della Lettura
–  Disturbo del Calcolo
–  Disturbo dell’Espressione Scritta
–  Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato
I deficit di apprendimento nelle aree della lettura, espressione scritta e del calcolo sono codificati
come specificatori separati.
CRITERI
A. Difficoltà di apprendimento e dell'utilizzo di competenze scolastiche, come indicato dalla
presenza di almeno uno dei seguenti sintomi che persistono per almeno 6 mesi, nonostante la
presenza di interventi mirati per tali difficoltà:
1. Lettura di parole inesatta o lenta e faticosa (es. legge singole parole ad alta voce in
modo non corretto o lentamente e con esitazione, spesso indovina le parole, ha difficoltà a
pronunciare le parole).
2. Difficoltà a comprendere il significato di ciò che si legge (es. può leggere il testo con
precisione, ma non capire la sequenza, le relazioni o significati più profondi di ciò che viene
letto).
3. Difficoltà nello spelling (es. possono aggiungere, omettere o sostituire vocali o
consonanti).
4. Difficoltà nella forma scritta (es. errori grammaticali o di punteggiatura, scarsa
organizzazione del paragrafo, l’espressione di scritta di idee appare poco chiara).

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5. Difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo (es.
scarsa comprensione dei numeri, il loro valore e le relazioni; per fare addizioni conta con le
dita piuttosto che farlo come i suoi coetanei, si perde nel calcolo aritmetico e può utilizzare
procedure diverse dalle solite).
6. Difficoltà con il ragionamento matematico (es. difficoltà ad applicare concetti di
matematica o procedure per risolvere problemi quantitativi).
B. Le competenze scolastiche sono quantificabili e sostanzialmente al di sotto di quelli previsti
per l’età cronologica del soggetto, interferiscono significativamente con le performance
scolastiche e occupazionali o con le attività della vita quotidiana, come confermato da valutazione
clinica e somministrazione di strumenti standardizzati.
C. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante l’età scolare, ma possono diventare non
pienamente manifeste fino a quando le richieste superano le capacità limitate del singolo (es. nelle
prove cronometrate, la lettura o la scrittura di report complessi, compiti scolastici eccessivamente
pesanti).
D. Le difficoltà di apprendimento non sono meglio giustificate da disabilità intellettiva, visiva o
uditiva, altri disturbi mentali o neurologici, avversità psicosociali, mancanza di comprensione della
lingua d’insegnamento o inadeguata istruzione educativa.
NOTA: i quattro criteri diagnostici devono essere soddisfatti sulla base di una sintesi clinica della
storia del singolo (dello sviluppo, medica, familiare, scolastica), pagelle scolastiche e valutazione
psicoeducativa.
Specificare se:
1. con compromissione della lettura: DISLESSIA
2. con compromissione del calcolo: DISCALCULIA
3. con compromissione dell’espressione scritta:
LIVELLO DI GRAVITA’
Lieve: sono presenti alcune difficoltà nelle abilità di apprendimento in uno o due settori
scolastici; gravità abbastanza mite che l'individuo può essere in grado di compensare bene se
fornito di servizi o assistenza adeguati, in particolare durante gli anni scolastici.
Moderato: presenti difficoltà marcate di apprendimento in uno o più ambiti scolastici;
l'individuo è improbabile che diventi competente in assenza di un insegnamento intenso e
specializzato durante gli anni scolastici. Possono essere necessari, per portare a termine le
attività con efficienza, strutture o servizi di supporto per almeno una parte della giornata a scuola,
sul posto di lavoro o in casa.
Grave: presenti gravi difficoltà di apprendimento nei diversi ambiti scolastici; improbabile che
l'individuo apprenda tali abilità in assenza di un corso intensivo personalizzato e insegnamento
specializzato per la maggior parte degli anni scolastici. Nonostante l’adeguata gamma di
servizi a casa, a scuola o sul posto di lavoro, l'individuo potrebbe non essere in grado di portare a
termine tutte le attività in modo efficiente.

EZIOLOGIA
Non vi è una risposta univoca rispetto a quali siano le cause dei DSA. Vi è accordo, però,
rispetto al riconoscimento dell’origine neurobiologica del disturbo. La sua espressione, peraltro
così eterogenea, è mediata e modulata da fattori ambientali.
Esistono diversi modelli patogenetici ma rappresentano solo ipotesi interpretative:
1. deficit di processamento fonologico viene considerato, in diversi studi, come l’unico fattore
necessario e sufficiente a spiegare l’insorgenza del disturbo di lettura. Secondo gli autori la
difficoltà nell’acquisizione del processo di lettura é da imputare ad un unico deficit
nell’elaborazione, memorizzazione e recupero dei suoni linguistici (alterazione processo
di conversione grafema/fonema).
2. Ipotesi multifattoriale per definire il fenotipo clinico del profilo dislessico sono necessari sia
deficit fonologici che non fonologici. Infatti:
- quasi l’80% dei bambini dislessici mostra, in aggiunta a quello fonologico, deficit delle
funzioni esecutive, dell’attenzione, delle abilità visuo-spaziali;
- il 41% evidenzia deficit in quattro o cinque diversi ambiti neurocognitivi.
3. Influenza di fattori visivi: problematiche legate a componenti diverse di questo processo
(sistema magno cellulare, l’attenzione visiva, i movimenti oculari). L’ipotesi del deficit visivo fa
83
riferimento ad un anomalo funzionamento del sistema magnocellulare deputato al
riconoscimento e all’elaborazione di informazioni transienti, cioè quelle ad elevata frequenza e
breve durata; ciò provocherebbe una sorta di sovrapposizione degli stimoli, sia visivi sia uditivi,
o comunque la difficoltà a mantenere le sequenze in modo corretto.
4. Ruolo dei processi attentivi nel disturbo della lettura nei dislessici sembra essere
disfunzionale lo spazio, sia visivo sia temporale, in cui avviene la processazione delle
informazioni (la finestra attentiva) per cui non si realizza il meccanismo di segregazione
grafemica necessario per la funzionalità della via sublessicale nel modello di lettura a due vie.
Un bambino che sta imparando a leggere non riesce a leggere parole sconosciute (o non
parole) perché non riesce ad effettuare una conversione grafema/fonema, mentre il lettore
esperto utilizza prevalentemente la via lessicale che permette di leggere solo le parole familiari
e irregolari (Renzetti, Mercuriu; 2016).
5. differenze significative nei movimenti oculari rispetto al normo lettore e questo può
dipendere da diverse ragioni:
- i punti di fissazione sono più frequenti e di maggiore durata nei dislessici (Hutzler et al.,
2006);
- la fissazione binoculare è instabile (Stein e Fowler, 1993) o troppo sensibile all’affollamento
degli stimoli (effetto crowding; Spinelli et al., 2002).
Un ulteriore gruppo di studi propone come spiegazione del funzionamento dei dislessici l’ipotesi
del deficit di automatizzazione. Tale deficit, studiato sistematicamente da Nicholson e
collaboratori (1990, 1995, 1999, 2001), sarebbe determinato da una basilare disfunzione
cerebellare che comprometterebbe in modo più generale l’automatizzazione delle abilità, non solo
della lettura, ma anche delle sequenze motorie e in generale di apprendimento implicito. 

COMORBILITA’
In letteratura frequentemente la comorbilità dei DSA con altre condizioni cliniche viene intesa come
contemporaneità di due o più disturbi e non viene delineata una relazione di tipo causale tra di
essi.
Alcuni autori (Milani, Gentile e Guzzino, 2008) sostengono che i DSA agirebbero come fattore
scatenante per la strutturazione di un disturbo psicopatologico, già presente in forma silente nel
soggetto. La pratica clinica e la letteratura (nazionale e internazionale) è concorde nel ritenere che
i DSA siano il più delle volte accompagnati:
– da altri DSA(in associazionetra loro);
– da un disagio emotivo;
– da un disturbo di ordine psicopatologico di tipo esternalizzante ed internalizzante (60%).
Le comorbilità possono rendere complessa, durante la fase di valutazione, la somministrazione di
test e la diagnosi differenziale, perché ognuno dei disturbi concomitanti interferisce in modo
indipendente con lo svolgimento delle attività di vita quotidiana, compreso l’apprendimento.
I bambini con DSA, inoltre, possono presentare difficoltà emotive a causa della caduta
dell’autostima, dell’ansia, del rifiuto ambientale (anche in termini di non accettazione da parte dei
compagni) che sperimentano in seguito ai ripetuti insuccessi:
I bambini con DSA interiorizzano precocemente la loro diversità:
– nel modo di apprendere;
– attraverso l’insuccesso nelle prestazioni scolastiche e nelle interazioni sociali con i pari e
con gli adulti alterando, così, il loro concetto di sé;
– tendono a sentirsi poco responsabili del loro apprendimento e ad abbandonare il compito
alla prima difficoltà (comportamento proprio di chi apprende il senso di impotenza)
– sviluppano una maggiore sensibilità alle critiche;
– hanno difficoltà nello sviluppare processi di autoregolazione
Il bambino con DSA è (o è stato) più facilmente esposto a umiliazioni e derisioni da parte di
compagni o adulti. Tali esperienze potrebbero favorire l’incremento del senso di inadeguatezza
e la percezione di “sentirsi sbagliati” (es. oggi la maestra mi interrogherà e io non mi ricorderò
niente, faccio scena muta, e tutti come al solito rideranno di me) sviluppando sensibilità alla
vergogna. Alcune esperienze fallimentari ripetute possono sottoporre i bambini con DSA a
richiami, rimproveri e critiche sprezzanti.Queste esperienze possono far percepire al bambino

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di essere nell’errore (o farlo sentire a rischio di aver sbagliato) sviluppando così sensibilità alla
colpa (es. oggi la maestra mi dirà che potevo impegnarmi di più, forse non ho studiato
abbastanza, è colpa mia se prendo un brutto voto).

VALUTAZIONE
Per individuare i bambini a rischio di DSA è fortemente raccomandato l’utilizzo contemporaneo di
più fonti quali:
 l’anamnesi;
 questionari ai genitori;
 le valutazioni/previsioni degli insegnanti;
 le batterie di screening.
La tempestività e la precocità degli interventi sono fattori prognostici positivi. L’intervento
modifica, per quanto possibile, un quadro clinico inizialmente critico perché agisce sui processi
cognitivi e sui substrati neurali che li sottendono quando ancora è a disposizione una maggiore
plasticità neurale .

Valutazione dell’intelligenza generale


 con l’uso di almeno un test psicometrico (ad es.: WPPSI, WISC R, WAIS R);
 è importante considerare il profilo delle prove poiché le discrepanze fra subtest verbali e di
performance, con una differenza superiore a 2 deviazioni standard (30 punti), sono
indicative di danno cerebrale.
Valutazione delle abilità di lettura e scrittura
 per la lettura (ad es.: MT prove di lettura; Batteria per la valutazione della dislessia e della
disortografia;
 per la scrittura (ad es.: Batteria per la valutazione della scrittura e delle competenze
ortograficHE);
 per la matematica (ad es.: Prove oggettive di matematica per la scuola elementare, Soresi
S, Corcione D, Gruppo Emmepiù; Lucangeli D, Tressoldi PE, Fiore C, Test ABCA,
Valutazione delle abilità di calcolo aritmetico)
Valutazione di varie funzioni neuropsicologiche (con batterie specifiche a seconda del caso)
per le competenze percettive visuo-spaziali; per le abilità di memoria uditiva e visiva;per le
capacità di attenzione;per le abilità motorie; per la dominanza laterale;per le competenze
linguistiche; per le capacità di pianificazione.

Valutazione del funzionamento psicologico (con strumenti atti a valutare quadri psicopatologici
in comorbilità) per le competenze percettive visuo-spaziali; per le abilità di memoria uditiva e
visiva.

Importante é l’ INDIVIDUAZIONE PRECOCE dei Prodromi del disturbo già in età prescolare:

- mancanza d’interesse nel praticare giochi linguistici (es. ripetizioni, rime, segmentazioni
fonemiche, ecc.);
- difficoltà ad imparare le filastrocche, tendenza a pronunciare male le parole;
- utilizzo frequente di un linguaggio infantile;
- difficoltà nel riconoscere le singole lettere che compongono il loro nome;
- utilizzo di uno spelling inventato;
- difficoltà a ricordare i giorni della settimana, i nomi dei numeri e ad ordinare questi ultimi in
progressione;
- errori nel suddividere parole in sillabe (per es. cane” in “ca-ne”) e nel riconoscere parole
che fanno rima (per es. pera, sera, vera);

TRATTAMENTO consta di due momenti fondamentali


A) INTERVENTI RIABILITATIVI Riabilitazione affidata a specialisti (logopedisti, psicologi
dell’apprendimento, neuropsicologi, TNPEE) con specifica formazione, finalizzata a
promuovere lo sviluppo degli aspetti strumentali deficitari (lettura, scrittura, calcolo).
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Oggetto dell’intervento deve essere strutturato lungo un continuum che va dalla prestazione in
senso stretto l’intervento sulle abilità generali; I training devono essere volti a potenziare e
sviluppare le abilità fonologiche, metafonologiche e lessicali; I training di potenziamento delle
funzioni esecutive che sono implicate negli apprendimenti scolastici: percezione visiva, percezione
uditiva, organizzazione spazio-temporale, memoria di lavoro, attenzione.

B)INTERVENTI PSICOTERAPEUTICI
Scopo della psicoterapia è quello di accompagnare e sostenere i bambini/ragazzi dal momento
della comunicazione della diagnosi e durante il programma di riabilitazione per facilitare
l’acquisizione di consapevolezza del proprio funzionamento: riconoscere ed accettare i propri limiti
e parallelamente individuare risorse e aree di competenza. Alcuni interventi saranno sulle variabili
che portano alla rassegnazione e al disinvestimento nei confronti dell’apprendimento:
demotivazione, sfiducia, atteggiamenti rinunciatari, bassa autostima, senso di impotenza.
Altri interventi sulle emozioni che interferiscono sia con il processo riabilitativo che sulla qualità
della vita in generale: emozioni di ansia, rabbia e tristezza;–riduzione della sensibilità alla colpa ed
alla vergogna

L’INTERVENTO A SCUOLA prevede la costruzione di:


 Piano Didattico Personalizzato
 Strumenti compensativi
 Misure dispensative
IL PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO é Documento di programmazione obbligatorio
(nei casi di DSA) con il quale la scuola definisce gli interventi che intende mettere in atto nei
confronti degli alunni con diagnosi di DSA. E’ redatto secondo alcuni contenuti minimi
(indicati nelle Linee Guida del 2011) ed entro il primo trimestre scolastico. Va articolato per le
discipline coinvolte nel disturbo è dovrà contenere, oltre alle specifiche del DSA anche le attività
didattiche individualizzate, le attività didattiche personalizzate; gli strumenti compensativi;le
misure dispensative; e forme di verifica e valutazione personalizzato.
STRUMENTI COMPENSATIVI Gli strumenti compensative sono quegli strumenti didattici e
tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria senza
facilitare il compito dal punto di vista cognitive ad es.:
- la sintesi vocale (per trasformare un compito di lettura in un compito di ascolto); – il
registratore (per non scrivere gli appunti della lezione);
- i programmi di video scrittura (l’utilizzo del correttore ortografico, che permettono la
produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della
contestuale correzione degli errori);– la calcolatrice (per facilitare le operazioni di calcolo);
- strumenti tecnologicamente meno evoluti (ad esempio tabelle, formulari, mappe
concettuali, ecc.).
MISURE DISPENSATIVE consistono nella possibilità per lo studente di non svolgere alcune
prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano
l’apprendimento.
Alcuni esempi nei casi di un alunno con dislessia:
–  non serve far leggere un brano lungo perché l’esercizio non migliora la sua prestazione nella
lettura, per via del disturbo;
–  non deve leggere a voce alta in classe o in modo autonomo brani la cui lunghezza non sia
compatibile con il suo livello di abilità;
–  non è obbligato a svolgere quelle attività in cui la lettura è la prestazione valutata.

COME SI MANIFESTANO I DSA


I disturbi specifici di apprendimento (DSA) si distinguono in:
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- Dislessia. Compromissione della lettura, in particolare nell’accuratezza nella lettura delle
parole, nella velocità o fluenza della lettura e comprensione del testo;
- Disgrafia. Compromissione dell’espressione scritta, dell’accuratezza nello spelling e nella
grammatica e nella punteggiatura;
- Discalculia. Compromissione del calcolo:
Tali compromissioni possono manifestarsi con differenti gradi di gravita:
 lieve
 moderata
 grave
Le difficolta di apprendimento sono considerate “specifiche” in quanto non sono attribuibili a
disabilita intellettive, a ritardo globale dello sviluppo a disturbi uditivi o visivi, o a disturbi
neurologici o motori. Gli individui mostrano quindi livelli normali di funzionamento intellettivo
Per diagnosticare la presenza di disturbi specifici di apprendimento è richiesta una valutazione
approfondita e solo dopo l’inizio dell’istruzione formale. E’ possibile diagnosticare in bambini,
adolescenti o adulti un disturbo specifico dell’apprendimento solo in un momento
successivo, cioè quando viene fornita l’evidenza dell’esordio del disturbo nel periodo di
sviluppo. La diagnosi clinica dei disturbi specifici di apprendimento è basata sulla sintesi della
storia medica, evolutiva, educativa e familiare dell’individuo, delle difficoltà di apprendimento,
dell’impatto di queste difficoltà sul funzionamento scolastico, lavorativo e sociale, delle pagelle
scolastiche, delle valutazioni basate sul curriculum e sui punteggi ottenuti nei test standardizzati
sul rendimento scolastico. I sintomi clinici possono essere osservati e indagati tramite il colloquio
clinico o verificati da pagelle scolastiche, scale di valutazione o descrizioni di precedenti
valutazioni. La valutazione coinvolge professionisti con esperienza nei disturbi specifici di
apprendimento e nella valutazione psicologica/cognitiva.

DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE, DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI E


DELLA CONDOTTA

In questa categoria sono incluse tutte quelle condizioni che comportano problemi di
autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti (regolazione emotiva e comportamentale).
Le problematiche legate a questi aspetti si manifestano attraverso comportamenti che violano i
diritti degli altri (aggressione, distruzione di proprietà) e/o che mettono l’individuo in contrasto con
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norme sociali o figure che rappresentano l’autorità.
La categoria comprende diversi disturbi (APA, 2013):
- Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP)
- Disturbo della Condotta (DC)
- Disturbo esplosivo intermittente
- Disturbo antisociale di personalità
- Piromania e Cleptomania
DOP e DC possono essere descritti lungo un continuum che solitamente individua nel
primo un precursore del secondo.

DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO


Caratteristica essenziale del disturbo è un pattern frequente e persistente di umore
collerico/irritabile (l’individuo è spesso in collera o risentito), di comportamento
polemico/provocatorio e vendicativo: litiga spesso con le persone che rappresentano l’autorita
perche si rifiuta di rispettarne le richieste o perche le sfida attivamente; frequentemente, irrita
deliberatamente gli altri o li accusa del proprio comportamento scorretto). Dal momento che questi
comportamenti sono comuni tra fratelli, devono essere osservati anche nell’interazione con
persone che non siano tali. Inoltre, l’anomalia del comportamento deve essere associata a stress
nell’individuo o in chi lo circonda e avere un impatto negativo nell’area sociale, scolastica,
lavorativa o in altre importanti aree di funzionamento.
Criteri Diagnostici Secondo Il Dsm 5 (APA, 2013)
A. Un pattern dei tre, presentati di seguito, che dura da almeno 6 mesi evidenziato dalla
presenza di almeno quattro sintomi tra le seguenti categorie e manifestato durante
l’interazione con almeno un individuo diverso da un fratello.
 Umore collerico/irritabile:
va spesso in collera;
è spesso permaloso/a o facilmente contrariato/a;
è spesso adirato/a e risentito/a.
 Comportamento polemico/provocatorio
litiga spesso con figure che rappresentano l’autorità o, per i bambini e gli adolescenti, con
gli adulti;
spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste provenienti da figure che
rappresentano l’autorità o le regole;
spesso irrita deliberatamente gli altri;
spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento.
 Vendicatività
è stato dispettoso/a o vendicativo/a almeno due volte negli ultimi 6 mesi.
B.L’anomalia del comportamento è associata a disagio dell’individuo o di altri nel contesto sociale,
oppure ha un impatto negativo sul funzionamento sociale, educativo, lavorativo, ecc.
C.I comportamenti non si manifestano esclusivamente per altre cause come altri disturbi (psicotico,
depressivo o bipolare) o per uso di sostanze.
Stringaris e Goodman (in Buonanno, 2016), hanno individuato e descritto tre sottodimensioni del
DOP:
1. Irritabile: temperamento esplosivo, facilmente annoiato, arrabbiato/offeso correlatoallo
sviluppo di problemi emotivi, difficoltà con i coetanei e, in misura minore, allo sviluppo di
problemi di condotta e ad una disposizione ad agire verso gli altri in maniera fredda.
2. Ostinato: litiga con gli adulti, viola le regole, infastidisce gli altri intenzionalmente,
colpevolizza è più probabile che comporti lo sviluppo di callosità emotiva.
3. Offensivo: perfido, vendicativo Sarebbe in relazione a problemi di condotta e iperattività
PREVALENZA E COMORBILITÀ
Rappresenta uno dei disturbi diagnosticati con maggior frequenza in età evolutiva e,
abitualmente, si manifesta a partire dagli 8 anni di età. La prevalenza del disturbo varia tra l’1%
ed il 11%. Il tasso del disturbo può variare a seconda dell’età e del genere del bambino; prima
dell’adolescenza sembra essere un po’ più frequente nei maschi che nelle nelle femmine (1,4:1).
Questa predominanza maschile non è sempre riscontrata nei campioni di adolescenti o di adulti.
La comorbilità del disturbo è alta nei campioni di bambini, adolescenti e adulti con Disturbo da
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deficit di attenzione/iperattività, disturbo della condotta, disturbi d’ansia, disturbo depressivo
maggiore, disturbi da uso di sostanze.
DECORSO
Rispetto al decorso, la diagnosi di DOP è relativamente stabile, con il 67% dei bambini circa
destinato a remissione sintomatica. L’esordio precoce va incontro a prognosi più sfavorevole per
sviluppo del disturbo della condotta e, successivamente, disturbo antisociale di personalità.
In bambini ed adolescenti, il DOP ha una maggiore prevalenza nelle famiglie in cui sono comuni
pratiche educative rigide, incoerenti o negligenti (APA, 2013).

DISTURBO DELLA CONDOTTA


Il Disturbo della Condotta é una modalita di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti
fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali, in riferimento all’eta, vengono violati.
Criteri diagnostici secondo il DSM 5 (APA, 2013)
A. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti fondamentali
degli altri oppure le principali norme o regole sociali appropriate all’età (nei 12 mesi precedenti;
almeno 3 criteri dei seguenti 15; almeno 1 presente negli ultimi 6 mesi).
• Aggressione a persone e animali
 Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri.
 Spesso dà il via a colluttazioni.
 Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri.
 È stato/a fisicamente crudele con le persone.
 È stato/stata fisicamente crudele con gli animali.
 Ha rubato affrontando direttamente la vittima.
 Ha costretto qualcuno ad attività sessuali.
Distruzione della proprietà:
 Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni.
 Ha deliberatamente distrutto proprietà altrui.
Frode e Furto
 È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro.
 Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare doveri (raggira).
 Ha rubato articoli di valore, senza affrontare direttamente la vittima (furto).

Presenza di Grave violazioni di regole


- Già prima dei 13 anni di età, trascorre le notti fuori, nonostante le proibizioni dei genitori.
o Si è allontanato/a da casa almeno due volte mentre viveva nella casa dei genitori, o
una volta senza ritornare per un lungo periodo.
o Spesso, già prima dei 13 anni, marina la scuola.
 L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del
funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
 Se l’individuo ha 18 anni o più, non sono soddisfatti i criteri di disturbo antisociale di
personalità.
SPECIFICATORI (APA, 2013)
È importante specificare se le emozioni prosociali siano limitate. L’individuo dovrà aver
mostrato, in modo persistente, per almeno 12 mesi, in due diversi tipi di relazioni e ambienti
almeno due delle seguenti caratteristiche (prendere in considerazione anche la testimonianza di
altri adulti):
 Mancanza di rimorso o senso di colpao Non è pentito dopo aver ferito qualcuno o non si
preoccupa delle conseguenze delle conseguenze negative si una sua azione.
 Insensibilità, mancanza di empatiao Disprezza ed è incurante dei sentimenti degli altri;
preoccupato più per gli effetti delle sue azioni su di lui che sugli altri.
 Indifferenza per i risultatio Non mostra preoccupazione per lo scarso rendimento
scolastico.
 Affettività superficiale o anaffettività Non esprime sentimenti verso gli altri se non in
modo insincero o superficiale.
Il DSM-5 (APA 2013) ha individuato tre sottotipi del disturbo, distinti in relazione all’età di

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esordio che possono presentarsi in forma lieve, moderata o grave.
4. Infanzia: un sintomo caratteristico del DC manifestato prima dei 10 anni.
5. Adolescenza: nessun sintomo caratteristico del DC manifestato prima dei 10 anni.
6. Esordio non specificato: sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di DC ma non si riescono a
rilevare informazioni per determinare se l’esordio avviene prima o dopo i 10 anni.
Il gruppo a esordio in adolescenza tende a presentare un grado inferiore di aggressività e
violenza ed è meno probabile che sviluppi comportamenti antisociali veri e propri.
Secondo una classificazione condivisa in letteratura, è possibile suddividere il gruppo di DC a
esordio precoce, in due sottogruppi (Frick & Morris in Buonanno, 2016):
a) disregolato: mostra un funzionamento condizionato da una difficoltà di regolazione emotiva,
con la tendenza ad agire impulsivamente la rabbia senza tener conto delle conseguenze. Tali
bambini tenderanno ad agire impulsivamente e ad impegnarsi in condotte antisociali non
pianificate ed a ricorre ad aggressività reattiva in seguito ad una provocazione reale o percepita.
b) callous-unemotional: i soggetti sperimentano bassi livelli di reattività emotiva, esperienza che
interferisce con il normale sviluppo della coscienza e della socializzazione.
I tratti CU sono caratterizzati da:
 una scarsa propensione a provare colpa o rimorso;
 una sensibile riduzione delle preoccupazioni per il feeling e le emozioni degli altri;
 una tipica espressione superficiale delle proprie emozioni;
 una diminuzione delle preoccupazioni relative alle proprie performance in attività importanti
(Frick, 2009; in Buonanno, 2016).
Mostrano una serie di caratteristiche cognitive che li rendono più resistenti al
cambiamento, peggiorandone la prognosi:
 scarsa sensibilità ai segnali di punizione;
 sottostima delle probabilità di essere puniti;
 assunzione esplicita di valori antisociali;
 enfasi sull’importanza di dominanza e vendetta
FATTORI DI RISCHIO
Diversi sono i fattori di rischio, e i fattori di protezione:
– Fattori biologici: genere, funzionamento neuro-cognitivo, temperamento;
– Qualita dei legami di attaccamento e stile educativo familiare.
– Variabili ambientali: avversita familiari, status socioeconomico, stress sociali.
I Disturbi da comportamento dirompente e della condotta risultano infatti spesso associati a
svantaggio socioeconomico, contesti familiari conflittuali e ostili, familiarità per comportamento
antisociale e patologie psichiatriche.
TRATTAMENTO
Nonostante la prognosi di questi disturbi sia generalmente negativa (con frequente evoluzione
verso il Disturbo di Personalita Antisociale), per via della pervasività dei comportamenti
disfunzionali e della scarsa compliance al trattamento del nucleo familiare, un intervento
multimodale, di cui la psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale è parte integrante, può
avere una certa efficacia.
Il trattamento deve dunque prevedere interventi psicosociali sul minore, psicoterapeutici sui
genitori e di counseling per gli operatori che interagiscono con il ragazzo nei diversi contesti
(scuola, sport, sociale).
Si puo ricorrere anche all’uso di farmaci stabilizzatori del tono dell’umore, antipsicotici atipici e
serotoninergici, al fine di contenere gli aspetti di aggressività e impulsività.

TESI CHE SPIEGANO LE CONDOTTE ANTISOCIALI


A) Temperamento disinibito
-  caratterizzato da una marcata disinibizione nei comportamenti;
- tendenza a ricercare ripetutamente le novità;
- attitudine a impegnarsi in attività pericolose;
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- disposizione a mostrare uno scarso arousal autonomico in presenza di persone e
circostanze sconosciute, oltre che agli stimoli punitivi (Frick, 2014; in Buonanno, 2016).
Un temperamento simile contribuisce nel tempo a rendere il bambino insensibile alle proibizioni
e alle sanzioni, con un aumento del rischio di fallimento nell’internalizzazione di norme e regole
(Buonanno, 2016).
• Deficit di empatia
Secondo questa tesi il senso morale (ed anche il senso di colpa, quindi) si fonda sull’empatia
ovvero sulla risonanza emotiva che hanno in noi le emozioni negative dell’altro. Risultati delle
ricerche non univoci: alcuni dati dimostrano che le difficoltà nell’individuazione delle espressioni di
paura dell’altro potrebbero essere la conseguenza di una distrazione attiva dallo sguardo della
vittima ed essere, dunque, parte di una strategia tesa a inibire l’attivazione di sentimenti pro-
sociali e a mantenere un atteggiamento freddo, distaccato o aggressivo nei confronti dell’altro,
senza essere ostacolati da emozioni che potrebbero essere suscitate se l’attenzione dovesse
soffermarsi sullo sguardo della vittima (Mancini et al., 2008; Buonanno, 2013; in Buonanno, 2016).
In sintesi non è vero che non provano empatia, bensì l’empatia sarebbe neutralizzata: il
ragionamento self-oriented dei bambini e degli adolescenti aggressivi sarebbe al servizio della
realizzazione di questi scopi, mentre un ragionamento other-oriented ne ostacolerebbe la
realizzazione perché dispone il soggetto alla sperimentazione di emozioni come la colpa altruistica
e l’assunzione di atteggiamenti empatici valutati come inutili e dannosi.
• Scarsa sensibilità alle punizioni
Alla base dell’antisocialità vi sarebbe un’alterazione dell’amigdala che implicherebbe una ridotta
sensibilità alle punizioni e l’attribuzione di un minor peso all’osservanza delle regole;
Tesi non del tutto convincente ritenere che la scarsa reattività alla paura e alle conseguenze
dolorose delle proprie azioni sia una condizione sufficiente per avere scarsa sensibilità alle
punizioni. Subire una punizione è esperienza diversa dal subire un’aggressione, nella prima è
centrale l’umiliazione del punito ed il ritiro del sostegno da parte del gruppo (deer Waals 1995; in
Buonanno, 2016).
Tutto ciò suggerisce che nella punizione intervenga un elemento non riducibile al semplice danno
e che riguarda la rappresentazione della autorità come autorevole (Mancini et al., 2008).
E ancora:
Quali altre condizioni allora?
 Uno stile di parenting autoritario avrebbe in sé il rischio del ricorso alla somministrazione
di punizioni umilianti che non favorirebbe l’empatia e che renderebbe particolarmente
sgradevole, oltre che dannosa, l’esperienza della colpa. L’esposizione a uno stile di
parenting caratterizzato da elevata severità, ricorso ad alto controllo e somministrazione
di punizioni umilianti contribuisce allo sviluppo di rappresentazioni mentali dell’autorità
come, vessatoria, non legittima, non disinteressata, determinando aspettative di
sottomissione ingiusta e pertanto all’assunzione di scopi di dominanza.

LA REGOLAZIONE EMOTIVA: DEFINIZIONE


La regolazione emotive é un costrutto multidimensionale, caratterizzato da:
– consapevolezza, comprensione e accettazione delle emozioni;
– abilità nell’impegnarsi in comportamenti diretti verso l’obiettivo, in risposta ad emozioni sia
positive che negative;
– uso flessibile di strategie adeguate al contesto per modulare l’intensità e/o la durata della
risposta emotiva, anziché sopprimere completamente l’emozione;
– disponibilità a sperimentare emozioni negative (GratzeRoemer,2004).
Nessun tipo di regolazione emotiva è adattivo di per sé: la funzionalità é legata al contesto
specifico e agli scopi personali da raggiungere. Una valida modalità di regolazione emotiva
coinvolge anche processi inibitori vale a dire riuscire a sopprimere uno stato emotivo inadeguato
alle circostanze oppure adattarsi ai cambiamenti che le emozioni subiscono nel tempo
dissimulazione (paradigma della delusione).
Regolazione emotiva adattiva è caratterizzata dall’alterazione della durata (o dell’intensità)
dell'emozione piuttosto che dal cambiamento del tipo di emozione esperita.
In assenza di capacità di regolazione emotive assistiamo:

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- ad una maggiore predisposizione a provare stati affettivi indifferenziati. Le esperienze
emotive si manifestano, a volte, in maniera intensa con scoppi improvvisi di emozioni
che non si riescono a modulare ed elaborare, collegando queste esperienze a ricordi,
immagini e pensieri che mantengono e aggravano lo stato emotivo provato.
 Scarsa capacità di comunicare agli altri l’emozione che si sta provando e chiedere supporto o
conforto a chi sta vicino (Lindsay, & Ciarrochi, 2009; Taylor et al., 1997).
 Inoltre, l’incapacità di modulare le emozioni attraverso l’elaborazione cognitiva rende ragione
dell’uso di atti impulsivi o comportamenti compulsivi per fronteggiare la sensazione di
malessere sul piano emotivo (De Rick, & Vanheule, 2007; Taylor, Bagby, & Parker, 1997).
a)Ambienti familiari e disregolazione emotiva: il CONTESTO MALTRATTANTE
Bambini vissuti in contesti maltrattanti non sono in grado di autoregolarsi in modo adattivo,
esibiscono una maggiore emotività negativa e manifestano espressioni emotive inappropriate in
relazione al contesto (Shields e Cicchetti, 1998):
– inibiscono maggiormente le espressioni di emozioni negative (rabbia e tristezza) di
fronte alla madre rispetto ai coetanei non maltrattati e parallelamente adottano in misura
maggiore strategie di coping disfunzionali (strategie passive) o nessuna strategia
definita;
– si aspettano più conseguenze negative (punizioni o rimproveri) e meno supporto
materno di fronte alle loro espressioni di emozioni negative (Shipman e Zeman, 2001).
b)Ambienti familiari e disregolazione emotiva: il CONTESTO INVALIDANTE
– L’espressione dei propri stati interni (emozioni ma anche desideri, scopi e aspettative che
sono sempre accompagnati da emozioni) sia positivi che negativi non viene riconosciuta,
non viene validata e spesso viene punita o banalizzata.
– Gli adulti di riferimento adottano risposte estreme, inappropriate e imprevedibilmente
variabili. (Garcia-Lopez et al., 2014).
– Le emozioni dolorose sperimentate dal bambino/adolescente e i fattori che egli identifica come
cause del proprio stato emotivo vengono trascurati o ignorati.
– Anche le emozioni piacevoli sperimentate dal bambino/adolescente vengono invalidate
attribuendole a immaturità, iperidealizzazione, inesperienza, incapacità di
discriminazione.

L’intervento psicoterapeutico
– L’obiettivo dell’intervento è un aumento delle condotte pro-sociali e una progressiva,
contestuale riduzione dei comportamenti esternalizzanti.
– È necessario costruire le condizioni perché il bambino consideri utile, oltre che vantaggioso,
impegnarsi in questa direzione.
– Nella prima fase si rende necessaria una ristrutturazione profonda delle rappresentazioni
dell’autorità:
o disponibilità a considerare alternative ad una visione centrata sulle aspettative di essere
oggetto di vessazione;
o intervento in setting paralleli per modificare le risposte dei genitori che rappresentano vero e
proprio fattore di mantenimento, oltre che di esacerbazione delle condotte sintomatiche;
o graduale esposizione al senso di colpa, promuovendo l’uso di questa emozione per
orientarsi nella scelta delle soluzioni in situazioni di conflittualità relazionale (Buonanno,
2016).

CPOPING POWE PROGRAM


Il Coping Power Program (CPP) di Lochman è uno strumento evidence based (Lochman e Wells,
2004) sviluppato per i bambini e adattato agli adolescenti. Il programma ha, da un lato lo scopo
di intervenire sulle condotte esternalizzanti modificando le pratiche genitoriali disfunzionali
e, dall’altro, di alterare i processi di decodifica degli stimoli tipici di questa tipologia di
pazienti. Comprende
– 34 sessioni di gruppo a cadenza settimanale;
– 16 sessioni per i genitori in cui i partecipanti vengono aiutati ad aumentare la
somministrazione di rinforzi sociali e a indirizzare più frequentemente la propria attenzione
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sui comportamenti positivi del bambino, ad organizzare un sistema di regole congruo e
condiviso, ad impegnarsi in un uso appropriato ed efficace delle pratiche educative, a
mantenere il monitoraggio sul figlio e a ricorrere a strategie differenti e più efficaci di
gestione dello stress.
• Le 34 sessioni del Coping Power Program (CPP) prevedono l’intervento sulle seguenti aree:
 gestione della rabbia;
 assunzione della prospettiva dell’altro;
 ricorso a strategie adeguate di problem solving sociale;
 sviluppo di consapevolezza delle emozioni;
 ricorso a tecniche di rilassamento;
 miglioramento delle competenze sociali;
 promozione dell’individuazione di obiettivi personali;

DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’ (ADHD)

L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattivita) rientra nella categoria dei Disturbi del
Neurosviluppo, gruppo di condizioni che esordiscono nel periodo dello sviluppo e si
caratterizzano per un deficit che causa una compromissione nel funzionamento personale, sociale,
scolastico o lavorativo. I Disturbi del Neurosviluppo si presentano, molto spesso, in concomitanza.
L’ADHD è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività e
impulsività. Nella fascia della fanciullezza, l’ADHD si sovrappone spesso a disturbi quali il
Disturbo Oppositivo-Provocatorio e il Disturbo della Condotta. Spesso, inoltre, permane in età
adulta, causando compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico e lavorativo.
La prevalenza di ADHD è stimata in circa il 5% dei bambini ed il 2,5% degli adulti.
DIAGNOSI
La caratteristica fondamentale dell’ADHD è la persistente presenza di un quadro caratterizzato da
disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con lo sviluppo e il funzionamento.
La disattenzione si evidenzia, sul piano comportamentale, con divagazione dal compito, mancanza
di perseveranza, difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, disorganizzazione non imputabili ad
atteggiamenti di sfida o da mancata comprensione.
L’iperattività implica un’eccessiva attivita motoria, un dimenarsi, la sensazione che il bambino sia
“sotto pressione”, tamburellamenti, loquacità; tali comportamenti si manifestano in momenti e
situazioni in cui non sono appropriati. Nell’adulto l’iperattività puo esprimersi con un’irrequietezza
estrema o l’effetto logorante verso gli altri della propria attività.
L’impulsività si manifesta con azioni estremamente affrettate e che avvengono all’istante, spesso
con elevato rischio per l’individuo. L’impulsività può esprimere un desiderio di immediata
ricompensa, manifestandosi anche con comportamenti invadenti, come interrompere gli altri in
modo eccessivo, o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze nel
lungo termine. Le manifestazioni comportamentali devono presentarsi in piu di un contesto,
ad esempio casa, scuola, lavoro. Va, inoltre, considerato che i sintomi dell’ADHD possono
variare a seconda dello specifico contesto.
Si differenziano tre sotto-tipi del disturbo:
1. Manifestazione combinata: manifestazione più tipica in età evolutiva, caratterizzata da un
quadro combinato di sintomi di disattenzione e d’iperattività-impulsività.
2. Manifestazione con disattenzione predominante: i sintomi sono prevalentemente
rilevabili nella categoria “disattenzione” rispetto a quella “iperattività-impulsività”. I bambini
appartenenti a questo sottotipo di disturbo presentano minori problemi a livello
comportamentale e minori difficoltà nelle interazioni con i pari; cio può indurre genitori e
insegnanti a trascurare la sintomatologia. Possono stare seduti in modo tranquillo, ma la
loro attenzione non è diretta a ciò che stanno facendo o a ciò che l’insegnante spiega.

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3. Manifestazione con iperattivita-impulsivita predominanti: la maggior parte dei sintomi
si evidenzia nella categoria “iperattivita-impulsivita”. Possono essere presenti pochi sintomi
di disattenzione, che però non raggiungono una soglia di rilevanza clinica.
ESORDIO E e DECORSO dell’ADHD
L’ADHD esordisce nell’infanzia, non vi è alcuna specificazione di un’età di esordio. E’
frequentemente identificato nel corso degli anni della scuola elementare, dove anche la
disattenzione risulta maggiormente invalidante. Il quadro sintomatologico risulta piu stabile nella
prima adolescenza, in alcuni casi, pero, può presentarsi un peggioramento, con la comparsa di
comportamenti antisociali.
In età pre-scolare si evidenzia in modo preminente l’iperattivita, mentre nella fascia di eta della
scuola elementare emerge maggiormente la disattenzione. Nella fase adolescenziale si
presentano con minor frequenza i segnali di Iperattività, in prevalenza connotati solo da agitazione,
una sensazione piu interna di nervosismo, irrequietezza o impazienza. In eta adulta l’Impulsività,
unitamente alla Disattenzione ed all’Irrequietezza, può permanere su livelli problematici, pur
essendo diminuita l’Iperattività
Nelo specifico osserviamo:
-in età prescolare (3-6 anni) il gioco è di durata e intensità ridotta, c'è un'irrequietezza motoria;
-nella scuola elementare (6-12 anni) c'è una distraibilità e un comportamento impulsivo-
distruttivo;
-in adolescenza (13-17 anni) invece c'è una difficoltà di pianificazione ed organizzazione e una
disattenzione persistente

CAUSE dell’ADHD
La ricerca ha evidenziato l’importante ruolo ricoperto dai fattori genetici sullo sviluppo dell’ADHD
(Zametkin, 1989). La trasmissione genetica incide sui livelli di attivita motoria, si ipotizza, dunque,
una base ereditaria per il disturbo. E’ stato dimostrato come il peso dei fattori genetici sullo
sviluppo del disturbo sia maggiore in presenza di sintomi di maggior gravità (Biederman et
al.,1995).
Sono state riscontrate differenti caratteristiche neurobiologiche in presenza del disturbo di
ADHD che si traducono in un deficit nel comportamento inibitorio, nella regolazione emotiva, nel
mantenimento dei livelli di attenzione e nei processi di pianificazione ed esecuzione delle risposte
motorie. (Barkley, 1997).
Nell’eziologia dell’ADHD vanno inoltre considerate le variabili di natura biologica che occorrono in
epoca pre o perinatale e che possono implicare danni cerebrali o particolari difficoltà legate al
decorso della gravidanza, al parto, o che possono presentarsi nella prima infanzia.
Altro ruolo importante é quello rivestito dalle interazioni conflittuali che si instaurano tra genitori
e bambino, che influirebbero aumentando notevolmente la probabilità che il disturbo si manifesti a
pieno, in tutta la sua gravita.
Costrutti psicopatologici dell’ADHD
Il deficit neurologico individuabile nel disturbo sembra divenire base su cui si innestano gli aspetti
comportamentali che connotano l’ADHD. Sono proprio tali comportamenti che divengono
protagonisti di reazioni ed effetti a catena che investono il mondo delle relazioni del bambino e la
sua percezione di se. Accade con estrema frequenza che nelle madri di bambini con ADHD si
sviluppino comportamenti controllanti nei confronti del bambino incentrati principalmente sull’uso di
rimproveri eccessivi e incoerenti che si rivelano inefficaci. L’alternanza tra comportamenti
genitoriali improntati al controllo serrato e la rinuncia verso la gestione delle condotte del bambino
determinano un circuito di mantenimento che influisce, a sua volta, come fattore che mantiene o
diminuisce ulteriormente l’autostima del bambino. Tali comportamenti, che spesso si
accompagnano anche a quelli presenti negli altri contesti di vita del bambino, come la scuola in cui
è frequente come esito l’isolamento da parte dei coetanei, rafforzano una visione negativa di sè,
che mantiene e rafforza le condotte sintomatiche.
TRATTAMENTO
Il trattamento dell’ ADHD prevede un intervento multimodale in grado di combinare interventi di tipo
farmacologico, psico-educativo e psicoterapeutico.
Gli psicostimolanti sono ritenuti i farmaci piu efficaci per adolescenti, bambini e adulti con ADHD.

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Tra i farmaci utilizzati vi sono il metilfenidato (Ritalin), le anfetamine (Adderal), le destoanfetamine
(Dextrostat, Dexedrine) e l’atomoxetina (Strattera). I principali effetti positivi sono a carico del
mantenimento dei livelli di attenzione, dell’impulsivita e dell’iperattivita.
Affinchè vi siano miglioramenti durevoli nel tempo è fondamentale affiancare al trattamento
farmacologico un percorso combinato di strategie cognitive e comportamentali che aiutino
bambino, genitori e insegnanti a raggiungere una piena comprensione del problema e nella
gestione dei comportamenti problematici presenti. I programmi cognitivo-comportamentali di
provata efficacia per l’ADHD prevedono vari livelli d’intervento tra loro interconnessi che
coinvolgono: la famiglia, l’ambito scolastico, il trattamento individuale del bambino.
1. ADHD in famiglia: intervento con i genitori
I programmi di intervento diretti ai genitori (ADHD Parent Training) hanno lo scopo di accrescere
la consapevolezza e la conoscenza del disturbo ADHD, sviluppando capacità di gestione da parte
dei genitori e modificando i comportamenti disfunzionali messi in atto nella relazione con il
bambino. Il focus principale dell’intervento é posto sullo sviluppo di maggiori capacità riflessive
da parte dei genitori, per aiutarli ad acquisire maggior coerenza e stabilità nelle proprie strategie
educative che aiutino e supportino il bambino nell’acquisizione della capacità di autogestirsi (Vio,
Marzocchi, Offredi, 2000). Un ruolo fondamentale riveste la promozione di un miglior clima emotivo
in famiglia e di una più efficace comunicazione con il bambino, anche definendo meglio limiti e
regole da seguire.
2. ADHD a scuola: intervento con gli insegnanti
L’intervento indirizzato agli insegnanti (ADHD Teacher Training) ha lo scopo di fornire in una
prima fase informazioni necessarie a raggiungere una piena conoscenza del disturbo ADHD. Ciò
costituisce un prerequisito importante perche si possa iniziare un riconoscimento degli aspetti
positivi del bambino. Diviene centrale in tale ottica fornire agli insegnanti informazioni su una
strutturazione dell’ambiente scolastico che tenga in considerazione bisogni e caratteristiche del
bambino iperattivo, per potenziare le sue capacita attentive e gli apprendimenti. Vanno, inoltre,
fornite agli insegnanti strategie utili per gestire e modificare i comportamenti disfunzionali, oltre che
migliorare le sue relazioni con i coetanei.

SINTOMI E CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO IL DSM 5 (APA, 2013)


A. Un pattern persistente di inattenzione e/o iperattvità-impulsività che interferisce con il
funzionamento o lo sviluppo come caratterizzato dal punto 1 e/o 2:
3. inattenzione sei o più punti dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un’intensità
che contrasta con il livello di sviluppo e che ha diretto impatto negativo sulle attività sociali e
occupazionali. (A) spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di
inattenzione nei compiti a scuola, nel lavoro o in altre attività; (b) spesso ha difficoltà nel
sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco; (c) spesso sembra non ascoltare
quando gli si parla direttamente; (d) spesso non segue completamente le istruzioni e incontra
difficoltà nel terminare i compiti di scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (non dovute a
comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione); (e) spesso ha difficoltà ad
organizzare compiti o attività varie; (f) spesso evita, prova avversione o è riluttante ad
impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale sostenuto (es. compiti a casa o a scuola);
(g) spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti
assegnati, matite, libri, ecc.); (h) spesso è facilmente distratto da stimoli esterni; (i) spesso è
sbadato nelle attività quotidiane.
4. sei o più dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un’intensità che contrasta con il
livello di sviluppo e che ha diretto impatto negativo sulle attività sociali e occupazionali.
iperattività (a) spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola; (b) spesso si alza in classe
o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto; (c) spesso corre in giro o si arrampica
eccessivamente in situazioni in cui non è appropriato (in adolescenti e adulti può essere limitato ad
una sensazione soggettiva di irrequietezza); (d) spesso ha difficoltà a giocare o ad impegnarsi in
attività tranquille in modo quieto; (e) è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse “spinto
da un motorino”; (f) spesso parla eccessivamente; impulsività (g) spesso “spara” delle risposte
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prima che venga completata la domanda; (h) spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno; (i)
spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o nelle
conversazioni degli altri).
B. I sintomi di inattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti già prima dei 12 anni.
C. Diversi sintomi di attenzione o di iperattività-impulsività sono presenti in due o più contesti di vita
(es. casa, scuola, varie attività).
D. Ci deve essere una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con o riducono la qualità del
funzionamento sociale, accademico o occupazionale.
E. I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di schizofrenia o altri disordini psicotici e
non sono meglio spiegati da altri disordini mentali.
SPECIFICARE l’attuale severità:
Lieve: sono presenti pochi sintomi rispetto a quelli richiesti per fare diagnosi e i sintomi risultano di
minimo impedimento per il funzionamento sociale o occupazionale.
Moderato: i sintomi o l’impedimento funzionale sono presenti tra il «lieve» e il «severo».
Severo: sono presenti più sintomi rispetto a quelli richiesti per fare la diagnosi o diversi sintomi che
sono particolarmente severi o i sintomi risultano di grande impedimento per il funzionamento
sociale o occupazionale.
Specificare se:
Sottotipo combinato: se sono soddisfatti i criteri A1 (inattenzione) e A2
(iperattività-impulsività) nei 6 mesi precedenti;
Sottotipo prevalentemente inattento: se sono soddisfatti i criteri A1 (inattenzione) ma i criteri A2
(iperattività-impulsività) no, nei 6 mesi precedenti;
Sottotipo prevalentemente iperattivo-impulsivo: se sono soddisfatti i criteri A2 (iperattività-
impulsività) ma i criteri A1 (inattenzione) no, nei 6 mesi precedenti;

ADHD E LE TRE IMPORTANTI NOVITA’ DEL DSM-5


Il disturbo da deficit di attenzione/ iperattività è una syndrome caratterizzata da una difficoltà di
attenzione, di controllo dell’impulsività e del livelo di attività. Le tre novità presenti nella più recente
versione del DSM (DSM -5) sono:
1. nel DSM-5 l’ADHD viene classificato come un disturbo del neurosviluppo anziché che
essere compreso nei disturbi del comportamento dirompente. Non sono cambiati la lista dei
sintomi né la concettualizzazione clinica di base, però è cambiato il criterio B, quello
inerente all’età. Nel DSM-5 si chiede, infatti, che i sintomi debbano essere presenti prima
dei 12 anni e non prima dei 7. Questo cambiamento, che in molti hanno letto come un
allargamento smisurato delle possibilità di diagnosi nosografica e che è stato additato
come il prodotto delle pressioni delle casa farmaceutiche a danno dei bambini, fa in realtà
aumentare la prevalenza delle diagnosi di appena lo 0,1%.
2. Altra novità la trasformazione dei sottotipi del DSM-4 (a predominanza inattentiva,
iperattiva-impulsiva e combinata), a presentazioni cliniche, introducendo di fatto la
possibilità, non così infrequente nella pratica, che un sottotipo possa modificarsi in un altro.
3. Infine, l’ultima differenza sostanziale tra DSM-IV e DSM-5  riguarda la possibile diagnosi
in comorbidità tra ADHD e Autismo, non più considerato criterio di esclusione.

MUTISMO SELETTIVO
Il Mutismo Selettivo è un quadro clinico complesso che rientra nella categoria dei disturbi d’ansia in
età evolutiva. Il bambino affetto da mutismo selettivo si presenta come incapace nel parlare
e nel comunicare in modo efficace in contesti sociali da lui selettivamente percepiti come
minacciosi (ad esempio la scuola). Negli ambienti in cui, al contrario, sperimenta stati di
benessere e sicurezza, il bambino risulta perfettamente in grado di comunicare ed esprimersi
liberamente. E importante sottolineare che il bambino che manifesta questo tipo di difficoltà non
sta mettendo in atto un comportamento intenzionalmente oppositivo, non cerca costantemente di
attirare l’attenzione di chi lo circonda, al contrario, si sente sopraffatto da uno stato ansioso difficile
da gestire a tal punto che, come molti di loro dichiarano: “le parole proprio non vogliono uscire!”.
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Una gran percentuale di questi bambini, circa il 90% di essi, presenta in associazione al
mutismo
selettivo un quadro di fobia sociale. Essi appaiono, dunque, come estremamente timidi, timorosi
e spaventati dall’eventualità di imbattersi in interazioni sociali nelle quali prevedono l’urgenza di
dover parlare e comunicare. Si sentono esposti al giudizio, assumono un comportamento non
verbale rigido e impacciato, uno sguardo assente, inespressivo e, se si rendono conto di essere
oggetto dell’attenzione di altri, tendono a evitare il contatto oculare, a trovare qualcosa con cui
giocherellare e/o cercano di nascondersi. Danno, dunque, l’impressione di ignorare l’altro anche se
in realtà temono il confronto in un ambiente percepito come poco sicuro in cui hanno il sentore che
l’aspettativa riversata nei loro confronti sia troppo elevata rispetto alle risorse che sentono di
possedere per farvi fronte. Questi atteggiamenti possono, dunque, compromettere l’impegno
sociale
el bambino conducendolo a uno stato di isolamento.
Criteri che, secondo il DSM-5 (2014), permettono di formulare una diagnosi di Mutismo Selettivo
sono
 costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli
(per es. a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni
 la condizione interferisce con i risultati scolastici e con la comunicazione sociale
 la durata della condizione e di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola)
 l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si é a proprio agio con, il
tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale
 la condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione e non si manifesta
esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia o altri disturbi
psicotici.
MANIFESTAZIONI DEL MUTISMO
Non tutti i bambini manifestano l’ansia con le stesse modalità, vediamo, tuttavia, alcune delle
caratteristiche che più accomunano i bambini con mutismo selettivo.
Inibizione temperamentale: un aspetto che si esprime con la presenza di un’estrema timidezza
soprattutto manifestata nelle situazioni nuove in cui é richiesta una prima familiarizzazione con
l’ambiente. Spesso e associato ad ansia da separazione dalle figure di attaccamento.
Ansia sociale: forte sensazione di disagio che si manifesta con il timore di essere presentato a
persone sconosciute, di divenire oggetto di burla o critiche, di essere messo al centro dell’
attenzione
e/o si deve eseguire una prestazione.
Desiderio di interazione sociale: la maggior parte dei bambini con mutismo selettivo cela una
grande necessità di entrare in contatto con gli altri e di costruirsi delle amicizie. Al contrario dei
bambini che rientrano nella sfera autistica, possiedono adeguate competenze sociali, ma
necessitano di un maggiore supporto per attuarle.
Lamentele somatiche: i bambini con mutismo selettivo, soffrendo d’ansia, sono facilmente
soggetti
a somatizzazioni quali mal di pancia, mal di testa, nausea, dispnea, faticabilità respiratoria, ecc.
Espressività e atteggiamento: i bambini con mutismo selettivo, come precedentemente
accennato, assumono un volto inespressivo, una postura goffa, rigida e tendono a evitare il
contatto visivo quando sperimentano una forte sensazione di ansia.
Emotività: dal punto di vista emozionale il bambino con mutismo selettivo manifesta una vasta
gamma di sentimenti disfunzionali, tipici di un comune quadro d’ansia. Tra questi: preoccupazione
ccessiva, tristezza, scoramento, sfiducia nei confronti di se stesso, ecc.
Ritardo nello sviluppo: si è constatato che bambini affetti da mutismo selettivo sviluppano co
maggiore probabilità ritardi nell’area motoria, comunicativa e nella sfera della socializzazione.
Comportamento: i bambini con mutismo selettivo sono spesso inflessibili e testardi. Appaiono
estremamente volubili, con sbalzi di umore che vanno da un atteggiamento prepotente e
aggressivo a crisi di pianto e di profonda tristezza. Sul piano comportamentale, inoltre, ciò che più
li caratterizza e la tendenza al ritiro, alla chiusura e all’evitamento di tutte quelle situazioni sociali
che generano ansia. Questi bambini, inoltre, hanno un forte bisogno di controllo interno, ordine e
struttura che li rende resistenti al cambiamento.

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Difficolta comunicative e di socializzazione: per i bambini con mutismo selettivo l’incapacità di
comunicare e di stabilire relazioni adeguate può manifestarsi con svariate modalità. Alcuni di essi
sono totalmente incapaci di interloquire con chiunque si avvicini loro. Altri, invece, riescono a
comunicare solo se si rivolgono a pochi eletti. Altri ancora appaiono estremamente rilassati e
socializzano comunicando efficacemente con chi li circonda. Il nucleo del problema comunicativo è
del tutto situazionale. Uno stesso bambino, infatti, può apparire tanto chiuso, ritirato, isolato in
situazioni da lui stesso vissute come ansiogene (ad esempio a scuola), quanto chiacchierone,
socievole e pieno di iniziativa in un ambiente per lui sicuro e prevedibile (ad esempio in famiglia).
FATTORI DI RISCHIO
Da un punto di vista eziologico non é stato individuato un unico fattore in grado di spiegare lo
sviluppo del mutismo selettivo in età evolutiva. Considerando più aspetti, è stato possibile pero
identificarne alcuni che giocano un ruolo fondamentale nella sua comparsa:
 Fattori temperamentali e ambientali: nello specifico si segnala che se nella storia genitoriale
vi è la presenza di affettività negativa (nevroticismo), inibizione comportamentale, timidezza,
isolamento e ansia sociale, è maggiormente probabile che il bambino possa sviluppare tale
disturbo.
 Fattori legati al linguaggio: si è osservato che vi è una modesta percentuale di bambini che
sviluppano mutismo selettivo con lievi e/o pregressi disturbi del linguaggio (seppure quello ricettivo
risulti nel range di normalità).
 Fattori fisiologici e genetici: considerando la frequente sovrapposizione del mutismo selettivo
e i disturbi d’ansia si ipotizza che essi possano avere in comune fattori di tipo ereditario e genetico.
Valutazione e trattamento del mutismo selettivo in ottica cognitivo-comportamentale

PROCESSO DI VALUTAZIONE Il processo di nel bambino con mutismo selettivo consiste in una
preliminare raccolta della sua storia evolutiva. L’esordio del disturbo si assesta normalmente nei
primi 5 anni di vita, dunque, va ripercorso con attenzione questo periodo evolutivo cercando
informazioni riguardanti il suo temperamento e, nello specifico, identificando la comparsa degli
aspetti di: inibizione, timidezza, preoccupazione nei contesti sociali, ansia da separazione, ecc.
Può essere utile, inoltre, programmare un’osservazione sistematica e un’analisi funzionale nei vari
contesti di vita del bambino. In questo modo sarà possibile comprendere con precisione gli
antecedenti e le modalità con cui il mutismo selettivo del bambino si manifesta e si mantiene. Tale
processo permetterà allo specialista di mettere in relazione i comportamenti di interazione sociale
con tutte quelle dinamiche che sembrano provocarli.
E’ importante sottolineare come una diagnosi precoce e corretta del disturbo si associ a una
migliore risposta al trattamento e, dunque, a una buona prognosi. Il trattamento cognitivo-
comportamentale del mutismo selettivo si propone di agire in modo multidimensionale, favorendo
interventi con stimoli naturali d’interazione da applicare nel contesto familiare e scolastico:
vicinanza fisica dell’insegnante, richieste contenute da presentare al bambino, modalità di lavoro
cooperativo dove non é richiesta obbligatoriamente una comunicazione verbale, stimolazione delle
interazioni con i compagni più sensibili, ecc.
Una delle priorità è quella di far sentire il bambino compreso e accolto nonostante il suo vissuto
ansioso. Lo si inviterà gradualmente a introdursi in ambienti sociali dapprima ristretti e, dopo che
Avrà acquisito maggiore sicurezza, in contesti via via più estesi. Si introdurranno, infine,
procedure
di rinforzo positivo (premio in seguito a piccoli successi) e verbalizzazione delle proprie emozioni.
Alcuni degli obiettivi che la terapia cognitivo-comportamentale si propone di raggiungere:
 Ridurre la frequenza e l’intensità della risposta d’ansia
 Ottenere una condizione di sufficiente tranquillità nel contesto sociale problematico per il
bambino
 Fornire strategie per stabilire e mantenere relazioni interpersonali
 Stimolare l’espressione (non necessariamente in modo verbale) di pensieri, emozioni e bisogni
 Elevare l’autostima e i sentimenti di sicurezza

TRATTAMENTO

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Il Mutismo Selettivo è un disturbo complesso legato all'ansia; d'altra parte, questi bambini sono
capaci di parlare normalmente in situazioni in cui si sentono sereni e a loro agio . Al fine di ridurre
l’ansia, aumentare l'autostima e accrescere la fiducia e rendere possibile la comunicazione in
situazioni sociali, la terapia dovrà procedere attraverso tappe graduali di comunicazione . Le
aspettative di chi interagisce con il bambino genitori, insegnati, amici, rappresentano un
fattore di mantenimento del problema perché generano un aumento dell'ansia e accrescono le
difficoltà dei bambini a parlare . Pertanto il trattamento, oltre a svilupparsi sul piccolo paziente,
dovrà estendersi anche ai diversi contesti sociali in cui il bambino vive, soprattutto la scuola. È
bene che in questi contesti la comunicazione non-verbale sia accettata, solo così potrà abbassarsi
l’investimento (e la conseguente ansia che ne deriva per il bambino) sulla comunicazione verbale.
INTERVENTO CON I GENITORI
Sottolineare l’utilità del loro coinvolgimento nella terapia, ponendo l’attenzione sugli aspetti pratici
del quotidiano. È frequente che i bambini manifestino la loro tensione attraverso crisi di collera,
pianti, testardaggine e anche una leggera forma di autoritarismo. Questi atteggiamenti, se non
sono capiti, causano frustrazione nei genitori, i quali possono innervosirsi e aumentare lo stato
d'ansia del bambino, alimentando così un circolo vizioso che porta conseguenze negative per
entrambe le parti.
Altre volte, i genitori, si sentono impotenti e non capiscono perché i loro figli non parlino: la
frustrazione, la rabbia, il senso di colpa e la disperazione fanno parte di un repertorio di emozioni
che possono provare.
È necessario dunque che si modifichino gli stili utilizzati rispetto al problema del bambino,
e può esserci indicazione ad effettuare e/o terapie individuali o di coppia (Tatem e Del
Campo, 1995).

CON GLI INSEGNANTI


L’insegnante deve sapere che il bambino con Mutismo Selettivo tipico, non può passare facilmente
dal mutismo (ansia da comunicazione grave) alla parola (ansia da comunicazione notevolmente
ridotta).
La collaborazione degli insegnanti e terapeuti è necessaria cercando di costruire la Classe Ideale
(Shipon Blum, 2002); questo implica:
– diminuire l’ansia del bambino;
– rinforzare l’autostima;
– aumentare la sua fiducia e le sue capacità di comunicare.
Una modalità che risulta utile è utilizzare i genitori o un amico, in classe, come intermediari verbali.
In fase iniziale sarà opportuno che l’insegnante permetta al bambino di comunicare in modo non
verbale accettando l’uso di gesti convenzionali, oggetti presenti in classe, messaggi scritti, oggetti
familiari portati da casa in grado di accrescere il loro senso di sicurezza.

CON IL BAMBINO
Costruzione di una relazione paziente-terapeuta veicolata, inizialmente, da canali non-verbali, ciò
permette la conoscenza reciproca e l’abbassamento dei livelli di ansia nel bambino. Al bambino
devono essere date informazioni spiegando che il suo problema è generato dal disturbo d'ansia.
Deve ammettere di avere difficoltà a "far uscire le parole" e a comunicare (Salvi, 2016).
È possibile inoltre che i bambini neghino di sentirsi impauriti o di provare malessere, oppure non
siano in grado di riconoscerlo, ci vorrà perciò del tempo per insegnarli a comprendere cosa accade
e ad aiutarli ad accettare la loro difficoltà a parlare e a comunicare in maniera appropriata (Salvi,
2016).
Prevedere e concordare insieme gli obiettivi da perseguire, i contesti nei quali esporsi, le persone
con cui comunicare, ed i tempi con cui procedere protegge la terapia da comportamenti di
oppositività di fronte alle richieste di comunicazione verbale e ne facilità la produzione.
Nella fase conclusive del trattamento il terapeuta analizza insieme al bambino gli obiettivi che
erano stati identificati all'inizio della terapia e li confronta con gli obiettivi che sono stati raggiunti,
ponendo l'accento sulla positività dei risultati ottenuti. Mette in evidenza insieme al soggetto sia i
risultati che sono stati raggiunti in modo parziale o che necessitano di ulteriore lavoro da parte del
soggetto e che possono essere gestiti in modo indipendente. Il trattamento non termina in modo
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brusco da un momento all'altro, le sedute nella fase finale dovrebbero, piuttosto, essere diradate in
modo graduale fino alle sedute di follow-up.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO IN ETA' EVOLUTIVA


Il Disturbo Ossessivo Compulsivo é un quadro clinico fortemente invalidante che colpisce dal 2 al 3
% delle persone nell’arco di una vita. E’ caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e ripetitivi
(ossessioni) associati ad alti livelli d’ansia e spesso accompagnati da prolungati comportamenti
voltia neutralizzare il pensiero ossessivo e l’ansia (compulsioni). Almeno l’80% dei pazienti ha
ossessioni e compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni. Le manifestazioni
sintomatiche si associano ad un elevato grado di disagio e di limitazione nel funzionamento
sociale,lavorativo e affettivo. La persona che soffre del Disturbo Ossessivo Compulsivo riconosce
la natura patologica del proprio disagio e che le proprie ossessioni e compulsioni sono eccessive e
irragionevoli.
Ossessioni
Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini, intrusivi, ricorrenti e persistenti, accompagnati da
ansia e disagio marcati che s’inseriscono nel flusso dei pensieri in modo involontario. La persona
non riesce ad allontanarli dalla mente. Il contenuto dei pensieri ossessivi viene vissuto come
contrario alla personalità e al modo d’essere del paziente, che lo giudica estraneo e insensato,
tentando di resistervi o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni, cioe le compulsioni. Le
ossessioni del Disturbo Ossessivo Compulsivo attivano emozioni sgradevoli e molto intense. Le
emozioni provate sono paura, disgusto, colpa. Queste emozioni attivano il conseguente
bisogno di fare il possibile per rassicurarsi e gestire il proprio disagio.
Compulsioni
Si tratta di comportamenti ripetitivi, finalizzati e intenzionali, eseguiti al fine di prevenire un
qualche evento temuto o di ridurre lo stato di disagio generato dall’ossessione. Possono essere
anche dei veri e propri rituali o cerimoniali che devono essere eseguiti secondo regole rigide e
sempre con la stessa sequenza. Le compulsioni non sono necessariamente osservabili (overt)
come il lavarsi le mani, il riordinare, il controllare, ma possono anche essere azioni eseguite a
livelloesclusivamente mentale (covert), come il pregare, il contare o il ripetere parole mentalmente.
La persona si sente, in ogni caso, obbligata a metterle in atto in risposta a un’ossessione.
Classificazione
I temi piu frequenti delle ossessioni riguardano lo sporco, i germi e/o le sostanze disgustose; le
persone con il Disturbo Ossessivo Compulsivo possono temere di procurare inavvertitamente
danni a se o ad altri, di poter perdere il controllo, di diventare impulsivi, aggressivi, perversi ecc..
Possono avere dubbi persistenti rispetto al proprio orientamento sessuale, rispetto alle decisioni da
prendere, ecc. Inoltre altri temi frequenti delle ossessioni sono l’ordine e la simmetria, la religione e
possono assumere anche una “veste” magico-scaramantica.
Le compulsioni riguardano principalmente: controllo, lavaggio e pulizia, iterazione di parole o frasi,
iterazione di movimenti specifici, ordine e simmetria.
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo si manifesta piu frequentemente con compulsioni di lavaggio, di
pulizia o di controllo. Tuttavia nel complesso si distinguono 4 sottotipi di Disturbo Ossessivo
Compulsivo a seconda del tipo di ossessione:

- ossessioni di contaminazione, associate a rituali di pulizia e di evitamento. Le


compulsionidi lavaggio e pulizia sono solitamente legate alla paura di un contagio con
germi portatori di malattie o alla contaminazione con escrementi umani, sostanze
pericolose o altro. Il timore di tali persone e che, venendo in contatto con queste sostanze,
possano ammalarsi gravemente, morire ocontagiare qualcun altro.
- Le ossessioni appresentate dal dubbio di aver fatto o non fatto qualcosa che causi un
grave danno alla propria reputazione, e i rituali sono di controllo e di evitamento. Le
compulsioni di questo tipo generalmente riguardano comportamenti preventivi quali il
controllo di elettrodomestici (ad esempio, cucina a gas, macchina da caffe elettrica, ferro da
stiro) per il timore che possano provocare danni all’abitazione; oppure di porte e finestre
dell’abitazione, che devono essere ben chiuse per evitare furti. Oppure possono essere
100
rappresentate dall’impulso a verificare di non aver causato un danno (ad esempio, mentre
si e in auto tornare indietro, o controllare costantemente allo specchietto retrovisore, per
verificare di non avere investito qualcuno senza accorgersene). A volte i rituali di controllo
avvengono esclusivamente a livello cognitivo (ad esempio, ripercorrere mentalmente la
sequenza di un’azione, come l’aver guidato per un tratto di strada, per rassicurarsi di non
aver causato incidenti).
- Ordering. Le compulsioni “di ordine” sono espressione dell’impulso a organizzare
simmetricamente oggetti personali, vestiti o arredamento.Spesso si tratta di pure coazioni
all’azione; gli individui affetti non sanno, infatti, riferire le paure o le conseguenze ad esse
connesse, tranne la sensazione disagevole e ansiogena che qualcosa non sia al posto
giusto.
- Compulsioni di ripetizione e conteggio. Possono riferirsi a una qualsiasi azione, oggetto o
rappresentazione mentale (contare le mattonelle, i semafori rossi, pensare a serie di
numeri o schemi). Spesso si accompagnano a una forma di pensiero magico (ad
esempio, il timore che se non si mette in atto la compulsione, possa accadere una
disgrazia a una persona cara).
ESORDIO E DECORSO
L’esordio del Disturbo Ossessivo Compulsivo solitamente è graduale, nel 70% dei casi prima dei
30 anni. In eta evolutiva, l’esordio si ha tra i 9 e 11 anni. Il decorso é cronico, con peggioramento
della sintomatologia in seguito a eventi stressanti , il tasso di remissione spontanea é minimo.
Circa il 15% dei casi presenta un progressivo deterioramento socio-lavorativo, il 5% ha un decorso
episodico e circa il 60-80% migliora in seguito a un trattamento efficace. Il tipo di comportamenti
compulsivi puo cambiare col tempo.

CAUSE
Secondo la teoria biochimica la sintomatologia del Disturbo Ossessivo Compulsivo e correlata
conuna disregolazione di alcuni sistemi di neurotrasmettitori, in particolare del sistema
serotoninergico (e in parte anche del sistema dopaminergico), che causerebbe una diminuzione
della serotonina in specifiche aree cerebrali. Questa ipotesi é avvalorata dal fatto che i sintomi
ossessivo compulsivi migliorano con la somministrazione di farmaci SSRI (Inibitori Selettivi della
Ricaptazione della Serotonina).
In generale, le persone che hanno parenti con Disturbo Ossessivo Compulsivo sono soggette ad
un rischio maggiore di sviluppare la malattia, anche se la maggior parte delle persone con la
malattia non hanno una storia familiare simile.
Il clima familiare é di solito caratterizzato da un blocco delle espressioni emotive e da distacco; in
queste famiglie si predilige il piano logico, formale e verbale. Inoltre di solito e presente
un’attenzione focalizzata alle regole formali, un’accentuazione del senso di responsabilità, un
incoraggiamento allo sforzo, all’impegno e alla pulizia. In queste famiglie generalmente le relazioni
sociali sono scarse e quelle esistenti sono vissute in modo molto formale.
Credenze cognitive specifiche del Disturbo Ossessivo-Compulsivo
La psicopatologia nucleare del Disturbo Ossessivo Compulsivo è costituita da alcune
credenze specifiche che sottendono la sintomatologia ossessivo compulsiva giustificando
l’attuazione dei rituali, la loro necessità e la loro utilità. Le principali fra tali CREDENZE sono le
seguenti:
- Credenze sul bisogno di controllo del pensiero.I pazienti ossessivi hanno la credenza di
dover avere un controllo assoluto sui propri pensieri, in quanto la perdita di quest’ultimo
potrebbe essere alquanto pericolosa: “Potrei diventare pazzo”,“Potrei fare cose folli”.
- Credenze relative alla sopravvalutazione della minaccia. Il modello di Lorenzini e
Sassaroli (2000) rende comprensibile le credenze sul rischio catastrofico temuto dal
paziente qualora avvenisse un determinate evento poiche, la posta in palio non é tanto il
verificarsi in sé di quell’evento, ma l’averne la responsabilita e la colpa, che comporteranno
una condizione d’indegnita assoluta.
- Intolleranza dell’ambiguita e dell’incertezza. Poiché il paziente ossessivo compulsivo
vuole avere l’assoluta certezza di non essere colpevole, ovvero responsabile, cerca
d’individuare tutte le fonti di pericolo e di controllarle. Purtroppo, pero, questo bisogno di

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certezza ha come conseguenza quella di aumentare l’insicurezza del paziente, in quanto la
rassicurazione perfetta, esaustiva e certa non e possibile. I dati a disposizione del paziente
saranno sempre insufficienti, non gli sara mai possibile escludere completamente l’evento
temuto.
- Perfezionismo. Per l’ossessivo tutto viene valutato in termini di giusto e sbagliato. In
queste persone e presente la convinzione che chi sbaglia non sia degno di valore e si e
degni soltanto se si é perfetti, moralmente irreprensibili. Il perfezionismo dell’ossessivo e
finalizzato alla ricerca della certezza assoluta, nell’impossibilita di tollerare un proprio errore
o responsabilita.. Questo aspetto rende problematico il funzionamento degli ossessivi
anche in un’area come quella del prendere decisioni e del fare delle scelte. Un ossessivo
non considera l’elemento emozionale nelle scelte, non usa il proprio desiderio Credenze
sulla responsabilità.
*Salkovskis (1985) sottolinea l’importanza del IL TEMA DELLARESPONSABILITA’PERSONALE
per il paziente ossessivo compulsivo, quale elemento fondamentale nell’attivazione del processo
ossessivo: il dubbio ossessivo non si attiva se per il soggetto non vi e un nesso causale tra cio che
egli ha fatto, o non ha fatto, e l’evento che teme. Solo se il paziente pone in relazione l’evento
dannoso con una propria responsabilita, questo diventa critico per l’innesco del dubbio ossessivo.
L’ossessivo ha un senso ipertrofico di responsabilita, legato sia alle azioni che alle
omissioni.
TRATTAMENTO
Le linee guida internazionali indicano nella terapia farmacologica e nella terapia cognitivo
comportamental i trattamenti dimostrati al momento piu efficaci e, in particolare, nella procedura
di esposizione con prevenzione della risposta (ERP) il trattamento psicoterapico d’elezione per
il Disturbo Ossessivo Compulsivo. La maggior parte degli studi mostra che, in media, circa il 70%
dei,pazienti affetti da Disturbo Ossessivo Compulsivo trae beneficio dagli psicofarmaci o dalla
terapia cognitivo-comportamentale.

CRITERI DIAGNOSTICI NEL DSM-5


Nel DSM 5 relativamente al disturbo Ossessivo-Compulsivo viene ribadita la presenza di due
caratteristiche principali:
 la prima è la frequenza, la ripetitività e la persistenza dell’attività ossessiva;
 La seconda è la sensazione che tale attività sia imposta e compulsiva
RISPETTO AL DSM -4
- Nei criteri diagnostici di tipo A) “impulso” é sostituito con “spinta” o “urgenza”) in modo da
distinguere meglio il DOC dai disturbi del controllo degli impulsi e il termine "inappropriato"
è stato cambiato in “non- voluto”, al fine di garantire una maggiore adattabilità al contesto
culturale di appartenenza.
- Tra i criteri di tipo B), invece, è stato eliminato il criterio in cui si richiede la necessità che
il paziente abbia un insight sul proprio disturbo.
- Uno dei sottotipi del DOC, l'hoarding (accumulatore) è classificato separatamente
rispetto al DOC, ma pur sempre nei disturbi ad esso correlati, se il comportamento di
accumulo non è frutto di ossessioni.
CRITERI DIAGNOSTICI
A. Presenza di ossessioni, compulsioni, o entrambi: Ossessioni sono definiti da (1) e (2):
 Pensieri ricorrenti e persistenti o immagini che vengono vissuti, nel corso del disturbo, come
intrusivi e indesiderati e che nella maggior parte degli individui causano ansia o disagio
marcati.
 L’individuo tenta di ignorare o sopprimere tali pensieri o immagini, tenta di neutralizzarli con
altri pensieri o azioni (es. eseguendo una compulsione).
Compulsioni sono definite da (1) e (2):
1. Comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (pregare,
contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata ad eseguire in risposta ad
un'ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente.
2. I comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre l'ansia o disagio, o a
prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; tuttavia, questi comportamenti o azioni mentali non sono
102
collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o prevenire, oppure sono
chiaramente eccessivi.
B.Le ossessioni o le compulsioni implicano un dispendio di tempo (es. più di 1 ora al giorno) o
causare disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo
o di altre aree importanti.
C. I sintomi ossessivo-compulsivi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o di
un'altra condizione medica.
D. Il disturbo non è meglio spiegato con i sintomi di un altro disturbo mentale.
Preoccupazioni eccessive nel Disturbo d'Ansia Generalizzato
Preoccupazioni per l'apparenza nel Disturbo dismorfico del corpo
Difficoltà ad eliminare o separarsi da oggetti nel Disturbo da accumulo
Tirarsi i capelli nella Tricotillomania
Disturbo Skin-picking, stereotipie nel Disturbo del Movimento Stereotipato
Comportamento alimentare ritualizzato nei Disturbi del Comportamento Alimentare

Preoccupazione per sostanze o gioco d'azzardo nei Disturbi correlati all'uso di sostanze e
dipendenza
Preoccupazione di avere una malattia come nel Disturbo d'Ansia Malattia
Impulsi sessuali o fantasie nei Disturbi Parafiliaci
Impulsività nel Disturbo dirompente, del controllo degli impulsi e Disturbi della condotta
Ruminazioni di colpa nel Disturbo depressivo maggiore
Preoccupazioni deliranti nel Disturbo dello spettro schizofrenico e altri Disturbi psicotici
Schemi ripetitivi di comportamento nel Disturbo dello spettro autistico

Specificare se:
 Con buono o sufficiente insight: l'individuo riconosce che le credenze sono sicuramente o
probabilmente non vere o non possono essere vere;
 Con scarso insight: l'individuo pensa che le credenze siano probabilmente vere;
 Con assente insight/credenze deliranti: l'individuo è del tutto convinto che le credenze siano
vere.
Specificare se: Correlato a Tic: l'individuo ha una storia attuale o passata di un Disturbo da Tic.

OSSESSIONI Le ossessioni possono essere distinte in:


- Ossessioni reattive: hanno la forma del dubbio e della preoccupazione e si riferiscono ad
un evento, ad es. “e se lasciando i libri in disordine sulla scrivania l’interrogazione dovesse
andar male?”, possono essere attivate da eventi, sensazioni o altri pensieri.
- Ossessioni endogene: sono pensieri, immagini e impressioni di impulsi che si introducono
nella mente del paziente e sono per lui inaccettabili, ad esempio un bambino potrebbe
avere una immagine di sé in atteggiamenti intimi con la propria madre. Possono apparire
spontaneamente o attivate da eventi.
Caratteristiche dei Pensieri ossessivi: l’intrusività
Il più delle volte, i pensieri ossessivi sono anche intrusivi. Pensieri intrusivi simili a quelli
ossessivi sono presenti nella mente di tutti, la differenza è che i «non ossessivi» non ci si
soffermano, non li reputano problematici e comunque li tollerano senza dargli gran peso. I
tentativi dei pazienti ossessivi di risolvere il problema posto dai pensieri ossessivi aumentano la
frequenza delle intrusioni stesse, per il fatto che gli si da importanza, si cerca di sopprimerli e si sta
in guardia verso di essi (vedi esempi da Abr). RUMINAZIONILe ruminazioni sono tentativi di
soluzione del problema posto dall’idea ossessiva. Pertanto tra ruminazioni e idee ossessive vi
è lo stesso rapporto funzionale che c’è tra idee ossessive e compulsioni.

103
COMPULSIONI
Compulsioni nel DOC: comportamenti o atti mentali motivati e intenzionali, diversi dai
comportamenti ripetitivo, meccanico e “robotici” che si osservano ad es. in malattie neurologiche
come la demenza fronto-temporale.Le compulsioni nel DOC sono finalizzate a prevenire o
neutralizzare una possibilità negativa o a ridurre il distress, mentre nei disturbi del controllo degli
impulsi (shopping compulsivo) sono messi in atto perché producono piacere o gratificazione.
Caratteristiche
Le compulsioni possono essere sia comportamenti sia atti mentali. Sono
Persistenti e ripetitive;
Spesso ritualizzate;
Sono intenzionali ma il paziente si sente costretto a metterle in atto, cioè appunto compulsive;
Spesso sono criticate dal paziente.
*Altri tentativi di soluzione
I tentativi di soluzione non necessariamente hanno tutte le caratteristiche delle compulsioni, ad
esempio possono non essere ripetuti in modo stereotipo o in accordo con regole rigide, come le
compulsioni:
 Evitamenti
 Distrazione
 Soppressione dei pensieri
 Richieste di rassicurazioni
 Neutralizzazioni varie
RUMINAZIONI di Ragionamento o di Immaginazione. Hanno lo scopo di
- controllare ciò che si è fatto o che è accaduto (“ho detto qualcosa di offensivo?”);
- controllare ciò che si potrebbe essere disposti a fare (ad esempio immaginare di uccidere il
proprio padre per chiarire il sospetto, suggerito dalle immagini aggressive che intrudono
nella mente, di avere intenzioni parricide).

LE CONSEGUENZE DEL DOC SULLA VITA DEI PAZIENTI


In età evolutiva il DOC ha una notevole ripercussione sulla qualità della vita dei giovani soggetti
(Freeman et al. 2007; Lack et al., 2009) vengono compromesse diverse aree del funzionamento
individuale:
– soprattutto riguardanti il rendimento scolastico, in particolare la concentrazione e la capacità di
sostenere prove e compiti (Piacentini et al., 2003);
– sia la qualità delle relazioni sociali e di quelle familiari (Koran, 2000; Moritz, 2008) a causa della
presenza delle attività compulsive.
I genitori spesso sono chiamati a facilitare o a partecipare, in prima persona, ai rituali, a fornire
rassicurazioni, come anche a svolgere mansioni al posto del paziente e ad intervenire su attività e
abitudini con modifiche e cambiamenti radicali Accomodation.
E’ presente un notevole senso di solitudine di fronte alla malattia. l'esperienza del DOC è molto
"privata”: difficoltà di parlarne con chiunque, anche con i familiari e le persone più vicine, per il
timore di essere considerato “pazzo”, rafforzato dalla sensazione di stranezza e bizzarria che
accompagna la condotta sintomatica, nei confronti della quale il giovane paziente, in molte
circostanze, sembra essere critico.
Un forte senso di impotenza e di rassegnazione per la percezione di avere sempre meno
strumenti per poterla fronteggiare.
Scarsa consapevolezza su cosa sta succedendo.
Chiusura e assenza di confront.Qual è il senso delle compulsioni?
 Osservando le azioni messe in atto da un paziente affetto da DOC possiamo provare a
descrivere i criteri di inizio e di fine del comportamento.
 Secondo l’approccio cognitivista, la mente è descritta come un sistema di scopi e conoscenze
che regolano (Castelfranchi, Mancini & Miceli, 2002): reazioni emotive, attività mentale e
condotta.
 I sintomi psicopatologici, anche quando appaiono bizzarri e irragionevoli, come per esempio
nel caso di ossessioni e compulsioni, possono essere considerati espressione di attività
finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, insito nella mente del paziente, alla stregua di
qualsiasi altra attività.
104
Ci sono ossessioni senza compulsioni e viceversa?
Le eccezioni possono essere spiegate:
-  le compulsioni possono essere automatizzate quindi senza necessità che siano
sistematicamente precedute da ossessioni e perciò possono apparire non finalizzate;
-  i pazienti possono non riferire il fine delle compulsioni per vergogna o per difficoltà
introspettive;
-  i pazienti possono ricorrere a tentativi di soluzione diversi dalle compulsioni ad
esempio agli evitamenti e alle ruminazioni.

PROFILO INTERNO DEL DOC Gli scopi che il paziente con DOC vuole perseguire attraverso
l’attività compulsiva sono sostanzialmente due (e possono essere perseguiti anche
contemporaneamente):

- prevenire o neutralizzare una colpa;


- prevenire o neutralizzare una contaminazione.

La possibilità di avere una colpa, in particolare deontologica, appare ai pazienti ossessivi, non
come un evento molto spiacevole e doloroso, come appare ai più ma come una catastrofe, vale a
dire come qualcosa di insopportabile. Difficoltà a rappresentarsi come possibile e legittima
l'esperienza del Perdono di Sé. Relativamente alle cause di questo nucleo psicologicho, alcune
ricerche hanno evidenziato che i pazienti con DOC sono sensibili in modo specifico alle critiche
severe e assolute (Ehntholt, Rimes e Salkovskis, 1999). La critica riveste l'intera totalità della
persona e non viene contemplata la possibilità di una semplice punizione circoscritta
all'evento.

Sono state , infatti, individuate come fattori di vulnerabilita nel bambino, l’esperienze precoci
di dure critiche subite nell'ambiente familiar che hanno sensibilizzato alla ricerca del
perfezionismo; all’aumento del senso di responsabilità.

Altro fattore di rischio l’utilizzo della relazione come disciplina: in questo caso il genitore non
punisce dando una pena ragionevole ma usa la comunicazione emotiva: si mostra offeso,deluso;
affettivamente distaccato dal bambino che ha commesso qualcosa di sbagliato.

DISTURBI DEL SONNO-VEGLIA: L'INSONNIA IN ETA' EVOLUTIVA


Quando si parla di disturbi del sonno si fa riferimento a un gruppo di disturbi che possono incidere
non solo sulla quantita di tempo che riusciamo a dedicare al sonno, ma anche sulla qualita di
quest’ultimo, tenendo in considerazione anche la compromissione delle attività diurne conseguente
a un alterato e non soddisfacente ritmo sonno-veglia.Il DSM-5 distingue in:
–  Disturbo da insonnia
–  Disturbo da ipersonnolenza
–  Narcolessia
–  Disturbi del sonno correlati alla respirazione
–  Disturbi circadiani del ritmo sonno-veglia
–  Disturbi dell’arousal del sonno non-REM
–  Disturbo da incubi
–  Disturbo comportamentale del sonno REM
 Sindrome delle gambe senza riposo
–  Disturbo del sonno indotto da sostanze/farmaci

I SINTOMI DELL’INSONNIA
Il disturbo del sonno piu diffuso é il disturbo da insonnia. I sintomi dell’insonnia sono:
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 Difficoltà ad addormentarsi ed iniziare il sonno
 Difficolta a mantenere il sonno che é disturbato da frequenti risvegli e/o difficolta a
riaddormentarsi
 Risveglio precoce al mattino con conseguente difficoltà a riaddormentarsi
 L’alterazione del sonno e fonte di disagio significativo tanto da compromettere le normali
abitudini di vita e si verifica almeno tre volte a settimana per un periodo di almeno tre mesi
e non e attribuibile agli effetti di una sostanza.
Oltre ai sintomi dell’insonnia ascrivibili principalmente alle ore notturne, non vanno dimenticati i
disagi che si possono provare durante il giorno tra cui:
 preoccupazioni relative al sonno
 maggiore affaticabilità
 senso generale di malessere spesso associato ad un tono dell’umore alterato e una maggiore
irritabilità
 diminuzione della capacità di concentrazione con un possibile peggioramento nel
rendimento sociale e lavorativo
 sintomi fisici, quali mal di testa, fomicolii, stati tensivi, sintomi gastrointestinali
Il disturbo da insonnia puo verificarsi in ogni momento della vita, anche se solitamente il primo
episodio si verifica piu comunemente tra i giovani adulti. Puo iniziare talvolta nell’infanzia e nella
prima adolescenza, ma accade assai piu raramente ed e per lo piu legata a fattori di
condizionamento per i bambini (es: mancanza di orari costanti, oppure se il bambino non ha mai
imparato ad addormentarsi/riaddormentarsi in assenza di un genitore) e a orari irregolari del sonno
negli adolescenti. Per quanto riguarda il sesso femminile talvolta l’insorgenza dell’insonnia puo
coincidere con il periodo della menopausa. Per ultimo, relativamente all’insorgenza del disturbo da
insonnia in tarda età questo spesso e associato ad altre condizioni mediche e di salute per lo piu
legate ai normali cambiamenti correlati all’età.
L’insonnia puo essere situazionale, persistente o ricorrente.
L’insonnia situazionale dura da pochi giorni a poche settimane ed e per lo piu legata a eventi di
vita stressanti, ma anche a cambiamenti repentini delle abitudini e/o dell’ambiente. Solitamente in
questi casi una volta scomparso o risoltosi il fattore precipitante, anche l’insonnia svanisce.
Tuttavia puo capitare che, nonostante non vi siano piu le condizioni precipitanti iniziali, il disturbo
persista; in molti di questi casi la tipologia del sonno puo variare da notte a notte passando da
molte notti in cui la qualita del sonno e la quantita di ore dormite sono scarse, a una o due notti di
sonno riposante.
Resta comunque il fatto che la percezione soggettiva sia spesso quella di un riposo non
soddisfacente, cui spesso si associano credenze disfunzionali relative al sonno che
facilitano il reiterarsi del disturbo. Tali preoccupazioni, se persistenti, possono trasformarsi in
rimuginio e si cercano perciò delle soluzioni fai date a questo problema che pero nella maggior
parte dei casi non sono d’aiuto. Oltre alle preoccupazioni relative alla propria insonnia che attivano
e alimentano l’ansia facilitando la creazione di un circolo vizioso che altro non fa che continuare
ad alimentare il disturbo, ci sono anche dei comportamenti ascrivibili a un quadro di scarsa igiene
del sonno e che incidono sulla qualita del riposo (es. sonnellini nel tardo pomeriggio e subito dopo
cena, lavorare subito prima di coricarsi, frequenti e ripetuti cambi di luogo e di orari etc).

COSTRUTTI PSICOPATOLOGICI
I fattori specifici che contribuiscono a mantenere l’insonnia sono molteplici e spesso interagenti tra
loro: meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali (e.g., Morin & Espie, 2004). Si crea una
sorta di circolo vizioso: le preoccupazioni e ruminazioni legate al non riuscire a dormire e agli
effetti di una notte insonne sulle attività del giorno dopo provocano un’attivazione del sistema
nervoso che rende a sua volta difficile il sonno. Anche le credenze irrealistiche sul sonno e sul
bisogno di sonno, che tendono ad aumentare le preoccupazioni sull’insonnia e ad alimentare
l’attivazione e l’ansia, producono poi un circolo vizioso che mantiene il disturbo del sonno.
In particolare, secondo il modello cognitivo dell’insonnia proposto da Harvey (Harvey, 2002; 2005;
Espie et al. 2006), l’insonnia sarebbe sostenuta da una “cascata” di processi cognitivi presenti sia
di notte sia di giorno:
- Gli individui con insonnia soffrono di pensieri intrusivi spiacevoli ed eccessiva paura
durante il periodo di pre- addormentamento.
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- Paure ed eccessive ruminazioni scatenano arousal fisiologico/emotivo e stress (stato
ansioso).
- Lo stato ansioso determina un restringimento del focus attentivo che porta a
sovramonitorare stimoli interni (sensazioni fisiche) o esterni (stimoli ambinetali) che
minacciano il sonno. Quindi le chances di percepire stimoli che minacciano il sonno
aumentano.
- Gli individui sovrastimano l’entità del disturbo del sonno (di notte) e del deficit di
performance (di giorno). I processi di sovra attenzione e sovra stima del disturbo del sonno
incrementano lo stato di paura iniziale.
- Credenze erronee sul sonno e comportamenti di compenso contribuiscono ai processi di
mantenimento dell’insonnia.
L’automaticita del ciclo sonno-veglia puo inoltre essere inibita da tre fattori cognitivi:
 Attenzione selettiva verso il sonno
 Intenzione di dormire (a tutti i costi)
 Sforzo per dormire
Inoltre, spesso i tentativi di soluzione e i rimedi per l’insonnia che le persone insonni mettono
spontaneamente in atto per contrastare il disturbo sono controproducenti, alimentando l’insonnia: i
sonnellini pomeridiani o l’anticipare l’ora di addormentamento sono tentativi di soluzione che pero
non fanno altro che peggiorare il problema. Infine, anche le abitudini di vita come l’orario in cui ci
si mette a letto, il consumo di alcolici, caffeina, l’alimentazione e l’attivita fisica possono alterare il
sonno provocando insonnia.

TRATTAMENTO DELL’INSONNIA
Negli ultimi anni diversi studi hanno mostrato come in alcuni casi sia difficile diagnosticare se
l’insonnia sia un disturbo primario o conseguente a un altro disturbo, soprattutto nei casi di disturbi
d’ansia e dell’umore (es. depressione). In entrambi i casi il suo trattamento ha effetti benefici sia
sul sonno che sulla patologia copresente.
La cura dell’insonnia oggi prevede sia l’uso di farmaci (Ipnoinducenti, generalmente
benzodiazepine) sia trattamenti non-farmacologici. Mentre i farmaci per l’insonnia possono essere
piu indicati per la cura dell’insonnia occasionale o situazionale, i trattamenti non-farmacologici
sono la terapia di scelta per l’insonnia cronica.
La terapia maggiormente accreditata é il Trattamento Cognitivo-Comportamentale
dell’insonnia (CBTi – Cognitive-Behaviour Therapy for insomnia): un intervento psicologico,
individuale o di gruppo, basato su tecniche che hanno mostrato una significativa efficacia per la
cura dell’insonnia. Negli ultimi anni diverse ricerche hanno dimostrato che anche la Mindfulness, in
particolare il programma Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR), puo essere efficace nel
trattamento dell’insonnia se integrata alla CBTI
La CBTI per l’insonnia è un intervento basato sia sui modelli psicofisiologici di regolazione del
sonno sia sui modelli eziologici dell’insonnia e agisce sui fattori (comportamentali, fisiologici e
cognitivi) di mantenimento del disturbo.
La CBT-i prevede le seguenti tipologie di interventi:
A) COMPORTAMENTALI
- Tecnica del Controllo degli Stimoli (Bootzin, 1972, Bootzin et al., 1991) In base ai
principi dell’apprendimento associativo, gli stimoli ambientali, temporali e mentali relativi
all’addormentamento sono “segnali” non di sonno, ma di veglia. La strategia terapeutica
consiste nell’estinguere le associazioni disfunzionali e nell’instaurare associazioni che
favoriscano il sonno. Al fine di riassociare il letto al dormire, vengono introdotte alcune
regole come: andare a dormire solo quando si ha sonno, alzarsi quando si è insonni (get-
out of bed), sviluppare rituali preletto da associare al sonno.
- Tecnica della Restrizione del Sonno (Glovinsky e Spielman,1991, Spielman, Saskin,
Thorpy 1987). Si basa su una rilevazione del tempo di sonno prolungata per almeno una
settimana (mediante diari del sonno) e su una successiva riduzione del tempo trascorso a
letto (TIB) alla quantità solitamente dormita ininterrottamente (ma non meno di 4 ore).
Successivamente il TIB viene aumentato fino a ottimizzare il rapporto fra TIB e tempo di
sonno. L’obiettivo della tecnica e quello di incrementare la spinta omeostatica al sonno
riducendo le ore da trascorrere a letto e quindi l’accumulo di sonno. La restrizione di sonno
107
agisce migliorando la qualità e la continuità del sonno, riducendo il sonno superficiale e il
tempo di addormentamento.
B) COGNITIVI
- Terapia Cognitiva (Morin, 1993) L’obiettivo della Terapia Cognitiva è quello di modificare
le convinzioni e le aspettative sul sonno che alimentano il disturbo da insonnia
(ristrutturazione cognitiva). In particolare, alcune valutazioni spesso catastrofiche che le
persone insonni fanno di una determinata situazione producono risposte emotive negative
(come ansia, tristezza, rabbia) che a loro volta impediscono il sonno e creano un circolo
vizioso che mantiene e alimenta l’insonnia.
- Tecnica del Controllo Cognitivo (Morin, Espie, 2004) Il razionale di questa tecnica é lo
stesso di quella del Controllo degli Stimoli, ma riguarda i pensieri e le preoccupazioni: si
cerca di rompere l’associazione tra la camera da letto/il sonno e i pensieri caratterizzati da
preoccupazioni o rimuginii, cercando di associare lo spazio e il tempo dedicati al sonno a
pensieri rilassanti e piacevoli che favoriscono l’addormentamento.
- Tecnica dell’Intenzione Paradossale (Espie, 1985) Il sonno é un processo automatico e
involontario quindi nel momento in cui si cerca di porre un controllo su di esso, viene
automaticamente inibito. Gli insonni fanno infatti molti sforzi nel tentativo di dormire e
pertanto inibiscono il sonno. La tecnica si propone, in modo paradossale appunto, di
promuovere obiettivi legati alla veglia e non al sonno.
C) PSICOEDUCAZIONE AL SONNO E ALL’INSONNIA La durata del sonno può variare
da persona a persona. Ricerche sperimentali indicano che l’essere umano necessita
mediamente di 6 ore di sonno. Il bisogno di sonno varia inoltre con l’eta, tendendo a
diminuire. Considerato che le preoccupazioni derivanti dalle credenze sulle conseguenze
di una notte insonne possono peggiorare il disturbo del sonno, e utile sapere che le
ricerche finora condotte non hanno riscontrato evidenti cali prestazionali cognitivi
(attenzione e memoria) in seguito anche a sole 3/4 ore di sonno. Molte persone che
soffrono di insonnia ritengono che dovrebbero addormentarsi subito e non svegliarsi mai
durante la notte e sono in ansia se questo non accade. In realtà, chi dorme bene
generalmente impiega circa mezzora per prendere sonno, svegliandosi piu volte durante
la notte. Inoltre è stato osservato in diverse ricerche che le persone con disturbo del
sonno tendono a sottostimare il loro sonno e a sovrastimare il tempo di
addormentamento e i risvegli notturni. Da queste credenze errate spesso deriva una
valutazione del proprio sonno piu grave di quella che e in realta, facendo
aumentare le preoccupazioni della persona insonne.
D) IGIENE DEL SONNO (e.g. Hauri, 1991) Consiste nella modificazione di abitudini e di
comportamenti in base a principi e regole razionali rispetto alla fisiologia del ciclo sonno
veglia:
- Abolire i sonnellini diurni e regolarizzare gli orari di sonno.
- Estinguere i comportamenti disadattavi: non assumere sostanze stimolanti
(nicotina, caffeina o zuccheri) o deprimenti il sistema nervoso (alcol) prima di
andare a letto.
- Adottare comportamenti compatibili con il sonno (p.e. fare attivita fisica regolare)
e introdurre miglioramenti nell’ambiente di sonno.
INTERVENTO SUI I GENITORI
•Trattamento cognitivo comportamentale, con coinvolgimento dei genitori e ridurre il loro
coinvolgimento attivo durante la notte.
• Utilizzo di strategie comportamentali (rinforzi, estinzione ecc)
• Strategie cognitive ( ristrutturazione cognitiva)
• Tecniche di estinzione. Spesso i genitori non riescono a non essere coinvolti nel sonno del
bambino perché ritengono sia un segno di insensibilita E scarso accadimento nei confronti del
figlio
• Risvegli programmati e ritardo programmato
• Pre bed routine sfruttando i principi associativi del condizionamento classico si consolida la
relazione tra orari-ambiente e sonno.
INTERVENTO SUI BAMBNI
• Molte volte e necessario un intervento perche i risvegli sono dovuti a paure notturne, si
108
suggerisce cosleeping e roomsharing
Per gli adolescenti
• Igiene del sonno
• In questa età cambiano i ritmi circadiani
• Attivita sportiva e uso di dispositivi tecnologici possono ritardare il sonno
Pertanto tutti questi aspetti devono essere analizzati e modificati

L'INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO IN SINTESI


Tra gli interventi psicoterapeutici quello che in questo momento sembra avere maggiore efficacia e
l'intervento cognitivo-comportamentale e va ovviamente adattato in funzione dell'eta bambino:
vanno coinvolte in modo specifico le figure di riferimento, non puo essere fatto esclusivamente nei
confronti del bambino, e lo scopo principale delle figure di riferimento e la modifica delle credenze
degli atteggiamenti sul sonno da parte dei genitori e ridurre il piu possibile il coinvolgimento attivo
dei genitori durante la notte. Gli interventi cognitivo-comportamentali sono molto efficaci soprattutto
se applicati nei primi anni di vita e riguardano prevalentemente l'efficacia rispetto alla
isposizione a letto e al mantenimento del sonno. Ovviamente questo tipo di interventi hanno un
impatto forte sul miglioramento della qualita della vita e il benessere a livello familiare; questi
interventi in eta pediatrica generalmente prevedono questo tipo di passaggi:
un trattamento con il coinvolgimento del caregiver,
- un intervento di breve durata generalmente, oltre una prima fase di valutazione
che di solito dura
due o tre incontri dove si fa un quadro completo e si consegnano ai genitori degli strumenti per
avere delle informazioni, gli incontri sono da 4 a 8 e sono incontri focalizzati esclusivamente sul
sonno e quindi sulla gestione di questo problema.
-sono caratterizzati dall'utilizzo di strategie comportamentali, vengono utilizzate delle tecniche
come rinforzi, l'estinzione, la token economy per dar modo al genitore di avere uno strumento di
gestione e al bambino la possibilita di mantenere quel tipo di comportamento.
-caratterizzate dall'utilizzo di strategie cognitive oltre a quelle comportamentali tipo la
psicoeducazione, quindi un'informazione generale sia sul sonno sia sulle dinamiche che si attivano
nel momento in cui il bambino tende ad avere difficolta ad addormentarsi; questo perche di fatto il
genitore per esempio potrebbe tendere ad attribuire delle intenzioni che il bambino non ha, per
esempio potrebbe pensare che lo fa apposta a fare cosi durante la notte, che lo sveglia di
proposito e
questo tipo di credenze del genitore ovviamente tendono a complicare e rendere piu difficile la
risoluzione del problema; quindi una psico-educazione sul sonno e su tutto cio che a livello
emotivo
e coinvolto sul sonno e una ristrutturazione a livello cognitivo delle credenze disfunzionali dei
genitori; e tutto questo e finalizzato alla costruzione di nuove credenze genitoriali che sono piu
funzionali al sonno del bambino.
L'INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO NELL'ETA' PRE-SCOLARE/SCOLARE
Conviene tener conto del fatto che in questa fase tra i 4 e i 12 anni il 70% dei bambini riferisce le
paure notturne che spesso interferiscono con il sonno e ovviamente l'intervento va un po' calibrato
in funzione delle caratteristiche del bambino a livello cognitivo, emotivo e comportamentale e
anche in funzione della fase di sviluppo che il bambino sta attraversando o anche il momento
specifico, se per esempio si e inserito in un nuovo ciclo scolastico e oltre alle condizioni che
mantengono la problematica. La letteratura, a differenza di quello che viene suggerito per i piu
piccoli, suggerisce l'adozione di comportamento di co-sleeping e room sharing nei casi di bambini
un po' piu grandi per brevi periodi, quindi invitare il bambino a stare nel letto con i genitori o a
dormire nella stessa stanza dei genitori; e un intervento fatto in questa fascia d'eta a differenza di
quello fatto con i bambini piu proprio perche se e fatto in un tempo molto limitato e possibile
intervenire piu facilmente sul processo di addormentamento e sul mantenimento del sonno.
INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO IN ETA' PRE-ADOLESCENZIALE/ADOLESCENZIALE
In eta preadolescenziale e adolescenziale la situazione cambia un po' di piu perche subentrano
altre caratteristiche tipo i normali cambiamenti del ritmo circadiano perche c'e una maturazione
fisica che porta a questi tipi di cambiamenti, una maggiore autonomia comportamentale nella
gestione del ciclo sonno-veglia, quindi il ragazzo tende a studiare prima di andare a dormire,
109
oppure fare la videochiamata o la chiamata con l'amico, oppure a parlare con la fidanzatina, tutto
questo ovviamente puo portare a una routine che invece di essere calmante e rilassante tende ad
attivare prima di addormentarsi, e poi in certi casi anche l'assunzione di sostanze puo interferire,
esempio l'uso sotto esami di caffeina, di alcolici, in certi casi anche di droghe. Pertanto come per il
caso degli adulti nel corso del trattamento devono essere analizzate tutti questi aspetti ed
eventualmente devono essere modificati con delle pratiche che siano piu funzionali
all'addormentamento e al mantenimento del sonno.

CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO IL DSM-5


Definizione del disturbo secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A. Viene riferita una predominante insoddisfazione riguardo la quantità o la qualità del sonno,
associata a uno (o più) dei seguenti sintomi:
1. Difficoltà a iniziare il sonno (nei bambini, questa può manifestarsi come difficoltà a iniziare il
sonno senza l’intervento della persona che se ne prende cura).
2. Difficoltà a mantenere il sonno, caratterizzata da frequenti risvegli o problemi a
riaddormentarsi dopo essersi (nei bambini, questa può manifestarsi come difficoltà di
riaddormentarsi senza l’intervento della persona che se ne prende cura).
3. Risveglio precoce al mattino con incapacità di riaddormentarsi.
B. L’alterazione del sonno causa disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo, scolastico, universitario, comportamentale o in altre
aree importanti.
C. La difficoltà del sonno si verifica almeno 3 volte a settimana.
D. La difficoltà del sonno persiste per almeno 3 mesi.
E. La difficoltà del sonno si verifica nonostante adeguate condizioni per dormire.
F. L’insonnia non è meglio spiegata da, e non si verifica esclusivamente durante il decorso di, un
altro disturbo del sonno-veglia (per es. narcolessia, un disturbo del sonno correlato alla
respirazione, un disturbo circadiano del ritmo sonno- veglia, una parasonnia).
G. L’insonnia non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (di abuso, o farmaco).
H. Disturbi mentali e condizioni mediche coesistenti non spiegano adeguatamente il disturbo
predominante di insonnia.

Specificare se:
–  Comorbilità con un disturbo mentale non correlato al sonno, compresi i disturbi da uso di
sostanze
–  Comorbilità con un’altra condizione medica
–  Comorbilità con un altro disturbo del sonno
Specificare se:
–  Episodico: i sintomi durano per almeno 1 mese, ma meno di 3 mesi
–  Cronico: i sintomi durano per almeno 3 mesi o più
– Ricorrente: due (o più) episodi nell’arco di 1

Definizione del disturbo secondo l’ICSD-3 (AASM, 2014)


Anche nella Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno ICSD-3 (2014) si ritrovano
molti criteri diagnostici sovrapponibili con quelli del DSM-5 (2013).

Caratteristiche a supporto della diagnosi

• La diagnosi di insonnia in età pediatrica NON viene emessa al di sotto dell’età dei sei mesi,
poiché nei mesi precedenti i risvegli notturni multipli sono del tutto fisiologici.
• I bambini che intorno ai 6 mesi non sviluppano un pattern di sonno consolidato (5/6 o più ore di
sonno consecutive) potrebbero essere candidati a sviluppare un problema di insonnia.
• L’ICSD-3 specifica che vi possono essere bambini che hanno bisogno di particolari condizioni
per dormire o hanno ripetute dilazioni nell’orario dell’addormentamento a causa di ansia
110
sottostante o fobie specifiche (separazione, buio).
 La diagnosi precoce risulta estremamente importante in quanto la letteratura evidenzia come i
problemi di sonno non trattati tendono a mantenersi nel 50% dei casi dei bambini quando
vengono rivisitati 1 o 2 anni dopo.

CARATTERISTICHE A SUPPORTO DELLA DIAGNOSI


Nei bambini piccoli (0-3 anni) le difficoltà di addormentamento e/o di mantenimento del sonno,
sono spesso il risultato di ASSOCIAZIONI DISFUNZIONALI con il sonno o dipendenti da
condizioni di INADEGUATA DEFINIZIONE DEL LIMITE.
 Le ASSOCIAZIONI DISFUNZIONALI con il sonno sono determinate dalla dipendenza del
bambino da specifiche situazioni stimolo (essere cullati, allattamento, vedere la TV), oggetti
(biberon), o setting (luce, presenza dei genitori in stanza o a letto).
 In assenza di queste condizioni, l’inizio del sonno viene significativamente rimandato.
 Il problema inoltre si manifesta con risvegli frequenti e/o paure notturne o ansia rispetto al
dormire soli.
 L’INADEGUATA DEFINIZIONE DEL LIMITE si caratterizza invece per la resistenza ed il rifiuto
dei bambini a andare a letto, rinforzati da inadeguati limiti posti dal caregiver.
 Tale problematica diviene evidente in età pre/o scolare e si manifesta quando i caregiver non
pongono limiti, ne stabiliscono troppo pochi o questi vengono proposti in modo incoerente e
imprevedibile.
 Simili difficoltà possono risultare anche in risvegli notturni prolungati, che dipendono dalla
risposta del caregiver durante la notte.

Nei bambini piccoli (0-3 anni) le difficoltà di addormentamento e/o di mantenimento del sonno,
sono spesso il risultato di ASSOCIAZIONI DISFUNZIONALI con il sonno o dipendenti da
condizioni di INADEGUATA DEFINIZIONE DEL LIMITE.

Dati epidemiologici, sviluppo e decorso


 I problemi di inizio e mantenimento del sonno, nei bambini, si stima abbiano una prevalenza
che si aggira intorno al 20%-30% soprattutto durante la prima infanzia.
 I problemi di sonno infantile hanno conseguenze negative sia sul contesto familiare che sul
bambino stesso.
 Sono spesso fonte di stress famigliare e di effetti negativi sulla relazione madre-bambino
(aumento di pensieri/fantasie aggressive, depressioni materne) contribuendo ad attivare
comportamenti di attaccamento genitoriale disorganizzato.

Eziologia e fattori di rischio


• Lo sviluppo del pattern del sonno infantile e dei suoi disturbi è influenzato da una articolata rete
di:
FATTORI FISIOLOGICI
 livello di maturazione
 condizioni mediche
 componente temperamentale
FATTORI PSICO-SOCIALI
 influenze culturali
 caratteristiche dello stile genitoriale
 relazione genitore-bambino
• Tali interazioni sono rappresentate nel modello transazionale di Sadeh et al. (1993)

Secondo questo modello tra: sonno del bambino e credenze, aspettative, emozioni,
comportamenti dei genitori rispetto al sonno del figlio, si instaurano articolate relazioni
biunivoche che si organizzano poi in un circolo, vizioso o virtuoso, che influenza lo sviluppo del
pattern di sonno infantile (ritmo del ciclo sonno-veglia, sleep ability, continuità del sonno).

• Risulta pertanto che le relazioni tra il coinvolgimento genitoriale nel processo di


111
addormentamento e i risvegli notturni del bambino siano i fattori che maggiormente
contribuiscono allo sviluppo di problemi di sonno nella prima infanzia.

• Bambini che si addormentano ricevendo un importante supporto dai genitori (allattati, cullati,
con stretto contatto fisico) hanno un numero maggiore di risvegli notturni in cui richiedono
l’intervento dei genitori.

• L’ipotesi è che il bambino associ l’addormentamento esclusivamente alla presenza del genitore
e che tale presenza sfavorirebbe lo sviluppo di strategie autoconsolatorie (lallio, suzione del
dito o del ciuccio, contatto con oggetto transazionale) necessarie per affrontare in autonomia la
transizione veglia-sonno.

Valutazione del disturbo


Di fronte a bambini con problemi di insonnia, dopo aver valutato anche la presenza di fattori
fisiologici e/o condizioni mediche, è di primaria importanza valutare i fattori sia cognitivi che
comportamentali associati al sonno indagando le seguenti aree:
 Analisi comportamentale del problema di sonno (questionari clinici, diario del sonno,
colloqui, eventuali esami medici specialistici).
 Analisi di altri eventuali problemi famigliari e psicologici dei genitori, oltre alle loro
credenze ed atteggiamenti rispetto al sonno del bambino.
 Discussione dei possibili meccanismi alla base del problema di sonno.

L’INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO

Il trattamento Cognitivo-Comportamentale (CBT) per l’insonnia in età evolutiva si declina


differentemente in base all’età del bambino ma in ogni caso prevede il coinvolgimento delle
figure di riferimento al fine per lo più di modificare credenze ed atteggiamenti sul sonno dei
figli e ridurre il loro coinvolgimento attivo durante la notte.
La letteratura indica gli interventi cognitivo-comportamentali per l’insonnia come molto
efficaci, soprattutto se applicati nei primi anni di vita, per la risoluzione di problematiche di
disposizione a letto e mantenimento del sonno.
Tali interventi possiedono un impatto forte sia sul miglioramento del comportamento del
bambino che su quello del benessere nei genitori.
Tipicamente gli interventi CBT per l’insonnia in ETÀ PEDIATRICA si configurano come interventi
principalmente di:
–  trattamento con il coinvolgimento del caregiver;
–  di breve durata (dai 4 agli 8 incontri, dopo i primi 2-3 incontri di valutazione);
–  focalizzati sul sonno;
–  caratterizzati dall’utilizzo di strategie comportamentali (rinforzi, estinzione, ecc.);
–  caratterizzati dall’utilizzo di strategie cognitive (psicoeducazione, ristrutturazione cognitiva)
utili alla costruzione di nuove credenze genitoriali più funzionali al buon sonno del bambino.

Tra le tecniche di comprovata efficacia e più utilizzate si trova:

Le tecniche di ESTINZIONE assumono che i risvegli notturni e le richieste di attenzione


ricercate dai piccoli durante la notte siano positivamente rinforzate dai comportamenti di
accudimento dei genitori. Pertanto l’ estinzione (standard, più brusca, o graduale) di tali rinforzi
nei genitori ridurrà i comportamenti di richiesta nei bambini. Il messaggio che i genitori sono
incoraggiati a dare ai figli è: “Noi siamo qui per proteggerti, ma ci aspettiamo che ti addormenti da
solo perché non è pericoloso e ce la puoi fare da solo”.
Spesso però i genitori di bambini con problematiche del sonno non intrattengono una credenza
simile sui propri figli, anzi il contrario, e tendono ad interpretare la limitazione del loro
coinvolgimento nel sonno infantile come un segno di insensibilità e scarso accudimento
(intervento di ristrutturazione cognitiva).
RISVEGLI PROGRAMMATI, questa procedura consolida la continuità del sonno dei bambini
con problemi di frammentazione del sonno in quanto sfrutta l’aumento della pressione per il sonno
112
dovuta alla restrizione, se pure minima. Ad ogni modo, generalmente, da parte dei genitori si
riscontra una scarsa aderenza data la difficoltà di svegliarsi in orari fissi durante la notte.

PRE-BED-ROUTINE , sfruttando i principi associativi del condizionamento classico si consolida la


relazione tra orari, ambiente e sonno con attività positive, calme e piacevoli favorenti uno stato
di rilassamento utile per l’addormentamento.

RITARDO PROGRAMMATO, la disposizione a letto viene posticipata con conseguente ritardo


dell’addormentamento al fine di facilitarlo sfruttando il principio psicofisiologico di regolazione
omeostatica del sonno, secondo cui un aumento di veglia precedente incrementa la pressione
per l’innesco ed il consolidamento del sonno notturno.

NELLO SPECIFICO GLI INTERVENTI PER FASCE DI ETA’

ETÀ PRE-SCOLARE/SCOLARE
Tra i 4 e di 12 anni circa il 70% dei bambini riferisce paure notturne che spesso interferiscono
con il sonno;
In questi casi il trattamento più appropriato va scelto sulla base dell’analisi delle caratteristiche
cognitive, emotive e comportamentali del bambino in riferimento allo sviluppo ed al
mantenimento della problematica. In controtendenza con gli interventi privilegiati per i più piccoli,
la letteratura suggerisce che l’adozione, per brevi periodi, di comportamenti di co-sleeping e
room-sharing può rivelarsi una strategia di fronteggiamento funzionale al processo di
addormentamento e mantenimento del sonno.
ETÀ PRE-ADOLESCENZIALE/ADOLESCENZIALE
In questa fascia d’età influiscono sulla riduzione dell’insonnia le pratiche di igiene del sonno:
normali cambiamenti del ritmo circadiano, dovuti al processo fisiologico di maturazione;
La maggiore autonomia comportamentale nella gestione del ciclo sonno- veglia (aumento di
attività serali disfunzionali al sonno come attività sportiva, di studio, utilizzo di dispositivi
tecnologici, ecc.); la possibile assunzione di sostanze (caffeina, alcolici, droghe).
Pertanto, così come per gli adulti, nel corso del trattamento CBT questi aspetti devono essere
analizzati e modificati sostituendoli con pratiche più funzionali all’inizio ed al mantenimento del
sonno.

DISTURBI DELL' EVACUAZIONE


Secondo l’ultima edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5;
APA, 2013), queste condizioni riguardano il rilascio di urina o feci in luoghi o momenti inappropriati
e comprendono Enuresi ed Encopresi. Spesso sono episodi involontari ma, a volte, possono
essere intenzionali. Questi disturbi vengono diagnosticati sia nel periodo dell’infanzia che in quello
dell’adolescenza e, in genere, si manifestano singolarmente anche se è possibile una comorbilita
di enuresi ed encopresi nello stesso bambino. Rispetto alle precedenti edizioni non ci sono reali
cambiamenti nella descrizione dei disturbi, ma ora sono raggruppati in una specifica categoria,
mentre prima rientravano in quella dei Disturbi Diagnosticati nell’Infanzia, nella Fanciullezza
o nell’Adolescenza.
Per effettuare diagnosi di Disturbi dell’evacuazione è fondamentale verificare la possibile
presenza di un disturbo emozionale o comportamentale e approfondire se sia la causa e
non la conseguenza: nel primo caso, ad esempio, una forte fobia del buio puo bloccare il
bambino a letto nonostante lo stimolo ad andare al bagno mentre nel secondo caso un disturbo
della condotta porta il bambino a violare le comuni norme igieniche.
La terapia cognitivo-comportamentale é, al momento, quella con piu alto tasso di guarigione e
con la piu bassa frequenza di ricadute.
E’ importante da subito rassicurare i genitori sulla normalità del disturbo spiegando che la
soluzione può richiedere tempi anche lunghi e dando suggerimenti affinchè il bambino non venga
deriso, colpevolizzato o punito.
Un intervento efficace deve partire assolutamente da una ristrutturazione cognitiva riferita agli
stili attributivi, alle aspettative di soluzione, alla percezione di ruolo attuate dai genitori rispetto alla
situazione e al bambino. Occorre, infatti, valutare le emozioni, i vissuti, le reazioni che sono
113
collegate al problema (es. rabbia, rifiuto, tentativi di sdrammatizzazione, insofferenza malcelata,
accettazione fatalistica) e stimolare un confronto. Da qui evidenziare come, spesso, la risposta di
entrambi i genitori avra influenza sul ‘sintomo’ e di come e possibile imparare a modificare in
senso adattivo comportamenti, pensieri ed emozioni. A seguire alcuni convinzioni irrazionali che
amplificano il problema:
 Proprieta esclusiva (Il problema é di mio figlio – E colpa mia)
 Usare le maniere forti (Una sculacciata e quello che ci vuole, con me ha funzionato)
 Educazione permissiva (Se insisto non mi vorra piu bene, mi sento in colpa)
 Capro espiatorio (Ha preso tutto dal padre)
 Stigmatizzazione (E cattivo)
 Catastrofico (Come genitore sono un fallimento – Non ce la faremo mai)
Questi bambini, trovandosi all’improvviso bagnati o sporchi, sperimentano quotidianamente
imbarazzo, vergogna e colpa.
Attenzione, infine, a saper differenziare tra un problema neuropsichiatrico e un problema
semplicemente educativo. Molti bambini, infatti, nonostante abbiano raggiunto il controllo sfinterico
ed acquisito la capacita di autoregolarsi, chiedono il pannolino per fare la cacca: in questo
caso si innescano tra genitori e figlio comportamenti e modalita disfunzionali che,
involontariamente, mantengono il problema.

ENURESI
L’enuresi si manifesta con episodi di rilascio (piu spesso involontario ma anche intenzionale) di
urina nel letto o nei vestiti per un tempo e una frequenza clinicamente significativi: due volte alla
settimana per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi in bambini di eta non inferiore ai
5 anni, quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo.
Questo comportamento non dipende esclusivamente da patologia organica (es. diabete), ne
dall’assunzionedi sostanze o medicinali (es. diuretici) e causa disagio e grave compromissione del
funzionamento personale, sociale e scolastico.
E’ un problema frequente che interessa il 5-10% dei bambini tra 5 e 10 anni, il 3-5% tra 10 e 15
anni e circa l’1% oltre i 15 anni: tende, infatti, a risolversi spontaneamente.
Il disturbo puo essere solo diurno, solo notturno, o entrambi.
Si parla di Enuresi Essenziale quando la perdita involontaria di urina non é correlata ad altre
patologie; se invece il rilascio di urina si associa ad affezioni urologiche, neurologiche o
metaboliche si parla di Incontinenza.
L’Enuresi Essenziale si suddivide in:
Enuresi Primaria che riguarda i bambini che non hanno mai smesso di bagnare il letto.
Enuresi Secondaria che riguarda i bambini che hanno raggiunto il controllo degli sfinteri per
almeno 3-6 mesi e hanno poi ricominciato a bagnarsi.

LE CAUSE
Sono multifattoriali ed entrano in gioco fattori biologici, ambientali e psicologici.
Secondo il modello neurofisiologico si rileva un ritardo di maturazione con difficolta a passare da
comportamento riflesso automatico a volontario: il rilascio di urina, quindi, avviene solo a causa
della pressione interna.
In base al modello endocrinologo l’ormone ADH agisce facendo si che, durante la notte, sia
prodotta circa la meta della quantita di urina prodotta durante il giorno ma, nel bambino con
enuresi, questo è meno vero a causa di bassi livelli di ADH che si normalizzano piu tardi rispetto
agli altri bambini.
Il modello fisiopatologico evidenzia che l’enuresi e causata da uno squilibrio tra produzione
notturna di urina e capacità vescicale funzionale.
Secondo il modello dell’apprendimento la maturazione fisiologica é necessaria ma non
sufficiente a garantire il controllo sfinterico: é fondamentale un adeguato apprendimento all’uso e
al controllo degli sfinteri che, a volte puo manifestarsi e altre no, a causa di pressioni eccessive o
di smisurata tolleranza durante la fase di apprendimento.
Il modello del rinforzo sociale pone l’accento su come il mancato apprendimento può essere un
mezzo per ottenere particolari benefici e/o attenzioni. Molto importanti sono i fattori emozionali
come elevati livelli di ansia correlati a particolari momenti di stress e tensione emotiva (es. l’inizio
114
della scuola, la nascita di un fratellino o eventi ancora piu traumatici). Un atteggiamento permissivo
e negligente o rigido e colpevolizzante puo, inoltre, essere fattore di mantenimento del disturbo.

LA DIAGNOSI
Assessment specifico
In questa fase sono fondamentali i colloqui con i genitori e l’utilizzo di check-list specifiche
per l’Enuresi che permettono di valutare elementi specifici del problema quali:
 La familiarita per enuresi (70%)
 Le modalita ed i tempi di acquisizione del controllo sfinterico
 L’insorgenza del problema
 La frequenza degli episodi di enuresi
 La frequenza minzionale (notturne/diurne)
 I comportamenti di minzione (di fretta, all’ultimo minuto)
 I comportamenti igienici del bambino
 La capacita di contenimento dell’urina in vescica (si accorge all’ultimo, riesce a trattenerla
per un po’…)
 Tipologia e classificazione del disagio
 Abitudini alimentari e idriche del bambino
 Ritmo sonno/veglia.
Assessment familiare
E importante indagare e approfondire:
 Situazioni familiari che possono giustificare l’esistenza e il mantenimento del disagio
 Atteggiamento dei genitori e di eventuali fratelli o sorelle rispetto alla situazione
 Modalita di intervento rispetto al mancato controllo (es. cambio lenzuola, rifacimento del
letto…)
 Precedenti tentativi di risoluzione.
Stili educativo-relazionali dominanti (insieme di pratiche, credenze, modi di agire e ideali che
governano il modo in cui un genitore educa e si comporta con il proprio figlio).
Il focus va diretto, in particolare, sulle reazioni dei genitori dato che i loro comportamenti di
risposta agli episodi di Enuresi influenzano in modo significativo la sintomatologia. I genitori
possono reagire in modi completamente diversi: con rabbia, negando il problema, con tentativi di
sdrammatizzazione, con un’insofferenza malcelata o con atteggiamenti di accettazione fatalistica.
Il bambino puo essere messo in ridicolo o punito o avere maggiori attenzioni.
Assessment con il bambino (quando é possibile)
L’obiettivo é di valutare la qualità di vita del bambino con enuresi cercando di comprendere la
gravità del disturbo e le conseguenze della sintomatologia a livello:
 fisico (se limita e condiziona gravemente l’autonomia),
 sociale (se le relazioni con eventuali fratelli e con i coetanei sono problematiche),
 emozionale (se sono presenti stress elevato a causa dei risvegli, vissuti di autosvalutazione,
rendimento scolastico compromesso, rapporti conflittuali con i genitori a causa di interventi
punitivi o di manifesta delusione).
Tra le conseguenze a livello psicologico, infatti, potrebbero manifestarsi diverse problematiche:
protrarsi della fase di attaccamento, immaturita affettivo-relazionale, sensi di colpa, bassa
autostima e vissuti depressivi.
In questa fase, se si tratta di Enuresi Secondaria, la causa puo essere individuata con facilita nella
maggior parte dei casi.

ENCOPRESI
L’encopresi si manifesta con episodi di rilascio (piu spesso involontario ma anche intenzionale) di
feci nei vestiti o sul pavimento per un tempo e una frequenza clinicamente significativi: una volta al
mese per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi in bambini di eta non inferiore ai 4
anni quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo.
Questo comportamento non dipende esclusivamente da patologia organica, né dall’assunzione di
sostanze o medicinali (es. lassativi), causa disagio e grave compromissione del funzionamento
personale, sociale e scolastico.
Nel formulare la diagnosi occorre specificare il sottotipo che caratterizza il quadro clinico:
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 Con Costipazione e Incontinenza da Sovrariempimento (All’anamnesi o all’esame obiettivo
si rileva la presenza di una grande massa fecale in zona rettale o addominale o una frequenza
di defecazione inferiore di 3 volte a settimana);
 Senza Costipazione e Incontinenza da Sovrariempimento (Attraverso l’esame fisico e la
storia medica si evidenzia assenza di stitichezza; il bambino si sporca a intermittenza).
La difficolta a controllare l’emissione delle feci per i bambini é umiliante in quanto temono di
essere scoperti e di venire esposti alle critiche degli altri. L’autostima si abbassa, le attivita
ricreative o sportive possono essere compromesse e si possono evidenziare tendenze
all’isolamento in un quadro di eccessiva dipendenza dai genitori. I bambini ossono essere
provocati o presi in giro e molti rifiutano qualsiasi riferimento alle feci e, temendo di essere messi in
ridicolo o puniti, nascondono l’evidenza, cioe gli indumenti sporchi. Il problema dell’encopresi
comporta, spesso, conflitti e tensione nella coppia genitoriale con accuse incrociate.
Tipologie:
Encopresi Primaria quando il bambino non ha mai raggiunto il controllo intestinale.
Encopresi Secondaria quando il disturbo si manifesta dopo che per un certo periodo e stato
raggiunto il normale controllo sfinterico.
Encopresi Involontaria “paradossa”, da overflow (la piu comune, accompagnata a stipsi
cronica).
Encopresi Volontaria non accompagnata da stipsi; in questo caso spesso é associata alla
presenza di disturbo oppositivo-provocatorio o della condotta. E’ uno dei comportamenti piu irritanti
esibiti dai bambini in conflitto con i genitori.
Molto comuni sono quadri clinici di Megacolon Psicogeno o Stipsi Idiopatica, la condizione di
Encopresi, causata dalla volontaria ritenzione conseguente alla paura dell’emissione delle feci.
Quando il bambino avverte lo stimolo di defecare, decide di non assecondare i movimenti
peristaltici intestinali e la massa fecale si accumula nel retto; invece di rilasciare i muscoli del
pavimento pelvico, li contrae. Via via che le feci si accumulano, l’umore e l’appetito diventano
mediocri a causa della comparsa di dolori addominali provocati dalla distensione della parete e
dallo sforzo ritentivo in parte inconsapevole: a questo punto puo verificarsi l’insudiciamento
durante il passaggio di aria per l’incapacita del bambino a controllare il debordamento della massa
fecale con conseguenti vissuti di vergogna e imbarazzo.
LE CAUSE
Sono multifattoriali ed entrano in gioco cause organiche, aspetti educativi, fattori ambientali e
psicologici. Tra le cause organiche è possibile individuare allergia al latte, ragade, disturbi
funzionali (incoordinazione della muscolatura pelvica con il torchio addominale) e ipertonia
sfinteriale. Molto importanti sono gli aspetti educativi. La sindrome ritenzionistica, infatti, si
instaura in corrispondenza del toilet-training, da circa il 18^ mese di vita a causa di:
 addestramento coercitivo/punitivo da parte dei genitori
 attitudini genitoriali rigide rispetto alla continenza rettale
 uso troppo precoce del vasino
 madri iperprotettive e padri molto rigidi
 superinvestimento con premi quando va tutto bene (il bambino non si sporca)
 elevata sensibilita a percepire l’ansia dei genitori al riguardo
Alcuni fattori ambientali sono prevalenti nell’Encopresi secondaria:
 ambienti stressanti (bagni sporchi e inadeguati a casa o a scuola/asilo, troppo grandi, senza
privacy)
 separazione o altre esperienze traumatiche legate a forti cambiamenti come nascita di un
fratellino, inserimento a scuola, cambiamento di scuola, trasloco, periodo di
ospedalizzazione, morte di unfamiliare.
 fattori legati alla dieta (alimenti poveri di fibre, iperproteici, troppo latte nei bimbi piu
grandi)
 Volontà di non evacuare per non interrompere l’attivita del gioco.
Anche alcuni fattori psicologici possono far da molla per il disturbo o accentuarlo successivamente:
 rifiuto del WC a causa di fobie di animali, soprattutto serpenti;
 problemi scolastici, competizioni sportive;
Violenze e abusi sessuali (vanno sospettati soprattutto quando l’inizio della
sintomatologia é
116
repentino).

LA VALUTAZIONE
ASSESSMENT SPECIFICO
In questa fase sono fondamentali i colloqui con i genitori e l’utilizzo di check-list specifiche per
l’Encopresi che permettono di valutare elementi specifici del problema quali:
 Presenza di massa fecale (costipazione) con conseguenti dolori addominali
 Eventuale uso di microclismi
 Paura di andare al bagno
 Problemi comportamentali (sia a casa che a scuola)
 Emozioni intense legate al tema del funzionamento intestinale (es. paura, ansia e rabbia)
 Risposta anormale alla funzione intestinale (es. Si contrae, stringe le natiche)
 Le pratiche igieniche acquisite (es. si pulisce da solo)
ASSESSMENT FAMILIARE
E importante indagare e approfondire:
 Situazioni familiari che possono giustificare l’esistenza e il mantenimento del disagio
 Atteggiamento dei genitori e di eventuali fratelli o sorelle rispetto alla situazione
 Modalita di intervento rispetto al mancato controllo (es. la mamma subito interviene e
cambia il bambino)
 Precedenti tentativi di risoluzione.
 Possibili limiti che il disturbo pone alla routine familiare
 Stili educativo-relazionali dominanti (insieme di pratiche, credenze, modi di agire e ideali
che governano il modo in cui un genitore educa e si comporta con il proprio figlio).
Il focus va diretto, in particolare, sulle reazioni dei genitori dato che i loro comportamenti di
risposta agli episodi di Encopresi influenzano in modo significativo la sintomatologia. I genitori
possono reagire in modi completamente diversi: con rabbia, negando il problema, con tentativi di
sdrammatizzazione, con un’insofferenza malcelata o con atteggiamenti di accettazione fatalistica.
Il bambino puo essere messo in ridicolo o punito o avere maggiori attenzioni.
ASSESSMENT CON IL BAMBINO (QUANDO E POSSIBILE)
L’obiettivo e di valutare la qualita di vita del bambino con enuresi cercando di comprendere la
gravita del disturbo e le conseguenze della sintomatologia a livello:
 fisico (se limita e condiziona gravemente l’autonomia),
 sociale (se le relazioni con eventuali fratelli e con i coetanei sono problematiche),
 emozionale (ansia, frustrazione, stress, vissuti di autosvalutazione, rendimento scolastico
compromesso, rapporti conflittuali con i genitori a causa di interventi punitivi o di manifesta
delusione).
Durante questa fase e necessario considerare che, molto probabilmente, sia il bambino che i
genitori saranno imbarazzati. E importante utilizzare un linguaggio comune: la maggior parte della
famiglie usa un gergo privato (es. cacca, pipi). Concediamo tempo ai genitori ed, eventualmente, al
bambino di esprimere il proprio punto di vista rispetto alla situazione: la collaborazione dei genitori
è fondamentale sia durante la fase di valutazione che durante l’intervento.

TRATTAMENTO
Un intervento cognitivo-comportamentale multidimensionale che coinvolge direttamente il
bambino, i genitori e gli insegnanti (quando é possibile) e tra gli approcci piu efficaci.
Con il bambino il focus dell’intervento punta a contenere i livelli di ansia legati al problema e a
‘normalizzare’ i suoi vissuti di vergogna ed imbarazzo.
Modalita di intervento con i genitori:
Psicoeducazione:
Il tasso di successo nella risoluzione di encopresi involontaria e elevato, anche se puo richiedere
del tempo per stabilire buone abitudini intestinali ed eliminare gli episodi di stitichezza. Il medico
pediatra puo valutare la possibilita di prescrivere al bambino specifici farmaci che ammorbidiscono
le feci e limitare, quindi, eventuali sensazioni dolorose correlate all’atto della defecazione. Una
dieta ad alto contenuto di fibre puo assicurare regolarita e contenere eventuali problemi di
stitichezza.
Stile educativo-relazionale:
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Individuare pratiche, credenze, azioni e ideali che guidano il modo in cui i genitori si comportano
con il figlio (es. comportamenti iperprotettivi, difficolta a stabilire regole, confusione del ruolo
genitoriale). Questi fattori in parte possono essere responsabili delle condotte disadattive del
bambino.
 Ristrutturazione cognitiva riferita agli stili attributivi, alle aspettative di soluzione, alla
percezione di ruolo attuate dai genitori rispetto alla situazione e al bambino
 Contratto educativo, tecnica di intervento al fine di desensibilizzare la paura di defecare e/o
del water concentrarsi sul comportamento e non sulla conseguenza del comportamento (fare
la cacca); promuovere alcuni comportamenti funzionali all’atto di defecare (es. sedersi per
due minuti sul water) e rendere autonomo il bambino in alcune pratiche igieniche.
Il tasso di successo nella risoluzione di encopresi involontaria e elevato, anche se puo richiedere
del tempo per stabilire buone abitudini intestinali ed eliminare gli episodi di stitichezza.

CRITERI DIAGNOSTICI DSM -5


I DISTURBI DELL’EVACUAZIONE Implicano la ripetuta evacuazione di urine (enurèsi) o feci
(encòpresi) in luoghi inappropriati. Sono solitamente diagnosticati per la prima volta
nell’infanzia o nell’adolescenza.
Vengono proposti sottotipi per differenziare l’emissione notturna da quella diurna (es. durante le
ore di veglia) nell’enurèsi e per differenziare la presenza o l’assenza di costipazione e incontinenza
da sovrariempimento nell’encòpresi.Sebbene per la diagnosi esistano requisiti di età minima essi
si basano anche sull’età di sviluppo e non solo sull’età cronologica.
Entrambi i disturbi possono essere di natura volontaria o involontaria.
Solitamente si verificano separatamente, tuttavia possono essere osservati anche in
concomitanza l’uno all’altro.
ENURESI: definizione del disturbo secondo il DSM-5 (APA, 2013)
A. Ripetuta emissione di urine nel letto o nei vestiti, sia involontaria sia intenzionale.
B. Il comportamento è clinicamente significativo, quando si manifesta con una frequenza di
almeno 2 volte a settimana per almeno 3 mesi consecutivi o con la presenza di disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o
in altre aree importanti.
C. L’età cronologica è di almeno 5 anni (o livello di sviluppo equivalente).
D. Il comportamento non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., un
diuretico, un farmaco antipsicotico) o ad un’altra condizione medica (per es., diabete, spina
bifida o un disturbo convulsivo).
Specificare la tipologia:
 Solo notturna: emissione di urine solo durante il sonno notturno; spesso definita come
enuresi monosintomatica, è il sottotipo più comune ed implica incontinenza solo durante il
sonno notturno, tipicamente durante il primo terzo della notte.
 Solo diurna: emissione di urine durante le ore di veglia; può essere definita semplicemente
come incontinenza urinaria e può essere ulteriormente suddivisa in due gruppi
a)  con “incontinenza allo stimolo”improvvisi sintomi di stimolo e instabilità del detrusore;
b)  con “posposizione dello svuotamento” rinviano consapevolmente gli stimoli a urinare
fino al momento in cui si ha l’incontinenza.
Notturna e diurna: una combinazione dei due sottotipi precedenti; conosciuta anche come
enuresi non-monosintomatica.
Caratteristiche associate a supporto della diagnosi (APA, 2013)
 Durante l’enuresi notturna, occasionalmente l’emissione avviene nella fase di sonno REM
(Rapid Eye Movement), il bambino può ricordare un sogno che comportava l’atto di urinare.
 Durante l’enuresi diurna il bambino rinvia l’emissione fino al momento in cui si manifesta
l’incontinenza; talvolta a causa di una riluttanza nell’uso del bagno conseguente ad ansia
sociale o a una preoccupazione relativa ad attività scolastiche o ludiche.
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 Il momento dell’enuresi si verifica più comunemente nel primo pomeriggio durante i giorni
di scuola e può essere associato a sintomi di comportamento dirompente. L’enuresi, di solito,
persiste dopo un adeguato trattamento di un’infezione associata.
Enuresi primaria
in cui l’individuo non ha mai raggiunto la continenza urinaria. Per definizione si può parlare di
enuresi primaria dall’età di 5 anni.
Enuresi secondaria
in cui l’anomalia si sviluppa dopo che per un periodo è stata raggiunta la continenza
urinaria; il periodo più comune per l’esordio è tra i 5 e gli 8 anni, ma può avvenire in qualsiasi
momento
Dopo i 5 anni di età, la percentuale di remissioni spontanee è tra il 5 e il 10% per anno
La maggior parte dei bambini con questo disturbo raggiunge la continenza entro l’adolescenza, ma
nell’1% dei casi il disturbo continua in età adulta

ENCOPRESI: CRITERI DIAGNOSTICI SECONDO IL DSM-5 (APA, 2013)


Ripetuta emissione di feci in luoghi inappropriati (per es., nei vestiti, sul pavimento) sia
involontaria sia intenzionale.
Tale evento si verifica almeno 1 volta al mese per almeno 3 mesi.
L’età cronologica è di almeno 4 anni (o livello di sviluppo equivalente).
Il comportamento non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., lassativi) o a
un’altra condizione medica se non attraverso un meccanismo che comporti costipazione
Specificare se:
- Con costipazione e incontinenza da sovrariempimento. L’esame obiettivo o l’anamnesi
provano la presenza di costipazione. Le feci sono tipicamente (ma non invariabilmente) poco
formate e la fuoriuscita può variare da poco frequente a continua e si verifica prevalentemente
durante il giorno, raramente durante il sonno. Soltanto una parte delle feci viene evacuata durante i
tentativi di defecazione intenzionale, e l’incontinenza si risolve dopo il trattamento della
costipazione.
• Senza costipazione e incontinenza da sovrariempimento. L’esame obiettivo o l’anamnesi non
provano la presenza di costipazione. Le feci sono solitamente di forma e consistenza normale, e
l’individuo si sporca in maniera intermittente. Inoltre queste ultime possono essere depositate in un
luogo significativo. Ciò è solitamente associato alla presenza di disturbo oppositivo provocatorio o
disturbo della condotta, oppure può essere la conseguenza di masturbazione anale. Lo sporcarsi
senza costipazione sembra essere meno comune che lo sporcarsi con costipazione

CARATTERISTICHE DIAGNOSTICHE SECONDO IL DSM-5 (APA, 2013)


La costipazione può svilupparsi per motivi psicologici (per es., ansia riguardante il defecare in un
posto particolare, un più generale pattern di comportamento ansioso o oppositivo), che portano
all’evitamento della defecazione.
La predisposizione fisiologica alla costipazione comprende spinte inefficaci o dinamiche di
defecazione, che comportano una contrazione piuttosto che un rilassamento dello sfintere.
Possono causare costipazione anche: disidratazione associata ad una malattia con febbre,
ipotiroidismo o effetti collaterali da farmaci.
 In presenza della costipazione possono presentarsi complicazioni (ragadi, dolori, e ritenzione).
 La consistenza delle feci può variare da normale a liquida.
Caratteristiche associate a supporto della diagnosi (APA, 2013)
 Il bambino con encopresi spesso si vergogna e può decidere di evitare situazioni sociali, come
la scuola o altre, che possono metterlo in imbarazzo.
 L’entità della compromissione è funzione dell’effetto sull’autostima del bambino, del grado di
ostracismo sociale da parte dei pari, e della rabbia, della punizione e del rifiuto da parte dei
caregiver.
 L’imbrattamento con le feci può essere deliberato o accidentale, e risultare dal tentativo del
bambino di pulire o nascondere le feci che sono state evacuate involontariamente.
 In molti casi di encopresi e costipazione cronica coesistono anche sintomi di enuresi, con la
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possibilità che si presenti un reflusso urinario associato che può condurre ad infezioni urinarie
croniche, i cui sintomi possono andare incontro a remissione con il trattamento della
costipazione

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