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La misurazione in psicologia

La psicodiagnostica è un processo che mira alla conoscenza e alla valutazione delle caratteristiche di
personalità e si basa sull’osservazione, sul colloquio clinico e sulla somministrazione di una batteria di test
psicologici. Questa integrazione di diversi strumenti permette una accurata analisi e descrizione della
personalità e di eventuali aspetti psicopatologici e l’individuazione di un trattamento specifico. Le variabili
psicologiche non si possono misurare direttamente, si procede per misurazione indiretta o meglio per
inferenza probabilistica da cui si evince che ci deve essere una teoria psicologica a cui fare riferimento. Si
chiama “psicometria” l'insieme dei metodi d'indagine psicologica che tendono al raggiungimento di
valutazioni quantitative delle caratteristiche personologiche. Richiede l’uso di metodi statistici, anche al
fine di controllare l’attendibilità la validità dei test psicologici utilizzati nell’assessment (valutazione).

L’attendibilità si riferisce alla precisione dello strumento con la valutazione dell’errore incluso nelle misure,
si riferisce quindi al grado di ripetibilità dei punteggi ottenuti ad un test.

La validità denota la capacità di una misura di cogliere effettivamente la caratteristica che si intende
misurare. I costrutti vengono misurati facendo riferimento a dei comportamenti che dovrebbero costituirne
una loro manifestazione diventa quindi importante dimostrare che i comportamenti misurati riflettano in
modo valido i costrutti non direttamente osservabili. Tale dimostrazione viene attuata verificando:

• validità di contenuto: capacità del test di rappresentare adeguatamente l’universo dei


comportamenti legati al costrutto psicologico;
• validità di costrutto che è l’insieme di:
o validità convergente: si riferisce al grado di accordo fra diversi test di misura dello stesso
costrutto, valuta quanto c’è di comune tra diversi tentativi di misurare lo stesso costrutto;
o validità discriminante: riflette il grado in cui i tentativi di misurare costrutti diversi sono
effettivamente distinguibili l’uno dall’altro, implica che misure di costrutti diversi non siano
tra loro confuse;
• validità di criterio: indica genericamente la possibilità di usare un criterio esterno per saggiare la
validità del test rispetto ad esso. Si divide principalmente in:
o validità predittiva, usa la probabilità di un comportamento futuro come criterio;
o validità concorrente (usa la somiglianza con altri test come criterio;
• validità nomologica: si riassume in un complesso di associazioni fra un costrutto ed una
molteplicità di criteri.

Oltre a dover rispettare queste caratteristiche di attendibilità e validità, per essere interpretato in modo
obiettivo, un test deve essere confrontato con i punteggi medi ottenuti da altri individui allo stesso reattivo.
È quindi necessario che lo strumento sia prima standardizzato su un campione normativo rappresentativo
della popolazione selezionato in modo casuale.

La psicodiagnosi si avvale della convergenza tra i risultati dei test psicologici e quanto emerso dai colloqui
diagnostici preliminari. Lo psicologo quindi per condurre una valutazione accurata svolgerà almeno due o
tre incontri con il soggetto per la raccolta delle informazioni anamnestiche per poi approfondire l’indagine
diagnostica con la somministrazione di una batteria specifica di test scelti opportunamente. Questo
protocollo conferma e rende oggettiva l’ipotesi psicodiagnostica.

Un test è una situazione stimolo, lo psicologo dovrà fare in modo che questa situazione sia il più neutrale
possibile cercando di attuale le modalità di consegna standard previste a seconda dello strumento (batteri
di test) che si vuole utilizzare. Utile risulta un confronto dei risultati di un test somministrato all’inizio di un
percorso (pre-test) e dello stesso test somministrato alla fine del percorso (post-test) per verificare la reale
efficienza della variabile introdotta (trattamento psicoterapeutico, psicofarmacologico ecc.)
I test psicologici (reattivi mentali) si possono distinguere in due grandi categorie: i test cognitivi e i test non
cognitivi.

I test cognitivi o test di livello perché misurano abilità cognitive come l’intelligenza, il profitto e le attitudini.
I test di abilità misurano le capacità degli individui in specifici ambiti cognitivi (verbale, matematico, spaziale
ecc.) mentre i test di intelligenza si basano su misure indirette di una caratteristica non osservabile e di
complesso significato, misurano le abilità generali di ragionamento e il punteggio di ogni individuo è
rapportato alla sua età o alla prestazione di un gruppo di riferimento. I più utilizzati sono le scale di
Wechsler e le matrici progressive di Raven.

La strutturazione della prima scala di intelligenza risale al 1939, le prove erano tarate in funzione dell’età
cronologica e tenevano conto del deterioramento fisiologico. Successivamente Wechsler passa dal concetto
di età mentale a l QI (Quoziente Intellettivo) elaborando una scala standardizzata con media 100 e
deviazione 15. Da successive elaborazioni si è poi sviluppato quello che è oggi il metodo più diffuso per
valutare il QI, il test WAIS-R (Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised), applicata anche per verificare un
eventuale deterioramento, individuare vari tipi di intelligenza distinguendole tra pratiche e verbali, per
individuare eventuali carenze intellettive. La sua grande diffusione ha permesso anche di elaborare scale
simili per i bambini in età prescolare WPPSI (Wechsler Prescolar and Primary Scale of Intelligence) e scolare
WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children).

Le Matrici Progressive di Raven valutano il grado di osservazione e la chiarezza di pensiero di un soggetto e


si utilizzano per esaminare la massima ampiezza delle abilità mentali a qualsiasi età indipendentemente dal
livello culturale e sono quindi lo strumento d’elezione per la misura dell’efficienza intellettiva in ogni
ambito. I test non cognitivi sono i test che valutano costrutti e caratteristiche di personalità e le risposte
dei soggetti non possono essere valutate come giuste o sbagliate ma valutate come auto-descrizioni dei
comportamenti e opinioni. Si distinguono:

• questionari standardizzati (diagnosi clinica, selezione del personale ecc.);


• intervista faccia a faccia (strutturata, semistrutturata ecc.);
• osservazione diretta del comportamento;
• tecniche proiettive.

Uno dei test più diffusi a livello mondiale è il MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) la cui
prima edizione risale al 1940 a cura di Hathaway, psicologo, e Mckinley, neuropsichiatra. Il loro obiettivo
era creare uno strumento pratico ed efficace per formulare diagnosi psichiatriche, determinare la gravità
del disturbo psicopatologico e valutare in modo obiettivo gli effetti di una psicoterapia o eventuali
mutamenti, spontanei o no, venutisi a creare nel tempo. La derivazione prettamente empirica, la sua
diretta applicabilità e la scarsa influenzabilità durante la somministrazione lo hanno portato ad essere
strumento d’elezione nella clinica e nella ricerca al fianco delle tecniche proiettive. Oggi è disponibile una
versione aggiornata chiamata MPPI-2. Questo strumento permette di individuare problematiche
psicopatologiche come disturbi della personalità, dell’umore, schizofrenici, e viene utilizzato in diversi
ambiti come può essere la selezione psicoattitudinale, o osservazioni transculturali.

Il MPPI, come tutti i questionari di autovalutazione, presenta i problemi specifici degli strumenti di indagine
“oggettiva”:

• possibilità di falsificazione nel tentativo di fornire una immagine prevalentemente positiva o


negativa di sé;
• tendenza a rispondere in base ad una personale interpretazione delle risposte proposte;
• variabilità nel rispondere dipendente da situazioni personali contingenti;
• il livello intellettivo e culturale influisce sulla comprensione degli item;
• genericità ed aspecificità poiché le considerazioni sulla elaborazione possono essere riferite a
diversi soggetti.
Per la valutazione psicodiagnostica completa non si può non ricorre anche alla somministrazione di test
proiettivi che permettono una indagine di caratteristiche della personalità difficilmente rilevabili con
l’osservazione diretta del comportamento, l’intervista o il questionario strutturato. Questa metodica lascia
il soggetto libero di fornire delle risposte aperte e può consistere nell’interpretare macchie di inchiostro
(test di Rorschach), disegnare delle figure (test della figura umana, test dell’albero ecc.) o raccontare una
storia partendo da uno stimolo visivo (TAT, Thematic Apperception Test o il CAT, Children Apperception
Test versione per bambini di età tra i 3 e i 10 anni, costituita da dieci storie di animali in situazioni diverse.)

La somministrazione di tali test deve rispettare le regole stabilite per ogni reattivo per tenere sotto
controllo tutte le variabili al fine di evidenziare le caratteristiche di personalità del soggetto.
Apprendimento e memoria
La memoria è la collezione di esperienze e informazioni registrata nel cervello. L’apprendimento è lo
strumento tramite il quale si acquisiscono nuove informazioni. Questa capacità in genere diminuisce con
l’avanzare degli anni.

Apprendimento

Per il comportamentismo l’apprendimento avviene per una associazione di stimoli e risposte. Pavlov (1927)
condusse uno studio su un cane che sottoposto a digiuno era poi esposto al cibo (stimolo incondizionato)
che ne provocava la salivazione misurata con l’ausilio di un tubo collegato alle ghiandole salivari. Uno
stimolo neutro come il suono di una campanella anticipava la presentazione del cibo e successivamente era
in grado da solo di provocare la salivazione. Il condizionamento classico (o pavloviano) comporta pertanto
l’associazione ripetuta in contiguità temporale di uno stimolo incondizionato e di uno stimolo condizionato,
in modo che alla fine la presentazione dello stimolo condizionato stesso porti a evocare una risposta
condizionata simile alla risposta incondizionata.

Skinner (1938) delinea una forma di apprendimento più complessa che chiama condizionamento operante
e si mette in atto con la somministrazione di ricompense e punizioni. Con la sua Skinner box, una gabbia
con una leva che dispensa cibo e il pavimento elettrificato, Skinner condusse esperimenti sui ratti. Rilevò
che rinforzi positivi (ricompense) aumentano la frequenza di un comportamento e rinforzi negativi
(punizioni) hanno l’effetto opposto.

Thorndike (1932) suggerisce che la forma più elementare di apprendimento comune a tutti i mammiferi
avverrebbe per prove ed errori ed il comportamento appreso è rinforzato da eventi a breve distanza (una
sorta di premi e punizioni) che ne aumentano o ne diminuiscono la frequenza. L’apprendimento verrebbe
rinforzato con l’esercizio e sarebbe più probabile quando il soggetto è pronto a riceverlo. Un esempio di
questo tipo di apprendimento lo ritroviamo negli atteggiamenti scaramantici tenuti dall’uomo.

Köhler (1958) sottolinea che la relazione tra stimolo e risposta non è sufficiente talvolta a descrivere
l’apprendimento. Con esperimenti fatti sulle scimmie Köhler scopre che ci sono momenti in cui vi è una
ristrutturazione cognitiva per risolvere un problema, fenomeno che chiama insight. Infatti le scimmie per
raggiungere il cibo utilizzano strumenti (bastoni, casse ecc.) come non hanno mai fatto prima.

Memoria

Esistono numerosi tipi di memoria, Hebb (1949) ha proposto una distinzione:

• la memoria a breve termine (MBT), dovuta ad una attivazione e elettrica e dal rapido decadimento;
• la memoria a lungo termine (MLT) dovuta alla crescita dei neuroni e da traccia duratura;

entrambe viste come magazzini separati in grado di interagire.

C'è un accordo generale sulla distinzione tra MLT e MLT e successive divisioni poiché ci sono sia dati
empirici sia evidenze neuropsicologiche che mostrano come alcuni danni cerebrali danneggino una
funzione specifica lasciando intatte le altre.

Si possono distinguere diversi tipi di MTB in base alla persistenza della traccia mnestica e alla funzione
assolta. La MLT si può classificare in base a tipo di informazione ritenuta (semantica, episodica,
procedurale). Questa suddivisione rende conto di dati empirici che mostrano la rapida perdita delle
informazioni se non vi è un ripasso. Una ulteriore suddivisione si può effettuare tra esplicita (informazioni
memorizzate consapevolmente) e implicita (conoscenze memorizzate senza eterne consapevolezza).
La memorizzazione delle informazioni avviene per stadi:

1. Codifica, stadio fondamentale in cui l'informazione viene decifrata. Se fallisce l'informazione non
viene memorizzata;
2. Immagazzinamento, consiste nella creazione, io ne della traccia mnestica che se registrata nella
MLT é potenzialmente permanente e può essere richiamata direttamente o attraverso un indizio;

L'amnesia è una perdita di memoria che può presentarsi dopo un danno o un deterioramento cerebrale
oppure in condizioni normali come L'amnesia infantile. Può essere retrograda, quando riguarda eventi
passati, anterograda se non si possono memorizzare nuove informazioni.

Memoria sensoriale

Uno stimolo lascia una traccia nella modalità sensoriale in cui si manifesta. I magazzini di memoria
sensoriale trattengono l'informazione per una brevissima durata. Quelli più studiati sono i magazzini della
memoria ecoica e della memoria iconica.

Memoria ecoica

Si può definire come l'immagazzinamento delle proprietà acustiche del suono. Esistono due forme separate
di memoria ecoica, una la cui traccia arriva fino a 300ms, una più lunga che ritiene le informazioni uditive
per una durata nell'ordine dei secondi.

Memoria iconica

Magazzino dedicato alla vista. Sperling attraverso alcuni esperimenti ha dimostrato che il magazzino
sensoriale ha un capacità piuttosto elevata ma é di rapido decadimento.

MBT

Sistema a capacità limitata che varia da persona a persona. L'informazione decade in un tempo dell'ordine
dei secondi ed è stimata essere intorno ai 7+o-2 elementi, lo span (capacità di ritenzione immediata di un
numero variabile di elementi come cifre o parole immagini, configurazioni spaziali ecc.). Il modello modale
proposto da Waugh e Norman (1965) reso celebre da Atkinson Shiffrin (1968) ipotizza che l'informazione
entri nel magazzino a breve termine che controlla il flusso in ingresso/uscita della MLT.

Effetto primacy ed effetto recency

Robinson e Brown (1926) hanno evidenziato l'effetto della posizione seriale: in un compito di richiamo gli
elementi iniziali (primacy) e finali (recency) di una lista precedentemente appresa vengono ricordati meglio
di quelli centrali.

La codifica

È l'elaborazione iniziale che porta alla rappresentazione dell'informazione in memoria. Alcuni esperimenti
hanno dimostrato differenti livelli di processamento e che l'informazione viene ricordata meglio quando
viene elaborata più profondamente.
Memoria di lavoro

Concetto proposto inizialmente da Miller, Galanteria e Pribram (1960) adottato da Baddeley e Hitch (1974)
per enfatizzare la natura multi modale della MBT e distinguere il loro modello dai precedenti. Può essere
suddivisa in 3 componenti:

1. il taccuino visuospaziale sub-componente utile per mantenere informazioni relative alle proprietà
visive e spaziali degli oggetti e in operazioni mentali come il capovolgimento di una immagine;
2. il ciclo fonologico deputato a mantenere le informazioni verbali un magazzino capace di trattenere
informazioni di tipo fonetico per qualche secondo prima che decidano tramite il processo di ripasso
che coincide col discorso interiore, il limite di informazione che può essere trattenuta
dipenderebbe da tale processo che avendo luogo in tempo reale permetterebbe ad un certo
numero di informazioni di essere ripassate. Facilità una serie di attività cognitive come il
ragionamento e l'apprendimento;
3. un esecutivo centrale sottosistema ipotizzato preposto al controllo attenzionale, uso,
coordinamento e manipolazione delle informazioni contenute negli altri moduli. Guida l'attenzione
e la rivolge verso il compito da eseguire.

Piu recentemente in questo modello è stato introdotto il buffer episodico, componente di


immagazzinamento dell'esecutivo centrale con la capacità di integrare informazioni da diverse fonti e di
immagazzinarle sotto forma di episodi. Una ulteriore componente della memoria di lavoro è il se di lavoro
(working self) che ha la funzione di diminuire la discrepanza tra lo stato attuale e l'obiettivo da desiderato
per regolare il comportamento. Tale funzione potrebbe attuarsi nella modifica dei ricordi o nella creazione
di false memorie per mantenere la coerenza dell'obiettivo. Potrebbe inoltre regolare l'accessibilità ai ricordi
della MLT.

La MLT

Tulving (1972) ha proposto una classificazione della MLT che tutt'ora è accettata distinguendo tre
componenti:

1. la memoria episodica, relativa ad eventi collocati in un contesto spazio-temporale di cui alcuni


sono autobiografici cioè l'esperienza vissuta personalmente che sono accompagnati da una ricca
rievocazione sensoriale e una particolare consapevolezza del ricordo. Due forze sembrano
governare questa memoria: la coerenza, i ricordi possono essere alterati o inventati per supportare
le proprie credenze e la propria immagine di se; la corrispondenza, il bisogno di congruenza con le
esperienze vissute. Vengono immagazzinati gli eventi che il sistema denota come rilevanti.
2. la memoria semantica, riguarda la conoscenza astratta non collocabile nel tempo e si riferisce alla
capacità di immagazzinare e richiamare conoscenze e fatti come categorie e tipi di eventi.
Organizzata per argomenti per cui il richiamo di un concetto facilita il richiamo di concetti
semanticamente collegati (effetto priming).
3. la memoria procedurale, una collezione implicita di informazioni che ci permettono di eseguire
compiti come camminare, guidare o andare in bicicletta. Una volta appresa una procedura la si
rievoca implicitamente.

Sistema di Memoria di Se (SMS)

Secondo questo sistema ogni ricordo ha una naturale propensione ad essere dimenticato se non inserito in
una rappresentazione a lungo termine e ipotizza un complesso meccanismo di obiettivi che consentirebbe
all'individuo di organizzare i ricordi altrimenti destinati all'oblio. La memoria autobiografica nel modello
corrisponde alla storia della vita e la sua organizzazione varia al variare degli obiettivi e consiste in un tema
centrale e una colonia di ricordi collegati. La memoria specifica o episodica (Tulving 1979) ha la funzione di
registrare sommariamente i contenuti della memoria di lavoro. I contenuti principalmente rappresentati da
immagini in ordine cronologico, possono essere attivati o inibiti per lungo tempo con la funzione di
registrazione a breve termine dei progressi dell'obiettivo corrente. In generale la memoria autobiografica
decade e il ricordo dei pensieri sembra decadere più velocemente rispetto alle azioni e ai luoghi.

Amnesia infantile

Si riferisce alla naturale assenza di ricordi autobiografici relativi ai primi anni di vita. Potrebbe essere
collegata sia all'incapacità di accedere a tali ricordi sia al fallimento nella codifica che avrebbe impedito la
memorizzazione. Secondo Schachtel e Neisser l'amnesia infantile è dovuta ad un cambiamento nel
funzionamento cognitivo da una modalità infantile ad una adulta. Secondo Freud i ricordi infantili sono
carichi di contenuti a carattere sessuale e psicosomatico, in età adulta poiché ritenuti socialmente
inaccettabili vengono repressi. Schachtel afferma che la ricostruzione dei ricordi sia funzionale agli attuali
obiettivi e che ricordi non compatibili possono essere ricostruiti o dimenticati. Secondo la prospettiva
teorica del SMS i ricordi infantili avrebbero codifica diversa dalla attuale codifica del se adulto, quindi
risultano inaccessibili.

Memoria procedurale e memoria implicita

Conoscenze e procedure specifiche non vengono intaccare dall'amnesia, per tale motivo Cohen e Squire
(1980) hanno ipotizzato l'esistenza di due strutture distinte, una memoria dichiarativa e una procedurale. la
prima comprende la conoscenza degli eventi e l'altra la conoscenza di procedure. un famoso paziente (HM)
non riusciva a memorizzare nuovi eventi ma memorizzava nuove procedure. L'apprendimento di nuove
procedure sembra possa avvenire in assenza di consapevolezza e questa caratteristica è alla base della
memoria implicita.

L'oblio

Un ricordo può non essere ricordato per due motivi: è mantenuto in memoria ma non è accessibile oppure
non è più presente. alcuni studi hanno dimostrato che è possibile inibire la memoria esplicita in maniera
volontaria. L'oblio può essere dovuto al naturale decadimento della traccia dovuto al tempo trascorso tra la
memorizzazione ed il richiamo o a interferenza tra le informazioni apprese. Secondo la teoria della
interferenza di Mcgeoch (1932) l'oblio sarebbe principalmente causato da interferenza proattiva (IP) o
retroattiva (IR). In quella proattiva una informazione precedentemente appresa interferirebbe con
l'apprendimento. La interferenza retroattiva entra in gioco quando, memorizzata una informazione, se ne
memorizzato altre che vanno a fare decadere la precedente.
Dalla percezione alla coscienza
Ogni frazione di secondo migliaia di stimoli raggiungono e vengono elaborati, alcuni in maniera
consapevole, altri in maniera inconsapevole dal nostro apparato percettivo che è sensibile ad una gamma
limitata di stimolazioni. Lo spettro visivo comprende solo una porzione dell'intero spettro elettromagnetico,
e l'apparato uditivo è in grado di rilevare onde sonore con una frequenza compresa tra 20 e 20.000
oscillazioni al secondo. tali limiti sono presenti anche nel tatto, nel gusto e nell'olfatto. A questi limiti si
aggiungono quelli cognitivi che restringono il campo delle informazioni elaborate istante per istante.
generalmente si accetta l'assunto che si può esser consapevoli di un solo stimolo alla volta, per seguire due
stimoli contemporaneamente l'unico modo è passare velocemente da uno all'altro. È anche possibile
ignorare il contenuto di una fonte di stimolazione (effetto cocktail party), l'attenzione però può essere
ripresa grazie ad uno stimolo saliente (es. una chiacchierata in sottofondo ignorata fino a quando non si
sente pronunciare il proprio nome). l'attenzione quindi è il mezzo che utilizziamo per portare gli stimoli alla
consapevolezza, e si pensa facciano parte dello stesso processo.

Apparato visivo e vie visive centrali

l'occhio è l'organo sensoriale in grado raccogliere stimoli luminosi che verranno tradotti e dotati di
significato a livello della corteccia cerebrale. Lo spettro visivo è compreso tra i 400 e i 700 nm. I segnali
luminosi colpiscono i neuroni denominati coni e bastoncelli (fotorecettori) situati sulla retina. Questi
neuroni traducono il segnale elettromagnetico dapprima in un segnale chimico poi elettrico. I coni sono i
fotorecettori deputati alla visione diurna, hanno una bassa sensibilità alla luce e si differenziano in tre tipi
sensibili a tre lunghezze d'onda differenti che ci consentono la visione dei colori. Sono più numerosi nella
parte centrale della retina, motivo per cui vediamo meglio al centro del campo visivo.

I bastoncelli sono i neuroni fotoelettrico deputati alla visione notturna e hanno una elevata sensibilità alla
luce consentendo la visione in condizioni di scarsa luminosità. Sono in numero maggiore dei coni e al
contrario sono più numerosi nella periferia della retina quindi l'immagine sarà più dettagliata se l'oggetto
osservato non è al centro del campo visivo. Coni e bastoncelli confluiscono in un punto della retina per
formare il nervo ottico, la luce che raggiunge quel punto non viene inviata al sistema nervoso questo causa
una macchia cieca nella immagine che il sistema nervoso riempie con dei meccanismi di compensazione.

Il problema del binding

Molti ritengono che l'unità Rieti della esperienza cosciente provi l'esistenza di un meccanismo deputato
all'unione dei vari aspetti della esperienza percettiva. Alcuni concordano che questo collante possa essere
l'attenzione. Senza l'attenzione possono essere percepite solo alcune caratteristiche elementari, mentre
per caratteristiche come l'identificazione e la localizzazione sia necessaria l'attenzione focale. Queste
osservazioni sono in linea con la teoria dell'integrazione delle caratteristiche, secondo cui l'informazione
riguardante le singole caratteristiche viene elaborata in parallelo e l'attenzione permette di l'unione delle
caratteristiche ed il riconoscimento, quindi ha un ruolo nel binding. Alla base di tale teoria vi è l'assunto che
le caratteristiche debbano essere dapprima ricongiunge per essere percepite ad un livello consapevole e
che a volte si verifica il fenomeno delle congiunzioni illusorie quando vi è il fallimento nella ricongiunzione
delle caratteristiche di uno stimolo visivo. Alcuni esperimenti suggeriscono che quando il sistema
attenzione è sovraccarico fallisce nel processo di binding e le caratteristiche visive percepite sono
ricombinante erroneamente. Nonostante l'illusione di unitarietà della esperienza cosciente sia forte è stato
accertato che non tutte le caratteristiche elaborate dalle diverse modalità sensoriali raggiungono la
consapevolezza contemporaneamente. Moutoussis e Zeki hanno fornito prove attraverso alcuni
esperimenti che viene dapprima percepito il colore, 30-40 MS dopo l'orientamento e 30-40 ms dopo il
movimento. la causa di tale asincronia sembrerebbe essere la separazione spaziale delle diverse aree
cerebrali specializzate nell'elaborazione delle caratteristiche.

Dallo stimolo alla rappresentazione

Affinché una immagine proiettata sulla retina sia associata ad una rappresentazione deve attraversare
molteplici stadi di elaborazione. Diversi aspetti dello stesso segnale sono elaborati da diverse aree della
corteccia cerebrale. L’informazione viaggia attraverso due vie principali, la dorsale per l’orientamento
spaziale e localizzazione degli oggetti e la ventrale verso le aree di memoria per l’identificazione degli
oggetti. Questa suddivisione è confermata da pazienti agnosici (agnosia, dal greco a-gnosis, "non
conoscere", è un disturbo della percezione caratterizzato dal mancato riconoscimento di oggetti, persone,
suoni, forme) che pur non presentando difetti nella visione hanno una difficoltà selettiva nel riconoscere
oggetti animali forme o volti familiari).

L’interpretazione dello stimolo visivo è stato oggetto di studio del movimento gestaltista, un approccio
teorico nato in Germania. Max Wertmeier (1994) indico come concetto fondamentale della gestalt “il tutto
è più della somma delle singole parti”, le esperienze non si possono considerare come singole entità ma
interagiscono ma interagiscono tra di loro e con strutture cognitive preesistenti. Secondo la gestalt un
campo omogeneo verrebbe percepito come sfondo, privo di forma, laddove quel campo presenti elementi
di discontinuità dallo sfondo indifferenziato verrebbe in primo piano una figura che risponde a determinate
caratteristiche:

1. prossimità, elementi vicini fra loro vengono percepiti come parte di una stessa forma;
2. somiglianza, gli oggetti più simili tra loro vengono raggruppati;
3. destino comune, gli elementi in movimento verso la stessa direzione vengono raggruppati;
4. pregnanza, in caso di più interpretazioni possibili verranno predilette figure che hanno significato;
5. esperienza, organizzazioni familiari saranno favorite rispetto a forme nuove;
6. continuità, configurazioni formate da linee continue vengono percepite come insieme;
7. chiusura, configurazioni chiuse vengono preferite a quelle aperte;
8. buona forma, vengono preferite configurazioni più semplici e coerenti possibile.

L’estrazione della forma determina il percetto che sarà associato ad una


rappresentazione (riconoscimento). Dalla stessa immagine retinica
sono possibili diverse interpretazioni alternative dipendenti dalla
organizzazione della forma (percetti multistabili).

I primi approcci teorici al riconoscimento erano basati


sull’accoppiamento dello stimolo visivo ad un prototipo contenuto in
memoria. Si chiama Pandemonium ed è stata sviluppata da Selfridge
con lo scopo di riprodurre il comportamento umano, una architettura Esempio di percetto multistabile: cubo di Necker,
la figura ha due possibili interpretazioni.
costituita da una gerarchia di demoni, paragonabili a dei recettori
specializzati nella detenzione (possesso) di configurazioni specifiche,
che hanno il compito di urlare nel caso in cui nella presentazione di una immagine ogni demone riconosca la
propria somiglianza con la configurazione nella immagine. Un demone gerarchicamente sovraordinato
riceve le urla dei vari demoni che e decide quale sia la configurazione più corrispondente a quella della
immagine. Questa struttura nonostante la sua semplicità ha una buona plasticità e capacità di
apprendimento ed è stata fonte di ispirazione per la moderna intelligenza artificiale.
Accesso alla coscienza

Il sistema visivo è capace di svolgere con precisione e velocità compiti molto complessi a volte in maniera
automatica. La comprensione di quelle situazioni in cui questo sistema fallisce può essere utile nella
comprensione dei meccanismi che regolano la percezione. In condizioni di disattenzione la capacità di
interpretare una scena è notevolmente ridotta, questo suggerisce che l’attenzione è un prerequisito
fondamentale della consapevolezza visiva. Questo fenomeno, studiato in laboratorio è noto come cecità
disattenzionale. Le prove consistevano nel presentare uno stimolo visivo mentre i partecipanti erano intenti
in alcuni compiti come poteva essere un’operazione aritmetica. Neisser e Becklen (1975) hanno proposto
due video sovrapposti di alcune persone, un gruppo con la maglia bianca e l’altro con la maglia nera, che si
passavano la palla, e ad un tratto, una donna con un ombrello aperto attraversava lo schermo. A chi
osservava veniva assegnato il compito di seguire una delle due squadre e di premere un pulsante ogni volta
ci fosse il passaggio della palla. Solo il 18 su 85 osservatori notavano il passare della donna. Simon e
Chabris, riprendendo questo test, hanno realizzato un video dal vivo, senza cioè l’effetto artificiale della
sovrapposizione. Al posto della donna ad attraversare lo schermo era un uomo con un costume da gorilla
che, arrivato al centro dello schermo si fermava per alcuni istanti e batteva i pugni sul petto. Il 50% dei
partecipanti al test, intenti a contare i passaggi falliva nella visione del gorilla. Si possono dedurre due
ipotesi:

• la selezione di un evento sul quale concentrare l’attenzione comporta una inibizione sia di eventi
ignorati, sia di eventi inattesi;
• l’osservatore percepisce l’evento inatteso ma verrebbe dimenticato immediatamente.

Questi studi comunque considerano la consapevolezza come un meccanismo unitario, assumendo


implicitamente che uno stimolo raggiunga una elaborazione cosciente quando l’osservatore è in grado di
riferirne la presenza.

Coscienza fenomenica e accesso

il modello di Schacter, uno dei pochi modelli teorici che considera la Rappresentazione del modello di Schachter
coscienza fenomenica, ipotizza che occhi e orecchie sono connessi a
moduli specializzati e che gli arti siano collegati al modulo del sistema di
risposta. Nel modello, la coscienza fenomenica consente al contenuto
dei moduli specializzati l'accesso all'esecutivo centrale, responsabile del
ragionamento e guida dell'azione. Il modello suggerisce che la capacità
nei pazienti blindsight di accedere ad alcune caratteristiche di una
immagine non percepita consapevolmente dipenda da un collegamento
diretto tra il sistema di risposta e l'esecutivo centrale. Sulla base di
questo modello, Block (1995) che considera la componente fenomenica in un modello di coscienza che sia
plausibile dal punto di vista neuropsicologico, suggerisce una distinzione tra P-Consciousness (coscienza
fenomenica) che corrisponde all'aspetto qualitativo della esperienza fenomenica con inclusi pensieri ed
emozioni, e la A-Consciousness (coscienza di accesso) con un ruolo cruciale nel ragionamento e nel
controllo razionale dell'azione. Principali distinzioni:

• Contenuti: nella P-C. sono fenomenici nella A-C. sono rappresentazionali;


• la A-C., a differenza della P-C. è un concetto funzionale, definito dalle relazioni funzionali tra i
moduli;
• I contenuti della A-C. possono essere accessibili in un dato momento e successivamente, pur non
scomparendo risultano inaccessibili.
Block (1995) ipotizza una doppia dissociazione tra le due coscienze (è possibile trovare una compromissione
nell'una e non nell'altra e viceversa). La P-C. in assenza della A-C. si può immaginare come la sensazione che
si prova quando, immersi nella lettura di un libro ci si rende conto della presenza di un rumore fastidioso
nel momento in cui smette. Il rumore presente come sottofondo, e raggiungeva i nostri organi sensoriali
nonostante non ne avessimo accesso. Non è altrettanto facile immaginare come una rappresentazione
possa essere evocata in assenza di esperienza fenomenica.
Il pensiero
Il pensiero rappresenta l'espressione più significativa della natura umana. Lo studio dei processi del
pensiero è stato dominio della tradizione speculativa e scientifica che a partire dalle digressioni filosofiche
di Aristotele, ha focalizzato l'attenzione sullo studio della logica e le regole, alle quali il pensiero per
risultare realistico deve conformarsi sulla base di concetti e giudizi. Le teorie psicologiche invece muovono
dal presupposto secondo cui l'attività psichica ha sempre una valenza bio/psico/sociale che ne definisce
struttura e funzioni e indicano il pensiero come una organizzazione psichica altamente complessa,
organizzata secondo il principio di realtà ma non limitata ai soli processi razionali ed intellettivi allargando
così l'analisi sperimentale e teorica alle componenti profonde, arazionali ed emotive che definiscono tutte
le diverse forme del pensare.

Le leggi dell'associazionismo e la formulazione dei concetti

Quotidianamente la psiche umana è esposta ad un numero eccezionale di stimoli. Per rispondere alla
complessità fenomenica l'attività psichica è organizzata attraverso processi di pensiero che volti alla
categorizzazione poiché funziona attraverso procedimenti percettivi e cognitivi di tipo economico, cioè
devono essere efficaci (risolvere il problema) ed efficienti (farlo utilizzando il minor numero di risorse).
L'assimilazione allo schema o alla categoria può essere spontanea o frutto di una attività di ricerca
perseguita consapevolmente.

Per struttura e funzione, i processi di pensiero e gli schemi empirici sono organizzati in modo tale che da un
primo livello di categorizzazione si possa passare, per gradi, ad un livello più complesso di categorizzazione
concettuale. I processi di categorizzazione si basano in primo luogo sul principio dell'associazione di idee
che a sua volta può essere riferito alla proprietà che hanno i fenomeni psichici di attirarsi gli uni con gli altri
nel campo della coscienza senza l'intervento della volontà e malgrado la sua resistenza. Aristotele postulo
tre leggi dell'associazionismo:

1. legge di contiguità, il pensiero di un oggetto evoca spontaneamente il pensiero di altri oggetti che gli
sono abitualmente vicini;

2. la legge di contrasto, un'idea può evocarne spontaneamente un'altra in contrasto con la prima;

3. la legge della somiglianza, il pensiero di un oggetto evoca facilmente il pensiero di oggetti simili.

I meccanismi di codifica e decodifica degli input ambientali tendono al graduale passaggio da una forma di
categorizzazione percettiva ad una più evoluta di categorizzazione concettuale.

I concetti possono essere definiti come una classe di oggetti aventi qualità comuni e distintive. Alla
formazione dei concetti concorrono due tipi di processi cognitivi:

• l'astrazione consente di veicolare la situazione di problem solving attraverso un comportamento


adattativo;
• la generalizzazione, attività psichica attraverso la quale il comportamento risulta costante in
relazione ad un elemento gia conosciuto a livello percettivo o mnestico, che può apparire in
situazioni diverse all'interno del campo percettivo.

Inoltre la categorizzazione consente una definizione concettuale degli oggetti e degli eventi attraverso:
• la connotazione, riconoscimento concettuale che comprende la classe completa a cui appartiene
un oggetto senza alcun riferimento ad un esemplare specifico;
• la denotazione, riconoscimento concettuale dell'oggetto attraverso le sue caratteristiche peculiari.

Gli studi di Heidbreder (1947) hanno permesso di ipotizzare che i processi di categorizzazione consentono
di distinguere in via preferenziale tre gruppi di concetti:

1. oggetti concreti; 2. forme spaziali; 3. numeri astratti.

Da queste premesse si evince che l'attività del pensiero opera sulla base di ipotesi percettive e cognitive,
verificate ed eventualmente confermate attraverso specifiche strategie di elaborazione delle informazioni.

Bruner, proseguendo il lavoro di Heidbreder, distinse due principali approcci strategici:

1. messa a fuoco, meccanismo di raccolta di informazioni "per selezione" caratterizzata da un


processo di eliminazione degli input non rilevanti basato sul confronto di ciascun esemplare
presente nel campo percettivo;
2. scanning, processo di esplorazione simultanea o successiva cognitivamente guidato da una ipotesi
specifica circa la soluzione del compito percettivo.

Le diverse forme di pensiero

Da un punto di vista prettamente psicologico, uno studio approfondito ha distinto diverse forme di
pensiero.

Il pensiero produttivo

L'attività psichica utilizzata prevalentemente nelle situazioni di problem solving, quando il compito
cognitivo non può essere risolto attraverso gli schemi di comportamento già acquisiti. Il problema cognitivo
non definisce sempre una situazione del tutto sconosciuta quanto piuttosto un campo di stimoli che
devono essere rielaborati attraverso un processo di ristrutturazione funzionale di tutti gli schemi a
disposizione. Gli atti produttivi del pensiero si basano su due tipologie di processi elaborativi
potenzialmente complementari:

1. processo di induzione con una analisi down-up, consente la soluzione del compito a partire dai dati
a disposizione;
2. processo di deduzione, atto di intelligenza up-down caratterizzato dalla raccolta ed uso di dati sulla
base di una ipotesi di partenza e dello scopo da raggiungere.

Kohler e Werthmeier hanno distinto dal pensiero produttivo in cui la soluzione non viene appresa ma
compresa attraverso un processo di insight, una nuova forma di consapevolezza circa la relazione
funzionale che intercorre tra gli elementi percepiti nel campo, il pensiero riproduttivo caratterizzato
dall'applicazione automatica e passiva di schemi di riferimento pre-esistenti.

Il pensiero quotidiano

entra in azione nelle varie problematiche di ogni giorno, in cui senza compiere uno sforzo logico o
scientifico, trascurando le lacune delle informazioni a disposizione, si prende posizioni e si arriva alla
soluzione del problema cognitivo. In sintesi, il pensiero quotidiano ha le seguenti caratteristiche:

• su un piano verbale si distingue per la perentorietà delle affermazioni che lo contraddistinguono a


dispetto delle motivazioni oggettive;
• è fortemente orientato verso prese di posizione decise, spesso rigide e ben definite;
• esclude la possibilità di verificare ulteriori dati oggettivi a conferma delle ipotesi;
• tende alla generalizzazione e alla convenzione sociale attraverso il principio dell'omogeneità
massimale;
• esclude la possibilità di valutare ulteriormente le conclusioni che vengono ritenute
aprioristicamente corrette;
• nelle situazioni di problem solving limita la possibilità di ristrutturare il campo cognitivo.

Il pensiero prevenuto

è una estremizzazione del pensiero quotidiano, tende a radicalizzare in modo stereotipato ipotesi,
atteggiamenti e affermazioni sulla base di una componente affettiva e arazionale che ne condiziona
pervasivamente la modalità di espressione. è definito dalla tendenza ad esprimersi attraverso due
specifiche organizzazioni concettuali:

• gli stereotipi, credenze ultra-semplificate e astratte;


• i pregiudizi, generalizzazioni concettuali sempre confermate a mezzo di una falsa operazione
deduttiva.

La coerenza interna degli stereotipi e dei pregiudizi nega i principi del metodo sperimentale ed è
erroneamente confermata attraverso il mantenimento di valutazioni concettuali rigide ed immodificabili, a
dispetto della esperienza e di dati empirici. Da una simile distorsione cognitiva emergono:

• una errata operazione induttiva risultato delle generalizzazioni;


• una falsa operazione deduttiva, affermazione che non tiene conto dei dati di realtà che non
confermerebbero l'ipotesi di partenza.

Il pensiero prevenuto può essere considerato come una matrice di complessi ideo-affettivi a carattere
difensivo, utilizzato per la proiezione o lo spostamento di sentimenti o pulsioni aggressive veicolate contro
persone o gruppi allo scopo di esaurire la tensione interna.

Il pensiero nevrotico

È utilizzato con modalità e scopi difensivi nelle situazioni avvertite come potenzialmente minacciose per
l'integrità dell'Io. I meccanismi di difesa hanno una valenza prettamente inconscia e tendono ad operare su
quattro livelli specifici:

1. negano l'evidenza percettiva;


2. negano la relazione della percezione minacciosa con l'Io;
3. esprimono con modalità proiettive i sentimenti minacciosi indirizzandoli su altri oggetti o
divergendoli sul piano temporale e spaziale;
4. tendono alla negazione ed alla intellettualizzazione delle emozioni;

Dalla letteratura Feudiana si evincono le seguenti caratteristiche:

• sono lo strumento principale con cui il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti;
• sono inconsce;
• sono discrete l'una rispetto all'altra;
• tendono ad essere reversibili;
• possono essere sia adattative che patologiche.
I meccanismi di difesa distorcono e restringono il campo di realtà sulla base di principi logici ed intellettuali
applicati in modo parziale spesso fondati su premesse errate. Per queste caratteristiche il pensiero
nevrotico si esprime con modalità ambigue, spesso attraverso una visione dicotomica della vita in cui
l'equilibrio psichico è sospeso nel conflitto tra coppie di opposti.

Il pensiero psicotico

Rappresenta una evidente deviazione dal modello e dalle funzioni del pensiero logico. Si definisce
attraverso una serie di meccanismi di funzionamento totalmente inconsci ed automatici che sul piano
manifesto si presentano in con caratteristiche fenomenologiche assurde e incoerenti. Il pensiero psicotico
si basa su azioni mentali in cui le emozioni, l'ansia o l'angoscia, portano ad una evidente distorsione
dell'esame di realtà. In sintesi il pensiero psicotico si definisce attraverso alcune caratteristiche:

• Utilizzo della metafora per necessità e non per motivi estetici;


• Prevalenza del pensiero paleologico; (accomuna gli psicotici ad alcuni primitivi nel dedurre, ad
esempio, l’identità del soggetto dall’identità dei predicati, es.: “La Svizzera è neutrale, io sono
neutrale, dunque io sono la Svizzera”).
• Confusione tra mondo fisico e mondo psicologico;
• La causalità mediante deduzione logica è sostituibile dalla causalità mediante spiegazione
psicologica;
• Tendenza ad interpretare i fenomeni sulla base delle percezioni e non dei concetti;
• Le idee si ricollegano ai casi specifici e non riguardano classi, gruppi o categorie concettuali,
distorcendo i principi della logica associazionistica e del sillogismo;
• Il principio cognitivo di astrazione è prevalentemente sostituito con quello di identificazione
(l'associazione per somiglianza è sostituita dall'identificazione per somiglianza).
La comunicazione
In italiano il significato della parola comunicazione è: trasmissione, partecipazione, diffusione di qualcosa
agli altri. Nella linguistica indica uno scambio di informazioni mediante uno o più linguaggi (verbale,
gestuale, iconico, musicale ecc.) tra un emittente e un destinatario.

Il singolo atto comunicativo è composto da diversi elementi:

• un emittente, fonte della informazione;


• un ricevente, destinatario della informazione;
• un codice, come può essere la parola, scritta o parlata, una immagine o un comportamento;
• un canale, il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore, scrittura, onde
elettromagnetiche e informazione digitale ecc.)
• un contesto, l'ambiente in cui si attua il processo comunicativo;
• un referente, l'oggetto della comunicazione.

Il processo comunicativo inizia dall'emittente che codifiche l'informazione che intende trasmettere e le
invia al ricevente che fornirà un feedback che permetta all'emittente di capire se il messaggio è stato
ricevuto, diventando quindi anch'esso emittente in un processo circolare che utilizza diversi codici.

Si distinguono tre tipologie di codice contemporaneamente utilizzati nella comunicazione umana:

1. il verbale, le parole, il lessico, i concetti;


2. il paraverbale, il tono della voce, il ritmo, l'accento;
3. il non verbale, i gesti, la mimica, la postura, la distanza interpersonale.

Gli aspetti paraverbali e non verbali costituiscono gli aspetti pragmatici, cioè quelli che hanno influenza sul
comportamento dei parlanti e sono presenti nell'essere umano prima che sviluppi il linguaggio verbale.

Lo studioso che più si è occupato della comunicazione umana e Paul Watzlawick e ha formulato cinque
assiomi fondamentali.

Primo assioma: è impossibile non comunicare

Il comportamento non ha un suo opposto, quindi è impossibile non comportarsi e ogni comportamento
comunica qualcosa.

Secondo assioma: ogni atto comunicativo ha un livello di contenuto e uno di relazione, tale per cui il
secondo conferisce significato al primo

Nella trasmissione di un messaggio vengono sempre veicolati due componenti, quella dell'informazione che
veicola il contenuto del messaggio, e la componente di comando che si riferisce alla relazione tra i
comunicanti. Quanto più una relazione è sana e spontanea tanto più l'aspetto relazionale recede sullo
sfondo. È quindi possibile identificare come comunicazione l'aspetto di notizia del messaggio, e
metacomunicazione l'aspetto di comando. Quindi ogni aspetto di contenuto viene qualificato dall'aspetto
della relazione.

Terzo assioma: la punteggiatura della sequenza di eventi

Chi partecipa alla comunicazione decodifica le due componenti veicolate messaggio e relazione e reagisce
secondo quello che Bateson (1972) ha definito punteggiatura della sequenza di eventi. Non è mai buona o
cattiva ma organizza gli eventi comportamentali. I conflitti relazionali spesso sono basati su una
punteggiatura conflittuale e ogni parlante tende a vedere il proprio comportamento come causato da dal
comportamento dell’altro e lo accusa di esserne la causa. Questo problema è risolvibile se si parla in
termini di metacomunicazione, parlando cioè della relazione e non del contenuto.
Quarto assioma: la comunicazione può essere digitale (numerica) o analogica:

la comunicazione numerica utilizza simboli (i caratteri delle parole ad esempio), serve a scambiare
informazioni sugli oggetti e a trasferire la conoscenza, quella analogica si espleta attraverso la
rappresentazione ed è idoneo a veicolare la definizione della relazione. Nel momento in cui la relazione è
conflittuale, il modulo digitare perde importanza e diventa uno strumento nella lotta che ha come obiettivo
ristabilire una regola relazionale. L’uomo ha quindi la necessità di combinare i due moduli e la discordanza
tra essi è alla base di molti processi comunicativi disfunzionali.

Quinto assioma: ogni scambio comunicativo può essere simmetrico o complementare

Gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari. Si ha un’interazione simmetrica quando gli
interlocutori, attraverso il loro modo di comunicare, dimostrano di essere sullo stesso piano, come nel caso
di amici o colleghi. Invece, un’interazione complementare ha luogo quando un interlocutore si pone in una
posizione superiore (one-up) e l’altro inferiore (one-down), come ad esempio, gli scambi comunicativi tra
capo e dipendente oppure tra genitore e figlio.

Le competenze comunicative ad ogni età

I neonati

A partire dagli anni 60 sono state dimostrate alcune fondamentali competenze dei neonati che utilizzano
nella vita di tutti i giorni per entrare in relazione con le persone a lui vicine:

• hanno la capacità di guardare volontariamente uno stimolo visivo e di orientare occhi e testa per
seguirlo qual ora fosse in movimento. Ad una distanza ottimale di circa 20 cm hanno una immagine
retinica chiara e sono in grado di riconoscere il volto materno sin dalla nascita.
• hanno la capacità di discriminare suoni, di riconoscerne la direzione di provenienza e di produrne
con l’intenzione di comunicare. Il pianto ha finalità comunicative e si è scoperto che si differenzia
quando il bambino è lontano dalla mamma o è a contatto.
• Sono in grado di riconoscere gli odori e discriminare l’odore materno dall’odore di altre madri.
• A poche ore di vita sono in grado di coordinare movimenti di mano e bocca, infatti si è visto che la
bocca viene aperta un attimo prima che il braccio porti la mano in prossimità.
• Il contatto tattile sembra essere particolarmente importante e sembra avere effetto sulla
organizzazione sonno veglia dei neonati pretermine. Il contatto fisico dopo la nascita favorisce
l’instaurarsi del legame di attaccamento della madre verso il bambino favorendo l’emergere delle
capacità di cura materne.
• Sono in grado di imitare e studi sostengono che lo facciano con fini comunicativi.
• Poco dopo la nascita i neonati sono in grado di riconoscere un testo letto durante l’ultimo
trimestre di gestazione Bambini di tre mesi sono in grado di riconoscere dopo diversi giorni una
situazione già sperimentata e di agire di conseguenza.

Alcuni studi hanno portato ad ipotizzare l’esistenza di una intersoggettività primaria (capacità di adattare il
controllo soggettivo del proprio comportamento alla soggettività dell’altro per poter comunicare).
L’interazione ha come finalità di raggiungere un solido legame di attaccamento - affiliazione e quello di
condividere la conoscenza del mondo esterno e l'oggetto della comunicazione è la relazione, più
precisamente l'esperienza della relazione, la regolazione nella relazione con l'altro di quella zona di
benessere intersoggettivo compresa tra isolamento e fusione. Secondo Trevarthen esistono due
motivazioni di base negli esseri umani, una all'interazione con le persone e sarebbe alla base
dell'intersoggettività primaria, la seconda alla interazione con gli oggetti alla base dell'intersoggettività
secondaria nella quale sarebbe evidente l'intenzione comunicativa.
lo sviluppo del linguaggio nel contesto dello sviluppo del senso del se con l'altro

il linguaggio nel suo sviluppo procede attraversando alcune tappe:

• 0-6 mesi: pianto, vocalizzazioni, tubare, sono le produzioni vocali presenti dalla nascita che
caratterizzano tutte le interazioni caregiver-neonato si inseriscono nei turni comunicativi e nelle
pause verbali del adulto.
• dai 6 mesi in poi compare la lallazione: produzione di sequenze di sillabe ripetute più volte
utilizzando le stesse consonanti vocali (da-da-da-da lallazione canonica) dai 10 mesi in poi la
sequenza di sillabe è più complessa (ba-ta-pa lallazione variata)
• tra gli 11 e i 12 mesi compaiono le prime parole (di solito versi di animali, nomi di cibi ecc.)
utilizzate inizialmente in contesti specifici e in situazioni ritualizzate, successivamente in contesti
diversi (uso referenziale). la produzione delle prime parole è in una prima fase legata alle
sollecitazioni del adulto in una fase intermedia per anticipare o ricordare una azione, infine come
simboli per categorizzare la realtà che lo circonda. L'evoluzione dell'utilizzo delle parole parte da
una forte contestualizzazione e ipoestensione (cane per indicare solo il proprio cane) passa per
l'iperestensione (cane per indicare tutti gli animali a 4 zampe) fino ad arrivare alla
decontestualizzazione. Tra i 18 e i 24 mesi si assiste ad una vera e propria esplosione del
vocabolario. Inizialmente le parole sostituiscono le frasi intere (olofrasi), attorno ai 24 mesi i
bambini utilizzano un linguaggio telegrafico. Intorno ai 36 mesi si assiste ad una esplosione della
morfologia ed i bambini iniziano ad utilizzare tutte le parti di una frase.

Queste alcune posizioni teorie che spiegano lo sviluppo del linguaggio:

• La posizione innatista, primo esponente Chomsky, ipotizza l'esistenza di un dispositivo innato per
l'acquisizione del linguaggio (Language Acquisition Device). Questa posizione presuppone che lo
sviluppo del linguaggio sia un processo attivo col quale il bambino scopre progressivamente le
regole della grammatica universale.
• per la posizione interazionista, primo esponente Piaget, l'acquisizione del linguaggio strettamente
legata e dipendente dallo sviluppo cognitivo che è il risultato dell'interazione tra schemi cognitivi
gia presenti ed esperienza e segna il passaggio dall'intelligenza sensomotoria a quella
rappresentativa.
• la posizione funzionalista presuppone l'esistenza di una relazione di continuità tra la comunicazione
prelinguistica e la comparsa del linguaggio. Brumer (1983) postula l'esistenza di un sistema di
supporto all'acquisizione del linguaggio (Language Acquisition Support Sistem) fornito
dall'ambiente sociale. Tipico esempio è il motherese, il tipico linguaggio utilizzato dai caregiver nella
interazione con i piccoli (parlare lento, tono della voce più alto, pause più lunghe, frasi brevi,
limitato uso di vocaboli ecc..) linguaggio che risulta adeguato alle competenze comunicative dei
bambini.

Si può, da queste tre posizioni dedurre che alle necessarie basi biologiche, l'interazione sociale attiva le
predisposizioni e fornisce al bambino la base per imparare ad usare il linguaggio. Allo sviluppo della
competenza comunicativa procede parallelamente lo sviluppo del se.

introdurre lo schema eventualmente

Con l'acquisizione del linguaggio il bambino ha accesso ad un nuovo modo di stare in relazione con gli altri e
raggiungere un nuovo livello di interazione e costringe il bambino ad introdurre una discontinuità nella
esperienza globale poiché non esistono abbastanza parole per descrivere tutti gli aspetti salienti della
esperienza relazionale vissuta soggettivamente. Ci sono esperienze che vengono vissute a livelli nucleari o
intersoggettivi della relazione che le parole non possono rendere in alcun modo ma che sono
completamente reali. Queste esperienze possono essere rese meglio dagli aspetti non verbali ed analogici
della comunicazione e a volte possono essere catturate in metafore o poesie. Queste esperienze,
inaccessibili al linguaggio e alle parole, sono considerate alla base della creatività degli esseri umani.

Attorno ai 4 anni il bambino raggiunge la maturazione del se narrativo, la capacità di raccontare in prima
persona le esperienze e gli avvenimenti che gli capitano. Diventa consapevole che gli aventi del racconto,
oltre a riguardare lui, appartengono ad un tempo diverso dal presente.
Le emozioni
Darwin sviluppo la sua teoria sulle emozioni a partire dall'osservazione dei comportamenti di uomini e
animali, e giunse alla conclusione che le emozioni sono essenziali alla sopravvivenza e all'adattamento. I
dati raccolti portarono Darwin a formulare tre principi generali:

• principio delle abitudini associate utili, alcuni atti complessi hanno un'utilità diretta o indiretta in
certi stati d'animo perché alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri e così via;
• principio dell'antitesi, secondo cui certi stati d'animo provocano particolari atti abituali che hanno
un'utilità. Quando sopravviene uno stato d'animo che sia l'esatto opposto del precedente si ha una
forte e involontaria tendenza a eseguire, quand'anche siano del tutto inutili, movimenti dii natura
opposta, in alcuni casi altamente espressivi;
• principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso, per il quale una forte
eccitazione dello stesso si manifesta attraverso modificazioni somatiche (rossore, sudorazione ecc.)

Darwin constatò che vi sono alcune espressioni emozionali simili in molti animali, che alcune espressioni
emozionali compaiono sia negli adulti che negli infanti, che appaiono identiche in bambini normo-dotati e
bambini ciechi e in maniera simile in individui di culture diverse, quindi dichiarò che le emozioni sono
innate e col suo lavoro diede inizio ad un filone di studi e a un rinnovato interesse su una tematica
affascinante e in quel momento controversa.

La teoria periferica di James

Per William James l'esperienza emozionale altro non è che la percezione soggettiva di una serie di
modificazioni vegetative (respirazione, circolazione, digestione) che possono riguardare, ad esempio,
espressioni facciali e comportamentali in risposta ad uno stimolo emotigeno (stimolo interno o esterno in
grado di generare risposta emozionale). Per James è la percezione delle modificazioni viscerali, motorie o
espressive a produrre la sensazione di paura. Affermava che tale meccanismo era da attribuirsi alle sole
emozioni grezze e non a emozioni più sottili che considerava forme cerebrali di piacere o dispiacere.
Affermò che ogni emozione è caratterizzata da uno specifico pattern di attivazione viscero-somatica e si
avvalse della teoria evoluzionistica di Darwin sostenendo che si tratta di comportamenti adattativi eseguiti
volontariamente dai nostri avi quindi assimilati in maniera automatica e trasmessi ereditariamente. James
non produsse sufficienti prove empiriche a sostegno della sua teoria. Contemporaneamente a James, Carl
Lange elaborò una teoria sulle emozioni centrata sulla percezione delle modificazioni fisiologiche. Lange
descrisse tre diversi distretti muscolari coinvolti nella percezione delle diverse sensazioni emozionali.

La teoria centrale di Cannon

Walter Cannon criticò la teoria periferica di James a partire da una serie di dati che si articolano in 5 punti:

1. la mancanza di feedback sulle modificazioni viscerali non ha un apparente effetto sulla


espressione emotiva. Da esperimenti fatti su cani ci sia accorse che nonostante il sistema
nervoso centrale non ricevesse feedback dalle modificazioni viscerali continuavano ad avere
reazioni emozionali;
2. le stesse modificazioni viscerali possono presentarsi in differenti emozioni oltre che in
comportamenti non emotivi. la tachicardia si presenta in stati emotivi differenti, paura e rabbia,
oppure dopo e durante uno sforzo;
3. i visceri sono relativamente insensibili, in un soggetto non anestetizzato, lacerare o bruciare
chirurgicamente un organo interno non produce dolore;
4. i cambiamenti fisiologici associati alle emozioni sono eccessivamente lenti rispetto alla velocità
con cui percepiamo una emozione;
5. l'induzione artificiale di certe modificazioni viscerali tipiche di certe emozioni forti non produce
sensazioni emozionali. Iniezioni di adrenalina in soggetti normali pure producendo una serie di
sintomi non inducevano reazioni emozionali.

Cannon elaborò quindi una sua teoria secondo la quale l'esperienza emotiva dipende dall'attività di alcune
strutture del sistema nervoso centrale quindi il feedback viscerale assume un ruolo secondario nella
produzione delle sensazioni emozionali. In accordo con Cannon, Bard (1950) riconobbe il centro di
attivazione dei pattern emozionali nel sistema nervoso centrale, ma non nel talamo come aveva ipotizzato
Cannon, bensì nell'ipotalamo.

La teoria cognitivo-attivazionale di Schatcher e Singer

Schatcher e Singer con la loro teoria dei due fattori cercarono di dare risposta ad attivazioni viscerali simili
che avevano luogo sia nella rabbia che nella paura. Secondo la loro teoria il vissuto emotivo risulta dalla
combinazione di uno stato di aurosal (eccitazione) fisiologico e la valutazione cognitiva ditale stato in
relazione alle sollecitazioni ambientali. La teoria poggia sui seguenti postulati:

1. se la persona non riesce a comprendere la ragione dello stato di attivazione fisiologica cercherà di
trovare una spiegazione plausibile nel contesto;
2. se una persona è in grado di trovare una spiegazione appropriata al proprio stato di aurosal allora
non avrà bisogno di trovare elementi nel contesto per interpretare lo stato soggettivo:
3. l’interpretazione cognitiva necessita sempre di una attivazione fisiologica.

A sostegno della loro teoria vi erano i risultati di un esperimento da loro condotto su diversi gruppi di
studenti universitari del Minnesota University. Ai partecipati venne detto che avrebbero testato una nuova
vitamina per valutarne gli effetti sulla vista, in realtà gli fu somministrata adrenalina. Vennero distinti i
seguenti gruppi:

a. gruppo informato sugli effetti collaterali della sostanza (sudorazione, tachicardia, rossore, brividi);
b. gruppo mal informato a cui era stato detto che la sostanza avrebbe prodotto sintomi come mal di
testa;
c. gruppo non informato, nessuna informazione fornita riguardo gli effetti della sostanza;
d. gruppo di controllo, a cui era stato iniettato un placebo;

Dopo l’iniezione della sostanza i partecipanti venivano sottoposti a situazioni di euforia (un complice si
comportava in maniera sciocca, correndo e giocando con aeroplanini di carta) e di rabbia (mentre i
partecipanti compilavano un questionario imbarazzante nella stanza il complice si comportava come se
fosse arrabbiato). Ai partecipanti fu chiesto di autovalutare il proprio grado di euforia e rabbia. Dai risultati
si evinse che chi era informato sugli effetti collaterali della sostanza era stato meno influenzato nelle due
situazioni di rabbia ed euforia poiché sapevano che ciò che stavano provando erano gli effetti collaterali
dell’adrenalina. Nonostante la discutibile procedura utilizzata, questo esperimento ha avuto il merito di
aver attenzionato il ruolo dei fattori cognitivi nel determinare gli stati emozionali.
La teoria cognitivo-motivazionale-relazionale di Lazarus

Alla base della teoria formulata da Lazarus (1966) c'è il concetto di appraisal, la valutazione cognitiva che
guida la decisione del soggetto in relazione ai danni o benefici che può ricavare da una specifica situazione.
Lazarus distingue tre tipi di appraisal:

• appraisal primario, la valutazione della situazione in relazione ai propri obiettivi (quanto cioè la
situazione stimolo ostacola o facilita il raggiungimento di uno scopo);
• l'appraisal secondario, la valutazione di come gestire la situazione stimolo (coping);
• il re-appraisal, la valutazione del cambiamento che si può ricavare nella relazione con l'ambiente in
funzione dell'appraisal primario e secondario.

L'emozione è quindi il prodotto di un processo cognitivo continuo.

La teoria cognitiva di Frijda

Nico Frijda considera la centralità delle valutazioni cognitive, valori e credenze, nella produzione delle
emozioni, risultato (outcome) di un processo sequenziale che dallo stimolo emotigeno procede sino
all'esecuzione della azione.

Il primo stadio riguarda la decodifica dell'evento a cui succede l'appraisal primario in cui lo stimolo viene
valutato in relazione ai bisogni. Segue l'appraisal secondario ovvero la valutazione delle possibili azioni. Il
passaggio successivo riguarda la valutazione delle priorità, ovvero la valutazione delle urgenze e delle
difficoltà. Dopo questo processo si genera il piano d'azione o una tendenza all'azione. L'ultimo stadio è
l'esecuzione dell'azione.

La Teoria psicoevoluzionistica di Plutchik

La teoria di Plutchik si articola nei seguenti postulati:

1. le emozioni sono meccanismi comunicativi e di sopravvivenza fondati su adattamenti evolutivi.


Ripropone quindi l'ipotesi di Darwin sulla duplice funzione delle emozioni per garantire la
sopravvivenza e la comunicazione delle proprie intenzioni;
2. le emozioni hanno una base genetica, a sostegno di questo postulato le affermazioni di Darwin
della presenza in molti animali di simili espressioni emozionali, della presenza nei lattanti di alcune
espressioni emozionali degli adulti, nella presenza di attivazioni emozionali simili nei bambini nati
ciechi e i normovedenti e sulla presenza di espressioni simili in popolazioni di culture diverse.
3. le emozioni sono costrutti ipotetici basati su varie classi di prove. Le prove utilizzate per inferire le
emozioni sono:
o la conoscenza delle condizioni stimolo;
o la conoscenza del comportamento di un organismo in una varietà di situazioni;
o la conoscenza di quale sia il comportamento tipico della specie;
o la conoscenza delle reazioni dei pari a quel comportamento;
o la conoscenza dell'effetto del comportamento di un individuo sugli altri.
4. le emozioni sono catene complesse di eventi con circuiti di feedback stabilizzanti che producono
qualche tipo di omeostasi comportamentale. All'origine dell'emozione vi è la valutazione
dell'evento che produrrà sensazioni e modificazioni fisiologiche che genereranno una tensione
quindi l'impulso ad agire. In base alla forza di tale impulso si potrà produrre un comportamento
manifesto (feedback per salvaguardare il benessere dell'individuo).
5. la relazione fra emozioni si può rappresentare con un modello strutturale tridimensionale a forma di
cono dove le emozioni di diverso grado di intensità sono disposte verticalmente, orizzontalmente le
emozioni sono affiancate per somiglianza e ognuna ha difronte il suo opposto.
6. le emozioni sono collegate ad alcuni campi concettuali derivati che riguardano le emozioni tristi, i
tratti di personalità, le difese dell'io, le categorie diagnostiche, gli stili di coping, gli atteggiamenti
comportamentali, l'esperienza soggettiva, la valutazione soggettiva dello stimolo. Emozioni
derivate come ostilità e senso di colpa sono la combinazione delle emozioni primarie (rabbia e
disgusto, rabbia e paura). Anche i tratti di personalità vanno considerati nella loro natura emotiva
(es. il timido avrà predominanti sentimenti di paura). La depressione può essere considerata
l'espressione estrema della tristezza.

Il Programma Espressione Facciale

Il volto e ciò attraverso cui le emozioni esprimono all’esterno le intenzioni individuali. A partire dagli anni
ottanta numerosi ricercatori hanno sviluppato tecniche di osservazione e categorizzazione delle espressioni
facciali che hanno portato ad una serie di assunzioni, di seguito sintetizzate, raccolte in quello che viene
denominato Programma Espressioni Facciali:

• le espressioni facciali sono il prodotto di un numero ristretto di emozioni definite “di base” o
“primarie”: gioia, tristezza, rabbia, paura, sorpresa, disgusto;
• le emozioni di base sono determinate geneticamente, universali e ognuna si caratterizza da:
• un comportamento facciale;
• un’esperienza cosciente distinta
• le espressioni facciali hanno natura comunicativa, ciò risulta fondamentale per l'adattamento;
• uno stato mentale emotivo senza ina precisa espressione facciale non è una emozione di base;
• le emozioni secondarie risultano dalla combinazione delle primarie;
• sono presenti delle regole di esibizione, culturalmente apprese che prescrivono il controllo e la
modificazione delle espressioni facciali;
• lo stato emotivo è rivelato dalla misurazione facciale;
• lo stato emotivo può essere in parte influenzato dal feedback propriocettivo proveniente dai
muscoli facciali;
• le emozioni di base sono riconoscibili in tutte le culture;
• la capacità di riconoscere le emozioni di base è innata e non determinata culturalmente;
• il riconoscimento della emozione non viene influenzato nel contesto in cui si presenta (riconoscere
la tristezza espressa dal viso nonostante la persona affermi di essere felice);

Una delle tecniche di misurazioni dei movimenti facciali più conosciute è il Facial Action Coding System
sviluppata da Ekman e Friesen che distinguono quattro segnali essenziali per il riconoscimento facciale:

• segnali facciali statici, i tratti determinati dalla struttura ossea relativamente permanenti;
• segnali facciali lenti, i cambiamenti che avvengono lentamente nel tempo (es. rughe);
• segnali artificiali, cambiamenti del viso legato all'uso di componenti esterni (es. occhiali);
• segnali facciali rapidi, modificazioni nell'attività neuromuscolare che portano a visibili variazioni
nell'apparenza facciale.

Emozioni e sentimenti secondo Damasio

In "L'errore di Cartesio" Antonio Damasio (1994) propone una rilettura del rapporto mente corpo
proponendo il superamento dell'idea della tradizione filosofica inaugurata da Cartesio che divideva le due
parti, e anche una interessante riflessione sul rapporto fra emozioni e cognizione, partendo dalla
distinzione tra emozione e sentimento. Secondo Damasio ogni scelta non può prescindere dalla
integrazione tra mente e corpo ed il processo decisionale ha radici complesse e profonde e le scelte
sarebbero influenzate da "marcatori somatici" lasciati da esperienze passate. I marcatori somatici ci
guidano nelle scelte attraverso la lettura di uno specifico stato emotivo corporeo associato alla situazione.
Le emozioni sono considerate come pubbliche, visibili agli altri nel momento in cui hanno luogo, nel volto,
nella voce o in comportamenti specifici. I sentimenti rappresentano il prodotto della percezione di un certo
stato del corpo unita alla percezione di una modalità di pensiero, di pensieri con particolari contenuti
(ibidem).

L'approccio evolutivo-relazionale alle emozioni

Le prime relazioni risultano centrali nel processo di organizzazione della struttura di personalità
dell'individuo. I concetti di reverie (Bion) e di holding (Winnicott) si riferiscono proprio alle capacità di
contenimento e sostegno emotivo offerte dal caregiver al bambino, quali elementi fondamentali per lo
sviluppo di quelle competenze mentali che fungono da regolatori delle tensioni emotive interne. La
capacità dei caregiver di sintonizzarsi alle richieste emotive del bambino, favorisce quest'ultimo nello
sviluppo della capacità di distinguere il mondo interno dalla realtà esterna. Il senso di sicurezza nel bambino
sarà allora rafforzato e l'alternanza tra stati emotivi positivi e negativi condurrà allo sviluppo completo del
senso di continuità del se. La possibilità del bambino di entrare in sintonia con la mente del caregiver è
fondamentale per la maturazione dei centri neurali essenziali per lo sviluppo della funzione riflessiva,
dell'autoregolazione emotiva e nello sviluppo delle competenze sociali. La capacità di tradurre le emozioni
in unità dotate di significato quindi di identificarle permette la successiva modulazione e la comunicazione
delle stesse nell'ambito delle relazioni interpersonali. All'interno di un attaccamento sicuro (Bowlby) il
bambino diviene progressivamente in grado di assumere un ruolo attivo nella gestione del proprio mondo
emotivo senza andare incontro a tensioni disorganizzanti. Le relazioni primarie sicure sostengono il
bambino nell'integrazione delle seguenti componenti:

1. neurofisiologiche;
2. comportamentali/espressive (es. espressioni facciali, le grida, i cambiamenti nella postura e nel
tono di voce);
3. cognitivo-esperienziali (es. il resoconto verbale di stati emotivi)

Le esperienze affettive in cui lo sviluppo ha posto forti limiti procurano quantità variabili di disintegrazione
mentale, circuiti non integrati o inibiti che riducono l'efficienza di processi superiori, e psichica poiché il se
si enuclea a partire da reazioni di rabbia o paura che conduce a set interni di azione incoerenti e
strategicamente inefficaci. Il fallimento della relazione d'attaccamento può costituire un fattore di
vulnerabilità del se, non essendo il soggetto in grado di fare delle emozioni una guida al servizio delle
relazioni con il corpo e con gli altri.

I contenuti emotivi non simbolizzati e non mentalizzati nell'ambito di una relazione primaria insicura o
emotivamente trascurante vengono vissuti unicamente a livello somatico. Queste emozioni che si possono
definire traumatiche e sono caratterizzate dalla loro natura:

pre-simbolica, in quanto prive di una rappresentazione corporea che li definisce;

fisiologico-motoria, poiché in assenza di processi riflessivi la loro attivazione si traduce immediatamente in


reazioni stereotipate, rigide e solitamente fuori controllo;

dolorosa, per via della loro mancata identificazione e modulazione che procura altresì un aumento
dell'intensità percepita in conseguenza anche di una intollerabile iper-attivazione fisiologica;

disorganizzante, in quanto attivano meccanismi di disconnessione fra i vari stati del se, in risposta a
condizioni stressanti percepite come fonte di minaccia alla propria identità.
Un esempio di emozione traumatica è la vergogna distruttiva, quel sentimento associato a memorie
traumatiche che se non modulato può determinare uno stato di vulnerabilità del se a causa della
dissociazione tra mente e corpo e dalla tendenza del soggetto a rifugiarsi ricorsivamente in stati mentali
dissociati dalla coscienza ordinaria. è quanto si può riscontrare nelle dipendenze patologiche, nella
depressione maggiore e nel disturbo post-traumatico da stress. In questi casi l'intervento psicoterapico
dovrà aiutare il paziente nella mentalizzazione delle emozioni traumatiche perché queste possano
diventare parte di un se coeso capace di sostenere in maniera adeguata gli stress della vita quotidiana.
La Personalità
Per l'OMS la personalità è: "una modalità strutturata di pensiero sentimento e comportamento che
caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali, dello
sviluppo e della esperienza sociale." Allport la descrive così: l'organizzazione dinamica di tutti quei sistemi
che determinano l'adattamento di un soggetto al suo ambiente. Altri autori hanno dato altre definizioni
dalle quali è possibile comprendere la complessità strutturale della personalità ma si può comunque
affermare che:

• la personalità si basa su un costante rapporto tra vari sottosistemi che operano a diversi livelli di
interdipendenza;
• la personalità si sviluppa a partire da un meccanismo autoregolantesi, attraverso un costante
interscambio con l'ambiente;
• coerenza e continuità, caratterizzanti la personalità, possono essere colte soltanto attraverso
un'analisi vasta e articolata che copre l'intero arco della vita della persona.

Distinzione tra personalità carattere e temperamento

Il carattere appare come concetto con Teofrasto, discepolo di Aristotele, che descrisse trenta tipi di
caratteri, definiti anche come tratti predominanti.

Reich (1897) coniò il termine "corazza caratteriale" riferendosi a quell'apparato psichico che permette al
soggetto di proteggersi da esperienze angoscianti dovute al conflitto tra desideri pulsionali e realtà esterna.

Il primo teorico del temperamento è stato Ippocrate (V sec.A.C.), il quale risulterebbe dalla combinazione di
quattro umori fondamentali e distingue i seguenti temperamenti:

• flemmatico, eccesso di flemma, un soggetto pigro e lento;


• melanconico, eccesso di bile nera, soggetto avaro e triste;
• collerico, eccesso di bile gialla, chi appare irascibile, permaloso, superbo;
• sanguigno, eccesso di sangue, chi manifesta comportamenti gioviali e allegri.

Alcuni studiosi contemporanei considerano il concetto di temperamento riferito alla natura emozionale.
Buss e Plomin (1984) definiscono il temperamento come un insieme di tratti stabili, biologicamente
determinati, distinto da tre fattori:

1. emotività, bassa soglia di attivazione emotiva;


2. attività, livello di attivazione dell'organismo;
3. socievolezza, tendenza a trovare gratificazioni nei rapporti intersoggettivi.

Le teorie della personalità

Diversi sono gli studi sull'origine e le caratteristiche della personalità, di seguito le principali teorie raccolte
in 5 gruppi:

1. teorie tipologiche;
2. teorie umanistiche;
3. teorie dei tratti;
4. teorie psicodinamiche;
5. teorie cognitivo-comportamentali.
Teorie tipologiche

Possono essere distinte in: somatiche, funzionali e psicologiche e rispondono all'esigenza di categorizzare
le varie forme di personalità. Carl Gustav Jung ha individuato una polarità, introversione ed estroversione,
in funzione dell'atteggiamento nei confronti di un oggetto, ha poi aggiunto quattro funzioni psicologiche,
intuizione, sensazione, sentimento e pensiero, dalle varie combinazioni ha delineato otto tipi psicologici:

1. tipo intuizione estroverso, grande intuito e capacità di cavarsela in situazioni difficili;


2. tipo intuizione introverso, attento al suo mondo interiore, ha molta fantasia ed è un sognatore;
3. tipo sensazione estroverso, attento ai particolari tende a sviluppare ossessioni e dipendenze;
4. tipo sensazione introverso, attento al suo mondo interiore mostra buon senso estetico;
5. tipo sentimento estroverso, volubile e attento alle mode che riscuote alto consenso sociale;
6. tipo sentimento introverso, un artista, chiuso spesso avvolto dal mistero;
7. tipo pensiero estroverso, presta attenzione ai fatti reali e oggettivi;
8. tipo pensiero introverso, ha un approccio filosofico, i fatti oggettivi hanno per lui poco conto.

Teorie umanistiche

La psicologia umanistica nasce in contrapposizione alle teorie comportamentiste. Rogers è uno dei
principali fautori con la sua terapia centrata sul cliente. In coerenza con concetto di autorealizzazione
promosso da Rogers, Maslow formula la piramide dei bisogni, e afferma che per autorealizzarsi un soggetto
deve soddisfare 5 livelli di bisogni organizzati gerarchicamente. Per raggiungere il soddisfacimento dei
bisogni posti in alto devono essere prima soddisfatti, almeno in modo sufficiente, quelli connessi alla
propria sopravvivenza. (inserire immagine della piramide)

Teorie Psicodinamiche

Risentono della teoria pulsionale di Freud che si poggia su un modello di derivazione biologica in cui viene
sottolineata la centralità dei processi istintuali, una serie di fasi psicosessuali geneticamente determinate:

• fase orale;
• fase anale;
• fase fallica;
• fase di latenza;
• fase genitale.

La fissazione ad una di queste fasi determina la peculiarità psicologica della personalità. Le attenzioni della
psicoterapia vengono rivolte ai primi anni di vita e al modo in cui sono state risolte le sollecitazioni
provenienti dall'ambiente familiare. Per Freud è la capacità di dosare nella giusta misura le frustrazioni e le
gratificazioni che assicura una normale crescita psicosessuale che garantisce il predominio del principio di
realtà al principio del piacere con effetti positivi sulla gestione delle pulsioni libidiche ed aggressive.
Altrimenti, eccessiva frustrazione o gratificazione, è la causa della fissazione ad una delle 5 fasi, e l'adulto
dovrà affrontare i problemi legati a quella specifica fase. L'importante apporto di Freud risiede in una
concezione dinamica della personalità considerata in relazione a varie tendenze in conflitto che si
rapportano in un equilibrio instabile. Se il conflitto è elevato assorbe molte energie mentali e si entra nella
patologia.
Otto Kernberg distingue tre categorie di personalità: nevrotica, borderline e psicotica, ognuna delle quali si
differenzia per:

• grado d'integrazione dell'identità;


• i meccanismi difensivi abitalmente utilizzati;
• la capacità di esame di realtà;
• la presenza o meno di manifestazioni aspecifiche di debiolezza dell'io, misurabile attraverso
l'osservazione della capacità del soggetto di saper sopportare l'angoscia e controllare gli impulsi;
• l'integrazione dei tre sistemi motivazionali;
• il livello di maturità del Super-Io;

L'organizzazione psicotica rappresenta la condizione psicologica più grave, e si distingue per la mancata
organizzazione del se per la predominanza di difese primitive incentrate sulla scissione e sulla perdita
dell'esame di realtà.

L'organizzazione borderline fa riferimento ad un livello evolutivo dell'organizzazione di personalità. Chi


rientra in questa tipologia si contraddistingue per una eccessiva aggressività costituzionale responsabile
principale della mancata integrazione delle rappresentazioni di sé e degli altri, della inadeguata gestione
degli affetti intensi, della difficoltà ad impegnarsi in relazioni intime, del non sapersi porre obiettivi realistici
oltre che all'infiltrazione di componenti eccessivamente aggressive nell'intimità sessuale.

L'organizzazione nevrotica è caratterizzata da un normale consolidamento dell'identità, dalla predominanza


di difese basate sulla rimozione e da un esame di realtà stabile. Gli aspetti patologici consistono in una
rigidità e tratti disadattivi non soggetti al controllo volontario della persona. Kernberg si è posto a favore di
una diagnosi di tipo strutturale la cui utilità è nel far comprendere il rapporto esistente tra predisposizione
genetica e sintomatologia manifesta.

Teorie comportamentali e cognitive

John Watson, principale esponente del comportamentismo si rifà unicamente al comportamento


osservabile che lui definisce come reazione meccanica che il soggetto mette in atto in risposta agli stimoli
provenienti dall'ambiente. Secondo i comportamentisti la personalità è riferibile all'oggettiva espressione
comportamentale determinata dal paradigma stimolo-risposta.

L'approccio sociocognitivo invece concepisce la personalità come un sistema cognitivo e affettivo. Bandura
propone la teoria del determinismo triadico reciproco per la quale il comportamento umano risulta
dall'interazione fra le componenti cognitive affettive e ambientali. La personalità è strettamente associata
al grado di sviluppo di processi cognitivi come la simbolizzazione, l'autoriflessione, l'anticipazione e
l'autorealizzazione. Bandura introduce il concetto di "apprendimento vicario", apprendimento per mezzo
del quale si acquisiscono informazioni dalle esperienze di successo o insuccesso degli altri. Inoltre ha
effettuato ricerche sul costrutto "perceived self-efficacy", la capacità di saper gestire in maniera efficace
specifiche attività e situazioni, che riveste carattere di rilievo poiché è stato evidenziato che il modo di agire
dell'individuo dipende dalla percezione dell'adeguatezza delle proprie capacità di far fronte alle richieste
dell'ambiente.

Per Rotter la personalità si sviluppa dall'interazione tra il soggetto ed il suo modo di percepire l'ambiente in
risposta agli obiettivi ed aspettative personali. Introduce il concetto di locus of control, la tendenza ad
attribuire a cause interne (locus of control interno) o esterne (locus of control esterno) gli esiti dei proprio
comportamenti.
Tratti e dimensioni della personalità

Secondo il DSM IV TR i tratti sono modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti
dell'ambiente e di sé stessi che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Si possono
distinguere due tipi di tratti:

1. tratti superficiali, insieme dei tratti espressi da un individuo;


2. tratti originari, dimensioni di base della personalità che sottostanno ai tratti superficiali.

Allport definisce il tratto come dimensione stabile dell'individuo e ha distinto i tratti cardinali, essenziali per
la costruzione del Proprio dai tratti secondari. Il proprio è l'identità dell'individuo, le funzioni dell'Io e del se
dell'approccio psicodinamico.

Tra le teorie dei tratti che hanno maggiormente interessato il campo della ricerca troviamo quella dei Big
five di Cattel, Eysenck e Murray.

Cattel è stato il primo a fornire una misurabilità psicometrica della personalità con un questionario, il 16 PF
(Personal Factor) attraverso una complessa procedura statistica ha distinto 16 tratti bipolari:

1. socievole - non socievole;


2. intelligente - ottuso;
3. emotivamente stabile - instabile;
4. dominante - sottomesso;
5. allegro - malinconico;
6. coscienzioso - inaffidabile;
7. spavaldo - timido;
8. sensibile - insensibile;
9. sospettoso - fiducioso;
10. fantasioso - pratico;
11. scaltro - ingenuo;
12. incline al senso di colpa - rigetta il senso di colpa;
13. radicalismo - conservatorismo;
14. autosufficienza - adesione al gruppo;
15. autodisciplina - mancanza di volontà;
16. teso - rilassato.

Hans Eysenck ha cercato di costruire un modello fattoriale della personalità riferendosi anche agli aspetti
biogenetici. Grazie ai dati raccolti nella sua ricerca è giunto a classificare in un primo momento solo due
dimensioni:

1. introversione - estroversione;
2. stabilità - instabilità.

Ha poi creato EPQ (Eysenck Personality Questionnaire). Successivamente ha aggiunto una terza dimesione,
lo psicoticismo a cui sono correlati aspetti come l'impulsività, l'autonomia, l'aggressività, la ricerca di
sensazioni e l'insensibilità.

Henry Murrayha coniato il termine personologia e la caratteristica centrale della sua elaborazione teorica è
la adesione al modello freudiano e l'importanza attribuita all'analisi motivazionale e ai bisogni che
influenzano il comportamento umano e distingue tra bisogni viscerogeni (bisogni organici) ai bisogni
psicogeni, tra i bisogni manifesti (di cui il soggetto ha consapevolezza) e bisogni diffusi (generali e più
pervasivi), tra bisogni alfa (aspetti oggettivi di un dato ambiente) e bisogni beta (percezione di un dato
ambiente). Con il termine Thema l'autore definisce l'unità che risulta dalla combinazione dei bisogni e
pressioni ambientali.
Mischel dissente dal considerare un tratto costante in ogni situazione e parla piuttosto di apprendimenti
comportamentali situazione-specifici.

McCrae e Costa mettono a punto una teoria che sembra una via di mezzo tra la complessità della teoria di
Cattel (16 fattori) e quella di Eysenck (tre fattori) e attraverso la descrizione di 5 fattori:

1. estroversione;
2. nevroticismo;
3. apertura all'esperienza;
4. coscienziosità;
5. disposizione alla concordia,

mettono a punto un questionario di 118 items nella prima versione (NEO-PI) che diventano 240 nella sua
ultima versione (NEO-PI-R).
Cure parentali, sistema emotivo, comportamento sociale
Lo sviluppo è il processo di messa a punto del repertorio comportamentale di individui inetti alla nascita. Le
potenzialità dell'individuo giungono a maturazione grazie alle cure parentali del caregiver, la mamma nella
maggioranza dei casi. Il piccolo impara a nutrirsi e a difendersi dai predatori imitando la madre
predisponendosi così all'autonomia. Il futuro adulto quindi deve imparare ad agire in favore del proprio
benessere e lo fa attraverso la madre. La coordinazione delle azioni viene realizzata da un insieme di
comportamenti segnale che hanno la funzione di comunicare e indurre uno stato. La mamma tranquilla
comunica al figlio che l'ambiente non presenta pericoli ed è quindi possibile per lui fare esperienza. La
madre allarmata comunica un pericolo nell'ambiente. In questo modo la percezione del figlio si sposta
dall'ambiente fisico ai segnali materni. Il mezzo secondo il quale viene realizzata la coordinazione delle
azioni è il sistema emotivo. Le emozioni incidono sulla sensibilità individuale conferendo stati d'animo
differenti a seconda delle condizioni ambientali. Un animale che ne è dotato vive l'ambiente sia al livello
sensoriale, reagendo agli stimoli, sia a livello emotivo reagendo alla risonanza umorale che l'ambiente
riproduce in lui. Gli stati emotivi determinano modificazioni corporee nella postura, nel volto, nel colore
della pelle, nell'odore e mostrano all'esterno lo stato interno. Affinché le emozioni riescano a veicolare il
messaggio c'è bisogno che ci sia una relazione e che nella relazione si sia sintonizzati infatti la paura di un
babbuino investe i babbuini che reagiscono ad essa ma non il leopardo che stà per ucciderlo. Il bambino è
predisposto a reagire positivamente al sorriso materno e si predisporrà al contatto fisico.

Il processo di sviluppo si svolge secondo i seguenti stadi:

1. l'imprinting di tutela, il piccolo memorizza i primi segnali ricevuti, come quelli provenienti dalla
madre;
2. l'imprinting di minaccia, il piccolo dopo aver stabilito chi sia la madre deve identificare i nemici.
Alcune informazioni sono già in suo possesso perché ereditate, altre le acquisisce attraverso il
condizionamento;

Il programma allarme determina nei piccoli quattro risposte:

1. la ricerca del contatto con la madre;


2. l'aggressione difensiva al predatore;
3. la depressione delle iniziative sociali rilassanti;
4. la depressione generalizzata del comportamento che serve a limitare l'iniziativa nei momenti di
pericolo.

Il piccolo è madre-orientato mentre adulto si centra su sé stesso. Questo nella evoluzione è cambiato. Al
momento gli uomini per tutta la vita tendono ad istituire dipendenze emotive e “chiedere consiglio e
protezione" anche con entità astratte come le divinità.”

Lo sviluppo "fissa" le condotte in maniera conclusiva e l'individuo userà la sua miscela comportamentale
come stampo per interagire con chiunque, figli compresi. Gli esperimenti di deprivazione materna operati
da Harlow su piccoli macachi hanno dimostrato che per rendere permanentemente autistico o
iperaggressivo un individuo predisposto a cercare la madre basta non fargliela trovare o fargliela trovare
solo in parte. Se femmina quell'individuo si negherà in misura proporzionale ai propri figli che riuscirà a
concepire solo se stuprata, dal momento che il trauma ha depresso in essa anche la facoltà di accoppiarsi.

L'uomo è diverso dagli animali anche in questo poiché invia segnali "difettosi" ai piccoli. Per segnale
difettoso si intende una mimica affettiva o un contatto fisico ridotti, l'assenza di vezzeggiamento, un tono
verbale spento o minaccioso, movimenti bruschi o assenza di movimenti.
Aggressività e comportamenti aggressivi

Il termine aggressività viene spesso utilizzato in modo equivoco, infatti può essere applicato sia all'uomo
che difende la propria vita da un attacco, sia all'omicida che uccide la sua vittima. Il termine aggressività
deriva dal latino ad, verso, contro e gradior, vado, procedo, avanzo, si può evincere dal significato anche la
componente relazionale, di moto verso un oggetto insita della condotta aggressiva.

è importante distinguere l'aggressività costruttiva da quella distruttiva. Può essere difensiva o reattiva,
quando si produce in risposta ad una minaccia ed è motivata dalla paura, può essere offensiva o proattiva
quandosi manifesta in forma di attacco non provocato contro un'altra persona o animale per nuocere o
impossessarsi di beni altrui. Si definisce predatoria l'aggressività funzionale alla sopravvivenza di un animale
che attacca e uccide la sua preda. Non è adattiva quando si esprime con violenza fine a se stessa.

L'aggressività può essere attiva, sotto forma di un attacco o passiva espressa come resistenza, può essere
rivolta verso gli altri sotto forma di attacchi fisici o verbali o rivolta verso sé sotto forma di svalutazione o
condotte autolesive e/o autodistruttive.

Gli agiti autodistruttivi si possono manifestare con modalità indirette attraverso azioni come fumare, bere
alcol o stili di vita particolarmente stressanti che hanno conseguenze a lungo termine sulla salute, oppure in
forme dirette come la guida in stato di ebrezza che mette a rischio la vita nell'immediato. Gli attacchi al
corpo si possono perpetrare attraverso modificazioni (body modification), piercing, tatuaggi, microdermal
(piercing con impianto sottopelle), branding (marchiare a fuoco) o con condotte autolesive come il cutting
(tagliarsi con oggetti affilati), il bruciarsi (burning) o con il graffiarsi e scarificare parti del corpo.

Bjorkqvist (1992) ha proposto una teoria secondo la quale il comportamento aggressivo tende ad apparire
nel seguente ordine:

1. in modo fisico diretto;


2. in modo verbale diretto;
3. in modo indiretto.

L'aggressione indiretta è definita manipolazione sociale, l'obiettivo è attaccato in modo subdolo così da
evitare il contrattacco o disapprovazione. L'aggressività nascosta racchiude ogni azione che produce
irritazione verso terzi, ma che non può essere imputata direttamente alla volontà di irritare e che non
rischia la rottura del legame. è sempre rivolta verso una figura dominante.

Origini biologiche della aggressività

Attraverso l'uso della PET (positron Emission Tomography) si è appurato che ipotalamo riveste un ruolo
cruciale nella regolazione emotiva mentre l'area ventromediale dell'ipotalamo medio ha un ruolo rilevante
nel provocare e regolare condotte aggressive. I comportamenti aggressivi e antisociali sono influenzati
anche da fattori genetici ereditari e ambientali che interagiscono tra loro. La serotonina è uno dei
neurotrasmettitori maggiormente implicati nel comportamento aggressivo, infatti la neurotrasmissione
serotoninergica modula l'impulsività e la diminuzione della sua attività disinibisce il comportamento. Altri
studi confermano che l'aggressività aumenta con l'aumentare della dopamina.

Aggressività, innata o appresa?

Secondo il filone etologico, l'aggressività è un istinto che esige una scarica periodica che ha la specifica
funzione di garantire la sopravvivenza. L'istinto, un modulo di comportamento preformato in quanto sin
dalla prima esecuzione si manifesta nella sua forma completa solitamente rigida e stereotipata, dopo
essersi innescato in specifiche condizioni scatenanti, favorisce la messa in atto di sequenze d'azione
prefissate. L'istinto quindi risulta innato e per Lorenz non può essere soppresso ma può essere reso
funzionale attraverso processi di re-direzione.

Secondo Wilson, l'aggressività nell'essere umano è innata e il comportamento aggressivo comprende al suo
interno non meno di sette categorie:

1. la difesa e la conquista del territorio;


2. l'affermazione della predominanza entro gruppi organizzati;
3. l'aggressione sessuale;
4. gli atti di ostilità con i quali viene terminato lo svezzamento;
5. l'aggressione contro la preda
6. i contro attacchi difensivi contro i predatori;
7. l'aggressione moralistica e disciplinare per imporre le regole della società.

Alcuni studi hanno dimostrato che l'aggressività può essere inibita da esperienze avute in età precoce.
Lorenz distingue l'aggressività rivolta verso individui di specie diversa da quella verso gli individui della
stessa specie (intra-specifica). Quest'ultima favorisce la selezione dei più forti i quali hanno maggiori
probabilità di trasferire i loro geni alla prole. L'aggressività tra esseri umani nell'attuale situazione storico-
culturale e tecnologica è il più grave di tutti i pericoli. La concorrenza sfrenata per l'utilizzo delle risorse
rischia di cacciare l'evoluzione in un vicolo cieco potenzialmente auto-distruttivo.

L'aggressività inter-specifica è funzionale in quanto il predatore favorisce il miglioramento della specie di


cui si nutre. Lorenz distingue tre casi di aggressività inter-specifica:

il comportamento predatorio aggressivo nei confronti della preda;

la reazione aggressiva nei confronti del predatore da parte della preda che, non vedendo altra soluzione
reagisce con la forza della disperazione attaccando l'aggressore.

Egli sostiene che vi è un equilibrio naturale inter-specifico che viene conservato, equilibrio che risulta
disturbato nell'umo. Con "principio gerarchico" Lorenz definisce l'aggressività che interviene nel regolare e
dirigere il comportamento dell'individuo nella società che permette la convivenza, quindi ritiene normale
che ogni individuo tende a collocarsi in una gerarchia dove ognuno sa quale degli altri è più forte o più
debole. Questo è funzionale a limitare le occasioni di lotta per esempio per il possesso del cibo. Le forme
umane di comportamento aggressivo sono specie-specifiche e presentano uno spettro di risposte che
appaiono e scompaiono a seconda di particolari circostanze. Questo fattore li differenzia dagli animali che
agiscono in risposta ad un riflesso. Nel uomo l'istinto è plasmabile dalle esperienze e l'aggressività può
scatenarsi anche in mancanza di condizioni ambientali scatenanti. Una persona arrabbiata è disposta a
cercare piccole occasioni per innescare una lotta. In tal senso sarebbe opportuno incanalare tale
aggressività dirigendola verso forme di scarica periodica e più adattiva come pe esempio le competizioni
sportive. Tale comportamento secondo Lorenz rappresenta una vera e propria catarsi, una ritualizzazione
che ha come scopo quello di impedire gli effetti dell'aggressione socialmente dannosa.

Secondo la teoria dell'apprendimento sociale, l'aggressività è un comportamento appreso e il semplice atto


di vedere una persona comportarsi in maniera aggressiva può favorire o aggravare il comportamento
aggressivo nei bambini. Nella moderna società, le fonti che offrono questi modelli comportamentali sono
classificate in tre ordini: la famiglia, il gruppo sociale di appartenenza, i mezzi di comunicazione di massa.
Comprensione psicodinamica

All'interno del filone psicodinamico vi sono diverse concezioni sulla aggressività.

Sigmund Freud

Nel corso dei suoi primi studi, Freud riconduce l'aggressività alla pulsione sessuale. Nei "Tre saggi sulla
teoria sessuale" (1905) afferma che la sessualità della maggior parte degli uomini si rivela mescolata ad una
certa aggressività, all'inclinazione alla sopraffazione il cui significato biologico potrebbe risiedere nella
necessità di superare la resistenza dell'oggetto sessuale in alternativa al corteggiamento. Il sadismo
corrisponderebbe ad una componente aggressiva della pulsione sessuale resasi indipendente ed esagerata.

In "Pulsioni e i loro destini" (1915) Freud sottolinea che alcune pulsioni sono di conservazione e altre
tendono sono di morte e formula una duplice classificazione della pulsione:

• Eros, racchiude le pulsioni libidiche;


• Thanatos, la pulsione di morte.

La vita quindi è un compromesso tra Eros e Thanatos fino a che quest'ultima non prevale. Può accadere che
l'organismo si senta minacciato dalla pulsione di morte e a quel punto la devia su un oggetto esterno
trasformandola in aggressività. Inizialmente Freud aveva considerato l'aggressività come una pulsione di
autoconservazione dell'Io attivata dalla frustrazione ma nel corso dei suoi studi si convinse dell'esistenza di
una innata pulsione distruttiva. Dopo il 1920 nella teorizzazione dell'aggressività Freud applica tale
concetto non solo nelle relazioni con oggetti esterni ma anche alle relazioni tra le diverse istanze.

Melanie Klein

Secondo la Klein (1933) una aggressività innata viene proiettata all'esterno. Le precoci esperienze di
frustrazione sono funzionali ad una precoce distruttività, a fantasie arcaiche di sadismo orale, uretrale,
anale, di distruzione e annientamento, da cui il bambino stesso deve difendersi per non autodistruggersi.

Donald Winnicot

L'aggressività è energia, forza vitale presente nel bambino sin dalla nascita e viene definita "primaria". Si
trasforma nel corso del processo evolutivo e il modo in cui si modifica dipende dal tipo di ambiente in cui il
bambino cresce. Se l'ambiente è facilitante e le cure ricevute sono sufficientemente buone l'aggressività
diventa energia al servizio del gioco e del lavoro, altrimenti si esprime con manifestazioni distruttive e
antisociali. Winnicot distingue tre funzioni svolte dalla figura materna:

holding, il sostegno fisico e psichico;

handling, l'insieme di manipolazioni corporee;

l'object presenting, la capacità di rendere disponibile al bambino l'oggetto nell'esatto momento in cui ne ha
bisogno.

Lo stile materno di risposta ai bisogni del bambino è legato alla capacità della madre di uscire gradualmente
dalla fusione col bambino e di dare una frustrazione minima che dovrà sempre accompagnarsi alla
possibilità di quel bambino di tollerare la frustrazione, che aumenterà con la crescita. Anche se
l'aggressività istintuale può diventare presto qualcosa che si può mettere al servizio dell'odio, essa è
originariamente parte di amore istintuale.
Comportamentismo

Secondo il filone comportamentista l'acquisizione di tutti i modelli comportamentali avviene attraverso


l'apprendimento, quindi l'uomo è plasmato dall'ambiente. L'autore che ha maggiormente studiato le
reazioni aggressive è Skinner (1938). Nella sua teoria dell'apprendimento afferma che l'aggressività è
indotta nell'individuo e nella società finché da comportamenti aggressivi si traggono benefici.

tra gli studi sul comportamento aggressivo vi è quello che si basa su un modello teorico per cui gli individui
non hanno una motivazione ad agire derivata dagli istinti ma da impulsi interni provocati da stimoli esterni.
Dollard (1939) afferma che l'aggressività è sempre una conseguenza ad uno stato di frustrazione, quindi
uno stato di frustrazione conduce a qualche forma di aggressività. La risposta aggressiva alla frustrazione
non è la sola possibile neppure inevitabile, tuttavia può divenire la reazione privilegiata se viene rinforzata
col successo nel superamento della tensione ed incoraggiata dall'approvazione del contesto sociale.

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