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LA MISURA DEL COMPORTAMENTO

La psicologia studia il comportamento umano per cercare di spiegarne le cause sulla base di
osservazioni sistematiche: la costruzione di modelli del comportamento è essenzialmente
induttiva, basata su osservazioni empiriche e intuizioni circa il comportamento che ci si
aspetta in varie circostanze. Di qui la necessità di sottolineare il lavoro empirico-sistematico
che è necessario per poter identificare variabili-chiave e per stabilire relazioni tra variabili.

Il problema della misurazione


Il concetto della misurazione è definito un problema, in quanto gli studiosi
interessati hanno riscontrato differenze tra caratteristiche individuali che trovano
accordo:
Gli individui differiscono in abilità e caratteristiche personali. Il problema nasce sul come si
misura tale diversità?
Primi tentativi:
- antica Cina (220 a.C.)
- Facoltà di Legge, Università di Bologna (1219)

Nella seconda metà dell’800 un lavoro più sistematico:


- Galton: primo laboratorio di Antropometria (Londra)
- Cattell: laboratorio psicologico alla Columbia University
- Binet e Simon: primo test di intelligenza

Prima Guerra Mondiale:


- Army Alpha
- Army Beta

Il problema della misurazione


1936:
- prima pubblicazione della rivista Psychometrika
- l’Unione Sovietica mette al bando i test…
…ma la loro diffusione è andata ampliandosi e i test sono oggi utilizzati nella pratica
quotidiana.
Chi utilizza i test deve conoscere le basi statistiche che consentono la verifica delle qualità
metrologiche degli strumenti.

La misura del comportamento


L’obiettivo è quello di mettere a confronto le caratteristiche del singolo con il gruppo di riferimento.
La psicologia studia il comportamento umano per cercare di spiegarne le cause sulla base di
osservazioni sistematiche. Di qui il lavoro empirico necessario per poter identificare le
variabili-chiave e giungere alla costruzione di strumenti di misura.
Il concetto di misura
Del problema della misura si sono da sempre occupati i grandi pensatori.
Kant:
- grandezze estensive (direttamente misurabili)
- grandezze intensive (determinate in via indiretta)
Campbell:
- unità campione sulla quale operare in termini additivi  Conseguenza: rimangono escluse le
misure psicofisiche.

La sua posizione chiaramente difensiva verso le scienze comportamentali, ha quindi stimolato


queste ultime, e in particolare la psicologia quantitativa a raffinare i procedimenti di misura e
la modellizzazione delle relazioni tra i fenomeni.

È più conveniente dare una maggiore ampiezza al concetto di misura e comprendere le


grandezze non vincolate all’additività ma legate da una relazione di ordinamento o
categorizzazione. Ricordare il concetto di misura!

Concetto di misura: procedimento di classificazione che consente di attribuire un oggetto ad


una determinata classe e di costruire all’interno della classe una relazione di ordine, anche
non quantitativa, per esempio <<più di...>>, <<uguale a…>>. Prima di ogni misura vera e
propria viene così a crearsi una rappresentazione del mondo in categorie fenomeniche
connesse da un insieme di relazioni che possono essere tradotte in un linguaggio numerico.
Questa definizione dovrebbe eliminare il rischio, sempre presente, di anteporre la misura al
fenomeno, attribuendo lo status di grandezza a tutto ciò che è suscettibile di valutazione
numerica, senza un’adeguata teoria di riferimento.

La misura in psicologia
L’osservazione e la misurazione di caratteristiche psicologiche è certamente uno dei problemi
più delicati nell’ambito della psicologia: chi conduce ricerche in campo psicologico sa che il
compito più arduo è quello di quantificare le osservazioni del comportamento oggetto di
studio. La situazione di fatto attuale è quella che in psicologia non esiste una teoria unificata
riguardante la misurazione ma esistono due distinte tradizioni di ricerca che corrispondono,
rispettivamente, ad un approccio formale e assiomatico che fa riferimento ai modelli della
psicologia matematica. (Suppes e Zinnes) e ad un approccio pratico in grado di dare soluzioni
praticabili a problemi empirici concreti, che segue la linea iniziativa da Thurstone e Guilford
ed è legato alla tradizione teorica dei test psicologici. Il materiale empirico sul quale si lavora
nel campo della psicologia sperimentale o applicata è, nella maggioranza dei casi, un insieme
di dati relativi a giudizi di valore che devono essere trasformati, in base a modelli spaziali
affini, attraverso un sistema relazionale empirico. La teoria della misura e la pratica di essa
seguono strade parallele ancora oggi. L’esigenza di quantificare le osservazioni è diventata
sempre più presente in tutti i campi della psicologia e l’uso dei concetti e tecniche statistiche è
frequentissimo, se non indispensabile, nella pratica quotidiana dello psicologo.

Il problema di base è che le caratteristiche psicologiche non sono direttamente misurabili,


sono grandezze intensive, inferite dal comportamento dell’individuo. Il margine di incertezza
non sta, dunque, solo nel COME si sta misurando ma anche, e più pesantemente, nel COSA!

Cosa misuriamo? Le misure psicologiche sono basate sull’osservazione del


comportamento: da questa osservazione vengono inferite le caratteristiche che si vogliono
misurare (il costrutto). Più il comportamento è complesso, più difficile sarà inferire tali
caratteristiche (esempio abilità numerica).
Ma non sempre è facile stabilire un legame chiaro tra comportamento e costrutto. Si tratta di
decidere come campionare tali comportamenti in modo che siano rappresentativi del costrutto.
La misura di caratteristiche psicologiche DEVE derivare dalla teoria.

La manipolazione statistica dei risultati di un test è qualche volta usata come debole sostituto
di un controllo più accurato del contenuto e dello sviluppo della ricerca con e sullo strumento,
ma è tuttavia indispensabile per verificare le ipotesi e controllare le qualità metrologiche degli
strumenti di misura.

Come misuriamo?  Gli strumenti di misura si basano sull’osservazione delle reazioni


degli individui a stimoli più o meno standardizzati (quegli stimoli per i quali sono già
previste le modalità di risposta) in situazioni più o meno controllate.

Le diverse caratteristiche del comportamento di un individuo o di un gruppo possono perciò


essere studiate attraverso strumenti diversi con un diverso grado di controllo da parte
dell’osservatore. Si può affermare tuttavia che alcune caratteristiche sono rilevabili solo con
certi strumenti: per esempio l’accertamento delle conoscenze in un particolare campo può
essere valutato più efficacemente attraverso strumenti che utilizzano stimoli standardizzati
che non attraverso osservazioni libere o test proiettivi.

Diversi tipi di misura del comportamento, tutte le osservazioni del


comportamento conducono a quattro tipi di misure:
 latenza: intervallo di tempo che intercorre tra lo stimolo ed il verificarsi di uno specifico
evento (es.: Rorschach, Skinner, elettroencefalogramma); (tempo tra Stim. e Risp.)
 frequenza: numero di volte che un determinato evento si presenta; bisogna rapportare alla
durata (es.: il comportamento di “indicare” in bambini molto piccoli);
 durata: anch’essa misurata in unità di tempo come la latenza e riguarda appunto, la
quantità di tempo in cui un singolo comportamento viene mantenuto in rapporto alla durata
totale dell’osservazione (es.: comportamento di gioco, da solo o in compagnia);
 intensità: è la caratteristica del comportamento più difficile da definire e, quindi, da
misurare ed è spesso confusa con la frequenza: per esempio se vogliamo misurare il
comportamento aggressivo ci interessa la sua frequenza ma anche la sua intensità: è
probabilmente diverso mostrare aggressività di tipo verbale o aggressività di tipo fisico, in
altri casi la frequenza del comportamento viene assunta come indicatore di intensità della
caratteristica da misurare: è l’esempio di tutti i test psicologici. Test di intelligenza, risposte
encelografiche, scale di atteggiamento, comportamento di alimentazione.

In conclusione possiamo dire che il tipo di misura può cambiare in funzione dell’area
psicologica o della caratteristica psicologica che interessa, definizione basata generalmente su
una serie di comportamenti derivati da una teoria psicologica della quale sono la
manifestazione operativa.

L’errore, nella misurazione di un comportamento, è INELIMINABILE. Tutte le


misure sono sbagliate!

Una misura non è mai un valore puntuale, ma un intervallo di incertezza.


Le variabili indipendenti: variabili che per esempio in una ricerca sono considerate come le
<<cause>> del comportamento o della reazione/risposta dei soggetti. Di regola dovrebbero
essere manipolate dallo sperimentatore a garanzia che influenzano direttamente la risposta dei
soggetti modificandone il comportamento: spesso vengono chiamati indipendenti anche
variabili che sono solamente antecedenti o che comunque non sono la <<causa>> unica delle
modificazioni del comportamento dei soggetti. (es. studiare l’influenza di spettacoli violenti
sull’aggressività. VI: film violento, VD: una misura di aggressività)
Le variabili dipendenti: si definisce vd una misura della risposta del soggetto.

Le variabili di disturbo: sono quelle variabili compresenti nell’osservazione del


comportamento ma che non si considerano rilevanti nello studio della relazione tra VI e VD,
devono pertanto essere lasciate fuori dalla relazione oggetto di studio.

Le variabili quantitative: es. tempo di reazione a uno stimolo o punteggio a un test. Sono
rappresentate su scale numeriche. Variabili fisiche sono variabili quantitative.

Le variabili qualitative: quelle variabili che si riferiscono a categorie: es. girare a dx o a sx in


un labirinto, giocare da soli o con altri, essere singoli o in coppia. Sono rappresentate su scale
categoriali. (Esempi a pag.25 la misura in psicologia). Variabili non fisiche sono qualitative.

Le variabili continue: possono assumere infiniti valori (peso, altezza)

Le variabili discrete: sono non frazionabili (numero di figli)


Concetti statistici di base

Campione e popolazione al centro dello sviluppo della statistica classica:


 Popolazione: l’insieme dei componenti cui l’indagine del ricercatore è
rivolta.
 Campione: sottoinsieme della popolazione composto da un numero
inferiore, n, di unità.

FREQUENZA: il numero di volte che un certo valore (o categoria) si presenta in un insieme


di dati.
DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA: il computo delle frequenze per ciascun valore o
categoria della variabile. Essa può essere rappresentata in forma tabulare o grafica riportando
le due componenti: i valori/categorie della variabile e le frequenze con le quali si presentano i
singoli valori.

Grafici e tabelle forniscono le stesse informazioni ma, per il diverso formato, ciascuna
modalità ha degli specifici vantaggi:
- le tabelle permettono di risalire in modo immediato alla frequenza esatta corrispondente ad
un certo valore o categoria;
- il grafico mette in evidenza la forma della distribuzione e le sue peculiarità.
Rappresentazione grafica delle distribuzioni di frequenza
 Grafico a barre (variabili qualitative)
 Istogramma (variabili quantitative discrete)
 Poligono di frequenza (variabili quantitative continue)
 Ogiva (poligono di frequenza che utilizza le frequenze cumulate)
 Grafico a torta (può essere usato per variabili qualitative e quantitative, ma è più indicato
per variabili categoriali).

Su che scala è possibile misurare


le misure di tend. centr.:
Mediana: Ordinale e Nominale
Moda: Nominale
Media: Intervalli e a Rapporti
La relazione tra due variabili: la correlazione La correlazione permette di valutare la
covariazione di due variabili, ossia se sono presenti delle variazioni concomitanti. La
correlazione si definisce positiva quando all’aumentare (o al diminuire) dell’una, aumenta (o
diminuisce) pure l’altra, mentre si definisce negativa quando all’aumentare dell’una, l’altra
diminuisce. La correlazione NON implica causazione e NON permette di evidenziare
l’esistenza di una terza variabile responsabile delle modifiche osservate nelle due variabili in
esame.

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