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persona così come appare ai colloqui o durante l’esecuzione dei test. I test si collocano all’interno
dell’esame psicodiagnostico in quanto utensili che potenziano il lavoro di esplorazione ed analisi del singolo
caso. L’obiettivo dello psicologo clinico è comprendere come è fatto il problema della persona che ha
davanti, ovvero i sintomi e altre caratteristiche associate, la storia e l’evoluzione del problema, le ricadute
che quel problema ha sulla vita quotidiana di quella persona, ovvero gli effetti di quel problema che
influiscono sul normale svolgimento delle varie attività e funzioni di quella persona nei vari contesti della
sua vita (famiglia, relazioni, lavoro, ecc.).
L’assessment in psicologia clinica può essere effettuato attraverso metodi e strumenti che possono essere
più o meno strutturati e standardizzati. La valutazione quanto più è altamente strutturata tanto più è
formale, sino al punto di consistere esclusivamente in batterie standardizzate di test e interviste cliniche
composte da una lista preordinata e rigida di domande con possibilità di risposta molto chiusa. La
valutazione quanto più è informale tanto più assume un tono completamente diverso. L’utilizzo bilanciato
di strumenti di valutazione standardizzati e non standardizzati è il modo più efficace per uno psicologo
clinico di comprendere e aiutare i pazienti. Strumenti di valutazione standardizzati consentono la raccolta di
informazioni specifiche, come i sintomi o notizie storico-cliniche. Strumenti di valutazione non
standardizzati possono aiutare lo psicologo clinico a fare valutazioni più personalizzate e aiutare a meglio
comprendere ciò che potrebbe potenzialmente essere un tipo di problema molto complesso e unico. Lo
psicologo clinico adotta nel corso dei colloqui, un approccio empatico, volto a comprendere il punto di vista
unico e speciale della persona che ha di fronte, in particolare sforzandosi di mettersi contemporaneamente
nei panni e nella testa di quella persona, immedesimandosi nella sua situazione, con quel tipo di problemi
raccontati e anche con il modo che quella persona ha di ragionare, percepire, emozionarsi, comportarsi,
ecc., al fine di comprendere in maniera autentica, per esempio, cosa è che è far star male quella persona,
quanto ci sta male e perché sta male.
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) è un manuale pubblicato dall’American
Psychiatric Association (APA) utilizzato per classificare e diagnosticare i disturbi psichici sia negli adulti che
nei bambini per mezzo di un linguaggio comune e di criteri standard condivisi dalla comunità scientifica
internazionale. Nel 2013 è stata rilasciata l’ultima versione del DSM, nota come “DSM-5”. A livello
internazionale esiste un altro manuale autorevole per la classificazione e la diagnosi dei disturbi psichici,
ovvero l’International Classification of Diseases (ICD) pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Oltre ai vari tipi di validità, un buon test deve possedere una caratteristica psicometrica molto importante
nota come “attendibilità”, ovvero una misurazione applicata ad uno stesso oggetto o ad una stessa realtà
psichica deve dare sempre gli stessi risultati anche quando viene compiuta da persone diverse, in situazioni
diverse.
All’interno del processo di assessment psicologico i dati provenienti dai test vengono integrati tra loro e
analizzati in maniera critica insieme a tutti i dati e informazioni raccolte. Tali integrazioni e analisi di dati e
informazioni nel processo di valutazione psicologica vengono effettuati in maniera critica all’interno di un
processo attivo di problem solving e decision-making che procede per esclusione e falsificazione di ipotesi.
Il vantaggio più immediato dell’utilizzo dei test psicodiagnostici nel processo di assessment psicologico è
costituito dalla possibilità di raccogliere in maniera relativamente rapida una mole di dati che sono sia
quantificabili e sia facilmente comunicabili.
L’uso dei test in psicologia clinica è finalizzato alla valutazione quantitativa e qualitativa della personalità
nel suo complesso. Esistono due grandi approcci nei confronti della misurazione testistica:
L’approccio psicometrico auspica una misurazione quanto più obbiettiva possibile, che escluda
l’intervento di variabili soggettive e anche la possibilità di ipotesi e interpretazioni formulate dallo
psicologo;
L’approccio clinico rivolge la propria attenzione all’individuo nel suo insieme e nella sua unicità e
non esclude, anzi considera informazioni preziose quelle extra-testistiche.
Quando la valutazione testistica riguarda esclusivamente la misurazione da un punto di vista meramente
quantitativo di una o più funzioni, condizioni o caratteristiche psicologiche lo psicologo testista ha un ruolo
prevalentemente di rilevatore-misuratore, con l’obiettivo di tradurre dei dati in diagnosi. Quando invece la
valutazione testistica riguarda la valutazione della struttura della personalità, chi somministra e interpreta i
test è il professionista cui è deputato il compito di fornire una valutazione psicologica complessiva della
persona. Probabilmente non esiste un approccio in assoluto migliore dell’altro. La scelta viene fatta in base
agli obiettivi che lo psicologo clinico ha in mente e alle ipotesi che intende verificare. Di solito l’uso di una
batteria di test, anziché di un singolo test permette di avere un quadro più completo del funzionamento del
soggetto. Una buona batteria è composta da almeno un test di funzioni cognitive o di intelligenza, un test di
personalità e uno o più test clinici o di valutazione di sintomi.
Test di personalità:
Test proiettivi per un quadro globale della personalità;
Scale e inventari o questionari autodescrittivi per la misurazione di tratti e stati di personalità.
Rating scales per classificare e quantificare caratteristiche cliniche:
Scale per la valutazione diagnostica di più disturbi o aree;
Scale per la valutazione diagnostica di singoli disturbi.
Test neuropsicologici:
Valutazione dell’intelligenza;
Valutazione della memoria;
Valutazione delle funzioni linguistiche;
Valutazione delle funzioni esecutive;
Valutazione delle funzioni visuo-spaziali;
Valutazione della demenza;
Batterie per la valutazione di funzioni neuropsicologiche multiple.
Bias di ancoraggio: tendenza a credere alla prima cosa che si è vista o ascoltata e a cui si è creduto;
Falso consenso: tendenza a credere che le altre persone siano d’accordo con le proprie credenze;
Effetto alone (noto anche come “stereotipo dell’attrattività fisica”): tendenza delle persone ad
essere influenzate nei propri pensieri e credenze su di una persona dalla sua impressione iniziale;
Euristica della disponibilità: tendenza delle persone a credere più o meno probabile un evento
sulla base della vividezza e dell’impatto emotivo di un ricordo, piuttosto che sulla probabilità
oggettiva;
Bias dell’ottimismo: tendenza delle persone ad essere eccessivamente ottimisti nella vita,
credendo più probabile che accadano cose buone e meno probabile eventi negativi.
Oltre alla possibilità che si vengano a creare credenze distorte, esiste anche la possibilità che si vengano a
creare credenze false. Una persona è solitamente portata a correggere le proprie credenze false dinanzi ad
evidenze che dimostrino in maniera inconfutabile che sono oggettivamente errate. Tuttavia, in alcuni casi,
le persone difendono le proprie credenze false da ogni evidenza come se fossero vere. In questi casi le false
credenze sono chiamate “deliri”. I deliri sono caratterizzati da una varietà di modelli e problemi cognitivi.
Al di là della suscettibilità ad essere distorte, le credenze possono funzionare male ed essere, dunque,
disfunzionali. Le credenze sono disfunzionali quando sono tali da portare sofferenza emotiva e problemi,
insuccessi e insoddisfazione in uno o più ambiti della propria vita.
Credenze disfunzionali su se stessi: le persone con questi disturbi hanno spesso la tendenza a
considerarsi in una luce negativa.
Credenze disfunzionali sugli altri: piuttosto che vedere le persone in generale come
potenzialmente amichevoli, non giudicanti e cordiali, tendono a rispondere loro con apprensione,
rigidità o distacco.
Credenze disfunzionali sul mondo: vedono spesso il mondo come un posto insicuro o minaccioso
oppure ostile, piuttosto che come un posto pieno di opportunità.
Credenze disfunzionali sul futuro: vedono spesso il futuro in maniera incerta e nebulosa.
Credenze disfunzionali sul passato: vedono il passato come una fonte di informazioni molto
importante su se stessi, sugli altri in relazione a loro e sul loro mondo.
Credenze disfunzionali sul presente: vedono spesso il presente come fonte di tensione costante, in
quanto possono temere di potersi trovare da un momento all’altro in una delle situazioni che crea
loro tristezza, ansia, rabbia o paura.
Credenze disfunzionali su questioni esistenziali: hanno spesso difficoltà a vedere e pensare oltre il
proprio mondo immediato in modo trascendente, a comprendere il significato della propria vita, a
desiderare uno scopo più grande per la propria vita.
Credenze disfunzionali sulle opportunità: spesso non cercano opportunità o non riconoscono le
opportunità che li circondano.
Approccio con caratteristica additiva: questo metodo comporta il prendere in considerazione tutte
le caratteristiche importanti delle possibili scelte e, quindi, valutare sistematicamente ciascuna
opzione. Tale approccio tende ad essere un metodo migliore quando si prendono decisioni più
complesse.
Approccio di eliminazione per aspetti: questo metodo consiste nel valutare ogni opzione, una
caratteristica alla volta, a partire da qualunque caratteristica si ritenga essere la più importante.
Le euristiche sono utili in molte situazioni e hanno come punto di forza il fatto di essere veloci e
solitamente abbastanza corrette e accurate nella loro validità ed efficacia. L’euristica gioca un ruolo
importante sia nella risoluzione dei problemi sia nel processo decisionale. Il nostro cervello, per far fronte
all’enorme quantità di informazioni che incontriamo e per accelerare il nostro processo decisionale, si
affida a queste strategie mentali per semplificare le cose in modo da non dover trascorrere infinite quantità
di tempo analizzando ogni dettaglio. Nel momento in cui ci si pone un dilemma e c’è una certa quantità di
rischio, ambiguità o incertezza, le euristiche consentono di pensare rapidamente ai possibili risultati e di
arrivare a una soluzione efficace per risolvere il problema.
L’euristica della disponibilità implica prendere decisioni sulla base di quanto sia facile portare
qualcosa in mente.
L’euristica della rappresentatività implica prendere una decisione confrontando la situazione
presente con il prototipo mentale più rappresentativo. Nel momento in cui stiamo cercando di
decidere se qualcuno è affidabile, possiamo confrontare gli aspetti dell’individuo con altri esempi
mentali che abbiamo in mente. Un esempio è quello di una donna anziana che potrebbe ricordarci
nostra nonna, quindi potremmo immediatamente supporre che sia premurosa.
L’euristica affettiva implica fare scelte fortemente influenzate dalle emozioni che un individuo sta
vivendo in quel momento. La ricerca ha dimostrato che le persone, quando sono di umore positivo,
hanno maggiori probabilità di considerare le decisioni come aventi maggiori benefici e minori rischi.
Pensiero assolutistico (“tutto o niente”): tendenza a dare ampi giudizi categorici, ad attribuire alle
esperienze significati estremi, unidimensionali e assoluti.
Pensiero dicotomico (o pensiero “bianco o nero”): tendenza a pensare in modo estremo e a
considerare eventi, situazioni, ecc. come appartenenti ad un estremo oppure all’altro.
Pensiero magico: tendenza a credere che un evento accade come risultato di un altro senza un
legame plausibile di causalità.
Personalizzazione (o autoriferimento): tendenza ad essere convinti di essere al centro di tutto.
Presupporre una causalità temporale: tendenza a fare previsioni sulla base di prove insufficienti.
Ragionamento emotivo: tendenza ad interpretare e giudicare gli eventi e se stessi e a vedere le
situazioni sulla base delle proprie emozioni in quel momento e, quindi, non sulla base di come sono
realmente.
Responsabilità eccessiva: tendenza ad assumersi tutta la responsabilità in determinate situazioni,
in particolare per tutte le cose negative, senza considerare il concorso di colpa o responsabilità da
parte di altri.
La psicoterapia dovrebbe avere l’obiettivo di aiutare i pazienti a identificare, sfidare e modificare le loro
credenze irrazionali e gli schemi di pensiero negativi.
globale sono indicative dell’accettazione e del rispetto complessivo di se stessi e quindi sono in grado di
predire il benessere psicologico dell’individuo, che è strettamente correlato alla qualità delle sue
prestazioni generali. In secondo luogo, l’autostima globale e l’autoefficacia globale, riferendosi al valore
totale della persona nella sua interezza, possono influenzare l’autostima specifica e l’autoefficacia specifica
e, quindi, condizionare le prestazioni e il successo nei vari ruoli e compiti specifici. L’autostima specifica e
l’autoefficacia specifica sono in grado di influenzare l’autostima globale e l’autoefficacia globale. Quando
esiste poca discrepanza tra le proprie autovalutazioni e le proprie aspirazioni si ha alta autostima. Allo
stesso modo, quando esiste poca discrepanza tra le proprie credenze nelle proprie capacità e le proprie
aspirazioni si ha alto senso di autoefficacia. È necessario che l’alta autostima e l’alto senso di autoefficacia
siano stabili (ossia che si mantengano elevati in tutte le situazioni, anche in conseguenza degli insuccessi),
sufficientemente realistici (ossia, aderenti ai fatti) e autentici (ossia, composti da autovalutazioni e
credenze che la persona ritiene corrispondenti a verità).
Gli individui con depressione, disturbi d’ansia o disturbi di personalità hanno spesso bassa autostima e
basso senso di autoefficacia. Si ha bassa autostima quando esiste notevole discrepanza tra le proprie
autovalutazioni e le proprie aspirazioni. Allo stesso modo, si ha basso senso di autoefficacia quando esiste
notevole discrepanza tra le proprie credenze nelle proprie capacità e le proprie aspirazioni. Una bassa
autostima e un basso senso di autoefficacia comportano una sensazione di “impotenza appresa”, ossia la
convinzione di non essere in grado di controllare personalmente gli eventi della propria vita. Avere troppa
autostima e troppa autoefficacia può compromettere i rapporti personali. I livelli di autostima e di
autoefficacia all’estremità superiore e inferiore dello spettro possono essere dannosi, quindi idealmente, è
meglio trovare un equilibrio da qualche parte nel mezzo.
Gli schemi di sé si sviluppano a partire dalla prima infanzia sulla base del feedback di genitori e caregivers.
Grazie ai meccanismi di assimilazione e accomodamento, gli schemi relazionali vengono continuamente
rivisti e riadattati. Attraverso l’assimilazione le nuove informazioni vengono incorporate in schemi pre-
esistenti. Attraverso l’accomodamento schemi esistenti possono essere modificati o nuovi schemi possono
essere formati quando una persona apprende nuove informazioni e compie nuove esperienze. Attraverso le
nuove esperienze gli schemi esistenti vengono modificati e vengono apprese nuove informazioni. Un
esempio è rappresentato dai modelli operativi interni. Sulla base delle esperienze in generale, e in
particolare di quelle relazionali la mente elabora sia schemi di sé sia schemi relazionali via via più complessi
che influenzano la produzione e il corso dei pensieri, l’espressione emotiva e il comportamento. Una volta
che gli schemi di sé e gli schemi relazionali si sono costituiti, vanno a modellare la percezione e
l’interpretazione di esperienze successive, dando luogo a distorsioni di conferma. L’individuo, infatti, tende
a fare in modo selettivo esperienze compatibili con i suoi preconcetti, producendo distorsioni
nell’interpretare le esperienze, così da confermare questi preconcetti. In questo modo, sia gli schemi di sé
sia gli schemi relazionali, una volta strutturati, finiscono col funzionare come profezie che si autoavverano.
Essi spingono l’individuo ad agire secondo modalità che siano compatibili con i propri modelli, al fine di
cercare continue conferme ai propri schemi.
Gli schemi di sé e gli schemi relazionali giocano un ruolo importante, in quanto strettamente legati a
comportamenti, emozioni e processi psichici disfunzionali. Young, autore della schema-therapy, ha
identificato 18 schemi tipici dei disturbi di personalità, raggruppati in cinque vaste categorie chiamate
“domini”: isolamento e rifiuto; scarsa autonomia e capacità di azione; mancanza dei limiti; dedizione agli
altri; ipervigilanza e inibizione. Gli individui con disturbi di personalità compiono errori di percezione e
interpretazione degli eventi che sono sistematici, dando luogo a risposte seriamente inadeguate e
disadattive. Ciò è dovuto al fatto che tali individui presentano “schemi disadattivi precoci”, ossia pattern
permanenti e autodistruttivi che tipicamente maturano nel corso dello sviluppo psicologico, causano
pensieri distorti e disfunzionali. Il contenuto di questi schemi è costituito da credenze di base disfunzionali.
Gli schemi dell’individuo alterano la percezione degli eventi in modo che le esperienze in contraddizione
con le convinzioni dell’individuo vengano fraintese, trascurate o ridimensionate mentre, allo stesso tempo,
la sua interpretazione degli eventi e il suo comportamento si traducono in esperienze che sembrano
confermare i suoi schemi disfunzionali. Schemi relazionali disadattavi portano l’individuo ad innescare cicli
interpersonali disfunzionali.
persone pensano o interpretano le loro esperienze ha un profondo impatto sul modo in cui si sentono
riguardo a tali esperienze. La terapia cognitivo-comportamentale afferma che una valutazione del mondo
realistica o accurata e la capacità di adattarsi al mondo reale sono indicatori di buona salute mentale.
Viceversa, valutazioni disadattive o disfunzionali della realtà portano a una visione distorta del mondo e a
maggiori problemi emotivi e comportamentali. Il modello cognitivo-comportamentale sostiene che quando
un evento attivante (A) si verifica nell’ambiente circostante, la persona ha una credenza (B) su quell’evento
e la credenza di quella persona suscita una conseguenza o una risposta emotiva (C). Il contenuto e il
processo del nostro pensiero sono conoscibili e, con adeguata formazione e attenzione, le persone possono
diventare consapevoli del proprio pensiero (ipotesi dell’accesso). Poiché le cognizioni sono conoscibili e
mediano la risposta a situazioni diverse, è possibile modificare intenzionalmente il modo in cui le persone
rispondono agli eventi (ipotesi del cambiamento). Riconoscimento e comprensione delle reazioni emotive
e comportamentali porta a risposte più funzionali e adattive. La terapia cognitivo-comportamentale utilizza
strategie cognitive e comportamentali per aiutare le persone a identificare e sostituire comportamenti,
emozioni e cognizioni disadattivi e disfunzionali con comportamenti, emozioni e cognizioni più adattivi e
funzionali. La terapia cognitivo-comportamentale ha lo scopo di aiutare i pazienti a cambiare i pensieri
automatici, a capire come la distorsione cognitiva o il pensiero negativo influenzano sentimenti e
comportamenti, a sviluppare una valutazione più realistica di situazioni ed eventi e a modificare credenze e
assunti disfunzionali che predispongono a distorsioni cognitive. La terapia cognitivo-comportamentale aiuta
una persona ad intraprendere passi progressivi verso un cambiamento comportamentale. Per combattere i
pensieri e i comportamenti distruttivi, un terapeuta cognitivo-comportamentale inizia aiutando la persona
ad identificare le convinzioni problematiche. Questo stadio, noto come analisi funzionale, è importante per
imparare come pensieri, sentimenti e situazioni possano contribuire a comportamenti disadattivi.
Ai confini della teoria psicoanalitica si collocano le cosiddette teorie relazionali psicodinamiche o teorie
interpersonali psicodinamiche, le quali differiscono dalla classica teoria freudiana in quanto enfatizzano
ulteriormente l’aspetto interpersonale dello sviluppo della personalità. Le relazioni sono concepite come
esperienze di sé con gli altri, importanti per lo sviluppo del sé. Oltre la teoria psicoanalitica, pur
discendendo da questa, ma con posizioni molto distanti, si collocano un insieme di teorie
complessivamente denominate umanistiche, esistenziali o esperienziali, che hanno come fondamento
comune l’enfasi sulla motivazione, sul potenziale di crescita personale e sul successo e la realizzazione
personale. Le terapie umanistico-esistenziali hanno la convinzione che un individuo si stia sempre
muovendo verso un senso di completezza, a meno che non sia bloccato in questa impresa dalla paura o da
ostacoli ambientali.
Il trattamento psicoanalitico e psicodinamico è fondato sulla concezione della condotta umana e
dell’esperienza affettivo-relazionale, e in particolare della sofferenza psichica, come derivante dalla
complessa interazione tra una serie di meccanismi, forze e processi psichici prevalentemente
inconsapevoli alla persona e risultato dello sviluppo psicologico e delle influenze ambientali soprattutto
relazionali nelle prime fasi di vita. La teoria psicoanalitica concepisce l’uomo come guidato da forze
irrazionali e spinte sessuali e aggressive. A partire dagli eventi di vita precoci la personalità si sviluppa
attraverso stadi o fasi (orale, anale, fallico, latenza, genitale) che rappresentano la parte del corpo verso cui
è diretta la spinta sessuale. Nel bambino molto piccolo, sebbene la soddisfazione di un bisogno sia
importante, la motivazione primaria è la ricerca di un “oggetto” relazionale, ovvero di qualcuno con cui
relazionarsi, tanto che il processo di sviluppo avviene proprio in relazione agli altri nell’ambiente. Le
esperienze relazionali precoci portano alla creazione di oggetti interni che influenzano le relazioni
successive. Le prime relazioni plasmano le proprie aspettative sul modo in cui i propri bisogni sono
soddisfatti. Gli individui tentano di ricreare queste prime relazioni apprese in relazioni in corso che
potrebbero avere poco o nulla a che fare con quelle relazioni iniziali (enactment). L’inconscio è la parte
della mente di cui una persona non è consapevole e rappresenta i sentimenti, le emozioni e i pensieri
dell’individuo. La struttura psichica viene rappresentata come costituita da tre differenti elementi:
L’Es è l’aspetto della personalità guidato da forze e bisogni basilari e interni tipicamente istintuali,
come la fame, la sete e l’impulso sessuale (libido). L’Es agisce secondo il principio del piacere.
Il Super-io è guidato dal principio di moralità. Il Super-io agisce in connessione con la morale del
pensiero superiore e dell’azione.
L’Io è guidato dal principio di realtà e cerca di bilanciare Es e Super-Io sforzandosi di ottenere il
controllo dell’Es razionalizzando l’istinto dell’Es e compiacendo le pulsioni benefiche per la persona
nel lungo periodo. L’Io aiuta a riconoscere ciò che è veramente reale, distinguendo la realtà dalle
pulsioni dell’Es e dagli standard del Super-Io.
Il trattamento psicoanalitico e psicodinamico utilizza tecniche per comprendere l’interazione tra elementi
consci e inconsci della mente al fine di riportare alla luce a livello conscio quel materiale represso, come
paure, pensieri, ecc., ovvero nascosto e reso non disponibile alla riflessione consapevole poiché
incompatibile con pensieri consci oppure in conflitto con altri pensieri inconsci. Il trattamento psicoanalitico
e psicodinamico cerca di accedere all’inconscio della persona attraverso l’interpretazione dei sogni, le libere
associazioni e l’ipnosi. I problemi psicologici vengono affrontati attraverso l’analisi dei meccanismi di
difesa, ovvero delle operazioni difensive ognuna delle quali è collegata ad un particolare stadio dello
sviluppo psicosessuale ed è prevalente in una particolare formazione di compromesso psicopatologico.
o potenzialmente dannosi. Nella teoria psicoanalitica, i meccanismi di difesa sono strategie psicologiche di
risposta all’ansia messe in gioco dall’inconscio per manipolare, negare o distorcere la realtà al fine di
difendersi da sentimenti di ansia o da impulsi inaccettabili. È possibile classificare i meccanismi di difesa su
quattro livelli:
Livello I - Difese patologiche o psicotiche (negazione psicotica, proiezione delirante, distorsione): i
meccanismi di difesa appartenenti a questo livello portano ad una riorganizzazione delle esperienze
esterne al fine di eliminare la necessità di far fronte alla realtà, tanto da far apparire le persone che
utilizzano tali meccanismi come irrazionali, strane, bizzarre o pazze agli occhi degli altri. In effetti,
questi meccanismi di difesa sono le difese che tipicamente utilizzano i pazienti affetti da un
disturbo psicotico. A questo livello i meccanismi di difesa, quando sono predominanti, sono quasi
sempre gravemente patologici. Tuttavia, si possono ritrovare normalmente anche nei sogni e
durante l’infanzia pur in assenza di disturbi psichici.
Livello II - Difese immature (fantasia schizoide, proiezione, ipocondria, aggressione passiva o
comportamento passivo-aggressivo, acting-out): i meccanismi di difesa appartenenti a questo
livello riducono l’angoscia e l’ansia prodotta dal rapporto con persone percepite come minacciose o
da situazioni reali scomode. Un loro uso eccessivo è considerato come socialmente non
desiderabile, in quanto si tratta di difese difficili da gestire e fortemente fuori dal contatto con la
realtà e porta quasi sempre a seri problemi nella capacità di una persona di far fronte alla realtà in
modo efficace. Questi meccanismi di difesa sono spesso utilizzati da persone affette da disturbi
depressivi o da disturbi della personalità.
Livello III - Difese nevrotiche (intellettualizzazione, formazione reattiva, dissociazione,
spostamento, repressione): i meccanismi di difesa appartenenti a questo livello adottano un
approccio più socialmente desiderabile al fine di ridurre l’ansia e lo stress che quotidianamente
emergono nelle situazioni lavorative, familiari e relazionali. Tali difese hanno vantaggi a breve
termine nel far fronte alla realtà, ma possono causare problemi a lungo termine nelle relazioni, nel
lavoro e nel godersi la vita quando vengono utilizzate come stile primario nel rapportarsi agli altri e
al mondo.
Livello IV - Difese mature (umorismo, sublimazione, soppressione, altruismo, anticipazione): i
meccanismi di difesa appartenenti a questo livello adottano un approccio socialmente desiderabile
e sono stati adattati negli anni per aumentare il piacere e le sensazioni di controllo, integrando
emozioni e pensieri contrastanti, al fine di ottimizzare il successo nella società umana e nelle
relazioni. Questi meccanismi di difesa, anche se a volte hanno la loro origine in uno stadio di
sviluppo immaturo, sono comunemente presenti in età adulta tra quelle persone emotivamente
sane che sono considerate dagli altri come persone mature e virtuose.
I meccanismi di difesa possono comportare conseguenze normali o patologiche a seconda delle circostanze
e della frequenza con cui vengono utilizzati. Un meccanismo di difesa dell’Io diventa patologico solo
quando il suo uso persistente porta a comportamenti disadattivi tali da pregiudicare la salute fisica o
mentale dell’individuo.
Meccanismi di difesa maturi:
Accettazione. L’assenso di una persona alla realtà di una situazione, riconoscendo un processo o
una condizione senza tentare di cambiarla, di protestare o di abbandonarla.
Altruismo. Mettersi al servizio degli altri in maniera costruttiva e provando piacere e soddisfazione
personale.
Anticipazione. Pianificazione realistica dei problemi e dei disagi futuri al fine di poterli gestire e
ridurne la portata.
Regressione. Temporanea ricaduta dell’Io in uno stadio di sviluppo mentale o fisico precedente,
considerato come più sicuro in quanto meno impegnativo, meno faticoso e meno esigente in
termini di responsabilità e di impegno psicofisico, per non dover gestire impulsi inaccettabili in un
modo più adulto.
Repressione. Spostare e riporre forzatamente nell’inconscio un sentimento o desiderio nel
tentativo di impedire che entri nella coscienza perché tale sentimento o desiderio è considerato
socialmente inaccettabile o minaccioso; l’emozione è consapevole, ma l’idea alla base è assente.
Ritiro. Tirarsi fuori da eventi, stimoli e interazioni per paura che facciano ricordare pensieri e
sentimenti dolorosi.
Spostamento. Spostare gli impulsi sessuali o aggressivi verso obiettivi più accettabili o meno
minacciosi.
Meccanismi di difesa immaturi:
Aggressione passiva o comportamento passivo-aggressivo. Aggressività o ostilità verso gli altri,
espresse indirettamente o passivamente, spesso attraverso procrastinazione.
Acting-out. Espressione diretta in azione di un impulso o di un desiderio inconscio, senza
consapevolezza cosciente dell’emozione che guida il comportamento espressivo.
Fantasia schizoide. Tendenza a ritirarsi nella fantasia per risolvere conflitti interni ed esterni.
Idealizzazione. Percepire un’altra persona come possessore di qualità più desiderabili di quanto
possa effettivamente avere.
Identificazione proiettiva. Una particolare forma d’identificazione secondo cui l’oggetto della
proiezione evoca nella persona una versione dei pensieri, dei sentimenti o dei comportamenti
proiettati.
Introiezione. Identificarsi con qualche idea, oggetto o attributo di un’altra persona in modo così
profondo che quell’idea, quell’oggetto o quell’attributo diventa parte della persona che compie il
processo d’identificazione.
Ipocondria. Un’eccessiva preoccupazione per una grave malattia o l’ossessione di poter avere una
qualche malattia grave.
Pensiero illusorio. Prendere decisioni in base a ciò che potrebbe essere piacevole da immaginare
invece di fare appello alla realtà.
Proiezione. Vedere nelle azioni delle altre persone un sentimento o un bisogno inconscio concepiti
come socialmente inaccettabili quando in realtà tale sentimento o bisogno inconscio appartiene a
noi e non riusciamo ad affrontarlo o gestirlo.
Somatizzazione. La trasformazione di sentimenti spiacevoli verso gli altri in sentimenti di disagio
verso se stessi, come dolore, malattia e ansia.
Meccanismi di difesa psicotici:
Conversione. L’espressione di un conflitto intrapsichico come sintomo fisico.
Distorsione. Un rimodellamento grossolano della realtà esterna al fine di soddisfare i bisogni
interni.
Negazione psicotica. Rifiuto di accettare la realtà esterna perché ritenuta troppo minacciosa.
Proiezione delirante. Idee deliranti sulla realtà esterna, di solito di natura persecutoria.
Scissione. Gli impulsi dannosi e gli impulsi benevoli sono scissi e non integrati. La persona divide le
esperienze in categorie tutto-buono e tutto-cattivo.
come “coscienza”, ovvero come consapevolezza di sé, dell’ambiente e di sé in rapporto all’ambiente. Così
intesa, la coscienza ha tre dimensioni: vigilanza (vs. sonnolenza); lucidità (vs. ottundimento); coscienza di sé
(vs. disturbi del sé). La mente inconscia (o inconscio) è l’insieme di tutti quei fenomeni della mente che
avvengono in maniera automatica e che non sono disponibili alla capacità di introspezione da parte della
persona. Tali fenomeni mentali comprendono abitudini e reazioni automatiche, abilità automatiche,
percezioni subliminali, processi di pensiero, interessi, motivazioni, fobie nascoste, desideri, sentimenti e
ricordi repressi. Anche se questi fenomeni mentali sono collocati ben al di sotto della superficie della
consapevolezza cosciente, si crede che essi siano comunque in grado di condizionare il comportamento e
anche la parte conscia della mente per quanto riguarda le funzioni psichiche superiori come il pensiero,
l’apprendimento, l’attenzione, la memoria, la percezione, il linguaggio. La prima grande teoria a studiare
l’inconscio è stata la teoria psicoanalitica già nella sua concezione originaria (Sigmund Freud). Lo studio
dell’inconscio per tale teoria è stato di tale importanza da costituire uno degli elementi essenziali della
psicoanalisi la quale, attraverso l’interpretazione dei sogni e le libere associazioni, cerca proprio di
comprendere l’interazione tra elementi consci e inconsci della mente al fine di riportare alla luce a livello
conscio quel materiale represso. Secondo Carl Gustav Jung l’inconscio collettivo contiene immagini con
significati universali che sono evidenti nell’uso dei simboli da parte della cultura.
Secondo la teoria psicoanalitica, i fenomeni inconsci sono rappresentati direttamente nei sogni, oltre che
nei lapsus e nelle battute di spirito. Secondo Freud, eventi psichici significativi avvengono “sotto la
superficie” nella mente inconscia, come messaggi nascosti all’inconscio, e sono tali da avere un significato
sia simbolico che reale. In termini psicoanalitici, l’inconscio non include tutto ciò che non è conscio, bensì
ciò che viene attivamente represso dal pensiero cosciente o ciò che una persona non è disposta a
conoscere consapevolmente. I problemi psicologici derivano da emozioni e pensieri repressi che derivano
da esperienze passate, e come risultato di questa repressione, un comportamento alternativo sostituisce
ciò che è stato represso. Il paziente guarisce quando riesce ad ammettere ciò che è stato represso. Col
termine cognizione inconscia si intende l’elaborazione della percezione, della memoria,
dell’apprendimento, del pensiero e del linguaggio. La mente inconscia svolge un ruolo attivo nel processo
decisionale e nell’analisi delle informazioni. I messaggi subliminali utilizzano il fenomeno della mente
inconscia che non solo elabora i messaggi più velocemente della mente cosciente ma anche nota nel campo
visivo o uditivo quei dati che rimangono al di sotto della soglia della mente cosciente.
Delirium: la caratteristica essenziale è un’alterazione di coscienza accompagnata da una modificazione
cognitiva che non può essere meglio giustificata da una demenza stabilizzata o in evoluzione. Il delirium è
spesso un’alterazione nei cicli sonno-veglia. Quest’alterazione può comportare sonnolenza diurna o
agitazione notturna. È frequentemente accompagnato da un’attività psicomotoria alterata. D’altra parte, il
soggetto può mostrare una diminuzione dell’attività psicomotoria, con rallentamento e letargia che si
avvicinano allo stupor. Può presentare turbe emotive, come ansia, paura, depressione, irritabilità, apatia,
euforia. Vi possono essere rapidi e imprevedibili passaggi da uno stato emotivo all’altro.
Disturbi dissociativi: è una categoria che include diversi disturbi la cui caratteristica è la sconnessione delle
funzioni solitamente integrate della coscienza, memoria, identità o della percezione dell’ambiente:
Amnesia dissociativa: incapacità di rievocare importanti notizie personali, che è usualmente di natura
traumatica e stressogena, e che risulta troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a
dimenticare. Nell’amnesia circoscritta il soggetto non è in grado di rievocare eventi che si sono verificati
durante un periodo circoscritto di tempo. Nell’amnesia selettiva la persona può ricordare alcuni, ma non
tutti gli eventi; nell’amnesia generalizzata l’incapacità di ricordare riguarda l’intera vita della persona;
l’amnesia continuativa viene definita come l’incapacità di rievocare gli eventi da un certo momento in poi;
l’amnesia sistemizzata corrisponde alla perdita di memoria per certe categorie di informazioni.
cervello è in grado di gestire solo un piccolo sottoinsieme di queste informazioni, e ciò viene realizzato
attraverso i processi attenzionali. I nostri riflessi di orientamento ci aiutano a determinare quali eventi nel
nostro ambiente devono essere oggetto di attenzione.
L’attenzione è non solo selettiva ma anche e soprattutto limitata. Le variabili chiave che influiscono sulla
nostra capacità di rimanere in attività includono quanto siamo interessati allo stimolo e quanti elementi
distrattori ci sono. L’attenzione è limitata in termini sia di capacità e sia di durata. Poiché è una risorsa
limitata, dobbiamo essere selettivi su ciò su cui decidiamo di concentrarci. Dobbiamo concentrare la nostra
attenzione su un elemento specifico nel nostro ambiente, ma dobbiamo anche filtrare un numero enorme
di altri elementi. L’illusione che l’attenzione sia illimitata porta molte persone a praticare il multitasking.
Solo negli ultimi anni la ricerca ha evidenziato come il multitasking funzioni raramente perché la nostra
attenzione è, in realtà, limitata. L’attenzione divisa avviene quando gli individui prestano attenzione a più
fonti di informazioni o eseguono più di un compito. Il tentativo di eseguire due o più compiti
contemporaneamente si chiama multitasking. Tuttavia, la ricerca dimostra che quando si lavora in
multitasking le persone commettono più errori o eseguono i loro compiti più lentamente, perché
l’attenzione deve essere divisa tra tutte le attività contemporanee per essere eseguite bene. Ricerche
recenti che utilizzano paradigmi a doppio-compito sottolineano l’importanza del tipo di compiti nelle
risorse attenzionali. Nello specifico, in attività spaziali visivo-uditive e in attività spaziali visivo-tattili si
osserva l’interferenza dei due compiti. Al contrario, quando uno dei compiti coinvolge il rilevamento degli
oggetti, non viene osservata alcuna interferenza. In alternativa, la teoria delle risorse è stata proposta per
spiegare l’attenzione divisa su compiti complessi. La teoria delle risorse afferma che, dal momento che ogni
attività complessa è automatizzata, l’esecuzione di tale compito richiede meno delle risorse attentive
dell’individuo.
Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
È caratterizzato da almeno uno tra disattenzione, iperattività e/o impulsività:
Disattenzione: sei (o più) dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con
un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto
sulle attività sociali e scolastiche/lavorative: spesso non riesce a prestare attenzione ai
particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre
attività; ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
spesso non sembra ascoltare quando gli si parla; spesso non segue le istruzioni e non porta
a termine i compiti scolastici o i doveri sul posto di lavoro; ha spesso difficoltà a
organizzarsi nei compiti e nelle attività; spesso evita, prova avversione o è riluttante a
impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto; spesso è facilmente
distratto da stimoli esterni; è spesso sbadato nelle attività quotidiane.
Iperattività e impulsività: sei (o più) dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con
un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto
sulle attività sociali e scolastiche/lavorative: spesso agita o batte mani e piedi o si dimena
sulla sedia; spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti;
spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato; è spesso incapace di
giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente; spesso parla troppo; ha spesso
difficoltà nell’aspettare il proprio turno; spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro
confronti.
Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni.
Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in più contesti.
Il principio del destino comune raggruppa gli stimoli sulla base del loro movimento.
Il principio di buona forma si riferisce alla tendenza a raggruppare forme di forma, modello, colore
simili.
Effetti di contrasto. Una constatazione comune su diversi tipi di percezione è che la qualità percepita di un
oggetto può essere influenzata dalla qualità del contesto. Se un oggetto è estremo su alcune dimensioni, gli
oggetti vicini vengono percepiti come più lontani da quell’estremo. Il cosiddetto “effetto di contrasto
simultaneo” riguarda stimoli che sono presentati nello stesso momento. Il cosiddetto “effetto di contrasto
successivo” si riferisce agli stimoli che sono presentati uno dopo l’altro.
L’effetto dell’esperienza è quell’effetto che spiega perché con l’esperienza le persone possono imparare a
fare distinzioni percettive più sottili.
L’effetto di motivazione e di aspettativa consiste nella predisposizione a percepire le cose in un certo
modo.
I disturbi quantitativi sono:
ipoestesia (ridotta percezione);
iperestesia (percezione amplificata);
estraneamento dal mondo delle percezioni.
I disturbi qualitativi si distinguono in: alterazioni non allucinatorie ed allucinatorie. Ci sono tre tipi principali
di alterazioni percettive non allucinatorie:
illusioni;
allucinosi;
pseudoallucinazioni.
Le illusioni sono fenomeni in cui una percezione reale viene trasformata per la combinazione di elementi
non reali.
Le illusioni affettive sono quelle illusioni che si verificano in condizioni di particolare stato emotivo del
soggetto.
Anche l’allucinosi, come l’allucinazione, consiste nella manifestazione di una percezione in assenza di
oggetto. L’elemento che la distingue è la conservazione della capacità da parte del soggetto di riconoscerne
la natura abnorme.
La pseudoallucinazione è una forma particolarmente vivida e intensificata di rappresentazione mentale. È
riferita allo spazio interno del soggetto, che può descrivere di percepire "il proprio stomaco di vetro",
oppure descrive voci interne, immagini interne.
L’allucinazione è una percezione che avviene in assenza di oggetto. A differenza dall’allucinosi, non è
correggibile: l’individuo è convinto della realtà delle proprie percezioni e non può essere convinto del
contrario. La percezione allucinatoria ha caratteristiche analoghe a quelle di una percezione reale nella
fisicità, nella struttura. Un altro elemento che normalmente contraddistingue le allucinazioni è il carattere
autocentrico: le voci udite parlano al paziente, è lui che insultano, a lui danno ordini. Si possono distinguere
diverse allucinazioni a seconda dell’area sensoriale interessata: ciascuno dei cinque sensi può essere
interessato da fenomeni allucinatori.
I disturbi della memoria possono essere distinti in alterazioni organiche e alterazioni psicogene.
Le alterazioni organiche sono:
Amnesia lacunare. Perdita di memoria spesso conseguente a trauma cranico che interessa uno
specifico periodo di tempo molto limitato.
Amnesia anterograda/retrograda. Perdita di memoria in genere causata da trauma cranico o
intossicazioni da sostanze; possono essere perduti i ricordi precedenti (amnesia retrograda) oppure
successivi (amnesia anterograda) all’evento causale.
Amnesia globale. Quadro clinico severo scatenato da gravi eventi patologici nel quale si riscontrano
sia l’amnesia anterograda che l’amnesia retrograda.
Blackout alcolico. Blackout di memoria che interferisce con la capacità di ricordare eventi ed
episodi recenti finanche a cancellare del tutto la consapevolezza di quanto si è fatto o detto in stato
di ubriachezza.
Sindrome di Korsakov. Malattia cerebrale degenerativa con conseguente amnesia anterograda e
retrograda.
Confabulazione. Si verifica in stato di coscienza lucida in associazione con amnesia di origine
organica. Può esserci confabulazione di imbarazzo (alterazione transitoria, in cui la persona cerca
di coprire vuoti di memoria) e confabulazione fantastica (la persona descrive spontaneamente
esperienze non accadute, spesso avventurose).
Perseverazione. Segno di malattia cerebrale organica, in cui una risposta appropriata al primo
stimolo viene mantenuta anche se lo stimolo cambia.
Déja vu. Sentimento di familiarità associato a qualcosa che viene sperimentato per la prima volta.
Jamais vu. Incapacità di riconoscere una situazione come familiare.
Le alterazioni psicogene sono:
Dimenticanza selettiva. Tendenza all’oblio per eventi imbarazzanti, in cui l’evento viene mantenuto
ma il ricordo dell’emozione soggettiva legato ad esso è alterato.
Falsificazione della memoria. Menzogna plausibile e disinvolta che si associa spesso a disturbi di
personalità.
Cripto amnesia. Esperienza di non ricordare che si sta ricordando. Si riferisce alla generazione di
una parola, idea, soluzione che già esiste da tempo credendo che sia totalmente originale.
Amnesia dissociativa. Incapacità a ricordare dati personali importanti.
Fuga dissociativa. Restringimento del campo di coscienza con successiva amnesia per l’episodio di
allontanamento; spesso si accompagna a perdita dell’identità con assunzione di una nuova.
Disturbo dissociativo dell’identità (personalità multipla). Amnesia completa o parziale per una o
più delle personalità assunte.
Amnesia globale transitoria. Grave perdita di memoria spesso indotta da forte stress con un totale
e completo ripristino della funzione mnemonica dopo circa 24 ore.
Sindrome di Ganser. Forma dissociativa con amnesia per il periodo nel quale si manifestano i
sintomi. Si verifica una produzione volontaria di sintomi psicologici che tende al peggioramento
quando il paziente è consapevole di essere osservato.
Alterazioni di memoria in corso di disturbo da stress post-traumatico. L'evento traumatico viene
rivissuto persistentemente attraverso ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento.
Vuoti di memoria indotti da ansia. Possono verificarsi in forma transitoria e occasionale in soggetti
sani.
Confabulazione fantastica a contenuto persecutorio. Si verifica in corso di schizofrenia,
depressione, stati ossessivi.
False memory syndrome. Fenomeno spesso conseguente ai processi di recupero (ipnosi, casi
giudiziari).
La tangenzialità è una forma di lieve deragliamento in cui le idee sono correlate tra loro
marginalmente. A differenza del deragliamento, che si manifesta nel corso di un discorso
spontaneo, la tangenzialità si manifesta come immediata risposta ad una domanda.
L’incoerenza è caratterizzata da destrutturazione e scarsa coesione delle idee che sono totalmente
sconnesse tra loro.
L’illogicità è caratterizzata dalla tendenza da parte del pensiero a non seguire le regole della logica
comunemente usata, in quanto possiede in alcuni o in tutti i passaggi premesse o inferenze
erronee.
L’iperinclusione è caratterizzata dall’incapacità di selezionare, restringere ed eliminare dalla
struttura concettuale elementi non strettamente correlati.
La fusione è caratterizzata dalla tendenza a concatenare le idee mettendo insieme elementi
eterogenei sino a formare una raccolta indiscriminata priva di una progressione logica in un
percorso che parte dalle premesse per arrivare alla tesi da dimostrare.
La mistura (o miscuglio) rappresenta una forma estrema di fusione e deragliamento ed è
caratterizzato da un impasto di parti costitutive di un singolo processo di pensiero.
I disturbi del possesso (o del controllo) del pensiero si riferiscono alla sensazione che un individuo può
avere di perdita di controllo del pensiero, ovvero di non vivere il proprio pensiero come appartenente a se
stesso o di non poter dirigere i propri pensieri a proprio piacimento.
Le ossessioni sono caratterizzate dalla comparsa persistente, ricorrente e involontaria di contenuti
psichici che la persona vive come assurdi e disturbanti, tanto da indurre nella persona ansia e senso
di colpa per il loro contenuto ripugnante nonostante compaiano contro la sua volontà.
L’alienazione del pensiero è caratterizzata dalla tendenza a percepire un senso di influenzamento
sul proprio pensiero dall’esterno. A differenza del pensiero ossessivo, nell’alienazione del pensiero
la persona ha la sensazione che i suoi pensieri siano sotto il controllo di un’entità esterna o che
qualcuno dall’esterno stia influenzando il suo pensiero.
L’inserzione del pensiero è caratterizzata dalla sensazione che un’entità esterna sia
responsabile dei propri pensieri.
Il furto (o sottrazione) del pensiero è caratterizzato dalla sensazione che i propri pensieri
vengano sottratti da altre persone.
La diffusione (o trasmissione) del pensiero è caratterizzata dalla sensazione che le altre
persone siano in grado di avvertire i propri pensieri.
I disturbi del contenuto del pensiero riguardano direttamente le idee e sono:
Le idee prevalenti sono caratterizzate da idee comprensibili, accettabili e accessibili alla critica,
dunque non necessariamente false e nemmeno incorreggibili, strettamente associate a un’intensa
componente affettiva, che dominano la mente tanto che tutte le altre idee diventano secondarie.
I deliri sono caratterizzati da idee false che la persona difende da ogni evidenza come se fossero
vere quando invece sono oggettivamente errate. I deliri sono dotati di tre caratteristiche essenziali:
impossibilità (o falsità): evidente assurdità del contenuto o trasformazione soggettiva della
realtà basata su erronee deduzioni riguardanti la realtà esterna;
certezza soggettiva: straordinaria convinzione con cui vengono mantenuti;
incorreggibilità: inacessibilità alla critica e al ragionamento e non modificabilità di fronte ad
argomentazioni di tipo logico e di fronte all’evidenza.
I deliri sono comunemente distinti sulla base della loro tematica:
Delirio di persecuzione. La persona crede di essere vittima di cospirazioni e molestie.
Delirio di riferimento. Gli avvenimenti esterni sono interpretati dalla persona in senso
autoreferenziale.
Delirio di colpa. La persona crede di avere la colpa su determinati eventi.
Delirio d’indegnità. La persona crede di essere indegna.
Delirio di rovina. La persona crede di essere rovinata economicamente.
Delirio di negazione. La persona crede che una parte di sé o del mondo non esistano.
Delirio di grandezza. La persona si sente potente e nega i propri limiti.
Delirio erotomanico. La persona ha la ferma convinzione che un’altra persona, in genere di
condizione sociale più elevata, sia innamorata di lui/lei.
Delirio di gelosia. La persona ha la ferma convinzione che il partner sia infedele e lo/la tradisca.
Delirio mistico. La persona crede di comunicare con Dio, di essere un suo messaggero o di essere la
sua reincarnazione.
Delirio ipocondriaco. La persona crede di essere affetta da una grave malattia.
Delirio di influenzamento. La persona crede di essere in vario modo controllata da persone o forze
esterne, nei propri pensieri, emozioni, impulsi o comportamenti.
Delirio querulomane (o di rivendicazione). La persona ritiene di aver subito un danno per il quale
pretende di esser risarcita.
Delirio somatico. La persona ha la convinzione che il proprio corpo, o una sua parte, sia in qualche
misura abnorme, distorto o violato.
La comunicazione simbolica si riferisce a cose alle quali abbiamo dato un significato e che rappresentano
una certa idea che abbiamo. La comunicazione simbolica è importante per quanto riguarda la
comunicazione interculturale.
La comunicazione aggressiva è tesa a soddisfare i bisogni e gli obiettivi del comunicatore trascurando quelli
degli altri ed è caratterizzata da sarcasmo, gesti aggressivi.
La comunicazione passiva è tesa ad evitare di dire direttamente ciò che si pensa ed è caratterizzata dall’uso
di toni generici o ambigui, dal parlare molto sottovoce.
La comunicazione assertiva è tesa a soddisfare i bisogni e gli obiettivi sia del comunicatore sia degli altri ed
è caratterizzata da parlare chiaramente e concretamente delle proprie opinioni, esigenze e sentimenti
senza violare i bisogni degli altri e senza essere giudicanti.
Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia caratterizzato da: costante incapacità di parlare in situazioni
sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli, nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni; la
condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale; la durata della
condizione è di almeno 1 mese; l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si è a
proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale.
I disturbi della comunicazione:
Il disturbo del linguaggio è caratterizzato da: difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso di diverse
modalità di linguaggio dovute a deficit della comprensione o della produzione: lessico ridotto, limitata
strutturazione delle frasi, compromissione delle capacità discorsive.
Il disturbo fonetico-fonologico è caratterizzato da: difficoltà nella produzione dei suoni dell’eloquio che
interferisce con l’intelligibilità dell’eloquio o impedisce la comunicazione verbale di messaggi; l’alterazione
causa limitazioni dell’efficacia della comunicazione che interferiscono con la partecipazione sociale, il
rendimento scolastico o le prestazioni professionali; l’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce dello
sviluppo; le difficoltà non sono attribuibili a condizioni congenite o acquisite.
Il disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie) è caratterizzato da: alterazioni della normale
fluenza e della cadenza dell’eloquio, che sono inappropriate per l’età dell’individuo e per le abilità
linguistiche. Persistono nel tempo: ripetizioni di suoni e sillabe, prolungamenti dei suoni delle consonanti
così come delle vocali, interruzione di parole, blocchi udibili o silenti, circonlocuzioni, parole pronunciate
con eccessiva tensione fisica, ripetizioni di intere parole monosillabiche.
Il disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) è caratterizzato da: persistenti difficoltà nell’uso
sociale della comunicazione verbale e non verbale: deficit dell’uso della comunicazione per scopi sociali;
compromissione della capacità di modificare la comunicazione al fine di renderla adeguata al contesto o
alle esigenze di chi ascolta; difficoltà nel seguire le regole della conversazione e della narrazione; difficoltà
nel capire ciò che non viene dichiarato esplicitamente e i significati non letterali o ambigui del linguaggio.
Nei disturbi neurocognitivi una caratteristica essenziale è il declino, secondo diversi livelli di gravità, nella
capacità di linguaggio espressivo, in forma di produzione del linguaggio, word finding, denominazione degli
oggetti, grammatica o comprensione delle parole.
Nel disturbo dello spettro dell’autismo, una caratteristica essenziale è il deficit persistente della
comunicazione sociale sia di tipo verbale sia di tipo non verbale.
Infine, nei disturbi caratterizzati da episodi maniacali e nei disturbi psicotici in generale possono esservi:
o Alogia. Impoverimento del pensiero che si può riscontrare osservando i comportamenti inerenti il
linguaggio e l’eloquio. Possono esserci risposte brevi e concrete alle domande, e riduzione della
quantità di eloquio spontaneo (definito eloquio impoverito). Talora l’eloquio risulta adeguato per
quantità, ma fornisce poche informazioni in quanto troppo concreto, troppo astratto, ripetitivo o
stereotipato (definito povertà di contenuto).
o Catatonia. È una marcata diminuzione della reattività all’ambiente. Ciò può comprendere anche la
completa mancanza di risposte verbali e motorie. Il comportamento catatonico può comprendere
anche l’ecolalia.
o Ecolalia. Ripetizione patologica, a pappagallo, e apparentemente insensata (eco) di una parola o
frase appena pronunciata da un’altra persona.
o Fuga delle idee. Flusso pressoché continuativo di eloquio accelerato, con bruschi passaggi da un
argomento all’altro, solitamente basati su associazioni incomprensibili.
o Incoerenza. Eloquio o pensiero che risulta sostanzialmente incomprensibile agli altri in quanto le
parole o le frasi sono messe insieme senza che abbiano un nesso logico o di significato.
L’alterazione si verifica all’interno delle proposizioni, a differenza del deragliamento, in cui
l’alterazione è tra una proposizione e l’altra. Questo fenomeno è stato talora denominato “insalata
di parole”, per dare l’idea del grado di disorganizzazione del linguaggio.
o Mutismo. Nessuna, o ridotta, risposta verbale.
o Pensiero disorganizzato (eloquio). L’individuo può passare da un argomento all’altro
(deragliamento o allentamento dei nessi associativi). Le risposte alle domande possono essere
correlate in modo marginale o completamente non correlate (tangenzialità). L’eloquio può essere
così gravemente disorganizzato da essere quasi incomprensibile (incoerenza o “insalata di
parole”).
o Pressione del discorso. Eloquio aumentato per quantità, accelerato e difficile o impossibile da
interrompere. Usualmente risulta anche di alto volume ed enfatico.
o Rallentamento psicomotorio. Rallentamento generalizzato visibile dei movimenti e dell’eloquio.
l’interpretazione cognitiva è ciò che le persone usano per etichettare quell’emozione. Simili risposte
fisiologiche possono produrre emozioni diverse. Molto spesso è il pensiero (e la valutazione cognitiva) ad
avvenire prima di provare emozioni. Molto spesso la sequenza degli eventi coinvolge prima uno stimolo,
seguito da un pensiero che poi porta all’esperienza simultanea di una risposta fisiologica e dell’emozione.
Le emozioni sono chiamate in causa già nella definizione che fornisce il DSM-5 di disturbo mentale. Il DSM-
5, in particolare, annovera due condizioni emotive importanti, ovvero l’umore e l’affetto.
L’umore è un’emozione pervasiva e prolungata che colora la percezione del mondo. L’umore può essere
eutimico (nei limiti della norma), disforico (spiacevole), esaltato (sentimento esagerato di benessere,
euforia o esaltazione), espanso (mancanza di inibizione nell’esprimere i propri sentimenti, spesso
accompagnata da sopravvalutazione della propria importanza o significato) e irritabile (facilità a irritarsi e
ad arrabbiarsi).
L’affetto è una modalità di comportamento che è espressione di una condizione di sentimento
soggettivamente sperimentata
Le alterazioni dell’affettività comprendono: appiattimento affettivo (assenza di segni di espressione
affettiva), inadeguatezza affettiva (discordanza tra espressione affettiva e contenuto dei discorsi o
dell’ideazione), labilità affettiva (variabilità degli affetti, con cambiamenti ripetuti, rapidi e improvvisi
nell’espressione affettiva), restringimento o coartazione affettiva (riduzione nella gamma e nell’intensità
dell’espressione emotiva) e spegnimento affettivo (riduzione nell’intensità dell’espressione emotiva).
I disturbi depressivi sono caratterizzati da:
affettività negativa: frequenti e intense esperienze di alti livelli di una vasta gamma di emozioni
negative;
labilità emotiva: instabilità delle esperienze emotive e dell’umore;
affettività ridotta: ridotta capacità di provare ed esprimere le emozioni.
I disturbi bipolari sono caratterizzati da euforia, esperienza di intensi sentimenti di benessere, esaltazione,
felicità, eccitazione e gioia.
I disturbi d’ansia sono caratterizzati da paura, risposta emotiva a una minaccia o a un pericolo.
Il disturbo oppositivo provocatorio e il disturbo esplosivo intermittente sono entrambi caratterizzati da
problemi di autocontrollo delle emozioni, della rabbia e scoppi d’ira.
Schizofrenia e disturbi psicotici sono associati ad appiattimento affettivo (assenza totale di segni di
espressione affettiva), restringimento affettivo o coartazione affettiva (lieve riduzione nella gamma e
nell’intensità dell’espressione emotiva), spegnimento affettivo (significativa riduzione nell’intensità
dell’espressione emotiva) e inadeguatezza affettiva (discordanza tra espressione affettiva e contenuto dei
discorsi o dell’ideazione).
Nel disturbo da stress post-traumatico vi sono alterazioni negative delle emozioni associate all’evento
traumatico.
Disturbi di personalità:
il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, in cui la persona è a disagio con le emozioni
proprie e altrui;
il disturbo istrionico di personalità, in cui c'è un’espressione esagerata, superficiale e rapidamente
mutevole delle emozioni;
il disturbo borderline di personalità, in cui c'è un’espressione molto intensa delle emozioni ed una
forte instabilità emotiva, ovvero labilità affettiva;
il disturbo schizoide di personalità, in cui la persona è indifferente agli aspetti emotivi e raramente
esprime emozioni forti, ovvero appiattimento affettivo.
Disturbo depressivo maggiore: cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente
presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello
di funzionamento; almeno uno dei sintomi è:
Umore depresso;
Marcata diminuzione di interesse per tutte le attività;
Significativa perdita di peso o aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito;
Insonnia o ipersonnia;
Agitazione o rallentamento psicomotori;
Faticabilità o mancanza di energia;
Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati;
Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione;
Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico di suicidio.
Disturbo depressivo persistente (distimia): umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i
giorni, per almeno 2 anni. Nota: nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile e la durata
deve essere di almeno 1 anno. Presenza di due (o più) dei seguenti sintomi: scarso appetito o iperfagia,
insonnia o ipersonnia, scarsa energia o astenia, bassa autostima, difficoltà di concentrazione o nel prendere
decisioni, sentimenti di disperazione.
Disturbo disforico premestruale: nella maggior parte dei cicli mestruali, almeno cinque sintomi devono
essere presenti nella settimana precedente le mestruazioni, iniziare a migliorare entro pochi giorni
dall’insorgenza delle mestruazioni e ridursi al minimo o scomparire nella settimana successiva alle
mestruazioni. Uno (o più) dei seguenti sintomi deve essere presente: marcata labilità affettiva, marcata
irritabilità o rabbia oppure aumento dei conflitti interpersonali, umore marcatamente depresso, sentimenti
di disperazione o pensieri autocritici, ansia marcata, tensione e/o sentirsi con i nervi a fior di pelle.
Uno (o più) dei seguenti sintomi deve essere presente, in aggiunta, per il raggiungimento del totale di
cinque sintomi quando combinati con i sintomi del criterio qui sopra: diminuito interesse nelle attività
abituali, difficoltà soggettiva di concentrazione, letargia, facile faticabilità o marcata mancanza di energia,
marcata modificazione dell’appetito, sovralimentazione o forte desiderio di cibi specifici, ipersonnia o
insonnia, senso di sopraffazione o di essere fuori controllo e sintomi fisici come indolenzimento o tensione
del seno, dolore articolare o muscolare, sensazione di “gonfiore” oppure aumento di peso.
Gli schemi depressivi influenzano la percezione e il ricordo di sé, del mondo, degli eventi, delle altre
persone e del futuro. Una volta attivati, gli schemi depressivi introducono distorsioni nel processo di
elaborazione delle informazioni, chiamate appunto distorsioni cognitive, ovvero dei modelli di pensiero
“difettosi” caratterizzati da pensieri negativi abituali. La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede
l’identificazione e la modifica di una serie di distorsioni cognitive che danno origine ai disturbi dell’umore:
o Astrazione selettiva: concentrare l’attenzione su aspetti particolari;
o Bisogno di certezza: focalizzarsi su cose certe;
o Catastrofizzazione: soffermarsi sulle conseguenze peggiori;
o Deduzione arbitraria: trarre conclusioni in assenza di prove;
o Doverizzazioni: le cose devono essere in un certo modo;
o Etichettamento: definire le cose con un’etichetta globale;
o Filtri mentali: focalizzarsi su alcune cose e trascurare altre (individuare mentalmente i cattivi eventi
nella propria vita);
o Generalizzazione eccessiva: fare una regola dopo singoli eventi;
o Inferenza arbitraria: inferire in mancanza di evidenze sufficienti;
o Ingigantire/Minimizzare: esaltare o ridurre l’importanza delle cose;
o Intolleranza al disagio emotivo: non tollerare stati d’animo negativi;
credenze disfunzionali di base circa se stessi e le esperienze personali, circa gli altri e il mondo e circa il
futuro (triade cognitiva). Tali credenze si basano su presupposti specifici, per esempio: “Se dovessi
mostrare debolezze, la gente penserebbe male di me”. Sulla base di tali credenze disfunzionali e dei relativi
presupposti si attivano una serie di distorsioni cognitive che danno origine agli attacchi di panico e
all’agorafobia. Le credenze disfunzionali sono basate su imput di persone significative.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è il trattamento psicoterapeutico d’elezione degli attacchi di
panico e dell’agorafobia e prevede l’identificazione e la modifica di una serie di distorsioni cognitive che
danno origine a questi disturbi:
Astrazione selettiva: tendenza a concentrare l’attenzione su aspetti particolari della situazione in
esame, tralasciandone altri più importanti;
Bisogno di certezza: tendenza a focalizzarsi sempre e solo su cose certe;
Catastrofizzazione: tendenza a soffermarsi sulle conseguenze peggiori di una situazione e
sovrastimare la possibilità che queste si verifichino;
Deduzione arbitraria: tendenza a trarre conclusioni in assenza di prove o in contrasto con esse;
Doverizzazioni: tendenza a pensare che le cose debbano essere proprio in un certo modo;
Etichettamento: tendenza a definire le cose con un’etichetta globale invece che facendo
riferimento a cose specifiche;
Filtri mentali: tendenza a filtrare mentalmente la realtà, focalizzandosi su alcune cose e
trascurandone altre;
Generalizzazione eccessiva: tendenza a fare una regola dopo un singolo evento;
Inferenza arbitraria: tendenza a trarre conclusioni in mancanza di evidenze sufficienti;
Ingigantire/Minimizzare: tendenza ad esaltare o ridurre l’importanza di eventi e situazioni;
Intolleranza al disagio emotivo: tendenza a non tollerare stati d’animo negativi;
Lettura del pensiero: tendenza ad essere convinti che le persone nutrano sentimenti negativi verso
gli altri;
Minimizzare il positivo: tendenza a svalutare o squalificare gli aspetti positivi, in quanto sono in
contrasto con la propria visione negativa;
Pensiero assolutistico (“tutto o niente”): tendenza a dare ampi giudizi categorici, ad attribuire alle
esperienze significati estremi, unidimensionali e assoluti;
Pensiero dicotomico (o pensiero “bianco o nero”): tendenza a pensare in modo estremo, e a
considerare eventi, situazioni, ecc. come appartenenti ad un estremo oppure all’altro;
Pensiero magico: tendenza a credere che un evento accada come risultato di un altro senza un
legame plausibile di causalità;
Personalizzazione (o autoriferimento): tendenza ad essere convinti di essere al centro di tutto, per
cui tutte le cose vengono interpretate in relazione alla propria persona;
Presupporre una causalità temporale: tendenza a fare previsioni sulla base di prove insufficienti;
Ragionamento emotivo: tendenza ad interpretare e giudicare gli eventi e se stessi e a vedere le
situazioni sulla base delle proprie emozioni in quel momento;
Responsabilità eccessiva: tendenza ad assumersi tutta la responsabilità in determinate situazioni
senza considerare responsabilità da parte di altri (porta a pensare “I miei problemi di panico sono
colpa mia”).
ha difficoltà nel controllare la preoccupazione; l’ansia e la preoccupazione sono associate con tre (o più) dei
sei seguenti sintomi: irrequietezza, o sentirsi tesi o “con i nervi a fior di pelle”, facile affaticamento,
difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare e alterazioni del sonno. L’ansia,
la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
Le persone con disturbo d’ansia generalizzata spesso si sentono ansiosi per la maggior parte del giorno. La
paura è un’emozione vissuta dopo una minaccia, ovvero in risposta a una minaccia imminente. L’ansia,
viceversa, è uno stato emotivo vissuto prima di una minaccia, ovvero in previsione di una potenziale
minaccia futura. La preoccupazione persistente, eccessiva e invalidante è la caratteristica distintiva del
disturbo d’ansia generalizzata. Un’eccessiva preoccupazione significa preoccuparsi anche quando non vi è
alcuna minaccia specifica presente o in un modo sproporzionato rispetto al rischio reale. La preoccupazione
è vissuta come molto difficile da controllare e può essere accompagnata da una ricerca di rassicurazioni
negli altri. Le caratteristiche della preoccupazione eccessiva includono: preoccuparsi anche quando non c’è
niente di sbagliato; preoccuparsi di una minaccia percepita in modo sproporzionato rispetto al rischio reale;
preoccuparsi di qualcosa per la maggior parte delle ore del giorno; ricerca di rassicurazioni negli altri su di
una questione oggetto di una specifica preoccupazione, ma continuando a preoccuparsi comunque, ecc.
L’ansia moderata può influire in maniera positiva nei seguenti processi psichici:
Motivazione: a volte abbiamo bisogno di una dose di ansia per essere motivati a fare le cose. Se
non temessimo le conseguenze negative che ci hanno portato a provare ansia, sarebbe improbabile
per noi poter accettare delle regole, completare un lavoro o fare qualcosa che non ci sembra
piacevole. Ci spinge a fare le cose.
Preparazione: se abbiamo un discorso importante da fare, un test o un evento in programma,
potremmo sentirci ansiosi man mano si avvicina. Questa ansia ci spinge a prepararci alla situazione,
in modo da avere le basi per poterla affrontare per bene riuscendo anche a prevedere cosa
dovremmo fare negli scenari peggiori.
Attenzione: quando siamo ansiosi, la nostra attenzione si sposta su cose che sono importanti nella
nostra vita. Ci fa riconoscere le cose che meritano la nostra attenzione e quindi diventa strumentale
nella preparazione e nella motivazione.
Protezione: poiché l’ansia è spesso correlata alla paura, è un modo per proteggerci dal pericolo.
Possiamo diventare ansiosi in situazioni che potrebbero causarci danni o addirittura ucciderci, e
questa sensazione di ansia naturale lo impedisce.
Comunicazione: quando le persone sono ansiose sono costrette a comunicare e condividere questi
sentimenti. È un modo in cui il nostro organismo ci aiuta a trovare supporto.
Tuttavia, quando ci si preoccupa eccessivamente, al punto che le preoccupazioni interferiscono con le
attività quotidiane, si potrebbe avere il disturbo d’ansia generalizzata. Ci sono alcuni indicatori di gravità e
intensità che valutano il punto in cui l’ansia può essere un problema e costituire un vero e proprio disturbo
d’ansia:
o “Grave”: sebbene a volte l’ansia che tutte le persone provano possa essere alquanto grave, una
caratteristica del disturbo d’ansia generalizzata è che questa ansia è solitamente più intensa e
duratura.
o “Sproporzionata”: l’esperienza dell’ansia per la maggior parte delle persone è proporzionata
all’intensità della situazione. Le persone con disturbo d’ansia generalizzata tendono a diventare più
ansiose di quanto la situazione sembra giustificare.
o “Pervasiva”: quando le persone sperimentano l’ansia normale tendono a preoccuparsi di cose
legate alla situazione che provoca ansia o a molte altre cose che li rendono spaventosi. Le persone
con disturbo d’ansia generalizzata tendono a preoccuparsi per tutto il tempo.
o “Incontrollabile”: la maggior parte delle persone può ridurre e controllare la propria ansia
attraverso una varietà di tecniche di coping e la capacità di calmarsi. Tuttavia, le persone con
disturbo d’ansia generalizzata hanno notevoli difficoltà a trovare relax, calma e tempo lontano dalle
loro preoccupazioni.
Gli schemi ansiogeni influenzano la percezione e il ricordo di sé, del mondo, degli eventi, delle altre
persone e del futuro. La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede l’identificazione e la modifica di
una serie di distorsioni cognitive che danno origine al disturbo d’ansia generalizzata.
Astrazione selettiva: tendenza a concentrare l’attenzione su aspetti particolari;
Bisogno di certezza: tendenza a focalizzarsi sempre e solo su cose certe;
Catastrofizzazione: tendenza a soffermarsi sulle conseguenze peggiori;
Deduzione arbitraria: tendenza a trarre conclusioni in assenza di prove;
Doverizzazioni: tendenza a pensare che le cose debbano essere proprio in un certo modo;
Etichettamento: tendenza a definire le cose con un’etichetta globale (“sono una persona
impacciata);
Filtri mentali: tendenza ad individuare mentalmente i cattivi eventi trascurando quelli positivi;
Generalizzazione eccessiva: tendenza a fare una regola dopo un singolo evento;
Inferenza arbitraria: tendenza a trarre conclusioni in mancanza di evidenze sufficienti (credere di
non piacere ad una persona senza alcuna informazione reale);
Ingigantire/Minimizzare: tendenza ad esaltare o ridurre l’importanza di eventi;
Intolleranza al disagio emotivo: tendenza a non tollerare stati d’animo negativi;
Lettura del pensiero: tendenza ad essere convinti che le persone stiano pensando in un certo
modo;
Minimizzare il positivo: tendenza a svalutare o squalificare gli aspetti positivi, in quanto sono in
contrasto con la propria visione negativa;
Pensiero assolutistico (“tutto o niente”): tendenza ad attribuire alle esperienze significati estremi,
unidimensionali e assoluti;
Pensiero dicotomico (o pensiero “bianco o nero”): tendenza a considerare eventi, situazioni, ecc.
come appartenenti ad un estremo oppure all’altro;
Pensiero magico: tendenza a credere che un evento accada come risultato di un altro senza un
legame plausibile di causalità;
Personalizzazione (o autoriferimento): tendenza ad essere convinti di essere al centro di tutto, per
cui tutte le cose vengono interpretate in relazione alla propria persona;
Presupporre una causalità temporale: tendenza a fare previsioni sulla base di prove insufficienti;
Ragionamento emotivo: tendenza ad interpretare e giudicare gli eventi e se stessi sulla base delle
proprie emozioni in quel momento;
Responsabilità eccessiva: tendenza ad assumersi tutta la responsabilità in determinate situazioni
senza considerare responsabilità da parte di altri.
Le persone con disturbo d’ansia sociale hanno una paura irrazionale di essere osservate o giudicate o di
ritrovarsi in situazioni imbarazzanti o umilianti. Sono a disagio nei confronti di chiunque tranne i familiari e
gli amici più stretti. Sanno che la loro paura è irragionevole o sproporzionata rispetto alla situazione, ma
non riescono a controllare la loro ansia. L’ansia sociale può essere generalizzata quando le persone sono
preoccupate per la maggior parte delle situazioni sociali e di performance. L’ansia sociale può essere
specifica e riguardare solo le prestazioni quando una persona sperimenta ansia solo in situazioni di
performance. L’ansia sociale generalizzata è considerata più grave dell’ansia sociale specifica e di solito è
accompagnata da una maggiore compromissione del funzionamento quotidiano. Tuttavia, anche l’ansia
sociale specifica può comunque essere dannosa, in quanto potrebbe limitare opportunità lavorative o altri
risultati correlati alle prestazioni. Le persone con disturbo d’ansia sociale possono sperimentare una varietà
di sintomi su tre dimensioni: fisica, cognitiva e comportamentale.
Sintomi fisici: arrossire, vampate di calore, sudorazione, palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia, tensione
muscolare, brividi, tremori, dolore o fastidio al petto, nausea, diarrea o altri disturbi addominali, parestesie,
voce tremante, nodo alla gola, ecc. Per alcune persone, questi sintomi fisici possono diventare così gravi da
degenerare in un vero e proprio attacco di panico.
Sintomi comportamentali: evitamento delle situazioni temute, fuga dalle situazioni temute,
comportamenti di sicurezza.
Sintomi cognitivi: un insieme di cognizioni negative su se stessi in relazione agli altri rispetto alle situazioni
temute, ovvero rimuginii, preoccupazioni, pensieri, credenze, ecc. sulla possibilità che le situazioni sociali, o
che una o più situazioni in cui è richiesta una performance, siano capaci di mettere in imbarazzo la persona
o di esporla a critiche, giudizi o rifiuti da parte degli altri.
Credenze disfunzionali su se stessi: il disturbo d’ansia sociale è associato ad alta autocritica e bassa
autostima. Le persone con questo disturbo hanno la tendenza a considerarsi in una luce negativa.
Probabilmente hanno credenze come, “Sembro stupido”, “Tutti mi stanno guardando”, “Non riesco
a controllare la mia ansia”, ecc.
Credenze disfunzionali sugli altri: gli individui con disturbo d’ansia sociale vedono gli altri in una
luce paurosa; piuttosto che vedere le nuove persone che incontrano come potenziali amici,
tendono a rispondere loro con ansia e distacco.
Credenze disfunzionali sul mondo: gli individui con disturbo d’ansia sociale vedono il mondo come
un posto da evitare, piuttosto che come un posto pieno di opportunità.
Credenze disfunzionali sul futuro: gli individui con disturbo d’ansia sociale vedono il futuro in
maniera nebulosa e pessimista. Si sentono come se le cose non cambieranno mai e non
miglioreranno mai.
Credenze disfunzionali sul passato: gli individui con disturbo d’ansia sociale vedono il passato
come una fonte di informazioni molto importante su stessi, sugli altri in relazione a loro e sul loro
mondo. Vivono la propria vita oggi in base a quello che è successo in passato e tendono a
soffermarsi, in particolare, sugli errori del passato.
Credenze disfunzionali sul presente: gli individui con disturbo d’ansia sociale vedono il presente
come fonte di ansia costante, in quanto possono temere di potersi trovare da un momento all’altro
in una delle situazioni sociali o prestazionali che temono.
Credenze disfunzionali su questioni esistenziali: gli individui con disturbo d’ansia sociale hanno
difficoltà a vedere e pensare oltre il proprio mondo immediato in modo trascendente, a
comprendere il significato della propria vita, a desiderare uno scopo più grande per la propria vita.
Credenze disfunzionali sulle opportunità: gli individui con disturbo d’ansia sociale non cercano
opportunità o non riconoscono le opportunità che li circondano. Avendo paura di situazioni sociali
o prestazionali considerano le opportunità come dannose, catastrofiche, piene di potenziali disastri.
o Presenza di sintomi intrusivi associati all’evento traumatico: ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi
spiacevoli dell’evento traumatico; ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto o le emozioni del
sogno sono collegati all’evento; reazioni dissociative in cui il soggetto sente o agisce come se
l’evento traumatico si stesse ripresentando; intensa o prolungata sofferenza psicologica
all’esposizione a fattori scatenanti che assomigliano a qualche aspetto dell’evento; marcate
reazioni fisiologiche a fattori scatenanti che assomigliano a qualche aspetto dell’evento.
o Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico: evitamento di ricordi
spiacevoli, pensieri o sentimenti strettamente associati all’evento traumatico; evitamento di fattori
esterni che suscitano ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti strettamente associati all’evento
traumatico.
o Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento traumatico: incapacità di ricordare
qualche aspetto importante dell’evento traumatico; persistenti ed esagerate convinzioni o
aspettative negative relative a se stessi, ad altri o al mondo; persistenti, distorti pensieri relativi alla
causa o alle conseguenze dell’evento traumatico che portano l’individuo a dare la colpa a se stesso
oppure agli altri; persistente stato emotivo negativo (paura, vergogna, orrore): marcata riduzione di
interesse ad attività significative; sentimenti di distacco verso gli altri; incapacità di provare
emozioni positive.
o Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento traumatico: comportamento
irritabile ed esplosioni di rabbia espressi nella forma di aggressione verbale o fisica nei confronti di
persone o oggetti; comportamento spericolato o autodistruttivo; ipervigilanza; esagerate risposte
di allarme; problemi di concentrazione; difficoltà relative al sonno.
All’interno del sistema cognitivo per l’elaborazione delle informazioni connesse al trauma esiste la
“tendenza al completamento”, che consente alla mente di accordarsi con la realtà presente.
Successivamente al trauma vi è il “crying out” o “reazione di stordimento”, durante la quale i pensieri, i
ricordi e le immagini del trauma non si conciliano con le immagini preesistenti. Si verifica quindi
un’incapacità a completare. A questo punto entrano in gioco le difese psicologiche dell’individuo per
mantenere l’informazione traumatica a livello inconscio. L’individuo sperimenta, così, un periodo
caratterizzato da anestesia affettiva e negazione nei confronti dell’evento. Attraverso la “memoria attiva”
le informazioni correlate al trauma irrompono nella coscienza dell’individuo sotto forma di flashback.
L’informazione traumatica rimane nella memoria attiva senza essere assimilata. È anche possibile
considerare il disturbo da stress post-traumatico come il risultato di una frantumazione di idee, di
preconcetti riguardo a sé e al mondo che non riescono ad essere mantenuti dopo aver vissuto
un’esperienza traumatica, generando intrusività, evitamento e iperarousal.
Un altro percorso parte dalla memoria a lungo termine in cui risiede il cosiddetto “fear network” che
comprende sia lo stimolo informativo sull’evento che l’informazione che tiene insieme questi elementi
stimolo-risposta. È anche possibile la presenza di un periodo iniziale caratterizzato da sintomi intrusivi che
compaiono in seguito all’attivazione di un fear network e al quale l’individuo si adatta facendo ricorso a
strategie difensive e di evitamento. L’elevato grado di intrusività può essere utilizzato come fattore
predittivo di un buon recupero.
Un altro percorso considera nella memoria l’esistenza di due livelli attraverso cui le informazioni correlate
all’evento traumatico vengono rappresentate. Il primo livello è rappresentato dalla memoria verbalmente
accessibile: le informazioni riguardanti i ricordi intrusivi e le emozioni che l’individuo possiede dopo aver
risposto e interpretato l’evento traumatico. Il secondo livello è costituito dalla memoria accessibile in base
alle situazioni: contengono informazioni accessibili solo quando elementi della situazione traumatica ne
stimolano l’attivazione. Gli individui devono integrare l’informazione verbalmente accessibile dei ricordi
verbalmente accessibili con le proprie concezioni o i propri schemi del mondo per ridurre gli effetti negativi
del trauma.
Sempre a livello metacognitivo, è anche possibile sottolineare il ruolo delle emozioni. Se ad essere
minacciato è un obiettivo, verrà attivato un “fear module”, ossia una riconfigurazione del sistema cognitivo
per far fronte alla minaccia. Se l’obiettivo non viene raggiunto verrà attivato il “sadness module”, che
induce a ridistribuire le risorse per l’elaborazione del materiale associato alla perdita di memoria.
Le più recenti psicoterapie cognitivo-comportamentali per il trattamento del disturbo da stress post-
traumatico comprendono la combinazione di varie componenti, tra cui psicoeducazione, gestione
dell’ansia, procedure di esposizione e ristrutturazione cognitiva. Tali componenti scandiscono la struttura
del trattamento, il quale, pertanto, procede secondo quattro fasi principali: fase psicoeducativa; training
per la gestione dell’ansia, delle paure e dell’attivazione fisiologica; esposizione; ristrutturazione cognitiva.
La fase psicoeducativa ha come obiettivo principale quello di normalizzare nel paziente le reazioni negative
al trauma, come la paura, l’ansia e i comportamenti di evitamento.
Nella fase successiva vengono insegnate delle strategie per gestire e padroneggiare l’ansia, le paure e
l’attivazione fisiologica prodotte dall’esperienza traumatica ogni qualvolta queste si presentino, compreso
nella successiva fase di esposizione.
La terza fase del trattamento è basata sulle procedure di esposizione prolungata. L’esposizione prolungata
e ripetuta alla memoria traumatica permette di correggere le valutazioni e i significati errati attribuiti agli
eventi e le associazioni stimolo-risposta fallaci.
La fase di ristrutturazione cognitiva include l’individuazione, l’esplorazione e la revisione delle cognizioni
erronee e disfunzionali correlate all’esperienza traumatica e l’integrazione di informazioni correttive,
incompatibili con le strutture cognitive esistenti.
pensiero-azione. Una volta attivati, gli schemi ansiogeni introducono distorsioni cognitive, ovvero dei
modelli di pensiero “difettosi”.
La fusione pensiero-azione è un processo psicologico attraverso cui le persone con disturbo ossessivo-
compulsivo tendono ad equiparare i loro pensieri con le loro azioni, credendo che il solo pensare a
un’azione sia equivalente alla realizzazione effettiva di quell’azione. Un individuo con disturbo ossessivo-
compulsivo può credere che avere il pensiero indesiderato di, ad esempio, fare del male ad una persona
cara è moralmente equivalente a fare del male realmente a quella persona. La fusione tra pensiero e azione
può anche portare a credere che anche il solo pensare a un evento indesiderato significa che succederà
sicuramente oppure renderà più probabile che l’evento accada, anche se non si vuole che tale evento
accada realmente. A sua volta, il percepire i propri pensieri come “pericolosi” può favorire un altro
processo psicologico chiamato soppressione del pensiero. In altri termini, la persona con disturbo
ossessivo-compulsivo cerca di sopprimere immediatamente questi pensieri “pericolosi”. Tuttavia, sebbene
sopprimere i pensieri “pericolosi” sembri avere un senso, questo li fa tornare indietro ancor peggio di
prima, in quanto li rende solo peggiori, portando a focalizzarsi ancora di più sul pensiero “pericoloso”.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede: in primo luogo di spiegare la pericolosità del
meccanismo della soppressione del pensiero al fine di portare la persona a non cadere nella tentazione di
farvi ricorso; in secondo luogo di spiegare il meccanismo di fusione pensiero-azione al fine di condurre la
persona a comprenderne il funzionamento e quindi a cercare di abbandonare il ricorso a tale meccanismo;
in terzo luogo di accompagnare la persona nella scoperta e modifica di credenze disfunzionali di base e di
distorsioni cognitive.
Credenze disfunzionali su se stessi: considerare se stessi in una luce negativa, con alta autocritica e bassa
autostima.
Credenze disfunzionali sugli altri: vedere gli altri in una luce paurosa e rispondendo loro con diffidenza e
distacco.
Credenze disfunzionali sul mondo: vedere il mondo come un posto da evitare, piuttosto che come un
posto pieno di opportunità.
Credenze disfunzionali sul futuro: vedere il futuro in maniera nebulosa.
Credenze disfunzionali sul passato: vedere il passato, in particolare gli eventi e le situazioni sociali negative
accadute in passato, come centrali per la propria identità e quindi come una fonte di informazioni molto
importante su stessi, sugli altri con cui si è in relazione a loro e sul futuro.
Credenze disfunzionali sul presente: vedere il presente come fonte di incertezza e allerta costante, in
quanto si teme di potersi trovare da un momento all’altro in una delle situazioni sociali o prestazionali
temute.
Credenze disfunzionali su questioni esistenziali: difficoltà a vedere e pensare oltre il proprio mondo
immediato in modo trascendente, a comprendere il significato della propria vita, a desiderare uno scopo
più grande per la propria vita.
Credenze disfunzionali sulle opportunità: non cercare opportunità o non riconoscere le opportunità
disponibili attorno.
Sulla base di tali credenze disfunzionali si attivano una serie di distorsioni cognitive:
Astrazione selettiva: concentrare l’attenzione su aspetti particolari;
Bisogno di certezza: focalizzarsi su cose certe;
Catastrofizzazione: soffermarsi sulle conseguenze peggiori, porta a pensare di essere sopraffatti
dalle situazioni;
Deduzione arbitraria: trarre conclusioni in assenza di prove;
Doverizzazioni: le cose devono essere in un certo modo;
Etichettamento: definire le cose con un’etichetta globale;
personaggi si lamenta di un mal di testa e in seguito gli viene diagnosticato un tumore al cervello, il film può
attivare queste convinzioni. Una volta che tali credenze vengono attivate, la persona con ipocondria inizia
ad essere particolarmente attenta a qualsiasi indicazione di dolore o fastidio alla sua testa. A causa di una
tendenza premorbosa all’amplificazione somatosensoriale, può essere particolarmente sensibile a qualsiasi
sensazione di dolore che altri solitamente invece tendono a non notare.
Sul versante meta cognitivo ci sono due dimensioni: credenze negative sull’incontrollabilità e il pericolo; la
necessità di controllare i pensieri, compresi i temi di superstizione, punizione e responsabilità. Nell’insieme
si crea uno stile di pensiero chiamato “sindrome cognitivo-attentiva” che consiste in: preoccupazioni per i
sintomi di malattia; ruminazione riguardo al loro possibile significato e cause; monitoraggio attentivo delle
minacce sotto forma di scansione mentale del corpo per segni e sintomi, controllo fisico di parti del corpo,
controllo dei processi corporei e del funzionamento mentale e ricerca di informazioni sui sintomi; strategie
di autoregolamentazione o comportamenti di coping che si rivelano inutili.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale dell’ipocondria prevede:
A. L’identificazione e l’abbandono di alcuni meccanismi altamente dannosi:
l’attenzione selettiva verso segni e sintomi fisici innocui, che comporta il controllo del
proprio corpo e pensieri automatici negativi derivanti dall’errata interpretazione di segni e
sintomi fisici innocui;
l’amplificazione somatosensoriale che porta gli individui ipocondriaci ad essere più
sensibili e più consapevoli rispetto alle sensazioni corporee e, quindi, ad amplificare e
alterare il normale input sensoriale corporeo;
la sindrome cognitivo-attentiva;
B. L’identificazione e la modifica di schemi ansiogeni, credenze disfunzionali e distorsioni cognitive:
pensieri automatici negativi derivanti dall’errata interpretazione di segni e sintomi fisici
innocui;
credenze disfunzionali di tipo medico, legate alla malattia, sull’incontrollabilità e il pericolo
di segni e sintomi fisici.
Secondo una concettualizzazione metacognitiva, l’individuo con ipocondria è coinvolto eccessivamente in
una pratica focalizzata ad esaminare il proprio corpo. Tali ansia e preoccupazione sono dovute ad una
consapevolezza corporea che è alterata e che tende ad aggiungere ulteriori livelli di sintomi.
due (o più) dei seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento
grossolanamente disorganizzato o catatonico, sintomi negativi;
un episodio del disturbo dura almeno un mese ma meno di sei mesi.
Il disturbo schizoaffettivo è caratterizzato da: un periodo ininterrotto di malattia durante il quale è
presente un episodio dell’umore maggiore (depressivo o maniacale) in concomitanza con il criterio A della
schizofrenia; deliri o allucinazioni per 2 settimane o più, in assenza di un episodio dell’umore maggiore; i
sintomi che soddisfano i criteri per un episodio dell’umore.
Il disturbo psicotico breve è caratterizzato da:
presenza di uno (o più) dei sintomi seguenti: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato,
comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico;
la durata di un episodio del disturbo è di almeno un giorno, ma meno di un mese, con successivo
pieno ritorno al livello di funzionamento premorboso.
Il disturbo delirante è caratterizzato da:
la presenza di uno o più deliri con una durata di un mese o più;
il criterio A per la schizofrenia non è mai stato soddisfatto (le allucinazioni non sono preminenti);
il funzionamento, a parte l’impatto dei deliri o delle loro ramificazioni, non risulta compromesso in
modo marcato, e il comportamento non è chiaramente bizzarro o stravagante.
Il disturbo schizotipico di personalità è caratterizzato da ridotta capacità riguardante le relazioni affettive,
da distorsioni cognitive e percettive ed eccentricità di comportamento, come indicato da cinque (o più) dei
seguenti elementi: idee di riferimento; credenze strane o pensiero magico che influenzano il
comportamento e sono in contrasto con le norme sub culturali; esperienze percettive insolite, incluse
illusioni corporee; pensiero ed eloquio strani; sospettosità o ideazione paranoide; affettività inappropriata
o limitata; comportamento o aspetto strani, eccentrici o peculiari; nessun amico stretto o confidente,
eccetto i parenti di primo grado; eccessiva ansia sociale, che non diminuisce con l’aumento della familiarità
e tende ad essere associata a preoccupazioni paranoidi piuttosto che a un giudizio negativo di sé.
Allucinazioni e deliri sono definiti “sintomi positivi” (ovvero che hanno un qualcosa in aggiunta,
un’esperienza sensoriale o un’idea, a ciò che è considerato lo stato mentale normale).
Le allucinazioni sono false percezioni sensoriali, come sentire voci, vedere immagini o provare sensazioni
che in realtà non ci sono.
I deliri sono false credenze che la persona difende da ogni evidenza come se fossero vere quando invece
sono oggettivamente errate.
Una persona con un disturbo psicotico può avere anche una serie di sintomi che rappresentano deficit delle
normali risposte emotive o di altri processi di pensiero e che sono definiti “sintomi negativi” (ovvero che
hanno un qualcosa in meno, linguaggio, motivazione o affettività, rispetto a ciò che è considerato lo stato
mentale normale), come una sfera affettiva piatta o poco accentuata, povertà del linguaggio (alogia),
incapacità di provare piacere (anedonia), mancanza di desiderio di formare relazioni (asocialità) e la
mancanza di motivazione (abulia). Raramente, una persona con un disturbo psicotico, in particolare la
schizofrenia, può avere sintomi catatonici; la catatonia è uno stato di estrema immobilità motoria che
culmina con uno stato di apparente congelamento, tanto che la persona sembra una statua vivente in
quanto non risponde ed è bloccata in una postura del corpo che appare congelata.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per i disturbi psicotici prevede l’identificazione e la modifica
di:
credenze caratterizzate da: pervasività; convinzione; preoccupazione; mancanza di insight; il loro
impatto sul comportamento.
un’elaborazione cognitiva inadeguata (distorsioni cognitive) come il pensiero dicotomico,
l’inferenza arbitraria o la deduzione arbitraria. Poiché nei deliri gli schemi sono rigidi e
relativamente impermeabili al normale feedback correttivo, tali schemi modellano le percezioni che
questi individui hanno del loro mondo personale.
bias egocentrico: tendenza a focalizzarsi preventivamente su se stessi, per cui la persona
percepisce se stessa come la componente o l’oggetto centrale degli eventi.
locus of causality esterno: tendenza ad attribuire la causa degli eventi a fattori esterni alla propria
persona. Gli individui con un disturbo psicotico sono particolarmente inclini a dare spiegazioni
straordinarie per le loro esperienze ordinarie. A causa di un forte bias esternalizzante, rinunciano a
spiegazioni plausibili a favore di attribuzioni esterne improbabili o impossibili.
bias di conferma: considerare selettivamente solo stimoli che convalidano le proprie convinzioni.
errore fondamentale di attribuzione: attribuire un evento avverso a fattori esterni personali. Le
persone con schizofrenia paranoide, in particolare, hanno un tipo specifico di spiegazione per gli
eventi ambigui angoscianti: hanno una tendenza esagerata a dare la colpa a fattori esterni
personali.
Bassa autostima. Hanno una visione negativa più globale di se stessi, incondizionata e pervasiva che è vista
come parte della loro identità permanente. I loro giudizi negativi su se stessi sono autonomi e in gran parte
indipendenti dalle prestazioni.
Intolleranza all’umore. Un’incapacità di far fronte in modo appropriato a certi stati emotivi, come rabbia,
ansia o depressione, ma in alcuni casi vi è intolleranza a tutti gli stati d’animo intensi.
Difficoltà interpersonali. I processi interpersonali contribuiscono in molti modi al mantenimento dei
disturbi alimentari.
attività necessarie a procurarsi; craving; uso ricorrente di oppiacei, che causano un fallimento
nell’adempimento dei principali obblighi; uso continuato di oppiacei nonostante la presenza di ricorrenti
problemi sociali o interpersonali; importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate;
uso ricorrente di oppiacei in situazioni nelle quali è fisicamente pericoloso; uso continuato di oppiacei
nonostante la consapevolezza di un problema persistente; tolleranza; astinenza.
Intossicazione da oppiacei: recente uso di un oppiaceo; comportamento problematico clinicamente
significativo o cambiamenti psicologici durante, o subito dopo, l’uso di oppiacei; miosi e uno (o più) dei
seguenti sintomi: fiacchezza o coma, eloquio inceppato e compromissione dell’attenzione o della memoria.
Astinenza da oppiacei. Presenza di ciascuna delle seguenti condizioni:
o Cessazione (o riduzione) dell’uso di oppiacei che è stato pesante e prolungato.
o Somministrazione di un oppiaceo antagonista.
Tre o più dei seguenti fattori: umore disforico; nausea o vomito; dolori muscolari; lacrimazione o rinorrea;
midriasi, piloerezione o sudorazione; diarrea; sbadigli; febbre; insonnia.
Disturbo da uso di stimolanti. Un pattern di uso di sostanze amfetaminosimili, cocaina o altri stimolanti che
porta a compromissione clinicamente significativa, come manifestato da almeno due delle seguenti
condizioni: gli stimolanti sono spesso assunti in quantitativi maggiori di quanto fosse nelle intenzioni;
desiderio persistente di controllare l’uso di stimolanti; una gran parte del tempo è impiegata in attività
necessarie a procurarsi gli stimolanti; craving; uso ricorrente di stimolanti, che causa un fallimento
nell’adempimento dei principali obblighi; uso continuato di stimolanti nonostante la presenza di persistenti
problemi sociali o interpersonali; importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate;
uso ricorrente di stimolanti in situazioni nelle quali è fisicamente pericoloso; uso continuato di stimolanti
nonostante la consapevolezza di un problema persistente; tolleranza; astinenza.
Pornografia: voler rivivere nella realtà le proprie fantasie devianti. Il fruitore di pornografia
potrebbe avere una visione egocentrica del sesso.
Timori per le prestazioni sessuali: gli uomini possono essere ansiosi di non riuscire a mantenere
l’eccitazione. Le donne potrebbero essere preoccupate di non raggiungere l’orgasmo.
Inibizioni sessuali: possono includere vergogna per il corpo, senso di colpa per avere piacere
sessuale, paura di prendere malattie, paura di poter provare dolori, oppure disgusto riguardo al
contatto con sudore e altri liquidi organici. Tali condizioni possono essere il risultato di credenze
distorte profondamente radicate solitamente associate a disturbi psicologici.
Stabilire presupposti per il sesso: usando il sesso come strumento per forzare il partner a cambiare
o ad agire in un certo modo.
Differenti livelli di desiderio tra i due partner: è abbastanza comune per i partner avere diversi
livelli naturali di desiderio sessuale.
Alcune disfunzioni sessuali sono caratterizzate da un’anomalia del desiderio e dell’eccitazione sessuale e
causano notevole disagio e difficoltà interpersonali.
Il disturbo erettile è caratterizzato dal riportare, in tutti o in quasi tutti i rapporti sessuali, uno dei seguenti
sintomi: marcata difficoltà di ottenere un’erezione durante l’attività sessuale; marcata difficoltà nel
mantenere l’erezione fino al completamento dell’attività sessuale; marcata diminuzione della rigidità
erettile. La difficoltà di erezione può essere anche associata ad ansia sessuale o ansia da prestazione,
timore di fallimento, preoccupazioni sulla prestazione sessuale e ad una ridotta sensazione soggettiva di
eccitazione sessuale e di piacere.
Il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo maschile è caratterizzato da insufficienza (o assenza) di pensieri
o fantasie sessuali e di desiderio di attività sessuale.
Il disturbo del desiderio sessuale e dell’eccitazione sessuale femminile è caratterizzato da mancanza, o
significativa riduzione, di desiderio sessuale, come manifestato da almeno tre dei seguenti problemi:
assente/ridotto interesse per l’attività sessuale; assenti/ridotti pensieri o fantasie sessuali; assente/ridotta
iniziativa nel rapporto sessuale e generale rifiuto delle iniziative del partner; assenza/riduzione
dell’eccitazione/piacere durante l’attività sessuale in tutti o quasi tutti i rapporti sessuali; assenza/riduzione
del desiderio/eccitazione sessuale in risposta a possibili stimoli sessuali interni o esterni; assenti/ridotte
sensazioni genitali o non genitali durante l’attività sessuale in tutti o quasi tutti i rapporti sessuali.
Il disturbo da avversione sessuale è caratterizzato da evitamento di contatti sessuali genitali con un
partner sessuale. L’individuo con disturbo da avversione sessuale riferisce ansia, timore o disgusto quando
si trova di fronte ad un’opportunità sessuale.
Il disturbo dell’orgasmo femminile è caratterizzato dal provare, in tutti o quasi tutti i rapporti sessuali, uno
dei seguenti sintomi: marcato ritardo, marcata infrequenza o assenza di orgasmo; intensità delle sensazioni
orgasmiche marcatamente ridotta. Il disturbo può compromettere l’immagine corporea, l’autostima o la
soddisfazione nelle relazioni.
L’eiaculazione ritardata è caratterizzata dal riportare, in tutti o in quasi tutti i rapporti sessuali, e senza che
il ritardo sia intenzionale, uno dei seguenti sintomi: un marcato ritardo nell’eiaculazione; marcata
infrequenza o assenza di eiaculazione. È un disturbo che riguarda la fase del ciclo della risposta sessuale
denominata “risoluzione”.
L’eiaculazione precoce è caratterizzata da una modalità ricorrente di eiaculazione che si verifica durante i
rapporti sessuali, circa un minuto dopo la penetrazione vaginale e prima che l’individuo lo desideri. È un
disturbo che riguarda la fase del ciclo della risposta sessuale denominata “risoluzione”.
Il disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione è caratterizzato da ricorrenti difficoltà con uno (o
più) dei seguenti problemi: penetrazione vaginale durante il rapporto; marcato dolore vulvo-vaginale o
pelvico durante il rapporto o i tentativi di penetrazione vaginale; marcata paura o ansia per il dolore pelvico
o vulvo-vaginale prima, durante o come risultato della penetrazione vaginale; marcata tensione o
contrazione dei muscoli del pavimento pelvico durante il tentativo di penetrazione vaginale. È un disturbo
da dolore associato al rapporto sessuale.
Nel DSM-5 il disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione rappresenta una combinazione di
dispareunia (intesa nel DSM-IV-TR come “ricorrente o persistente dolore genitale associato al rapporto
sessuale in un maschio o in una femmina”) e vaginismo (intesa nel DSM-IV-TR come “ricorrente o
persistente spasmo involontario della muscolatura del terzo esterno della vagina, che interferisce col
rapporto sessuale”).
sente “qualificato”, legittimato, in pieno diritto a mettere in atto un comportamento sessuale nei confronti
della vittima.
Disturbo voyeuristico. Eccitazione derivante dall’osservare, a sua insaputa, una persona nuda o che si sta
spogliando o che è impegnata in attività sessuali. Di solito non viene ricercata nessuna attività sessuale con
la persona. L’orgasmo di solito indotto dalla masturbazione può sorgere durante l’attività voyeuristica o
dopo in risposta al ricordo.
Disturbo esibizionistico. Eccitazione derivante dall’esibizione dei propri genitali a una persona a sua
insaputa. Qualche volta il soggetto si masturba mentre si mostra. Se il soggetto mette in atto questi impulsi,
solitamente non vi sono tentativi di ulteriore attività con l’estraneo.
Disturbo frotteuristico. Eccitazione derivante dal toccare, o strusciarsi contro, una persona non
consenziente. Il comportamento di solito si manifesta in posti affollati da cui il soggetto può facilmente
sottrarsi all’arresto.
Disturbo da masochismo sessuale. Eccitazione derivante dall’atto di essere umiliato, percosso, legato o
fatto soffrire in altro modo. Una forma particolare e pericolosa si chiama “ipossifilia” implica eccitazione
sessuale da deprivazione di ossigeno.
Disturbo da sadismo sessuale. Eccitazione derivante dalla sofferenza fisica o psicologica di un’altra
persona. Gli atti possono comportare il bendare, l’imprigionamento, il pizzicare, torturare, mutilare.
Disturbo feticistico. Eccitazione derivante dall’uso di oggetti inanimati o da un interesse molto specifico per
parti del corpo non genitali. Il soggetto si masturba mentre tiene in mano, si strofina, o annusa l’oggetto
feticistico, oppure può chiedere al partner sessuale di indossare l’oggetto durante l’incontro sessuale.
Disturbo da travestitismo. Eccitazione derivante dal cross-dressing, cioè dall’indossare indumenti del sesso
opposto.
o nell’infanzia e in età prescolare i bambini apprendono le caratteristiche definite che sono aspetti
socializzati del genere;
o intorno ai 5-7 anni l'identità è consolidata e diventa rigida;
o dopo questo "picco di rigidità" l'identità di genere ritorna ad essere più fluida e i ruoli di genere
definiti socialmente si ammorbidiscono un po’.
I fattori biologici che influenzano l'identità di genere sono rappresentati soprattutto dalle influenze
genetiche e da quelle ormonali prima e dopo la nascita. I fattori sociali che possono influenzare l'identità di
genere includono idee riguardanti i ruoli di genere veicolati dalla famiglia, figure autorevoli, mass-media.
Quando i bambini vengono cresciuti da individui che aderiscono a ruoli di genere rigorosi, è più probabile
che si comportino allo stesso modo, abbinando la loro identità di genere ai corrispondenti modelli di genere
stereotipati.
Disforia di genere nei bambini. Una marcata incongruenza tra il genere esperito e il genere assegnato, che
si manifesta attraverso almeno sei dei seguenti criteri: un forte desiderio di appartenere al genere opposto;
una forte preferenza per il travestimento con abbigliamento tipico del genere opposto; una forte
preferenza per i ruoli tipicamente legati al genere opposto nei giochi di fantasia; una forte preferenza per
giocattoli, giochi o attività stereotipicamente utilizzati dal genere opposto; una forte preferenza per
compagni di gioco del genere opposto; un forte rifiuto per giocattoli, giochi e attività del proprio genere;
una forte avversione per la propria anatomia sessuale; un forte desiderio per le caratteristiche sessuali
corrispondenti al genere esperito.
Disforia di genere negli adolescenti e negli adulti. Una marcata incongruenza tra il genere esperito e il
genere assegnato, che si manifesta attraverso almeno due dei seguenti criteri: una marcata incongruenza
tra il genere esperito e le caratteristiche sessuali primarie o secondarie; un forte desiderio di liberarsi delle
proprie caratteristiche sessuali primarie o secondarie a causa di una marcata incongruenza con il genere
esperito; un forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie o secondarie del genere opposto; un
forte desiderio di appartenere al genere opposto; un forte desiderio di essere trattato come appartenente
al genere opposto; una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto.
La disforia di genere è un problema psicologico che si verifica quando c'è un persistente senso di
discrepanza tra la propria identità di genere e il sesso biologico. Tale sensazione di discrepanza ed
eventualmente di conflitto crea un senso di angoscia e sofferenza psicologica alla persona in quanto
quest’ultima percepisce se stessa come persona sessualmente diversa rispetto a ciò che ci si aspetta che sia
sulla base del sesso biologico e del genere sessuale che è stato assegnato alla nascita. Alcune persone con
disforia di genere possono essere molto a disagio con il loro corpo e possono provare un forte desiderio di
liberarsi dei propri caratteri sessuali primari o secondari o di possedere caratteri sessuali primari o
secondari del genere sessuale opposto. Per tali motivi si sottopongono a trattamenti ormonali o interventi
chirurgici al fine di transitare parzialmente o completamente al genere sessuale desiderato.
reputazione non evidenti agli altri ed è pronto a reagire con rabbia o a contrattaccare; sospetta in modo
ricorrente della fedeltà del coniuge o del partner sessuale. Le persone con disturbo paranoide sono in
genere abbastanza vigili, tendono a interpretare situazioni ambigue come minacciose e sono pronte a
prendere precauzioni contro le minacce percepite. Spesso sono percepite dagli altri come polemiche,
testarde, difensive e non disposte a scendere a compromessi. Oltre al disturbo paranoide di personalità,
diversi altri disturbi sono caratterizzati da un pensiero “paranoico”: si tratta di schizofrenia di tipo
paranoide, disturbo delirante di tipo persecutorio e, eventualmente, disturbi dell’umore con caratteristiche
psicotiche. Ognuno di questi altri disturbi è caratterizzato da deliri paranoidi persistenti e altri sintomi
psicotici. Al contrario, il disturbo paranoide di personalità è caratterizzato da una tendenza ingiustificata a
percepire le azioni degli altri come intenzionalmente minacciose o umilianti, ma è privo di persistenti
caratteristiche psicotiche. Un individuo con disturbo paranoide di personalità può sperimentare periodi
transitori di pensiero delirante durante i periodi di stress ma non manifesta il pensiero delirante
persistente. Le persone con disturbo paranoide hanno una forte tendenza a incolpare gli altri per problemi
interpersonali; di solito possono citare molte esperienze che sembrano giustificare le loro convinzioni sugli
altri, sono pronte a negare o minimizzare i loro problemi e spesso hanno scarso riconoscimento dei modi in
cui il loro comportamento contribuisce ai loro problemi.
Questi individui sono cresciuti in famiglie a loro volta paranoiche, basate su atteggiamenti di vigilanza
dinanzi a potenziali minacce vissute però come reali e sempre imminenti. In queste famiglie le prime
interazioni con i genitori insegnavano al bambino: “Devi stare attento agli altri”, “Sei diverso dagli altri”,
“Devi stare attento a non commettere errori”. L’individuo con disturbo paranoide sviluppa la propria
personalità attorno a tre assunti di base: “Le persone sono malevoli e ingannevoli”, “Ti attaccheranno se ne
avranno la possibilità” e “Puoi stare bene solo se rimani sull’attenti”. Una tale iper-vigilanza riguardo a
segnali di intenzioni malevole produce un effetto collaterale non voluto. Se si è vigili riguardo ad ogni
minima indicazione che gli altri siano ingannevoli e maliziosi, si osservano rapidamente molte azioni da
parte di altri che sembrano sostenere l’opinione che le persone non possano essere considerate affidabili.
L’iper-vigilanza dell’individuo con disturbo paranoide non fa altro che produrre prove sostanziali a sostegno
delle sue supposizioni sulla natura umana. Il terzo fattore che caratterizza la concettualizzazione cognitiva
del disturbo paranoide di personalità è l’autoefficacia. L’individuo con disturbo paranoide dubita della sua
capacità di affrontare efficacemente gli altri. Poiché il pericolo più importante è visto come proveniente
dagli altri, l’individuo con disturbo paranoide è in allerta rispetto ai segnali di pericolo o di inganno durante
le interazioni interpersonali, costantemente alla ricerca di segnali sottili che rivelino le vere intenzioni
dell’individuo. Poiché l’individuo crede di essere stato trattato ingiustamente ed è convinto che in futuro
verrà trattato male, è poco incentivato a trattare bene gli altri, eccetto che per la paura della loro
rappresaglia. Quando l’individuo con disturbo paranoide si sente abbastanza potente da resistere alla
rappresaglia da parte degli altri, può esibire gli stessi atti malvagi, ingannevoli e ostili che si aspetta di
ricevere dagli altri.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo paranoide di personalità prevede
l’identificazione e la modifica di schemi, credenze disfunzionali di base e distorsioni cognitive che
caratterizzano il pensiero paranoide:
assunti di base: “Le persone sono malevoli e ingannevoli”, “Ti attaccheranno se ne avranno la
possibilità” e “Puoi stare bene solo se rimani sull’attenti”;
bias attribuzionali: tendenza ad attribuire intenzioni malvagie agli altri;
deficit del senso di autoefficacia e delle capacità di coping: scarsa fiducia nella capacità di far
fronte efficacemente a specifici problemi o situazioni che si presentano;
iper-vigilanza riguardo a segnali di intenzioni malevole e allerta rispetto ai segnali di pericolo o di
inganno durante le interazioni interpersonali;
aspettative negative sugli altri: aspettarsi inganni, raggiri e danni nelle interazioni interpersonali;
aspettative distorte riguardo le interazioni interpersonali: atteggiamento guardingo e difensivo
mentre si interagisce con gli altri, reazioni eccessive a piccoli offese e tendenza al contrattacco;
tendenza a rifiutare interpretazioni “ovvie” delle azioni degli altri e a cercare il significato “reale”
sottostante fino a quando non viene trovata un’interpretazione coerente con i propri preconcetti;
mondo in cui “homo homini lupus”: tendenza a non poter mostrare qualsiasi debolezza per non
andare a cercarsi gli attacchi e, quindi, tendenza ad occultare accuratamente i segni delle proprie
emozioni e intenzioni, le proprie insicurezze, le proprie carenze e i propri problemi attraverso
l’inganno, la negazione, le scuse o incolpando gli altri;
bias attribuzionale dell’intenzionalità: ogni mancanza di rispetto o maltrattamento ricevuti sono
intenzionali, ovvero sono stati compiuti dagli altri con l’unico intento di danneggiare l’individuo con
disturbo paranoide;
cicli interpersonali basati sulla convinzione di essere sempre trattato ingiustamente e in maniera
sleale dagli altri e che in futuro verrà sempre trattato male.
norme e aspettative sociali. Possono apparire lenti e letargici. Il linguaggio è spesso lento e monotono e con
poca espressività. L’umore che presentano è generalmente moderatamente negativo, senza cambiamenti
marcati, positivi o negativi.
Negli individui con disturbo schizoide di personalità è spesso presente una serie di esperienze precoci in cui
i temi del rifiuto da parte dei pari e del bullismo sono fattori importanti. Accanto a tali esperienze negative,
l’individuo si è spesso trovato nella situazione di essere visto come diverso dagli altri membri più prossimi
della famiglia o in qualche modo sminuito rispetto agli altri. In seguito a queste esperienze complessive,
l’individuo con disturbo schizoide di personalità è arrivato ad avere una visione di sé come differente dagli
altri in senso negativo, una visione degli altri come scortesi e inutili, e una visione dell’interazione sociale
come difficile e dannosa. Da bambino, solitamente è stato timido e riservato e veniva preso in giro
duramente a scuola. Solitamente è stato solitario fin dall’infanzia. Nel corso di uno sviluppo psicosociale di
questo tipo, l’individuo con disturbo schizoide di personalità tende a formare le seguenti credenze su se
stesso: “Sono diverso”, “Sono un solitario”, “Sono strano”. Parallelamente, tende a formare le seguenti
credenze sugli altri: “Le persone sono crudeli”, “Le relazioni con le persone non sono qualcosa di
appagante”, “Gli altri non mi gradiscono”, nonché credenze sul mondo del tipo “Il mondo è ostile”. Sulla
base di tali credenze tende a sviluppare assunti condizionali del tipo “Se provo a fare amicizia con gli altri,
questi si accorgeranno che sono diverso e mi derideranno”, “Se parlo ad altri, noteranno quanto sono
noioso e mi rifiuteranno”.
(deliri e allucinazioni) della schizofrenia. Tuttavia le persone con disturbo schizotipico di personalità hanno
idee distorte e percezioni distorte, che solo raramente sono tali da costituire veri e propri deliri e vere e
proprie allucinazioni. Il disturbo schizotipico di personalità tende a condividere, almeno in parte, anche i
sintomi “negativi” della schizofrenia. Infatti, la persona con disturbo schizotipico di personalità, come la
persona che ha sviluppato una schizofrenia, presenta, in parte o secondo un livello inferiore di gravità o
pervasività, una serie di sintomi che rappresentano deficit delle normali risposte emotive o di altri processi
di pensiero e che sono anche definiti “negativi”, come una sfera affettiva piatta o poco accentuata, povertà
del linguaggio (alogia), incapacità di provare piacere (anedonia), mancanza di desiderio di formare relazioni
(asocialità) e la mancanza di motivazione (abulia).
Negli individui con disturbo schizotipico di personalità è spesso presente una serie di esperienze precoci in
cui i temi del rifiuto da parte dei pari e del bullismo sono fattori importanti. Potrebbero aver vissuto
nell’infanzia maltrattamenti fisici oppure abusi sessuali, che li ha portati a considerarsi diversi, cattivi o
anormali e potrebbero aver avuto altre vere esperienze di persecuzione. L’individuo con disturbo
schizotipico di personalità tende ad essere sospettoso riguardo alle altre persone che crede parlino di lui e
intendano ferirlo. Tende ad avere come strategie di difesa il ricorso a credere che esistano angeli custodi
oppure potrebbe parlare con un familiare defunto per cercare conforto in seguito ad esperienze negative
accadute oppure iniziare a credere a fenomeni magici o paranormali. In seguito alle esperienze negative
complessivamente accadute nel corso della vita, come interazioni disfunzionali con i genitori, traumi e
maltrattamenti subiti da genitori o dai pari, l’individuo con disturbo schizotipico di personalità è arrivato ad
avere credenze su se stesso come privo di valore, vulnerabile e poco interessante. Parallelamente, tende a
formare credenze sugli altri come pericolosi e di cui non fidarsi, nonché credenze sul mondo come ostile.
Sulla base di tali credenze tende a sviluppare assunti condizionali del tipo “Se faccio amicizia con gli altri,
allora mi rifiuteranno”, “Se io sono molto diverso, allora le altre persone si accorgono di me”, “Se ho
esperienze insolite, allora posso essere importante”.
gli altri; mente per ottenere guadagni o vantaggi sociali; reagisce senza rimorso, con insensibilità, con
aggressività o persino con sadismo quando viene messo di fronte alle conseguenze negative delle sue
azioni. Gli individui descritti come sociopatici sono manipolativi, spesso mentono, mancano di empatia e
hanno una coscienza debole che consente loro di agire in modo avventato o aggressivo, anche quando
sanno che il loro comportamento è sbagliato. Sono spesso amanti del rischio, facilmente annoiati, tanto che
sono in grado di ignorare i limiti personali e giustificare anche le azioni più oltraggiose.
Il termine psicopatia è usato in letteratura in riferimento ad un modello caratterizzato da una completa
mancanza di coscienza nei confronti degli altri. La persona psicopatica viene solitamente indicata come una
persona che può apparire normale, persino affascinante. Sotto, gli mancano la coscienza e l’empatia,
rendendolo manipolatore, volatile, “freddo” rispetto ai diritti degli altri e spesso criminale. Lo psicopatico è
un individuo che non solo è antisociale, ma è anche narcisista.
Alcune caratteristiche di personalità caratterizzano la tendenza dell’antisociale a cercare la gratificazione
immediata e l’eccitazione. Negli individui antisociali gli obiettivi di ordine superiore e i vincoli morali sono
solo vagamente sviluppati, se non addirittura assenti. Sono spinti principalmente dalla necessità di
gratificazione immediata. Per gli antisociali, la noia si riferisce a qualsiasi periodo di tempo privo di
opportunità di stimolo a breve termine. Questo potrebbe spiegare l’uso di sostanze. L’effetto delle sostanze
è relativamente istantaneo e fornisce fonti di stimolazione generate internamente che distraggono dal
vuoto del presente o riempiono il presente attraverso percezioni generate artificialmente. Per molti
antisociali il modo migliore per alleviare la noia è suscitare un po’ di eccitazione. Il disturbo è mantenuto da
alcune credenze fondamentali organizzate intorno alla necessità di considerarsi forti e indipendenti. Poiché
il mondo è visto come un luogo ostile, la sopravvivenza richiede credenze fondamentali orientate alla
sopravvivenza, come “Devo badare a me stesso” e “Se non sono l’aggressore, allora sarò la vittima”. Gli
antisociali hanno schemi disadattivi di deprivazione emotiva, diritto/grandiosità, sfiducia/abuso,
vulnerabilità al danno e isolamento sociale, che sono il risultato di necessità emotive insoddisfatte da
bambini e che contengono credenze disfunzionali su di sé. Tre di questi schemi (deprivazione emotiva,
sfiducia/abuso e isolamento sociale) cadono nel dominio “disconnessione/rifiuto”. Poiché questo dominio è
concettualizzato come derivante dai bisogni insoddisfatti di una persona circa l’amore, la sicurezza, la
stabilità e il nutrimento, si può presumere che l’individuo con disturbo antisociale di personalità si consideri
come non amabile, più solo, e più respinto rispetto alle persone normali.
l’altra persona si preoccupa ancora di loro (per esempio, tenersi fisicamente aggrappati agli altri quando
questi cercano di andarsene).
Relazioni instabili: è comune l’alternare idealizzazione e svalutazione nelle relazioni. Una relazione può
iniziare nella fase di idealizzazione, quando la persona con disturbo borderline si sente intensamente
connessa e positiva con un’altra persona. Quando emerge la fase di svalutazione, tuttavia, la persona con
disturbo borderline può vedere l’altra persona come priva di valore, cattiva o indifferente. Una relazione
con qualcuno con disturbo borderline è comunemente caratterizzata da alti e bassi, sfiducia, dipendenza.
Deficit dell’identità: la stessa instabilità nelle relazioni può anche applicarsi all’immagine di sé o al senso di
sé. Una persona con disturbo borderline può credere in un certo momento di essere una persona
realizzata, tranne poi, in un altro momento, essere estremamente auto-denigratoria o dura con se stessa.
Impulsività: molte persone con disturbo borderline mettono in atto comportamenti impulsivi, come
rapporti sessuali con partner conosciuti solo superficialmente, abuso di droghe o alcool, atti devianti, azioni
spericolate, sport estremi, ecc., che sono altamente rischiosi in quanto portano spesso ad avere problemi di
salute, relazionali o con la legge.
Autolesionismo o suicidio: alcuni individui con disturbo borderline mettono in atto comportamenti auto
lesivi, che sono tentativi di liberarsi dal dolore emotivo o da intensi sentimenti di disagio.
Instabilità emotiva: tendono ad avere cambiamenti di umore intensi e frequenti. Una persona con disturbo
borderline può passare da apparire tranquillo a sentirsi sconvolto in pochi minuti o addirittura secondi.
Senso di vuoto: una persona con disturbo borderline spesso sente un senso di vuoto cronico che può
portare a un dramma emotivo.
Rabbia intensa e comportamento aggressivo: Le persone con disturbo borderline tendono a provare una
rabbia intensa che è più forte della situazione e che solo a volte esprimono apertamente sotto forma di
aggressione fisica.
Gli individui con disturbo borderline sono caratterizzati da una disfunzione nella regolazione delle emozioni
che causa sia una forte reazione a eventi stressanti che un lungo periodo di tempo prima che le emozioni
ritornino alla condizione di base. L’ambiente della persona borderline era disconfermante. Risposte
rifiutanti, punitive o errate alle reazioni emotive del bambino avrebbero contribuito ai problemi che gli
individui borderline hanno nel regolare, comprendere e tollerare le loro reazioni emotive. Quattro modalità
di schema (modelli organizzati di pensiero, sentimento e comportamento) sono fondamentali nel disturbo:
La modalità “bambino abusato e/o abbandonato” denota lo stato disperato in cui l’individuo con
disturbo borderline può trovarsi conseguentemente all’abbandono o all’abuso che potrebbe aver
vissuto da bambino. “Il mio dolore emotivo non finirà mai”.
La modalità “genitore punitivo”. L’individuo con disturbo borderline sembra condannare se stesso
come cattivo e malvagio, meritevole di punizione. Espressioni di emozioni, opinioni e desideri
negativi venivano solitamente puniti dai suoi genitori.
La modalità “bambino arrabbiato e/o impulsivo” denota uno stadio di rabbia infantile o di
impulsività auto-gratificante.
La modalità “protezione distaccata” è una sorta di stile protettivo che il bambino ha sviluppato per
sopravvivere in un mondo pericoloso.
Tre assunti di base sono centrali nel disturbo borderline: “Il mondo è pericoloso e malevolo”, “Sono
impotente e vulnerabile” e “Sono intrinsecamente inaccettabile”. Altre due caratteristiche cognitive sono
centrali nel disturbo borderline: il cosiddetto “pensiero dicotomico” e un senso di identità debole. In
particolare, il pensiero dicotomico riguarda la tendenza a pensare in modo estremo. Le persone con
disturbo borderline spesso hanno difficoltà a vedere la complessità nelle persone e nelle situazioni e non
sono in grado di riconoscere che le cose spesso non sono né perfette né orribili, ma sono una via di mezzo.
Gli schemi sottostanti degli individui con disturbo istrionico di personalità implicano una visione di sé come
bisognosi di essere notati dagli altri e una visione del mondo come fornitore di cure e considerazioni
speciali perché la vita rende nervosa la persona istrionica.
Lo schema del “tutto dovuto/egocentrismo” fa riferimento al nucleo di credenze secondo cui la persona
istrionica crede che ha il diritto di prendere o ricevere tutto ciò che vuole indipendentemente dal costo per
gli altri o per la società. Lo schema di deprivazione emotiva fa riferimento al nucleo di credenze secondo
cui il proprio bisogno di attenzione amorevole e di supporto emotivo non sarà mai soddisfatto dagli altri. Gli
individui con disturbo istrionico di personalità hanno quattro stili.
Gli individui istrionici hanno uno stile affettivo incline ad emozioni superficiali e sovramodulate.
Lo stile comportamentale è caratterizzato dalla tendenza ad essere sfocati e incoerenti.
Per quanto riguarda lo stile relazionale, tendono ad avere difficoltà a relazionarsi con gli altri se
non in modo superficiale e manipolativo. Inoltre, tendono ad avere deficit empatici.
Lo stile cognitivo è caratterizzato da pensiero impressionistico e vivacità di immaginazione.
Lo stile di pensiero caratteristico della persona istrionica conduce a molte distorsioni cognitive. Gli individui
istrionici sono soggetti alla distorsione nota come pensiero dicotomico, ovvero la tendenza a pensare in
modo estremo. L’individuo istrionico reagisce con forza e improvvisamente, saltando a conclusioni estreme
sia positive che negative. Quindi, una persona viene considerata immediatamente come meravigliosa
mentre un’altra come completamente orribile. Sono anche inclini alla distorsione cognitiva
dell’ipergeneralizzazione, ovvero la tendenza a fare una regola dopo un singolo evento o una serie di
coincidenze. Sono anche soggetti alla distorsione del ragionamento emotivo, ovvero la tendenza a
giudicare se stessi o le proprie circostanze in base alle proprie emozioni. L’istrionismo femminile sembra
essere stato ricompensato fin dalla tenera età per carineria, attrattiva fisica e fascino. L’istrionismo
maschile è ricompensato per virilità, forza e potere.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo istrionico di personalità prevede l’identificazione
e la modifica di schemi, credenze, presupposti e assunti disfunzionali di base e distorsioni cognitive che
caratterizzano il disturbo:
assunti di base (“Sono inadeguato e incapace di gestire la vita da solo, per cui devo trovare il modo
di convincere gli altri a prendersi cura di me”);
credenza di base (è necessario essere amati da tutti per tutto ciò che si fa);
paura del rifiuto;
senso di inadeguatezza personale che porta a ricerca di attenzione finalizzata ad ottenere
approvazione;
incapacità di usare competenze e capacità sociali appropriate per attirare l’attenzione degli altri;
deficit nella capacità di provare empatia;
assenza di un chiaro senso di identità personale;
distorsioni cognitive: pensiero dicotomico, ipergeneralizzazione, ragionamento emotivo;
schemi sottostanti di sé: schema del “tutto dovuto/egocentrismo”, schema di deprivazione
emotiva.
soddisfazione immediata delle proprie aspettative; sfrutta i rapporti interpersonali; manca di empatia: è
incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri; è spesso invidioso degli
altri, crede che gli altri lo invidino; mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntosi. Il
disturbo di personalità narcisistico è un modello ampio di considerazione distorta di sé e degli altri.
Sebbene sia normale e sano assumere un atteggiamento positivo verso se stessi, le persone narcisiste
mostrano una visione esagerata di sé come speciali e superiori. Tuttavia, il narcisismo, piuttosto che una
forte fiducia in se stessi, riflette l’auto-preoccupazione di darsi molta importanza. Il narcisista è molto attivo
e competitivo nella ricerca dello status, poiché i segni esteriori dello status sono usati come misura del
valore personale. Quando gli altri non riescono a convalidare lo status speciale della persona narcisistica,
questa è incline a considerare ciò come un maltrattamento intollerabile. Il fallimento nell’attestazione di
essere superiore attiva le credenze sottostanti di inferiorità, scarsa importanza o impotenza e le strategie
compensative di autoprotezione e autodifesa.
Le persone con disturbo narcisistico hanno la credenza di base di essere inferiori o di poco valore o
importanza. Questa credenza è attivata solo in determinate circostanze e quindi può essere osservata
principalmente in risposta a condizioni di minaccia all’autostima. Al contrario, la credenza manifesta della
persona narcisista è un atteggiamento compensatorio di superiorità. Gli individui con disturbo narcisistico,
invece di imparare ad accettare e padroneggiare i sentimenti di inferiorità normali e transitori, hanno
imparato che queste esperienze sono da considerarsi come minacce da sconfiggere. Le altre persone
vengono viste come potenti e il loro riconoscimento e convalida sono cruciali per il senso di valore
personale. Allo stesso tempo, fa parte della strategia compensatoria narcisistica essere vigile per gli errori
degli altri e associarsi solo a persone che riflettono la sua immagine più positiva e superiore. Apparire in
maniera negativa, sentirsi male, perdere uno status speciale o affrontare i propri limiti sono tutte minacce
percepite all’immagine di sé (“insulto narcisistico”).
Evidenza di superiorità. La persona narcisistica presume che determinate circostanze o beni tangibili
forniscano evidenza e convalida di superiorità, status speciale e importanza. Tale prova potrebbe includere
l’influenza sulla comunità, il livello di reddito, l’attrattiva fisica, simboli materiali (beni di lusso).
Le relazioni sono strumenti. Le altre persone sono viste come oggetti o strumenti nella ricerca di
riconoscimento. Il valore degli altri dipende dal modo in cui possono servire alla persona narcisistica.
Potere e diritto (pensare che tutto sia dovuto) come prova di superiorità, come mezzo per controllare gli
altri. Gli individui narcisisti possono essere abbastanza giudicanti, supponenti e forti nella comunicazione,
perché credono che le persone superiori abbiano un giudizio superiore.
Preservazione dell’immagine. Le persone narcisistiche credono che “l’immagine è tutto”, perché è
l’armatura dell’autostima. La mancanza di un bell’aspetto o di ammirazione è causa di estremo disturbo,
poiché questo può innescare ruminazioni e paure rabbiose e dubbiose associate a credenze centrali
negative.
Contributo meritorio. Gli individui narcisistici tendono a creare un mercato di opportunità personali
esagerando i bisogni e le debolezze degli altri e abbellendo le proprie virtù e meriti. “Hanno bisogno di me”.
Affetti e sentimenti. Gli individui narcisistici sembrano sovrastimare le implicazioni negative di emozioni
come tristezza, senso di colpa e incertezza vedendo questi affetti come debolezze personali che minacciano
la loro immagine positiva di sé.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo narcisistico di personalità prevede
l’identificazione e la modifica di schemi, credenze, presupposti e assunti disfunzionali di base e distorsioni
cognitive che caratterizzano il disturbo:
Credenza di base di essere inferiori o di poco valore o importanza.
Credenze compensatorie di superiorità.
Schema di se stesso come bisognoso di essere speciale e superiore per sfuggire all’inferiorità.
o Per quanto riguarda lo stile relazionale, gli individui dipendenti sono così iper-dipendenti dagli altri,
con un bisogno così grande di compiacere gli altri, che non hanno sviluppato competenze adeguate
nella comunicazione assertiva, nella negoziazione o nella risoluzione dei conflitti;
o Lo stile cognitivo degli individui dipendenti è di valutazione cognitiva acritica e di percezione
ingenua della capacità e del desiderio degli altri di prendersi cura di loro.
Lo stile di pensiero caratteristico della persona dipendente conduce a diverse distorsioni cognitive, in
particolare, il pensiero dicotomico, ovvero la tendenza a pensare in modo estremo, e il “catastrofismo”,
ovvero la tendenza ad aspettarsi che accada il peggio. La principale distorsione cognitiva è il pensiero
dicotomico riguardo all’indipendenza, per cui gli individui dipendenti credono di essere o completamente
indifesi e dipendenti o totalmente indipendenti e soli, senza gradazioni intermedie. Un’altra distorsione
cognitiva è il pensiero dicotomico riguardo alle proprie capacità, per cui gli individui dipendenti credono
che o fanno le cose “bene” o sono completamente “sbagliati”, incapaci e falliti. Gli individui dipendenti
tendono anche a mostrare la distorsione cognitiva del catastrofismo, specialmente quando si tratta della
perdita di una relazione. Le credenze di base e le distorsioni cognitive del disturbo dipendente di
personalità portano a pensieri automatici come “Non posso”, “Non sarei mai in grado di farlo”.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo dipendente di personalità prevede
l’identificazione e la modifica di:
Assunti di base;
Credenza di base;
Pensieri automatici;
Pensiero dicotomico riguardo all’indipendenza ( “Non posso sopravvivere senza che qualcuno si
prenda cura di me”);
Pensiero dicotomico riguardo alle proprie capacità;
Catastrofismo (specialmente quando si tratta della perdita di una relazione);
Schemi sottostanti di sé:
schema di dipendenza/incompetenza;
schema di realizzazione fallita (fa riferimento al nucleo di credenze secondo cui la persona
dipendente non può avere prestazioni come gli altri).
loro confronti e dalla quale venivano rifiutati. Hanno pertanto sviluppato determinati schemi dalle
interazioni con quella persona, come “Sono inadeguato”, “Ho qualcosa che non va”, “ Non sono piacevole “.
In seguito all’interazione da bambini con queste persone critiche o rifiutanti hanno sviluppato una tendenza
eccessiva all’autocritica, per cui sperimentano una serie di pensieri automatici autocritici: “Non sono
attraente”, “Sono noioso”. I desideri futuri sono attribuiti a casualità o destino. Gli individui con personalità
evitante fanno spesso ricorso a scuse e razionalizzazioni per non fare ciò che è necessario per raggiungere i
loro obiettivi. Hanno una significativa paura del rifiuto. Temono continuamente che gli altri li trovino
carenti e li respingano. Il rifiuto è interpretato in modo molto personale, essendo causato esclusivamente
da carenze personali. Hanno sviluppato degli assunti sottostanti riguardo alle relazioni. Credono di non
essere piacevoli ma che se riescono a nascondere il loro vero io, possono essere in grado di ingannare gli
altri. Gli individui con personalità evitante compiono valutazioni errate delle reazioni degli altri. Hanno
sviluppato degli assunti sottostanti, ovvero supposizioni per spiegare le interazioni negative. Tendono ad
ignorare i dati positivi. Hanno spesso atteggiamenti disfunzionali nei confronti delle emozioni disforiche,
credono che se si lascino andare a provare stati emotivi disforici, saranno travolti. Tale evitamento è
rafforzato da una riduzione della disforia e quindi alla fine diventa radicato e automatico.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo evitante di personalità prevede l’identificazione
e la modifica di credenze disfunzionali che interferiscono con il funzionamento sociale: credenze di base
disfunzionali su se stessi e sugli altri; pensieri automatici autocritici; assunti disfunzionali; scuse e
razionalizzazioni; assunti sottostanti il rifiuto; assunti sottostanti riguardo alle relazioni; valutazioni errate
delle reazioni degli altri (neutre o positive come anche quelle negative); assunti sottostanti le interazioni
negative e le interazioni positive; pensieri automatici (tendenza ad ignorare i dati positivi: pensare di aver
ingannato l’altra persona o che il giudizio dell’altra persona sia errato o basato su informazioni inadeguate);
credenze disfunzionali nei confronti delle emozioni disforiche.
I fattori di stress sono legati a situazioni non strutturate. L’individuo con disturbo ossessivo-compulsivo di
personalità riporta spesso che da bambino ha avuto un genitore (soprattutto la madre) critico e giudicante,
che aveva molte regole su ciò che è giusto e sbagliato e sul modo in cui le persone devono o non devono
comportarsi. Gli schemi sottostanti degli individui con disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
contengono una visione di sé che implica avere la responsabilità di non commettere errori e una visione del
mondo come eccessivamente esigente e imprevedibile. Lo schema “inesorabile/sbilanciato” fa riferimento
al nucleo di credenze circa lo sforzo inflessibile di soddisfare le alte aspettative di se stessi a costo di
rinunciare alla felicità, alla salute e a relazioni soddisfacenti. Lo schema di inibizione emotiva fa riferimento
al nucleo di credenze secondo cui le emozioni e gli impulsi devono essere inibiti per non perdere
l’autostima o non nuocere agli altri. Lo stile affettivo è caratterizzato dalla tendenza a soffocare e isolare
emozioni e sentimenti. Lo stile comportamentale è caratterizzato dalla tendenza ad essere rigidi e
calcolatori, che, insieme alla tendenza a rimuginare, predispone gli individui con disturbo ossessivo-
compulsivo di personalità ad essere indecisi e a temporeggiare. Per quanto riguarda lo stile relazionale,
tendono ad essere inibiti e a disagio nelle relazioni interpersonali. Lo stile cognitivo è caratterizzato dalla
tendenza a rimuginare e a riflettere in maniera eccessiva, che li predispone ad essere ossessionati per i
dettagli e le minuzie e ad essere troppo preoccupati. Una distorsione cognitiva caratteristica importante di
questi individui è il pensiero dicotomico, ovvero la tendenza a pensare in modo estremo. Un’altra
distorsione cognitiva evidente nel disturbo ossessivo-compulsivo di personalità è il pensiero magico, ovvero
la tendenza a credere che i propri pensieri o le proprie azioni abbiano la capacità di controllare gli eventi.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità prevede
l’identificazione e la modifica di schemi, credenze, presupposti e assunti disfunzionali di base e distorsioni
cognitive che caratterizzano il disturbo: credenze di base; assunti di base; doverizzazioni ( “Devo prestare
attenzione ai dettagli”); pensiero dicotomico; pensiero magico; schemi sottostanti di sé e del mondo
(schema inesorabile/sbilanciato, schema di inibizione emotiva); stile affettivo, stile comportamentale, stile
relazionale, stile cognitivo.
risolvere i problemi: le persone devono essere in grado di attingere a ciò che hanno appreso per
farsi venire in mente una soluzione utile per affrontare un problema che hanno identificato nel
mondo che li circonda.
Il termine “quoziente intellettivo” o punteggio “QI” rappresenta un valore numerico che esprime il livello
di intelligenza generale sottostante di una persona, che è alla base di specifiche capacità mentali, che
influenza le prestazioni ai test che misurano le capacità cognitive e che, quindi, può essere misurato usando
test standardizzati che misurano il quoziente intellettivo (test di intelligenza). Il concetto di “età mentale”
indica una serie di abilità che possiedono i bambini di una certa età.
L’intelligenza può essere considerata una capacità mentale generale, ampia e unitaria, un singolo fattore
dominante, spesso chiamato “intelligenza generale” o “fattore g”. Spearman riteneva che l’intelligenza
generale rappresentasse un fattore di intelligenza alla base di specifiche capacità mentali. Nonostante
l’esistenza di una capacità mentale generale, l’intelligenza contiene comunque un insieme di abilità,
attitudini e talenti relativamente indipendenti. Tra i precursori dell’esistenza di diversi tipi di intelligenza ci
fu lo psicologo americano Edward Thorndike che propose il concetto di “intelligenza sociale” definita come
la capacità di comprendere e gestire le relazioni con gli altri e di agire con saggezza nei rapporti umani. Tali
capacità venivano considerate non innate, bensì apprese da ogni individuo nel corso del tempo. Lo
psicologo americano Louis L. Thurstone ha proposto sette diverse capacità definite “capacità mentali
primarie”: comprensione verbale, ragionamento, velocità percettiva, abilità numerica, fluidità di parola,
memoria associativa, visualizzazione spaziale. Gardner definisce l’intelligenza come una competenza
umana che implica non una singola capacità generale, bensì un insieme di capacità di problem solving che
consentono all’individuo di risolvere problemi e acquisire nuove conoscenze. Gardner propone l’esistenza
di diverse intelligenze (“intelligenze multiple”). Ogni intelligenza rappresenta la capacità in un determinato
dominio per esempio, verbale, logico, interpersonale, ecc. Gardner concepisce l’esistenza di otto distinti tipi
di intelligenza basati su capacità e abilità che sono apprezzate in culture diverse: intelligenza visuo-
spaziale, intelligenza verbale-linguistica, intelligenza corporea-cinestetica, intelligenza logico- matematica,
intelligenza interpersonale, intelligenza musicale, intelligenza intrapersonale, intelligenza naturalistica.
Sternberg è l’autore della cosiddetta “Teoria tripartita dell’intelligenza”. L’intelligenza è un’attività
mentale diretta ad adattarsi, selezionare e modellare in maniera intenzionale gli ambienti del mondo reale
rilevanti per la propria vita. Sternberg ha proposto la cosiddetta “intelligenza di successo”, che comporta
tre diversi fattori: intelligenza analitica: capacità di risoluzione dei problemi; intelligenza creativa: capacità
di affrontare nuove situazioni utilizzando esperienze passate e competenze attuali; intelligenza pratica:
capacità di adattarsi a un ambiente che cambia. Salovey e Mayer sottopongono al mondo scientifico il
concetto di “intelligenza emotiva” in riferimento alla capacità di monitorare i sentimenti e le emozioni
proprie e altrui per discriminare tra loro e utilizzare le informazioni che ne derivano per guidare il proprio
pensiero e le proprie azioni.
La disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) è un disturbo con esordio nel periodo dello
sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo sia adattivo negli ambiti concettuali,
sociali e pratici. Devono essere soddisfatti i seguenti due criteri: deficit delle funzioni intellettive, come
ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento
scolastico e apprendimento dall’esperienza, confermati sia da una valutazione clinica sia da test di
intelligenza individualizzati, standardizzati; deficit del funzionamento adattivo che porta al mancato
raggiungimento degli standard di sviluppo e socioculturali di autonomia e di responsabilità sociale.
Livello di gravità: Lieve
o Ambito concettuale: nei bambini in età prescolare, possono non esserci anomalie concettuali
evidenti. Nei bambini in età scolare e negli adulti sono presenti difficoltà nell’apprendimento di
abilità scolastiche quali lettura, scrittura, capacità di calcolo, concetto del tempo o del denaro.
o Ambito sociale: l’individuo è immaturo nelle interazioni sociali. Vi possono essere difficoltà nel
controllare emozioni e comportamento in modi adeguati all’età; è presente una limitata
comprensione del rischio nelle situazioni sociali.
o Ambito pratico: l’individuo può funzionare in maniera adeguata all’età per quanto concerne la cura
personale. Gli individui possono avere maggiormente bisogno di supporto nelle attività complesse
della vita quotidiana.
Livello di gravità: Moderato
o Ambito concettuale: le abilità concettuali dell’individuo restano marcatamente inferiori a quelle
dei coetanei. Nei bambini in età prescolare il linguaggio e le abilità prescolastiche si sviluppano
lentamente e sono notevolmente limitati rispetto a quelli dei coetanei. Negli adulti è richiesta
un’assistenza continua.
o Ambito sociale: l’individuo mostra marcate differenze rispetto ai coetanei nel comportamento
sociale e comunicativo. La capacità di giudizio sociale e di prendere decisioni è limitata, e il
personale di supporto deve assistere la persona nelle decisioni della vita.
o Ambito pratico: L’individuo può prendersi cura dei propri bisogni personali, sebbene sia necessario
un esteso periodo di insegnamento.
Livello di gravità: Grave
o Ambito concettuale: il raggiungimento di abilità concettuali è limitato. L’individuo in genere
comprende poco il linguaggio scritto o i concetti che comportano numeri, quantità, tempo e
denaro. Il personale di supporto fornisce un sostegno esteso nella risoluzione dei problemi durante
tutta la vita.
o Ambito sociale: il linguaggio parlato è abbastanza limitato per quanto riguarda il vocabolario e la
grammatica.
o Ambito pratico: l’individuo richiede un sostegno in tutte le attività della vita quotidiana. Non può
prendere decisioni responsabili riguardanti il proprio benessere o il benessere di altri. Nell’età
adulta la partecipazione a compiti domestici, attività ricreazionali e lavoro richiede assistenza e
supporto continuativi.
Livello di gravità: Estremo
o Ambito concettuale: le abilità concettuali in genere si riferiscono al mondo fisico piuttosto che ai
processi simbolici.
o Ambito sociale: l’individuo ha una comprensione molto limitata della comunicazione simbolica
nell’eloquio o nella gestualità. L’individuo esprime i propri desideri ed emozioni principalmente
attraverso la comunicazione non verbale, non simbolica.
o Ambito pratico: l’individuo è dipendente dagli altri in ogni aspetto della cura fisica, della salute e
della sicurezza quotidiane. Le azioni semplici con alcuni oggetti possono rappresentare la base per
la partecipazione ad alcune attività professionali in presenza di alti livelli di sostegno continuativo.
una valutazione clinica sia da test di intelligenza individualizzati; deficit del funzionamento adattivo che
porta al mancato raggiungimento degli standard di sviluppo e socioculturali di autonomia e di
responsabilità sociale. Senza un supporto costante, i deficit adattivi limitano il funzionamento in una o più
attività della vita quotidiana, come la comunicazione, la partecipazione sociale e la vita autonoma,
attraverso molteplici ambienti quali casa, scuola, ambiente lavorativo e comunità.
Ritardo globale dello sviluppo. Questa diagnosi è riservata agli individui di età inferiore ai 5 anni quando la
gravità clinica non può essere valutata in modo attendibile durante la prima infanzia. Questa categoria
viene diagnosticata quando un individuo non raggiunge le tappe attese dello sviluppo in varie aree del
funzionamento intellettivo, e si applica a individui incapaci di sottoporsi a valutazioni sistematiche del
funzionamento intellettivo, compresi i bambini che sono troppo piccoli per partecipare a test
standardizzati. Questa categoria richiede una rivalutazione diagnostica dopo un certo periodo di tempo.
Disturbo del linguaggio. Difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità di linguaggio
dovute a deficit della comprensione o della produzione che comprendono i seguenti elementi: lessico
ridotto; limitata strutturazione delle frasi; compromissione delle capacità discorsive.
Disturbo fonetico-fonologico. Persistente difficoltà nella produzione dei suoni dell’eloquio che interferisce
con l’intelligibilità dell’eloquio o impedisce la comunicazione verbale di messaggi. L’alterazione causa
limitazioni dell’efficacia della comunicazione che interferiscono con la partecipazione sociale, il rendimento
scolastico.
Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie). Alterazioni della normale fluenza e della
cadenza dell’eloquio, che sono inappropriate per l’età dell’individuo e per le abilità linguistiche
caratterizzate dai seguenti elementi: ripetizioni di suoni e sillabe; prolungamenti dei suoni delle consonanti
così come delle vocali; interruzione di parole; blocchi udibili o silenti; circonlocuzioni; parole pronunciate
con eccessiva tensione fisica; ripetizioni di intere parole monosillabiche.
Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica). Persistenti difficoltà nell’uso sociale della
comunicazione verbale e non verbale come manifestato da tutti i seguenti elementi: deficit dell’uso della
comunicazione per scopi sociali; compromissione della capacità di modificare la comunicazione al fine di
renderla adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta; difficoltà nel seguire le regole della
conversazione e della narrazione; difficoltà nel capire ciò che non viene dichiarato esplicitamente e i
significati non letterali o ambigui del linguaggio.
Disturbo dello spettro dell’autismo. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione
sociale in molteplici contesti: deficit della reciprocità socio-emotiva, che vanno, per esempio, da un
approccio sociale anomalo a una ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti; deficit dei
comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, per esempio, anomalie del
contatto visivo e del linguaggio del corpo o dell’uso dei gesti a una totale mancanza di espressività facciale;
deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni. Pattern di comportamento,
interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori: movimenti, uso
degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi; insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla
routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale; interessi molto limitati, che
sono anomali per intensità o profondità; iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi
insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente.
Disturbo da deficit di attenzione/iperattività.
Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività caratterizzato da (1) e/o (2):
Disattenzione: Sei (o più) dei seguenti sintomi: spesso non riesce a prestare attenzione ai
particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività; ha
spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; spesso non sembra
ascoltare quando gli si parla direttamente; spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i
compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro; ha spesso difficoltà a organizzarsi nei
compiti e nelle attività; spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che
richiedono sforzo mentale protratto; perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività;
spesso è facilmente distratto da stimoli esterni; è spesso sbadato nelle attività quotidiane.
Iperattività e impulsività: Sei (o più) dei seguenti sintomi: spesso agita o batte mani e piedi o si
dimena sulla sedia; spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti;
spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato; è spesso incapace di giocare o
svolgere attività ricreative tranquillamente; è spesso “sotto pressione”, agendo come se fosse
“azionato da un motore”; spesso parla troppo; spesso “spara” una risposta prima che la domanda
sia stata completata; ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno; spesso interrompe gli altri
o è invadente nei loro confronti.
Disturbo specifico dell’apprendimento. Difficoltà di apprendimento e nell’uso di abilità scolastiche, come
indicato dalla presenza di almeno uno dei seguenti sintomi che sono persistiti per almeno 6 mesi: lettura
delle parole imprecisa o lenta e faticosa; difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto;
difficoltà nello spelling; difficoltà con l’espressione scritta; difficoltà nel padroneggiare il concetto di
numero, i dati numerici o il calcolo; difficoltà nel ragionamento matematico.
Disturbi del movimento
Disturbo dello sviluppo della coordinazione. L’acquisizione e l’esecuzione delle abilità motorie coordinate
risultano notevolmente inferiori rispetto a quanto atteso. Le difficoltà si manifestano con goffaggine così
come con lentezza e imprecisione nello svolgimento delle attività motorie.
Disturbo da movimento stereotipato. Comportamento motorio ripetitivo, apparentemente intenzionale ed
evidentemente afinalistico.
Disturbo di Tourette. Nel corso della malattia si sono manifestati a un certo punto sia tic motori multipli sia
uno o più tic vocali.
Disturbo persistente (cronico) da tic motori o vocali. Tic motori o vocali singoli o multipli sono stati
presenti durante la malattia, ma non tic sia motori che vocali.
Disturbo transitorio da tic. Tic motori e/o vocali singoli o multipli. I tic sono stati presenti per meno di 1
anno dall’esordio del primo tic.
cercano di ferire i loro coetanei o sabotare la loro posizione sociale. I bulli relazionali spesso ostracizzano gli
altri da un gruppo, diffondono voci, manipolano situazioni e infrangono le confidenze.
Cyberbullismo: si verifica quando un ragazzo utilizza internet, uno smartphone o altra tecnologia per
molestare, minacciare, mettere in imbarazzo o prendere di mira un altro ragazzo.
Bullismo sessuale: consiste in azioni ripetute, dannose e umilianti che colpiscono una persona
sessualmente. Gli esempi includono chiamate sessuali, commenti e gesti volgari, contatti sessuali non
autorizzati, proposte a sfondo sessuale, invio di materiale pornografico. In casi estremi, il bullismo sessuale
apre le porte a violenze sessuali. Anche il cosiddetto “sexting” può portare al bullismo sessuale.
Bullismo pregiudizievole: si basa su pregiudizi che adolescenti e preadolescenti hanno nei confronti di
persone di razze, religioni o orientamenti sessuali diversi. Questo tipo di bullismo può comprendere tutti gli
altri tipi di bullismo, tra cui cyberbullismo, bullismo verbale, bullismo relazionale, bullismo fisico e talvolta
anche bullismo sessuale.
Aggressività strumentale: nota anche come aggressività pianificata, è caratterizzata da comportamenti
volti a raggiungere un obiettivo più grande. L’aggressività strumentale esiste proprio come mezzo per un
fine. I comportamenti strumentalmente aggressivi non sono inconsci bensì intenzionali e pienamente
deliberati. I comportamenti strumentalmente aggressivi sono “diretti allo scopo”, ovvero, correntemente e
direttamente regolati e controllati dallo scopo che è esplicitamente rappresentato nella mente
dell’individuo.
Aggressività automatica: nota anche come aggressività impulsiva, è una forma di aggressività che non è
pianificata e spesso è una risposta comportamentale a caldo, determinata dalla foga del momento, sulla
scia immediata degli eventi. I comportamenti aggressivi automatici, anziché essere deliberati e pianificati,
sono “orientati allo scopo”. Non sono “diretti allo scopo”, perché non sono né direttamente motivati,
monitorati e guidati da scopi né deliberati e necessariamente consci. Piuttosto, sono procedure semplici ed
automatiche che hanno comunque a che fare con gli scopi, e, dunque, comunque finalistici, in quanto volti
alla sopravvivenza. I comportamenti aggressivi automatici sono spesso promossi da alcuni meccanismi
psicologici, quali l’“effetto priming”, l’“effetto del falso consenso” e il “bias di attribuzione di ostilità”, una
serie di distorsioni cognitive, per esempio, “ipergeneralizzazione”, “pensiero dicotomico” e “visione a
tunnel”, possono influenzare il modo in cui le persone percepiscono certi eventi. Come risultato di un “bias
di attribuzione dell’ostilità”, le persone possono percepire malevolenza e ostilità nelle intenzioni e nelle
azioni di altre persone, anche quando malevolenza e ostilità non esistono affatto.
Disturbo esplosivo intermittente. Accessi comportamentali ricorrenti che rappresentano l’incapacità di
controllare gli impulsi aggressivi, come manifestato da uno dei seguenti: aggressione verbale o aggressione
fisica verso proprietà, animali o altre persone; re accessi comportamentali che implicano danneggiamento
o distruzione di proprietà e/o aggressione fisica che provoca lesioni ad animali o ad altre persone che si
verificano in un periodo di 12 mesi. Il grado di aggressività espresso durante gli accessi ricorrenti è
grossolanamente esagerato rispetto alla provocazione. Le ricorrenti esplosioni di aggressività non sono
premeditate e non hanno lo scopo di raggiungere qualche obiettivo concreto.
Disturbo della condotta. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti
fondamentali degli altri oppure le principali norme o regole sociali, che si manifesta con la presenza di
almeno tre dei seguenti 15 criteri in qualsiasi fra le categorie sottoindicate:
Aggressione a persone e animali. Spesso fa il prepotente, minaccia o intimorisce gli altri; spesso dà
il via a colluttazioni; ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri; è stato fisicamente
crudele con le persone; è stato fisicamente crudele con gli animali; ha rubato affrontando
direttamente la vittima; ha costretto qualcuno ad attività sessuali.
Distruzione della proprietà. Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri
danni; ha deliberatamente distrutto proprietà altrui.
Frode o furto. È penetrato nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro; spesso
mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare dei doveri; ha rubato articoli di valore senza
affrontare direttamente la vittima.
Gravi violazioni di regole. Spesso, già prima dei 13 anni di età, trascorre la notte fuori, nonostante
le proibizioni dei genitori; si è allontanato da casa di notte almeno due volte mentre viveva nella
casa dei genitori o di chi ne faceva le veci, o una volta senza ritornare per un lungo periodo; spesso,
già prima dei 13 anni di età, marina la scuola.
Disturbo antisociale di personalità: un pattern pervasivo caratterizzato da inosservanza e violazione dei
diritti degli altri, che si manifesta fin dall’età di 15 anni, come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
incapacità di conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, come indicato dal
ripetersi di atti passibili di arresto; disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, usare falsi nomi o
truffare gli altri, per profitto o per piacere personale; impulsività o incapacità di pianificare; irritabilità e
aggressività, come indicato da ripetuti scontri o aggressioni fisiche; noncuranza sconsiderata della sicurezza
propria o degli altri; irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere
un’attività lavorativa continuativa o di far fronte a obblighi finanziari; mancanza di rimorso, come indicato
dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo avere danneggiato, maltrattato o derubato un altro.
caratterizzato da bassi livelli di sensibilità e sostegno emotivo e risposte poco intense alle manifestazioni di
disagio dei figli, apparendo freddi e distanti. Sono poco coinvolti nelle questioni quotidiane del figlio e
insufficientemente sintonizzati sui suoi bisogni e obiettivi evolutivi.
I genitori “preoccupati e incerti” mettono in atto modalità di cura caratterizzate da disponibilità incostante
nei confronti dei figli, favorendo cicli interpersonali basati sull’incertezza e sul controllo. Questi genitori
hanno un’autostima e un’autoefficacia specifiche al ruolo parentale instabili, che li predispongono a
performance incostanti. Hanno difficoltà a identificare e padroneggiare gli stati mentali propri e del figlio e
ad affrontare e gestire le situazioni difficili. A volte sono lontani, inarrivabili e poco responsivi, altre volte,
invece, rispondono in maniera eccessiva, diventando intrusivi, iperprotettivi e controllanti.
Quando gli schemi, e quindi le credenze, gli assunti, ecc., sono troppo rigidi o estremi possono portare a
bias attribuzionali o attentivi, distorsioni cognitive, ecc. tali da promuovere strategie parentali abnormi
(disfunzione genitoriale). Tali situazioni di disfunzione genitoriale sono solitamente favorite dalla presenza
di una o più condizioni individuali, relazionali o ambientali in grado di costituire un rischio (fattori di
rischio). Le cosiddette famiglie “multiproblematiche” o “ad alto rischio” presentano molteplici problemi di
salute psicofisica, comportamentale e sociale. Nelle famiglie multiproblematiche sia i genitori che i figli
tendono ad essere enormemente gravati dalle difficoltà presenti, con un rischio notevole di disagio psichico
e fisico sia nei genitori che nei figli e di condotte parentali inappropriate o talvolta abnormi, spesso
caratterizzate da trascuratezza e abuso. Nelle famiglie ad alto rischio la continuità intergenerazionale
riguarda anche lo stile genitoriale inadeguato, in particolare le condotte di trascuratezza e di abuso. Molti
genitori che abusano fisicamente o sessualmente o che trascurano i loro figli hanno avuto a loro volta
genitori abusanti o trascuranti e avranno figli che perpetueranno tali condotte. Definiamo “non risolti,
inermi e spaventanti” quei genitori che mettono in atto modalità di interazione con i figli incoerenti,
disorganizzate e abnormi, caratterizzate da asserzione di potere, aggressività e scarsa disponibilità nei
confronti dei figli, favorendo cicli interpersonali basati su paura, imprevedibilità, ostilità e controllo.
alquanto difficile per almeno tre motivi. In primo luogo, molte forme di abuso sono difficili da accertare.
L’ambiguità o l’imprecisione tanto delle definizioni di abuso quanto degli strumenti diagnostici fa sì che
alcune forme di abuso non sempre vengano riconosciute e considerate in quanto tali. In secondo luogo, le
vittime spesso tendono a non riconoscere un abuso o perché non sono in grado di comprendere il
comportamento subito o perché questo ha caratteristiche “ambigue”. In terzo luogo, esiste una forte
reticenza a raccontare gli abusi subiti e a cercare aiuto da parte delle vittime perché ricevono minacce o
regali, si vergognano o preferiscono dimenticare, si ha paura di mettere in crisi l’ambiente familiare.
È possibile distinguere tra fattori di rischio correlati:
o all’adulto abusante: età giovane, basso livello d’istruzione, relazione non biologica con il bambino,
bassi livelli di autostima, di autoefficacia e di controllo degli impulsi, mancanza di empatia,
aspettative irrealistiche o credenze distorte circa l’accudimento di un bambino e il suo sviluppo,
abuso di sostanze, storia di malattia mentale, di criminalità e di abusi perpetrati e subiti;
o al bambino: età, distraibilità, iperattività, impulsività, aggressività, mancanza di compliance alle
richieste dei genitori, problemi di salute, disabilità fisiche e psichiche, relazione non biologica con il
caregiver, nascita prematura o sottopeso o in seguito a gravidanza indesiderata, storia di abusi
subiti;
o all’ambiente: violenza coniugale, presenza di un solo genitore, numero elevato di figli nati molto
vicini tra loro, ambiente domestico sovraffollato e caotico, cambi continui di residenza, povertà,
disoccupazione, mancanza di supporto sociale, residenza in quartieri ad alto tasso di povertà e
criminalità.
Gli studi evidenziano che una certa percentuale di genitori o caregiver abusanti è stata a sua volta vittima di
abuso nella minore età. La trasmissione delle condotte di abuso potrebbe essere legata alla continuità
intergenerazionale di cognizioni distorte, schemi relazionali maladattivi e modelli disfunzionali di
accudimento e di attaccamento all’interno di una relazione abnorme.
I genitori “non risolti, inermi e spaventanti” mettono in atto modalità di interazione con i figli incoerenti,
disorganizzate e abnormi, caratterizzate da asserzione di potere, aggressività e scarsa disponibilità nei
confronti dei figli, favorendo cicli interpersonali basati su paura, imprevedibilità, ostilità e controllo.
Credenze distorte e aspettative irrealistiche circa la capacità del figlio di badare a se stesso e di
comprendere il significato o gli esiti delle sue azioni, predispongono questi genitori a considerare eventuali
errori o comportamenti negativi non come dovuti all’immaturità o a fattori situazionali, bensì come
intenzionali, attribuendo al figlio propositi ostili o tendenze provocatorie. In questi casi i genitori possono
reagire utilizzando una strategia disciplinare più severa nei confronti dei figli e diventando aggressivi o
francamente violenti. Questi genitori credono che il genitore debba avere il controllo assoluto sui figli e
ingaggiano una lotta per il potere ricorrendo a punizioni fisiche e ad atteggiamenti dominanti e ostili.
conseguenza dell’essere esposti ad una condizione traumatica, sia in maniera indiretta, in seguito al
malfunzionamento familiare e genitoriale che il clima conflittuale è in grado di generare.
In primo luogo, quando un bambino assiste alle scene di violenza tra i genitori, rimane profondamente
colpito dai loro stati emotivi negativi ai quali tenderà a conferire un significato. Egli vede i genitori litigare e
picchiarsi, ma non riesce a comprenderne il motivo e può pensare di essere lui la causa. In questi casi, sarà
portato a provare vergogna o sensi di colpa, o paura e terrore associati alla percezione di mancanza di aiuto
e alla preoccupazione per la propria sicurezza e per quella dei genitori. Quando le violenze sono
particolarmente gravi e l’esposizione alla violenza domestica assume i contorni di un’esperienza
particolarmente traumatica, aumenta significativamente il rischio di insorgenza di sintomi del disturbo
post-traumatico da stress. In alcuni casi i bambini possono dimenticare gli episodi a cui hanno assistito, il
ricordo legato all’esperienza traumatica può essere distorto. L’amnesia dell’evento o l’omissione di dettagli
importanti sembrano riguardare maggiormente i bambini più piccoli. In presenza di violenza domestica le
abilità parentali di entrambi i genitori e la relazione genitore-figlio sono gravemente compromesse. In
particolare, è documentato in letteratura che la violenza familiare è in grado di influenzare negativamente
la qualità delle cure che i genitori prestano ai propri figli, tanto da indurre condizioni patologiche di
disfunzione genitoriale e di abuso sui figli, con effetti devastanti sullo sviluppo psicosociale di questi ultimi.
È ampiamente evidenziato che l’uso di sostanze da parte dei genitori e la malattia mentale tendono ad
indurre comportamenti caratterizzati da livelli bassi di cura e livelli elevati di controllo e ostilità. Anche in
assenza di patologie mentali clinicamente significative, la violenza domestica rappresenta una condizione
stressante capace di modificare lo stile sia affettivo che educativo dei genitori e di comportare difficoltà nel
prendersi cura in maniera adeguata dei figli. Consentire ai figli di prendere parte attiva al conflitto coniugale
è una forma di maltrattamento psicologico.
C’è accordo unanime tra i ricercatori riguardo al rischio, da parte dei bambini che vivono in ambienti
familiari violenti, di andare incontro a problemi cognitivi, emotivi, comportamentali, relazionali e scolastici.
Quanto più precoce è l’esposizione alla violenza domestica tanto maggiore è l’impatto sulla salute. Quando
l’esposizione alla violenza domestica è prolungata e ripetuta nel tempo viene a crearsi una condizione di
stress cronico per i figli. Nella letteratura scientifica vengono soprattutto riportati una serie di problemi
psicologici che rientrano nella sintomatologia del disturbo post-traumatico da stress, per esempio, ricordi
intrusivi dell’evento, reattività fisiologica e aumentato arousal. Altri studi hanno documentato uno stato di
iperattivazione psicofisiologica, sintomatologia ansiosa e una serie di stati ansiosi e fobie specifiche
direttamente collegati all’esperienza traumatica. Nell’infanzia e preadolescenza vengono spesso riportati
atteggiamenti e comportamenti regressivi, come enuresi, encopresi, succhiare il pollice, balbettare,
mentre, in adolescenza, disturbi di personalità, personalità antisociale, inadeguatezza e immaturità, e
comportamenti di indipendenza inappropriati. Diversi studi hanno anche documentato problemi scolastici.
A causa dell’affaticamento mentale associato alla situazione stressante e delle preoccupazioni su ciò che
può accadere a se stessi e al genitore, questi bambini tendono a manifestare poco interesse nei confronti
della scuola e poca predisposizione ad apprendere.
bambino e ciò che invece accade in età adulta esistono, tuttavia, importanti differenze. In età infantile la
soglia di attivazione del sistema è molto bassa, nel senso che sono moltissimi gli stimoli capaci di evocare
l’attivazione del sistema di attaccamento. Nel corso dell’infanzia, il comportamento di attaccamento si
attiva ogni qualvolta il bambino è impaurito, malato o si trova in una qualsiasi situazione di disagio interno
o esterno o quando si verifica una separazione da parte del genitore. In tutti questi casi il bambino mette in
atto comportamenti tipici di segnalazione, finalizzati ad ottenere la vicinanza della figura di riferimento.
Quando percepisce di aver raggiunto lo scopo di vicinanza al genitore, il comportamento di attaccamento
viene disattivato; per cui il bambino smette di piangere e mette in atto comportamenti differenti finalizzati
a mantenere il contatto o la prossimità con il genitore. Man mano che il bambino cresce, il sistema di
attaccamento diventa corretto secondo lo scopo. Il bambino diventa in grado di memorizzare le esperienze
precedenti e, sulla loro base, di anticipare quelle future, diventa consapevole del fatto che la relazione con
il genitore è caratterizzata da atteggiamenti di disponibilità che sono duraturi nel tempo e inizia a fondare
la relazione non più sulle caratteristiche fisiche del genitore, ma su caratteristiche astratte di affetto,
fiducia, approvazione. Lo scopo del sistema di attaccamento non è solo ricercare la vicinanza fisica, bensì
quello di conservare l’accessibilità e la responsività del genitore, ovvero di ottenere la sua piena
disponibilità. L’attivazione del sistema di attaccamento in un bambino stimola l’attivazione del sistema
comportamentale complementare nella madre. L’attivazione del sistema di accudimento è favorita da
specifici messaggi non-verbali, ad alto contenuto emozionale, che ogni sistema interpersonale produce in
risposta ai corrispondenti segnali non-verbali emessi dall’altro individuo. Sulla base della modalità con cui il
genitore risponde ai bisogni del figlio, quest’ultimo genera delle aspettative precise riguardo alla
disponibilità del genitore. Tali aspettative permettono al bambino di modulare i suoi comportamenti di
attaccamento a quel genitore e sono alla base dei “modelli operativi interni”. I modelli operativi interni
non sono altro che schemi mentali organizzati gerarchicamente, costituiti dalle informazioni, sia di tipo
affettivo che cognitivo, relative a sé e al mondo.
Le differenti modalità di attaccamento dei bambini possono essere osservate sperimentalmente attraverso
la Strange Situation. I bambini che si dimostrano felici al momento del ricongiungimento con i genitori,
cercandone il conforto, sono definiti come “sicuri” nell’attaccamento (gruppo B); coloro che, invece,
evitano il contatto con il genitore, ignorandolo o allontanandolo, vengono classificati come “ansioso-
evitanti” (gruppo A); infine, quei bambini che mostrano rabbia e ostilità nei confronti del genitore, non
riuscendo a chiedere conforto seppur lo desiderino, sono definiti “ansioso-resistenti” o “ambivalenti”
(gruppo C). In tutti e tre i casi i bambini mostrano di saper bene cosa attendersi dal genitore e di avere
coerentemente organizzato il proprio comportamento sulla base di tale aspettativa. Tale organizzazione
viene meno nella strategia di attaccamento utilizzata da quei bambini che mettono in atto azioni multiple,
incomplete e contraddittorie, prive di orientamento e di finalità, e che vengono classificati come
“disorganizzati/disorientati” (gruppo D). Sono privi di coerenza interna nei piani e nelle intenzioni e non
riescono ad organizzare il comportamento di attaccamento in alcun modo coerente. L’attaccamento
andrebbe considerato su due livelli paralleli e interagenti: quello della sicurezza-insicurezza e quello
dell’organizzazione-disorganizzazione. L’attaccamento disorganizzato non costituisce una categoria di
attaccamento aggiuntiva alle altre, bensì un livello parallelo, connotato da una relazione genitore-figlio
abnorme. L’elemento distintivo tra i due livelli è costituito dalla capacità del bambino di fronteggiare le
paure e riflette la capacità e la disponibilità del genitore di fornire una risposta alla paura. Sia i bambini con
un attaccamento sicuro che i bambini insicuri hanno trovato tutti nel genitore una soluzione alle loro
situazioni di paura, sebbene in maniera non ottimale. Nelle situazioni di disorganizzazione, invece, il
genitore è egli stesso fonte di paura e il bambino prova esperienze ripetute di paura a cui non è in grado di
trovare soluzioni né prevedibili.
Disturbo d’ansia di separazione: paura o ansia eccessiva e inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo che
riguarda la separazione da coloro a cui l’individuo è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti
criteri: ricorrente ed eccessivo disagio quando si prevede o si sperimenta la separazione da casa o dalle
principali figure di attaccamento; persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita delle figure
di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualcosa di dannoso; persistente ed eccessiva
preoccupazione riguardo al fatto che un evento imprevisto comporti separazione dalla principale figura di
attaccamento; persistente riluttanza o rifiuto di uscire di casa per andare a scuola, al lavoro o altrove per
paura della separazione; persistente ed eccessiva paura di stare da soli o senza le principali figure di
attaccamento; persistente riluttanza o rifiuto di dormire fuori casa o di andare a dormire senza avere vicino
una delle principali figure di attaccamento; ripetuti incubi che implicano il tema della separazione; ripetute
lamentele di sintomi fisici quando si verifica o si prevede la separazione dalle principali figure di
attaccamento.
Disturbo reattivo dell’attaccamento. Un pattern costante di comportamento inibito, emotivamente ritirato
nei confronti dei caregiver, che si manifesta con la presenza di entrambi i seguenti criteri: il bambino cerca
raramente o minimamente conforto quando prova disagio; il bambino risponde raramente o minimamente
al conforto quando prova disagio. Persistenti difficoltà sociali ed emotive caratterizzate da almeno due dei
seguenti criteri: minima responsività sociale ed emotiva agli altri; emozioni positive ridotte; episodi di
irritabilità ingiustificata, tristezza o timore, che si mostrano evidenti anche durante interazioni non
pericolose con caregiver. Il bambino ha vissuto un pattern estremo di cure insufficienti come evidenziato da
almeno uno dei seguenti criteri: trascuratezza o deprivazione sociale nella forma di una persistente
mancanza di soddisfazione dei fondamentali bisogni emotivi di conforto, stimolazione e affetto da parte dei
caregiver; ripetuti cambiamenti dei caregiver primari, che limitano la possibilità di sviluppare attaccamenti
stabili; allevamento in contesti insoliti, che limitano gravemente la possibilità di sviluppare attaccamenti
selettivi.
Disturbo da impegno sociale disinibito. Un pattern di comportamento in cui il bambino approccia
attivamente e interagisce con adulti sconosciuti e presenta almeno due dei seguenti criteri: ridotta o
assente reticenza nell’approcciare e interagire con adulti sconosciuti; comportamento verbale o fisico
eccessivamente familiare; diminuito o assente controllo a distanza del caregiver dopo che si è avventurato
lontano, anche in contesti non familiari; disponibilità ad allontanarsi con un adulto sconosciuto con minima
o nessuna esitazione.
L’amore di coppia completo comprende tutti e quattro gli elementi. L’amore romantico in una coppia che
non è vincolata da legami forti come quello matrimoniale comprende l’intimità e la passione, ma nessun
impegno. La coppia è coinvolta nell’esperienza dell’eccitazione fisica e dei sentimenti di vicinanza, ma non è
pronta o non ha la maturità per impegnarsi a condividere la loro vita insieme. L’infatuazione comprende
solo la passione, un’attrattiva, talvolta esclusivamente fisica, che non ha né intimità né impegno. Si tratta di
“amore a prima vista” ed è caratterizzato dalla preoccupazione per l’altra persona, da alti e bassi estremi a
livello sentimentale e da un intenso desiderio di stare con l’oggetto del desiderio. In entrambi i casi, la
compatibilità potrebbe essere scarsa o inesistente. L’impegno è generalmente implicato nel matrimonio o
nel fidanzamento ufficiale diretto al matrimonio. Quando non c’è impegno, il coinvolgimento sessuale può
creare un falso senso di intimità che può facilmente sostituire la comunicazione reale e altre attività che
favoriscono l’autentica intimità.
Le relazioni d'amore passano attraverso diverse fasi tra alti e bassi, dalla fase iniziale inebriante della "luna
di miele" a un senso di delusione ed, eventualmente, a uno stato di accettazione e a un desiderio di
permanenza. Durante la fase di infatuazione i partner provano gioia, passione ed euforia quando stanno
insieme. La fase di infatuazione porta ad idealizzare il partner, a pensarlo tutto il tempo e a desiderare di
stare con lui/lei costantemente. Il primo segno che la fase dell'infatuazione sta svanendo è un senso di
disillusione (fase della realtà). Man mano che l’euforia diminuisce, si comincia a notare abitudini e difetti
nel partner e a diventare critici nei confronti di alcuni dei suoi comportamenti e atteggiamenti. Affrontare
le sfide inevitabili non significa che i sentimenti di fondo dell'amore e dell'attrattiva scompaiano. Restare
vicini ad un partner che ispira sentimenti romantici e comunicare a lui/lei i propri sogni, desideri e pensieri
può portare a una vera intimità e attaccamento (fase dell’amore maturo). Questa fase è l’unica in cui ci
sono tutti e quattro gli elementi dell’amore di coppia completo: compatibilità, impegno, intimità e
passione. Anche la vita sessuale di una coppia attraversa quattro “stagioni”. Durante i primi anni di vita di
coppia il sesso è un’attività pregna di eccitazione. Nel secondo periodo, dopo due o tre anni di convivenza,
iniziano ad emergere differenze di ogni genere, comprese diverse preferenze sessuali. La soddisfazione
sessuale viene anche erosa dai problemi, dalle discussioni e dai conflitti che inevitabilmente si manifestano
nella convivenza; se vengono gestiti bene portano a sviluppare una profonda fiducia e vicinanza e una
maggiore felicità. Nel terzo periodo la nascita di un bambino comporta una marcata riduzione del desiderio
sessuale della donna.
Quando il contesto relazionale di coppia e l’atteggiamento di uno o entrambi i partner sono disfunzionali, in
quanto caratterizzati da mancanza di uno o più degli elementi fondamentali per il buon rapporto di coppia,
la relazione di coppia è di bassa qualità. Alcune relazioni di coppia sono caratterizzate da ostilità che può
essere espressa attraverso atteggiamenti di chiusura, freddezza, distacco. Il conflitto è spesso inevitabile
all’interno di una coppia. Quando il conflitto è moderato nei toni, espresso in maniera costruttiva, in un
ambiente familiare caloroso e supportivo, e mostra segni evidenti di risoluzione, i due partner imparano
come negoziare i conflitti e risolvere i disaccordi relazionali. Viceversa, quando il conflitto di coppia è
elevato di intensità e ripetuto nel tempo viene a crearsi una condizione di stress cronico per i due partner,
capace di incidere negativamente sul loro benessere psicologico. Talvolta il conflitto di coppia evolve in
separazione e divorzio.
sottostimato. Alcune forme di violenza nella coppia sono difficili da riconoscere e da accertare, soprattutto
quei comportamenti particolarmente “ambigui”, al confine tra normalità e devianza. Esiste una forte
reticenza a raccontare gli abusi subiti e a cercare aiuto da parte delle vittime. È stato spesso documentato,
infatti, che solo una bassa percentuale di abusi subiti nelle relazioni di coppia viene denunciata alle autorità
competenti. Le ragioni più frequentemente addotte per non aver denunciato i fatti sono la paura di
ritorsioni, il desiderio di mantenere il riserbo su quanto accaduto, la scarsa rilevanza attribuita agli episodi
accaduti, la volontà di non coinvolgere polizia e tribunali, la scarsa fiducia sull’operato della polizia e il
timore di non essere creduti. Le donne subiscono più violenze generiche rispetto agli uomini. I partner che
commettono atti di violenza prima del matrimonio hanno una probabilità significativa di compiere tali atti
anche dopo il matrimonio.
Fattori di rischio del perpetratore:
Personalità. Alcuni autori di violenza nella coppia hanno una personalità caratterizzata da un forte
senso di inadeguatezza e insicurezza nelle relazioni intime che li predispone ad essere
emotivamente dipendenti dal partner nonché a temerne il rifiuto e l’abbandono. Quando il timore
di essere abbandonati dal partner diventa particolarmente intenso, il bisogno di dipendenza viene
frustrato e si attivano potenti sentimenti di gelosia o intense esplosioni di rabbia capaci di
scatenare la violenza, soprattutto in mancanza di un’adeguata capacità di contenimento degli
impulsi.
Atteggiamenti verso la violenza e i generi sessuali. Coloro che sono favorevoli all’uso della violenza
nella coppia hanno un’elevata probabilità di concretizzare le proprie attitudini, mettendo
realmente in atto comportamenti violenti nei confronti del partner. Tale probabilità potrebbe
essere particolarmente concreta in presenza di fattori precipitanti di violenza, come il timore di
essere rifiutato o abbandonato dal partner, e l’uso di sostanze.
Psicopatologia. Sebbene esiste ampia evidenza di un’associazione tra depressione e violenza sul
partner, la depressione non sembra ricoprire il ruolo principale nella perpetrazione di abusi nella
coppia, bensì l’umore negativo sembra agire in concorso con altri fattori precipitanti, quali l’abuso
di alcool e alcuni tratti patologici o disturbi di personalità, in particolare di tipo antisociale o
borderline.
Abuso di alcool. Uno dei più rilevanti fattori di rischio di violenza sul partner. Donne e uomini che
abusano di alcool sono a rischio di compiere atti violenti sul partner. Negli uomini, il rischio di
commettere atti violenti, ma non la loro gravità, è maggiore nei casi in cui l’assunzione di alcool sia
particolarmente smodata e, soprattutto, caratterizzata da una condizione patologica di abuso o
dipendenza dalla sostanza.
Uso di droghe. L’uso di una o più droghe, in particolare cocaina e marijuana, è un potente fattore di
rischio di violenza sul partner. Il rapporto tra uso di droga e violenza sul partner è caratterizzato da
causalità diretta ed è indipendente dall’eventuale clima di discordia presente nella relazione di
coppia.
Violenza nella famiglia d’origine. La violenza nella coppia è correlata con esperienze precoci di
violenza subita nella famiglia d’origine o di esposizione a violenza tra i genitori. La trasmissione
intergenerazionale della violenza nella coppia sembra avere percorsi differenti per donne e uomini;
infatti, le donne che hanno subito abusi o hanno assistito ad episodi di violenza nella famiglia
d’origine hanno maggiore probabilità di ricoprire, nelle relazioni di coppia in età adulta, il ruolo
della vittima di violenza; viceversa, gli uomini che sono stati testimoni o vittime di violenza nella
famiglia di origine sono più a rischio di diventare autori di violenza.
Fattori di rischio della vittima e del contesto:
Personalità. Non emerge un profilo di personalità della vittima. In alcuni casi una personalità
caratterizzata da bassa autostima, passività, dipendenza e carenti abilità sociali, di coping e di
problem solving, nonché da attitudini che legittimano la violenza nella coppia, può predisporre la
vittima a rimanere intrappolata in una relazione abusante, col rischio di subire violenze
ripetutamente nel corso del tempo.
Psicopatologia. In linea generale è accertato il rischio, tra le persone affette da disturbi mentali
gravi, di subire violenza a causa della ridotta capacità di percepire correttamente e valutare
criticamente le situazioni a rischio.
Uso di sostanze. La relazione tra uso di sostanze e violenza subita è bidirezionale. L’abuso di alcool
e droghe può costituire sia uno degli effetti psicopatologici indotti dalla violenza subita sia un
fattore di vulnerabilità in grado di aumentare il rischio di subire violenza nelle relazioni di coppia.
Violenza nella famiglia d’origine. Le persone, soprattutto di sesso femminile, che nella minore età
sono state testimoni di violenza tra genitori o hanno subito abusi nella famiglia d’origine sono
moderatamente a rischio di subire atti violenti dal partner in età adulta. I bambini che vivono con
genitori violenti apprendano che la violenza è normale, tollerabile o funzionale nelle relazioni di
coppia.
Violenza precedente nelle relazioni di coppia. Le persone che hanno commesso abusi sul partner
attuale o su quelli precedenti sono fortemente a rischio sia di perpetrare nuove violenze nella
relazione di coppia corrente o in quelle future sia di subirne.
Svantaggio socioeconomico. Il livello di stress soggettivo, legato a situazioni socioeconomiche
disagiate, è in grado di aumentare il rischio di commettere atti violenti sul partner.