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L’INTERVENTO PSICOEDUCATIVO NEI DISTURBI DELLO SVILUPPO

(Vio, Toso, Spagnoletti)

Presentazione
Il volume intende DEFINIRE cosa si intende per intervento psicoeducativo, ma anche presentare
degli esempi concreti delle diverse forme psicopatologiche (autismo, disturbi del comportamento
di tipo esternalizzato e internalizzato, disabilità intellettiva e disturbi dell’apprendimento).
Primo limite: alla presenza di una qualsiasi forma di psicopatologia si aggiungono le differenze
individuali (famiglia, scuola, relazioni coi pari, vissuti, temperamento, caratteristiche
dell’operatore,…)
Secondo limite: gli interventi p.e. sono legati all’entità del cambiamento, soprattutto nei casi di
disabilità grave, in cui non si può pensare ad un cambiamento di grossa entità.
a) L’utilizzo degli interventi p.e. si basa su un processo continuo di PROBLEM SOLVING e di
verifica di ipotesi.

Capitolo 1 – Modelli in Psicopatologia dello sviluppo


La materia si occupa di studiare il FUNZIONAMENTO ADATTIVO, secondo la definizione che ci
fornisce il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual, APA, 2014) = efficacia con cui i soggetti fanno
fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia
personale previsti per la loro particolare fascia di età, retroterra socioculturale e contesto
ambientale.
Il funzionamento adattivo può essere influenzato da vari fattori esterni e interni: istruzione,
motivazione, personalità, prospettive sociali e professionali.
Sono possibili 2 approcci nell’individuare il normale funzionamento adattivo ed eventuali SINTOMI,
intesi come difficoltà (più o meno transitoria e condizionata da eventi avversi) o come disturbo
(comparsa di una problematica che si verifica come stabile e poco modificabile nel tempo).
1) APPROCCIO EMPIRICO AL DISTURBO DELLO SVILUPPO
Il primo ad adoperare questo metodo fu Watson (1913): modello stimolo (s) – risposta (r). Gli
stimoli e le risposte sono collegati da rapporti causali diretti  se A allora B […]
Skinner (1953, prof di Psicologia ad Harvard) fu il primo a proporre una variante: inserire una
ricompensa o un rinforzo. Egli studia il comportamento di ratti e piccioni in una gabbia. Se si
inserisce del cibo, la risposta tende a presentarsi con sempre maggiore frequenza. =
CONDIZIONAMENTO OPERANTE, utile anche nelle neuroscienze comportamentali.
Kanfer (1973) propone un campo di applicazione nel modello di analisi ecologico –
comportamentale: è necessario considerare le caratteristiche degli STIMOLI (S) – lo stato biologico
dell’organismo (O) – la reazione che lo stimolo riesce a elicitare (R) – la frequenza della risposta (K)
– le conseguenze causate dalla risposta (C).
 MODELLO SORKC : A = f(B)
ES) Se un bimbo ogni volta che entra nella sua aula scolastica esegue un particolare
comportamento, è probabile che lo stesso bimbo compia la medesima azione anche quando entra
in un’aula scolastica diversa dalla sua.

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L’approccio empirico al disturbo ha come oggetto lo studio dell’interazione tra l’individuo e il suo
ambiente: questo è il metodo utilizzato dalle scienze naturali che riservano particolare attenzione
alla successione temporale degli eventi.
Questo approccio prende il nome anche di SCIENZA DEL COMPORTAMENTO che ha come scopo
quello di ricercare la relazione funzionale tra eventi.

Scienze del
comportamento

Analisi sperimentale del


comportamento

Analisi comportamentale
applicata

Clinica Svilupp
o

Tipic Atipic
o o

Educazion Educazione
e speciale

Lo scopo dell’analisi comportamentale applicata all’educazione speciale ha almeno 6 obiettivi (Moderato,


Copelli, 2010):
- Aumentare comportamenti e abilità adattivi
- Facilitare l’apprendimento di nuove abilità e conoscenze
- Mantenere nel tempo i comportamenti adattivi acquisiti
- Generalizzare gli apprendimenti acquisiti in diversi contesti di vita
- Ridurre le condizioni all’interno delle quali si verificano comportamenti problema o la loro intensità
- Ridurre la frequenza dei comportamenti problema.
Le principali assunzioni che questo modello attua sono:
1. Determinismo: il comportamento osservato sarebbe governato da leggi universali che possono
essere individuate con la ricerca, anche attraverso un calcolo di probabilità.
2. Ambientalismo: nell’ambiente (ovvero spazio e qualità delle relazioni interpersonali con le figure di
riferimento o con i pari) hanno sede le cause di un determinato comportamento delle persone.
3. Situazionismo: si dovrebbe privilegiare la situazione nella quale si verifica il comportamento da
osservare, e non ricercarne le cause in contesti lontani nel tempo.
4. Riduzionismo: le spiegazioni elementari di un fenomeno posso avere significato anche quando il
fenomeno si verifica in contesti diversi.
5. Pragmatismo: lo sforzo metodologico deve condurre a conclusioni pratiche, in grado di risolvere i
problemi affrontati.

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Le FASI del metodo sono quindi:
1. Definizione delle variabili indipendenti (manipolate dall’osservatore) e dipendenti (oggetto
dell’osservazione).
2. Fase dell’osservazione della variabile dipendente, che deve essere precisa, fedele e completa.
3. Analisi funzionale del comportamento: ricerca di variabili che in termini probabilistici influenzano il
verificarsi di quel determinato comportamento.
4. Analisi dei dati raccolti: definizione della validità delle ipotesi.
5. Conferma/disconferma delle ipotesi circa la relazione da comportamento osservato e variabile
indipendente.

Come favorire l’apprendimento di nuove abilità individuate ?


RINFORZO: Qualsiasi evento che abbia la capacità di modificare la frequenza con cui compare un
comportamento, incrementandolo, perché il suo utilizzo rende più probabile il suo verificarsi. Il rinforzo può
essere commestibile – sensoriale – sociale – simbolici.
CONCATENAMENTO DELLE AZIONI (CHAINING): scomposizione di un comportamento difficile in piccole
parti per insegnare abilità generalmente complesse (vestirsi) che richiedono un regolare susseguirsi di 3
fasi. Suddivisione dell’abilità in sottocomponenti – costruzione della catena di obiettivi per raggiungere il
risultato atteso – strutturazione di un programma di concatenamento delle sottocomponenti.
Si può procedere in modo anterogrado: frammentazione dell’azione nei suoi passi secondo l’analisi del
compito. In modo retrogrado: insegnare l’ultima risposta della catena comportamentale (es. risciacquare le
mani) e si finisce con la prima.
TECNICA DELL’AIUTO (PROMPTING): può essere di tipo fisico – gestuale – verbale. Tra loro esiste un
rapporto gerarchico. Un uso spropositato di facilitazioni può produrre l’adozione di comportamenti di
dipendenza o di regressione sul piano evolutivo.
ATTENUAZIONE DELL’AIUTO (FADING): insieme delle procedure che portano a ridurre gli aiuti e le
facilitazioni che sono state necessarie per il conseguimento del compito.
MODELLAGGIO (SHAPING): mediante approssimazioni graduali alla meta. Il comportamento dell’utente è
gradualmente modellato fino a eseguire il comportamento previsto.
MODELLAMENTO (MODELING): apprendimento di comportamenti nuovi solo attraverso l’osservazione per
migliorare comportamenti già posseduti e inibirne altri non funzionali. (Vd. Studio di Bandura, 1977)
ANALISI DEL COMPITO (TASK ANALYSIS): Scomposizione in sotto-obiettivi più semplici – descrizione del
compito nella sua sequenza ottimale per la sua conquista e l’individuazione delle situazioni stimolo –
individuazione delle abilità componenti e dei prerequisiti al compito.

TOLMAN E L’APPRENDIMENTO LATENTE


Compie degli esperimenti su gruppi di topi: l’assenza della prestazione non significa assenza di
apprendimento, ma vi può essere un apprendimento appunto latente, che in condizioni adeguate può
trovare modo di manifestarsi.
b) Il comportamento non dipende solo da associazioni semplici tra stimoli e risposte: l’animale è
orientato da uno SCOPO e da una MAPPA COGNITIVA.

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BANDURA E LA MODERNA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE
Il comportamento è il risultato di un processo più generale di acquisizione delle informazioni visive e verbali
provenienti da altri soggetti = confluenza di parte del comportamentismo all’interno del cognitivismo.
c) Non è necessario che vi sia un comportamento manifesto rinforzato perché si verifichi
l’apprendimento del soggetto, ma è sufficiente l’osservazione di un modello – la conoscenza può
essere MOLARE, cioè acquista comportamenti complessi nella loro interezza senza doverli
scomporre in sottounità - è introdotto il concetto di FEEDBACK, informazione di ritorno sul
comportamento che contribuisce a modificarlo; l’errore non va evitato, ma è fonte di informazione
– viene ridotto il ruolo dell’ambiente, ma si parla di DETERMINISMO RECIPROCO in cui i fattori della
persona, il suo comportamento e il contesto ambientale dipendono l’uno dall’altro – è necessario
esaminare i processi cognitivi che sottostanno all’apprendimento osservativo.

APPROCCIO DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO ALLA CLINICA


Orientato alla comprensione della relazione tra caratteristiche individuali (NATURE) e l’esposizione alle
esperienze ambientali (NURTURE), alle cure ricevute, allo scopo di prevedere comportamenti, reazioni
emotivo-relazionali, nelle varie fasi di vita.
Gli studi sono stati effettuati su un campione di 185 bimbi, tra i 12 e i 18 mesi e le loro madri attraverso le 4
fasi dello sviluppo: 4-5 anni – 8 anni – 12 anni – 19 anni.
d) I fattori che possono influenzare lo sviluppo di una persona sono numerosi e concorrono a definire
una sorta di traiettoria dello sviluppo.
e) Bisogna identificare quelle variabili che caratterizzano lo sviluppo della persona, generalmente fin
dai primi anni di vita, e che ne condizionano le acquisizioni sul piano cognitivo, affettivo,
relazionale.
f) Sono individuabili 3 gruppi principali di fattori che definiscono l’evoluzione normale o patologica di
una persona: fattori specifici o predisponenti – fattori ambientali – esperienze effettuate nei
cosiddetti “periodi sensibili” dello sviluppo.
Si definirà un TEMPERAMENTO ( insieme delle tendenze innate dell’individuo a reagire agli stimoli
ambientali in un determinato modo): DIFFICILE o FACILE .

Fattori implicati nello sviluppo di una persona


6. Qualità delle relazioni primarie = ATTACCAMENTO INSICURO
7. Eventi vitali, critici, stress e traumi, rete sociale = AVVERSITA’ FAMILIARI
8. Vulnerabilità biologica, funzioni neuro cognitive, temperamento = CARATTERISTICHE INTERNE AL B.
9. Stile educativo genitoriale e strategie di socializzazione = PARENTING INEFFICACE
NB) questi fattori si intersecano l’uno con l’altro.
Livelli di interazione tra fattori biologici, cognitivi, comportamentali e dell’ambiente nella determinazione
del funzionamento adattivo di una persona.

LIVELLO GENETICA AMBIENTE


Biologico Aree cerebrali interessate al comportamento Nessun fattore di rischio conosciuto.
osservato.
Neurotrasmettitori coinvolti.
Cognitivo Memoria. Modalità/quantità di stimolazioni proposte in
Flessibilità cognitiva. relazione alle fasi dello sviluppo.
Codifica delle emozioni.
Comportamentale Reazioni comportamentali osservate. Funzionamento adattivo in relazione alle
richieste.

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Livelli di interazione tra fattori biologici, cognitivi e comportamentali e dell’ambiente nella determinazione
del comportamento aggressivo/violento

LIVELLO GENETICA AMBIENTE


Biologico Alleli del genotipo che codificano alcuni Ad es. madre fumatrice, abuso di sostanze di
neurotrasmettitori (es. MAO). gravidanza.
Aree prefrontali, amigdala.
Neurotrasmettitori: serotonina, inibitori della
monoaminossidasi.
Cognitivo Memoria delle emozioni. Esposizione a maltrattamento.
Predisposizione della risposta aggressiva.
Comportamentale Reazioni comportamentali osservate. Ambiente coercitivo.

g) L’influenza dei livelli è reciproca e bidirezionale: anche il livello comportamentale influisce a sua
volta su quello cognitivo e biologico. È importante quindi la ricerca delle reazioni che l’individuo
manifesta in specifici contesti o ambienti nel quale è inserito, e in presenza di fattori protettivi
(resilienza) o di vulnerabilità.
ES) presenza di sintomi psicopatologici di bimbi in età scolare adottati dopo un periodo di
postistituzionalizzazione rispetto a bimbi della stessa età non adottati: i risultati evidenziano un
livello significativamente più elevato di sintomi di disordini del comportamento, sia del tipo
esternalizzato (iperattività, oppositivo-provocatorio, condotta), sia internalizzato (disturbi d’ansia).

Intervento psicoeducativo
Step 1 : realizzazione della rete di alleanza tra operatori e famiglia
Step 2: interventi non specifici tesi a favorire l’acquisizione delle abilità previste dalla fase di sviluppo
Step 3: interventi specifici ricavati dalla conoscenza del problema
Step 4: favorire il miglior adattamento possibile al contesto in termini di autonomia, cura della propria
persona, di benessere, di apprendimento,…

Cap. 2 – La classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute: ICF e ICF-CY
Negli ultimi 30 anni la terminologia inerente alla DISABILITA’ ha subito profonde modifiche, creando un
linguaggio condiviso, utile per coinvolgere le figure professionali e per mutare il modo di concepirle.
In passato i termini come handicap, idiota, mongoloide non erano negativi, ma troppo generici e puntavano
l’attenzione sui deficit della persona.
Nel 1948 le Nazioni Unite crearono l’Organizzazione mondiale della sanità e promossero la salute “come
stato di benessere fisico, mentale, sociale e non inteso come assenza di disabilità o infermità”.
I principali sistemi di classificazione utilizzati nell’ambito della salute “fisica” e “mentale” fanno riferimento
a due importanti organizzazioni: l’OMS, che ha elaborato la Classificazione statistica internazionale delle
malattie e dei problemi sanitari correlati e l’American Psychiatric Association (APA, 1990) che ha redatto il
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM, 2014).
1980: propone l’international Classification of Impairments Disabilities and Handicaps (ICIDH) che chiarifica
la distinzione tra 3 concetti:
1. Menomazione: qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche,
fisiologiche, anatomiche. Può avere carattere permanente o transitorio e rappresenta
l’esteriorizzazione di uno stato patologico.
2. Disabilità: interpretata come riduzione parziale o totale della capacità di svolgere un’attività nei
tempi e nei modi considerati come “normali” attesi. Può essere transitoria o permanente,

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reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva. Può essere conseguenza diretta di una
menomazione o una reazione psicologica a una menomazione fisica, sensoriale o di altro tipo.
3. Handicap: condizione svantaggio risultante da un danno o da una disabilità, che limita o
impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto all’età, al sesso, ai fattori sociali e
culturali. È una condizione soggetta a cambiamenti. Esso sottolinea la discrepanza tra
l’efficienza o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienze e di stato, sia dello stesso
soggetto sia del particolare gruppo di riferimento. Riflette le conseguenze a livello culturale,
sociale, economico, ambientale.
h) La classificazione proposta continua a basarsi sul modello “medico” di disabilità, che viene quindi
considerata un problema personale, conseguenza diretta di malattie, traumi o altre condizioni di
salute che necessitano di assistenza medica/trattamento individuale.
NB) Le criticità del mdello ICIDH: manca il contesto ambientale, si basa sul modello “medico” di disabilità,
considerata come un problema personale. Inoltre i tre concetti vengono considerati in termini di relazione
di cause ed effetti.

Modello bio-psico-sociale dell’ICF e ICF-CY:

Condizioni fisiche
(disturbo/malattia)

Funzioni corporee Attività personali Partecipazione


Strutture corporee sociale

Fattori contestuali

Fattori Fattori personali


ambientali

Modello proposto nel 1997: l’handicap viene considerato come fenomeno sociale, inserito in uno specifico
contesto culturale e in un determinato ambiente, che esercitano delle influenze sugli individui – l’oggetto di
interesse viene spostato dalla menomazione alla salute, riferendosi alle funzioni, strutture corporee e alle
attività che causano restrizioni sociali.
La prima versione dell’ICF si connotava prevalentemente come strumento di valutazione del funzionamento
in età adulta. Tra il 2002 e il 2005 l’OMS ha aggiornato il modello e i codici in modo da renderli applicabili e
riferibili all’età evolutiva.
i) Nel 2007 viene pubblicato l’ICF-CY che copre una fascia di età tra la nascita e il 18° anno.
j) Sono stati inseriti 4 questionari per fasce di età (0-3, 4-6, 7-12, 13-18)
k) Sono stati evidenziati temi chiave:
1. Contesto familiare
2. Ritardi nello sviluppo a causa di differenze individuali.
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3. Partecipazione alle relazioni con le figure di riferimento e con i coetanei.
4. Fattori ambientali che sono cambiati all’interno di ambienti fisici e sociali

La struttura dell’ICF è divisa in due parti:


1. La prima si occupa di funzionamento e disabilità
2. La seconda dei fattori contestuali.
Queste due sezioni sono a loro volta suddivise in:
1. Funzioni e strutture corporee (ex menomazioni), attività (ex disabilità) e partecipazione (ex
handicap).
2. Fattori contestuali, di tipo ambientale e personale.
I qualificatori sono: nessuno/assenza – lieve – moderato – notevole – completo.
l) Approntato questo modello, il punto di partenza diviene la costruzione di un’alleanza tra operatori
e famiglia, basata sulla condivisione del progetto e degli interventi da mettere in atto.
L’intervento p.e. mira ad arricchire la persona disabile sia in senso trasversale, ovvero esteso a tutte
le aree dell’azione formativa, sia longitudinale, ovvero articolato nel tempo.
il progetto pertanto dovrebbe favorire:
 Il consolidamento di una positiva immagine di sé.
 L’acquisizione di livelli diversificati di autonomia.
 La strutturazione di un processo di apprendimento che rispetti i ritmi individuali.
 Lo sviluppo di tutte le potenzialità del soggetto.
 La partecipazione sociale all’interno di una società inclusiva.
 La visione del bambino/adolescente presente e futura, immaginando l’adulto che potrà essere.
Nel 2005, infine, si è promosso il progetto europeo MHADIE – Measuring Health and Disability in Europe:
supporting Policy Development.
L’ICF è stato accolto in modo molto positivo in Italia, grazie alla profonda tradizione filo-antropologica,
psico e pedagogica del nostro territorio.  Seguono esempi di applicazioni in Provincia di Treviso – Imperia
- Piemonte.

CAP. 3 – L’INTERVENTO PSICOEDUCATIVO


Analisi metodologica su progetti di intervento condotti su caso singolo e valutazione della significatività
dell’effetto dell’intervento  raggiungimento degli obiettivi sia per il soggetto, sia dal punto di vista sociale,
in modo tale da costruire un primo supporto scientifico all’intervento utilizzato.
ES) Soggetto con autismo. BLIKEN (1993 - America) introduce e studia il metodo della Comunicazione
facilitata, CF: fornire un facilitatore (educatore) che fornisce un supporto emotivo e mantiene un contatto
fisico con la persona da aiutare a comunicare, attraverso, di solito, la tastiera di un pc.
Prima di iniziare a programmare l’intervento psicoeducativo, l’operatore dovrebbe accertarsi di controllare
le regole di “buone prassi”.
 Gli operatori devono essere in grado di lavorare per ipotesi, ricavate dall’osservazione del soggetto
e da altre fonti, che sanno spiegare il comportamento osservato sulla base delle conoscenze
scientifiche.
Si possono riscontrare delle difficoltà sul piano scientifico:
1. Condizioni diverse dove viene effettuato il piano di intervento.
2. Diversi ambiti : ad es. gestione delle emozioni, comportamenti dirompenti, stimolo delle abilità
cognitive, linguaggio, relazione sociale.

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3. Definire un progetto di intervento e modificare in itinere obiettivi e procedure senza effettuare le
dovute osservazioni.
4. Intervenire senza aver redatto un’analisi dettagliata, perché il contesto non lo permette.
5. Non riuscire a manipolare le condizioni dell’intervento come si vorrebbe perché il repertorio
comportamentale del soggetto è ridotto.
 Il What Works Clearinghouse (WWC) del 2002 negli Stati Uniti fornisce delle linee guida per
definire i requisiti specifici in grado di valutare la validità interna di una ricerca, l’efficacia del
metodo utilizzato, la reazione tra intervento e cambiamento prodotto.
 3 sono i criteri per ritenere che l’intervento effettuato sia valutabile nei suoi risultati:
1. L’intervento sul caso singolo rispetta gli standard più avanti specificati.
2. Rispetta gli standard con riserve.
3. Non rispetta gli standard.
 OBIETTIVO: introduzione e rimozione della variabile indipendente – manipolazione continua della
variabile indipendente attraverso fasi diversi di osservazione – introduzione scaglionata della
variabile indipendente attraverso diversi momenti nel tempo.
NB) Gli studi in ambito educativo richiedono il controllo di molte variabili (luogo, la relazione con
l’operatore, il grado di accordo sulle scelte di intervento, le risorse del contesto, la letteratura
scientifica dell’argomento, le proprie convinzioni sul caso,…) . per questo motivo l’educatore deve
prendere in considerazione solo alcuni quesiti.
 Gli obiettivi dovrebbero tener conto:
- del funzionamento del soggetto
- Delle richieste del contesto
- Delle attese dei genitori
- Della descrizione del profilo di funzionamento del bimbo.
NB) è comunque sempre opportuno procedere come se l’intervento si configurasse come uno studio su
caso singolo:
- Determinare se esiste una relazione causale tra l’introduzione della variabile indipendente e il
modificarsi della variabile dipendente.
- Valutare l’effetto dell’alterazione di una componente della variabile indipendente in base a una
variabile dipendente.
- Valutare gli effetti relativi di due o più variabili indipendenti.
Tuttavia ci sono degli effetti naturali dovuti al tempo: gli interventi durano dai 6 ai 9 mesi: la variabile
dipendente può modificarsi a fattori naturali di cambiamento (maturazione).
 Importante è la CONDIVISIONE tra operatori e famiglia, che, però, hanno diversa formazione =
bisogna utilizzare un linguaggio condiviso.
ICF e ICDIDH-2 in Italia evidenziano 3 dimensioni (FUNZIONI – STRUTTURA DEL CORPO – ATTIVITA’)
che dovrebbero consentire la descrizione di cosa può fare una persona in relazione alle richieste
dell’ambiente o delle proprie aspettative.
Il documento, DF, redatto dall’operatore sanitario, deve essere poi condiviso anche con altri
professionisti. Esso deve contenere:
- Prognosi di sviluppo, definita sulla base del funzionamento della persona, l’interpretazione del
suo problema.
- Funzionamento cognitivo, affettivo, relazionale della persona in difficoltà sulla base delle
conoscenze disponibili.

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- Classificazione del disturbo tramite le funzioni mentali, soprattutto tramite le funzioni
psicosociali globali, che dovrebbero svilupparsi nel corso della vita e le funzioni intellettive che
indicano ciò che il bimbo sa o non sa fare in relazione al suo livello di ritardo:
 Mantenimento dell’attenzione su uno stimolo esterno o su un’esperienza, l’attenzione
condivisa.
 Le funzioni della memoria, per ricordare e imparare.
 Le funzioni psicomotorie (motricità finalizzata agli spostamenti in autonomia, fine
motricità)
 Le funzioni percettive, allo scopo di riconoscere e interpretare stimoli sensoriali
 Le funzioni del linguaggio, inteso come riconoscimento e utilizzo di segni, simboli, la
pragmatica della comunicazione.
- Applicazione delle funzioni:
 Esperienze sensoriali intenzionali (guardare, ascoltare).
 Apprendimenti di base.
 Applicazione delle conoscenze.
 Compiti e richieste relativi alla routine della vita quotidiana
 Comunicazione,…

DOMINI PERFORMANCE CAPACITA’


Apprendimento di base e delle conoscenze Non legge, scrive, non conosce i numeri Può riconoscere e riprodurre solo il proprio
nome; può acquisire la conoscenza dei
numeri fino a 3.
Comunicazione Utilizza le immagini della CAA. Può acquisire l’uso di simboli per la CAA.
Cura della propria persona In grado di soddisfare i bisogni primari, sa Non sa prendersi cura della propria salute;
vestirsi, lavarsi, mangiare. può acquisire tutte le altre autonomie
richieste in contesti noti.
Interazioni e relazioni interpersonali Interagisce solo con una persona adulta. Può interagire con i coetanei attraverso la
CAA.
Mobilità Si muove autonomamente in spazi conosciuti. Può acquisire molte funzioni proprie dell’età.

- Indicazioni per operatori che si occupano dell’intervento psicoeducativo nelle seguenti aree:
AREA DELLO SVILUPPO DELLE ABILITA’ COGNITIVE: percezione dello stimolo, elaborazione verbale e/o
visuospaziale, mantenimento e/o recupero dell’informazione (memoria a breve e a lungo termine),
attenzione e linguaggio e competenze prassico-costruttive (capacità di programmazione, di controllo del
movimento e di rappresentazioni di rapporti spaziali), funzioni corporee (memoria, attenzione, percettive,
del pensiero, cognitive superiori, intellettive e della coscienza, orientamento.
AREA DELLO SVILUPPO EMOTIVO-RELAZIONALE: è a carico degli operatori definire se sussiste una
condizione psicopatologica, se è primaria o secondaria, come condiziona il funzionamento adattivo della
persona. Importante definire: 1. La capacità di adattamento alla situazione rispetto all’osservanza delle
regole e al rapporto con l’adulto e i coetanei. 2. La capacità di utilizzare le risorse ai fini dell’apprendimento
e dell’autonomia personale.
AREA DEGLI APPRENDIMENTI SCOLASTICI: stabilire se il bimbo possa essere avviato alla lettura funzionale,
oppure se sia ipotizzabile l’acquisizione di competenze fonologiche, se non ortografiche. In mate: stabilire
le abilità di calcolo, rappresentazione della situazione,..
AREA DEL LIVELLO DI FUNZIONAMENTO RAGGIUNTO E DELLE POTENZIALITA’ DI SVILUPPO: capacità di
elaborare informazioni, utilizzare strategie nella soluzione di compiti appropriati all’età, utilizzare in modo
integrato competenze diverse. Da valutare anche il grado di autonomia personale e sociale.
NB) possono sorgere difficoltà derivate dal fatto che il comportamento problema non venga inizialmente
riportato in termini descrittivi, molecolari, ma registrato da subito nel suo significato.

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L’interpretazione del comportamento problema stabilisce se il comportamento ha una funzione
OMEOSTATICA o COMUNICATIVA.

Il significato del comportamento problema può essere riconosciuto in due modi:


1. Definizione operazionale del comportamento
2. Osservazione sistematica del comportamento per misurarne la frequenza, la durata.

In modo da acquisire:
a) I pesi rispettivi dei vari comportamenti problema.
b) La fotografia iniziale del problema.
c) Le aree di attenzione.
3. Definire le difficoltà e cercarne le cause:
 Comunicativa: ottenere attenzione/fuga ed evitamento di situazioni spiacevoli – ottenere
gratificazioni concrete (oggetti, attività).
 Autoregolatoria: sensoriale (mantenuta dalla stimolazione stessa per il piacere di rifare la
stessa cosa) – omeostatica (per riequilibrare il proprio livello di attivazione a seconda della
stimolazione ambientale.
4. Scegliere le procedure/modalità per intervenire, vd. CHECKLIST DI DEMCHAK E BOSSERT (2005):
A) Il comportamento è una minaccia per l’incolumità fisica della persona?
B) “ “ “ “ di terzi?
C) Il comportamento interferisce con il processo di apprendimento della persona?
D) “ “ “ di altre persone?
E) Il comportamento danneggia o distrugge oggetti?
F) Se non si interviene ritiene che il comportamento peggiorerà?
G) Il comportamento interferisce con l’accettazione della persona? Produce stigma?
La verifica a breve termine dovrebbe avvenire al max dopo 3 mesi dall’inizio dell’intervento. La flessibilità
operativa in questo caso è il migliore strumento. A medio termine è rilevante cercare di definire le variabili
indipendenti che hanno favorito i cambiamenti. A lungo termine accertarsi di quanto gli obiettivi siano stati
acquisiti e stabilire quanto l’intervento sia stato efficace.
NB) il rinforzo è uno degli strumenti fondamentali negli interventi mirati all’aumento dei comportamenti
funzionali e adattivi, in sostituzione di quelli negativi.

Errori nell’uso del rinforzo:


1. Non interrompere il programma anche se ci son risultati all’inizio deludenti.
2. La gratificazione deve essere contingente al comportamento positivo
3. Non gratificare altri comportamenti rispetto a quelli concordati con l’alunno.
4. Non aggiungere commenti negativi ai rinforzi (Hai visto che quando ti impegni ce la puoi fare, ieri
invece,…)
5. Non programmare gratificazioni eccessive per attività troppo alte e irraggiungibili dal ragazzo.
6. Non dare la gratificazione prima del comportamento da aumentare.
7. Non fornire un rinforzo negativo per far smettere un comportamento.
8. Evitare false gratificazioni.

CAP. 4 – I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

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L’ingresso a scuola rappresenta lo spartiacque tra due fasi della vita: quello della scuola dell’infanzia, dove
le richieste sono legate a momenti ludici, e quello della scuola primaria, che prevede l’avviamento e
l’acquisizione di nuove competenze e un’adeguata capacità regolativa.
Di norma questo passaggio avviene naturalmente e riflette il buon funzionamento di una serie di processi
sottostanti.
 Lettura e scrittura non sono attitudini naturali all’uomo, ma una sua ideazione generata da
fenomeni contestuali: la plasticità innata del nostro cervello ci ha permesso di divenire lettori,
scrittori, e non solo.
Ma cosa succede se un bimbo fatica ad avviare e a consolidare le principali abilità scolastiche?
 Attualmente i DSA sono classificati nel DSM-5 tra i DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO e sono inseriti
nell’area della comunicazione e dell’apprendimento.
La ricerca psicologica sui Disturbi dell’apprendimento ha approntato una prima definizione nel
1990 con Hammill: con l’espressione LEARNING DISABILITY ci si riferiva ad un gruppo eterogeneo di
disturbi caratterizzati da rilevanti difficoltà nell’acquisizione e nell’uso delle capacità di ascolto,
espressione orale, lettura, ragionamento e calcolo, probabilmente originati da disfunzioni del
sistema nervoso centrale. Posso coesistere problemi nei comportamenti di autoregolazione, nella
percezione e nell’interazione sociale, ma non sono l’effetto di tali condizioni o influenze.
L’apprendimento è un insieme complesso di attività mentali: è un processo influenzato da una serie di
variabili che fanno riferimento alle caratteristiche individuali del soggetto che apprende e che risente delle
informazioni e degli stimoli che provengono dalla realtà esterna.
 La struttura funzionale del cervello di un bimbo dispone dunque di una “base di conoscenze”
geneticamente determinata.
 L’acquisizione di strumentalità complesse come quella della lettura e della scrittura fruiscono, nella
fase di avviamento, di processi controllati. Si basano sulla consapevolezza, sull’intenzionalità di
raggiungere un certo scopo: sono apprendimenti di natura seriale e richiedono un tempo maggiore
rispetto ai comportamenti automatici.
La conseguenza dell’automatizzazione garantisce che una serie di risorse cognitive, come attenzione o
memoria di lavoro, possano essere indirizzate verso apprendimenti di natura più complessa.
 Nella situazione in cui un bimbo non è in grado di automatizzare la lettura (dislessia), lo sforzo
cognitivo richiesto da tale compito resterà sempre alto e aumenterà il suo livello di affaticabilità
man mano che la richiesta scolastica diventerà più gravosa e impegnativa.
NB) Il compito della lettura mira non solo alla decodifica dei grafemi, ma alla comprensione di quanto viene
letto, permettendo di guadagnare il significato di quanto letto e memorizzare le informazioni necessarie.
Gli attuali modelli interpretativi definiscono i Disturbi specifici dell’apprendimento in considerazione
dell’interazione tra aspetti genetici, che si riflettono su alcuni fattori di protezione e di rischio, che a loro
volta interagiscono con l’ambiente (2011).
In Italia la svolta è stata rappresentata da due particolari Conferenze di Consenso: nel 2006 e nel 2010.

DEFINIZIONE DEL DISTURBO


La prevalenza del DSA è stimabile mediamente attorno al 3% della popolazione italiana di bambini in età
scolare, ma è maggiore in quei paesi che hanno un sistema di scrittura più complesso, irregolare e non
trasparente, come quello inglese (5%).
L’origine biologica è stata definita, ma resta da determinare con certezza quale sia la specifica funzione
cognitivo-neuropsicologica alterata alla base di ogni singolo disturbo: la considerazione sull’eziologia si
muove in più direzioni ipotetiche.

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In più queste anomalie nei processi automatizzazione della lettura, della scrittura e del calcolo si
presentano associate tra loro (COMORBILITA’).
 Una delle principali caratteristiche di questi disturbi è la SPECIFICITA’: gli aspetti che risultano
compromessi in modo significativo sono relativi a uno specifico e circoscritto dominio di abilità,
mentre restano intatti il funzionamento intellettivo generale o altre abilità connesse
all’apprendimento scolastico.

 Protocollo diagnostico secondo le indicazioni della Conferenza di consenso:


Criterio diagnostici di inclusione:
NO
- Esiti oltre il cut off alle prove di standardizzate di lettura, scrittura, Non è un DSA
calcolo/numero.
- Discrepanza tra abilità specifiche e intelligenza generale.
- Resistenza al trattamento SODDISFA IL CRITERIO
cRINAND

Criteri diagnostici di esclusione:


soddisfa il criterio
- Disturbi cognitivi Diagnosi nosografica secondo
NO
- Disturbi neurologici o sensoriali codici ICD-10
- Disturbi psicopatologici
- Ambiente socio-educativo inadeguato

Possibile disturbo
Sì dell’apprendimento
Disturbi specifici di apprendimento secondario?

nb) Una recente indagine relativa alla tempestività dell’intervento evidenzia come un’attività di
monitoraggio a breve termine, del progresso degli apprendimenti scolastici, possa ridurre l’individuazione
di falsi positivi.

CLASSIFICAZIONE NEL DSM-5 (APA, 2014)


Esso evidenzia 3 sottotipi:
- Dislessia: disturbo specifico di apprendimento con compromissione della lettura (processo
cognitivo articolato che necessita di buone abilità uditive-fonologiche e di adeguate abilità
visuo-percettive per svilupparsi in modo completo).
Il processo di apprendimento della lettura può essere suddiviso in 4 stadi dal punto di vista evolutivo:
1. Stadio pittografico: le parole vengono colte nella loro forma unica e globale, come fossero disegni.
2. Stadio logografico: identificazione di alcune caratteristiche visive di parole familiari, non sono
ancora apprese le lettere e i loro singoli suoni.
3. Stadio alfabetico: uso della conversione grafema-fonema nella lettura e fonema-grafema nella
scrittura.

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4. Stadio ortografico/lessicale: accesso al recupero del morfema, alle regole ortografiche, alle
peculiarità che caratterizzano le parole irregolari.
Tra le varie teorie che tentano di illustrare i deficit alla base della dislessia c’è:
IL MODELLO DI LETTURA A DUE VIE:
input visivo -> analisi visiva  riconoscimento delle lettere  lessico visivo di input 
 Identificazione delle lettere  conversione grafema-fonema
 Sistema semantico  comprensione
 Lessico fonologico di output  sistema articolatorio  pronuncia.

TEORIA DEL DEFICIT FONOLOGICO


Riscontra performance di basso livello nella consapevolezza fonologica dei soggetti con dislessia evolutiva.
 Consapevolezza fonologica: capacità esplicita di segmentazione e di manipolazione dei suoni
costituenti le parole.
 Ipotesi fonologica: sostiene la presenza di un disturbo nell’elaborazione, nella codifica e nella
rappresentazione dei suoni linguistici.
NB) un recente contributo di Goswami, 2015, prof di Neuroscienze a Cambridge, prende in esame una serie
di teorie che ipotizzano la presenza di una disfunzione sensoriale alla base della dislessia.
NB) Il termie dislessia si accompagna all’aggettivo EVOLUTIVA: non si tratta di una compromissione
successiva all’acquisizione dell’abilità di lettura, ma l’avviamento e il consolidamento di questa abilità sono
ostacolati da un intralcio negli aspetti neurobiologici che stanno alla base del processo di lettura.
 il disturbo è già presente, ma non riconoscibile prima che il bimbo sia esposto a sollecitazioni della
scuola primaria.
I parametri, per le lingue TRASPARENTI (quando il rapporto tra fonemi e grafemi corrispondenti è diretto e
biunivoco) essenziali sono: RAPIDITA’ del tempo di lettura del brano – correttezza o accuratezza.

- DISGRAFIA
L’analisi di un compito scritto si compone di vari aspetti:
- aspetto calligrafico
- aspetto di natura linguistica.
 il disturbo di scrittura evidenzia due componenti principali: una di natura motoria (deficit nei processi di
realizzazione grafica) – una di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura).
Le abilità chiamate in gioco nell’atto della scrittura sono molteplici:
A. Ambito esecutivo finemotorio: sottende alcuni aspetti come la capacità di coordinazione
oculomanuale e il recupero dei pattern grafomotori.
B. Ambito linguistico: legato all’acquisizione di processi fonologici come l’associazione tra
fonema e grafema e di processi ortografici che implicano un recupero appropriato del
lessico, delle caratteristiche ortografiche e della sintassi.
C. Ambito cognitivo: connesso alle abilità di ideare e pianificare un testo scritto.

DEFINIZIONE DEL DISTURBO: calligrafia compromessa e poco leggibile, con imprecisioni nelle proporzioni
tra le lettere, difficoltà di posizionamento del grafema nel foglio e di relazione dei segni.
NB) Alcuni autori collegano i problemi di disgrafia con la mancanza di controllo motorio fine nell’esecuzione
dei programmi motori.

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Anche il buon funzionamento del planning motorio e dell’integrazione bilaterale è una condizione
importante ed è predittivo della leggibilità della scrittura nei bimbi con difficoltà.

FORME DI TESTO
 DETTATO: la prima fase del processo dipende dalla parola udita. Se essa fa parte del repertorio
lessicale si attiva la via del lessico grafemico, che dovrebbe garantire il recupero dell’ortografia
appropriata. Davanti a parole nuove, la modalità di conversione fonografemica garantisce il
recupero dei singoli grafemi passando per il buffer fonemico. Superata questa fase si passa al buffer
grafemico: tiene attive le tracce mnestiche dei componenti della parola successivamento elaborate
dai pattern grafomotori.
 COPIA: l’analisi uditiva è sostituita dall’analisi visuografemica, che, tramite l’oculomotricità,
confronta grafema con il modello presente nel buffer grafemico.
 SCRITTURA SPONTANEA: supportata da una serie di abilità cognitive superiori.

PARAMETRI
L’indagine diagnostica valuta soprattutto le caratteristiche del pattern grafomotorio:
 Velocità di scrittura
 Leggibilità del grafema: un grafema è indecifrabile quando è talmente deformato da non essere
identificato al di fuori del contesto o della parola in cui è inserito.
 Dimensionalità dei grafemi e spaziatura tra le lettere. Se lo spazio è inferiore ai 2 mm è
compromessa la leggibilità.
 Direzionalità del movimento.

- DISORTOGRAFIA
Deficit nei processi di cifratura del codice ortografico: si caratterizza per una mancata automatizzazione
delle regole grammaticali e ortografiche.
 la scrittura di un bambino con disortografia si rivela leggibile, tuttavia contiene un numero elevato di
imprecisioni di varia natura, da errori fonologici (omissioni di lettere, sostituzione) a quelli fonetici (doppie e
accenti) a quelli morfosintattici (punteggiatura, accenti) o ortografici (uso delle maiuscole, uso dei suoni c-q,
ecc).
ERRORI
 Errori fonologici : la produzione scritta non corrisponde al relativo suono.
 Errori non fonologici: errori nella rappresentazione ortografica (visiva) delle parole palesati da
fusioni/separazioni illegali, e da termini in cui vi è la corrispondenza con il suono (omofone non
omografe).
 Errori fonetici : inadeguato utilizzo di doppie e di accenti.
STADI DEL DISTURBO
 Stadio logografico, prime fasi di avvio della consapevolezza fonologica
 Stadio alfabetico, conversione fonografemica
 Stadio ortografico/lessicale, accesso al recupero del morfema, alle regole ortografiche, alle
peculiarità che caratterizzano le parole irregolari.
 dimensione gerarchica: non si passa allo stadio successivo se il precedente non è assodato.

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NB) Il modello Seymour, 1985 esplicita chiaramente l’interazione tra lo sviluppo della scrittura e quello della
lettura: queste due competenze concorrono e si sorreggono a vicenda soprattutto nel passaggio dallo
stadio alfabetico a quello ortografico.
 Si raccomanda di tener conto del grado di affaticabilità del bimbo quando svolge questi compiti.

PARAMETRI: correttezza/accuratezza misurata come numero di errori di scrittura.

- Discalculia
Butterworth, 1995-2005: è a favore di una tesi innatista che considera il bimbo dotato fin dalla nascita di un
“modulo numerico” che garantisce l’acquisizione di tutte le successive abilità di calcolo e dell’elaborazione
numerica.
Secondo il modello di Gelman e Gallistel, 1978: nello sviluppo del concetto di numero è necessario
distinguere due assunti:
 Astrattezza: tutto può essere contato e non c’è un limite rispetto al tipo di elementi che possono
costituire un insieme, a patto che sia possibile individuarli.
 Irrilevanza dell’ordine: si può iniziare a contare a partire da qualsiasi elemento dell’insieme.
Fuson, 1988: individua un modello di costruzione del numero nel bambino. Per lei esistono numerose
situazioni di uso delle parole-numero che assumono differenti significati a seconda del contesto in cui si
collocano.
 L’integrazione dei differenti significati si attua quando il bimbo arriva a costruire la sequenza
numerica come serie: in tal modo qualsiasi numero ha un valore cardinale formato da tutte le unità
che lo precedono, compreso sé stesso.
La delineazione dell’architettura funzionale del sistema di elaborazione del numero e del calcolo appare
chiara nel modello del triplo codice di Dahaen e Cohen, 1995: essi postulano che l’elaborazione di numeri si
basi sue 3 distinti codici numerici interconnessi attraverso specifiche vie di transcodifica e distintamente
coinvolti in diversi compiti.

Lettura Codice analogico


numero
Input scritto o
arabo
orale

Codice arabo Codice verbale

Scrittura Output scritto o


numero orale
arabo

Dehaene ha trovato conferma nella letteratura scientifica dell’esistenza dei 3 diversi circuiti neuronali
sottostanti, desumendo che, a partire dalla localizzazione della lesione, vengono osservati 3 tipi di deficit:
1. Deficit nella rappresentazione di quantità numeriche
2. Deficit di rievocazione verbale
3. Deficit dell’attenzione visiva spaziale coinvolta nell’accesso alla linea numerica.

 Il disturbo di calcolo è un disturbo neurobiologico dello sviluppo che colpisce le abilità relative
all’area numerica e del calcolo: esso può compromettere sia la funzione delle abilità numeriche

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nelle sue procedure esecutive, sia le abilità aritmetiche di base, legate alla funzione cognitiva delle
componenti di cognizione numerica.
Temple, 1992: “è un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche che si manifesta in bimbi di intelligenza
normale, che non hanno subito danni neurologici”.
 Il disturbo compromette maggiormente le abilità computazionali di base di addizione, sottrazione,
moltiplicazione, piuttosto che le abilità matematiche più astratte dell’algebra, trigonometria,
geometria.
Sono stati individuati 3 profili distinti di discalculia, caraterrizzati da debolezza a carico di:
 Strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica
 Procedure esecutive (lettura, scrittura e incolonnamento dei numeri).
 Calcolo (recupero dei fatti aritmetici e algoritmo del calcolo scritto).
Per l’individuazione dei diversi profili di discalculia viene data rilevanza all’analisi degli errori specifici
effettuati, che si esplicitano in 4 categorie:

 Errori nel recupero dei fatti aritmetici


 Errori nell’applicazione delle procedure
 Errori nel mantenimento e nel recupero delle procedure
 Difficoltà visuospaziali.
Nb) Sicuramente le esperienze scolastiche hanno un ruolo importante nello sviluppo del funzionamento
sociale, affettivo e mentale di bambini e adolescenti: i vissuti di insuccesso che caratterizzano a volte i
bambini DSA rischiano di compromettere non solo la carriera scolastica, ma anche lo sviluppo della
personalità oltre che un adattamento sociale equilibrato.

INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Indicazioni di intervento e di aiuto definite dalla prima Conferenza di consenso, 2007. Esse vedono coinvolti
i genitori, gli insegnanti, lo psicologo dell’apprendimento, il pedagogista.
In generale la suddivisione più funzionale dei programmi orientati ai DSA comprende due tipologie di
intervento:
1. potenziamento delle abilità: progetti che favoriscono lo sviluppo di capacità chiave per
l’apprendimento scolastico ed al consolidamento di abilità linguistiche correlate.
2. intervento sulla funzione specifica: si attiva quando il soggetto evidenzia un profilo coerente con un
DSA, centrata sulla funzione deficitaria e prevede un trattamento per quella specifica funzione.
 RESPONSIVENESS TO INTERVENTION (RTI)
Intervento nato per l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento, proposto per la prima volta
nel 1982 da un gruppo di ricercatori americani, venne ripreso da Fuchs nel 95 per l’individuazione precoce
dei bimbi a rischio di DSA.
L’assunto centrale è che l’RTI sia in grado di differenziare tra le due possibili condizioni che giustificano
risultati scolastici insufficienti: scarso livello di istruzione e disabilità.
Per identificare precocemente, le scuole dovrebbero considerare 6 dimensioni procedurali:
1. Definire il livello di intervento da utilizzare.
2. Identificare gli studenti che dovrebbero beneficiare dell’intervento preventivo
3. Stabilire la natura dell’intervento
4. Classificare la risposta

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5. Procedere a una valutazione multidisciplinare prima di adottare misure di educazione speciale
6. Progettare l’intervento di educazione speciale.

Lettura e scrittura
Per imparare a leggere e a scrivere un bambino deve assimilare 4 concetti che riguardano l’unità
fondamentale del sistema della lingua scritta:
 Quanti elementi fonetici ci sono di una parola
 Quali sono gli elementi della parola
 Come questi elementi sono disposti
 Come questi elementi sono rappresentati
I processi di consapevolezza fonologica, acquisiti in modo sequenziale, si strutturano secondo livelli
gerarchici di competenza:
 Livello della parola: indica la capacità del bambino di distinguere singole parole all’interno della
frase.
 Livello della struttura delle sillabe: indica la capacità del bambino di riconoscere le rime, il suono
iniziale e finale della parola.
 Livello del riconoscimento di tutti i singoli fonemi della parola.
Per il riconoscimento delle lettere dell’alfabeto e per l’acquisizione della scrittura:
 iniziare con lo stampatello maiuscolo.
 Presentare un solo grafema per volta
 Presentare un solo carattere per volta
 Associare materiale figurato per il riconoscimento dei grafemi
 Proporre facilitazioni visive che inglobano il carattere
 Associare suono e grafema.
Perché gli aspetti ergonomici siano garantiti è necessario strutturare anche l’ambiente circostante:
1. Il piano di lavoro utilizzato per scrivere dovrebbe avere un’inclinazione di circa 20°. Tale
accorgimento prevede una visione più funzionale del foglio oltre che una maggior possibilità di
movimento dell’avambraccio. Aumenta la stabilità della prensione della penna e porta a un
miglioramento generale della postura.
2. L’assetto posturale di colui che scrive osserva la regola 90-90-90 relativa agli angoli di flessione della
articolazioni dell’arto inferiore, con i piedi ben appoggiati a terra e leggermente divaricati. Inoltre
dovrebbe garantire una distanza occhio-foglio di circa 30 cm. Anche la mano che non scrive ha la
funzione di stabilizzare il foglio per evitare che si muova.
3. Il foglio va posizionato direttamente di fronte al tronco, leggermente spostato verso la mano
dominante e ruotato di pochi gradi, in senso antiorario per i destrimani, e i senso orario per i
mancini.
Per garantire una corretta analisi e facilitare il percorso di intervento gli obiettivi sono divisi in 5 aree
principali:
1. Obiettivi orientati al controllo e alla coordinazione motoria
2. Obiettivi relativi alle componenti visuospaziali della scrittura
3. Obiettivi riguardanti l’apprendimento di movimenti scrittori funzionali
4. Obiettivi connessi all’efficienza motoria
5. Obiettivi riguardanti l’integrazione tra componenti motorie e linguistiche della scrittura.
NB) bisogna considerare anche le componenti emotive che spesso si rivelano associate alla scrittura.

Nelle prime fasi di apprendimento è bene osservare i seguenti elementi:


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 Aspetti ergonomici della scrittura:
 Impugnatura e pressione
 Postura
 Organizzazione dello spazio: al fine di creare un adeguato orientamento del segno sul foglio.
 Schema grafo motorio e recupero allo grafico per l’approccio delle lettere in corsivo, che vengono
raggruppate in: lettere costruite con semicerchi (m, n, i, u, v) – lettere inscritte nel cerchio (a, o, c,
e, s, z, r) – lettere che presentano estensioni inferiori, superiori o entrambe (l, b, h, d, t, p, q, g, f).

Calcolo
La letteratura scientifica indica che le competenze numeriche precoci sono malleabili, ovvero possono
essere insegnate alla maggior parte dei bambini.
La conoscenza del numero passa attraverso una serie di meccanismi che in alcuni bambini possono
evidenziare delle debolezze:
a. Meccanismi semantici, che regolano la comprensione della quantità.
b. Meccanismi lessicali, che permettono di dare un nome al numero passando dal codice del
linguaggio verbale al codice arabo.
c. Meccanismi sintattici, relativi alla grammatica interna del numero, ossia al suo valore posizionale
delle cifre.
Gli errori possono essere suddivisi in 4 categorie:
- Errori nel recupero di fatti aritmetici
- Errori nel mantenimento e nel recupero delle procedure.
- Errori nell’applicazione delle procedure.
- Difficoltà visuospaziali.
 Sono utili i giochi numerici che rivestono una duplice funzione: strumenti di riabilitazione –
strumenti per favorire l’apprendimento matematico nell’intera classe.
Essi si trovano ad esempi nel programma Intelligenza numerica, Lucangeli, 2003 che coniuga al suo
interno esercizi mirati al recupero delle abilità numeriche e del calcolo.
Il progetto si articola in 4 volumi che coprono il percorso di sviluppo dell’intelligenza numerica dalla
scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado.
La scuola gioca un ruolo fondamentale nella prima individuazione e sensibilizzazione circa le difficoltà di
apprendimento.
- Come riconoscere precocemente un alunno con possibile DSA?
Ricorrere all’osservazione delle prestazioni nei vari ambiti di apprendimento e valutare una serie di indici:
Confusione tra parole che hanno una pronuncia simile.
Difficoltà di espressione.
Difficoltà a identificare le lettere
Difficoltà a identificare i suoni associati alle lettere.
Difficoltà nella memoria a breve termine e di lavoro.
- Come procedere se si rilevano delle difficoltà nell’acquisizione delle strumentalità di base?
Predisporre attività di recupero e potenziamento. Poi consigliare la famiglia di rivolgersi ad uno specialista.
- Quali sono i periodi scolastici più opportuni per proporre uno screening?
Prima fase dell’anno scolastico, nel mese di novembre per le attività di recupero.
- Che cosa succede dopo l’individuazione?
Progettare percorsi comuni e prevedere un’adeguata modalità di comunicazione tra scuola e famiglia.
- Come stabilire un adeguato carico di lavoro per l’alunno con DSA?

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Riduzione del carico di lavoro.
Indicazioni di esecuzione il più possibile chiare.
Uso di fotocopie ingrandite.
Uso di strumenti di compenso.
Forme diverse di svolgimento.
- Quanto tempo dovrebbe dedicare allo studio un DSA?
Per uno studio efficace la mente deve essere sufficientemente riposata.
Un’ora di lavoro per la scuola primaria – due ore per la scuola secondaria di primo grado che va a scuola
solo al mattino .
È necessario che il ragazzo e gli insegnanti condividano una serie di buone prassi:
prendere appunti tramite parole chiave – chiedere spiegazioni – raccogliere suggerimenti su metodi e
strumenti – costruire schemi di apprendimento – comunicare le difficoltà.
- Come approcciarsi ai genitori?
Instaurare un clima di collaborazione e condividere:
modalità di svolgimento dei compiti – eventuali misure dispensative – strumenti compensativi –
informazioni sulle verifiche e sui risultati ottenuti – obiettivi a medio e lungo termine.

- Come aiutare il proprio figlio?


Costituire una presenza sicura e costante ma non invadente – evitare di sostituirsi al proprio figlio – limitare
gli interventi di tipo correttivo – abituare il bimbo a chiedere aiuto quando in difficoltà – costruire con il
bimbo un piano condiviso per affrontare momenti critici – promuovere l’utilizzo di strumenti compensativi.

Cap. 5 – I disturbi del comportamento


Si fa particolare riferimento al Disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ADHD e al Disturbo oppositivo
provocatorio, DOP.
Il DSM-5, 2014, ha inserito il primo all’interno dei Disturbi neuro-evolutivi (tra cui ci sono anche i Disturbi
del linguaggio, il Disturbo dello spettro autistico, la disabilità intellettiva,…) e il secondo nella sezione dei
disturbi dei Disturbi dirompenti del comportamento (Disordine della condotta, discontrollo dell’impulso,…).
NB) Spesso si associano ad altri disturbi e rappresentano un campanello d’allarme anche di diverse
condizioni psicopatologhe.
Le ricerche attribuiscono la CAUSA DELL’ADHD per l’80% a fattori endogeni (predisposizione) e almeno il
20% a fattori esogeni (contesti socio familiari poco organizzati, esperienze precoci di separazione,
inserimento in orfanatrofi,…).
Il disturbo può interessare più membri della stessa famiglia.
Il DOP è caratterizzato da ricorrenti comportamenti negativistici, da rifiuto e da ostilità nei confronti di
figure dotate di autorità. I bambini esibiscono spesso collera, ira, sfida, accuse verso gli altri per i propri
errori.
NB) La COMORBILITA’ dell’ADHD con il Disturbo della condotta e con il DOP è stimata fra il 20% e il 30%.
CARATTERISTICHE CLINICHE E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
Le caratteristiche che interferiscono con il funzionamento adattivo e con lo sviluppo della persona sono 3:
- Persistente disattenzione
- Impulsività
- Iperattività
 Elevata disorganizzazione nel comportamento del bambino e una incapacità di svolgere le funzioni
proprie dell’età.
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 Se si aggiungono anche temperamento difficile, ridotta inibizione, rifiuto dello sforzo, irritabilità
diffusa, il quadro clinico diviene ancora più delicato e compromesso.
 Si possono aggiungere anche: scarso rimorso, scarso senso di colpa, freddezza, assenza di empatia.
NB) se questi problemi acquisiscono una modalità persistente e ripetitiva, aggressiva, gravi violazioni di
regole, furti, il FUNZIONAMENTO SOCIALE, SCOLASTICO E LAVORATIVO è assolutamente compromesso.

DISTURBI DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITA’


Douglas, 1988, fu uno dei primi ricercatori in questo settore, evidenziò un deficit nel meccanismo di
autoregolazione, che si comporrebbe di 3 distinte componenti:
1. Organizzazione dell’informazione: non sa pianificare l’azione o auto correggersi.
2. Mobilitazione dell’attenzione per elaborare l’informazione.
3. Inibizione di risposte a stimoli irrilevanti o a rinforzi inappropriati.
Barkley, 1990-97 ha evidenziato nella 3^ componente il principale fattore responsabile che innescherebbe
altri deficit a cascata e le difficoltà di autoregolazione motoria.
Cornoldi riprende il modello nel 1996 e sviluppa uno specifico training di intervento psicoeducativo, con un
chiaro approccio di tipo meta cognitivo: imparare ad organizzare il comportamento del bimbo in fasi.
 Il termine AUTOREGOLAZIONE indica non solo la possibilità di un soggetto di regolare il proprio
comportamento in relazione al contesto, ma anche la fine regolazione delle reazioni fisiologiche in
relazione allo stimolo.
Kirby e Grimley nel 1989 ipotizzano la difficoltà a utilizzare efficacemente il proprio pensiero per
regolare la concentrazione e mantenere l’impegno durante il compito o la soluzione di un problema.
L’autoregolazione si svilupperebbe solo tramite l’interiorizzazione dei segnali e dei comandi linguistici
altrui.

Altri studi sottolineano che i soggetti presentino una eccessiva sensibilità ai rinforzi, che si
esprimerebbe soprattutto nella difficoltà ad attendere una gratificazione: l’attesa sarebbe per loro un
momento molto sgradevole e l’impulsività sarebbe la naturale conseguenza per ridurre la soggettiva
percezione da parte del bimbo del tempo di attesa per dover fornire una determinata risposta al
contesto.
 Il termine FUNZIONI ESECUTIVE indica quei processi psicologici che interessano le capacità auto
regolative, di pianificazione e organizzazione del comportamento, la flessibilità di pensiero e di
azione in caso di errore, ed il riuscire ad inibire risposte non rilevanti al contesto d’azione.
DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO E DISTURBO DELLA CONDOTTA
Gli studi si sono maggiormente concentrati sulle traiettorie evolutive dei sintomi e sui fattori di rischio.
 La presenza di comportamenti antisociali durante l’infanzia è uno dei più significativi predittori di
analoghi comportamenti in età adulta.
 Gli adulti antisociali sono quelli che sin da piccoli hanno manifestato un DOP, seguito da un esordio
precoce del Disturbo della condotta, successivamente stabilizzato nel tempo.
Patterson, nel 1982, propone una teoria di tipo interattiva-familiare, come responsabile dei comportamenti
oppositivi, aggressivi del bambino: il genitore esprime un ordine coercitivo, il figlio rifiuta di obbedire, il
genitore insiste con minacce e punizioni, entrambi reagiscono mostrando l’irritazione e l’oppositività. A
questo punto il genitore rinuncia alla sua richiesta di ottenere l’esecuzione della richiesta iniziale,
rinforzando, inconsapevolmente, il comportamento problematico del figlio.
NB) Anche la relazione genitore-figlio caratterizzata da basso livello di monitoraggio e scarsa disciplina
potrebbe causare problemi.

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INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Per l’insegnante, il compito di contenimento comportamentale e la gestione delle attività di apprendimento
dell’alunno sono particolarmente gravosi.
Anche in famiglia questi comportamenti portano a alterazioni nella modalità di relazione dei membri della
famiglia, tali da determinare un mal funzionamento e una famiglia definita “disfunzionale”, quando sono
presenti nell’atteggiamento e/o nel comportamento dei genitori alcune di queste caratteristiche:
- Rinforzi negativi di comportamenti inappropriati (uso prevalente del rimprovero e della
punizione).
- Pochi rinforzi positivi di comportamenti appropriati
- Disciplina inefficace
- Scarso monitoraggio di come si comporta il figlio
- Difficoltà di comunicazione (a volte tra i genitori, spesso tra genitori e figli)
- Attribuzioni disfunzionali di auto biasimo (“Siamo sfortunati…”), di sfiducia nel cambiamento.

 Costruire un clima di collaborazione.


Comportamento Che cosa fare a scuola Che cosa fare a casa
Difficoltà a restare seduto per la durata Prevedere dei cambiamenti di situazione Raggiungere l’obiettivo di rimanere a
della lezione. a discrezione dell’insegnante. tavola fino al completamento del pasto.
L’alunno tiene la testa spesso girata verso Richiamare l’alunno ricercandone il Cercare il contatto visivo ogniqualvolta si
i compagni durante la spiegazione contatto oculare quando la spiegazione è formula una richiesta o si pone una
dell’insegnante. importante per il proseguo dell’attività. domanda.
Assenza della pianificazione delle attività Scrivere alla lavagna la sequenza delle Pianificare le attività del pomeriggio con
necessarie allo svolgimento del compito e attività da svolgere. indicazione dei tempi di esecuzione.
della stima del tempo richiesto dal
compito da svolgere.
Disturbo o provocazioni nei confronti dei Organizzare routine stabili di lavoro; Ignorare in modo pianificato la
compagni o dell’insegnante. utilizzo del coping modeling (insegnante provocazione verbale; utilizzo del time
indica all’alunno come ci si dovrebbe out in situazioni gravi.
esprime rivolgendosi alla classe).
Compiti non eseguiti in modo corretto o Assegnare i compiti e controllarne la Verificare la quantità di lavoro da svolgere
completo. trascrizione; oppure, individuare un e definire tempi di esecuzione;
tutore che ne verifichi la trascrizione; introduzione della token economy, cioè a
utilizzo del diario online della scuola. “gettoni” consegnati al manifestarsi di un
comportamento corretto stabilito, ma
anche tolti se il soggetto non esegue
quanto richiesto.
Corredo scolastico incompleto. Stabilire in modo routinario il controllo Verificare assieme, alla sera, la
dei compiti e del materiale necessario alla preparazione della cartella.
lezione.

Quali sono le conoscenze che dovrebbero essere utili all’insegnante per sviluppare un atteggiamento
educativo corretto?
- I disturbi del comportamento considerati hanno una matrice neurobiologica; per questo ogni
azione educativa può aiutare lo sviluppo, può essere utile a contenere l’espressione dei
sintomi, ma il disturbo non può guarire, ma solo attenuarsi nell’espressione dei sintomi.
- La severità dei sintomi si esprime in modo diverso a seconda della capacità dell’ambiente nel
contenerli (contesto flessibile).
- I problemi non sono il risultato di una mancanza di abilità, ma un problema consistente di
attenzione sostenuta, di gestione dello sforzo mentale, di motivazione, di inibizione
dell’impulso ad agire, specialmente quando le conseguenze sono ritardate, debole o assenti.
Quali sono le problematiche dello studente ADHD o con problemi di comportamento esternalizzanti?

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- Difficoltà/incapacità di adottare comportamenti di compiacenza e presenza di interventi poco
opportuni che allontanano la possibilità di instaurare relazioni sociali soddisfacenti.
- Difficoltà/incapacità di posticipare una gratificazione.
- Difficoltà/incapacità di controllo dell’attività motoria e verbale.
- Difficoltà/incapacità di adottare comportamenti secondo norme socialmente approvate, senza
bisogno di un supervisore esterno.
- Difficoltà/fallimenti in compiti che richiedono un adeguato livello di attenzione e
coinvolgimento attivo.
- Difficoltà/incapacità di condividere il raggiungimento di un risultato sia quando richiesto di
applicarsi individualmente sia all’interno di un gruppo.
- Difficoltà/incapacità di sviluppare interessi specifici socialmente condivisi
- Difficoltà/incapacità di condividere reazioni emotive positive.
- Debole concentrazione nel tempo
- Assente o parziale pianificazione delle attività e incapacità di risolvere situazioni problematiche.
- Impulsività così da determinare un discreto disordine nel lavoro e nella cura del proprio
materiale.
- Incapacità di identificare l’errore commesso ed eliminarlo durante l’esecuzione del compito.
- Dimenticanze frequenti
- Esecuzione delle consegne non coerente alle richieste.
 Nel tempo questi effetti producono altri effetti secondari di tipo psicologico.
NB) si possono stilare dei veri e proprio “contratti”, a partire dalla terza elementare:

Io sottoscritto (nome dello studente)……………………………………………………… mi impegno a mantenere questi accordi presi con i miei insegnanti:
a) Chiedere di andare in bagno solo una volta all’ora.
b) Stare seduto per almeno 20 minuti.
Per ogni giorno in cui riuscirò a rispettare questi due comportamenti, potrò scegliere un premio tra:
a) 15 minuti di gioco al pc, da effettuare durante l’ultima ora di lezione.
b) Possibilità di fare un disegno libero negli ultimi 15 minuti di lezione.
Firma dello studente…………………………………………… Firma di un insegnante…………………………………………….

 Lo scopo di questa procedura è favorire la valutazione e la registrazione da parte dell’alunno del


proprio comportamento = AUTOMONITORAGGIO.
 AUTORINFORZO = all’inizio con rinforzi verbali o segni concreti di approvazione (gettoni).
Successivamente si procede ad una valutazione separata per i comportamenti e le prestazioni
scolastiche.
 MONITORAGGIO TRA PARI = favorire il controllo reciproco del loro comportamento da parte degli
alunni e nel rinforzare le condotte positive. Deve prevedere alcune operazioni: definire il
comportamento adeguato e quello inappropriato – insegnare agli alunni a individuare e distinguere
i due comportamenti – incoraggiare gli alunni a rilevare i comportamenti positivi dei compagni –
gratificare le condotte appropriate.
 TUTORING : ci sono varie modalità, come ad esempio l’assegnazione a una coppia di alunni di due
ruoli: l’allievo che riceve l’insegnamento e quello che invece lo fornisce (tutor). I ruoli assegnati
vanno cambiati più volte all’interno della stessa attività.
 ADATTAMENTO DEI COMPITI = ad esempio, suddivisione del compito in più parti, con scadenze
esecutive diverse e maggiori istruzioni rispetto alle consegne.

Cap. 6 – I disturbi ansiosi

22
La diagnosi di questi problemi è difficile perché in primo luogo bisogna definire i confini tra processi affettivi
e cognitivi, normali e non, e individuare il punto limite lungo la dimensione, che va dal normale al
patologico.
Ci sono inoltre altre due condizioni problematiche:
- Il bambino è in continuo cambiamento (la manifestazione di un comportamento può essere
normale in un’età, ma patologica in un’altra).
- Il bambino è sempre legato ad un gruppo di adulti di riferimento.
 Il clinico sarà molto cauto nel definire una vera e propria patologia individuale, che riguardano il
suo malfunzionamento personale, o patologia afferibile all’ambiente.
NB) Bisogna tener presente che i fattori cognitivi possono avere nell’ambito dei disturbi emotivi e
relazionali diverso ruolo.
 Bisogna distinguere tra DEFICIT COGNITIVI ( assenza o inadeguatezza di processi cognitivi funzionali
che dovrebbero venir usati per far fronte a situazioni difficili) e DISTORSIONE COGNITIVA (presenza
di processi cognitivi, che subiscono l’interferenza di modi di pensare illogici o disfunzionali che
distorgono l’interpretazione della realtà).

Rapporto tra meccanismi cognitivi e alcuni disturbi dell’età evolutiva:


1- Disturbi internalizzanti
- Processi cognitivi  distorsione cognitiva
ANSIA E DEPRESSIONE
- Aspetti comportamentali  ipercontrollo

2- Disturbi esternalizzanti
- Processi cognitivi  deficit cognitivo
AGGRESSIVITA’ ADHD
- Aspetti comportamentali  ipocontrollo

Somiglianze e differenze tra ansia e paura:


SOMIGLIANZE DIFFERENZE
Attesa di pericolo o disagio. - ANSIA:
Apprensione, tensione. Fonte della minaccia elusiva.
Arousal elevato. Nesso tra ansia e minaccia incerto.
Stato emotivo negativo. Prolungata.
Disagio. Disagio pervasivo.
Orientamento verso il futuro. Può essere senza oggetto.
Presenza di sensazioni corporee. Esordio incerto.
Persistente.
Termine incerto.
Mancano limiti chiari.
La minaccia è raramente imminente.
Aumento della vigilanza.
Sconcertante.
- PAURA:
oggetto non specifico.
Nesso tra paura e minaccia comprensibile.
Solitamente episodica.
Tensione circoscritta.
Minaccia identificabile.
Presenti segnali di minaccia.
Diminuisce con l’allontanarsi della minaccia.
Termine identificabile.
Minaccia circoscritta.
Minaccia imminente.
Carattere di emergenza.
Razionale.

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Principali manifestazioni cliniche dell’ansia:
SINTOMI FISICI SINTOMI COMPORTAMENTALI SINTOMI COGNITIVI
Aumento tensione muscoli striati. Condotte di evitamento. Difficoltà a concentrarsi.
Tremore muscolare. Inibizione. Problemi di memoria.
Aumento sudorazione. Timidezza. Preoccupazioni.
Diminuzione salivazione. Tendenza al ritiro. Difficoltà di rievocazione.
Aumento frequenza cardiaca. Frequente richiesta di rassicurazione. Pensieri anticipatori negativi (di solito
Aumento pressione sanguigna. Tendenza a porre molte domande. irrealistici o esagerati).
Diminuzione temperatura alle estremità. Eloquio veloce. Interpretazioni distorte della realtà.
Variazione acidità di stomaco. Verbosità. Esagerazioni sull’importanza di certi eventi.
Aumento della tensione della muscolatura Irrequietezza. Tendenza a catastrofizzare l’importanze di
facciale. Impulsività. eventi anche minimi.
Difficoltà a carico del sonno. Paura di perdere il controllo/impazzire.
Timore di fallire.
Difficoltà generali nelle prestazioni.

NB) in età evolutiva possiamo avere esperienze di ansia e paure “normali”, “tipiche dello stadio evolutivo”:
si pensi ad esempio alla comparsa tra i 6 e i 12 mesi del timore per l’estraneo e alla difficoltà a separarsi
dalla figura di attaccamento (care giver) che costituiscono risposte ad alto valore adattivo, in quanto
indicano la capacità del piccolo di distinguere tra estranei e persone amate. Oppure il timore per i temporali
tra i 2 e i 4 anni.
 Tali stati tendenzialmente sono transitori e non comportano compromissioni per il successivo
sviluppo affettivo, cognitivo e sociale.

Classificazione nel DSM-5


Nel 1944 identifica 3 categorie:
- Disturbo d’ansia da separazione
- Disturbo d’ansia generalizzato
- Disturbo da evitamento in fobia sociale
NB) L’ICD-10 utilizzato nelle strutture sanitarie pubbliche italiane ed europee prevede categorie simili e del
tutto sovrapponibili per adulti e ragazzi.
L’ultimo modello, il DSM-5, ha cercato di dare maggior peso all’età evolutiva, connotando i disturbi d’ansia
in sequenza secondo l’età tipica all’esordio.

Principale disturbi ansiosi secondo il DSM-5


DISTURBO SINTOMI CHIAVE ESORDIO E DURATA
Disturbo d’ansia da separazione Il bimbo prova un’ansia eccessiva nelle Considerare accuratamente ai fini della
situazioni che lo portano a separarsi dalle diagnosi, il periodo di sviluppo attraversato
persone alle quali è particolarmente legato dal bimbo (fino ai 24 mesi è tipico).
(solitamente i genitori) e l’ansia il più delle Paura ansia ed evitamenti persistenti per
volte si manifesta attraverso preoccupazioni almeno 4 settimane in bimbi e adolescenti,
irrealistiche circa quello che potrebbe per più di 6 mesi negli adulti.
accadere loro.
Mutismo selettivo Disturbo acquisito della comunicazione L’esordio è in genere prima dei 5 anni e può
interpersonale (apparato fonatorio sano) per durare mesi o anni, oppure cronicizzarsi, nelle
cui il bambino non produce verbalizzazione, forme con più grave fobia sociale.
né spontanea né su richiesta, in uno o in più Durata di almeno 1 mese; non si presenta
ambienti dove normalmente avviene un solo in ambito scolastico.
scambio comunicativo verbale.
Il 90% delle forme di mutismo selettivo sono
associate a fobia sociale, e probabilmente ne
sono una modalità di espressione clinica.
Fobia specifica Disturbo caratterizzato da un’eccessiva, L’età media di insorgenza è tra i 7 e gli 11
irrazionale e persistente paura nei confronti anni.
di particolari oggetti, animali o situazioni, che Per più di 6 mesi.
interferisce con il normale funzionamento. Non è necessario che il bimbo e i maggiori di
Da non confondere con le paure evolutive 18 anni riferiscano la paura come
tipiche dei bimbi e accertarsi che non sia irragionevole.

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secondaria a un trauma.
Nei bimbi la paura o l’ansia possono
esprimersi con pianto, scoppi di collera,
immobilizzazione o aggrappa mento.
Disturbo d’ansia sociale o fobia sociale Paura marcata, persistente e irrazionale che L’età media di insorgenza è tra gli 8 e i 15
riguarda le situazioni sociali o prestazionali anni.
nelle quali il bimbo può essere esposto al Per più di 6 mesi.
giudizio altrui (non solo adulti, ma anche Non è necessario che il bambino e i maggiori
coetanei). di 18 anni riferiscano la paura come
Il bimbo deve aver capacità di relazioni sociali irrazionale.
adeguate con persone familiari, e l’ansia deve
presentarsi con adulti, ma anche con
coetanei.
L’ansia attivata da situazioni sociali può
manifestarsi solo con pianto, agitazione, fuga,

Specie in adolescenza assume una
connotazione marcatamente invalidante, in
quanto chi soffre di tale disturbo, in presenza
di stimoli di natura interpersonale, teme di
essere messo in imbarazzo, di essere umiliato
o di essere valutato negativamente e tende a
mettere in atto comportamenti di evitamento
o di fuga dalle situazioni sociali.
Nei bimbi possono manifestarsi pianti, scoppi
di collera, immobilizzazione o aggrappa
mento.

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disturbo di panico Ripetuti attacchi di panico, episodi di ansia L’età media di insorgenza è tra gli 8 e i 15
estrema, solitamente di breve durata (tra i 20 anni.
e 30 min) in cui ci si sente sopraffatti da Almeno 1 mese di paura/preoccupazioni in
terrificanti sensazioni mentali e fisiche che particolare riferite all’avere un altro attacco e
vanno ad incrementare l’ansia (paura di le conseguenze relative, è presente un
morire, di impazzire, di perdere il controllo). significativo cambiamento disadattivo relativo
6-10 anni: improvvisa e acuta tensione o ai comportamenti legati agli evita menti.
paura, poi terrore e pianto, agitazione
motoria e fuga; palpitazioni, difficoltà di
respiro, nausea, sudorazione, senso di
svenimento; molto spesso forme
oligosintomatiche o incomplete, talora
notturne. Attribuzioni esterne.
10-12 anni: dolori toracici, rossore, tremore,
mal di testa, vertigini. Iniziali sintomi cognitivi
(paura di morire).
Adolescenza: più frequenti sintomi cognitivi,
paura di morire, poi paura di diventare matto
o perdere il controllo, più tardi de
realizzazione o depersonalizzazione.
Attribuzioni endogene.

Agorafobia L’individuo prova paure o evita certe La media è generalmente di 17 anni, anche se
situazioni al pensiero che potrebbe essere si colloca più facilmente verso i 35.
difficile fuggire o potrebbe non essere La paura, l’ansia o l’evitamento sono
disponibile aiuto in caso di sintomi tipo persistenti, di solito della durata di 6 mesi o
panico o altri sintomi invalidanti o più.
imbarazzanti (paura di cadere degli anziani,
paura di incontinenza).
Disturbo d’ansia generalizzato Consiste in un gruppo di sintomi d’ansia e Disturbo che tenderebbe a manifestarsi più
preoccupazione che si verificano in assenza di tardivamente degli altri.
stimoli evocanti specifici: ansia eccessiva e Per la maggior parte dei giorni per almeno 6
preoccupazione irrealistica non legata a dati mesi.
di realtà né a specifiche situazioni o stimoli Nei bambini è richiesto solo uno dei 6 sintomi
ambientali. associati: irrequietezza, facile affaticabilità,
Nei bambini/ragazzi tende a manifestarsi difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria,
soprattutto con paure di prestazione, relative irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del
alla scuola, eventi catastrofici, guerre,… sonno.
Tendono a presentarsi come bimbi
perfezionisti, molto insicuri, in cerca di
perenne rassicurazione dall’adulto (Va bene
così? Maestra è giusto?).

PROCESSI BIOLOGICI IMPLICATI NEL DISTURBO


La trattazione delle problematiche in età evolutiva deve tener conto che si tratta di individui in pieno
sviluppo, alle prese con situazioni estremamente dinamiche.
La letteratura nell’analisi dei processi psicologici chiama in causa in particolare la definizione degli “scopi” e
di come questi governino il nostro comportamento.
 La differenza saliente tra chi soffre di ansia patologica e chi la sperimenta solo in misura “adeguata”
sta nel fatto che gli individui ansiosi non sarebbero impegnati a perseguire una polarità positiva
dello scopo ma a evitarne con certezza quella negativa (Lorenzini, Capo, Stratta – 2006).
ES) Se il nostro bimbo che teme di fare brutta figura comincia a sottrarsi a quelle situazioni di confronto o
che possono metterlo nella condizione di essere giudicato male come una partita di pallone o
un’interrogazione in classe, non imparerà che quell’evento, come le emozioni e i pensieri connessi, possono
essere tollerabili, o anche innocui.
 Gli errori cognitivi (bias) maggiormente chiamati in causa ricordiamo:

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- Attenzione esagerata verso stimoli innocui, ma connessi a possibili minacce, che determina uno
stato di IPERVIGILANZA (bias attentivo).
- Tendenza a recuperare selettivamente dalla memoria informazioni che confermerebbero i
peggiori timori (bias mnestico).
- La necessità di un minor numero di informazioni per catalogare un evento come negativo (bias
di percezione e minaccia)
- Propensione a interpretare come potenzialmente minacciose situazioni ambigue (bias
interpretativo).
- Anxiety sensitivity: particolare attitudine cognitiva di alcuni soggetti rispetto alla paura dei
sintomi ansiosi stessi, per credenze circa la loro pericolosità delle loro conseguenze dal punto di
vista psicologico, sociale e fisiologico. Molto diffusa (16% della popolazione generale)
- Ragionamento emozionale: gli individui tendono a inferire il possibile stato di minaccia e
pericolo in considerazione del proprio stato emotivo negativo.
POSSIBILI CAUSE
Non è possibile individuare un’unica causa, ma riferirsi piuttosto a una MULTIFATTORIALITA’ che implica
fattori neurobiologici, sociali, temperamentali e relazionali.
- Vulnerabilità biologica: si tende a chiamare in causa la presenza di genitori con disagio
psicologico e il temperamento con cui si nasce, in particolare quello inibito/molto reattivo.
- Lo stile di PARENTING (comportamenti messi in atto da un genitore nei confronti del figlio): gli
studi empirici sembrano rilevare un’associazione tra ansia durante l’infanzia e uno stile di
parenting che comporta la critica, il rifiuto, la mancanza di calore e di accettazione verso il
bimbo. Inoltre le scarse possibilità esplorative offerte dai genitori e quindi la poca esperienza
fatta contribuiscono a immaginare sé stessi come deboli e con scarse possibilità di fronteggia
mento.
- Anche l’ipercoinvolgimento emotivo dei genitori può impedire al bimbo di svolgere attività
adeguate all’età e di sperimentarsi in situazioni nuove e potenzialmente stressanti, ostacolando
lo sviluppo di nuove strategie di COPING, attraverso il tradizionale metodo di “prove ed errori”.
Il bimbo non raggiunge la sensazione di controllo sulle situazioni temute.
- Contesto di CARE-GIVING caratterizzato da un certa instabilità e imprevedibilità: i ragazzi con
genitori separati o divorziati e con bassa scolarizzazione presenterebbero maggiori problemi
psicologici degli altri (Frigerio, 2009).
EPIDEMIOLOGIA
I disturbi di ansia sembrano essere diagnosticati con maggior frequenza nei bimbi in età scolastica.
- Disturbi d’ansia da separazione, fra il 3 e il 5% con un picco tra i 7 e i 9 anni, in età
adolescenziale scenderebbe al 2,4%.
- Disturbo d’ansia generalizzato l’esordio si situa tra i 10-11 anni.
- Il 15-36% dei bimbi soffre di un quadro compatibile con una fobia specifica: buio, scuola, cani,
altri animali, altezza, insetti, ascensori, posti chiusi, nuoto, aghi, tubi, imbalsamazione.
NB) Le bambine sembrano essere più vulnerabili dei loro coetanei nello sperimentare delle paure intense e
i bambini sotto i 13 anni più vulnerabili rispetto ai bambini più grandi.
- Circa il 3% dei bimbi in età scolare e degli adolescenti presenta un quadro compatibile con la
fobia sociale, percentuale che tende a cresce con l’età, come nel caso di altri disturbi. È più
diffusa a partire dagli 11 anni. Non ci sono differenze di genere nella fascia dei preadolescenti,
ma nell’adolescenza la percentuale di femmine si stima maggiore, 5%, contro solo il 2,7% dei
maschi.

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Non c’è accordo tra le ricerche che studiano la prevalenza rispetto al genere. I sintomi, in ogni caso, non
sono diversi tra maschi e femmine, sono invece diverse le manifestazioni in base all’età: mentre i bimbi più
piccoli, fino agli 8 anni d’età, riportano molti incubi notturni, la loro frequenza decresce con l’età, mentre i
sintomi fisici che sono presenti solo nella metà dei bimbi più piccoli, caratterizzano sostanzialmente tutti gli
adolescenti.

Recentemente in Italia è stata condotta la prima ricerca epidemiologica multicentrica che ha indagato la
prevalenza dei disturbi psichici tra i preadolescenti di età compresa tra i 10 e i 14 anni che vivono in zone
urbane. La ricerca è stata realizzata contemporaneamente in 7 città italiane (Lecco, Milano, Roma, Rimini,
Pisa, Cagliari, Conegliano) e distinta in due fasi: una fase di screening ottenuta attraverso la
somministrazione di un’apposita check-list ai genitori dei soggetti selezionati, e una seconda fase di
valutazione clinica, svolta su un sottogruppo del campione, scelto in base ai risultati ottenuti nella prima
fase di screening.

INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Coinvolgere i genitori nell’intervento con i bimbi, promuovendo nuovi modi di pensare e di gestire i sintomi
ansiosi dei figli, al fine di rimuovere alcune variabili di mantenimento e aumentare gli effetti della terapia.
Programmi di intervento maggiormente sottoposti a ricerca:
- Coping cat program for anxious children (Kendall, 1994)
Uno dei più conosciuti protocolli di trattamento per il disturbo d’ansia generalizzato, inserito anche in
diversi RCT. Rivolto ai bambini tra i 7 e i 13 anni. Per gli adolescenti esiste il Cat Project.
L’intervento dei genitori è abbastanza limitato. Sono inserite tecniche di ristrutturazione cognitiva e ampio
spazio ad attività/consigli per i familiari.
- Programma FOCUS (Barrett, Healy-Farrell, March, 2004)
Per il disturbo ossessivo-compulsivo in età evolutiva: ha analizzato una serie di trattamenti con diversi
setting (individuale, di gruppo, con o senza genitori). Tutti presentano i principi base dell’Esposizione con
prevenzione della risposta (ERP).
Il modulo prevede l’inclusione dei genitori che vengono coinvolti in 14 incontri di gruppo.
- Programma FRIENDS (Barrett, Turner, 2001)
Per il disturbo d’ansia (generalizzato, da separazione, ansia sociale). Coinvolge i genitori.
I principi sono:
 Aiutare bambini e ragazzi a pensare al proprio corpo come un amico che li avverte di quando si
sentono ansiosi e nervosi attraverso dei segnali.
 Essere generosi con se stessi, soprattutto quando in difficoltà.
 Stimolare le relazioni e le amicizie per aumentare la rete di supporto sociale.
 Parlare agli amici quando in situazioni di difficoltà o preoccupati.
 Dopo questo trattamento, il 69% del campione non presenta più sintomatologia compatibile al
disturbo.
SEZIONE SCUOLA-FAMIGLIA
Genitori e docenti si trovano spesso nella situazione di dover determinare se l’ansia del figlio/alunno è
eccessiva rispetto all’età o se andrà incontro ad una normalizzazione successiva.
Ecco una serie di domande per capire la natura dei sintomi ansiosi:

QUESITI Sì No
È l’ansia tipica di un bimbo di questa età?
È l’ansia che ci potremmo aspettare in situazioni specifiche o è più pervasiva?

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Il problema è presente da tempo o è più recente?
Vi sono ripercussioni negative a livello personale, sociale e accademico?

Tra le caratteristiche identificabili da parte di un insegnante si possono rilevare:


- Eccessive assenze e rifiuto della scuola
- Ansia o paura di determinate attività, in particolare se connesse a valutazione.
- Difficoltà di organizzazione.
- Difficoltà di iniziare o completare un’attività.
- Incapacità di pensare e di agire, in quanto un elevato livello di ansia può “paralizzare”.
- Agitazione e irrequietezza motoria o al contrario profonda inibizione.
- Impressione di inibizione all’apprendimento (difficoltà a ritenere e/o richiamare il materiale.
- Facile irritabilità e richiesta continua di rassicurazione.
- Difficoltà a partecipare pienamente alle attività curricolari a causa della fatica.
Seguono alcune indicazioni da condividere con gli insegnanti in caso di un alunno con sintomi di natura
ansiosa.
1. Comprendere il problema: lavorare in modo sinergico, condurre un’analisi funzionale per
identificare i trigger/antecedenti, non individuare un bambino o richiamare l’attenzione sull’ansia di
fronte alla classe.
2. Collocazione in aula: valutare la possibilità di far scegliere il posto dove sedersi, evitare posti
accanto a compagni troppo turbolenti
3. Attività e tempi: identificare le attività ad alto rischio, strutturare i tempi, fornire orientamenti
espliciti per incarichi, identificare eventuali modifiche alla routine in anticipo, negoziare la
partecipazione in classe, ridurre il carico a casa, inserire per tutti film o letture di libri che trattino il
problema dell’ansia o delle paure.
4. Lodi e rinforzi
5. Verifiche e interrogazioni con supporti, evitare domande aperte troppo ampie
6. Relazioni interpersonali: favorire le relazioni e la presenza di compagni soprattutto nei momenti di
tempo non strutturati, controllare il linguaggio dei compagni, favorire attività di cooperative
learning e peer tutoring.
7. In caso di assenze: permettergli, per qualche tempo, di frequentare la scuola per qualche ora in
meno, gli darà modo di affrontare le paure gradualmente, individuare due compagni che al suo
ritorno lo possano aggiornare.
LINEE GUIDA PER L’INTERVENTO CON I GENITORI
Sessione I: spiegare il programma FRIENDS, normalizzare lo stato di ansia, introdurre lo step “Ti senti in
ansia? Rilassati e cerca di sentirti bene”. È una fase di psicoeducazione sulle componenti fisiologiche e
cognitive dell’ansia, per imparare a riconoscerla.
Sessione II: analizzare i pensieri e problem solving. Sono previste attività di ROLE PLAY a coppia, nelle quali i
genitori usano ipotetiche domande per elicitare i pensieri disfunzionali e generare pensieri alternativi.
Sessione III: introdurre lo step “Ottimo lavoro, impara a gratificarti!”, insegnare ai genitori i principi base
per incoraggiare e rinforzare i comportamenti desiderabili.
Sessione IV: introdurre lo step “Non dimenticare la pratica” e “Stai calmo!”, promuovere abilità familiari,
integrare le abilità precedentemente imparate, descrivere alcune strategie per mantenere i risultati. I

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genitori individuano alcune cose positive che accadono nella propria famiglia, formulando idee su come
trascorrere un tempo di qualità e costruire reti sociali.

Per genitori particolarmente apprensivi, con caratteristiche simili a quelle del proprio bimbo, si consiglia in
particolare di sintonizzarsi su una sorta di “dialogo interno” e porsi le seguenti domande:
- La situazione è realmente pericolosa come la immagino?
- Quanto è probabile che si realizzi lo scenario che più temo? E se anche succedesse, sarebbe
davvero irreparabile?
- Lo stato d’animo provato è funzionale al raggiungimento degli obiettivi?
- Quali sono i vantaggi nel superare le paure?

Cap. 7 – i disturbi dello spettro autistico


Il SISTEMA NAZIONALE per le linee guida dell’Istituto superiore di sanità, SNLG, nel 2011 ha pubblicato il
primo documento sul Trattato dei Disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti.
 Produrre informazioni utili a indirizzare le decisioni di tutti gli operatori che operano con soggetti
autistici, trasferendo sul piano della pratica quanto studiato fin ora.
 Nel 1983, Micheli ha cercato di introdurre in Italia un modello di lavoro integrato, finalizzato
all’insegnamento dell’intersoggettività e del gioco.
È un disturbo dello sviluppo, su base neurobiologica, che si manifesta con gravi compromissioni
nell’interazione sociale, nella comunicazione, nelle attività e interessi che risultano limitati, rigidi e
stereotipati.
Il DSM-5 lo definisce come disordine neuro evolutivo, che colpisce un bimbo ogni 160 e si manifesta
all’interno di uno “spettro” a ombrello che accoglie forme diverse del problema: da bambini definiti alto
funzionanti a bambini definiti basso funzionanti.
- È una disabilità persistente: può permanere a lungo, ma anche in alcune forme lievi per un
periodo di tempo, per poi regredire.
- Accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale.
- Le caratteristiche del deficit sociale e comunicativo possono assumere una diversa espressività
nel tempo.
Pur all’interno di un’ampia gamma di differenze individuali, si riconoscono profili cognitivi ricorrenti:
- Buona capacità di memoria visiva e spaziale
- Propensione a percepire i dettagli rispetto al contesto generale (sia nell’attenzione visiva, sia
nel linguaggio).
Esistono diverse teorie che forniscono una possibile spiegazione psicologica dell’autismo:
a. TEORIA DELLA MENTE
Elaborata alla fine degli anni ’80, da Frith = “incapacità di rendersi conto del pensiero altrui”.
 Manifestazione di una disfunzione cognitiva che determinerebbe una sorta di cecità verso le
intenzioni comunicative e renderebbe difficile la produzione di frasi coerenti al contesto.
 Ciò sarebbe frutto di processi predisposti su base biologica.
La teoria della mente si svilupperebbe intorno ai 12-13 mesi e attraverso la comparsa di due precursori:
 La capacità di rappresentazione condivisa.
 La capacità di comunicazione intenzionale.
Queste funzioni risultano deficitarie nei bimbi autistici, come lo sono anche altre funzioni più evolute:
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 Attuare e comprendere giochi di finzione.
 Riconoscere false credenze.

RAPPRESENTAZIONE UTILIZZATA PER LO STUDIO DELLA TEORIA DELLA MENTE, Wimmer e Perner, 1983.

 La maggior parte dei bimbi sotto i 4 anni risponde indicando l’attuale posizione della palle (la
scatola), ignari del fatto che Sally crede che la palla si trovi ancora nel cestino.
 Gli psicologi hanno concluso che prima dei 4 anni i bambini non sono in grado di attribuire
credenze, mentre, nella fase successiva di crescita, inizierebbero a sviluppare una conoscenza del
comportamento altrui come determinato da stati mentali, anche se non in grado di parlarne
esplicitamente.

b. TEORIA DELLA DEBOLEZZA E DELLA COERENZA CENTRALE


Si intende la tendenza a elaborare le informazioni mettendo insieme i dati in base a un significato di livello
superiore: ad esempio un oggetto in relazione alla sua funzione, una parte come appartenente a un insieme
più ampio.
 Le persone autistiche mostrano un’elaborazione focalizzata sul dettaglio.
 Le percezioni degli stimoli visivi, uditivi, linguistici, così come l’azione, sono frammentate e senza
significato perché manca una sufficiente capacità di integrare le parti in un tutto coerente.
NB) La coerenza centrale prevede prestazioni relativamente buone qualora l’attenzione all’informazione è
rivolta al dettaglio (attenzione locale vantaggiosa), ma una scarsa prestazione nei compiti che richiedono il
riconoscimento del significato globale o l’integrazione degli stimoli nel contesto.
Problemi determinati da ciò:
- A livello verbale-semantico: indifferente per autistici ricordare parole con o senza senso, non si
aiutano con l’aggregazione di parole con significato simile per migliorare il ricordo, ma ogni
stimolo viene elaborato singolarmente.
- A livello costruttivo-visuospaziale: esplicito durante la prova “Disegno con cubi” della scala
Wechsler. Essi analizzano il disegno nei termini dei pezzi costituenti e non valutando la figura
nel suo insieme.
 Hanno abilità eccellenti: Heaton, Hermelin e Pring nel 1998 hanno dimostrato che i bambini con
autismo senza competenze musicali sono significativamente più bravi dei soggetti di controllo
nell’apprendere i nomi delle singole note, oppure nel riprodurre un pezzo musicale.

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c. TEORIA DEL DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE
Esse prevedono processi di pianificazione, inibizione di risposte prevalenti, flessibilità, ricerca organizzata,
controllo e coordinazione del funzionamento del sistema cognitivo.
I loro sviluppo si protrae almeno fino alla pubertà e si acquisisce attraverso 3 stadi:
a) 0-6 anni: i bambini raggiungono livelli di prestazione degli adulti nei compiti che richiedono ricerca
visiva e pianificazione semplice.
b) 7-11 anni: raggiungono abilità simili a quelle degli adulti per compiti di pianificazione più
complessa.
c) Dalla pubertà in poi: raggiungono livelli adulti in compiti che richiedono la capacità di verifica di
ipotesi e di controllo dell’impulsività e la flessibilità in caso di errori.
 Il deficit esecutivo è stato messo in luce attraverso il compito “A – nonB”, di Piaget:
un oggetto interessante viene ripetutamente nascosto sotto un panno A e ai bimbi viene chiesto di
cercarlo. Dopo aver consolidato la risposta corretta, l’oggetto viene nascosto sotto il panno B.
 Compito particolarmente efficace per esaminare bambini piccoli e rileva un deficit precoce nello
sviluppo delle funzioni esecutive negli autistici.
 Alcuni studiosi hanno proposto 8 compiti diversi per valutare le funzione esecutive di 18 bambini
autistici in età prescolare : questi bambini non hanno evidenziato alcuna differenza con il gruppo di
controllo in nessuno dei compiti esecutivi.
Differenze significative sono state individuate nelle capacità sociali e nelle attività spontanee di
attenzione condivisa.
Da ciò emerge che nell’autismo il deficit delle funzioni esecutive emerge con l’età e non è presente in età
prescolare.

d. TEORIA DEI NEURONI A SPECCHIO E DELLA SIMULAZIONE MENTALE


I bimbi autistici non riuscirebbero ad entrare in relazione con gli altri perché nel loro sistema nervoso è
alterato il funzionamento dei cosiddetti “neuroni specchio”, ossia specifici circuiti neuronali che
permetterebbero di osservare e di capire le azioni delle persone vicine.
NB) Per la prima volta sono stati identificati nelle scimmie studiate da Rizzolati, docente di neurosciene
all’Università di Parma: sono situati nella corteccia cerebrale a livello frontale e parietale.
 Sono alla base della capacità umana di comprendere e riprodurre le azioni altrui, perché
riproducono nel cervello azioni osservate.
 Studiando il comportamento di un bambino di 9 mesi: egli avrà interesse per le cose osservate dagli
adulti che lo circondano, attraverso l’orientamento dello sguardo.
Questa capacità di rivolgere l’attenzione verso un oggetto ritenuto saliente è resa possibile da un
meccanismo di simulazione.
Qualche mese più tardi ciò permetterà al bambino di attirare l’attenzione di un adulto su un
oggetto da lui ritenuto significativo (ATTENZIONE DICHIARATIVA).

e. TEORIA DELL’INTERSOGGETTIVITA’: LE ABILITA’ DI RELAZIONE SOCIALE


Xaiz e Micheli nel 2000 identificano come tratti comuni delle persone autistiche le seguenti difficoltà:
- Assenza delle funzioni utili alla comunicazione acquisite spontaneamente dai bimbi.
 È il contesto che si dovrebbe adeguare alle esigenze della persona con autismo, dal momento che
quest’ultima non è in grado di sviluppare le funzioni comunicative come la condivisione di
esperienze o la stessa affiliazione.
- Difficoltà nell’acquisizione dell’attenzione congiunta: ciò determinerebbe limiti importanti nello
sviluppo delle abilità sociali.
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- La non acquisizione dei meccanismi di base della comunicazione.
Da qui l’intervento psicoeducativo:
- Integrare informazioni percettive per arrivare a una visione organizzata della realtà, riconoscere
un valore simbolico agli oggetti e alle azioni.
- Integrare a livelli diversi gli stimoli esterni
- Comprendere gli stati emotivi propri e altrui
- Conoscere le regole della comunicazione
- Sviluppare abilità sociali
- Pianificare e organizzare delle azioni da compiere per raggiungere uno scopo.
- Effettuare analisi coerenti e integrate delle informazioni.

INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
3 sono le domande relative agli interventi cui le linee guida dell’SNLG, 2011 hanno cercato di dare una
risposta sulla base di studi scientifici:
1. Quali interventi non farmacologici/dietetici si sono dimostrati efficaci nel migliorare gli esiti in bambini
e adolescenti con Disturbi dello spettro autistico?
2. Il tempo di somministrazione, la durata e l’intensità degli interventi non farmacologici/dietetici sono in
grado di influenzare gli esiti in bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico?
3. Esistono prove che uno specifico intervento non farmacologico/dietetico sia più appropriato per
bambini e adolescenti con specifiche tipologie di Disturbi dello spettro autistico o specifiche
comobidità?
Gli aiuti che il SNLG ha preso in esame sono:
- Interventi mediati dai genitori
- Supporto per le abilità comunicative
- Interventi per la comunicazione sociale e l’interazione
- Programmi educativi
- Interventi comportamentali e psicologici strutturati (auditory integration training,
musicoterapia, comunicazione facilitata).
 Un programma particolare è il TEACCH, Treatment and Education of Autistic and Related
Communication Handicapped.
Messo a punto da Schopler, 1994, prevede la definizione di un programma educativo individualizzato,
in collaborazione con famiglia e scuola.
 Comprensione delle caratteristiche dell’autismo dall’osservazione del bimbo.
 Collaborazione genitori-operatori.
 Favorire la capacità di adattamento del bimbo sia tramite l’insegnamento di nuove abilità che
mediante l’adattamento dell’ambiente ai suoi deficit.
 Valutazione per il trattamento individualizzato.
 Utilizzo dell’insegnamento strutturato.
 Riferimento prioritario alla teoria cognitivo-comportamentale.
 Potenziamento delle abilità e l’accettazione dei deficit.
 Approccio olistico
 Garanzia di un servizio fornito per tutta la vita strutturato nei vari ambiti della comunità.
I dati riportati dal SNLG sostengono miglioramenti nell’OUTCOME:
- Abilità motorie – performance cognitive – funzionamento sociale.
Non sono confermati miglioramenti nelle abilità imitative.

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Un altro metodo è l’ABI, Applied Behabiour Intervention, utilizzato dalle 20 alle 40 ore settimanali, in età
precoce, mediato dai genitori con supporto di professionisti: gli studi sostengono una sua efficacia nel
migliorare le abilità intellettive (QI), il linguaggio e i comportamenti adattivi nei bimbi con disturbo autistico.

NB) una possibile seconda fase dell’intervento psicoeducativo prevede l’inserimento del bimbo autistico, a
partire circa di 5 anni, nel Centro autismo, in modalità di piccolo gruppo (4,5 bimbi) e forma intensiva (9 ore
a settimana): qui vengono adottati metodi di intervento specifici allo scopo di aiutare ogni bimbi nel suo
cammino verso l’acquisizione di una maggior autonomia, ma anche di stimolare la comunicazione e la
relazione con la realtà circostante, comprese le relazioni sociali, e favorire in questo modo l’autocontrollo
del proprio comportamento.

SEZIONE SCUOLA FAMIGLIA


È indubbio che il numero di ore che l’alunno con autismo trascorre a scuola è tale da non poter escludere la
rilevanza sul piano di un buon intervento psicoeducativo.
Gli obiettivo a medio termine che la scuola si deve porre sono:
- Potenziare il grado di autonomia scolastica (COME?)
- Favorire l’integrazione all’interno della classe e l’instaurarsi di relazioni positive con i compagni
(ma non viene cercato dai compagni nei momenti di gioco?)
- Migliorare l’abilità di comprensione del testo (come?)
- Migliorare la lettura, le abilità di scrittura (perché?)

Cap. 8 – LA DISABILITA’ INTELLETTIVA


Non è facile dare una definizione della DI, un tempo liquidata come “ritardo mentale” dall’ICD-10 nel 1992:
condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle
abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza,
cioè quelle cognitive linguistiche, motorie e sociali.
 Il DSM-5 prevede nuovi criteri per la definizione dell’espressione del disturbo, più consoni a
evidenziare le diverse forme della disabilità: il termine RITARDO ha assunto nel tempo connotazioni
negative e stigmatizzanti
Ma cos’è l’intelligenza?
Le teorizzazioni hanno provato a definire e a comprendere la natura dell’intelligenza e hanno seguito due
correnti di pensiero.
- Teorie unitarie: evidenziano un fattore generale, trasversale e presente in ogni abilità
intellettuale.
- Teorie multiple: enfatizzano varie forme di intelligenza primaria.
Ad oggi si definisce intelligenza la capacità mentale generale, che include il ragionamento, la pianificazione,
il problem solving, il pensiero astratto, la comprensione di idee complesse, l’apprendimento rapido, la
capacità di apprendere dall’esperienza.

Stenberg, 1987-2000, distingue tra:


 TEORIE COGNITIVE: dette anche teorie dell’elaborazione dell’informazione, perseguono l’obiettivo
di individuare e indagare i processi mentali che contribuiscono all’esecuzione di un compito
cognitivo. Vengono analizzati i processi che la mente compie per raccogliere informazioni dal
proprio ambiente, attraverso una serie di variabili, come la velocità di scelta.
 TEORIE DIFFERENZIALI: individua le capacità intrinseche, i fattori specifici dell’intelligenza, isolabili
tramite la tecnica dell’analisi fattoriale.
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Negli ultimi decenni sono state formulate nuove ipotesi sui meccanismi cognitivi dell’intelligenza: il
cognitivismo moderno si orienta verso l’idea secondo la quale una serie di principi strutturali sottostanno ai
meccanismi coinvolti nelle diverse abilità.

Confronto tra DSM – IV DSM – 5


DSM IV DSM-5
Funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media: Deficit delle funzioni intellettive, come il ragionamento, la soluzione di
un QI di circa 70 o inferiore ottenuto con un test di QI somministrato problemi, la pianificazione, il pensiero astratto, il giudizio,
individualemente. l’apprendimento scolastico, l’apprendimento dall’esperienza,
confermato sia da valutazione clinica che da prove d’intelligenza
individualizzate e standardizzate.
Concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento adattivo Deficit del funzionamento adattivo che si manifesta con il mancato
attuale (cioè, la capacità del soggetto di adeguarsi agli standard propri raggiungimento degli standard di sviluppo e socioculturali per
della sua età o del suo ambiente culturale) in almeno due delle l’indipendenza personale e la responsabilità sociale.
seguenti aree: comunicazione, cura della propria persona, vita in Senza supporto continuativo i deficit adattiva limitano il
famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della funzionamento in una o più attività della vita quotidiana, quali la
comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, comunicazione, la partecipazione sociale e la vita indipendente, in più
lavoro, tempo libero, salute e sicurezza. ambiti diversi, come la casa, la scuola, il lavoro e la comunità.
Esordio prima dei 18 anni di età. Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi nell’età evolutiva.

 Nel confronto tra le due descrizioni riportate, emerge che nella nuova visione non è così rilevante la
misurazione del livello intellettivo, ma la diagnosi è ricavata da un insieme di segni e sintomi
riconducibili a particolari difficoltà nel funzionamento adattivo.
 Ma cosa si intende con “funzionamento adattivo”?
È un insieme di abilità:
 Concettuali: linguaggio espressivo e recettivo – lettura, scrittura, calcolo – autonomia
decisionale.
 Sociali: rispetto delle regole – responsabilità – abilità interpersonali.
 Pratiche: gestione del denaro – igiene personale – spostamenti, mobilità.

NB) I limiti del comportamento adattivo coabitano con i punti di forza, non solo nelle capacità adattive, ma
anche in altre capacità, garantendo, grazie ad un supporto adeguato, il miglioramento del funzionamento
vitale della persona.
 Il mancato riferimento al QI mette l’accento sul fatto che l’interpretazione del valore del
funzionamento intellettivo risente di una serie di variabili e può essere influenzato dalle differenze
culturali, dalla presenza di patologie e dallo stato mentale.
Livelli di gravità secondo il DSM-5
Disturbi per livelli di gravità Caratteristiche
LIEVE Questi individui fin da bambini presentano una lentezza nell’apprendimento e rimangono indietro rispetto ai
compagni di classe, seppur crescendo possono raggiungere le competenze di un livello scolastico di sesto grado
(In Italia, primo anno della scuola secondaria di primo grado, N.d.c.). nell’età matura, tali difficoltà di problem
solving e di giudizio possono costringerli a richiedere aiuto nella gestione della vita quotidiana – e anche le loro
relazioni interpersonali possono risentirne. Generalmente hanno bisogno di aiuto in alcuni compiti come il
pagamento delle bollette, la spesa e la scelta di un alloggio appropriato. Molti riescono comunque a lavorare in
maniera indipendente, anche se il loro lavoro richiede poca attività cognitiva. Questi pazienti presentano
difficoltà nella comprensione delle metafore e del pensiero astratto, anche se le abilità di memoria e di
linguaggio sono buone. Il livello di QI è generalmente compreso tra 50 e 70. Rappresentano l’85% di tutti i
pazienti con DI.
MODERATA Fin dalla prima infanzia, questi individui presentano differenze significative e globali rispetto ai coetanei. Lo
sviluppo del linguaggio è lento e semplice, anche se possono imparare a leggere, a svolgere i semplici esercizi di
matematica e gestire il denaro. Fin dalle prime fasi di vita hanno bisogno di maggior aiuto nella cura personale e
nelle attività casalinghe rispetto ai soggetti lievemente affetti. Possono avere relazioni interpersonali (anche
amorose), ma spesso non riconoscono gli elementi chiave che governano le normali relazioni interpersonali.
Possono essere in grado di svolgere anche attività lavorative non impegnative, come lavori protetti (con la
supervisione di colleghi), anche se hanno bisogno di assistenza nelle decisioni. Il QI è compreso tra 30 e 50.
Rappresentano il 10% dei pazienti con DI.
GRAVE Anche se queste persone possono imparare semplici comandi e istruzioni, le abilità comunicative sono
elementari (parole singole, alcune frasi). Potrebbero essere in grado di svolgere piccoli lavori, sotto supervisione.

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Possono mantenere relazioni interpersonali con i parenti, ma richiedono una supervisione per tutte le attività.
Hanno persino bisogno di aiuto per vestirsi e nell’igiene personale. Il QI è compreso tra 20 e 30. Costituiscono il
5% di tutti i pazienti con DI.
ESTREMA Il linguaggio è limitato e sono presenti abilità elementari di interazione sociale. Questi individui comunicano
principalmente attraverso gesti. Sono completamente dipendenti dalle altre persone per quanto riguarda i loro
bisogni, comprese attività della vita quotidiana, seppur possono a volte essere di aiuto nelle piccole attività
quotidiane. La DI estrema generalmente è correlata a un disturbo neurologico, spesso associata a disabilità
sensitive o motorie. Il QI è inferiore a 20. Costituiscono circa l’1-2% di tutti i pazienti con DI.
Caratteristiche della disabilità intellettiva
Concretezza/irreversibilità Difficoltà a sganciarsi, in termini piagetiani, dalla fase delle operazioni concrete, rimanendo spesso ancorato a
del pensiero uno stadio preoperatorio. La funzione simbolica, ossia la capacità di evocare mentalmente oggetti o situazioni
che non sono fisicamente presenti, e la capacità di agire non solo tramite azioni corporee, ma anche attraverso
azioni mentali che manipolano immagini mentali, è spesso deficitaria o solo parzialmente acquisita.
Rigidità Incapacità di cambiare il proprio orientamento al compito al variare delle situazioni e del contesto. Difficile
estendere una conoscenza già acquisita a situazioni diverse da quella di partenza, conoscenza che resterebbe
bloccata alle condizioni formali cui si è svolto il primo apprendimento.
Pianificazione/ problem Difficoltà nel programmare, anticipando la realizzazione, una sequenza ordinata di azioni che porta a una meta
solving/ attività definita. Complessità eccessiva a ideare o individuare nuove risposte o soluzioni, senza perseverare nella
immaginative strategia inefficace.
Esperienza percettiva Lenta e imprecisa, caratterizzata dall’incapacità a integrare e collegare le diverse parti di una configurazione in
un’unità struttura rata, cogliendo i rapporti tra le parti e il tutto.
Capacità Difficoltà da pdv attentivo, nella capacità di selezionare solo alcuni tra i molti stimoli offerti dall’ambiente ed
attentiva/concentrazione elaborare più stimoli contemporaneamente o i vari aspetti di una situazione stimolo complessa. Faticoso inibire
stimoli irrilevanti. Limitata la quantità di tempo nel mantenere a un buon livello di intensità lo sforzo attentivo.
Memoria Difficoltà nella capacità di organizzare il materiale da ricordare (ad es. in categorie organizzate gerarchicamente
in cui quelle più generali includono quelle più specifiche) sia nella fase di immagazzinamento sia nel momento
del recupero (rievocazione).
Abilità comunicative – Le abilità di comprensione e produzione verbale si evolvono in ritardo. Presente povertà lessicale, difficoltà a
linguistiche livello pragmatico, semplicità nella struttura sintattica.
Apprendimenti scolastici La capacità di applicare in autonomia le nozioni apprese alle situazioni che lo richiedono non è adeguata. Nei
profili meno compromessi si arriva tendenzialmente a imparare a leggere, scrivere e a fare semplici calcoli.
Abilità metacognitive Difficoltà nel guidare attivamente e consapevolmente i propri processi cognitivi.

Sviluppo sociale
I bimbi fin dalla nascita sono orientati all’interazione con altri esseri umani. Nella costruzione delle prime
relazioni è necessario il supporto di un adulto o di un soggetto più grande che sia in grado di dare un senso
ai gesti dell’infante, oltre a fornire un’impalcatura che regoli e aumenti gli scambi, anche se il neonato è già
dotato di strutture cognitive.
 Sono presenti anche una serie di predisposizioni e preferenze, un repertorio emozionale, che
proiettano il bambino nell’ambiente fisico e sociale come organismo attivo.
 Nelle situazioni in cui queste abilità risultano non integre, il presupposto per un adeguato sviluppo
del soggetto appare compromesso.
Le persone affette da DI evidenziano già dai primi anni di vita scarse o inadeguate interazioni e una minore
partecipazione alle attività di gruppo.
- In età prescolare: difficoltà a entrare in gruppi già preformati, a utilizzare modelli
comportamentali adeguati in situazioni di conflitto, a partecipare ai giochi che richiedono
interazione col gruppo. Sono impulsivi, iperattivi, poco tolleranti alla frustrazione.
- Scuola primaria: difficoltà nel rapporto con gli insegnanti, fragilità nelle relazioni tra pari.
- Fase adolescenziale: acuirsi di queste caratteristiche, portando a una ulteriore diminuzione
delle esperienze dei soggetti. Passività, eccessiva dipendenza dall’ambiente, suggestionabilità
da parte degli altri.
 Alle volte il disagio e i continui insuccessi portano all’insorgenza di disturbi affettivi che si
manifestano tramite umore depresso, irritabilità, disturbi d’ansia, attacchi di panico,
comportamenti auto o etero aggressivi.
 Viene evidenziato da vari autori il legame tra COMPETENZA – EMPATIA – ABILITA’ SOCIALI.

EZIOLOGIA ED EPIDEMOLOGIA
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Cause cromosomiche e genetiche
Cause Esempi
Alterazioni cromosomiche Sindrome di Down, Trisomia 13, Trisomia 18, X fragile
Eredità dominante/ recessiva Sclerosi tuberosa – fenilchetonuria
Eziologia multipla Macrocefalia, microcefalia, ipotiroidismo congenito.

Cause biologiche non genetiche


Rischi prenatali Rischi neonatali Rischi postnatali
Infezioni in gravidanza, assunzione materna di Sofferenza alla nascita, traumatismo Malnutrizione, traumi celebrali, infezioni,
alcool e droghe, malnutrizione materna, ostetrico, nascita prematura. intossicazioni.
irradiazioni in gravidanza

Percentuali delle cause note di disabilità intellettiva


- Embrionali: 30%
- Ambiente/disturbi mentali: 20%
- Condizioni di salute: 5%
- Perinatali: 10%
- Sconosciuta: 30%
- Genetiche: 5%
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Quello rivolto ai soggetti DI è orientato verso una particolare attenzione all’analisi funzionale e alla
riduzione dei comportamenti problema, all’incremento di abilità adattive e finalizzate all’acquisizione di
autonomia personale, sociale, lavorativa.
 Prende vita il concetto di INTEGRAZIONE DI QUALITA’ POSITIVA: se la qualità è positiva ne
beneficiano direttamente tutti quelli che hanno contribuito alla sua corruzione: tutti gli insegnanti,
tutti gli alunni, i familiari, l’organizzazione scolastica nel suo complesso. (Ianes, 2006).
 È importante una conoscenza approfondita delle caratteristiche del soggetto, grazie alla diagnosi
funzionale, ma anche ai contributi delle figure significative che ruotano attorno al bimbo.
 Si parla anche di EDUCAZIONE INCLUSIVA: presta attenzione al soggetto, allo stile comunicativo,
alle necessità che vengono comunicate e alle modalità con le quali vengono espresse tali necessità.
TECNICHE DI INTERVENTO COMPORTAMENTALE PER APPRENDERE NUOVE ABILITA’:
 Rinforzament e token economy. Esistono 5 classi di rinforzo: materiali (sostanze o oggetti
commestibili e non) – sociali (gesti di affetto, segnali di attenzione) – dinamici (esecuzione di attività
gratificanti) – informazionali (segnali che forniscono un feedback sul compito svolto).
La tecnica del token economy permette il passaggio dai rinforza tori di tipo materiale a quelli meno
concreti.

 Uso combinato del prompting e dal fading: i prompt rappresentano i suggerimenti che
accompagnano l’esecuzione di una data attività e possono essere di varia natura (verbale,
gestuale). Possono essere sottoforma di disegno o immagini. Il feding si basa sulla riduzione
graduale e progressiva degli aiuti che accompagnano l’acquisizione di una abilità.
 Supporto comportamentale positivo: il principio di base considera che i miglioramenti dello stile di
vita rappresentano lo scopo primario dell’intervento e valuta che i risultati devono essere misurati
non semplicemente in termini di livelli del comportamento problema, ma anche in termini di
relazioni sociali, produttività, opportunità, affetto e soddisfazione personale dei soggetti.
Si valutano: affettività del bimbo – attività e integrazione sociale – cooperazione – integrazione
contestuale – prestazione e completamento del compito.
LA GESTIONE DEL COMPORTAMENTO PROBLEMA
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È caratterizzato da 3 principi fondamentali:
- Proattivo: in quanto anticipa il comportamento disfunzionale.
- Positivo: perché costruisce e sviluppa comportamenti alternativi positivi.
- Sostitutivo: si sovrappone alla funzione svolta dal comportamento, ne modificherà la forma
rimpiazzandola con una positiva.
Sono possibili anche approcci meta cognitivi: le abilità indagate sono legate ad aspetti di autoregolazione
correlati con l’automonitoraggio e le autoistruzioni verbali.
 Nei profili meno compromessi è possibile puntare a forme di autoconsapevolezza non verbale dei
personali processi cognitivi/comportamentali e a forme non verbali di autoregolazione che
utilizzano soluzioni di tipo visivo.

SEZIONE SCUOLA FAMIGLIA


 FORMAZIONE: Spesso gli insegnanti, nonostante il loro accordo sul valore dell’inclusione,
riferiscono la mancanza di competenze necessarie, di supporti o di tempi di insegnamento.
 OSSERVAZIONE: Il passo successivo a un adeguato intervento di formazione è quello di imparare ad
osservare: saper osservare permette all’insegnante di effettuare una descrizione del
comportamento, usando dapprima una procedura informale e in seguito avvalendosi di griglie di
raccolta strutturate.
L’osservazione deve essere priva di giudizi di valore e di interpretazioni circa il comportamento o la persona
osservata: è una fotografia.
 DESCRIZIONE OPERAZIONALE: tratteggia in modo dettagliato e preciso quelle forme specifiche di
comportamento che creano disagio e preoccupazione.

ESEMPIO DI SCHEDA OSSERVATIVA

Soggetto: ……………………………………………….. Osservatore: …………………………………………………………….

Data: ………………………………… Intervallo di osservazione dalle ore ………………………. Alle ore ………………

Luogo ………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Comportamento ……………………………………….. Frequenza …………………………………….. Durata ………………..

NB) Quali domande potrebbe farsi l’insegnante per essere orientato alla ricerca del significato del
comportamento problema?
- Quali sembrano essere le intenzioni positive del comportamento problema?
- Che cosa sta cercando di comunicarci il soggetto con il suo comportamento?
- Di che cosa sembra aver bisogno?
- Che significato attribuiamo a questi comportamenti?
- Che cosa sembra contestualmente dare vita al comportamento?
- Che vissuto produce sugli insegnanti e sul gruppo classe questo comportamento?
- Quali risposte alternative gli insegnanti e il gruppo classe possono fornire al comportamento
indagato?
È necessario effettuare una riflessione anche sul gruppo classe in cui è inserito l’alunno: le abilità sociali
degli studenti possono favorire o intralciare l’accettazione da parte dei compagni.
 Una serie di ricerche hanno evidenziato una maggior predisposizione da parte dei ragazzi a
sviluppare relazioni di amicizia con compagni con disabilità fisica piuttosto che intellettiva.

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