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Presentazione
Il volume intende DEFINIRE cosa si intende per intervento psicoeducativo, ma anche presentare
degli esempi concreti delle diverse forme psicopatologiche (autismo, disturbi del comportamento
di tipo esternalizzato e internalizzato, disabilità intellettiva e disturbi dell’apprendimento).
Primo limite: alla presenza di una qualsiasi forma di psicopatologia si aggiungono le differenze
individuali (famiglia, scuola, relazioni coi pari, vissuti, temperamento, caratteristiche
dell’operatore,…)
Secondo limite: gli interventi p.e. sono legati all’entità del cambiamento, soprattutto nei casi di
disabilità grave, in cui non si può pensare ad un cambiamento di grossa entità.
a) L’utilizzo degli interventi p.e. si basa su un processo continuo di PROBLEM SOLVING e di
verifica di ipotesi.
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L’approccio empirico al disturbo ha come oggetto lo studio dell’interazione tra l’individuo e il suo
ambiente: questo è il metodo utilizzato dalle scienze naturali che riservano particolare attenzione
alla successione temporale degli eventi.
Questo approccio prende il nome anche di SCIENZA DEL COMPORTAMENTO che ha come scopo
quello di ricercare la relazione funzionale tra eventi.
Scienze del
comportamento
Analisi comportamentale
applicata
Clinica Svilupp
o
Tipic Atipic
o o
Educazion Educazione
e speciale
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Le FASI del metodo sono quindi:
1. Definizione delle variabili indipendenti (manipolate dall’osservatore) e dipendenti (oggetto
dell’osservazione).
2. Fase dell’osservazione della variabile dipendente, che deve essere precisa, fedele e completa.
3. Analisi funzionale del comportamento: ricerca di variabili che in termini probabilistici influenzano il
verificarsi di quel determinato comportamento.
4. Analisi dei dati raccolti: definizione della validità delle ipotesi.
5. Conferma/disconferma delle ipotesi circa la relazione da comportamento osservato e variabile
indipendente.
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BANDURA E LA MODERNA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE
Il comportamento è il risultato di un processo più generale di acquisizione delle informazioni visive e verbali
provenienti da altri soggetti = confluenza di parte del comportamentismo all’interno del cognitivismo.
c) Non è necessario che vi sia un comportamento manifesto rinforzato perché si verifichi
l’apprendimento del soggetto, ma è sufficiente l’osservazione di un modello – la conoscenza può
essere MOLARE, cioè acquista comportamenti complessi nella loro interezza senza doverli
scomporre in sottounità - è introdotto il concetto di FEEDBACK, informazione di ritorno sul
comportamento che contribuisce a modificarlo; l’errore non va evitato, ma è fonte di informazione
– viene ridotto il ruolo dell’ambiente, ma si parla di DETERMINISMO RECIPROCO in cui i fattori della
persona, il suo comportamento e il contesto ambientale dipendono l’uno dall’altro – è necessario
esaminare i processi cognitivi che sottostanno all’apprendimento osservativo.
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Livelli di interazione tra fattori biologici, cognitivi e comportamentali e dell’ambiente nella determinazione
del comportamento aggressivo/violento
g) L’influenza dei livelli è reciproca e bidirezionale: anche il livello comportamentale influisce a sua
volta su quello cognitivo e biologico. È importante quindi la ricerca delle reazioni che l’individuo
manifesta in specifici contesti o ambienti nel quale è inserito, e in presenza di fattori protettivi
(resilienza) o di vulnerabilità.
ES) presenza di sintomi psicopatologici di bimbi in età scolare adottati dopo un periodo di
postistituzionalizzazione rispetto a bimbi della stessa età non adottati: i risultati evidenziano un
livello significativamente più elevato di sintomi di disordini del comportamento, sia del tipo
esternalizzato (iperattività, oppositivo-provocatorio, condotta), sia internalizzato (disturbi d’ansia).
Intervento psicoeducativo
Step 1 : realizzazione della rete di alleanza tra operatori e famiglia
Step 2: interventi non specifici tesi a favorire l’acquisizione delle abilità previste dalla fase di sviluppo
Step 3: interventi specifici ricavati dalla conoscenza del problema
Step 4: favorire il miglior adattamento possibile al contesto in termini di autonomia, cura della propria
persona, di benessere, di apprendimento,…
Cap. 2 – La classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute: ICF e ICF-CY
Negli ultimi 30 anni la terminologia inerente alla DISABILITA’ ha subito profonde modifiche, creando un
linguaggio condiviso, utile per coinvolgere le figure professionali e per mutare il modo di concepirle.
In passato i termini come handicap, idiota, mongoloide non erano negativi, ma troppo generici e puntavano
l’attenzione sui deficit della persona.
Nel 1948 le Nazioni Unite crearono l’Organizzazione mondiale della sanità e promossero la salute “come
stato di benessere fisico, mentale, sociale e non inteso come assenza di disabilità o infermità”.
I principali sistemi di classificazione utilizzati nell’ambito della salute “fisica” e “mentale” fanno riferimento
a due importanti organizzazioni: l’OMS, che ha elaborato la Classificazione statistica internazionale delle
malattie e dei problemi sanitari correlati e l’American Psychiatric Association (APA, 1990) che ha redatto il
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM, 2014).
1980: propone l’international Classification of Impairments Disabilities and Handicaps (ICIDH) che chiarifica
la distinzione tra 3 concetti:
1. Menomazione: qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche,
fisiologiche, anatomiche. Può avere carattere permanente o transitorio e rappresenta
l’esteriorizzazione di uno stato patologico.
2. Disabilità: interpretata come riduzione parziale o totale della capacità di svolgere un’attività nei
tempi e nei modi considerati come “normali” attesi. Può essere transitoria o permanente,
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reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva. Può essere conseguenza diretta di una
menomazione o una reazione psicologica a una menomazione fisica, sensoriale o di altro tipo.
3. Handicap: condizione svantaggio risultante da un danno o da una disabilità, che limita o
impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto all’età, al sesso, ai fattori sociali e
culturali. È una condizione soggetta a cambiamenti. Esso sottolinea la discrepanza tra
l’efficienza o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienze e di stato, sia dello stesso
soggetto sia del particolare gruppo di riferimento. Riflette le conseguenze a livello culturale,
sociale, economico, ambientale.
h) La classificazione proposta continua a basarsi sul modello “medico” di disabilità, che viene quindi
considerata un problema personale, conseguenza diretta di malattie, traumi o altre condizioni di
salute che necessitano di assistenza medica/trattamento individuale.
NB) Le criticità del mdello ICIDH: manca il contesto ambientale, si basa sul modello “medico” di disabilità,
considerata come un problema personale. Inoltre i tre concetti vengono considerati in termini di relazione
di cause ed effetti.
Condizioni fisiche
(disturbo/malattia)
Fattori contestuali
Modello proposto nel 1997: l’handicap viene considerato come fenomeno sociale, inserito in uno specifico
contesto culturale e in un determinato ambiente, che esercitano delle influenze sugli individui – l’oggetto di
interesse viene spostato dalla menomazione alla salute, riferendosi alle funzioni, strutture corporee e alle
attività che causano restrizioni sociali.
La prima versione dell’ICF si connotava prevalentemente come strumento di valutazione del funzionamento
in età adulta. Tra il 2002 e il 2005 l’OMS ha aggiornato il modello e i codici in modo da renderli applicabili e
riferibili all’età evolutiva.
i) Nel 2007 viene pubblicato l’ICF-CY che copre una fascia di età tra la nascita e il 18° anno.
j) Sono stati inseriti 4 questionari per fasce di età (0-3, 4-6, 7-12, 13-18)
k) Sono stati evidenziati temi chiave:
1. Contesto familiare
2. Ritardi nello sviluppo a causa di differenze individuali.
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3. Partecipazione alle relazioni con le figure di riferimento e con i coetanei.
4. Fattori ambientali che sono cambiati all’interno di ambienti fisici e sociali
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3. Definire un progetto di intervento e modificare in itinere obiettivi e procedure senza effettuare le
dovute osservazioni.
4. Intervenire senza aver redatto un’analisi dettagliata, perché il contesto non lo permette.
5. Non riuscire a manipolare le condizioni dell’intervento come si vorrebbe perché il repertorio
comportamentale del soggetto è ridotto.
Il What Works Clearinghouse (WWC) del 2002 negli Stati Uniti fornisce delle linee guida per
definire i requisiti specifici in grado di valutare la validità interna di una ricerca, l’efficacia del
metodo utilizzato, la reazione tra intervento e cambiamento prodotto.
3 sono i criteri per ritenere che l’intervento effettuato sia valutabile nei suoi risultati:
1. L’intervento sul caso singolo rispetta gli standard più avanti specificati.
2. Rispetta gli standard con riserve.
3. Non rispetta gli standard.
OBIETTIVO: introduzione e rimozione della variabile indipendente – manipolazione continua della
variabile indipendente attraverso fasi diversi di osservazione – introduzione scaglionata della
variabile indipendente attraverso diversi momenti nel tempo.
NB) Gli studi in ambito educativo richiedono il controllo di molte variabili (luogo, la relazione con
l’operatore, il grado di accordo sulle scelte di intervento, le risorse del contesto, la letteratura
scientifica dell’argomento, le proprie convinzioni sul caso,…) . per questo motivo l’educatore deve
prendere in considerazione solo alcuni quesiti.
Gli obiettivi dovrebbero tener conto:
- del funzionamento del soggetto
- Delle richieste del contesto
- Delle attese dei genitori
- Della descrizione del profilo di funzionamento del bimbo.
NB) è comunque sempre opportuno procedere come se l’intervento si configurasse come uno studio su
caso singolo:
- Determinare se esiste una relazione causale tra l’introduzione della variabile indipendente e il
modificarsi della variabile dipendente.
- Valutare l’effetto dell’alterazione di una componente della variabile indipendente in base a una
variabile dipendente.
- Valutare gli effetti relativi di due o più variabili indipendenti.
Tuttavia ci sono degli effetti naturali dovuti al tempo: gli interventi durano dai 6 ai 9 mesi: la variabile
dipendente può modificarsi a fattori naturali di cambiamento (maturazione).
Importante è la CONDIVISIONE tra operatori e famiglia, che, però, hanno diversa formazione =
bisogna utilizzare un linguaggio condiviso.
ICF e ICDIDH-2 in Italia evidenziano 3 dimensioni (FUNZIONI – STRUTTURA DEL CORPO – ATTIVITA’)
che dovrebbero consentire la descrizione di cosa può fare una persona in relazione alle richieste
dell’ambiente o delle proprie aspettative.
Il documento, DF, redatto dall’operatore sanitario, deve essere poi condiviso anche con altri
professionisti. Esso deve contenere:
- Prognosi di sviluppo, definita sulla base del funzionamento della persona, l’interpretazione del
suo problema.
- Funzionamento cognitivo, affettivo, relazionale della persona in difficoltà sulla base delle
conoscenze disponibili.
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- Classificazione del disturbo tramite le funzioni mentali, soprattutto tramite le funzioni
psicosociali globali, che dovrebbero svilupparsi nel corso della vita e le funzioni intellettive che
indicano ciò che il bimbo sa o non sa fare in relazione al suo livello di ritardo:
Mantenimento dell’attenzione su uno stimolo esterno o su un’esperienza, l’attenzione
condivisa.
Le funzioni della memoria, per ricordare e imparare.
Le funzioni psicomotorie (motricità finalizzata agli spostamenti in autonomia, fine
motricità)
Le funzioni percettive, allo scopo di riconoscere e interpretare stimoli sensoriali
Le funzioni del linguaggio, inteso come riconoscimento e utilizzo di segni, simboli, la
pragmatica della comunicazione.
- Applicazione delle funzioni:
Esperienze sensoriali intenzionali (guardare, ascoltare).
Apprendimenti di base.
Applicazione delle conoscenze.
Compiti e richieste relativi alla routine della vita quotidiana
Comunicazione,…
- Indicazioni per operatori che si occupano dell’intervento psicoeducativo nelle seguenti aree:
AREA DELLO SVILUPPO DELLE ABILITA’ COGNITIVE: percezione dello stimolo, elaborazione verbale e/o
visuospaziale, mantenimento e/o recupero dell’informazione (memoria a breve e a lungo termine),
attenzione e linguaggio e competenze prassico-costruttive (capacità di programmazione, di controllo del
movimento e di rappresentazioni di rapporti spaziali), funzioni corporee (memoria, attenzione, percettive,
del pensiero, cognitive superiori, intellettive e della coscienza, orientamento.
AREA DELLO SVILUPPO EMOTIVO-RELAZIONALE: è a carico degli operatori definire se sussiste una
condizione psicopatologica, se è primaria o secondaria, come condiziona il funzionamento adattivo della
persona. Importante definire: 1. La capacità di adattamento alla situazione rispetto all’osservanza delle
regole e al rapporto con l’adulto e i coetanei. 2. La capacità di utilizzare le risorse ai fini dell’apprendimento
e dell’autonomia personale.
AREA DEGLI APPRENDIMENTI SCOLASTICI: stabilire se il bimbo possa essere avviato alla lettura funzionale,
oppure se sia ipotizzabile l’acquisizione di competenze fonologiche, se non ortografiche. In mate: stabilire
le abilità di calcolo, rappresentazione della situazione,..
AREA DEL LIVELLO DI FUNZIONAMENTO RAGGIUNTO E DELLE POTENZIALITA’ DI SVILUPPO: capacità di
elaborare informazioni, utilizzare strategie nella soluzione di compiti appropriati all’età, utilizzare in modo
integrato competenze diverse. Da valutare anche il grado di autonomia personale e sociale.
NB) possono sorgere difficoltà derivate dal fatto che il comportamento problema non venga inizialmente
riportato in termini descrittivi, molecolari, ma registrato da subito nel suo significato.
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L’interpretazione del comportamento problema stabilisce se il comportamento ha una funzione
OMEOSTATICA o COMUNICATIVA.
In modo da acquisire:
a) I pesi rispettivi dei vari comportamenti problema.
b) La fotografia iniziale del problema.
c) Le aree di attenzione.
3. Definire le difficoltà e cercarne le cause:
Comunicativa: ottenere attenzione/fuga ed evitamento di situazioni spiacevoli – ottenere
gratificazioni concrete (oggetti, attività).
Autoregolatoria: sensoriale (mantenuta dalla stimolazione stessa per il piacere di rifare la
stessa cosa) – omeostatica (per riequilibrare il proprio livello di attivazione a seconda della
stimolazione ambientale.
4. Scegliere le procedure/modalità per intervenire, vd. CHECKLIST DI DEMCHAK E BOSSERT (2005):
A) Il comportamento è una minaccia per l’incolumità fisica della persona?
B) “ “ “ “ di terzi?
C) Il comportamento interferisce con il processo di apprendimento della persona?
D) “ “ “ di altre persone?
E) Il comportamento danneggia o distrugge oggetti?
F) Se non si interviene ritiene che il comportamento peggiorerà?
G) Il comportamento interferisce con l’accettazione della persona? Produce stigma?
La verifica a breve termine dovrebbe avvenire al max dopo 3 mesi dall’inizio dell’intervento. La flessibilità
operativa in questo caso è il migliore strumento. A medio termine è rilevante cercare di definire le variabili
indipendenti che hanno favorito i cambiamenti. A lungo termine accertarsi di quanto gli obiettivi siano stati
acquisiti e stabilire quanto l’intervento sia stato efficace.
NB) il rinforzo è uno degli strumenti fondamentali negli interventi mirati all’aumento dei comportamenti
funzionali e adattivi, in sostituzione di quelli negativi.
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L’ingresso a scuola rappresenta lo spartiacque tra due fasi della vita: quello della scuola dell’infanzia, dove
le richieste sono legate a momenti ludici, e quello della scuola primaria, che prevede l’avviamento e
l’acquisizione di nuove competenze e un’adeguata capacità regolativa.
Di norma questo passaggio avviene naturalmente e riflette il buon funzionamento di una serie di processi
sottostanti.
Lettura e scrittura non sono attitudini naturali all’uomo, ma una sua ideazione generata da
fenomeni contestuali: la plasticità innata del nostro cervello ci ha permesso di divenire lettori,
scrittori, e non solo.
Ma cosa succede se un bimbo fatica ad avviare e a consolidare le principali abilità scolastiche?
Attualmente i DSA sono classificati nel DSM-5 tra i DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO e sono inseriti
nell’area della comunicazione e dell’apprendimento.
La ricerca psicologica sui Disturbi dell’apprendimento ha approntato una prima definizione nel
1990 con Hammill: con l’espressione LEARNING DISABILITY ci si riferiva ad un gruppo eterogeneo di
disturbi caratterizzati da rilevanti difficoltà nell’acquisizione e nell’uso delle capacità di ascolto,
espressione orale, lettura, ragionamento e calcolo, probabilmente originati da disfunzioni del
sistema nervoso centrale. Posso coesistere problemi nei comportamenti di autoregolazione, nella
percezione e nell’interazione sociale, ma non sono l’effetto di tali condizioni o influenze.
L’apprendimento è un insieme complesso di attività mentali: è un processo influenzato da una serie di
variabili che fanno riferimento alle caratteristiche individuali del soggetto che apprende e che risente delle
informazioni e degli stimoli che provengono dalla realtà esterna.
La struttura funzionale del cervello di un bimbo dispone dunque di una “base di conoscenze”
geneticamente determinata.
L’acquisizione di strumentalità complesse come quella della lettura e della scrittura fruiscono, nella
fase di avviamento, di processi controllati. Si basano sulla consapevolezza, sull’intenzionalità di
raggiungere un certo scopo: sono apprendimenti di natura seriale e richiedono un tempo maggiore
rispetto ai comportamenti automatici.
La conseguenza dell’automatizzazione garantisce che una serie di risorse cognitive, come attenzione o
memoria di lavoro, possano essere indirizzate verso apprendimenti di natura più complessa.
Nella situazione in cui un bimbo non è in grado di automatizzare la lettura (dislessia), lo sforzo
cognitivo richiesto da tale compito resterà sempre alto e aumenterà il suo livello di affaticabilità
man mano che la richiesta scolastica diventerà più gravosa e impegnativa.
NB) Il compito della lettura mira non solo alla decodifica dei grafemi, ma alla comprensione di quanto viene
letto, permettendo di guadagnare il significato di quanto letto e memorizzare le informazioni necessarie.
Gli attuali modelli interpretativi definiscono i Disturbi specifici dell’apprendimento in considerazione
dell’interazione tra aspetti genetici, che si riflettono su alcuni fattori di protezione e di rischio, che a loro
volta interagiscono con l’ambiente (2011).
In Italia la svolta è stata rappresentata da due particolari Conferenze di Consenso: nel 2006 e nel 2010.
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In più queste anomalie nei processi automatizzazione della lettura, della scrittura e del calcolo si
presentano associate tra loro (COMORBILITA’).
Una delle principali caratteristiche di questi disturbi è la SPECIFICITA’: gli aspetti che risultano
compromessi in modo significativo sono relativi a uno specifico e circoscritto dominio di abilità,
mentre restano intatti il funzionamento intellettivo generale o altre abilità connesse
all’apprendimento scolastico.
Possibile disturbo
Sì dell’apprendimento
Disturbi specifici di apprendimento secondario?
nb) Una recente indagine relativa alla tempestività dell’intervento evidenzia come un’attività di
monitoraggio a breve termine, del progresso degli apprendimenti scolastici, possa ridurre l’individuazione
di falsi positivi.
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4. Stadio ortografico/lessicale: accesso al recupero del morfema, alle regole ortografiche, alle
peculiarità che caratterizzano le parole irregolari.
Tra le varie teorie che tentano di illustrare i deficit alla base della dislessia c’è:
IL MODELLO DI LETTURA A DUE VIE:
input visivo -> analisi visiva riconoscimento delle lettere lessico visivo di input
Identificazione delle lettere conversione grafema-fonema
Sistema semantico comprensione
Lessico fonologico di output sistema articolatorio pronuncia.
- DISGRAFIA
L’analisi di un compito scritto si compone di vari aspetti:
- aspetto calligrafico
- aspetto di natura linguistica.
il disturbo di scrittura evidenzia due componenti principali: una di natura motoria (deficit nei processi di
realizzazione grafica) – una di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura).
Le abilità chiamate in gioco nell’atto della scrittura sono molteplici:
A. Ambito esecutivo finemotorio: sottende alcuni aspetti come la capacità di coordinazione
oculomanuale e il recupero dei pattern grafomotori.
B. Ambito linguistico: legato all’acquisizione di processi fonologici come l’associazione tra
fonema e grafema e di processi ortografici che implicano un recupero appropriato del
lessico, delle caratteristiche ortografiche e della sintassi.
C. Ambito cognitivo: connesso alle abilità di ideare e pianificare un testo scritto.
DEFINIZIONE DEL DISTURBO: calligrafia compromessa e poco leggibile, con imprecisioni nelle proporzioni
tra le lettere, difficoltà di posizionamento del grafema nel foglio e di relazione dei segni.
NB) Alcuni autori collegano i problemi di disgrafia con la mancanza di controllo motorio fine nell’esecuzione
dei programmi motori.
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Anche il buon funzionamento del planning motorio e dell’integrazione bilaterale è una condizione
importante ed è predittivo della leggibilità della scrittura nei bimbi con difficoltà.
FORME DI TESTO
DETTATO: la prima fase del processo dipende dalla parola udita. Se essa fa parte del repertorio
lessicale si attiva la via del lessico grafemico, che dovrebbe garantire il recupero dell’ortografia
appropriata. Davanti a parole nuove, la modalità di conversione fonografemica garantisce il
recupero dei singoli grafemi passando per il buffer fonemico. Superata questa fase si passa al buffer
grafemico: tiene attive le tracce mnestiche dei componenti della parola successivamento elaborate
dai pattern grafomotori.
COPIA: l’analisi uditiva è sostituita dall’analisi visuografemica, che, tramite l’oculomotricità,
confronta grafema con il modello presente nel buffer grafemico.
SCRITTURA SPONTANEA: supportata da una serie di abilità cognitive superiori.
PARAMETRI
L’indagine diagnostica valuta soprattutto le caratteristiche del pattern grafomotorio:
Velocità di scrittura
Leggibilità del grafema: un grafema è indecifrabile quando è talmente deformato da non essere
identificato al di fuori del contesto o della parola in cui è inserito.
Dimensionalità dei grafemi e spaziatura tra le lettere. Se lo spazio è inferiore ai 2 mm è
compromessa la leggibilità.
Direzionalità del movimento.
- DISORTOGRAFIA
Deficit nei processi di cifratura del codice ortografico: si caratterizza per una mancata automatizzazione
delle regole grammaticali e ortografiche.
la scrittura di un bambino con disortografia si rivela leggibile, tuttavia contiene un numero elevato di
imprecisioni di varia natura, da errori fonologici (omissioni di lettere, sostituzione) a quelli fonetici (doppie e
accenti) a quelli morfosintattici (punteggiatura, accenti) o ortografici (uso delle maiuscole, uso dei suoni c-q,
ecc).
ERRORI
Errori fonologici : la produzione scritta non corrisponde al relativo suono.
Errori non fonologici: errori nella rappresentazione ortografica (visiva) delle parole palesati da
fusioni/separazioni illegali, e da termini in cui vi è la corrispondenza con il suono (omofone non
omografe).
Errori fonetici : inadeguato utilizzo di doppie e di accenti.
STADI DEL DISTURBO
Stadio logografico, prime fasi di avvio della consapevolezza fonologica
Stadio alfabetico, conversione fonografemica
Stadio ortografico/lessicale, accesso al recupero del morfema, alle regole ortografiche, alle
peculiarità che caratterizzano le parole irregolari.
dimensione gerarchica: non si passa allo stadio successivo se il precedente non è assodato.
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NB) Il modello Seymour, 1985 esplicita chiaramente l’interazione tra lo sviluppo della scrittura e quello della
lettura: queste due competenze concorrono e si sorreggono a vicenda soprattutto nel passaggio dallo
stadio alfabetico a quello ortografico.
Si raccomanda di tener conto del grado di affaticabilità del bimbo quando svolge questi compiti.
- Discalculia
Butterworth, 1995-2005: è a favore di una tesi innatista che considera il bimbo dotato fin dalla nascita di un
“modulo numerico” che garantisce l’acquisizione di tutte le successive abilità di calcolo e dell’elaborazione
numerica.
Secondo il modello di Gelman e Gallistel, 1978: nello sviluppo del concetto di numero è necessario
distinguere due assunti:
Astrattezza: tutto può essere contato e non c’è un limite rispetto al tipo di elementi che possono
costituire un insieme, a patto che sia possibile individuarli.
Irrilevanza dell’ordine: si può iniziare a contare a partire da qualsiasi elemento dell’insieme.
Fuson, 1988: individua un modello di costruzione del numero nel bambino. Per lei esistono numerose
situazioni di uso delle parole-numero che assumono differenti significati a seconda del contesto in cui si
collocano.
L’integrazione dei differenti significati si attua quando il bimbo arriva a costruire la sequenza
numerica come serie: in tal modo qualsiasi numero ha un valore cardinale formato da tutte le unità
che lo precedono, compreso sé stesso.
La delineazione dell’architettura funzionale del sistema di elaborazione del numero e del calcolo appare
chiara nel modello del triplo codice di Dahaen e Cohen, 1995: essi postulano che l’elaborazione di numeri si
basi sue 3 distinti codici numerici interconnessi attraverso specifiche vie di transcodifica e distintamente
coinvolti in diversi compiti.
Dehaene ha trovato conferma nella letteratura scientifica dell’esistenza dei 3 diversi circuiti neuronali
sottostanti, desumendo che, a partire dalla localizzazione della lesione, vengono osservati 3 tipi di deficit:
1. Deficit nella rappresentazione di quantità numeriche
2. Deficit di rievocazione verbale
3. Deficit dell’attenzione visiva spaziale coinvolta nell’accesso alla linea numerica.
Il disturbo di calcolo è un disturbo neurobiologico dello sviluppo che colpisce le abilità relative
all’area numerica e del calcolo: esso può compromettere sia la funzione delle abilità numeriche
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nelle sue procedure esecutive, sia le abilità aritmetiche di base, legate alla funzione cognitiva delle
componenti di cognizione numerica.
Temple, 1992: “è un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche che si manifesta in bimbi di intelligenza
normale, che non hanno subito danni neurologici”.
Il disturbo compromette maggiormente le abilità computazionali di base di addizione, sottrazione,
moltiplicazione, piuttosto che le abilità matematiche più astratte dell’algebra, trigonometria,
geometria.
Sono stati individuati 3 profili distinti di discalculia, caraterrizzati da debolezza a carico di:
Strutturazione cognitiva delle componenti di cognizione numerica
Procedure esecutive (lettura, scrittura e incolonnamento dei numeri).
Calcolo (recupero dei fatti aritmetici e algoritmo del calcolo scritto).
Per l’individuazione dei diversi profili di discalculia viene data rilevanza all’analisi degli errori specifici
effettuati, che si esplicitano in 4 categorie:
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Indicazioni di intervento e di aiuto definite dalla prima Conferenza di consenso, 2007. Esse vedono coinvolti
i genitori, gli insegnanti, lo psicologo dell’apprendimento, il pedagogista.
In generale la suddivisione più funzionale dei programmi orientati ai DSA comprende due tipologie di
intervento:
1. potenziamento delle abilità: progetti che favoriscono lo sviluppo di capacità chiave per
l’apprendimento scolastico ed al consolidamento di abilità linguistiche correlate.
2. intervento sulla funzione specifica: si attiva quando il soggetto evidenzia un profilo coerente con un
DSA, centrata sulla funzione deficitaria e prevede un trattamento per quella specifica funzione.
RESPONSIVENESS TO INTERVENTION (RTI)
Intervento nato per l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento, proposto per la prima volta
nel 1982 da un gruppo di ricercatori americani, venne ripreso da Fuchs nel 95 per l’individuazione precoce
dei bimbi a rischio di DSA.
L’assunto centrale è che l’RTI sia in grado di differenziare tra le due possibili condizioni che giustificano
risultati scolastici insufficienti: scarso livello di istruzione e disabilità.
Per identificare precocemente, le scuole dovrebbero considerare 6 dimensioni procedurali:
1. Definire il livello di intervento da utilizzare.
2. Identificare gli studenti che dovrebbero beneficiare dell’intervento preventivo
3. Stabilire la natura dell’intervento
4. Classificare la risposta
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5. Procedere a una valutazione multidisciplinare prima di adottare misure di educazione speciale
6. Progettare l’intervento di educazione speciale.
Lettura e scrittura
Per imparare a leggere e a scrivere un bambino deve assimilare 4 concetti che riguardano l’unità
fondamentale del sistema della lingua scritta:
Quanti elementi fonetici ci sono di una parola
Quali sono gli elementi della parola
Come questi elementi sono disposti
Come questi elementi sono rappresentati
I processi di consapevolezza fonologica, acquisiti in modo sequenziale, si strutturano secondo livelli
gerarchici di competenza:
Livello della parola: indica la capacità del bambino di distinguere singole parole all’interno della
frase.
Livello della struttura delle sillabe: indica la capacità del bambino di riconoscere le rime, il suono
iniziale e finale della parola.
Livello del riconoscimento di tutti i singoli fonemi della parola.
Per il riconoscimento delle lettere dell’alfabeto e per l’acquisizione della scrittura:
iniziare con lo stampatello maiuscolo.
Presentare un solo grafema per volta
Presentare un solo carattere per volta
Associare materiale figurato per il riconoscimento dei grafemi
Proporre facilitazioni visive che inglobano il carattere
Associare suono e grafema.
Perché gli aspetti ergonomici siano garantiti è necessario strutturare anche l’ambiente circostante:
1. Il piano di lavoro utilizzato per scrivere dovrebbe avere un’inclinazione di circa 20°. Tale
accorgimento prevede una visione più funzionale del foglio oltre che una maggior possibilità di
movimento dell’avambraccio. Aumenta la stabilità della prensione della penna e porta a un
miglioramento generale della postura.
2. L’assetto posturale di colui che scrive osserva la regola 90-90-90 relativa agli angoli di flessione della
articolazioni dell’arto inferiore, con i piedi ben appoggiati a terra e leggermente divaricati. Inoltre
dovrebbe garantire una distanza occhio-foglio di circa 30 cm. Anche la mano che non scrive ha la
funzione di stabilizzare il foglio per evitare che si muova.
3. Il foglio va posizionato direttamente di fronte al tronco, leggermente spostato verso la mano
dominante e ruotato di pochi gradi, in senso antiorario per i destrimani, e i senso orario per i
mancini.
Per garantire una corretta analisi e facilitare il percorso di intervento gli obiettivi sono divisi in 5 aree
principali:
1. Obiettivi orientati al controllo e alla coordinazione motoria
2. Obiettivi relativi alle componenti visuospaziali della scrittura
3. Obiettivi riguardanti l’apprendimento di movimenti scrittori funzionali
4. Obiettivi connessi all’efficienza motoria
5. Obiettivi riguardanti l’integrazione tra componenti motorie e linguistiche della scrittura.
NB) bisogna considerare anche le componenti emotive che spesso si rivelano associate alla scrittura.
Calcolo
La letteratura scientifica indica che le competenze numeriche precoci sono malleabili, ovvero possono
essere insegnate alla maggior parte dei bambini.
La conoscenza del numero passa attraverso una serie di meccanismi che in alcuni bambini possono
evidenziare delle debolezze:
a. Meccanismi semantici, che regolano la comprensione della quantità.
b. Meccanismi lessicali, che permettono di dare un nome al numero passando dal codice del
linguaggio verbale al codice arabo.
c. Meccanismi sintattici, relativi alla grammatica interna del numero, ossia al suo valore posizionale
delle cifre.
Gli errori possono essere suddivisi in 4 categorie:
- Errori nel recupero di fatti aritmetici
- Errori nel mantenimento e nel recupero delle procedure.
- Errori nell’applicazione delle procedure.
- Difficoltà visuospaziali.
Sono utili i giochi numerici che rivestono una duplice funzione: strumenti di riabilitazione –
strumenti per favorire l’apprendimento matematico nell’intera classe.
Essi si trovano ad esempi nel programma Intelligenza numerica, Lucangeli, 2003 che coniuga al suo
interno esercizi mirati al recupero delle abilità numeriche e del calcolo.
Il progetto si articola in 4 volumi che coprono il percorso di sviluppo dell’intelligenza numerica dalla
scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado.
La scuola gioca un ruolo fondamentale nella prima individuazione e sensibilizzazione circa le difficoltà di
apprendimento.
- Come riconoscere precocemente un alunno con possibile DSA?
Ricorrere all’osservazione delle prestazioni nei vari ambiti di apprendimento e valutare una serie di indici:
Confusione tra parole che hanno una pronuncia simile.
Difficoltà di espressione.
Difficoltà a identificare le lettere
Difficoltà a identificare i suoni associati alle lettere.
Difficoltà nella memoria a breve termine e di lavoro.
- Come procedere se si rilevano delle difficoltà nell’acquisizione delle strumentalità di base?
Predisporre attività di recupero e potenziamento. Poi consigliare la famiglia di rivolgersi ad uno specialista.
- Quali sono i periodi scolastici più opportuni per proporre uno screening?
Prima fase dell’anno scolastico, nel mese di novembre per le attività di recupero.
- Che cosa succede dopo l’individuazione?
Progettare percorsi comuni e prevedere un’adeguata modalità di comunicazione tra scuola e famiglia.
- Come stabilire un adeguato carico di lavoro per l’alunno con DSA?
18
Riduzione del carico di lavoro.
Indicazioni di esecuzione il più possibile chiare.
Uso di fotocopie ingrandite.
Uso di strumenti di compenso.
Forme diverse di svolgimento.
- Quanto tempo dovrebbe dedicare allo studio un DSA?
Per uno studio efficace la mente deve essere sufficientemente riposata.
Un’ora di lavoro per la scuola primaria – due ore per la scuola secondaria di primo grado che va a scuola
solo al mattino .
È necessario che il ragazzo e gli insegnanti condividano una serie di buone prassi:
prendere appunti tramite parole chiave – chiedere spiegazioni – raccogliere suggerimenti su metodi e
strumenti – costruire schemi di apprendimento – comunicare le difficoltà.
- Come approcciarsi ai genitori?
Instaurare un clima di collaborazione e condividere:
modalità di svolgimento dei compiti – eventuali misure dispensative – strumenti compensativi –
informazioni sulle verifiche e sui risultati ottenuti – obiettivi a medio e lungo termine.
Altri studi sottolineano che i soggetti presentino una eccessiva sensibilità ai rinforzi, che si
esprimerebbe soprattutto nella difficoltà ad attendere una gratificazione: l’attesa sarebbe per loro un
momento molto sgradevole e l’impulsività sarebbe la naturale conseguenza per ridurre la soggettiva
percezione da parte del bimbo del tempo di attesa per dover fornire una determinata risposta al
contesto.
Il termine FUNZIONI ESECUTIVE indica quei processi psicologici che interessano le capacità auto
regolative, di pianificazione e organizzazione del comportamento, la flessibilità di pensiero e di
azione in caso di errore, ed il riuscire ad inibire risposte non rilevanti al contesto d’azione.
DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO E DISTURBO DELLA CONDOTTA
Gli studi si sono maggiormente concentrati sulle traiettorie evolutive dei sintomi e sui fattori di rischio.
La presenza di comportamenti antisociali durante l’infanzia è uno dei più significativi predittori di
analoghi comportamenti in età adulta.
Gli adulti antisociali sono quelli che sin da piccoli hanno manifestato un DOP, seguito da un esordio
precoce del Disturbo della condotta, successivamente stabilizzato nel tempo.
Patterson, nel 1982, propone una teoria di tipo interattiva-familiare, come responsabile dei comportamenti
oppositivi, aggressivi del bambino: il genitore esprime un ordine coercitivo, il figlio rifiuta di obbedire, il
genitore insiste con minacce e punizioni, entrambi reagiscono mostrando l’irritazione e l’oppositività. A
questo punto il genitore rinuncia alla sua richiesta di ottenere l’esecuzione della richiesta iniziale,
rinforzando, inconsapevolmente, il comportamento problematico del figlio.
NB) Anche la relazione genitore-figlio caratterizzata da basso livello di monitoraggio e scarsa disciplina
potrebbe causare problemi.
20
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Per l’insegnante, il compito di contenimento comportamentale e la gestione delle attività di apprendimento
dell’alunno sono particolarmente gravosi.
Anche in famiglia questi comportamenti portano a alterazioni nella modalità di relazione dei membri della
famiglia, tali da determinare un mal funzionamento e una famiglia definita “disfunzionale”, quando sono
presenti nell’atteggiamento e/o nel comportamento dei genitori alcune di queste caratteristiche:
- Rinforzi negativi di comportamenti inappropriati (uso prevalente del rimprovero e della
punizione).
- Pochi rinforzi positivi di comportamenti appropriati
- Disciplina inefficace
- Scarso monitoraggio di come si comporta il figlio
- Difficoltà di comunicazione (a volte tra i genitori, spesso tra genitori e figli)
- Attribuzioni disfunzionali di auto biasimo (“Siamo sfortunati…”), di sfiducia nel cambiamento.
Quali sono le conoscenze che dovrebbero essere utili all’insegnante per sviluppare un atteggiamento
educativo corretto?
- I disturbi del comportamento considerati hanno una matrice neurobiologica; per questo ogni
azione educativa può aiutare lo sviluppo, può essere utile a contenere l’espressione dei
sintomi, ma il disturbo non può guarire, ma solo attenuarsi nell’espressione dei sintomi.
- La severità dei sintomi si esprime in modo diverso a seconda della capacità dell’ambiente nel
contenerli (contesto flessibile).
- I problemi non sono il risultato di una mancanza di abilità, ma un problema consistente di
attenzione sostenuta, di gestione dello sforzo mentale, di motivazione, di inibizione
dell’impulso ad agire, specialmente quando le conseguenze sono ritardate, debole o assenti.
Quali sono le problematiche dello studente ADHD o con problemi di comportamento esternalizzanti?
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- Difficoltà/incapacità di adottare comportamenti di compiacenza e presenza di interventi poco
opportuni che allontanano la possibilità di instaurare relazioni sociali soddisfacenti.
- Difficoltà/incapacità di posticipare una gratificazione.
- Difficoltà/incapacità di controllo dell’attività motoria e verbale.
- Difficoltà/incapacità di adottare comportamenti secondo norme socialmente approvate, senza
bisogno di un supervisore esterno.
- Difficoltà/fallimenti in compiti che richiedono un adeguato livello di attenzione e
coinvolgimento attivo.
- Difficoltà/incapacità di condividere il raggiungimento di un risultato sia quando richiesto di
applicarsi individualmente sia all’interno di un gruppo.
- Difficoltà/incapacità di sviluppare interessi specifici socialmente condivisi
- Difficoltà/incapacità di condividere reazioni emotive positive.
- Debole concentrazione nel tempo
- Assente o parziale pianificazione delle attività e incapacità di risolvere situazioni problematiche.
- Impulsività così da determinare un discreto disordine nel lavoro e nella cura del proprio
materiale.
- Incapacità di identificare l’errore commesso ed eliminarlo durante l’esecuzione del compito.
- Dimenticanze frequenti
- Esecuzione delle consegne non coerente alle richieste.
Nel tempo questi effetti producono altri effetti secondari di tipo psicologico.
NB) si possono stilare dei veri e proprio “contratti”, a partire dalla terza elementare:
Io sottoscritto (nome dello studente)……………………………………………………… mi impegno a mantenere questi accordi presi con i miei insegnanti:
a) Chiedere di andare in bagno solo una volta all’ora.
b) Stare seduto per almeno 20 minuti.
Per ogni giorno in cui riuscirò a rispettare questi due comportamenti, potrò scegliere un premio tra:
a) 15 minuti di gioco al pc, da effettuare durante l’ultima ora di lezione.
b) Possibilità di fare un disegno libero negli ultimi 15 minuti di lezione.
Firma dello studente…………………………………………… Firma di un insegnante…………………………………………….
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La diagnosi di questi problemi è difficile perché in primo luogo bisogna definire i confini tra processi affettivi
e cognitivi, normali e non, e individuare il punto limite lungo la dimensione, che va dal normale al
patologico.
Ci sono inoltre altre due condizioni problematiche:
- Il bambino è in continuo cambiamento (la manifestazione di un comportamento può essere
normale in un’età, ma patologica in un’altra).
- Il bambino è sempre legato ad un gruppo di adulti di riferimento.
Il clinico sarà molto cauto nel definire una vera e propria patologia individuale, che riguardano il
suo malfunzionamento personale, o patologia afferibile all’ambiente.
NB) Bisogna tener presente che i fattori cognitivi possono avere nell’ambito dei disturbi emotivi e
relazionali diverso ruolo.
Bisogna distinguere tra DEFICIT COGNITIVI ( assenza o inadeguatezza di processi cognitivi funzionali
che dovrebbero venir usati per far fronte a situazioni difficili) e DISTORSIONE COGNITIVA (presenza
di processi cognitivi, che subiscono l’interferenza di modi di pensare illogici o disfunzionali che
distorgono l’interpretazione della realtà).
2- Disturbi esternalizzanti
- Processi cognitivi deficit cognitivo
AGGRESSIVITA’ ADHD
- Aspetti comportamentali ipocontrollo
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Principali manifestazioni cliniche dell’ansia:
SINTOMI FISICI SINTOMI COMPORTAMENTALI SINTOMI COGNITIVI
Aumento tensione muscoli striati. Condotte di evitamento. Difficoltà a concentrarsi.
Tremore muscolare. Inibizione. Problemi di memoria.
Aumento sudorazione. Timidezza. Preoccupazioni.
Diminuzione salivazione. Tendenza al ritiro. Difficoltà di rievocazione.
Aumento frequenza cardiaca. Frequente richiesta di rassicurazione. Pensieri anticipatori negativi (di solito
Aumento pressione sanguigna. Tendenza a porre molte domande. irrealistici o esagerati).
Diminuzione temperatura alle estremità. Eloquio veloce. Interpretazioni distorte della realtà.
Variazione acidità di stomaco. Verbosità. Esagerazioni sull’importanza di certi eventi.
Aumento della tensione della muscolatura Irrequietezza. Tendenza a catastrofizzare l’importanze di
facciale. Impulsività. eventi anche minimi.
Difficoltà a carico del sonno. Paura di perdere il controllo/impazzire.
Timore di fallire.
Difficoltà generali nelle prestazioni.
NB) in età evolutiva possiamo avere esperienze di ansia e paure “normali”, “tipiche dello stadio evolutivo”:
si pensi ad esempio alla comparsa tra i 6 e i 12 mesi del timore per l’estraneo e alla difficoltà a separarsi
dalla figura di attaccamento (care giver) che costituiscono risposte ad alto valore adattivo, in quanto
indicano la capacità del piccolo di distinguere tra estranei e persone amate. Oppure il timore per i temporali
tra i 2 e i 4 anni.
Tali stati tendenzialmente sono transitori e non comportano compromissioni per il successivo
sviluppo affettivo, cognitivo e sociale.
24
secondaria a un trauma.
Nei bimbi la paura o l’ansia possono
esprimersi con pianto, scoppi di collera,
immobilizzazione o aggrappa mento.
Disturbo d’ansia sociale o fobia sociale Paura marcata, persistente e irrazionale che L’età media di insorgenza è tra gli 8 e i 15
riguarda le situazioni sociali o prestazionali anni.
nelle quali il bimbo può essere esposto al Per più di 6 mesi.
giudizio altrui (non solo adulti, ma anche Non è necessario che il bambino e i maggiori
coetanei). di 18 anni riferiscano la paura come
Il bimbo deve aver capacità di relazioni sociali irrazionale.
adeguate con persone familiari, e l’ansia deve
presentarsi con adulti, ma anche con
coetanei.
L’ansia attivata da situazioni sociali può
manifestarsi solo con pianto, agitazione, fuga,
…
Specie in adolescenza assume una
connotazione marcatamente invalidante, in
quanto chi soffre di tale disturbo, in presenza
di stimoli di natura interpersonale, teme di
essere messo in imbarazzo, di essere umiliato
o di essere valutato negativamente e tende a
mettere in atto comportamenti di evitamento
o di fuga dalle situazioni sociali.
Nei bimbi possono manifestarsi pianti, scoppi
di collera, immobilizzazione o aggrappa
mento.
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disturbo di panico Ripetuti attacchi di panico, episodi di ansia L’età media di insorgenza è tra gli 8 e i 15
estrema, solitamente di breve durata (tra i 20 anni.
e 30 min) in cui ci si sente sopraffatti da Almeno 1 mese di paura/preoccupazioni in
terrificanti sensazioni mentali e fisiche che particolare riferite all’avere un altro attacco e
vanno ad incrementare l’ansia (paura di le conseguenze relative, è presente un
morire, di impazzire, di perdere il controllo). significativo cambiamento disadattivo relativo
6-10 anni: improvvisa e acuta tensione o ai comportamenti legati agli evita menti.
paura, poi terrore e pianto, agitazione
motoria e fuga; palpitazioni, difficoltà di
respiro, nausea, sudorazione, senso di
svenimento; molto spesso forme
oligosintomatiche o incomplete, talora
notturne. Attribuzioni esterne.
10-12 anni: dolori toracici, rossore, tremore,
mal di testa, vertigini. Iniziali sintomi cognitivi
(paura di morire).
Adolescenza: più frequenti sintomi cognitivi,
paura di morire, poi paura di diventare matto
o perdere il controllo, più tardi de
realizzazione o depersonalizzazione.
Attribuzioni endogene.
Agorafobia L’individuo prova paure o evita certe La media è generalmente di 17 anni, anche se
situazioni al pensiero che potrebbe essere si colloca più facilmente verso i 35.
difficile fuggire o potrebbe non essere La paura, l’ansia o l’evitamento sono
disponibile aiuto in caso di sintomi tipo persistenti, di solito della durata di 6 mesi o
panico o altri sintomi invalidanti o più.
imbarazzanti (paura di cadere degli anziani,
paura di incontinenza).
Disturbo d’ansia generalizzato Consiste in un gruppo di sintomi d’ansia e Disturbo che tenderebbe a manifestarsi più
preoccupazione che si verificano in assenza di tardivamente degli altri.
stimoli evocanti specifici: ansia eccessiva e Per la maggior parte dei giorni per almeno 6
preoccupazione irrealistica non legata a dati mesi.
di realtà né a specifiche situazioni o stimoli Nei bambini è richiesto solo uno dei 6 sintomi
ambientali. associati: irrequietezza, facile affaticabilità,
Nei bambini/ragazzi tende a manifestarsi difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria,
soprattutto con paure di prestazione, relative irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del
alla scuola, eventi catastrofici, guerre,… sonno.
Tendono a presentarsi come bimbi
perfezionisti, molto insicuri, in cerca di
perenne rassicurazione dall’adulto (Va bene
così? Maestra è giusto?).
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- Attenzione esagerata verso stimoli innocui, ma connessi a possibili minacce, che determina uno
stato di IPERVIGILANZA (bias attentivo).
- Tendenza a recuperare selettivamente dalla memoria informazioni che confermerebbero i
peggiori timori (bias mnestico).
- La necessità di un minor numero di informazioni per catalogare un evento come negativo (bias
di percezione e minaccia)
- Propensione a interpretare come potenzialmente minacciose situazioni ambigue (bias
interpretativo).
- Anxiety sensitivity: particolare attitudine cognitiva di alcuni soggetti rispetto alla paura dei
sintomi ansiosi stessi, per credenze circa la loro pericolosità delle loro conseguenze dal punto di
vista psicologico, sociale e fisiologico. Molto diffusa (16% della popolazione generale)
- Ragionamento emozionale: gli individui tendono a inferire il possibile stato di minaccia e
pericolo in considerazione del proprio stato emotivo negativo.
POSSIBILI CAUSE
Non è possibile individuare un’unica causa, ma riferirsi piuttosto a una MULTIFATTORIALITA’ che implica
fattori neurobiologici, sociali, temperamentali e relazionali.
- Vulnerabilità biologica: si tende a chiamare in causa la presenza di genitori con disagio
psicologico e il temperamento con cui si nasce, in particolare quello inibito/molto reattivo.
- Lo stile di PARENTING (comportamenti messi in atto da un genitore nei confronti del figlio): gli
studi empirici sembrano rilevare un’associazione tra ansia durante l’infanzia e uno stile di
parenting che comporta la critica, il rifiuto, la mancanza di calore e di accettazione verso il
bimbo. Inoltre le scarse possibilità esplorative offerte dai genitori e quindi la poca esperienza
fatta contribuiscono a immaginare sé stessi come deboli e con scarse possibilità di fronteggia
mento.
- Anche l’ipercoinvolgimento emotivo dei genitori può impedire al bimbo di svolgere attività
adeguate all’età e di sperimentarsi in situazioni nuove e potenzialmente stressanti, ostacolando
lo sviluppo di nuove strategie di COPING, attraverso il tradizionale metodo di “prove ed errori”.
Il bimbo non raggiunge la sensazione di controllo sulle situazioni temute.
- Contesto di CARE-GIVING caratterizzato da un certa instabilità e imprevedibilità: i ragazzi con
genitori separati o divorziati e con bassa scolarizzazione presenterebbero maggiori problemi
psicologici degli altri (Frigerio, 2009).
EPIDEMIOLOGIA
I disturbi di ansia sembrano essere diagnosticati con maggior frequenza nei bimbi in età scolastica.
- Disturbi d’ansia da separazione, fra il 3 e il 5% con un picco tra i 7 e i 9 anni, in età
adolescenziale scenderebbe al 2,4%.
- Disturbo d’ansia generalizzato l’esordio si situa tra i 10-11 anni.
- Il 15-36% dei bimbi soffre di un quadro compatibile con una fobia specifica: buio, scuola, cani,
altri animali, altezza, insetti, ascensori, posti chiusi, nuoto, aghi, tubi, imbalsamazione.
NB) Le bambine sembrano essere più vulnerabili dei loro coetanei nello sperimentare delle paure intense e
i bambini sotto i 13 anni più vulnerabili rispetto ai bambini più grandi.
- Circa il 3% dei bimbi in età scolare e degli adolescenti presenta un quadro compatibile con la
fobia sociale, percentuale che tende a cresce con l’età, come nel caso di altri disturbi. È più
diffusa a partire dagli 11 anni. Non ci sono differenze di genere nella fascia dei preadolescenti,
ma nell’adolescenza la percentuale di femmine si stima maggiore, 5%, contro solo il 2,7% dei
maschi.
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Non c’è accordo tra le ricerche che studiano la prevalenza rispetto al genere. I sintomi, in ogni caso, non
sono diversi tra maschi e femmine, sono invece diverse le manifestazioni in base all’età: mentre i bimbi più
piccoli, fino agli 8 anni d’età, riportano molti incubi notturni, la loro frequenza decresce con l’età, mentre i
sintomi fisici che sono presenti solo nella metà dei bimbi più piccoli, caratterizzano sostanzialmente tutti gli
adolescenti.
Recentemente in Italia è stata condotta la prima ricerca epidemiologica multicentrica che ha indagato la
prevalenza dei disturbi psichici tra i preadolescenti di età compresa tra i 10 e i 14 anni che vivono in zone
urbane. La ricerca è stata realizzata contemporaneamente in 7 città italiane (Lecco, Milano, Roma, Rimini,
Pisa, Cagliari, Conegliano) e distinta in due fasi: una fase di screening ottenuta attraverso la
somministrazione di un’apposita check-list ai genitori dei soggetti selezionati, e una seconda fase di
valutazione clinica, svolta su un sottogruppo del campione, scelto in base ai risultati ottenuti nella prima
fase di screening.
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Coinvolgere i genitori nell’intervento con i bimbi, promuovendo nuovi modi di pensare e di gestire i sintomi
ansiosi dei figli, al fine di rimuovere alcune variabili di mantenimento e aumentare gli effetti della terapia.
Programmi di intervento maggiormente sottoposti a ricerca:
- Coping cat program for anxious children (Kendall, 1994)
Uno dei più conosciuti protocolli di trattamento per il disturbo d’ansia generalizzato, inserito anche in
diversi RCT. Rivolto ai bambini tra i 7 e i 13 anni. Per gli adolescenti esiste il Cat Project.
L’intervento dei genitori è abbastanza limitato. Sono inserite tecniche di ristrutturazione cognitiva e ampio
spazio ad attività/consigli per i familiari.
- Programma FOCUS (Barrett, Healy-Farrell, March, 2004)
Per il disturbo ossessivo-compulsivo in età evolutiva: ha analizzato una serie di trattamenti con diversi
setting (individuale, di gruppo, con o senza genitori). Tutti presentano i principi base dell’Esposizione con
prevenzione della risposta (ERP).
Il modulo prevede l’inclusione dei genitori che vengono coinvolti in 14 incontri di gruppo.
- Programma FRIENDS (Barrett, Turner, 2001)
Per il disturbo d’ansia (generalizzato, da separazione, ansia sociale). Coinvolge i genitori.
I principi sono:
Aiutare bambini e ragazzi a pensare al proprio corpo come un amico che li avverte di quando si
sentono ansiosi e nervosi attraverso dei segnali.
Essere generosi con se stessi, soprattutto quando in difficoltà.
Stimolare le relazioni e le amicizie per aumentare la rete di supporto sociale.
Parlare agli amici quando in situazioni di difficoltà o preoccupati.
Dopo questo trattamento, il 69% del campione non presenta più sintomatologia compatibile al
disturbo.
SEZIONE SCUOLA-FAMIGLIA
Genitori e docenti si trovano spesso nella situazione di dover determinare se l’ansia del figlio/alunno è
eccessiva rispetto all’età o se andrà incontro ad una normalizzazione successiva.
Ecco una serie di domande per capire la natura dei sintomi ansiosi:
QUESITI Sì No
È l’ansia tipica di un bimbo di questa età?
È l’ansia che ci potremmo aspettare in situazioni specifiche o è più pervasiva?
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Il problema è presente da tempo o è più recente?
Vi sono ripercussioni negative a livello personale, sociale e accademico?
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genitori individuano alcune cose positive che accadono nella propria famiglia, formulando idee su come
trascorrere un tempo di qualità e costruire reti sociali.
Per genitori particolarmente apprensivi, con caratteristiche simili a quelle del proprio bimbo, si consiglia in
particolare di sintonizzarsi su una sorta di “dialogo interno” e porsi le seguenti domande:
- La situazione è realmente pericolosa come la immagino?
- Quanto è probabile che si realizzi lo scenario che più temo? E se anche succedesse, sarebbe
davvero irreparabile?
- Lo stato d’animo provato è funzionale al raggiungimento degli obiettivi?
- Quali sono i vantaggi nel superare le paure?
RAPPRESENTAZIONE UTILIZZATA PER LO STUDIO DELLA TEORIA DELLA MENTE, Wimmer e Perner, 1983.
La maggior parte dei bimbi sotto i 4 anni risponde indicando l’attuale posizione della palle (la
scatola), ignari del fatto che Sally crede che la palla si trovi ancora nel cestino.
Gli psicologi hanno concluso che prima dei 4 anni i bambini non sono in grado di attribuire
credenze, mentre, nella fase successiva di crescita, inizierebbero a sviluppare una conoscenza del
comportamento altrui come determinato da stati mentali, anche se non in grado di parlarne
esplicitamente.
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c. TEORIA DEL DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE
Esse prevedono processi di pianificazione, inibizione di risposte prevalenti, flessibilità, ricerca organizzata,
controllo e coordinazione del funzionamento del sistema cognitivo.
I loro sviluppo si protrae almeno fino alla pubertà e si acquisisce attraverso 3 stadi:
a) 0-6 anni: i bambini raggiungono livelli di prestazione degli adulti nei compiti che richiedono ricerca
visiva e pianificazione semplice.
b) 7-11 anni: raggiungono abilità simili a quelle degli adulti per compiti di pianificazione più
complessa.
c) Dalla pubertà in poi: raggiungono livelli adulti in compiti che richiedono la capacità di verifica di
ipotesi e di controllo dell’impulsività e la flessibilità in caso di errori.
Il deficit esecutivo è stato messo in luce attraverso il compito “A – nonB”, di Piaget:
un oggetto interessante viene ripetutamente nascosto sotto un panno A e ai bimbi viene chiesto di
cercarlo. Dopo aver consolidato la risposta corretta, l’oggetto viene nascosto sotto il panno B.
Compito particolarmente efficace per esaminare bambini piccoli e rileva un deficit precoce nello
sviluppo delle funzioni esecutive negli autistici.
Alcuni studiosi hanno proposto 8 compiti diversi per valutare le funzione esecutive di 18 bambini
autistici in età prescolare : questi bambini non hanno evidenziato alcuna differenza con il gruppo di
controllo in nessuno dei compiti esecutivi.
Differenze significative sono state individuate nelle capacità sociali e nelle attività spontanee di
attenzione condivisa.
Da ciò emerge che nell’autismo il deficit delle funzioni esecutive emerge con l’età e non è presente in età
prescolare.
INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
3 sono le domande relative agli interventi cui le linee guida dell’SNLG, 2011 hanno cercato di dare una
risposta sulla base di studi scientifici:
1. Quali interventi non farmacologici/dietetici si sono dimostrati efficaci nel migliorare gli esiti in bambini
e adolescenti con Disturbi dello spettro autistico?
2. Il tempo di somministrazione, la durata e l’intensità degli interventi non farmacologici/dietetici sono in
grado di influenzare gli esiti in bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico?
3. Esistono prove che uno specifico intervento non farmacologico/dietetico sia più appropriato per
bambini e adolescenti con specifiche tipologie di Disturbi dello spettro autistico o specifiche
comobidità?
Gli aiuti che il SNLG ha preso in esame sono:
- Interventi mediati dai genitori
- Supporto per le abilità comunicative
- Interventi per la comunicazione sociale e l’interazione
- Programmi educativi
- Interventi comportamentali e psicologici strutturati (auditory integration training,
musicoterapia, comunicazione facilitata).
Un programma particolare è il TEACCH, Treatment and Education of Autistic and Related
Communication Handicapped.
Messo a punto da Schopler, 1994, prevede la definizione di un programma educativo individualizzato,
in collaborazione con famiglia e scuola.
Comprensione delle caratteristiche dell’autismo dall’osservazione del bimbo.
Collaborazione genitori-operatori.
Favorire la capacità di adattamento del bimbo sia tramite l’insegnamento di nuove abilità che
mediante l’adattamento dell’ambiente ai suoi deficit.
Valutazione per il trattamento individualizzato.
Utilizzo dell’insegnamento strutturato.
Riferimento prioritario alla teoria cognitivo-comportamentale.
Potenziamento delle abilità e l’accettazione dei deficit.
Approccio olistico
Garanzia di un servizio fornito per tutta la vita strutturato nei vari ambiti della comunità.
I dati riportati dal SNLG sostengono miglioramenti nell’OUTCOME:
- Abilità motorie – performance cognitive – funzionamento sociale.
Non sono confermati miglioramenti nelle abilità imitative.
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Un altro metodo è l’ABI, Applied Behabiour Intervention, utilizzato dalle 20 alle 40 ore settimanali, in età
precoce, mediato dai genitori con supporto di professionisti: gli studi sostengono una sua efficacia nel
migliorare le abilità intellettive (QI), il linguaggio e i comportamenti adattivi nei bimbi con disturbo autistico.
NB) una possibile seconda fase dell’intervento psicoeducativo prevede l’inserimento del bimbo autistico, a
partire circa di 5 anni, nel Centro autismo, in modalità di piccolo gruppo (4,5 bimbi) e forma intensiva (9 ore
a settimana): qui vengono adottati metodi di intervento specifici allo scopo di aiutare ogni bimbi nel suo
cammino verso l’acquisizione di una maggior autonomia, ma anche di stimolare la comunicazione e la
relazione con la realtà circostante, comprese le relazioni sociali, e favorire in questo modo l’autocontrollo
del proprio comportamento.
Nel confronto tra le due descrizioni riportate, emerge che nella nuova visione non è così rilevante la
misurazione del livello intellettivo, ma la diagnosi è ricavata da un insieme di segni e sintomi
riconducibili a particolari difficoltà nel funzionamento adattivo.
Ma cosa si intende con “funzionamento adattivo”?
È un insieme di abilità:
Concettuali: linguaggio espressivo e recettivo – lettura, scrittura, calcolo – autonomia
decisionale.
Sociali: rispetto delle regole – responsabilità – abilità interpersonali.
Pratiche: gestione del denaro – igiene personale – spostamenti, mobilità.
NB) I limiti del comportamento adattivo coabitano con i punti di forza, non solo nelle capacità adattive, ma
anche in altre capacità, garantendo, grazie ad un supporto adeguato, il miglioramento del funzionamento
vitale della persona.
Il mancato riferimento al QI mette l’accento sul fatto che l’interpretazione del valore del
funzionamento intellettivo risente di una serie di variabili e può essere influenzato dalle differenze
culturali, dalla presenza di patologie e dallo stato mentale.
Livelli di gravità secondo il DSM-5
Disturbi per livelli di gravità Caratteristiche
LIEVE Questi individui fin da bambini presentano una lentezza nell’apprendimento e rimangono indietro rispetto ai
compagni di classe, seppur crescendo possono raggiungere le competenze di un livello scolastico di sesto grado
(In Italia, primo anno della scuola secondaria di primo grado, N.d.c.). nell’età matura, tali difficoltà di problem
solving e di giudizio possono costringerli a richiedere aiuto nella gestione della vita quotidiana – e anche le loro
relazioni interpersonali possono risentirne. Generalmente hanno bisogno di aiuto in alcuni compiti come il
pagamento delle bollette, la spesa e la scelta di un alloggio appropriato. Molti riescono comunque a lavorare in
maniera indipendente, anche se il loro lavoro richiede poca attività cognitiva. Questi pazienti presentano
difficoltà nella comprensione delle metafore e del pensiero astratto, anche se le abilità di memoria e di
linguaggio sono buone. Il livello di QI è generalmente compreso tra 50 e 70. Rappresentano l’85% di tutti i
pazienti con DI.
MODERATA Fin dalla prima infanzia, questi individui presentano differenze significative e globali rispetto ai coetanei. Lo
sviluppo del linguaggio è lento e semplice, anche se possono imparare a leggere, a svolgere i semplici esercizi di
matematica e gestire il denaro. Fin dalle prime fasi di vita hanno bisogno di maggior aiuto nella cura personale e
nelle attività casalinghe rispetto ai soggetti lievemente affetti. Possono avere relazioni interpersonali (anche
amorose), ma spesso non riconoscono gli elementi chiave che governano le normali relazioni interpersonali.
Possono essere in grado di svolgere anche attività lavorative non impegnative, come lavori protetti (con la
supervisione di colleghi), anche se hanno bisogno di assistenza nelle decisioni. Il QI è compreso tra 30 e 50.
Rappresentano il 10% dei pazienti con DI.
GRAVE Anche se queste persone possono imparare semplici comandi e istruzioni, le abilità comunicative sono
elementari (parole singole, alcune frasi). Potrebbero essere in grado di svolgere piccoli lavori, sotto supervisione.
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Possono mantenere relazioni interpersonali con i parenti, ma richiedono una supervisione per tutte le attività.
Hanno persino bisogno di aiuto per vestirsi e nell’igiene personale. Il QI è compreso tra 20 e 30. Costituiscono il
5% di tutti i pazienti con DI.
ESTREMA Il linguaggio è limitato e sono presenti abilità elementari di interazione sociale. Questi individui comunicano
principalmente attraverso gesti. Sono completamente dipendenti dalle altre persone per quanto riguarda i loro
bisogni, comprese attività della vita quotidiana, seppur possono a volte essere di aiuto nelle piccole attività
quotidiane. La DI estrema generalmente è correlata a un disturbo neurologico, spesso associata a disabilità
sensitive o motorie. Il QI è inferiore a 20. Costituiscono circa l’1-2% di tutti i pazienti con DI.
Caratteristiche della disabilità intellettiva
Concretezza/irreversibilità Difficoltà a sganciarsi, in termini piagetiani, dalla fase delle operazioni concrete, rimanendo spesso ancorato a
del pensiero uno stadio preoperatorio. La funzione simbolica, ossia la capacità di evocare mentalmente oggetti o situazioni
che non sono fisicamente presenti, e la capacità di agire non solo tramite azioni corporee, ma anche attraverso
azioni mentali che manipolano immagini mentali, è spesso deficitaria o solo parzialmente acquisita.
Rigidità Incapacità di cambiare il proprio orientamento al compito al variare delle situazioni e del contesto. Difficile
estendere una conoscenza già acquisita a situazioni diverse da quella di partenza, conoscenza che resterebbe
bloccata alle condizioni formali cui si è svolto il primo apprendimento.
Pianificazione/ problem Difficoltà nel programmare, anticipando la realizzazione, una sequenza ordinata di azioni che porta a una meta
solving/ attività definita. Complessità eccessiva a ideare o individuare nuove risposte o soluzioni, senza perseverare nella
immaginative strategia inefficace.
Esperienza percettiva Lenta e imprecisa, caratterizzata dall’incapacità a integrare e collegare le diverse parti di una configurazione in
un’unità struttura rata, cogliendo i rapporti tra le parti e il tutto.
Capacità Difficoltà da pdv attentivo, nella capacità di selezionare solo alcuni tra i molti stimoli offerti dall’ambiente ed
attentiva/concentrazione elaborare più stimoli contemporaneamente o i vari aspetti di una situazione stimolo complessa. Faticoso inibire
stimoli irrilevanti. Limitata la quantità di tempo nel mantenere a un buon livello di intensità lo sforzo attentivo.
Memoria Difficoltà nella capacità di organizzare il materiale da ricordare (ad es. in categorie organizzate gerarchicamente
in cui quelle più generali includono quelle più specifiche) sia nella fase di immagazzinamento sia nel momento
del recupero (rievocazione).
Abilità comunicative – Le abilità di comprensione e produzione verbale si evolvono in ritardo. Presente povertà lessicale, difficoltà a
linguistiche livello pragmatico, semplicità nella struttura sintattica.
Apprendimenti scolastici La capacità di applicare in autonomia le nozioni apprese alle situazioni che lo richiedono non è adeguata. Nei
profili meno compromessi si arriva tendenzialmente a imparare a leggere, scrivere e a fare semplici calcoli.
Abilità metacognitive Difficoltà nel guidare attivamente e consapevolmente i propri processi cognitivi.
Sviluppo sociale
I bimbi fin dalla nascita sono orientati all’interazione con altri esseri umani. Nella costruzione delle prime
relazioni è necessario il supporto di un adulto o di un soggetto più grande che sia in grado di dare un senso
ai gesti dell’infante, oltre a fornire un’impalcatura che regoli e aumenti gli scambi, anche se il neonato è già
dotato di strutture cognitive.
Sono presenti anche una serie di predisposizioni e preferenze, un repertorio emozionale, che
proiettano il bambino nell’ambiente fisico e sociale come organismo attivo.
Nelle situazioni in cui queste abilità risultano non integre, il presupposto per un adeguato sviluppo
del soggetto appare compromesso.
Le persone affette da DI evidenziano già dai primi anni di vita scarse o inadeguate interazioni e una minore
partecipazione alle attività di gruppo.
- In età prescolare: difficoltà a entrare in gruppi già preformati, a utilizzare modelli
comportamentali adeguati in situazioni di conflitto, a partecipare ai giochi che richiedono
interazione col gruppo. Sono impulsivi, iperattivi, poco tolleranti alla frustrazione.
- Scuola primaria: difficoltà nel rapporto con gli insegnanti, fragilità nelle relazioni tra pari.
- Fase adolescenziale: acuirsi di queste caratteristiche, portando a una ulteriore diminuzione
delle esperienze dei soggetti. Passività, eccessiva dipendenza dall’ambiente, suggestionabilità
da parte degli altri.
Alle volte il disagio e i continui insuccessi portano all’insorgenza di disturbi affettivi che si
manifestano tramite umore depresso, irritabilità, disturbi d’ansia, attacchi di panico,
comportamenti auto o etero aggressivi.
Viene evidenziato da vari autori il legame tra COMPETENZA – EMPATIA – ABILITA’ SOCIALI.
EZIOLOGIA ED EPIDEMOLOGIA
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Cause cromosomiche e genetiche
Cause Esempi
Alterazioni cromosomiche Sindrome di Down, Trisomia 13, Trisomia 18, X fragile
Eredità dominante/ recessiva Sclerosi tuberosa – fenilchetonuria
Eziologia multipla Macrocefalia, microcefalia, ipotiroidismo congenito.
Uso combinato del prompting e dal fading: i prompt rappresentano i suggerimenti che
accompagnano l’esecuzione di una data attività e possono essere di varia natura (verbale,
gestuale). Possono essere sottoforma di disegno o immagini. Il feding si basa sulla riduzione
graduale e progressiva degli aiuti che accompagnano l’acquisizione di una abilità.
Supporto comportamentale positivo: il principio di base considera che i miglioramenti dello stile di
vita rappresentano lo scopo primario dell’intervento e valuta che i risultati devono essere misurati
non semplicemente in termini di livelli del comportamento problema, ma anche in termini di
relazioni sociali, produttività, opportunità, affetto e soddisfazione personale dei soggetti.
Si valutano: affettività del bimbo – attività e integrazione sociale – cooperazione – integrazione
contestuale – prestazione e completamento del compito.
LA GESTIONE DEL COMPORTAMENTO PROBLEMA
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È caratterizzato da 3 principi fondamentali:
- Proattivo: in quanto anticipa il comportamento disfunzionale.
- Positivo: perché costruisce e sviluppa comportamenti alternativi positivi.
- Sostitutivo: si sovrappone alla funzione svolta dal comportamento, ne modificherà la forma
rimpiazzandola con una positiva.
Sono possibili anche approcci meta cognitivi: le abilità indagate sono legate ad aspetti di autoregolazione
correlati con l’automonitoraggio e le autoistruzioni verbali.
Nei profili meno compromessi è possibile puntare a forme di autoconsapevolezza non verbale dei
personali processi cognitivi/comportamentali e a forme non verbali di autoregolazione che
utilizzano soluzioni di tipo visivo.
Data: ………………………………… Intervallo di osservazione dalle ore ………………………. Alle ore ………………
Luogo ………………………………………………………………………………………………………………………………………………
NB) Quali domande potrebbe farsi l’insegnante per essere orientato alla ricerca del significato del
comportamento problema?
- Quali sembrano essere le intenzioni positive del comportamento problema?
- Che cosa sta cercando di comunicarci il soggetto con il suo comportamento?
- Di che cosa sembra aver bisogno?
- Che significato attribuiamo a questi comportamenti?
- Che cosa sembra contestualmente dare vita al comportamento?
- Che vissuto produce sugli insegnanti e sul gruppo classe questo comportamento?
- Quali risposte alternative gli insegnanti e il gruppo classe possono fornire al comportamento
indagato?
È necessario effettuare una riflessione anche sul gruppo classe in cui è inserito l’alunno: le abilità sociali
degli studenti possono favorire o intralciare l’accettazione da parte dei compagni.
Una serie di ricerche hanno evidenziato una maggior predisposizione da parte dei ragazzi a
sviluppare relazioni di amicizia con compagni con disabilità fisica piuttosto che intellettiva.
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