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RIASSUNTO PSICOPATOLOGIA E PSICOLOGIA CLINICA

CAPITOLO 1: LA PSICOPATOLOGIA: DESCRIZIONE E APPROCCI DI RICERCA

La psicopatologia è una branca della psicologia che si occupa della comprensione della natura,
delle cause e del trattamento dei disturbi mentali.
1.1 Spiegare come vengono definite le anomalie e come vengono classificati i disturbi mentali
Ad oggi, pur non esistendo un accordo sulla definizione universale di anomalia (il libro parla
erroneamente di anormalità) o disturbo, esistono tutta una serie di indicatori ed elementi che, se
manifestati da un singolo individuo, vengono considerati manifestazione di un comportamento
anomalo. I principali sono i seguenti:
Disagio soggettivo: se le persone soffrono o provano un esperienza di dolore psichico si è
portati a considerare ciò come la manifestazione di un’anomalia. In molti casi, tuttavia,
questo indicatore non rappresenta una condizione né sufficiente né necessaria a classificare
un comportamento come patologico;
Il disadattamento: il comportamento disadattivo è spesso indicatore di anormalità poiché
interferisce con il benessere e l’abilità di godere del proprio lavoro e dei rapporti in generale.
Tuttavia, anche in questo caso, è importante chiarire che non tutti i disturbi causano
comportamenti disadattivi;
La devianza statistica: anche la devianza statistica, ossia l’allontanarsi di un
comportamento da uno standard considerato culturalmente e socialmente “normale”
rappresenta un indicatore di una situazione di anormalità. Ciò dimostra come, nel definire
ciò che è anomalo, utilizziamo giudizi di valore; se infatti qualcosa è raro e poco
desiderabile (es. ritardo mentale), siamo più propensi a considerarlo anomalo/ anormale
rispetto a qualcosa che sia altrettanto raro ma più desiderabile (genialità).
Violazione delle norme della società: Nonostante molte regole, e convenzioni sociali e
morali siano in qualche modo arbitrarie, quando le persone appartenenti ad un determinato
gruppo sociale e culturale smettono di seguirle, il loro comportamento viene considerato
anomalo. Ovviamente molto dipende dal grado di violazione e dalla frequenza con cui la
norma viene violata anche dal resto della comunità; per tale ragione più un comportamento è
deviante e raro più verrà considerato anomalo;
Disagio sociale: altro indicatore di un comportamento anomalo è rappresentato nel disagio
sociale che tale condotta, non rispettosa di regole sociali implicite, provoca in coloro che
circondano il soggetto considerato “anormale”. Ovviamente si tratta di un indicatore che
dipende molto dalle circostanze (es. sedersi vicini sul treno quando ci sono tutti i posti
liberi);
Irrazionalità e imprevedibilità: socialmente e culturalmente ci aspettiamo che le persone
si comportino in un dato modo motivo per cui, quando oltrepassano un determinato limite, si
tende a considerare un comportamento poco ortodosso come anomalo;
Pericolosità: Spesso si considera psicologicamente anomalo il soggetto che si dimostra
essere pericoloso per se e per gli altri. In realtà non sempre vi è una correlazione tra
comportamenti pericolosi e malattia mentale (es. chi fa sport estremi) e viceversa;
Importante a questo punto è chiarire che la manifestazione di uno solo di questi indicatori non può
essere considerato un sintomo di disagio mentale. In virtù di quanto detto risulta inoltre chiaro che
le decisioni su quali siano i comportamenti anomali coinvolgono il giudizio sociale e sono basate
sulle aspettative della società. Ciò significa che la cultura svolge un ruolo determinante nel
determinare ciò che è normale e ciò che non lo è e ciò rendere ragione del perché, un
comportamento considerato anomalo o deviante in un decennio può essere con normale in quello
successivo.

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- Il DSM – 5 e la definizione del disturbo mentale

Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) costituisce, negli Stati Uniti e nella
maggior parte dei paesi del mondo, lo standard di riferimento per la definizione dei vari tipi di
disturbi mentali poiché fornisce tutte le informazioni (descrizioni, elenchi di sintomi) necessarie per
diagnosticarli. Dal momento in cui è stato pubblicato il DSM-1, nel 1952, tale manuale è stato più
volte revisionato, con l’obiettivo di tener conto dei nuovi sviluppi scientifici e del modo in cui
inquadrano i disturbi mentali. Oggi, il DSM, è arrivato alla sua quinta versione (2013) e contiene un
totale di 541 categorie diagnostiche. All’interno di questo manuale il disturbo mentale viene
definito come una sindrome che è presente in un individuo e che coinvolge in modo clinicamente
significativo un disturbo del comportamento, la regolazione di un’emozione o il funzionamento
cognitivo. Tali disturbi vengono inoltre pensati come conseguenza di una disfunzione nei processi
biologici, psicologici o di sviluppo che sono necessari per il funzionamento mentale. Il DSM-5
riconosce anche che i disturbi mentali sono di solito associati al disagio significativo o alla
disabilità nelle aree chiave del funzionamento (sociali, lavorative ecc.) Dalla definizione di disturbo
mentale vengono quindi escluse le relazioni prevedibili e culturalmente accettabili a fattori di stress
e perdita e tutti quei comportamenti che derivano dalla devianza sociale o dai conflitti che la
persona ha con la società.
Oltre al DSM – 5 esistono anche altri sistemi di classificazione psichiatrica. Tra questi merita di
essere ricordata la Classificazione internazionale dei disturbi (ICD giunta oggi alla sua 10°
revisione) pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

2. Classificazione e diagnosi: descrivere i vantaggi e gli svantaggi della classificazione

La ragione per cui si cerca di dare una definizione universalmente accettata di normalità e anomalia
e che ciò consentirebbe di dar vita ad un sistema di classificazione che permetta ai clinici ed ai
ricercatori di far riferimento sia ad un linguaggio comune(nomenclatura), sia a termini descrittivi
per la definizione di condizioni cliniche complesse in grado di facilitare la comunicazione tra
professionisti. Un altro vantaggio delle classificazioni è che permettono di strutturare le
informazioni in modo più organizzato. La maggior parte delle classificazioni, per esempio, colloca
in qualche modo vicine le diagnosi che si pensa possano essere collegate (DSM – 5 mette vicini
disturbo di panico, fobia specifica e agorafobia). Questo fa si che le classificazioni agevolino la
ricerca poiché permettono non solo di comprendere in maniera più approfondita cosa provochi un
disturbo ma anche quale sia il modo migliore per trattarlo. Un ultimo vantaggio delle classificazioni
è che esse, definendo ciò che è da considerarsi patologico, stabiliscono quale sia il campo di
pertinenza dei professionisti della salute.

- Svantaggi delle classificazioni

Oltre ai vantaggi sopra elencati esistono anche dei potenziali svantaggi associati all’uso delle
classificazioni. Innanzitutto esse determinano inevitabilmente una perdita di informazioni poiché,
fornendole in forma abbreviata, determinano la perdita di tutta una serie di dati circa la persona
reale e le modalità con cui manifesta un dato disturbo. In secondo luogo l’essere “classificati” come
malati psichiatrici determina uno stigma che spesso rappresenta una delle regioni per cui,
soprattutto i giovani, gli uomini, le minoranze etniche ed i professionisti della salute, non ricorrono
al trattamento. Lo stigma inoltre può avere delle conseguenze importanti sulla percezione che il
malato ha di se stesso ragione per cui è importante ricordare che i sistemi di classificazione
diagnostica non classificano le persone bensì i disturbi che esse presentano, e che la persona non è
la diagnosi. Infine, talvolta la diagnosi contribuisce a ridurre lo stigma poiché fornisce almeno una
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spiegazione ad un comportamento altrimenti considerato inspiegabile. Alcuni studi condotti in
merito a stigma e pregiudizi in culture diverse hanno dimostrato:
 Che gli stereotipi, l’etichettatura e lo stigma verso le persone con malattie mentali
non sono limitati ai paesi industrializzati;
 Che lo stigma sembra essere ridotto in persone che hanno più contatti con il gruppo
stigmatizzato;
 Che le persone tendono ad evitare i malati mentali poiché percepiscono in questi
incontri un aumento di attivazione psicofisiologica e la vivono come sgradevole;

3. Culture e anormalità (anomalia): spiegare come la cultura influenzi ciò che è considerato
normale o anormale e descrivere due diversi disturbi specifici di due distinte culture

Così come è importante pensare di cambiare i valori e le aspettative sociali nella definizione della
normalità, allo stesso modo è importante prendere in considerazione le differenze che intercorrono
tra le diverse culture nel modo di considerare e di descrivere il disagio psicologico. (Es. Indiani
d’America) Nonostante la consapevolezza culturale stia crescendo in modo progressivo sappiamo
ancora relativamente poco circa l’interpretazione e l’espressione culturale della psicopatologia
sostanzialmente per due ragioni: poiché la maggior parte della letteratura psichiatrica proviene dai
paesi euro – americani (Europa, Nord America, Australia/Nuova Zelanda) e poiché le ricerche
pubblicate in una lingua diversa dall’inglese tendono ad essere ignorate. Nonostante la scarsità di
dati a disposizione sembrerebbe che il pregiudizio nei confronti delle persone affette da malattie
mentali sia diffuso in tutto il mondo, anche se alcuni tipi di psicopatologia sembrano essere
altamente rappresentati in culture specifiche poiché legati a preoccupazioni culturali (Es. Kyofusho
Taijin – Giappone e Ataque de niervos – paesi di discendenza latina). Importante è infine
sottolineare che, al di la delle differenze culturali, certe azioni non convenzionali e alcuni
comportamenti sono considerati quasi universalmente come il prodotto di un disturbo mentale (es.
defecare in pubblico, ridere per un nonnulla, credere a cose in cui nessuno crede).

4. In che misura sono comuni i disturbi mentali: distinguere tra incidenza e prevalenza e
identificare i disturbi mentali più comuni

Indagare quante e quali persone soffrono di disturbi psichiatrici diagnosticabili è importante per
diverse ragioni:
 Innanzitutto poiché tale informazione è essenziale per la pianificazione e la creazione di
servizi di salute mentale. Per le persone che si occupano di salute mentale è importante una
precisa comprensione della natura e della portata delle difficoltà psicologiche all’interno di
una determinata area, provincia, regione poiché sono dati indispensabili per determinare che
tipo di risorse e quali finanziamenti per progetti possono essere facilmente assegnati.
 In secondo luogo poiché le stime di frequenza dei disturbi mentali possono fornire indizi
preziosi per quanto riguarda le cause del loro insorgere;

- La prevalenza e l’incidenza

La disciplina che si occupa dello studio della distribuzione delle malattie, dei disturbi o dei
comportamenti correlati alla salute di una popolazione prende il nome di epidemiologia; la sua
branca che si occupa dello studio della distribuzione dei disturbi mentali prende invece il nome di
epidemiologia della salute mentale. Una componente chiave di un’indagine epidemiologica è

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quella di determinare la frequenza dei disturbi mentali per l’espressione della quale, in genere, ci si
serve dei seguenti indici:
 Indice di prevalenza  si riferisce al numero di casi attivi in una popolazione durante
un determinato periodo di tempo ed è comunemente espresso in percentuale. È possibile
distinguere diverse stime di prevalenza:
o Picco di prevalenza: si riferisce alla percentuale stimata di reali casi attivi di una
data malattia in una data popolazione in un dato momento. Se la nostra indagine
inizia al 1° gennaio e indaga il numero di persone che presentano un disturbo di
depressione maggiore, un individuo che sperimentasse la depressione nei mesi di
novembre e dicembre ma che il primo gennaio fosse in recupero non verrebbe
incluso nei dati così come colui la cui depressione è iniziata il 2 gennaio;
o Prevalenza di un anno: si riferisce alla percentuale di casi attivi in un anno
quindi include tutti coloro che hanno sperimentato, per esempio, un disturbo di
depressione maggiore nel corso dell’intero anno. In genere, quindi, è superiore
rispetto al picco di prevalenza;
o Stime di prevalenza una tantum: stimano il numero di persone che hanno
avuto un particolare disturbo nel corso della propria vita (stima di prevalenza di
un periodo di vita). Tendono ad essere più elevate rispetto agli altri tipi di stime
di prevalenza poiché comprendono sia gli individui attualmente malati sia quelli
guariti.
 Indice di incidenza  indica il numero di nuovi casi che si verificano in un determinato
periodo di tempo (in genere di un anno). I valoro di incidenza tendono ad essere inferiori
a quelli di prevalenza poiché escludono i casi preesistenti.

- Stime di prevalenza dei disturbi mentali

Prevalenza dei disturbi mentali negli Stati Uniti

La maggior parte dei disturbi mentali individuali negli Stati Uniti

Sebbene la durata (12 mesi) dei tassi di disturbi mentali possa sembrare molto elevata, è importante
ricordare che, in alcuni casi, la durata di un disturbo può essere relativamente breve. Inoltre molte
persone, pur presentando i sintomi di un determinato disturbo, non ne vengono seriamente
compromesse. Infatti, il fatto di presentare criteri diagnostici per un disturbo particolare ed essere
seriamente compromessi dallo stesso non è necessariamente la stessa cosa. Dallo studio NCS – R
emerge invece la presenza di una diffusa comorbilità tra disturbi diagnosticati che aumenta con
l’aumentare della gravità dei disturbi mentali.

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- Il trattamento

Esistono molti trattamenti per i disturbi psicologici, dai farmaci alle diverse forme di psicoterapia. È
però importante sottolineare che non tutte le persone con disturbi psicologici ricevono un
trattamento. In alcuni casi, le persone negano o minimizzano la loro sofferenza, altri cercano di far
fronte da soli ai problemi e, in alcuni casi, possono recuperare senza mai cercare aiuto da un
professionista della salute mentale. Questo accade poiché lo stigma sociale è un fattore che rende
alcune persone riluttanti a manifestare il proprio bisogno e fa si che, anche quando riconoscono di
avere un problema, aspettano molto tempo prima di chiedere aiuto. Quando le persone con disturbi
mentali non cercano aiuto sono seguite, in genere, dal proprio medico di famiglia e, nella maggior
parte dei casi, le terapie vengono somministrate ambulatorialmente. Il ricovero e l’ospedalizzazione
sono le opzioni più idonee per le persone che hanno bisogno di un trattamento più intensivo di
quello fornito a livello ambulatoriale ma, negli ultimi anni, la tendenza a ricoverare è diminuita
considerevolmente a causa della riduzione dei posti letto disponibili e dei costi che ciò comporta per
la spesa pubblica.

- I professionisti della salute mentale

Quando i pazienti ricevono un trattamento ospedaliero, spesso sono seguiti da diversi professionisti
della salute mentale che lavorano in squadra per fornire le cure necessarie. In genere l’equipe è
composta da:
Psichiatra: prescrive farmaci e monitora il paziente per gli effetti collaterali;
Psicologo clinico: fornisce terapia individuale;
Assistente sociale: può aiutare a risolvere problemi famigliari;
Infermiere psichiatrico: controlla quotidianamente il paziente, fornisce supporto e lo aiuta
ad affrontare al meglio l’impatto con l’ambiente ospedaliero.
Anche pazienti trattati a regime ambulatoriale possono interagire con un team di professionisti,
anche se, in genere il numero di specialisti coinvolti è minore.

LA SITUAZIONE ITALIANA

In Italia l’assetto organizzativo dipartimentale dei servizi è così strutturato:

 Dipartimento di salute mentale: è l’insieme delle strutture e dei servizi che si fanno carico
della domanda legata alla cura, all’assistenza e alla tutela della salute mentale nell’ambito del
territorio di pertinenza dell’ASL. Esso si articola in:
 Servizi per l’assistenza diurna: i centri di salute mentale  è il centro di primo
riferimento per i cittadini con disagio psichico e coordina tutti gli interventi di
prevenzione, cura e riabilitazione dei cittadini che presentano patologie psichiatriche
sul territorio. Esso assicura i seguenti interventi:
Trattamenti psichiatri e psicoterapie, interventi sociali, inserimento di
pazienti in centri diurni day hospital, strutture residenziali e ricoveri;
Attività diagnostiche, colloqui psicologici per la definizione di programmi
terapeutico – riabilitativi e socio – riabilitativi, con interventi ambulatoriali,
domiciliari di rete e residenziali;
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Attività di raccordo con i medici di medicina generale, per fornire consulenza
e per condurre progetti terapeutici ed attività formativa;
Consulenza specialistica per alcolismo e tossicodipendenze e strutture
residenziali per anziani e disabili;
Valutazione ai fini del miglioramento continuo della qualità delle pratiche
adottate;
Ad esso fa capo un equipe multiprofessionale composta da: uno psichiatra, uno psicologo, un
assistente sociale e un infermiere professionale.
 Servizi semiresidenziali: i centri diurni  è una struttura semi – residenziale con
funzioni terapeutico – riabilitative. È aperto 8 ore al giorno 6 giorni alla settimana ed
è dotato di una propria equipe eventualmente integrata da operatori di cooperative
sociali o organizzazioni di volontariato. Nell’ambito di progetti terapeutico –
riabilitativi consente di attuare percorsi terapeutici e di sperimentare e apprendere la
cura di se, nelle attività di vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali oltre che ai
fini dell’inserimento lavorativo.
 Servizi residenziali: strutture residenziali  si tratta di strutture extraospedaliere
in cui si svolge una parte del programma terapeutico – riabilitativo o socio –
riabilitativo per cittadini con disagio psichiatrico. Si differenziano in base
all’intensità dell’assistenza sanitaria e non hanno più di 20 posti letto. Possono essere
realizzate e gestite dal DSM o da un privato.
 Servizi ospedalieri: i servizi psichiatrici di diagnosi e cura e i day hospital  il
primo è un servizio ospedaliero nel quale vengono attuati trattamenti psichiatrici
volontari e obbligatori in condizioni di ricovero mentre il secondo è un’area di
assistenza semiresidenziale per prestazioni diagnostiche e terapeutico – riabilitative a
medio e breve termine. Quest’ultimo si occupa di:
o Accertamenti diagnostici vari e complessi;
o Trattamenti farmacologici;
o Riduzione di ricorso al ricovero o limitazione della durata
dello stesso;

1.5. Approcci di ricerca psicopatologica

Al fine di studiare le caratteristiche e la natura dei disturbi mentali è necessario condurre delle
ricerche che sono in grado di informarci circa i sintomi di una malattia, la sua prevalenza, se
tende ad essere acuta (di breve durata) o cronica (di lunga durata) e i problemi e le carenze che
la accompagnano. Le ricerche offrono inoltre informazioni sull’eziologia dei disturbi (cause) e
consentono quindi di individuare i trattamenti più efficaci per curarli.
In psicopatologia la ricerca può avvenire in cliniche, ospedali, scuole, carceri e anche in contesti
non proprio strutturati.

1.6. Fonti di informazione: descrivere tre diversi approcci utilizzati per raccogliere
informazioni sui disturbi mentali

In psicopatologia è possibile servirsi di diversi approcci per raccogliere informazioni sui disturbi
mentali; Tra questi ricordiamo:
1) Casi studio (o studio dei casi): pur trattandosi di strumenti molto utili per raccogliere
dati e illustrare materiale clinico, spesso le informazioni presentate sono soggette a
distorsioni o “bias” poiché colui che descrive il caso studio tente a selezionare le
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informazioni da includere e quelle da omettere. Altro problema di questo approccio è
che, in genere, le informazioni raccolte hanno una bassa generalizzazione ossia non
possono essere utilizzate per trarre conclusioni circa altri casi. Infine, quando c’è un solo
osservatore e un soggetto, e quando le osservazioni sono realizzate in un contesto
incontrollato o sono aneddotiche e basate su impressioni, le conclusioni che si possono
tratte possono essere sbagliate. Nonostante ciò gli studi di caso possono essere una
preziosa fonte di idee, possono fungere da stimolo per la ricerca e fornire una visione in
condizioni cliniche particolari che però sono troppo rare per poter essere studiate in
modo strettamente sistematico.
2) Dati self – report: altro strumento utile al fine di studiare il comportamento in modo
rigoroso è rappresentato dai dati autodescrittivi o self – report che possono essere
raccolti mediante la somministrazione di questionari e/o interviste. Tuttavia, come ogni
approccio di ricerca, presenta anche delle limitazioni: innanzitutto questo tipo di dati
possono essere furvianti poiché, spesso, le persone non sono buoni report di se stesse e
dei propri stati soggettivi; in secondo luogo non possono essere sempre considerati
accurati e veritieri poiché la gente tende a mentire, a travisare la domanda o a presentarsi
sotto una luce favorevole;
3) Metodi di osservazione: rientrano in questa categoria tutti quei metodi nell’ambito dei
quali si raccolgono informazioni senza convolgere le persone attraverso domande
dirette. L’osservazione può essere diretta, quando prevede l’osservazione sistematica,
da parte di un ricercatore, dei soggetti che si intendono studiare oppure indiretta, se si
serve di strumenti che si frappongono tra l’osservatore e l’osservato. Negli ultimi anni,
per esempio, si stanno sviluppando metodi che consentono di studiare il comportamento
mendiante l’utilizzo di tecniche di “neuroimaging” o di stimolazione magnetica
transcranica che consentono di studiare da vicino il nostro cervello impegnato in attività
di lavoro.
Oggi gran parte della ricerca clinica comporta un mix di dati self – report (questionari) e metodi di
osservazione (osservatori addestrati, barinimaging) che consentono di ottenere un quadro piuttosto
esaustivo e completo dei disturbi e delle patologie sottoposte a ricerca.

1.7. Formulare e verificare ipotesi: spiegare perché è necessario un gruppo di controllo per
verificare adeguatamente un’ipotesi

Quando progettano uno studio di ricerca gli studiosi formulano delle ipotesi, che possono essere
definite come uno sforzo per spiegare, prevedere o esplorare qualcosa e aiutano a ottenere una
comprensione più completa di come e perché le cose accadono. Esse si distinguono dalle semplici
speculazioni poiché, per poter essere confermate o smentire, e quindi essere utilizzate o meno per
fungere da base a una teoria, devono essere testate. Inoltre, in psicologia clinica, le ipotesi risultano
essere molto importanti poiché determinano spesso gli approcci terapeuti utilizzati per il trattamento
di un partocolare problema clinico.

- Campionamento e generalizzazione

Al fine di verificare le ipotesi formulate in fase iniziale e di dimostrane la credibilità scientifica ci si


serve, in genere, dello studio di un ampio gruppo di persone che presentano lo stesso problema.
Questo gruppo prende il nome di campione e, per poter generalizzare i risultati ottenti mediante lo
studio dello stesso, è necessario che esso sia rappresentativo della popolazione di riferimento in
tutti i criteri fondamentali (es. gravità e durata del disturbo, e criteri demografici come età, sesso,
stato civile). Poiché non sempre, a causa dei vincli del mondo reale, è possibile costruire un
campione che risponda perfettamente alle esigenze di ricerca, a volte i ricercatori utilizzano i
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cosidetti “campioni di convenienza” che sono gruppi di persone facilmente accessibili e diponibili
(es. universitari). Altra strategia di campionamento, senza dubbio molto conveniente, consiste nel
reclutare dei partecipanti online. Un limite di questa procedura è che, nella maggior parte dei casi, i
soggetti rclutati non costituiscono un campione rappresentativo della popolazione di riferimento.

- Validità interna e validità esterna

Dal punto di vista della ricerca, più il campione è rappresentativo, meglio saremo in gardo di
generalizzare i risultati del nostro studio al gruppo più grande. La misura in cui possiamo
generalizzare i nostri risultati, al di la dello studio stesso, è chiamata validità esterna. Uno studio di
ricerca che coinvolga una popolazione sia maschile che femminile, di tutte le età, i livelli di reddito
e i livelli di istruzione avrà maggior validità esterna di una ricerca che utilizza solamente studenti
universitari di sesso femminile. A differenza della validità esterna, quella interna è la misura in cui
uno studio è metodlogicamente corretto, privo di equivoci o di altre fonti di errore e quanto possa
essere utilizzato per trarre conclusioni valide.

- Criterio e gruppi di confronto

Per testare le ipotesi i ricercatori utilizzano un gruppo di controllo costituito da persone che non
presentano la malattia in fase di studio, ma che sono paragonabili in tutti gli altri aspetti (età,
numero di maschi e di femmine, livello di istruzione e variabili demografiche) al gruppo di
controllo. Questo approcciò puo essere utilizzato anche per confontare gruppi di pazienti con
disturbi diversi.

1.8. I disegni di ricerca di correlazione: spegare perché i disegni di ricerca correlazionali sono
utili anche se non possono essere utilizzati per fare inferenze causali

Quando, per motivi etici e pratici, non è possibile raccogliere informazioni sulle cause di un
determinato disturbo in modo diretto, ci si serve del disegno di ricerca correlazionale. Attraverso
di esso il ricercatore seleziona alcuni gruppi di interesse e li confronta per mezzo di una verietà di
misure diverse basandosi sul presupposto che il mondo funziona in modi che consentono di creare
reggruppamenti naturali di persone che si possono quindi studiare. Attraverso l’utilizzo di questi
disegni di ricerca è stato possibile identificare i fattori che sembrano associati alla depressione,
all’alcolismo, al binge eating o a stati psicologici alternati di disagio.

- Misurare la correzione

La ricerca effettuata con la correlazione determina quindi delle associazioni tra i fenomeni osservati
che possono essere positive (correlazione positiva) se le misure variano insieme e in modo diretto
e corrispondente, negative (correlazione negativa) se all’aumentare di una l’altra diminuisce o
nulle se le due variabili sono indipendenti l’una dall’altra. La forza di correlazione tra due variabili
viene misurata mediante un coefficiente di correlazione indicato con il simbolo r. il segno + o –
indica la direzione dell’associazione tra variabi. Una correlazione positiva significa che punteggi
più alti in una variabile sono associati a punteggi più alti in un’altra variabile mentre una
correlazione negativa significa che, come salgono i punteggi di una variabile tendono a scendere i
punteggi dell’altra.

- La significatività statistica
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La significatività statistica indica la probabilità che la correlazione tra due variabili si verifichi per
caso. Essa viene influenzata non solo dalla grandezza della correlazione tra due variabili ma anche
dalle dimensioni del campione. Le correlazioni basate su un campione molto ampio possono essere
molto piccole e raggiungere comunque la significatività statistica mentre le correlazioni tratte da
piccoli campioni hanno bisogno di essere molto alte perché siano realmente significative.

- L’ampiezza dell’effetto

Il fatto che la significatività statistica sia influenzata dalle dimensioni del campione crea delle
difficoltà quando si vogliono confrontare i risultati di studi condotti utilizzando campioni di
dimensioni diverse. Per ovviare a tale problema i ricercatori spesso segnalano una statistica
denominata ampiezza o dimensione dell’effetto che riflette la dimensione dell’associazione tra due
variabili indipendenti dalla dimensione del campionamento. Un’ampiezza dell’effetto pari a zero
significa che non vi è una correlazione tra variabili.

- La meta – analisi

Quando i ricercatori vogliono riassumere i risultati della ricerca in una determinata area, spesso lo
fanno attraverso una ricerca bibliografica o una recensione e nell’elaborare le conclusioni fanno
affidamento sui livelli di significatività. Un’approccio senza dubbio migliore è quello di condurre
una meta – analisi un approccio statistico che calcola, e quindi combina, le dimensioni dell’effetto
da tutti gli studi.

- La correlazione e la causalità

Importante a questo punto è chiarire che correlazione non significa causalità. Ciò significa che il
fatto che due variabili siano correlate non dice nulla rispetto al motivo per cui lo siano. Si introduce
così il problema della terza variabile che richiede di individuare la variabile che spiega la
relazione tra le altre due. Nonostante gli studi di correlazione non siano in grado di individuare
relazioni causali possono essere comunque una fonte di inferenze capace di fornire dati importanti
per confermare o smentire le ipotesi.

- Strategia retrospettiva o prospettica

I disegni di ricerca correlazionli possono essere utilizzati per studiare diversi gruppi di pazienti nel
momento stesso in cui viene condotto lo studio. Se si vuole invece conoscere ciò che sono stati i
pazienti prima di sviluppare un disturbo specifico bisogna adottare una strategia di ricerca
retrospettiva che consiste nel raccogliere informazioni su come i pazienti si comportavano prima
con l’obiettivo di identificare fattori che potrebbero essere associati all’insorgere della patologia.
Un limite di questa tecnica è che spesso le memorie, del paziente o dei famigliari, sono difettose e
selettive. Un altro approccio è quello di utilizzare una strategia di ricerca prospettica con
l’obbiettivo di identificare le persone che hanno una probabilità superiore alla medi di sviluppare un
disturbo psichiatrico. In questo caso risulterà più facile fidarsi delle ipotesi formulate poiché si
procederà passo passo a monitorare le influenze e quindi risulterà più facile anche ipotizzare e
stabilire una relazione causale. Uno studio che segue le persone nel tempo e cerca di identificare i
fattori che precedono l’indorgenza del disturbo prende il nome di disegno longitudinale.

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1.9 Il metodo sperimentale in psicopatologia: illustrare le caratteristiche fondamentali di un
disegno sperimentale

Abbiamo già accennato al fatto che anche quando si trovanoforti associazioni positive o negative tra
variabili, la ricerca di tipo correlazionale non consente di trarre conclusioni circa la direzionalità del
fenomeno (problema della direzione dell’effetto). Per poter risolvere tale problema è necessario
avvalerzi di un approccio di ricerca sperimentale. In questo tipo di approccio i ricercatori tengono
sotto controllo tutti i fattori tranne uno detto variabile indipendente, che viene poi manipolato per
verificare se ha un effetto su una variabile o un esito di un certo interesse detto variabile
dipendente.

- L’efficacia dei trattamenti

Il metodo sperimentale si è dimostrato indispensabile al fine di individuare i trattamenti più adatti


alla cura di determinate patologie. È infatti sufficiente somministrare un determinato trattamento a
un certo gruppo di pazienti e non ad un altro gruppo con lo stesso problema e, qualora il gruppo
trattato mostri un miglioramento significativo rispetto al gruppo non trattato, si può avere fiducia
nell’efficacia dello stesso. Nella ricerca sull’efficacia dei trattamenti è necessario che i due gruppi
siano il più possibile equivalenti eccetto per la presenza o l’assenza del trattamento o del non
trattamento. Per facilitare ciò i pazienti vengono assegnati casualmente all’uno o all’altro gruppo.
Una volta che il trattamento è stato definito efficace può essere promosso anche per i membri del
gruppo di controllo. In alcuni casi può essere attivato un disegno di ricerca alternativa in cui i
trattamenti vengono confrontati in gruppi di soggetti diversi ma comparabili. Questo metodo viene
definito studio standard di trattamenti a confront, prevede che l’efficacia della condizione di
controllo sia già stata testata e consente di verificare se i pazienti che ricevono il nuovo trattamento
migliorano in misura maggiore o minore rispetto al gruppo di controllo. Tale ricerca viene usata in
maniera sempre più frequente.

- Disegni sperimentali a soggetto singolo

I disegni sperimentali a soggetto singolo vengono utilizzati per sperimentare e testare le tecniche di
terapia in un quadro scientifico e studiano il comportamento di uno stesso individuo nel tempo. Uno
dei disegni sperimentali più semplici nella ricerca del singolo caso si chiama ABAB e si articola in
quattro fasi:
1. Raccolta dei dati sul partecipante;
2. Introduzione trattamento. Probabilmente il comportamento subisce modifiche che non
possono però ancora essere legate al trattamento. Infatti potrebbero essere intervenute altre
variabili;
3. Interruzione del trattamento e osservazione delle conseguenze;
4. Ripristino del trattamento e valutazione delle conseguenze sul comportamento. Se sono le
stesse osservate nelle fase B si dimostrerà l’efficacia del trattamento. (Es. tricotillomania)

- La ricerca sugli animali

Un altro modo in cui si può utilizzare il metodo sperimentale è condurre ricerca sugli animali. Essa
si basa sulla convinzione, ancora oggi molto discussa, che i risultati ottenutu siano generalizzabili
all’uomo e viene utilizzata per effettuare studi che non sarebbe possibile condurre sugli animali.

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Esperimenti di questo tipo prendono il nome di studi analogici e in essi non si studia l’elemento di
interesse ma un’approssimazione assimilabile ad esso.

CAPITOLO II: LA PROSPETTIVA STORICA E CONTEMPORANEA DELLA


PSICOPATOLOGIA

2.1. La psicopatologia nella storia: come il comportamento psicopatologico è stato nel corso
della storia

I documenti scritti riguardo la storia dell’umanità esistono solo da poche migliaia di anni, ragione
per cui la conoscenza dei nostri predecessori è decisamente limitata. Le prime informazioni circa
l’interpretazione ed il trattamento delle malattie mentali nell’antichità ci provengono da due papiri
egizi del XVI secolo in cui il cervello viene riconosciuto e descritto come il luogo delle funzioni
mentali e vengono forniti alcuni indizi su quali fossero i primi trattamenti delle malattie mentali e
dei disturbi del comportamento.
Alcuni disturbi, nonostante siano stati affrontati per la prima volta in psichiatri anle XIX secolo,
hanno sempre posto grandi problemi alla società, come dimostrato dalle informazioni riportate su
alcune tavolette ritrovate nel palazzo di Assurbanipal in Mesopotamia, in cui vengono descritti
problemi di salute mentalemolto simili ai disturbi riportati nell’ ICD-10 e nel DSM – 5. Al tempo,
tuttavia, i disturbi comportamentali non venivano affrontati attraverso la medicina, bensì attraverso
incantesimi e riti religiosi.

- La demonologia, gli dei e la magia

I riferimenti alla psicopatologia nei primi scritti della storia dimostrano che molti popoli, tra cui i
cinesi, gli ebrei ed i greci, attribuivano i comportamenti di un dato disturbo a un demone o ad un dio
che si sarebbe impossessato della persona. Gli antichi distinguevano, a seconda dei sintomi
manifestati, due tipi di possessione e da cio dipendeva il modo di relazionarsi con le persone
considerate possedute. Nel caso in cui si assumeva che la persona fosse posseduta da uno spirito
buono ci si rivolgeva ad essa con timore e rispetto mentre nel caso in cui, come avveniva nella
maggior parte dei casi, si riteneva che la persona fosse posseduta da un spirito maligno, si
compivano esorcismi per cercare di liberare il corpo in cui aveva “preso dimora”.

- I primi concetti della medicina secondo Ippocrate

Durante d’età dell’oro della Grecia si compirono notevoli progressi nella comprensione dei disturbi
mentali. È l’epoca di Ippocrate, considerato padre della medicina moderna, che per primo negò che
le divinità e i demoni intervenissero nello sviluppo delle malattie e insistette sul fatto che i disturbi
mentali aavessero cause naturali e dovessero essere adeguatamente trattati. Egli sottolineò
l’importanza dell’ereditarietà e e delle predisposizioni, evidenzò come lesioni alla testa potessero
causare disturbi sensoriali e motori e classificò, descrivendoli in maniera minuziosa, i disturbi
mentali in tre categorie: mania, melanconia e phrenitis. Risale a quest’epoca anche uno dei più noti
paradgmi per spiegare la personalità: la dottrina dei quattro umori, secondo cui i quattro elementi
si combinano a formare i quattro fluidi corporei (il sangue, il flagma, la bile gialla e la bile nera)
che, combinati, determinano il temperamento di una persona. Da questa visone nacque una delle
prime e più longeve classificazioni del comportamento umano: sanguigno, flemmatico, collerico,
melanconico.

11
Sviluppi del pensiero: la melanconia attraverso i secoli

Nessun’altro disturbo ha mai ricevuto tanta attenzione come la depressione o, come veniva
chiamata in passato, melanconia. Radden nel 2000 ha pubblicato un interessante compendio sulla
melanconia i cui punti salienti sono:
 Le indagini sulla natura della depressione iniziano nell’antica Grecia con Ippocrate e
Galeno;
 Anche nel Medioevo, pur ostacolati dalle persecuzioni religiose, gli studiosi si interessarono
alla melanconia;
 Hildegard, una suro considerata la prima donna medico ha approfondito il punto di vista
greco su questo disturbo e notato come esso si manifestasse in modo diverso tra uomini e
donne;
 Johann Wier ha fornito descrizioni sulla melanconia ed esaminato le caratteristiche delle
persone affette da esso;
 La versione pre – moderna della melanconia come disturbo è stata introdotta da Phillipe
Pinel;
 Due moderni precursori per quanto riguarda la comprensione della depressopne sono stati
Griesinger secondo cui era necessario ricercare le basi biologiche di determinati disturbi e
Kraepelin che ha reparato la strada alla moderna psichiatria.

I trattamenti proposti da Ippocrate erano all’avanguardia rispetto alle pratiche allora prevalenti e la
sua tendenza a mettere in rilievo le cause naturali delle malattie, ed a servisi dell’osservazione
clinica lo rendono un antesignano dei moderni medici, tuttavia aveva una scarsa conoscenza della
fisiologia.
Altre due figure di spicco della Grecia antica che si occuparono di studiare i disturbi mentali furono
Platone ed Aristotele. Il primo intese i fenomeni psichici come risposte dell’intero organismo,
sottolineò l’importanza delle influenze sociali nel determinare il comportamento e propose una sorta
di assistenza ospedalizzata per coloro che soffrivano di disturbi mentali. Tuttavia condivise l’idea
secondo cui i disturbi mentali fossero in parte causati dali dei. Il secondo invece ipotizzò che i
disturbi mentali potessero essere causati dalla frustrazione e dal conflitto e, per primo, offrì una
descrizione della coscienza.

- Il tardo pensiero greco e romano

Il lavoro di Ippocrate venne approfondito da medici successivi sia greci che romani che
sperimentarono, per la cura dei disturbi mentali, una vasta gamma di trattamenti come: dieta,
massaggi, idroterapia, purghe, salassi. Uno dei medici più influenti in questo periodo fù Galeno che
pur non contribuendo alla nascita di nuovi trattamenti o alla descrizione dei distubi mentali, diede
contributi originali riguardanti l’anatomia del sistema nervoso. Egli divise per esempio le cause dei
disturbi in fisiche e mentali e inserì tra le cause lesioni alla testa, abuso di alcol, shock, paura.

- Le prime ipotesi sul disturbo mentale in Cina

La Cina è stata una delle prime civiltà ad aver sviluppato l’attenzione verso i disturbi mentali e la
medicina che si è sempre basata sulla credenza secondo cui le malattie fossero causte da fattori
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naturali. La medicina cinese raggiunse un livello sofisticato nel II secolo a.c quando una delle figure
di spicco fu quella del medico Chung Ching. Egli basò le proprie opinioni sui disturbi fisici e
mentali sulle osservazioni cliniche e nritenne le patologie organiche la causa dei disturbi mentali.
Come trattamenti utilizzò sia i farmaci sia azioni rivolte alla riconquista di un equilibrio emotivo.
Come in occidente anche in Cina la visione dei disturbi mentali regredì tra il II e il IX secolo
tuttavia il “periodo buio” della Cina non è mai stato tanto severo nelle cure come in occidente.

- La visione della psicopatologia durante il Medioevo

Durante il medioevo gli aspetti più scientifici della medicina greca si conservarono solamente in
Medio Oriente dove nacquero i primi ospedali che si occuparono di trattare i disturbi mentali. In
Europa, invece, la psicopatologia è limitata e il trattamento degli individui affetti da malattie
mentali è spesso caratterizzato da rituali o da superstizioni piuttosto che da tentativi di comprendere
l’individuo. Nonostante questo i disturbi mentali furono molto diffusi nel medioevo, soprattutto alla
fine del periodo quando le istituzioni e le strutture sociali inziarono a cambiare. Utili a comprendere
questo periodo della storia sono due avvenimenti imprtanti dell’epoca:
Follia di massa: diffusione di disturbi del comportamento in un dato gruppo di persone che
venivano colpiti contemporaneamente. Es. taranta (inizi XII secolo) – licantropia. Questo
fenomeno si verifica periodicamente fino al XVIII secolo ma raggiunge il picco tra il XIV e
il XV secolo , epoca nota per l’ppressione sociale, la fame e le epidemie, senza dubbio cause
di tale disturbo. Oggi si verifica solo di tanto in tanto e simula qualche tipo di malattia fisica
con svenimenti e convulsioni. Es. 1983 in Cisgiordania un centinaio di ragazze palestnesi
sono state colpite da tali sintomi – 1990 in Nigeria molti uomini credevano che i loro
genitali fossero sciomparsi (possibile causa: emancipazione femminile).
Esorcismo: si tratatva di una pratica molto diffusa nel medioevo e praticata soprattutto dal
clero. In questo periodo inoltre molte persone con disturbi mentali vennero accusate di
stregoneria e, spesso, punite o uccise per questo. In realtà le opinioni in merito a tali
fenomeni sono discordanti e ciò dimostra la difficoltà di interpretare eventi storici lontani.

2.2 Verso approcci umanitari: descrivere l’effetto che l’umanesimo ha avuto sulla
psicopatologia

Tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento nasce un movimento che prende il nome di
Umanesimo nel corso di cui, grazie alla rinascita della discussione scientifica, le credenze
superstiziose che avevano ostacolato la comprensione ed il trattamento terapeutico dei disturbi
mentali cominciano ad essere messe in discussione. In questo periodo si assistette al ritorno della
ragione e dell’osservazione e ciò permise lo sviluppo dei moderni approcci clinici e sperimentali.
Tra le figure che si distinsero in questo periodo per le loro convinzioni circa i disturbi mentali
meritano di essere ricordati:
 Paracelso: secondo cui i disturbi mentali originavano da cause psichiche;
 Johann Weyer: secondo cui tutti coloro che nei secoli precedenti erano stati inprogionati,
torturati e bruciati per stregoneria erano in realtà malati, nella mente o nel corpo, uccisi
ingiustamente. Egli fu uno dei primi medici a specializzarsi in disturbi mentali e la sua
esperienza e le sue idee progressiste hanno fatto si che venga considerato il padre della
psicopatologia moderna;

- La creazione di primi istituti di cura e le riforme umanitarie

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Solo a partire dal XVI secolo si assistette alla nascita di istituzioni, chiamate asili, destinate alla
cura di persone affette da malattie mentali e nate con l’obiettivo di allontanare questi individui dalla
società. Tra i primi istituti nati in Europa meritano di essere ricordati quello eretto in Spagna nel
1409 e quello eretto a Londra nel 1547 e trasformato in manicomio da Enrico VIII seguiti poi, negli
anni successivi, dagli istituiti di Mosca (1764) e di Vienna (Torre dei lunatici 1784). Inizialmente
l’approccio terapeutico adottato in queste istituzioni si basava sulla convinzione che i pasienti
dovessero scegliere la ragione rispetto alla follia ragione per cui le tecniche di trattamento erano
aggressive e volte a ripristinare un equilibrio nel corpo e nella mente. Tra queste erano inclusi anche
potenti farmaci, trattamenti in acqua, salassi, applicazione di sanguissughe e scosse elettriche.
A partire dalla fine del XVIII si aprì un’età di riforme per quanto riguarda il trattamento umanitario
dei pazienti, ad opera di personalità come Pinel, Tuke e Rush. Pinel dimostrò, attraverso un
esperimento, che i pazienti con malattia mentale dovessero essere trattati con gentilezza e
considerazione e promosse così iniziative orienate a favorire il miglioramento nella gestione di
manicomi e asili. Nello stesso periodo, in Inghilterra, Tuke fondò una casa in cui i malati mentali
potessero vivere e lavorare in un ambiente sereno e accogliente promuovendo una nuova modalità
di trattamento dei disturbi e favorendo la diffusione di questo metodo in tutto il paese. La politica
della Gran Bretagna di fornire un trattamenti più umano alle persone affette da malattie mentali
venne poi diffusa anche nelle colonie. Il successodegli esperimenti di Pinel e Tuke rivoluzionò il
trattamento delle malattie mentali in tutto l’occidente. Negli Stati Uniti questa rivoluzione si riflettè
nel lavoro di Benjamin Rush, primo americano a organizzare un corso di psichiatria e figura
transizionale tre il vecchio e il nuovo perido delle cure psichiatriche in America.
Durante questo primo perido di riforma umanitaria divenne relativamente diffuso l’uso della
gestione morale , un metodo di trattamento variegato, focalizzato sui bisogni sociali, individuali e
professionali del paziente che venne tuttavia quasi completamente abbandonato nel XIX secolo per
le seguenti ragioni: il crescente pregiudizio etnico nei confronti della popolazione immgrata, la
diffusione del movimento di igene mentale e l’idea secondo cui tutti i disturbi mentali dovessero
essere trattati con soluzioni basate sulla biologia.
Ospedali psichiatrici e psichiatria in Italia

Gli ospedali psichiatrici sono stati istituiti in Italia a partire dal XV secolo ed erano inizialmente
chiamati “manicomi”, “freenocomi”, “ospizi per alienati”. Attorno al XIX secolo si inizò poi a
discutere una legge che potesse regolamentare tutti i manicomi del paese che avevano avuto fino ad
allora piena autonomia per quanto riguardava l’internamento dei pazienti e a cui si accedeva
secondo modalità diverse. In alcune struttire, infatti, si poteva accedere solo con l’autorizzazione
del prefetto, in altre solo con l’autorizzazione del singolo, in altre ancora con la sola richiesta della
famiglia. Le normative restarono immutate fino al 1902 quando Giolitti presentò al senato una legge
denominata “ disposizioni intorno agli allienati e ai manicomi” che prevedeva l’obbligo di ricovero
solo per le persone scandalose o pericolose e l’ammissione solo a seguto di una procedura giuridica.
Essa rimase in vigore fino al 1978 e serviva quasi esclusivamente a tutelare la società civile dai
soggetti malati di mente. Nel 1924 venne poi istituita la Lega italiana di igiene e profilassi
mentale, con lo scopo di cambiare la visione dei manicomi e di incrementarne la funzione curativa
piuttosto che detentiva. Negli anno ’30 naquero invece i dispensari, volti alla cura del malato al di
fuori della struttura ospedaliera. Nel 1978 divenne legge l’idea secondo cui la malattia mentale non
esistesse e che gli ospedali psichiatrici dovessero quindi essere chiusi. Questo processo di
deistituzionalizzazione provocò però spesso l’abbandono di effettivi malati psichici, che non
potevano più fruire di strutture residenziali ne accedere a ricoveri tradizionali. Questo causò, nel
ventennio che va dal 1980 al 2000 il triplicarsi delle morti causate da malattie mentali.

Ulteriori passi avanti nella considerazione dei malati psichiatrici si compirono, in America, grazie
all’opera di Dorotea Dix che, tra il 1841 e il 1881 diede vita ad una campagna volta a far cessare i
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trattamenti disumani delle persone con malattie mentali, che culminò nella nascita del movimento di
igiene mentale e grazie ai progressi compiuti dalla medicina militare.

- Il punto di vista del XIX secolo sulle cause e i trattamenti delle malattie mentali

Nella prima parte del secolo gli ospedali psichiatrici erano gestiti per lo più da laici, a seguito del
successo del trattamento morale nella cura dei malati di mente. I medici professionisti o gli
psichiatri, avevano un ruolo relativamente irrilevante nella cura del malato e nella gestione degli
ospedali e le uniche misure utilizzate erano le droghe, i salassi, le purge, con pochi risultati validi.
Durante l’ultima parte del secolo i medici introdussero però, accanto alla gestione morale della
terapia, anche altre procedure mediche, per quanto rudimentali.

- Il cambiamento degli atteggiamenti e delle terapie per la salute mentale nel XX secolo

Nl corso del XX secolo si fecero enormi passi avanti per quanto riguarda la considerazione dei
manicomi e dei malati mentali, anche grazie ai lavori di coloro che denunciarono la situazione
drammatica vissuta dai pazienti all’interno dei manicomi ed i trattamenti disumani a cui erano
sottoposti. A partire dalla metà del 900 si assitette poi alla nascita di una serie di programmi per lo
sviluppo di ambulatori psichiatrici e di programmi idonei di riabilitazione. Il cammino verso le
modifiche delle condizioni degli ospedali psichiatrici accellerò ulteriormente grazie al processo
scientifico nella prima metà del XX secolo che consentì la nascita di farmaci efficaci per il
trattamento di molte malattie. Anche negli Stati Uniti, durante gli ultimi decenni del XX secolo si
registrò un processo di deistituzionalizzazione, favorita dal fatto che si ritenesse più umano trattare
le persone con disturbi mentali al di fuori degli ospedali psichiatrici. Ciò ha però causato molti
problemi di abbandono dei malati, dovuti soprattutto al fallimento delle politiche economiche e
sanitarie nel colmare le lacune dei servizi di salute mentale. Alla fine del XX secolo i luoghi di
degenza sono stati sostanzialmente sostituiti da cure basate sul reinserimento nella comunità sociale
e trattamenti day hospital.

2.3. L’emergere del punto di vista contemporaneo in psicopatologia: identificare gli sviluppi
che hanno portato alla visione contemporanea della psicopatologia

Mentre il movimento d'igiene mentale guadagnano terreno, durante gli ultimi anni del
diciannovesimo secolo si sono confermate grandi scoperte tecnologiche sia negli Stati Uniti sia
all'estero. Questi progressi hanno contribuito a introdurre quella che oggi è conosciuta come la
visione scientificamente o sperimentalmente orientata dei comportamenti disturbati o anomali e
l'applicazione delle conoscenze scientifiche per il trattamento di persone con disturbi mentali.
Quattro furono i temi che, tra il XIX e il XX secolo hanno influito sulle prospettive contemporanee
sul comportamento anomalo:
1) Le scoperte biologiche durante questo periodo si moltiplicano innanzitutto i progressi
nello studio dei fattori biologici e anatomici come sottostanti a disturbi fisici che
consentono, per esempio, di scoprire le cause alla base della paresi dovuta alla sifilide
cerebrale. Con l’emergere della moderna scienza sperimentale, inoltre, si assistette ad un
rapido aumento della conoscenza fisiologica, neurologica, chimica e di medicina generale,
che portò a supporre che il disturbo mentale potesse essere basata sulla malattia di un
organo: il cervello. È in questo periodo, per esempio, che Alois Alzheimer ed altri studiosi
dimostrarono l’influenza di una patologia cerebrale nella arteriosclerosi cerebrale e nei
disturbi mentali senili. Nel corso del XX secolo vennerò però compiuti anche dei passi falsi
nel trattamento delle malattie mentali, come il ricorso a lobotomie e a procedure chirurgiche

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invasive (estrazioni denti, milza, ovaie) per rimuovere gli organi la cui infiammazione si
credeva potesse provocare malattie mentali;
2) Lo sviluppo del sistema di classificazione dei sisturbi mentali  ad opera di uno
psichiatra tedesco, Emil Kraepelin che, dopo aver osservato che certi tipi di sintomi si
verificavano insieme abbastanza regolarmente da poter essere considerati specifici di una
data malattia mentale, ha proceduto a chiarire e descrivere questi tipi di disturbi elaborando
un sistema di classificazione che può essere considerato il precursore dell’attuale DSM.
3) L’emergere delle teorie sulla causalità psicologica  Nonostantel’enfasi posta sulla
ricerca biologica, la comprensione dei fattori psicologici nei disturbi mentali stava
progredendo. I primi sforzi per comprendere le causalità psicologiche dei disturbi mentali
sono stati condotti da Franz Mesmer secondo cui i pianeti influenzavano un fluido
magnetico universale presente nel corpo, la cui distribuzione determinava la salute o la
malattia. Egli concluse inoltre che tutte le persone possedevanp forze magnetiche che
potevano essere utilizzate per influenzare la distribuzione del fluiso negli altri provocandone
la guarigione. Nonostane inizialmente questa teoria godette di grande seguito, ben presto
venne screditata a seguito della dimostrazione che la fonte delle modificazioni stava nella
suggestionabilità deò paziente che nel megnetismo. Questa teoria, tuttavia, influì sulla
psicologia e sull’ipnosi per molti anni;
4) Gli sviluppi della ricerca sperimentale in psicologia: nel corso del XIX secolo si assitette
poi alla nascita ed allo sviluppo della ricerca sperimentale in psicologia, ad opera dei
seguenti movimenti:
La scuola di Nancy: Lieubeault, un medico francese attivo nella città di Nency, utilizzò con
successo l’ipnosi nella sua pratica e, collaborando con Hippolyte Bernheim, sviluppò
l’ipotesi secondo cui l’ipnotismo e l’isteria fossero entrambi dovuti alla suggestione. Questa
ipotesi si basa sostanzialmente su due linee e di prove:
 I fenomeni osservati nell’isteria, come per esempio la paralisi del braccio e
l’incapacità di ascoltare le aree anestetizzate, potevano essere prodotte in persone
normali mediante l’ipnosi;
 Gli stessi sintomi potevano anche essere rimossi mediante l’ipnosi. Gli studiosi che
hanno accettato questo punto di vista sono conosciuti come aderenti alla scuola di N.
Con le conclusioni a cui era pervenuta la scuola di Nency dissentì Charcot, neurologo a capo
dell’ospedale Salpetriere di Pargici, secondo cui erano i cambiamenti degenerativi del cervello che
portavano all’isteria, ipotesi che si rivelò sbagliata. Alla fine gli aderenti alla scuola di Nency
ebbero la meglio e questo primo riconoscimento che il disturbo mentale sia causato da fenomeni
psicologici stimolò ulteriori ricerche sul comportamento stottostante l’isteria ed altri disturbi;
L’esordio della psicoanalisi: il primo che cercò di capire come si sviluppano i disturbi
mentali casuati da fattori psicologici fu Sigmund Freud che, colpito dagli studi sull’ipnosi e
sugli stati isterici condotti da Charcot, Lieubeault e Berheim, si convinse che i processi
mentali potessero rimanere nascosti dalla coscienza. L’approccio promosso da Freud, che si
fondava sul lasciar raccontare al paziente ipnotizzato in maniera libera le proprie emozioni,
conduce all formulazione del concetto di inconscio e si serve sostanzialemte di due metodi:
quello delle associazioni libere che implicava che i pazienti parlassero liberamente di se
stessi, e quello dell’analisi dei sogni che richiedeva che i pazienti registrassero e
descrivessero i propri sogni. Queste tecniche aiutarono gli analisti e i pazienti a acquisire
conoscenze sempre più ampie e a raggiungere una migliore comprensione dei problemi
emotivi dei soggetti.
La psicologia sperimentale: Le origini di gran parte del pensiero scientifico della
psicologia contemporanea si ritrovano nei primi tentativi, da Prte di Wundt e di James per
studiare i processi psicologici in modo oggettivo. Nel 1879 Wundt istituisce a Lipsia il
primo laboratorio di psicologia sperimentale in cui si dedica allo studio dei fattori
psicologici coinvolti nella memoria e nella percezione attraverso l’uso di metodi e strategie
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sperimentali di base. Solo nel 1896 però un suo allievo combinò la ricerca con
l’applicazione e istituì la prima di una lunga serie di cliniche, presso l’iniersità della
Pensiylvania. Egli fù inoltre tra i primi a riconoscere una nuova area di causalità dovuta
all’ambiente o a fattori socio culturali. Con il primo decennio del XX secolo fiorirono
laboratori psicologici e clinici e si svilupparono molte ricerche che, grazie alla
comunicazione rapida di obbiettivi e scoperte favorì lo sviluppo della psicologia moderna.
La prospettiva comportamentista: tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si assite alla
nascita di un altro filone interno alla psicologia, denominato comportamentismo che, in
contrapposizione con la psicologia sperimentale, rifiuta qualsiasi riferimento alla mente ed
ai suoi contenuti e si propone di studiare il comportamento osservabile (oggetto) al fine di
prevederlo e controllarlo (obiettivo) e, per farlo, si serve di un metodo sperimentale ed
oggettivo. È possibile distinguere tre fasi, che corrispondono all’affermarsi di tre diversi
paradigmi: quello del condizionamento classico, quello del condizionamento operante e
quello dell’apprendimento sociale. Il primo paradigrma, ispirato agli studi del riflessologo
russo Pavlov, si basa sull’idea secondo cui associando ripetutamente uno stimolo neutro ad
uno stimolo incondizionato che provoca un comportamento incondizionato è possibile
trasformare lo stimolo neutro in uno stimolo condizionato che genera una risposta
condizionate. Il secondo paradigma, messo a punto da Torndike e Skinne, prende il nome di
condizionamento operante e si basa sull’idea che le conseguenze del comportamento
(positive o negative) sono in grado di influenzare il comportamento stesso nel momento in
cui le si rinforza positivamente o negativamente.

CAPITOLO 3: I FATTORI CAUSALI DEI DISTURBI E I VARI PUNTI DI VISTA IN


PSICOPATOLOGIA

3.5. L’aspetto sociale in psicopatologia: tre noti fattori sociali che hanno contribuito al
comportamento patologico

Si definiscono fattori sociali le influenze ambientali che possono influenzare psicologicamente una
persona in modo negativo, rendendola quasi priva di risorse per far fronte agli eventi. Diversi sono i
fattori in grado di avere effetti negativi importanti sullo sviluppo socio – emotivo di un bambino:
 Deprivazione precoce o presenza di traumi  i bambini che non hanno la possibilità di
fruire delle risorse messe a disposizione dai genitori o da loro sostituti possono supire danni
capaci di provocare conseguenze psicologiche profonde e talvolta irreversibili. Le più gravi
manifestazioni di privazione sono in genere osservate tra i bambini orfani o abbandonati,
che possono essere sia istituzionalizzati (orfanotrofi) sia posti in un susseguirsi di case –
famiglia. Le ricerche condotte su bambini istituzionalizzati dimostra che la maggior parte di
essi soffre di una prolungata privazione ambientale e sociale, che molti di essi mpostrano
gravi problemi emotivi, comportamentali e di apprendimento e sono a rischio per disturbi
legati ai rapporti interpersonali e alla psicopatologia in generale. Inoltre è stato dimostrato
che questi bambini presentano un ridotto sviluppo cerebrale rispetto a bambini mai
istituzionalizzati. Fortunatamente i risultati di queste ricerche hanno avuto un forte impatto
sulle politiche pubbliche che cercano di affidare i bambini a famiglie affidatarie o adottive
piuttosto che agli orfanotrofi.
Le privazioni possono verificarsi anche in famiglie in cui, per varie ragioni, i genitori non
sono in grado o non vogliono fornire attenzione umana e nutrimento ai figli. L’abuso da
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parte dei genitori (fisico o mentale) è stato associato a molti effetti negativi sullo sviluppo
emotivo, intellettuale e fisico dei bambini. I bambini vittime di abusi hanno la tendenza a
essere eccessivamente aggressivi, a rispondere con rabbia e aggressività anche alle aperture
amichevoli e presentano spesso difficoltà di sviluppo linguistico e notevoli problemi di
funzionamento comportamentale emotivo e sociale. È stato inoltre dimostrato che i bambini
vittima di abusi è più probabile che sviluppano modelli atipici di attaccamento
(disorganizzato/disorientato). Questi effetti possono durare anche per tutta l’infanzia e l’età
adulta. Adulti abusati hanno in media, livelli di istruzione più bassi e occupazione e
guadagno peggiori, inoltre l’abuso fisico durante l’infanzia è un buon predittore del fatto
che il soggetto diventi a sua volta utilizzatore di violenza.
Effetti negativi sulla salute fisica e psicologica del bambino possono derivare anche dalla
separazione dai genitorie. Questi bambini, stando a quanto scoperto da Bowlby, pssono
sviluppare un attaccamento insicuri e sono più a rischio di sviluppare, in età adulta,
depressione e disturbi psichiatrici. Questi effetti possono essere mitigati se il bambino
mantiene un rapporto sicuro almeno con un genitore.
 Problemi nello stile educativo genitoriali  anche molti tipi di carenze genitoriali
possono avere effetti profondi sulle capacità del bambino di far fronte ai problemi della vita.
I genitori che hanno gravi forme di psicopatologie tendono ad avere uno o più figli che sono
a loro volta a forte rischio per una vasta gamma di problemi legati alla depressione, al
disturbo della condotta, alla delinquesza e al disturbo da deficit dell’attenzione.
Sono stati identificati quattro tipi di stili genitoriali che sembrano essere correlati a differenti
esiti evolutivi per i bambini:
Autorevoli  i genitori sono calorosi e moderati nel controllo ma anche molto
attenti a porre dei limiti e restrizioni per un certo tipo di comportamento. Le ricerche
rivelano che i bambini tendono ad essere amichevoli e a mostrare un buono sviluppo
di competenze genitoriali e nell’interazione con gli altri e i loro ambienti abituali;
Autoritari  i genitori sono scarsamente affettuosi e accoglienti ma molto rigidi nel
controllo e sono spesso freddi ed esigenti. Le ricerche rivelano che i bambini
tendono ad essere conflittuali, irritabili e lunatici. Quando entrano nell’adolescenza
mostrano risultati negativi e i maschi sembrano mostrare abilità sociali e cognitive
scarse.
Permissivi/indulgenti  i genitori sono molto affettuosi e poco controllati per
quanto riguarda la disciplina. Le ricerche mostrano che i bambini tendono a divenire
impulsivi e aggressivi. Inoltre questi bambini sono generalmente viziati , impazienti,
poco considerati dagli altri ed esigenti;
Negligenti/non coinvolti  i genitori sono poco calorosi e controllati. Le ricerche
mostrano che i bambini tendono ad avere variazioni nell’uomore e rivelano bassa
autostima e manifestano problemi in tarda fanciullezza. Hanno problemi anche nelle
successive relazioni sentimentali che risultano povere e nei risultati scolastici.
 Problemi coniugali e divorzio  i modelli disturbati di interazione genitore – figlio si
riscontrano raramente in forme gravi a meno che il contesto famigliare complessivo sia
realmente patologico. In ogni caso è importante distinguere famiglie dove c’è una
significativa discordia coniugale dalle famiglie in cui vi sia stata una separazione o un
divorzio. Per quanto riguarda il primo caso la discordia coniugale può avere effetti dannosi
sia per gli adulti che per i loro figli. I figli tendono, per esempio, ad essere più aggressivi
verso i coetanei e i genitori. Inoltre alcune ricerche hanno dimostrato che è più facile che
anche la unioni dei figli siano caratterizzate da contrasti.
Anche il divorzio ha conseguenze negative tanto per gli adulti quanto per i bambini. I primi
sono maggiormente a rischio di sviluppare patologie psichiatriche mentre i secondi rischino
maggiormente di sviluppare ansia, depressione e delinquenza minorile. Gli effetti si possono
protrarre anche in età adulta manifestandosi in livelli di istruzione inferiore, redditi più
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bassi, inferiore soddisfazione nella vita e maggiori possibilità di far finire il proprio
matrimonio con un divozio.
 Basso status socio – economico e dissocupazione  nella nostra società, più bassa è classe
socio – economica maggiore è l’incidenza di disturbi mentali e fisici. Ci sono molte ragioni
che possono spiegare questa associazione inversa: innanzitutto alcune persone con disturbi
mentali possono scivolare in fondo alla scala sociale e non riuscire a risalire a causa della
scarsa disponibilità economica, in secondo luogo le persone che vivono in condizioni di
povertà vanno incontro a fattori di stress più gravi e generalmente hanno anche meno risorse
per curarsi. I bambini con SSE basso tendono anche ad avere più prblemi psicologici. Vari
studi hanno poi messo in luce un nesso tra disoccupazione, lo stress emotivo e la
vulnerabilità psicopatologica e dimostrato che i tassi di depressione, i problemi coniugali e i
disturbi somatici aumentano notevolmente durante i periodi di disoccupazione e possono
interessare, oltre agli adulti, anche i bambini.
 Relazioni disadattive tra pari  a volte nella relazione tra pari si possono presentare
diversi tipi di problemi, come il bullismo o essere vittima forma di esclusione o aggressione
che sono associati a un aumento del rischio di disturbi psicologici successivi. Diversi studi
hanno trovato che i soggetti che manifestano bullismo sono caratterizzati sia da alti levlli di
aggressività proattiva che reattiva . i bulli, inoltre, hanno un elevata comprensione del
sociale che permette loro di manipolare e organizzare i loro coetanei guidandoli verso
obbiettivi o ricompense a loro gradite. La maggior parte dei bambini riferisce dei bambini
riferisce di avere atteggiamenti negativi verso il bullo ma in genere non fanno nulla per
intervenire. Negli ultimi anni, una nuova forma di bullismo è emersa come problema. Il
cyberbullismo comprende l’invio di messaggi offensivi, molesti, o intimidatori su internet,
oppure con la diffusione di alcune informazioni molto personali. Questo fenomeno può
causare disturbi di ansia, fobia della scuola, bassa autostima, ideazione suicidaria.
 Pregiudizio e discriminazione sociale  è possibile distinguere due tipi di bambini
popolari: quelli prosociali che comunicano con i loro coetanei in forme di cooperazione
amichevole e assertiva e quelli antisociali che, di solito, tendono ad essere “ragazzi difficili”,
deboli dal punto di vista del rendimento scolastico, molto aggressivi e sfidanti. Vi sono poi
bambini che vengono costantemente rifiutati dai propri coetanei e che, in genere, possono
essere distinti in due categorie: quelli rifiutati perché troppo aggressivi e quelli rifiutati
perché troppo passivi. I primi hanno un atteggiamento eccessivamente esigente o
aggressivo, si offendono molto facilmente e tendono ad avere un atteggiamento meno
indulgente in certe situazioni. I secondi invece tendono ad essere altamente anassertivi e
sottomessi e ciò li espone maggiormente al rischio di sviluppare depressione ed ansia.
Infine, molti membri della nostra società sono ripetutamente esposti a pregiudizi e
discriminazioni a causa del sesso, della razza, dell’origine etnica. Il pregiudizio nei confronti
dei gruppi minoritari può aiutare a spiegare il motivo per cui in queste persone vi è a volte
un aumento della prevalenza di alcuni disturbi come depressione, aumento dei livelli di
rabbia e reattività cardiovascolare.

3.6 La prospettiva culturale: in che modo le differeze culturali possono influenzare la


percezione del comportamento patologico?

Comprendere il comportamento umano richiede anche di tenere conto del contesto culturale in cui
un dato comportamento si verifica poiché ciò che può essere considerato normale e anormale
differisce nei diversi luoghi del mondo. Il punto di vista culturale si occupa proprio dell’impatto che
la cultura ha sulla definizione e sulla manifestazione dei disturbi mentali. La ricerca sul campo
suggerisce che molti disturbi psicologici, sia negli adulti che nei bambini, siano universali,
comparendo un po in tutte le culture. Tuttavia, nonostante si manifestino dei sintomi molto simili, i
fattori socio – culturali sono spesso in grado di influenzare quale tipo di distirbo si potrà sviluppare,
19
le forme che potrà assumere , quanto sarà prevalente e il suo decorso. Per esempio in Giappone la
prevalenza del disturbo depressivo maggiore è del 3% mentre negli USA è del 17%. La ricerca ha
inoltre simostrato che, mentre nelle società occidentali la depressione è spesso in relazione con lo
stress individuali, in Cina gli effetti dello stess si manifestano più dipicamente con problemi fisici
come affaticamento e debolezza. Oltre all’influenza della cultura sui sintomi riportati dalle persone
vi sono anche interi modelli di sintomi in certe culture che sono diversi dai modelli sperimentati in
altre parti del mondo. Ne è un esempio il fenomeno degli hikikomori, tipicamente Giapponese, che
è un disturbo caratterizzato da solitudine e ritiro sociale acuto che colpisce soprattutto i giovani. In
questo tipo di ricerca un problema è rappresentato dal fatto che, quando alcuni test vengono tradotti
in lingue diverse da quella nella quale sono stati creati, hanno bisogno di essere adattati in modo che
tutte le domande si adattino al nuovo contesto culturale. Inoltre bisogna far attenzione a non perdere
ciò che possono essere degli elementi specifici per quella cultura per quanto riguarda i disturbi vari.

- La cultura, il comportamento manifesto e il comportamento ipercontrollato

Gli studi sulla prevalenza dei diversi tipi di psicopatologia infantile nelle diverse culture, sollevano
alcuni interessanti quesiti. In culture come quella thailandese, gli adulti mostrano comportamenti
altamente intolleranti rispetto ad aggressività, disobbedienza e atti irrispettosi dei loro bambini a cui
viene insegnato in modo esplicito ad essere educati e rispettosi ed a inibire qualsiasi espressone di
rabbia. Ciò potrebbe essere collegato al fatto che i problemi nell’infanzia derivati da comportamenti
incontrollati sono meno frequenti in thailandia che negli stati uniti dove tale comportamento sembra
essere tollerato in misura maggiore. La ricerca ha inoltre dimostrato che i genitori thailandesi
sembrano essere meno propensi di quelli americani ad un eventuale trattamento psicologico dei
figli. Le ragioni sono diverse: la loro fede buddista, che educa alla transitorietà dei problemi, il loro
ottimismo nei confronti della possibilità del bambino di migliorare e il fatto che alcuni
comportamenti siano considerati inaccettabili.

CAPITOLO 5: LO STRESS E LA SALUTE FISICA E MENTALE

5.7 Il disturbo post – traumatico da stress: cause e fattori di rischio

Nel DPTS un evento traumatico causa ricordi e vissuti in maniera matologica ed è al centro dei
sintomi clinici caratteristici associati al disturbo. I sintomi clinci del DPTS sono reggruppati in
quattro aree principali che riguardano i segenti fenomeni:
a. Intrusione: rivivere in modo ricorrente l’evento traumatico attraverso incubi, immagini
intrusive e anomala reattivià fisiologica a ricordi del trauma;
b. Evitamento: sforzi per evitare pensieri, sentimenti o ricordi legati al trauma;
c. Alterazioni negative nelle cognizioni e nell’umore: include sintomi come sensazione di
distacco, nonché stati emotivi negativi come vergogna, rabbia o senso di colpa verso se
stessi e gli altri;
d. Attivazione fisiologica e reattività: ipervigilanza, risposta eccessiva se spaventato,
aggressività e comportamento sconsiderato;

DSM-5 CRITERI DIAGNOSTICI

I seguenti criteri si riferiscononad adulti, adolescenti e bambini di età superiore a 6 anni

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Criteri per la diagnosi del distutbo post traumatico da stress:
A. Esposizione a morte reale, minacce di morte, lesione grave o violenza sessuale in uno o
più dei seguenti modi:
1. Come vittima diretta;
2. Assistendoo direttamente all’evento;
3. Ricevendo la notizia di un evento traumatico di un parente o un amico stretto. In
caso di morte reale o minaccia di morte l’evento deve essere stato violento o
accidentale;
4. Esposizione ripetuta ed estrema a dettagli crudi di eventi traumatici (questo criterio
non si applica all’esposizione attraverso media elettronici, a meno che l’esposizione
non sia legata al lavoro svolto.
A. Presenza di uno o più dei segunti sintomi intrusivi:
1) Ricordi spiacevoli di un evento specifico ricorrenti, involontari e intrusivi (nei
bambini di età superiore ai 6 anni può verificarsi un gioco ripetitivo in cui vengono
espressi temi o aspetti dell’evento traumatico);
2) Sogni spiacevoli e ricorrenti dell’evento (nei bambini possono essere presenti sugni
spaventosi senza un contenuto riconoscibile);
3) Flashback o altre reazioni dissociative (nel bambino la ritualizzazione del trauma
può verificarsi nel gioco;
4) Intensa o prolungata sofferenza psicologica all’esposizione a fattori scatenanti interbi
o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico;
5) Marcate reazioni fisiologiche all’esposizione a fattori scatenanti interbi o esterni che
simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico;
A. Sintomi di evitamento:
 Tentativo di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti associati all’evento;
 Tentativo di evitare persone, luoghi, conversazioni, oggetti, situazioni associati
all’evento;
A. Sintomi di alterazione di pensieri ed emozioni iniziate o peggiorate dopo l’evento
traumatico come evidenziato da due o più dei seguenti criteri:
Amnesia dissociativa (incapacità di ricordare alcuni aspetti importanti dell’evento
traumatico);
Aspettative negative su di se, sugli altri, sul mondo persistenti ed esagerate;
Distorti e persistenti pensieri sulle cause dell’evento che portano a dare la colpa a se
stesso o agli altri;
Riduzione dell’interesse e partecipazione ad attività significative;
Sentimento di estraneità verso gli altri;
Incapacità di provare sentimenti positivi;
Persistente stato emotivo negativo;
A. Sintomi di alterazione dell’ arousal e della reattività emozioni iniziate o peggiorate
dopo l’evento traumatico come evidenziato da due o più dei seguenti criteri:
 Comportamento irritabile e esplosioni di rabbia;
 Comportamento spericolato e autodistruttivo;
 Ipervigilanza;
 Esagerate risposte di allarme;
 Problemi di concentrazione;
 Difficoltà del sonno;
A. Le alterazioni sopra citate devono durare più di un mese
B. Le alterazioni provocano disagio significativo o comprometto il funzionamento in
ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
C. L’alterazione non è dovuta a abuso di sostanze o a altre condizioni mediche

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La differenza nella prevalenza del DPTS nella popolazione è interessante poiché gli studi mostrano
che mentre gli uomini hanno molta più probabilità di essere esposti ad eventi traumatici le donne
sono quelle che in realtà ricevono maggiormente diagnosi di DPTS e manifestano i sintomi più
gravi. Le ricerche dimostrano inoltre che i tassi di DPTS sono tendenzialmente più bassi nelle zone
in cui le persone sperimentano un minor numero di catastrofi naturali e guerre e che le stime di
prevalenza di questo tipo di dusturbo variano a seconda del tipo di trauma. In particolare è stato
dimostrato che è più difficile elaborare eventi traumatici che distruggono il senso di sicurezza che
viene dall’essere membro di un gruppo sociale con regole stabilite (Es. attacchi terroristici). Altri
fattori che possono contribuire allo sviluppo del DPTS e influenzarne quindi le stime sono: il grado
di esposizione all’evento traumatico e il modo in cui esso viene definito e valutato. Quando lo si
valuta mediante i questionari per esempio i tassi di prevalenza sono sovrastimati a causa del
fraintendimento delle voci, della presenza di sintomi che causano incomprensioni o dall’inclusione
di sintomi che hanno avuto inizio in momenti diversi, durante o dopo l’evento traumatico.

- Fattori causali nel disturbo post -traumatico da stress

Lo studio dei fattori di rischio che potrebbero essere coinvolti nello sviluppo del DPTS è
particolarmente complesso sostanzialmente per due ragioni:
 La nozione stessa di PTSD rende esplicito che esso è causato da un trauma;
 Poiché il fatto che alcune persone hanno più probabiblità rispetto ad altre di sviluppare
questo disturbo potrebbe esporle al duplice rischio di essere esposti a traumi e di essere
stigmatizzate per questo;
al fine di prevenire e trattare al meglio questo disturbo è quindi necessario comprendere quali fattori
sono coinvolti nel suo sviluppo. È possibile distinguere sostanzialmente 3 macrocategorie di fattori
di rischio che possono portare a sviluppare un PTSD:
Fattori di rischio individuali  tra i fattori individuali che, a fronte dell’esposizione ad un
evento traumatico, aumentano il rischio di sviluppare PTSD ricordiamo: essere donna, avere
elevati livelli di nevrosi, avere problemi preesistenti di deptessione e ansia, avere una storia
famigliare di depressione, ansia, abuso e avere un basso livello di sostego sociale. Per
quanto riguarda quest’ultimo fattore, in realtà, le opinioni sono controverse poiché, essendo
questo problema soliutamente valutato a seguito dell’insorgenza del disturbo, non è facile
capire se si tratti di una causa o di una conseguenza dello stesso. Infine le ricerche
dimostrano che l’avere pensieri negativi rispetto ad eventi traumatici che potrebbero
accadere in futuro è da considerarsi un fattore di rischio. Vi sono anche alcuni fattori da
considerarsi protettivi, come una buona capacità cognitiva che sembrerebbe aiutare gli
individui a dare un senso alle loro esperienze traumatiche.
Fattori biologici  per quanto riguarda i fattlori biologici che aumentano il rischio di
sviluppare PTSD le ricerche hanno messo in luce le interazioni gene – ambiente. In
particolare da queste ricerche è emerso che le persone con una forma particolare del gene
trasporatore di serotonina sono maggiormente a rischio di sviluppare questo tipo di disturbo
soprattutto se a ciò si associano bassi livelli di sostegno sociale. Dalle ricerche emerge
inoltre che nelle persone con PTSD l’ippocampo sembra essere di dimensioni leggermente
inferiori (studio comparativo tra veterani con e senza PTSD) quindi si potrebbe ipotizzare
che il volume modesto dell’ippocampo sia un fattore di vulerabilità se le persone sono
esposte ad un trauma. Essendoci tuttavia la possibilità che il trauma riduca in una certa
misura la dimensione dell’ippocampo ciò potrebbe essere sia un fattore di rischio sia la
conseguenza dell’esposizione ad un evento traumatico.
Fattori socio – culturali  infine, tra i fattori socio – culturali che aumentano il rischio di
sviluppare PTSD ricodiamo: l’appartenere ad una minoranza, avere bassi livelli di istruzione
e basso reddito, essere inseriti in un ambiente sociale non solidale.

22
- Gli effetti a lungo termine dello stress post – traumatico

La natura e la portata del PTSD sono ancora molto controversi. Talvolta, soprattutto nei militari, si
manifesta una forma ritardata del disturbo, legata alla difficoltà a riadattarsi alla vita civile. Si tratta
però di una forma non ben definita e molto difficile da diagnosticare poiché le persone possono aver
avuto anche altri problemi di adattamento che sono intercosi tra il momento del trauma e l’insorgare
del PTSD.

IL CASO DEI MILITARI


Molte persone coinvolte nella guerra sperimentano problemi psicologici devastanti per mesi o,
addirittura,per anni. Durante la prima guerra mondiale le reazioni traumatiche alle condizioni dei
combattenti erano chiamate “shell shock”, un termine coniato da un patologo britannico che
considerava queste reazioni come condizioni organiche prodotte da minuscole emoraggie cerebrali.
Tuttavia si è poi visto che solo una minima parte di tali casi era rappresentato da danni fisici. La
maggior parte delle vittime soffriva invece della situazione generale dovuta al combattimento, per la
fatica fisica, per la minaccia della morte. Durante le seconda guerra mondiale le reazioni
traumatiche dei combattenti erano conosciute come nevrosi da guerra prima di essere
definitivamente denominate esaurimento nervoso da combattimento.
L’alta prevalenza dei disturbi mentali nel personale militare continua ancora oggi ad essre una delle
principali fonti di preoccupazione. È stato stimato che circa il 12% dei militari che hanno
combattuto in Iraq sviluppoano PTSD e che lo stesso accade al 7% dei militari che hanno
combattuto in Afganistan. I tassi tendono ad essere più alti tra coloro che ricoprono ruoli di
combattimento piuttosto che di supporto, e nei Marine rispetto a chi presta servizio nell’aviazione o
nella marina (tutti dati americani). Accanto al PTSD spesso i militari soffrono anche di disturbi
ossessivo – compulsivi e manifestano tendenze suicidarie. Tra i fattori “protettivi” ricordiamo
l’identificazione nell’unità di combattimento ed una buona leadership.

CAPITOLO 6: PANICO, ANSIA, OSSESSIONI E RELATIVI DISTURBI

6.1. I pattern di risposta di paura e ansia

Storicamente, il modo più comune per distinguere tra i pattern di risposta di paura e ansia è
consistito nel determinare se fosse presente una fonte di pericolo chiara ed evidente. Quando questo
accade l’emozione sperimentata viene denominata paura, mentre, in caso contrario, si parla di ansia.
La paura è una reazione pressochè istantanea a qualsiasi minaccia di morte, è un’emozione di base
condivisa da molti animali ed ha un valore adattivo poiché spinge l’uomo a fuggire. Quando la
risposta di paura si presenta in assenza di un evidente pericolo esterno si parla invece di attacco di
panico che si manifesta con sintomi identici a quelli sperimentati in una situazione di paura, ad
eccezione del fatto che esso è spesso accompagnato da una sensazione di sventura imminente. Sia
gli stati di paura che quelli di panico presentano quindi tre componenti: cognitive/soggettive (sto per
morire), fisiologiche (aumento battito cardiaco), comportamentali (fuga). Anche l’ansia ha
componenti soggettive (stato d’animo negativo), fisiologiche (stato di tesione e iperattivazione
cronico) e comportamentali (tendenza all’evitamento di situazioni ansiogene) ma, a differenza della
paura e del panico è più orientata al futuro e più pervasiva. Anche l’ansia se si manifesta con
un’intensità lieve o moderata ha valore adattivo, poiché migliora l’apprendimento ed il rendimento,
tuttavia, quando diviene cronica o severa si trasforma in un fattore maleadattivo. Gran parte delle
23
nostre fonti di ansia e paura sono apprese e condizionate e tale processo è assolutamente normale
poiché ci consente di anticipare gli eventi spaventosi imminenti, non può più considerarsi normale
quando porta allo sviluppo di paure ed ansie clinicamente significative.

6.2 Panoramica dei disturbi d’ansia e delle loro caratteristiche comuni

I disturbi d’ansia sono caratterizzati da paura ed ansia irrealistiche e irrazionali che causano
diasagio significativo e/o una compromissione del funzionamento. Tra i disturbi riconosciuti dal
DSM-5 troviamo:
1. Fobia specifica;
2. Disturbo d’ansia sociale;
3. Disturbo di panico
4. Agorafobia;
5. Disturbo d’ansia generalizzato;
Nonostante le persone affette da questi disturbi differiscano sia rispetto al grado di paura, ansia o
panico che sperimentano, sia rispetto agli oggetti o alle situazioni da cui sono spaventati, è possibile
riscontrare alla base di essi dei fattori eziologici (cause) comuni. Tra i fattori biologici meritano di
essere ricordati: fattori genetici, il coinvolgimento di specifiche strutture cerebrali come il sistema
limbico e alcune parti della corteccia e le alterazioni di alcuni neurotrasmettitori come il GABA, la
norepinefrina e la serotonina. Tra i fattori psicologici ricordiamo invece: il condizionamento
classico di ansia, paura o panico rispetto a un’ampia gamma di stimoli, la percezione di non avere il
controllo sull’ambiente o sulle prioprie emozioni e gli schemi cognitivi disfunzionali e distorti.
Infine, anche l’ambiente socio – culturale in cui un individuo è cresciuto influisce notevolmente
sul tipo di oggetti e esperienze verso cui svilupperà ansia e paura. Anche per quanto riguarda il
trattamento dei vari disturbi sono rintracciabili molte similitudini; nella maggior parte dei casi
infatti si ricorre a farmaci e si utilizza la tecnica dell’esposizione graduale affiancata a tecniche di
ristrutturazione cognitiva.
I disturbi d’ansia più comuni sono le fobie che possono essere definite come paure persistenti e
sproporzionate di un oggetto o una situazione specifici e conduce a comportamenti di evitamento di
tali situazioni temute. Le tre categorie principali sono:

6.3 Fobie specifiche  quando un’individuo presenta una paura intensa e persistente che viene
innescata dalla presenza di oggetti o situazioni specifiche che conducono ad un livello di stress
significativo e/o a una limitazione della sua capacità di funzionare. Per poter disgnosticare una fobia
specifica bisogna basarsi sui seguenti criteri (DSM-5):
A. Paura o ansia marcata verso un oggetto o situazioni specifiche;
B. La situazione o l’oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia
C. La situazione o l’oggetto fobici vengono attivamente evitati, oppure sopportati con paura o
ansia intense;
D. La paura o l’ansia sono sproporazionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto
o dalla situazione e al contesto socio – culturale;
E. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più;
F. La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti;
G. Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale;
Il DSM-5 individua inoltre 5 sottotipi di fobie specifiche:
Animali;
24
Ambiente naturale;
Sangue, infezioni, ferite  è l’unica fobia in risposta a cui i soggetti mostrano una risposta
fisiologica come nausea, vertiggini e svenimenti;
Situazionale (trasporti pubblici, gallerie, ponti, ascensori, volare, guidare);
Altro (soffocare, vomitare);
questo disturbo interessa, almeno una volta nella vita, almeno il 12% della popolazione, è più
frequente nelle donne che negli uomoni (anche le la prevalenza varia a seconda della fobia
considerata e, generalmente, insorge durante l’infanzia. È possibile distinguere sostanzialmente due
macro categorie di cause:
1) Psicologiche  in proposito Wolpe e Richman hanno sviluppato un’ipotesi basata sulla
teoria dell’apprendimento per cercare di comprendere lo sviluppo del comportamento fobico
mediante condizionamento classico. Secondo tale ipotesi la risposta di paura può essere
condizionata da stimoli precedente neutri quando essi sono associati a eventi traumatici o
dolorosi e, una volta strutturato, questo condizionamento può generalizzarsi anche a
situazioni o oggetti simili. Perché si instauri un condizionamento non è tuttavia necessario
che la persona sperimenti una determinata situazione o evento traumatico ma è sufficiente
che guardi una persona fobica in relazione all’oggetto che produce la fobia per svilupparla
anche lui (condizionamento vicariante) Ovviamente, a fronte delle stesse condizioni di
partenza, non tutti sviluppano una fobia, ciò dipende dai fattori di rischio e protezione a cui
sono esposti ed anche dall’esperienza di condizionamento. Più essa appare incontrollabile e
ineluttabile più facile sarà sviluppare una risposta fobica rispetto che a fronte di una
situazione percepita come controllabile e da cui si può fuggire. Infine, l’uomo sembra essere
evoluzionisticamente predisposto a sviluppare determinate forbie ( serpenti, acqua, altezza
spazi chiusi) poiché hanno da sempre fatto parte dell’esperienza umana. Questo carattere
innato potrebbe aiutare a comprendere il perché di alcuni aspetti irrazionali delle fobie.
2) Biologiche  anche le variabili genetiche e temperamentali influenzano la velocità e
l’intensità del condizionamento della paura, come dimostrato da numerose ricerche tra cui
quelle che dimostrano che i gemelli monozigoti hanno più probabilità di dviluppare fobie
per animali e situazioni rispetto ai gemelli dizigoti.
Per quanto riguarda il trattamento delle fobie specifiche il metodo più efficace è la terapia da
esposizione che si basa sull’esposizione graduale e controllata agli stimoli che generano paura. Una
variante è quella del modellamento partecipato durante cui il terapeuta mostra al paziente alcune
modalità di interazione con l’oggetto o la situazione fobica.

6.4 Fobia sociale  è caratterizzata da paure invalidanti di una o più situazioni specifiche che
spingono l’individuo as evitare tali situazioni o a tollerarle con enormi livelli di stress. Il DSM-5
individua due sottotipi di tale fobia uno dei quali si concentra su situazioni in cui al soggetto viene
richiesta una performance (es. parlare in pubblico) e l’altro che è più generale e include situazioni in
cui non è richiesta una performance (es. mangiare in pubblico). Per poter disgnosticare una fobia
specifica bisogna basarsi sui seguenti criteri (DSM-5):
 Paura o ansia marcate in una o più situazioni sociali in cui l’individuo è esposto al possibile
giudizio degli altri. Nei bambini l’ansia deve manifestarsi anche a contatto con i coetanei e
non solo con gli adulti;
 L’individuo teme che agirà in modo tale o manifesterà sintomi di ansia che saranno valutati
negativamente;
 Le situazioni sociali temute provocano quasi invariabilmente ansia o paura. Nei bambini
possono essere spresse piangendo, con scoppi di collera, immobilizzazione, aggrappamento,
ritiro;
 Le situazioni temute sono evitate o sopportate con ansia e paura intense;

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 La paura o l’ansia sono sproporazionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto
o dalla situazione e al contesto socio – culturale;
 La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più;
 La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti;
 Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale;
 Se presente un’altra condizione medica la paura, l’ansia o l’evitamento sono non
chiaramente correlati o eccessivi;
Questo disturbo colpisce circa il 12% della popolazione in un qualche momento della propria vita, è
più diffuso tra le donne, emerge durante l’adolescenza o la prima età adulta e comporta, in almeno
un terzo dei casi, una compromissione rilevante in una o più aree di funzionamento, che si traduce
in tassi di occupazione e in uno status socio – economico più bassi. E’ possibile distinguere due
macrocategorie di cause:
A. Psicologiche  La fobia sociale sembra spesso avere origine da semplici fenomeni di
condizionamento vicario o classico come sperimentare o assistere a quella che viene
percepita come un’umiliazione, oppure essere l’oggetto di aggressioni o critiche, oppure
anche solo assistere a qualcuno che viene preso di mira. È comunque importante considerare
che, come per le fobie specifiche, non tutti coloro che sperimentano un condizionamento
classico o vicariante sviluppano una fobia sociale. Le esperienze individuali, infatti, giocano
un ruolo molto importante. È stato inolte proposto che le fobie sociali si siano evolute come
effetto secondario delle gerarchie sociali basate sul principio della dominanza, molto diffuse
tra gli animali e stabilite mediante incontri aggressivi tra i membri di un gruppo sociale e a
seguito di cui l’individuo sconfitto mostra umiliazione. Se ciò fosse vero non sorprende che
gli esseri umani abbiano una predisposizione evoluzionisticamente fondata a sviluppare
paure di stimoli sociali che segnalano dominanza e aggressività da parte di altri esseri
umani. È stato poi osservato che giocano un ruolo determinante nello sviluppo si fobie
specifiche anche l’essere stati esposti a eventi stressanti incontrollabili e imprevedibili e i
fattori cognitivi (bias cognitivi). In particolare è stato osservato che le persone affette da
fobia sociale tendono ad aspettarsi rifiuti o giudizi negativi che li inducono a preoccuparsi
delle proprie risposte corporee e a mostrare un’immagine negativa di se nelle situazioni
sociali. Un altro bias cognitivo è la tendenza a interpretare situazioni sociali ambigue in
modo negativo;
B. Biologiche  tra le cause bilogiche, quella più importante è l’inibizione comportamentale
che si manifesta solitamente durante l’infanzia con l’evitamento di stimoli non famigliari o
con la tendenza ad affrontarli con grande stress e rappresenta un fattore si rischio per lo
sviluppo di una fobia sociale in età adolescenziale o adulta.
Per quanto riguarda il trattamento delle fobie specifiche esso include sia terapie cognitive che
comportamentali e, talvolta, anche l’uso dei farmaci. Le terapie cognitivo – comportamentali
prevedono l’abbinamento dell’esposizione del paziente alle situazioni temute con la ristrutturazione
cognitiva, che aiuta i pazienti a identificare i propri pensieri negativi per poi poterli modificare.
Talvolta per il trattamento di questo disturbo ci si avvale anche dell’utilizzo di farmaci. I più usati
sono gli antidepressivi che, tuttavia, non sembrano permettere al paziente di raggiungere risultati
comparabili a quelli raggiungibili con le terapie e, inoltre, devono essere assunti per tempi lunghi
per scongiurare il rischio di una ricaduta.

6.5 Disturbo di panico  è caratterizzato dalla presenza di attacchi di panico che spesso non
sembrano essere provocati da elementi chiaramente identificabili nella situazione immediata. In altri
casi, invece, sono predisposti dalla situazione in cui l’individuo si trova (alla guida, in mezzo alla
folla). ). Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa
improvvisa di paura o disagio che reggiungono il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si
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verificano quattro (o più) dei seguenti sintomi: sudorazione, tremori fini o a grandi scosse,dispnea o
sensazione di soffocamento, sensazione di asfisia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi
addominali, sensazione di vertiggine, di svenimento, brividi o vampate di calore, sensazioni di
tepore o di formicolio, sensazione di irrealtà, paura di perdere il controllo o impazzire, paura di
morire;
 Almeno uno degli attacchi è seguitoda un mese (o più) da uno o entrambi i seguenti sintomi:
o Preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze;
o Significativa alterazione disadattiva del comportamento (evitamento di determinate
situazioni);
 L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un’altra
condizione medica;
 Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale;
Una delle complicazioni frequenti del disturbo di panico è l’agorafobia a causa di cui gli individui
che ne soffrono sono ansiosi rispetto al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali scappare sarebbe
difficile o imbarazzante o nei quali non sarebbe disponibile un aiuto immediato qualora accadesse
qualcosa di spiacevole. Per poter disgnosticare l’agorafobiabisogna basarsi sui seguenti criteri
(DSM-5):
Pure o ansie marcate relative ad una o più di queste situazioni: utilizzo di trasporti pubblici,
trovarsi in spazi aperti, trovarsi in spazi chiusi, stare in fila o tra la folla, stare fuori casa da
soli;
L’individuo teme o evita queste situazioni;
La situazione agorafobica genera quasi sempre ansia o paura;
Le situazioni agorafibiche vengono attivamente evitate o richiedono la presenza di un
accompagnatore o vengono sopportate con paura e ansia intense;
La paura, l’ansia o l’evitamento sono sproporazionate rispetto al reale pericolo rappresentato
dall’oggetto o dalla situazione e al contesto socio – culturale;
La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più;
La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti;
Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale;
Se presente un’altra condizione medica la paura, l’ansia o l’evitamento sono non
chiaramente correlati o eccessivi;
la stima più recente dell’agorafobia nel corso della vita è dell’ 1,4%.
Per quanto riguarda invece il disturbo di panico è stato dimostrato che circa il 4,7% della
popolazione ha sofferto di disturbo di panico con o senza agorafobia che insorge in un’età compresa
tra i 20 e i 40 anni, tende ad avere un decorso cronico e invalidante e ha una prevalenza doppia nelle
donne rispetto che negli uomini. La spiegazione delle differenze di genere è di carattere socio –
culturale pichè si ritiene più accettabile per una donna sperimentare situazioni di panico che per un
uomo.
La maggior parte di coloro che soffrono di disturbo di panico (87%) ha almeno un altro disturbo in
comorbilità, in genere: disturbo d’ansia generalizzato, fobia sociale, fobia specifica, DPTSD
disturbi da uso di sostanze e depressione. Quest’ultima è la più comune con una prevalenza
compresa tra il 50% e il 70%.
Molteplici sono i fattori che determinano lo sviluppo di un disturbo di panico conclamato a fronte
dell’esposizione a un evento stressante, tra questi ricordiamo:
 Cause biologiche come fattori genetici, anomalie biologiche e psicologiche. Per quanto
riguarda i fattori genetici è stato innanzitutto dimostrato che il disturbo di panico ha una

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moderata componente ereditabile come emerge da numerosi studi condotti sui gemelli. In
secondo luogo è stato dimostrato che l’amigdala, una delle componenti del “circuito della
paura” gioca un ruolo principale negli attacchi di panico. In particolare sappiamo che gli
attacchi di panico si verificano quando si attiva il circuito della paura ad opera di imput
provenineti da aree inferiori del cervello. Pertanto secondo questa prospettiva, il disturbo di
panico si svilupperebbe più facilemente in soggetti che hanno un circuito della paura molto
sensibile. È importante ricordare, tuttavia, che gli attacchi di panico sono una sola delle
componenti di questo disturbo in cui sono quindi coinvolte anche altre aree cerebrali come
l’ippocampo, che sembrerebbe essere responsabile dell’ansia condizionata e dell’evitamento
e i centri corticali superiori, responsabili delle reazioni di pericolo.
Altra causa del disturbo di panico sembrerebbero essere delle anomalie biologiche a carico
di due sistemi di neurotrasmettitori quello noradrenergico e quello serotoninergico. Anche il
neurotrasmettitore GABA è coinvolto nell’ansia anticipatoria che molte persone con
disturbo di panico sperimentano.
 Cause psicologiche  il disturbo di panico è causato anche da un certo numero di fattori
psicologici. Secondo la teoria cognitiva del panico, i soggetti che soffrono di questo
disturbo manifestano la tendenza a interpretare le proprie reazioni corporee con le
spiegazioni più drammatiche. Questo può generare altri sintomi fisici simili all’ansia, che a
loro volta alimentano i pensieri catastrofici e generano l’instaurarsi di un circolo vizioso.
Secondo la teoria dell’apprendimento, invece, le persone con distrurbo di panico tendono
ad associare gli attacchi di panico a fattori interni ed esterni precedentemente neutri, e ciò
causa lo sviluppo dell’ansia anticipatoria e talvolta anche delle paure agorafobiche. Questo
fa si che un soggetto che ha sviluppato tale disturbo tenderà a generalizzare più facilmente il
condizionamento a stimoli simili.Infine i soggetti con disturbo di panico mettono in atto di
comportamenti protettivi attraverso cui si convincono di poter evitare l’insorgenza
dell’attacco e presentano dei bias nel modo di interpretare le informazioni minacciose;
Per quanto riguarda il trattamento di tale disturbo in genere esso comprende approcci
comportamentali e cognitivo – comportamentali e diverse categorie di farmaci. Tra le terapie
cognitivo – comportamentali più efficaci ricordiamo l’esposizione enterocettiva cioè l’esposizione
deliberata a situazioni interne temute; e il trattamento per il controllo del panico che prevede di
fornire al paziente delle informazioni sull’ansia, gli attacchi di panico e la loro funzione adattiva, di
insegnargli delle tecniche di controllo della respirazione, di spiegargli gli errori logici che ha la
tendenza a fare e come sottoporli a ri-analisi logica e, infine di esporlo alle sensazioni corporee e
alle situazioni temute. Per quanto riguarda i farmaci si utilizzano gli asiolotici, che sono molto utili
in situazioni acute di ansia o panico poiché agiscono rapidamente ma hanno effetti collaterali come
sonnolenza, riduzione della performance cognitiva e motoria e dipendenza. Altro tipo di farmaci
utilizzati sono gli antidepressivi che, a differenza dei precedenti, non causano dipendenza ma
richiedono un tempo più prolungato per fare effetto (4 settimane). Per quanto riguarda la
combinazione tra ansiolitici e TTC essa si è dimostrata utile sul breve periodo ma, a lungo andare,
aumenta il rischio di ricaduta.

6.6 Disturbo d’ansia generalizzato  quando lo stato di preoccupazione rispetto a diversi aspetti
della vita diviene conico, eccessivo o irragionevole può essere diagnosticato un disturbo d’ansia
generalizzato, basandosi sui seguenti criteri individuati dal DSM-5:
Ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive che si manifestano per la maggior
parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi e attività;
L’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione;
L’ansia e la preoccupazione sono associate a tre (o più) dei segunti sintomi (nei bambini è
sufficiente un solo item): irrequietezza, tensione, facile affaticamento,difficoltà a
concentrarsi e vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni sonno;

28
La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti;
Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale;
La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o di un’altra
condizione medica.
Le persone con DAG sperimentano preoccupazioni cosrtanti che riguardano, in genere, famiglia,
lavoro, finanze, stato di salute. Cio fa si che facciano fatica a prendere decisioni e che, dopo che ci
sono finalmente riusciti, si preoccupano all’infinito. Per quanto riguarda la prevalenza nel arco di un
anno è del 3% mentre nell’arco della vita del 5,7%. Esso tende ad essere più frequente nelle donne
che negli uomini, cronico anche se non sempre invalidante. L’età d’esordio è spesso difficile da
determinare perché il 60% - 80% dei pazienti riferisce di aver sofferto d’ansia da sempre e, spesso,
compare i comorbilità con altri disturbi d’ansia e dell’umore come disturbo di panico, fobia sociale
e specifica DPTSD, depressione maggiore. Per quanto riguarda le cause del disturbo è possibile
distinguerne due macro categorie:
1. Psicologiche  diverse variabili psicosociali sembrano favorire l’esordio dell’ansia
generalizzata così come il suo mantenimento. Sperimentare eventi di vita imprevedibili e/o
incontrollabili può creare una vulnerabilità all’ansia e favorire l’ansia nell’attualità. Gli
individui credono inoltre che il rimugino assolva un certo numero di funzioni importanti
(evitamento superstizio della catastrofe, evitamento di argomenti profondamente salienti dal
punto di vista emotivo, meccanismi di coping e preparazione) ed esso potrebbe di fatto
essere rinforzato dal momento che riduce riduce l’attivazione fisiologica. Tuttavia il
rimugino ha anche conseguenze negative, fra cui il fatto che porta a un ulteriore rimugino e
crea un senso di incontrollabilità percepita sul processo stesso del rimuginare che, per di più,
aumenta l’ansia poiché sopprimendo le risposte fisiologiche impedisce di elaborare o fare
piena esperienza di ciò che prova che è fondamentale per superarlo. Infine, l’ansia è
associata a un bias attentivo e interpretativo automatico verso l’informazione minacciosa.
2. Biologiche  i fattori biologici coinvolti nel DAG possono essere riconducibili alla
genetica, ad anomalie nei neurotrasmettitori e a differenze neurobiologiche. Le evidenze a
supporto dei fattori genetici nel DAG sono incerte, ma sembra esserci una modesta
componente di ereditabilità anche se sembra che nel determinare se un’individuo svilupperà
il disturbo giochino un ruolo determinante i fattori ambientali. Per quanto riguarda le
anomalie neurotrasmettitoriali sembrerebbe che sia implicata nel DAG un deficit del GABA
che gioca un ruolo determinante nella gestione dell’ansia. Non è però ancora chiaro se
questo sia una causa o una conseguenza del disturbo. Sembrerebbero inoltre implicati nello
sviluppo dell’ansia anche la serotonina e la norepinefrina. Fortemente implicato nel DAG è
anche l’Ormone di rilascio della Corticotropina. Infine per quanto riguarda le differenze
neurobiologiche, sembrerebbe che i soggetti con DAG oltre alle alterazioni dei
neurotrasmettitori citate in precedenza abbiano un circuito della paura più sensibile
(amigdala).
Per quanto riguarda il trattamento la maggoior parte prevede una combinazione di approcci
farmacologici e terapia cognitivo – comportamentale. Nella maggior parte dei casi si
utilizzano farmaci appartenenti alla famiglia delle penzodiazepine (Xanax) anche se
generano dispendenza fisica e psicologica e non sembrano avere molto effetto sul rimugino.
Più efficace in questo senso è il buspirone che però necessita di più tempo per fare effetto.
Anche diverse categorie di antidepressivi sono utili. il trattamento più efficace è tuttavia
risultato essere la TCC (tecniche comportamentali + tecniche di rilassamento muscolare +
tecniche di ristrutturazione cognitiva).

6.7. Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati  questa categoria di disturbi


comprende, oltre al DOC, anche il disturbo da dismorfismo corporeo, il disturbo da
accumulo, il disturbo da escoriazione e la tricotillomania che, all’interno del DSM-5 sono
29
stati inseriti in una categoria a se per varie ragioni: l’ansia non è utilizzata come indicatore
della gravità del DOC, le ragioni neurobiologiche alla base di esso sembrano essere diverse
da quelle dei disturbi d’ansia, infine questi ultimi rispondono ad un più ampio spetro di
farmaci.

1) Disturbo ossessico compulsivo: è definito dalla presenza di pensieri ossessivi e di


comportamenti compulsivi messi in atto per tentare di neutralizzare tali pensieri. Le
ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi intrusivi persistenti e ricorrenti che
sono vissuti come inappropriati o incontrollabili. Le compulsioni includono
comportamenti ripetitivi messi in atto in luoghi rituali e vengono messe in atto per
ridurre lo stress o prevenire situazioni ed eventi temuti. Esistono cinque tipi di
rituali compulsivi: pulizia, controllo, ripetere, mettere in ordine, sistemare e contare
che variano a seconda della gravità. Per diagnosticare un DOC è necessario basarsi
sui seguenti criteri individuati dal DSM-5:
 Presenza di compulsioni, ossessioni o entrambi;
 Le ossessioni e compulsioni fanno consumare tempo e causano disagio
clinicamente significativo e compromissione del funzionamento in ambito
sociale lavorativo e in altre aree importanti;
 I sintomi ossessivo compulsivi non è attribuibile agli effetti fisiologici di
una sostanza o di un’altra condizione medica.
 Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale;
per quanto riguarda la prevalenza lungo l’arco della vita è del 12% mentre dell’1% nell’arco di un
anno. Il disturbo compare in genere in tarda adolescenza o in età adulta ma può insorgere anche in
adolescenza. La comparsa durante l’infanzia o l’adolescenza è più comune nei maschi ed è spesso
associato ad una gravità e ad un’ereditabilità maggiore. Nella maggior parte dei casi ha un esordio
graduale, tende ad essere cronico e si presenta in comorbilità con fobia sociale, disturbo di panico e
DAG. Per quanto riguarda le cause se ne possono distinguere due macrocategorie:
 Cause psicologiche: la prospettiva dominante dell’approccio dell’apprendimento sul
DOC è derivata dalla teoria dei due fattori di Mower secondo cui stimoli neutri vengono
associati a pensieri o esperienze che generano paura attraverso il condizionamento
classico e diventano in grado di elicitare ansia. Questo fa si che il soggetto metta in atto
delle risposte di evitamento che, una volta apprese, sono molto resistenti all’estinzione.
Secondo alcuni ricercatori inoltre alcune caratteristiche del disturbo (compulsioni sullo
sporco e sulla contaminazione) potrebbero avere delle radici evoluzionistiche. Altri
fattori che influiscono sullo sviluppo del DOC sono: il tentativo di sopprimere pensieri
ossessivi, l’eccessivo senso di responsabilità che il malato si attribuisce e un bias
cognitivo verso i contenuti disturbanti connessi alle loro preoccupazioni (tendono a
prestargli più attenzione del normale).
 Cause biologiche: una mole sostanziale di evidenze identifica il ruolo dei fattori
biologici nello sviluppo del DOC.Tali evidenze derivano da studi gentici, da studi su
alterazioni del funzionamento cerebrale del circuito cortico – basale – gangli – talamico
e da studi su anomalie a carico dei neurotrasmettitori come la serotonina, il GABA, il
glutammato e la dopamina.
Per quanto riguarda il trattamento il più efficace è quello dell’esposizione con prevenzione della
risposta che include il fatto che il paziente si esponga ripetutamente a stimoli che procano le
ossessioni senza poter mettere in atto, subito dopo, le compulsioni. In questo modo si dimostra al
paziente che l’ansia creata dall’ossessione si dissiperà naturalemente. La maggior parte delle
persone che portano a termine la terapia, che consente di raggiungere risultati migliori che con i
trattamenti farmacologici, dimostra una riduzione del 50 – 70% dei sintomi. I farmaci più utilizzati
sono quelli che hanno un effeto sul sistema serotoninergico che, però hanno tassi di ricaduta molto

30
alti. In casi molto gravi si applicano anche delle procedure chirurgiche, a fronte di un disturbo che
persiste da 5 anni e resistente a qualsiasi altra forma di trattamento.

1) Dismorfismo corporeo (DDC): le persone affette da questo disturbo sono


ossessionate da uno o più difetti percepiti o immaginati nel loro aspetto al punto da
credere di essere brutti o sfigurati. Spesso mettono in atto anche comportamenti di
evitamento delle normali attività per paura che le altre persone possano provare
repulsione. Per poter diagnosticare tale disturbo bisogna basarsi sui seguenti criteri
individuati dal DSM-5:
o Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico
che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve;
o A un certo punto, durante il decorso del disturbo, l’individuo ha messo in atto
comportamenti ripetitivi o azioni mentali in risposta a preoccupazioni legate
all’aspetto;
o Le preoccupazioni causano disagio clinicamente significativo o compromissione
del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
o Le preoccupazioni non sono meglio giustificate da preoccupazioni legate al peso
in un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici del disturbo
alimentare;
Stime attendivili di prevalenza sono difficili da ottenere poiché solitamente chi ne soffre tiene
segreto questo disturbo. Tuttavia i ricercatori stimano che colpica l’1 – 2% della popolazione in
generale e l’8% di coloro che soffrono di depressione. Sembra colpire più le donne che gli uomini,
anche se le parti del corpo sui cui si concentrano sono spesso diverse e l’età d’esordio si colloca
generalmente in adolescenza. Le persone che soffrono di DCC hanno spesso una diagnosi di
depressione e anche i tassi di comorbilità con la fobia sociale e il DOC sono alti. Le persone con
DCC, come quelle con DOC, hanno evidenti ossessioni e compulsioni come cercare rassicurazioni
o guardarsi spesso allo specchio ma, a differenza dei pazineti con diagnosi di DOC tendono ad
essere convinti che le loro credenze siano corrette. Alcuni ricercatori hanno messo in luce le
dimilitudini con il disturbo alimentare.
Per quanto riguarda i fattori causali di questo disturbo informazioni utili ci provengono dal
approccio bio-psico-scoale grazie a cui noi oggi sappiaamo che: il DDC sembra avere prevalenza
maggiore in un contesto socio-culturale che attribuisce grande valore all’essere attraenti e alla
bellezza, gli individui che soffrono di questo disturbo da bambini venivano rinforzati più per il loro
aspetto fisico che per il loro comportamento o erano criticati o presi in giro per il loro aspetto.
Infine vi sono evidenze empiriche che dimostrano che le persone affette da DDC siano
caratterizzate da un bias nell’attenzione e nell’interpretazione relativamente all’essere attraenti.
I trattamenti efficaci per il DCC sono connessi a quelli per il DOC (terapia cognitivo –
comportamentale, antidepressivi e SSRI)

1) Distrurbo da accumulo: l’accumulo compulsivo compare in circa 3-5% della


popolazione adulta e in circa 10 -40% delle persone che ricevono diagnosi di DOC.
Queste persone possono acquistare o non essere in grado di buttare numerosi oggetti
apparentemente inutili o di valore molto limitato, in parte a causa dell’attacamento
emotivo che sviluppano. In più le loro abitazioni sonp talmente caotiche da
interferire con le normali attività. Per quanto riguarda le terapie farmacologiche
sembra che quelle che funzionano per il DOC non funzionino per chii presenta un
disturbo da accumulo. Sembrano invece funzionali gli antidepressivi.
2) Tricotillomania: ha come sintomo principale strapparsi peli o capelli da qualsiasi
parte del corpo. Lo strapparsi i capelli è spesso precedeuto da un senso crescente di
tensione seguito da piacere, gratificazione o sollievo quando i capelli vengono
31
strappati. Di solito si presenta quando la persona è sola che e spesso esamina le
radici die capielli estratti e si passa la ciocca tra i denti. L’esordio può avvenire
mell’infanzia o dopo.

CAPITOLO 14: DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO, DISTURBI CHE SI SVILUPPANO


NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA

14. 1 Specifiche considerazioni sulla comprensione dei disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza

Il campo della psicopatologia dello sviluppo si occupa di definire cosa sia anormale per ciascuno
stadio dello sviluppo attraverso il confronto con i cambiamenti normali attesi che si verificano
durante la crescita.
Nella valutazione della presenza e della gravità dei problemi di salute mentale nei bambini e negli
adolescenti, bisogna considerare i seguenti punti:
 Bambini ed adolescenti non hanno una visione di sé e del condo complessa e realistica come
quella di un adulto poiché non hanno ancora sviluppato un senso di sé stabile e una
comprensione delle aspettative altrui e delle risorse che possiedono per far fronte ai
problemi;
 Le minacce percepite sono meno moderate da considerazioni legate alle esperienze passate o
alle aspettative future e vengono quindi considerate sproporzionatamente importanti. Per
tale ragione i bambini incontrano maggiori difficoltà di fronte ad eventi stressanti;
 La mancanza di esperienza nell’affrontare le difficoltà fa si che alcuni problemi risolvibili
vengano invece visti dal bambino come insormontabili;
 I bambini sobo più dipendenti di quanto non sia un’adulto e se questo, da un lato, li aiuta a
respingere i pericoli, dall’altro li rende molto più vulnerabili all’abuso ed al maltrattamento;

Fino al 1952, anno di pubblicazione del DSM -1, non è stato disponibile alcun sistema di
classificazione dei disturbi emotivi e comportamentali di bambini ed adolescenti. In esso, la sezione
relativa ai disturbi infantili comprendeva solamente due disturbi: la schizzofrenia infantile e i
problemi di adattamento. Tale sezione è stata quindi ampliata con l’aggiunta, nel DSM -II (1968) di
molte categorie diagnostiche. Nonostante cio clinici e ricercatori ritenevano tale classificazione
inadeguata per diverse ragioni: poiché ci si serviva, per la classificazione dei disturbi infantili, dello
stesso sistema messo a punto per gli adulti anche se non vi era alcun corrispettivo per disturbi come
l’autismo o i DSA; poiché ignorava il ruolo dei fattori ambientali e perché i sintomi non venivano
considerati in relazione al livello evolutivo del bambino. Tutti questi limiti sono stati pienamente
considerati nel DSM – 5.

14.2 Ansia e depressione nei bambini e negli adolescenti

- I disturbi d’ansia in infanzia e adolescenza

Durante l’infanzia avere paura di alcune cose è considerata una parte dello sviluppo umano che,
nella maggior parte dei casi, non ha risvolti psicologici e si risolve con il passare del tempo.
Tuttavia, in alcuni casi, l’esperienza di paura ed ansia sono estreme e persistenti, tanto da
compromettere la qualità di vita del bambino, a cui viene diagnosticato un disturbo d’ansia.
Questo tipo di disturbi, che si presentano spesso in comorbilità con i disturbi depressivi, hanno una
prevalenza (dati riferiti agli USA) di circa il 32% con un’incidenza maggiore nelle femmine (38%)
rispetto che nei maschi (26%). Le forme più diffuse sono: le fobie specifice (19%), il disturbo da
32
ansia sociale (9%) il PTSD (5%) e il disturbo d’ansia da separazione (8%). Quest’ultimo, è
caratterizzato da un ansia eccessiva rispetto alla separazione dalle figure di attaccemento. I bambini
che soffrono di questo disturbo sono spesso insicuri, provano apprensione per situazioni nuove,
sono immaturi per la loro età e vengono descritti come timidi, sensibili, facili al pianto. Quando
vengono separati dalle figure di attaccamento tendono a sviluppare paure morbose (es. che i genitori
si ammalino o muoiano). Il disturbo ha una prevalenza maggiore nelle femmine (9%) che nei
maschi (6%) e può presentarsi in commorbilità con altri disturbi come le fobie o il DOC.
Per quanto riguarda le cause dei disturbi d’ansia, nonostante si sia rilevato che i fattori genetici
contribuiscono allo sviluppo di disturbi d’ansia nei bambini, si ritiene che la maggior influenza sia
data da fattori sociali e culturali. L’ansia del bambino può nascere, per esempio, a seguito di
esperienze traumatiche come le prime malattie, la perdita di persone care, o ancora dei ricoveri
ospedalieri, che rendono al bambino insicuro o inadeguato. Possono riinforzare i sentimenti di
inadeguatezza del bambino anche l’iperprotezione da parte del genitore o, al contrario, un
atteggiamento indifferente, distaccato e rifiutante da parte dello stesso.
Alcune ricerche cross- culturali hanno poi indagato il ruolo dei fattori ambientali rilevando
importanti differenze tra bambini provenienti da paesi diversi. In particolare gli autori sostengono
che il livelli di ansia siano più elevati in culture che sostengono l’inibizione, il conformismo e
l’ubbidienza ed in ragazzi che sono stati testimoni di atti violenti (Es. afro-americani rispetto a
bambini bianchi).

Per quanto riguarda il trattamento di questi disturbi, quello farmacologico sta diventando sempre
più utilizzato. I farmaci più impiegati sono le benzodiazepine, che agiscono rapidamente inibendo il
SNC e alcuni inibitori della recapitazione della serotonina. La terapia più efficace per la riduzione
dei sintomi ansiosi nei bambini è però quella cognitivo – comportamentale che si avvale
dell’esposizone agli stimoli ansiogeni e di rinforzi positivi per incrementare le strategie di coping
del bambino.

- Depressione e disturbo bipolare nei bambini

Il disturbo depressivo nei bambini è caratterizzato da sintomi di tristezza, ritiro, crisi di pianto,
scarso sonno e appettito e, talvolta, pensieri di morte o tentativi di suicidio. I criteri per la diagnosi
di questo disturbo sono gli stessi individuati per gli adulti fatta eccezione per uno. Infatti, nei
bambini, il criterio dell’umore debresso può essere sostituito da quello dell’umore irritabile.
La frequeza con cui i disturbi depressivi si manifestano tra adolescenti e bambini è di circa il 12%
nel corso della vita, con un’incidenza più alta nelle femmine (16%), rispetto che nei maschi (8%). Il
disturbo bipolare, invece, è meno frequente, con un’incidenza del 3% sia per i maschi che per le
femmine. La percentuale è tuttavia aumentata notevolmente negli ultimi anni e, spesso, il disturbo
bipolare si presenta in comorbilità con altri disturbi come il DDAI.
Diversi sono i fattori causali implicati nello sviluppo di disturbi depressivi:
1) Fattori biologici  sembrerebbe esista una correlazione tra la depressione dei genitori e le
problematiche dei figli legate al comportamento e all’umore. Uno studio ha infatti
dimostrato che i bambini appartenenti a famiglie con disturbi dell’umore mostrano un tasso
di depressione superiore rispetto ai loro coetanei di famiglie che non mostravano questi
disturbi. Altro fattore bilogico che può influire è un’eccessivo consumo di alcolici in
gravidanza;
2) Esposizione a eventi di vita avversi  Un ruolo importante nello sviluppo dei disturbi
dipressivi infantili è giocato dalle esperenze negative e dall’aver imparato ad affrontarle.
L’esposizione ad eventi traumatici durante l’infanzia aumenta quindi il rischio di sviluppare
disturbi depressivi e, nei bambini più sensibili, può portare a un’iperattività e ad
un’alterazione del sistema neurotrasmettitoriale.
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Anche l’esposizione a comportamenti o a stati emotivi negativi da parte dei genitori possono
portare il bambino a sviluppare sentimenti depressivi. Sembrerebbe infatti esistere un meccanismo
di trasmissione intergenerazionale della depressione che passa anche attraverso le espressioni
facciali non responsive dei genitori e dai loro comportamenti irritabili che inducono reazioni simili
nei figli.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico dei disturbi depressivi in bambini ed adolescenti,
ci si serve per lo più di farmaci antidepressivi, anche se i dati relativi alla loro efficacia sono
contrastanti. In alcuni pazienti, infatti, la loro assunzione determina la comparsa di pensieri e
comportamenti suicidari. Anche il trattamento psicologico si è dimostrato efficace nella trattazione
di questo disturbo, determinando una riduzione dei sintomi e del rischio di ricaduta.

14.3 Disturbo da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta

Dai disturbi visti fino ad ora, che vengono definiti anche “disturbi internalizzanti”, si distinguono i
disturbi detti “disturbi esternalizzanti”, caratterizzati da sintomi che riguardano l’esterno. I più
diffusi sono il disturbo oppositivo provocatorio e il disturbo della condotta. Quanto si affrontano
questo tipo di disturbi è importante saperli distinguere tanto dai normali comportamenti di rottura
delle regole, messi in atto da molti adolescenti, quanto dalla delinquenza giovanile. Quest’ultima,
infatti, indica le violazioni della legge perseguite dai minori e, nonostante possa essere sintomo di
disturbi esternalizzanti, non è l’unico indice della presenza di uno di questi disturbi.
Il disturbo oppositivo provocatorio è caratterizzato da un pattern ricorrente di comportamento
polemico/provocatorio o vendicativo nei confronti di figure che rappresentano l’autorità, che dura
almeno 6 mesi. Esisstono tre categorie di DOP:
- Con umore collerico/irritabile;
- Con comportamento collerico/provocatorio;
- Con comportamento vendicativo;
l’esordio si verifica in genere attorno agli 8 anni ed il disturbo ha una prevalenza del 10% con
incidenza maggiore nei maschi (11%) rispetto che nelle femmine (9%). Alcuni studi hanno
dimostrato che esiste uno sviluppo in sequenza dal DOP al disturbo della condotta, con gli stessi
fattori di rischio. Cio significa che, la quasi totalità dei casi con distrurbi di condotta ha sviluppato
in precedenza un DOP. Non tutti i bambini con DOP evolvono però in un disturbo di condotta. I
fattori di rischio sono: la presenza di liti famigliari e di comportamenti antisociali da parte dei
genitori e l’apprtaenza ad un basso livello socio – economico.

Il disturbo della condotta è caratterizzato dalla sistematica e persistente violazione delle norme
sociali e dei diritti dell’ altro. L’esordio è, in media, attorno ai 12 anni e la sua prevalenza è del
10%. Esso è più diffuso tra i maschi (12%) rispetto che tra le femmine (7%). Esistono cinque
sottotipi di DC:
1) Gravi violazioni delle regole (26%);
2) Frode/furto (3%);
3) Comportamenti aggressivi (3%);
4) Gravi forme dei sottotipi 1 e 2 (29%);
5) Combinazione dei sottotipi 1, 2 e 3 (29%);
Esso si presenta spesso in comorbilità con altri disturbi come quello da abuso di sostanze e i sintomi
depressivi. Esso aumenta, negli adolescenti, il rischio di gravidanza e la possibilità di sviluppare un
disturbo antisociale di personalità o altri disturbi mentali.

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Affinche si possa diagnosticare un DC è necessario si manifestino, entro un arco di tempo che va da
6 a 12 mesi, almeno 3 dei 15 sintomi descritti nel DSM – 5:
 Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri;
 Spesso da il via a colluttazioni;
 Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici;
 È stato/a fisicamente crudele con persone;
 È stato/a fisicamente crudele con animali;
 Ha rubato affrontando direttamente la vittima;
 Ha costretto qualcuno ad attività sessuali;
 Ha deliberatamente appiccato fuoco con l’intenzione di causare seri danni;
 È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato, nell’automobile di altri;
 Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare doveri;
 Ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima;
 Spesso, già prima dei 13 anni, trascorre la notte fuori, nonostante la proibizione dei genitori;
 Si è allontanato/a di casa di notte almeno due volte quando viveva con genitori (o chi ne fa
le veci) o una volta senza tornare per un lungo periodo;
 Spesso, già prima dei 13 anni marina la scuola;
inoltre perché si diagnostichi tale disturbo l’anomalia comportamentale deve determinare una
compromissione significativa del funzionamento a livello scolastico, sociale, lavorativo e, se
l’individuo a 18 anni o più, non deve già essere stato diagnosticato con un disturbo antisociale della
personalità.

Per quanto riguarda le cause del DOP e del DC sembrerebbe che una predisposizione genetica
possa influire sul suo sviluppo così come anche una componente ereditaria. Anche fattori legati al
contesto famigliare e sociale esercitano una forte influenza sullo sviluppo di questi disturbi. Infatti,
i bambini che sono aggressivi vengono rigiutati dai loro pari e tale tifiuto può portare a una
sequenza a spirale di relazioni con i coetanei che aggrava la loro tendenza al comportamento
antisociale. Anche genitori ed insegnanti possono reagire ai bambini aggressivi con emozioni molto
negative come la rabbia e il rifiuto. Questa combinazione fa si che i bmabini diventino alienati e
isolati e spesso cerchino compagnia di pari devianti. L’ambiente famigliare di questi bambini è
spesso caratterizzato da rifiuto, durezza, trascuratezza ed educazione incoerente. Infine esistono
diverse variabili psicologiche e socio – culturali che aumentano la probabilità di sviluppare un DC
e, successivamente, un disturbo antisociale della personalità ( in proposito è stato dimostrato che
l’associazione tra questi due disturbi è più forte nei bambini di classe sociale inferiore e che è dalla
pervasività del DOP e del DC che dipende la gravità del pattern di psicopatia o disturbo antisociale
della personalità in età adulta. Se il DC si sviluppa in adolescenza il rischio è invece minore). Essi
sono un basso status socio – economico, il vivere in quartieri poveri, lo stress genitoriale e i sintomi
depressivi.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati dei trattamenti psicologici che hanno portato ad una
diminuzione dei sintomi di DOP e DC. Tra questi ricordiamo:
Il modello della famiglia coesa che considera i problemi di condotta come una conseguenza
di interazioni disfunzionali tra genitori e figli (i figli si comportano male, i genitori
rispondono con rabbia e rifiuto, ciò rinforza il comportamento del bambino) e cerca quindi
di lavorare per migliorarle;
Il Parent Management Training nel quale viene insegnato ai genitori come rispondere e
rinforzare i comportamenti sociali del figlio e come ignorare quelli aggressivi o antisociali;
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In ontri tra il clinico e il bambino finalizzati all’insegnamento di tecniche di problem –
solving.
La combinazione degli ultimi due si è dimostrata molto efficace, con effetti più duraturi. I risultati
di alcuni studi hanno inoltre dimostrato che i bambini (che presentavano fattori di rischio) sottoposti
ad un programma di intervento precoce al fine di diminuire la probabilità di sviluppare disturbi di
condotta hanno effettivamente probabilità più basse (20%) di svilupparli rispetto a quelli che non
sono stati sottoposti (46%).

14. 4 Disturbi dell’evacuazione

Nel DSM – 5 l’ enuresi è descritta come un disturbo dell’evacuazione caratterizzato dall’emissione


di urine nel letto e tale comportamento non è determinato da una causa organica. I bambini con un
decorso primario dell’enuresi non hanno mai raggiunto la continenza urinaria, invece quelli con il
tipo secondario l’hanno raggiunta per un anno ma poi vi è stata una regressione. La prevalenza è del
5-10% tra i bambini di 5 anni, del 3-5% tra quelli di 10 e del 1,1% tra coloro che hanno più di 15
anni.
Per quanto riguarda le cause, esso può essere dovuto a condizioni organiche quali un controllo
cerebrale disturbato della vescica o delle disfunzioni neurologiche o anche a un’apprendimento
inadeguato dell’inibizione del riflesso di minazione, da un’immaturità individuale associata o
derivante da problemi emotivi, da interazioni famifliari disturbate o da eventi stressanti (es. nascita
di un fratellino).
Per quanto riguarda il trattamento ci si serve generalmente di tecniche di condizionamento (Es,
allarme sotto il cuscino che suona alle prime gocce d’urina, in questo modo il bambino associa la
tensione della vescina allo svegliarsi) e di farmaci antidepressivi poiché rendono il sonno più
leggero rendendo il bambino consapevole dei propri bisogni fisiologici. I farmaci da soli però non
curano l’enuresi ragione per cui è necessario associare anche un trattamento psicologico (approccio
biologico – comportamentale + dermopressina).
La frequenza degli episodi tende a diminuire con l’età sia a seguito di trattamento che, talvolta
spontaneamente.

Il termine encopresi descrive un disturbo dato dall’incapacità del bambino di età cronologica di
almeno 4 anni di defecare in luoghi appropriati. È stato stimato che circa l’1% di 5 anni ne soffra.
Uno studio ha dimostrato che in genere il disturbo insorge a 7 anni (renge da 4 a 13), che circa un
terzo dei bambini mostra anche enuresi, che esso è più frequente (di quasi 6 volte) nei maschi, che
si manifesta più spesso in situazioni di forte stress e che molti bambini non sono consapevoli di
dover andare in bagno o troppo timidi per usarne uno pubblico. Molti bambini con questo disturbo
soffrono di costipazione, ragione per cui è importante che prima si faccia una visita medica al fine
di escludere fattori fisiologici. Il trattamento include quindi sia aspetti medici che psicologici.

14.5 Disturbi del neurosviluppo

I disturbi del neurosviluppo sono un insieme di condizioni cliniche caratterizzate da un esordio nelle
prime fasi dello sviluppo e dal persistere dei sintomi nel corso dello sviluppo, dovuti alla
compromissione del normale funzionamento cerebrale. Essi permangono quindi anche in età adulta.
Essi sono:

1) Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (DDAI)  è caratterizzato da un pattern


persistente di difficoltà nel mantenere l’attenzione e/o impulsività e iperattività motoria. I
bambini con questo disturbo hanno un QI inferiore di 7 – 15 punti e oltre a presentare deficit
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in alcuni test legati al basso funzionamento scolatico hanno anche disturbi
dell’apprendimento e, a causa dei loro problemi comportamentali, sono soggetti a rischio per
bocciature o sospensioni. Si tratta di un disturbo piuttosto diffuso, circa il 9% di bambini e
adolescenti ricevono una diagnosi, ed ha una prevalenza nettamente maggiore dei maschi
(13%) rispetto che nelle femmine (9%). Esso si presenta spesso in comorbilità con DOP e
DC. A differenza di ciò che spesso si pensa tale disturbo può protrarsi anche in età adulta
(cica la metà dei bambini diagnosticati co DDAI soddisfa i criteri anche da adulto). La
maggior parte degli adulti con tale disturbo presenta disattenzione e sono in prevalenza di
sesso maschile, divorziati e disoccupati.
Il DSM – 5 individua i seguenti criteri diagnostici per il DDAI:
1. Disattenzione: sei o più dei seguenti sintomi per almeno 6 mesi con intensità icompatibile
con il livello di siviluppo e hanno un impatto negativo sulle attività sociali, scolastiche,
lavorative:
a. spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione
nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività;
b. ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
c. spesso sembra non ascoltare quando gli/le si parla direttamente;
d. spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti di scuola, le
incombenze o i doveri sul posto di lavoro;
e. ha spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività varie;
f. spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono
sforzo mentale protratto (es. compiti a casa o a scuola);
g. perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti
assegnati, matite, libri, ecc.);
h. spesso è facilmente distratto da stimoli esterni;
i. spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
2. Iperattività: sei (o più) dei seguenti sintomi di Iperattività-Impulsività che persistano per
almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto
negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative:
a. spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia;
b. spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti
c. spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato (negli
adolscenti e negli adulti può essere limitato al sentirsi irrequieti);
d. è spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente;
e. è spesso sotto pressione, agendo come se fosse “azionato/a da un motore”;
f. spesso parla troppo;
g. spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata;
h. ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno;
i. spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.
B. I sintomi iperattivi-impulsivi o di disattenzione che causano le difficoltà devono essere
presenti prima dei 12 anni.
C. I problemi causati dai sintomi devono manifestarsi in due o più contesti (es. a scuola [o al
lavoro] e a casa).
D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del
funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

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E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro
disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (es. disturbo
dell’umore, disturbo d’ansia, disturbo dissociativo, disturbo di personalità, intossicazione o
astinenza da sostanze).

Per quanto le cause di questo disturbo è stato dimostrato che, nel suo sviluppo, sono implicati sia
fattori genetici che fattori socio – ambientali che, interagendo con un sottosviluppo cerebrale del
bambino determina la comparsa di questo disturbo. In genere esso viene trattato utilizzando
farmaci stimolanti come il Ritalin (sembra esserci una similarità con la cocaina) che è stato
dimostrato hanno un effetto calmante sui bambini (a differenza che sugli adulti) poiché riducono
l’iperattività e la distraibilità aumentando la loro vigilanza e, quindi il loro rendimento scolastico.
Essi, inoltre riducono i comportamenti aggressivi. Numerosi, tuttavia, sono gli effetti collaterali di
questo tipfarmaco che puo causare: danneggiamento di pensiero e memoria a causa di una riduzione
dell’afflusso sanguigno al cervello, blocco della crescita somatica e cerbrale, insonia e sintomi
psicotici. Altri farmaci utilizzati sono il Pemolina, lo strattera (farmaco non stimolante) e l’Adderal
rispetto a cui però vi sono scarse conoscenze rispetto agli effetti a lungo termine. I dubbi sull’uso di
questi farmaci hanno spinto i clinici a seguire anche trattamenti psicologici. Le tecniche di
intervento per il DDAI comprendono la terapia famigliare ed il rinforzo positivo dei comportamenti
desiderati durante le ore scolastiche.

1) Disturbi dello spetro autistico  sono un gruppo di disturbi caratterizzati da una serie di
difficoltà che includono deficit nello sviluppo del linguaggio, della percezione, della
motricità con esame della realtà alterato e compromissione della comunicazione sociale.
Solitamente l’autismo viene diagnosticato quando il bambino ha 30 mesi ma le ricerche più
recenti suggeriscono che le successive difficoltà di comunicazione possono essere
individuate già a sei mesi, età in cui normalmente il bambino inizia a concentrarsi sui volti. I
bambini con autismo mostrano invece un decremento dell’attenzione nei confronti degli altri
e un significativo incremento dell’attenzione verso gli oggetti inanimati.
L’autimo è quindi un disturbo molto complesso, le cui cause sono a tutt’oggi sconosciute.
Gli studi hanno tuttavia permesso di compiere dei passi avanti dimostrando che una
componente ereditaria è implicata nel suo sviluppo. In particolare i ricercatori hanno
scoperto che la percentuale con cui il rischio genetico viene ereditato è pari al 52% mente
dipende da mutazioni de novo per il 3%. Sembra che la maggior parte del rischio venga
ereditato da uno dei due genitori ma è importante studiare anche le mutazioni de novo
perché solo conoscendo a fondo tutte le mutazioni se ne potrà limitare lo sviluppo. Un
fattore di rischio semprerebbe l’età elevata del padre. Il DSM – 5 individua i seguenti criteri
diagnostici per l’autismo:
A. Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nella interazione sociale in differenti
contesti, che non siano una semplice conseguenza di un ritardo generale dello sviluppo e che
si manifestano attraverso tutti i seguenti criteri:
 deficit nella reciprocità socio-emozionale: varia da approcci sociali atipici e fallimenti nella
normale conversazione bidirezionale, a una riduzione della condivisione di interessi,
emozioni e affetti, fino alla totale mancanza di iniziativa nell’interazione sociale reciproca;
 deficit nella comunicazione non verbale, comportamenti fondamentali per l’interazione
sociale: varia da una comunicazione con scarsa integrazione degli aspetti verbali e non-
verbali, ad anomalie nel contatto oculare e nel linguaggio corporeo, deficit nella
comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale, fino alla totale assenza di gesti ed
espressioni facciali;
 deficit nello sviluppare e nel mantenere relazioni sociali appropriate al livello di sviluppo
(oltre a quelle con i caregiver), che varia dalla difficoltà di modulare il comportamento nei

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diversi contesti sociali, alla difficoltà nel gioco immaginativo condiviso e nello sviluppare
amicizie, fino alla (apparente) assenza di interesse verso le altre persone.
A. Un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività, che si manifesta in
almeno due dei seguenti criteri:
eloquio, movimenti motori o uso degli oggetti stereotipato o ripetitivo, come stereotipie
motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti o frasi idiosincratiche;
eccessiva aderenza a routine, pattern ritualizzati di comportamenti verbali o non verbali,
oppure eccessiva resistenza al cambiamento, come insistenza sugli stessi percorsi o sugli
stessi cibi, domande ripetitive o estremo disagio per piccoli cambiamenti;
interessi altamente ristretti e fissi, atipici per intensità o per focalizzazione, come forte
attaccamento o preoccupazione per oggetti insoliti, interessi estremamente circoscritti o
perseverativi;
iper o ipo sensibilità a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente,
come apparente indifferenza al dolore o al freddo, riposte evitanti a specifici suoni o aspetti
tattili, eccessiva attività nell’odorare o nel toccare oggetti, fascinazione per luci o per oggetti
che ruotano.
A. I sintomi devono essere presenti nell’infanzia, ma possono manifestarsi pienamente solo
quando le richieste sociali eccedono le capacità limitate.
B. I sintomi nel loro insieme limitano e compromettono il funzionamento quotidiano.
C. Queste alterazioni non sono spiegate da disabilità intellettiva o da un ritardo globale nello
sviluppo La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro autistico sono spesso presenti in
concomitanza. Per porre diagnosi di comorbidità il livello di comunicazione sociale deve
essere inferriore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale.
Tra i trattamenti più efficaci per questo disturbo merita di essere ricordato quello messo a punto da
Ivar Lovaas che si basa sia su strategie di discriminazione (rinforzo) sia su tecniche di stimoli
contingenti e avversi (punizioni) e solitamente coinvolge anche i genitori. Questo trattamento ha
determinato un miglioramento del rendimento scolastico e del funzionamento intellettivo nel 47%
dei casi e miglioramenti nel linguaggio, del comportamento adattivo ed una riduzione della
sintomatologia autistica.

1) Disturbi da Tic  con il termine tic si intende un movimento o uno spasmo muscolare
ricorrente e non ritmico limitato solitamente ad un gruppo di muscoli ben definito. I tic si
manifestano più frequentemente tra 2 e 14 anni, sono abituali e una persona non si accorge
di essi spesso fino a quando non gli viene fatto notare. Un indagine cross culturale ha
rilevato che i pattern di tic sono simili tra i diversi paesi sia rispetto all’età d’esordio, che
rispetto al genere più colpito (quello maschile) e alla prevalenza ( DTT 2,6% - DTC 3,6 –
Tourette 0,6%).
Il distutbo di Tourette coinvolge sia tic motori che vocali come movimenti involontari
della testa accompagnati da grugniti, schiocchi, stilla, ispirazioni rumorose. Alcuni di questi
sono preceduti da un forte bisogno o da una sensazione che sembra trovare sollievo solo
quando si esegue il gesto. Per questo spesso è difficile distinguerli dalle complusioni. Circa
un terzo dei soggetti presenta anche coprolalia ossia un tic vocale compesso che consiste
nella pronuncia di parole o frasi dal contenuto osceno. L’età d’esorsio è attorno ai 7 anni e,
in genere, si manifesta sempre prima dei 14 e può persistere fino all’età adulta. La causa non
è ancora determinata ma semprerebbe essere di base biologica tuttavia può influenzata anche
dall’imbarazzo e la tensione durante le situazioni sociali e essere associata a problemi
comportamentali.
Tra i trattamenti comportamentali più efficaci vi sono Habit Reversal Training che abbina:
un lavoro di consapevolezza, esercizi di rilassamento, miglioramento delle relazioni

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adattive, terapia cognitiva per arrivare ad un cambiamento dello stile di risposta individuale.
I farmaci sopressori sono i più efficaci.
14. 6. I disturbi specifici dell’apprendimento

I disturbi specifici dell’apprendimento sono caratterizzati da ritardi dello sviluppo cognitivo del
linguaggio, dell’espressione, del calcolo matematico e non sono necessariamente causati da
un’evidente condizione fisica o da deficit neuorologico. Il più diffuso è la dislessia che si declina in
una serie di difficoltà di lettura e scrittura. Gli individui che ne sono affetti mostrano difficoltà nel
riconoscimento delle parole, nella comprensione del testo e nello spelling. Durante la lettura in
genere omettono, aggiungono o distorcoono le parole ed in genere la lettura è molto lenta.
La dignosi di disturbo specifico dell’apprendimento è limitata a quei casi in cui vi è una
compromissione significativa della prestazione scolastica o delle attività di vita quotidiana non
meglio giustificata da una disabilità intellettiva o da un altro disturbo pervasivo dello sviluppo come
l’autismo o il DDAI. Essa viene fatta più frequentemente ai maschi rispetto che alle femmine. La
prevalenza di questi disturbi, stando a degli studi condotti negli USA è di 1 persona su 59 che
significa circa 4.6 milioni di persone. In genere i DSA vengono diagnosticati a causa di un’evidente
discrepanza tra il livello atteso e l’effettiva prestazione del bambino in una o più discipline
scolastiche a fronte di un QI nella norma, dell’assenza di problematiche emotive evidente e
dell’esposizione a stimoli e contesti coerenti con la possibilità di ottenere risultati scolatici nella
media. Questi bambini inoltre non sono privi di motivazione e spesso, nonostante le difficoltà
incontrare in contesto scolatico, mostrano grande ostinazione che li porta a raggiungere risultati
straordinari nel corso della vita (Churchill, Wilson, Rockfeller).
Per quanto riguarda le cause dei disturbi specifici dell’apprendimento l’opinione più diffusa è quella
che derivi da lievo alterazioni del SNC. In particolare sembrerebbe che queste disabilità siano il
risultato di un’immatirità, carenza o disfunzione di quelle attività cerebrali che mediano le abilità
cognitive. Molti ricercatori, per esempio ritengono che i disturbi di tipo linguistico, come la
dislessia, sono legate ad un sottosviluppo di alcune aree dell’emisfero sinistro deputate alla funzione
linguistica. Altri ricercatori ritengono invece che alcuni DSA, o per lo meno una certa vulnerabilità
al loro sviluppo, possano essere trasmesse per via genetica. Nonostante quest’ambito non sia stato
scandagliato a fondo e sia quindi piuttosto impossibile che tutti i DSA siano legati a disfunzioni
genetiche, almeno la dislessia sembrerebbe legata ad un’alterazione del 6°cromosoma. Anche le
ricerche sui gemelli sembrarebbero avvalorare tale ipotesi di una trasmissibilità genetica dei DSA.
Come accennato ad oggi non si ha una conoscenza completa di tutti i DSA, ragione per cui è
sempre necessario sottoporre il bambino ad un’attenta valutazione al fine di individuare il
trattamento più efficace per il singolo caso. Rispetto al trattamento di tali disturbi si è notato che le
strategie direttive non concorrono al miglioramento del bambino tuttavia le edidenze sull’efficacia
del trattamento sono ancora poche e legate all’utilizzo di approcci differenti. Inoltre vi sono pochi
dati sull’adattamento in età adulta delle persone diagnosticate con DSA durante l’infanzia Due studi
condotti su studenti universitari con DSA suggeriscono che gli individui continuavano a mostrare
difficoltà socolastiche, personali e sociali. Tra queste, basandoci sulla ricerca condotta da Cato e
Rice ricordiamo: difficoltà nella sicurezza di sé, e carenze nelle abilità quotidiane in cui avevano
manifestato difficoltà da bambini (es. matematica). È importante però ricordare che esistono molte
difficoltà personali e che molti adulti riescono comunque a gestire la propria vita in maniera
soddisfacente.

14. 7 Disabilità intellettiva

La disabilità intellettiva è caratterizzata da deficit del funzionamento delle funzioni intellettive


generali come ragionamento, problem solving, pianificazione, pensiero astratto, capacità di
giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza. Essa viene definita sia in

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termini di intelligenza sia a livello di prestazione e deve essere diagnosticata prima dei 18 anni. In
caso contrario si parla di demenza. Negli stati uniti la prevalenza di tale disturbo è di circa l’1% (2,6
mln) anche se, a causa della varietà di definizioni, non è facile farne una stima precisa. In genere,
negli USA, si classificano come affette da un ritardo mentale le persone che hanno un QI inferiore a
70, che non sono autonomi in termini di funzionamento sociale ed hanno problematiche
comportamentali. Le diagnosi sono frequenti attorno ai 5 – 6 anni per poi decrescere bruscamente
dopo i 15. Cio è dovuto al fatto che, le difficoltà tendono ad essere più evidenti a seguito dell’inizio
della scolarizzazione.
La disabilità intellettiva, in base alla gravità, può essere classificata in:
 Disabilità intellettiva lieve  le persone che vengono diagnosticate con una
disabilità intellettiva lieve hanno un QI compreso tra 50/ 55 e 70, possono
frequentare la scuola e da adulti hanno un livello intellettivo pari a quello di un
bambino di 8 – 11 anni. L’adattamento sociale è spesso simile a quello che si
raggiunge in adolescenza anche se queste persone presentano mancanze
nell’immaginazione, nella creatività e nel giudizio. Attraverso la diagnosi precoce e
un’assistenza scolastica e genitoriale adeguata, la maggior parte delle persone con
disabilità intellettiva live riesce ad adattarsi socialmente, a sviluppare competenze
scolastiche e professionali di base e a diventare autonomo;
 Disabilità intellettiva moderata  le persone con disabilità intellettiva moderata
hanno un QI compreso tra 35 – 40 e 50 – 55 e, anche da adulti, raggiungono un
livello intellettivo simile a quello di bambini di età compresa tra i 4 e i 7 anni. Alcuni
riescono a leggere e a scrivere e possono padroneggiare parzialmente la lingua
parlata ma la loro velocità di apprendimento è bassa ed il loro livello di
concettualizzazione limitato. Solitamente queste persone presentano delle deformità
corporee e una scarsa coordinazione ma, attraverso un’adeguata assistenza, possono
raggiungere una parziale autonomia nella cura di se , un comportamento accettabile e
un sostentammento entro la realtà famigliare o di un istituto.
 Disabilità intellettiva grave  le persone con disabilità intellettiva grave hanno un
QI compreso tra 20 – 25 e 35 – 40 e comunemente mostrano uno sviluppo del
linguaggio compromesso e alcune disabilità sensoriali e motorie. Esse sviluppano
anche livelli limitati di igiene personale e cura del se e devono quindi dipendere
dagli altri.
 Disabilità intellettiva estrema  le persone con disabilità intellettiva estrema
hanno un QI compreso tra 20 e 25 e mostranogravi mancanze nel comportamento
adattivo e un’incapacità a svolgere anche i compiti più semplici. Il linguaggio di base
è rudimentale o, addirittura, assente e sono presenti delle menomazioni fisiche, delle
patologie del SNC e un ritardo nella crescita. Altre condizioni associate possono
essere: crisi epilettiche, mutismo sordità. In genere queste persone hanno uno stato di
salute fragile e una bassa aspettativa di vita. In genere la diagnosi viene fatta
precocemente in infanzia poiché il bambino presenta, oltre a menomazioni fisiche,
anche una notevole compromissione del funzionamento intellettivo globale.
Diverse possono essere le cause alla base della disabilità intellettiva:
o Fattori genetico – cromosomici  la disabilità intellettiva, soprattutto quella di lieve
entità, tende a rispresentarsi all’interno delle famiglie, insieme alla povertà ed alla
deprivazione cultura culturale, che sono quindi da considerarsi dei fattori di rischio. Il ruolo
di questi fattori è tuttavia più chiaro in quei tipi di disabilità intellettiva come la Sindrome
di Down o quella dell’ X fragile, in cui tali anomalie genetiche causano uno squilibrio
metaolico che colpisce lo sviluppo cerebrale. La gravità delle disabilità intellettive legate a
tali fattori, varia da lieve a moderata.
o Agenti infettivi e tossici  anche infezioni come l’encefalite, l’herpes genitale, la sifilide,
l’HIV possono causare disabilità intellettiva. Altri fattori di rischio sono l’abuso di alcool o
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droge in gravidanza e l’inalazione, in periodo pre – natale o post natale di agenti tossici
come il monossido di carbonio. Anche la somministrazione eccessiva di farmaci può causare
ritardo mentale.
o Trauma (lesione fisica)  la disabilità intellettiva può insorgere anche a seguito di un
trauma fisico, durante o dopo il parto. Una tipologia di trauma che può danneggaire il
cervello è l’ipossia ovvero un’insufficiente afflusso di ossigeno al cervello.
o Radiazioni ionizzanti  possono danneggiare la fertilità femminile e causare mutazioni
genetiche nelle cellule sessuali di entrambi i genitori che, a loro volta, possono portare a una
disabilità intellettiva nella prole;
o La malnutrizione ed altri fattori biologici;

Le disabilità intellettive derivanti da cause biologiche vengono classificate nel modo seguente:
1) Sindrome di Down  è stata descritta per la prima volta nel 1866 da Langdon Down ed è
la sindrome più conoscita associata alla disabilità intellettiva grave o moderata. La sua
prevalenza è di 5,9 ogni 10.000 persone. Essa comporta limitazioni irreversibili nelle
competenze intellettiva, nella gestione delle attività di vita quotidiana e della sopravvivenza
ed è spesso associata a complicanze mediche. Il materiale genetico coinvolto nella sindrome
di Down è la trisomia del cromosoma 21.
Le persone con sindrome di Down sono caratterizzate da: occhi a mandorla, anomalo
spessore della pelle delle palpebre, naso, faccia e parte posteriore del craio piatte e large,
lingua più grande del normale, iride a macchie, collo corto e largo e mani con dita tozze.
A differenza che in passato, oggi, le persone con sindrome di Down possono sopravvivere
fino in età adulta grazie ad antibiotici, al miglioramentogenerale dell’assistenza sanitaria e
alla correzione chirurgica di alcune anomalie altrimenti fatali.
I bambini con sindrome di Down, nonostante le difficoltà, riescono ad apprendere le
principali abilità personali, un comportamento sociale adeguato ed alcune competenze
manuali di routine che permettono loro di essere aiutati all’interno del contesto famigliare o
istutuzionale. La qualità delle loro relazioni sociali dipende dal loro QI e dalla presenza di
un ambiente supportivo.
La ragione della trisomia non è chiara e la ricerca continua a portare alla luce nuove cause. Il
difetto cromosomico sembrerebbe essere legato a deficit cognitivi ed all’età dei genitori.
2) Fenilchetonuria  il bambino (1 su 12.000) non mostra alcun sintomo alla nascita ma in
realtà manca di un enziama necessario per metabilizzare la finilalanina, un amminoacido
presente in molti alimenti. Questo difetto comporta lo sviluppo di una disabilità intellettiva
nel momento in cui non viene diagnosticato e il bambino ingerisce una gran quantità di
questo amminoacido. La sintomatologia diventa evidente tra i 6 e i 12 mesi e comprende:
vomito, odore particolare, eczema, crisi epilettiche. Spesso i primi sintomi notati sono i
segni della disabilità intellettiva. Esso può essere diagnosticato con un esame delle urine e
trattato con un particolare regime alimentare. Poiché il bambino erediti la PKU entrambi i
genitori devono essere portatori del gene recessivo. Inoltre una donna con PKU, per non
danneggiare il feto durante la gravidanza, deve controllare attentamente la propria
alimentazione;
3) Anomalie craniche  le disabilità intellettive possono manifestarsi anche in diverse
condizioni caratterizzate da alterazioni della forma e della grandezza del cranio come la
macrocefalia, la microcefalia e l’idrocefalo. La macrocefalia è caratterizzata da: aumento
della dimesione e del peso del cervello, ampliamento del cranio, compromissione della vista,
convilsioni e altri sintomi neurologici dovute alla crescita anormale delle cellule gangliali.
La microencefalia è invece una circonferenza del cranio oltre tre derivazioni standars sotto
la media rispetto all’età e al genere del bambino. Nella microencefalia primaria la crescita
ridotta del cervello si manifesta già durante la gravidanza mentre, in quella secondaria,
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questo processo inizia durante l’infanzia. I bambini con microencefalia hanno una disabilità
intellettiva moderata o grave e limitate capacità linguistiche e cognitive. Nel 45% dei casi è
attribuibile a fattori genetici, nel 3% a danni prenatali e nel 40% è sconosciuta. Infine
l’idrocefalo è un disturbo nel quale un’anomalo accumolo di liquido cerebrospinale nella
scatola cranica determina un danneggiamento dei tessuti ed un allargamento del cranio. Nei
casi congeniti la testa è già allargata alla nascita o comincia ad allargarsi appena dopo, il
disturbo può però insorgere anche nel periodo neonatale o nella prima infanzia a seguito di
tumori cerebrali, ematoma subdurale o altre cause. Il quadro clinico varia a seconda della
gravità del danno neurale e varia in base all’età d’esordio, alla durata della malattia ed alla
sua gravità l’idrocefalo può causare, compromissione intellettiva, convulsioni, danni a vista
e udito e può essere curato impiantando uno shunt che drena il liquido cerebrospinale.

Altre forme di disabilità intellettiva conosciute

Per quanto riguarda i trattamenti per la disabilità intellettiva è stato dimostrato che programmi
educativi specifici e altri interventi di riabilitazione possono portare a significativi progressi nella
capacità intellettiva dei bambini. Una delle strate che i genitori di bambini con disabilità intellettiva
possono scegliere di perseguire è quella di affidare il proprio figlio a strutture specifice, soluzione
che, tuttavia, alla luce degli esiti negativi, gli esperti consigliano come risorse estreme. In genere i
bambini istituzionalizzati appartengono a due gruppi: coloro che hanno una disabilità intellettiva
grave associata a una compromissione fisica e coloro che pur non avendo difficoltà fisiche e
mostrando una lieve disabilità intellettiva hanno mostrato problemi comportamentali o delinquenza
durante l’adolescenza. In entrambi i casi influisce sulla scelta il livello socieo – economico della
famiglia. Per le persone che non necessitano di istituzionalizzazione vi sono trattamenti a livello
ambulatoriale che non sempre, però, si rivelano efficaci.
Le procedure di istruzione e formazione hanno solitamente come obiettivo il miglioramento di
alcune aree come la cura del se, il comportamento sociale, le abilità scolastiche e lavorative di base.
La scelta di quale percorso scolastico sia più adatto per questi bambini rappresenta spesso una

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difficoltà per genitori ed insegnanti, che devono individuare il percorso che meglio si adatta al
bambino.

14.8 Particolari considertazioni sul trattamento di bambini e adolescenti

Ci sono alcuni fattori che devono essere considerati quando si parla del trattamento dei bambini e
degli adolescenti:
1) Qualora i genitori non siano consapevoli delle difficoltà del figlio o non si assumano le
proprie responsabilità il minore può comunque sottoporsi ai trattamenti nei seguenti quattro
casi:
a. Nel caso in cui sia considerato maturo (ossia capace di prendere decisioni da solo);
b. Nel caso in cui sia emancipato (indeipendente poiché vive lontano dai genitori);
c. Nelle situazioni di emergenza;
d. Nelle situazioni in cui vi è un ordine del tribunale per iniziare il trattamento;
2) I bambini e i giovani che hanno subito o sono stati esposti ad episodi di violenza hanno
maggior rischio di sviluppare un disturbo psicologico. Per tale ragione è necessario prestare
attenzione alle condizioni di vita difficile così come ai comportamenti ad alto rischio per
evitare che ciò porti a sviluppare problemi emotivi (abuso di alcol e droghe, delinquenza,
atti sessuali pericolosi. Fattori di rischio possono essere: abuso fisico e sessuale, divorzio,
conflitti famigliari, vagabondaggio.
3) I genitori possono configurarsi anche come agenti di cambiamento positivi, ragione per cui
risulta essere molto utile promuovere dei programmi di formazione nel corso di cui
insegnare ai genitori le tecniche per renderli capaci di cambiare i pensieri, le emozioni e i
comportamenti del proprio figlio. Oltre all’insegnamento delle tecniche da utilizzare per
migliorare il comportamento adattivo e disincentivare quello non adattivo del figlio nel
corso di questi programmi si incremta anche la conoscenza del disturbo da parte dei genitori.
4) Essendo molti comportamenti infantili disturbati il risultato di interazioni genitori – figli
disfunzionali è importante trattare anche i genitori. Alcuni ostacoli coomuni ad un
trattamento che interessi anche i genitori sono fattori di stress, la mancanza di mezzi di
trasporto, la percezione della non necessità del trattamento. Le terapie famigliari variano a
seconda della definizione di famiglia (solo i genitori o genitori e figli) dell’obbiettivo
principale del trattamento e delle staretgie utilizzate ma, tutte, si pongono come obiettivo
quello di promuovere un cambiamento positivo tra i membri attraverso l’analisi e il
cambiamento degli schemi prevalenti.
5) Molte comunità offrono servizi di protezione e custodia per giovani vittime di abuso che, in
un secondo momento, possono essere reintegrati in famiglia o assegnati ad una collocazione
definitiva. Questa può essere di quattro tipi:
a. Famiglia adottiva
b. Istituti privati volti alla cura dei bambini (case famiglia);
c. Istituti pubblici o statali;
d. Parenti;
la qualità della nuova sistemazione ha un ruolo cruciale nel miglioramento o nel peggioramento
della situazione del bambino e, talvolta, per quanta attenzione si presti al momento della scelta, casi
di maltrattamento sono stati rilevati anche nelle nuove collocazioni. Nei casi di abuso, abbandono o
gravi comportamenti del figlio che i genitori non riescono a gestire sa soluzione che si ritiene più
adatta è quella che consiste nel togliere il bambino dall’ambiente famigliare e nel trovare una
soluzione alternativa. Talvolta, però, questi bambini si sento rifiutati e per questo sono spesso
insicuri e amareggiati. In virtù di ciò oggi si tende, per quanto possibile, di tenere la famiglia unita
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fornendo ai genitori supporto e sostegno. Nel caso in cui ciò non sia fattibilesi cerca di far ottenere
al bambino lo stato legale per essere adottato o gli si trova una famiglia adottiva. Per tutte queste
ragioni i bambini dati in affido o adottati hanno più bisogno di assistenza psicologica.

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