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sua eziologia e patogenesi. I pazienti generalmente collaborano a tale processo,in quanto sono ansiosi di
eliminare il dolore o i sintomi associati alla malattia. Gli psichiatri spesso scoprono come i pazienti
raramente siano in grado di arrivare velocemente al punto a causa della loro incapacità di individuare
quello che realmente li disturba. Possono inoltre essere molto ambivalenti riguardo all'abbandonare i loro
sintomi perché la malattia psichiatrica è in fondo una sorta di adattamento funzionale 1. Infine,i pazienti
psichiatrici sono spesso imbarazzati in relazione ai loro sintomi e possono omettere delle informazioni per
dare una buona impressione.
Un'importante differenza tra l'anamnesi2 medica e il colloquio psicodinamico è l'interrelazione tra
diagnosi e trattamento. Un medico che esamina un paziente per un'appendicite affronta il colloquio con un
preciso assetto mentale - la diagnosi precede la terapia. Nel colloquio psicodinamico,al contrario,qualunque
distinzione tra diagnosi e terapia sarebbe artificiosa 3.
Lo psichiatra a orientamento dinamico affronta il colloquio con la consapevolezza che la maniera stessa
nella quale l'anamnesi viene raccolta può essere terapeutica. L'approccio dinamico,che lega intimamente la
diagnosi e la terapia,è empatico nel senso che prende in considerazione il punto di vista del paziente. Come
Merininger e collaboratori (1962) hanno notato:"Il paziente per essere curato e qualunque cosa venga fatta
per lui,nella misura in cui lo riguarda,è terapia,indipendentemente da come la chiama il medico. Pertanto,in
un certo senso la terapia precede sempre la diagnosi".
DIFFERENZE TRA COLLOQUIO PSICODINAMICO E COLLOQUIO MEDICO
Una terza distinzione tra colloquio medico e quello psicodinamico riguarda le sfere dell'attività e della
passività. Nel processo diagnostico di tipo medico,i pazienti sono essenzialmente dei partecipanti passivi.
Il paziente aderisce alla valutazione del medico rispondendo a una serie di domande. Il
medico,comunque,deve assemblare i tasselli del puzzle diagnostico per arrivare alla diagnosi finale.
Lo psichiatra a orientamento dinamico cerca di evitare questa suddivisione di ruoli. Al contrario,l'approccio
dinamico prevede il coinvolgimento attivo del paziente come collaboratore in un processo esplorativo. Il
paziente è considerato come una persona che ha un notevole contributo da dare alla comprensione
diagnostica finale. Se un paziente inizia un colloquio con ansia,lo psichiatra non cercherà di eliminarla col
presunto scopo di facilitare il colloquio 4. Al contrario,lo psichiatra potrà cercare di coinvolgere il paziente
nella ricerca delle origini di tale ansia con domande.
In un colloquio dinamico produttivo,lo psichiatra sarà in grado di raccogliere le informazioni riguardanti i
sintomi e l'anamnesi che consentono una diagnosi descrittiva. Per favorire una maggiore apertura da parte
del paziente,lo psichiatra deve però stare attento a non enfatizzare eccessivamente l'etichettamento
diagnostico,il che produrrebbe il dispiegarsi della complessa relazione tra medico e paziente. MacKinnon e
Michels (1971) hanno sostenuto che "il colloquio orientato solamente verso una formulazione diagnostica
può dare al paziente la sensazione d'essere un campione patologico che viene esaminato e pertanto
inibirlo nel rivelare i suoi problemi".5
1
Si può ritenere funzionale al mantenimento della propria psicopatologia,in termini di equilibrio interiore,per evitare
di affrontare i grossi "macigni",paure,fobie,preoccupazioni che l'individuo malato porta con sé nel profondo.
Contemporaneamente possiamo ritenerla disfunzionale ad un adattamento congruo con la realtà.
2
Si riferisce alla storia clinica,familiare e personale,di un soggetto in esame,raccolta dal medico direttamente o
indirettamente:l'a. fisiologica riguarda lo svolgimento dei vari avvenimenti fisiologici;l'a. patologica la storia delle varie
malattie sofferte dal paziente.
3
Artificioso aggettivo - Immaginato o fatto con artificio,che rivela l'artificio:un a.espediente;ragionamento a.;l'intreccio
del dramma è molto artificioso. Quindi ricercato,affettato,privo di naturalezza.
4
L'ansia potrebbe essere una manifestazione di un problema più profondo,quindi un mezzo attraverso la quale si può
entrare in contatto con la parte malata,distorta dalla realtà del paziente stesso.
5
Inoltre potrebbe insorgere il rischio di portare il paziente stesso ad identificarsi totalmente nella psicopatologia ad
egli/ella diagnosticata,limitando ulteriormente le sue capacità intellettive.
Un'altra differenza tra l'orientamento medico e quello dinamico nel colloquio clinico ruota intorno alla
selezione delle informazioni rilevanti. Raiser (1988) ha espresso la propria preoccupazione riguardo alla
tendenza attuale degli specializzandi in psichiatria e degli psichiatri istituzionali a chiudere la raccolta di
informazioni una volta raggiunto un inventario di sintomi sufficiente a soddisfare una categoria
diagnostica descrittiva e a formulare una terapia farmacologica. Egli ha ricordato che una diagnosi fondata
sul DSM è solamente un aspetto del processo diagnostico e che la mancanza d'interesse da parte degli
psichiatri nella comprensione del paziente come persona crea un ostacolo all'instaurarsi di una relazione
terapeutica. Per gli psichiatri a orientamento dinamico,la vita intrapsichica del paziente è una parte
essenziale dell'insieme di dati.
Un aspetto specifico del colloquio psicodinamico è l'importanza attribuita ai sentimenti del medico durante
il processo diagnostico e terapeutico. Il chirurgo o l'internista che notasse sentimenti di
rabbia,invidia,avidità,tristezza,odio o ammirazione considererebbe tali sentimenti come fattori che
interferiscono con la valutazione della malattia. Il medico generalmente sopprime tali sentimenti al fine di
mantenere una visione obiettiva e poter procedere con la visita. Per lo psichiatra a orientamento dinamico
tali sentimenti costituiscono informazioni diagnostiche essenziali,che comunicano al clinico qualcosa
delle relazioni che il paziente suscita nelle altre persone. Queste considerazioni ci portano direttamente a
due dei più importanti aspetti della diagnosi psicodinamica - il trasfert e il contro-trasfert.
TRANSFERT E CONTROTRANSFERT
Dato il fatto che il transfert è attivo in ogni relazione significativa,si può essere certi che elementi di
transfert esistano fin dal primo incontro tra medico e paziente. In effetti,il transfert può svilupparsi
persino prima del contatto iniziale (Thoma,Kachele,1987). Dopo aver fissato il primo appuntamento,il
paziente può iniziare ad attribuire allo psichiatra determinate caratteristiche basandosi su alcune
informazioni reali,su precedenti esperienze con altri psichiatri,sulle descrizioni dei mezzi di
informazioni,sulle proprie passare esperienze positive o negative con altri medici,o su atteggiamenti
generali verso le figure autorevoli. Un giovane che incontrava per la priva volta il proprio psichiatra nella
sala d'attesa esclamò:"Lei non è assolutamente come m'immaginavo!". Quando lo psichiatra gli chiese di
elaborare tale vissuto,il paziente spiegò che il nome dello psichiatra gli aveva evocato l'immagine di un
anziano signore distinto,e che era rimasto colpito dalla giovane età dello psichiatra.
Il transfert è una dimensione critica della valutazione perché influenza profondamente la collaborazione
del paziente con il medico. I pazienti che considerano i medici come rigide e critiche figure genitoriali,ad
esempio,saranno molto meno disponibili a rivelare aspetti imbarazzanti della propria biografia. Allo stesso
modo,i pazienti che vengono gli psichiatri come persone indiscrete e intrusive possono astenersi dal dare
informazioni e rifiutarsi di collaborare al colloquio.
Gli psichiatri che prendono in considerazione le distorsioni di transfert fin dall'inizio del colloquio
possono eliminare gli ostacoli che si oppongono a un'efficace raccolta dell'anamnesi.
Nei primi minuti di una consultazione con uno psichiatra,un paziente stava lottando con se stesso per
superare le proprie difficoltà a parlare. Lo psichiatra gli domandò se qualche suo commento o azione gli
avesse reso difficile parlare. Il paziente gli confidò che aveva coltivato la convinzione che gli psichiatri
fossero una sorta di lettori della mente,e che sentiva di dover fare attenzione a quanto avrebbe detto o
fatto in loro presenza. Lo psichiatra gli rispose con Humor: "Temo che non siamo così bravi". Entrambi
risero e per il paziente fu assai più facile aprirsi durante il resto del colloquio.
Per non etichettare tutte le reazioni del paziente come transfert,gli psichiatri devono tenere a mente che
la relazione paziente-terapeuta è sempre una miscela di transfert e di relazione reale. Lo psichiatra che
diede un'occhiata al suo orologio fornì uno spunto di realtà alla paura transferale della paziente che un
ennesimo uomo si stesse disinteressando di lei. La valutazione psicodinamica richiede allo psichiatra un
continuo automonitoraggio nel corso del processo diagnostico. Lo psichiatra accusato di essere disattento
deve interrogarsi se davvero non si sentisse annoiato(trasmettendo questo alla paziente)o se fosse la
paziente a distorcere la situazione. Se il problema è la noia,allora lo psichiatra deve determinare se il
proprio interesse scema per sue ragioni personali,perché la paziente sta facendo qualcosa che suscita
disattenzione,oppure per entrambi i motivi.
Queste considerazioni riguardano naturalmente il controtransfert. La cornice concettuale del colloquio
dinamico è che esso coinvolge due persone(potremmo forse dire due pazienti?). Ciascuno porta un passato
personale nel presente,e proietta aspetti interni di rappresentazioni di Sé e del'oggetto
nell'altro(Langs,1976). E' comune per gli psichiatri come a orientamento dinamico scoprire di essere in
rapporto con un paziente come se questi fosse un'altra persona. Lo psichiatra può magari notare una
sorprendente somiglianza fisica tra un paziente e una figura del passato. Il risultato è che lo psichiatra
finisce con l'attribuire qualità della figura del passato al paziente.
Uno dei compiti dello psichiatra a orientamento dinamico è quello di monitorare le proprie risposte
transferali e i sentimenti che emergono nell'intervista con il paziente. Qual è il contributo del clinico nella
risposta controtransferale?in che misura il comportamento del paziente nei confronti del terapeuta è
indotto?Di solito il controtransfert è un processo che richiede i contributi di entrambi i membri della diade.
E' spesso un arduo compito distinguere la parte di controtransfert che è stata indotta da quella immessa
nella situazione dai conflitti inconsci del clinico. Poiché la capacità di operare tale distinzione dipende in
larga misura dalla familiarità che ciascuno ha con il proprio mondo interno,la maggior parte degli
psichiatri a orientamento dinamico ritiene che un'esperienza di trattamento personale(psicoanalisi o
psicoterapia) sia estremamente preziosa per individuare e comprendere il controtrasfert.
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1.In medicina,condizione di ipersensibilità o di abnorme reattività(non indotta né accompagnata da fenomeni
immunologici come nel caso dell'allergia),che si manifesta con quadri clinici diversi,per lo più gastrointestinali o
respiratori,in soggetti costituzionalmente predisposti,e che insorge al contatto con sostanze verso cui l'organismo si
mostra intollerante;2. Incompatibilità,avversione,ripugnanza verso determinati oggetti,per lo più astratti,verso
situazioni o anche persone:avere una spiccata i. per i numeri,per le date,per i rumori,per le spiagge affollate,per il
computer.
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In psicologia e psichiatria,movimento,azione o espressione verbale inadeguati,errati o involontariamente omessi,e
come tali interpretabili secondo il concetto psicoanalitico di <atto mancato>.
Il paziente paranoide può leggere costantemente significati nascosti nelle domande,mettendo così lo
psichiatra sulla difensiva. Il determinare la presenza o l'assenza di ideazioni suicidarie è fondamentale per
qualunque valutazione psichiatrica. Ai pazienti con tendenze suicide dovrebbe essere domandato
apertamente se abbiano un progetto di suicidio e una rete di sostegno di persone con le quali poter parlare
prima di agire impulsivamente. La diagnosi psicodinamica dovrebbe discernere il significato del suicidio
premeditato. C'è un fantasia di riunione con una persona cara morta?oppure il suicidio è un atto
vendicativo escogitato per rovinare qualcun'altro,proprio come tale persone,in passato,rovinò il paziente?o
ancora,il suicidio è ideato in realtà per uccidere una rappresentazione oggettuale interna odiata e temuta?
tra le molte possibili soluzioni ai problemi del paziente,come mai il suicidio si impone in modo così
perentorio?
AFFETTIVITA':
I pazienti borderline che esprimono disprezzo e ostilità nei confronti delle figure chiave della loro vita
stanno probabilmente usando la scissione per evitare qualunque integrazione dei loro sentimenti buoni e
cattivi. Anche l'umore,sottocategoria dell'affettività che riguarda un tono emotivo interno
prolungato,dovrebbe essere valutato. L'esplorazione fatta con un paziente dei suoi stati d'animo spesso
mette in luce come questi siano legati a significative rappresentazione del sé e degli oggetti.
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1. Gabbia larga e bassa,di legno o di vimini,entro cui si tengono i polli. 2. Recinto per ricovero di altri animali,anche
domestici.
quattro principali prospettive teoriche: la psicologia dell'IO,la teoria delle relazioni oggettuali,la psicologia
del Sé e le prospettive postmoderne.
RELAZIONI OGGETTUALI
Come risultato finale della valutazione psicodinamica,il clinico ha delle informazioni sulle relazioni
interpersonali del paziente in tre contesti:relazioni dell'infanzia,aspetti reali e transferali della relazione
tra il paziente e il clinico che ha condotto il colloquio,e relazioni attuali al di fuori del rapporto paziente-
terapeuta. La natura di queste relazioni fornisce allo psichiatra una notevole quantità di informazioni sulla
posizione del paziente all'interno della famiglia e dei sistemi sociali. Quello che però ancora manca è una
valutazione del modo in cui le relazioni familiari del paziente influenzano lo sviluppo del quadro clinico
che ha condotto il paziente da uno psichiatra. Il quadro sintomatico di un paziente adolescente riflette i
problemi coniugali dei genitori?in altre parole,il paziente serve come "portatore" della malattia per l'intera
famiglia?
Le informazioni sulle relazioni interpersonali del paziente dicono anche molto sulla natura delle relazioni
oggettuali interne del paziente. Colloqui con membri della famiglia e con altre persone significative
possono aiutare a rilevare il grado di distorsione presente nella visione che il paziente ha di altre relazioni.
Certe modalità facilmente discernibili sembrano ripresentarsi in tutte le relazioni. Ad esempio,il paziente
si ritrova sempre a essere il partner masochista in una relazione sadomasochista?il paziente si prende
sempre cura di altre persone con inferiori capacità funzionali e con un bisogno maggiore di cure?
Determinare il livello di maturità delle relazioni oggettuali è una parte integrante di questo tipo di
diagnosi. Il paziente è in grado di percepire le altre persone in maniera ambivalente come oggetti
interni,con qualità sia buone che cattive?oppure,al contrario,non riesce che a idealizzare gli altri(solo
buoni) o a svalutarli (solo cattivi)?il paziente vede gli altri come oggetti parziali gratificatori-di-bisogni con
un'unica funzione dei riguardi del paziente stesso,piuttosto che come persone separate con bisogni e
interessi propri?infine,com'è la costanza d'oggetto?il paziente è in grado di tollerare la lontananza dalle
persone significative rivolgendosi a un'immagine interna confortante della persona cara?.
Per quanto concerne il sé una valutazione psicodinamica accurata deve considerare diversi aspetti del sé
del paziente. Nell'ampia cornice della psicologia del sé,gli psichiatri dovrebbero esaminare la persistenza e
la coesione del sé. E' incline alla frammentazione di fronte al minimo torto da parte di un amico o
collega?.
Il paziente ha bisogno di essere continuamente al centro dell'attenzione per ricevere risposte di conferma
dagli oggetti-sé?la maturità degli oggetti-sé del paziente dovrebbe pure essere valutata. I bisogni di
oggetto-sé del paziente vengono soddisfatti nel contesto di una relazione reciprocamente gratificante nel
contesto di una progettualità estesa nel tempo?
Oltre alla stima di sé,lo psichiatra dovrebbe valutare anche la continuità del sé del paziente. Il paziente
conserva la sua identità col passare del tempo,indipendentemente dalle circostanze esterne,o vi è una
diffusione d'identità generalizzata?come ha sottolineato Horowitz(1997),senza un senso di coerenza e
continuità del sé è più probabile che un individuo sviluppi sintomi e cambiamenti esplosivi del suo stato
mentale.
Inoltre,la coerenza del sé è più uno stile interpersonale - implica integrità e virtù nel carattere di una
persona. Indizi di diffusione d'identità indicherebbero come vi siano diverse rappresentazioni di sé,scisse
l'una dall'altra e in continua contesa per la supremazia sull'intera personalità. Rappresentazioni di sé
differenti corrispondono ovviamente a diverse rappresentazioni oggettuali,altamente influenzate dal
contesto interpersonale in un dato momento.
Oggetto di interesse sono anche i confini del sé. Il paziente è in grado di differenziare chiaramente i
propri contenuti mentali da quelli altrui,oppure i confini del sé e dell'oggetto tendono a essere sfocati?un
aspetto correlato potrebbe essere la percezione che il paziente ha del proprio corpo. I confini corporei del
paziente sono intatti,o il paziente ha bisogno di definire la propria barriera epidermica con ripetute
automutilazioni?mente e corpo vengono costantemente considerati connessi,oppure vi sono episodi di
depersonalizzazione o esperienze extracorporee nelle quali la mente sembra essere indipendente dal
corpo?.
CONSIDERAZIONI POSTMODERNE
Poiché gli psichiatri dinamici riconoscono la natura duale della valutazione diagnostica,esplorano sempre il
modo con cui la loro soggettività può influire su ciò che stanno osservando nel paziente.
Gli psichiatri dinamici devono sempre tenere in considerazione la loro soggettività,incluse credenze e
pregiudizi,così che questi aspetti della "lente" del clinico vengano tenuti in considerazione valutando la
natura delle difficoltà del paziente.
FORMULAZIONE ESPLICATIVA
Per quanto riguarda la formulazione esplicativa i diversi elementi della diagnosi psicodinamica che sono
stati elencati sono la base della formulazione esplicativa. Questa ipotesi di prova o modello di lavoro
illustra come i vari elementi interagiscono nel creare il quadro clinico presentato dal paziente. Questa
affermazione riassuntiva,a volte indicata con l'espressione "formulazione psicodinamica"(Perryet
al.,1987),può includere anche considerazione sugli aspetti biologici della malattia e sulle conseguenti
implicazioni terapeutiche.
Sebbene la formulazione sia tesa a spiegare la condizione del paziente,non deve necessariamente spiegare
tutto. Dovrebbe succintamente mettere in luce i temi principali,in particolare la loro rilevanza rispetto al
programma terapeutico.
Con alcuni pazienti un modello teorico sembrerà avere un valore esplicativo maggiore,mentre con altri tute
e quattro le prospettive teoriche potranno apparire utili nel concettualizzare vari aspetti della
psicopatologia del paziente.
La formulazione dovrebbe essere elaborata con la consapevolezza che essa è in continuo mutamento a
meno a mano che il trattamento procede. Nella psichiatria psicodinamica,diagnosi e terapia evolvono
sempre parallelamente.
Nell'analisi finale,lo scopo della valutazione psicodinamica è quello di informare e di guidare la globale
pianificazione terapeutica.
Una comprensione dinamica dei pazienti può aiutare i clinici a decidere se i loro pazienti potrebbero
accettare un'indicazione per una terapia sessuale,comportamentale familiare o di gruppo.
Infine,l'accettazione di ciascun paziente del regime farmacologico prescritto sarà influenzata dal suo
substrato caratterologico personale.
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Di diversa natura o qualità,non omogeneo.
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Della stessa specie,della stessa natura,dello stesso carattere,detto di una cosa rispetto ad altre o più cose l'una
rispetto all'altra;o anche,due grandezze che hanno le medesime dimensioni fisiche.
TRANSFERT,CONTROTRANSFERT E RESISTENZA
Il transfert,il controtransfert e la resistenza sono pietre miliari della psicoterapia dinamica di
gruppo,esattamente come lo sono nel lavoro individuale. La modalità stessa del gruppo altera comunque
in maniera significativa il transfer. Innanzi tutto,l'intensità dei transfert dei pazienti può essere diluita
quando questi vengono ridiretti verso altri pazienti. Lo spostamento del transfert dal terapeuta a un
membro del gruppo può essere tuttavia benefico, in quanto fornisce un "terreno di prova" per
elaborare un transfert genitoriale prima che si sviluppi nella relazione con il terapeuta (Wolf, 1983).
La psicoterapia di gruppo consente inoltre la formazione di molteplici transfert. Il terapeuta ha allora a
disposizione un laboratorio all'interno del quale le relazioni oggettuali interne dei pazienti si manifestano
in modo da essere visibili a tutti,attraverso l'esteriorizzazione nelle relazioni con i singoli membri del
gruppo. Sebbene anche nella psicoterapia individuale si sviluppino diversi transfert, questi tendono ad
apparire nel corso di un periodo di tempo più lungo. li setting di gruppo può consentire al terapeuta di
acquisire una maggiore familiarità con le relazioni oggettuali interne dei pazienti in un periodo di tempo
assai più breve.
Sebbene in una terapia di gruppo il transfert possa venire diluito,è anche vero il contrario. Il transfert può
intensificarsi quando l'intero gruppo viene travolto da potenti sentimenti di valenza sia positiva che
negativa. I terapeuti,che fungono da contenitori per tutte le proiezioni degli oggetti cattivi presenti nei
membri del gruppo,si renderanno immediatamente conto di come anche il controtransfert possa essere
più intenso in un setting di gruppo.
Le richieste controtransferali al terapeuta di un gruppo possono essere formidabili. Fortunatamente,vi è
un'insita protezione contro l'agire controtransferale avverso,perché i pazienti di un gruppo colgono
immediatamente il comportamento inappropriato del terapeuta o le sue errate percezioni, e insistono
per avere una spiegazione (Wolf,1983).
Per diluire il transfert e il controtransfert,taluni terapeuti preferiscono lavorare nelle psicoterapia di
gruppo con un coterapeuta. Avere un partner aiuta il terapeuta a elaborare gli intensi sentimenti suscitati
dal gruppo.
Oltre al transfert dei pazienti verso il terapeuta e verso gli altri membri del gruppo,vi è anche una terza
forma di transfert che è caratteristica unica dei gruppi - il transfert verso il gruppo come entità.
Questa forma di transfert offre ai pazienti l'opportunità di esaminare le loro aspettative riguardo agli altri
gruppi nei quali vivono e lavorano. Il gruppo come entità totale viene spesso visto come una "madre"
idealizzata,completamente gratificante,che soddisferà il desiderio del paziente di ricongiungersi con una
figura incondizionatamente amorevole. Nel riconoscere questa tendenza, Scheidlinger (1974) ha definito
questo fenomeno "gruppo madre". Quando questa forma di
transfert è in piena fioritura, il terapeuta può essere visto come una terribile figura materna, in contrasto
con la benevolenza incondizionata del gruppo come intero.
Altri autori (Gibbard,Hartman,1973) hanno visto nel transfert idealizzato verso il gruppo nel suo insieme
una posture difensiva che evita di vedere il gruppo (madre) come sadico.
La rielaborazione del transfert e della resistenza costituisce il nucleo del compito del terapeuta a
orientamento dinamico,come nella psicoterapia individuale. Ganzarain (1983) sostiene infatti che la
rielaborazione è la caratteristica chiave che distingue la terapia di gruppo psicoanalitica dalle altre forme
di trattamento di gruppo. Egli pone in rilievo soprattutto la rielaborazione delle angosce primitive a
carattere psicotico e i meccanismi di difesa a esse associati.
Le forze regressive che vengono attivate dall'esperienza di gruppo mettono il paziente in contatto con
l'angoscia derivante dalle posizioni schizoparanoide e depressiva assai più rapidamente e profondamente
di quanto non avvenga nella terapia individuale. Anche la rielaborazione del transfert viene facilitata dal
contributo degli altri membri del gruppo. Un paziente può cercare di convalidare un'impressione
personale del terapeuta "verificandola" con gli altri pazienti. Quando i partecipanti confrontano le
distorsioni inerenti alla percezione transferale, il paziente può essere disposto ad ascoltare e ad accettare
il feedback più di quando questo viene fornito dal terapeuta.
INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI
Alcune delle indicazioni per la psicoterapia individuale espressivo-supportiva valgono anche per la
psicoterapia dinamica di gruppo. Queste comprendono:
Tuttavia,la domanda che il clinico deve porre è:quale specifico criterio indica che il paziente è
particolarmente adatto per la psicoterapia di gruppo invece che per la psicoterapia individuale?Secondo
una deplorevole tradizione,la psicoterapia di gruppo è stata spesso considerata come una modalità
terapeutica di seconda classe. Articoli di sintesi critica che hanno messo a confronto psicoterapia
individuale e di gruppo non supportano questo pregiudizio.
La maggior parte di questi studi comparativi non trova differenze nei risultati.
La psicoterapia dinamica di gruppo è probabilmente una modalità di cura sottoutilizzata nonostante la
sua appetibilità in termini del rapporto costo-efficacia.
Vi sono diversi generi di problemi che possono essere affrontati più efficacemente in un setting di gruppo
che in una terapia individuale (Sadlock,1983). Il paziente straordinariamente ansioso rispetto alle figure di
autorità può trovare più semplice parlare e relazionarsi con dei compagni. Un paziente il cui problema
principale sembra essere sorto da conflitti con i fratelli può trovare che un setting di gruppo riattivi il
problema in una maniera che ne rende più facile l'esame e la risoluzione. Per converso, talvolta un figlio
unico che non è cresciuto con fratelli o sorelle e che ha difficoltà, nella vita adulta, a imparare a condividere
le sue esperienze potrà scoprire che un gruppo è il luogo migliore per affrontare questo genere di problemi.
I pazienti non psicotici che si affidano pesantemente alla proiezione potranno trarre beneficio dai confronti
con gli altri membri del gruppo,i quali contesteranno ripetutamente le distorsioni riferite al gruppo. Pazienti
borderline che in terapia individuale sviluppino un transfert intensamente negativo potranno beneficiare
dalla diluizione del transfert insita nel lavoro di gruppo. Quasi sempre questi pazienti necessitano tuttavia
anche di una psicoterapia individuale. Quando le due modalità sono associate vi sono degli effetti di
potenziamento e di amplificazione sia per la terapia individuale che per quella di gruppo (Porter, 1993;
Sperry et al., 1996).
Gli effetti di potenziamento della terapia individuale includono una profonda esplorazione intrapsichica e
un'esperienza emozionale correttiva duale. Gli effetti di potenziamento della terapia di gruppo sono
l'esplorazione di transfert multipli e l'offerta di un setting in cui il paziente può osare nuovi comportamenti.
Uno degli effetti di amplificazione della terapia individuale è quello di fornire un'opportunità di
esplorazione del materiale che proviene dalle sedute di gruppo prevenendo cos ì un prematuro drop-out
dal gruppo. Un possibile effetto di amplifìcazione della terapia di gruppo è quello di avere un'ulteriore
possibilità di analizzare le resistenze di transfert delle sedute individuali.
La terapia di gruppo è generalmente efficace per pazienti con disturbi di personalità di alto livello,che
comprendono i pazienti isterici,ossessivo-compulsivi,alcuni pazienti narcisistici,passivo-aggressivi e
dipendenti,in quanto il setting di gruppo può essere l'unico luogo nel quale questi pazienti ricevono un
feedback sugli effetti che i loro modelli caratteriali hanno sugli altri. La psicopatologia riscontrata nei
pazienti con disturbo di personalità comprende in genere tratti caratteriali egosintonici (comportamenti
che disturbano gli altri ma non il paziente stesso).
Il feedback da parte dei compagni nella psicoterapia di gruppo spesso aiuta questi pazienti a riflettere sui
loro modelli di comportamento facendoli alla fine diventare egodistonici 11(disturbanti per i pazienti
stessi),il che è il primo passo verso l'acquisizione di una sufficiente motivazione a cambiare.
Nella valutazione delle indicazioni,un'ovvia differenza tra la psicoterapia individuale e la psicoterapia di
gruppo è che il terapeuta di gruppo deve valutare costantemente l'adattamento tra un eventuale
paziente e il gruppo così come è composto al momento.
Un paziente borderline può essere abbastanza tollerabile in un gruppo di pazienti con un alto livello di forza
dell'Io ,ma due potrebbero sopraffare il gruppo con sproporzionate richieste di attenzione e agiti distruttivi.
In maniera analoga,questioni come l'età e il genere debbono essere ponderate quando si decida
sull'indicazione per un particolare gruppo.
Per alcune sintomatologie cliniche la psicoterapia dinamica di gruppo viene consensualmente considerata
controindicata. Queste caratteristiche comprendono:
1. Scarsa motivazione;
2. Disorganizzazione psicotica;
3. Dipendenza da sostanze;
4. Disturbo di personalità antisociale;
5. Gravi somatizzazioni;
6. Disfunzioni cognitive su base organica;
7. Grave rischio di suicidio;
I pazienti tossicomani e quelli con tratti antisociali possono, tuttavia, essere trattati efficacemente
in gruppi omogenei basati su una modalità di confronto.
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agg. - In psicoanalisi,termine usato,spesso in contrapp.a egosintonico,per significare incompatibilità di
impulsi,emozioni o idee con l'Io e/o con i valori e le rappresentazioni ideali in cui quest'ultimo tende a riconoscersi.
Diverso da EGOSINTONICO - In psicoanalisi,di soggetto o comportamento che rivela compatibilità di idee e impulsi con
l'Io o una sua parte;quest'ultima può mettersi a disposizione di un comportamento deviante,ancorché
egosintonico,per difendersi da una sottostante angoscia;è noto,per es.,il carattere egosintonico di certe perversioni
sessuali,attraverso le quali l'Io si difende da angosce di castrazione o,più moderatamente,da sentimenti di
annichilimento.
CONCEZIONE TEORICA
Lavorando con coppie sposate alla Tavistock Clinic negli anni 50 e 60,Henry Dicks(1963) iniziò a
osservare che alcune coppie relativamente sane - che sembravano avere un matrimonio
soddisfacente - funzionavano nel loro matrimonio a un livello primitivo di relazioni oggettuali.
Osservò che in queste coppie si tendeva a vedere il coniuge come se fosse qualcun'altro.
Marito e moglie si relazionavano alla controparte come se questi fosse semplicemente una
proiezione del suo mondo interno. Tipicamente, il marito percepiva la moglie come se fosse una
rappresentazione oggettuale interna della sua psiche, spesso la propria madre.
Dicks giunse alla conclusione che una delle fonti principali di discordia tra i coniugi fosse il
fallimento di ciascun partner nel confermare la vera natura o identità dell'altro.
I partner tendevano invece a forzare l'altro a comportarsi in modi altamente stereotipati e
limitanti. Le coppie tendevano a deteriorarsi in unità polarizzate,come sadico-
masochista,dominatore-sottomesso,sano-malato e indipendente-dipendente. Dicks riconobbe che
ciascuna di queste metà polarizzate formava una personalità intera nella diade coniugale,ma che
ognuno dei due considerato individualmente era incompleto.
Proprio mentre il suo collega Bion stava osservando come i gruppi esercitino una forza regressiva
sugli individui,Dicks stava scoprendo un analogo effetto regressivo nel matrimonio.
Il matrimonio sembrava far regredire velocemente verso relazioni di tipo genitore-bambino
anche persone con una notevole forza dell'Io.
"Quello che Dicks osservava era, naturalmente, una forma di transfert. I coniugi rimettevano in atto
nel presente una relazione del passato. Nel linguaggio della teoria delle relazioni oggettuali, i
partner utilizzavano i meccanismi della scissione e dell'identificazione proiettiva per rendere
esterno, o coniugale, un conflitto interno, nel quale la rappresentazione oggettuale interna,
solitamente un genitore, veniva scissa e proiettata nel coniuge.
Colui che proiettava si comportava poi in maniera tale da costringere il coniuge a comportarsi
come l'oggetto interno proiettato. Un marito,ad esempio,che sia abituato a essere trattato dalla
madre come un bambino,potrà inconsciamente ricreare la situazione esperita con la madre nel
proprio matrimonio,comportandosi in maniera infantile ed evocando una risposta materna da
parte della moglie.
Oppure,un coniuge potrà proiettare nell'altro una rappresentazione di Sé,costringendo il partner
a comportarsi come quella rappresentazione,mentre colui che proietta si comporta come una
rappresentazione oggettuale complementare.
Diversi autori hanno esteso all'intera famiglia questa comprensione dei conflitti di coppia basata
sulla teoria delle relazioni oggettuali.
Tali autori hanno notato che un paziente è spesso il portatore o il contenitore delle parti
inaccettabili scisse di altri componenti della famiglia.
In tal modo,l'equilibrio familiare viene mantenuto da questa sistemazione della scissione e
dell'identificazione proiettiva. Un ragazzo adolescente,ad esempio,può mettere in atto impulsi
antisociali che rappresentano aspetti di un'inaccettabile rappresentazione di sé del padre,che viene
proiettivamente disconosciuta dal padre e contenuta dal figlio. Un bambino può,allo stesso modo,
venire idealizzato per mezzo dell'identificazione proiettiva di aspetti positivi di rappresentazioni del
Sé o dell' oggetto. La teoria delle relazioni oggettuali si presta bene alla terapia della famiglia
in quanto i suoi costrutti (scissione e identificazione proiettiva) offrono un ponte di
passaggio dall'intrapsichico all'interpersonale e dall'individuo alla famiglia (Slipp,1984; Zinner,
1976).
TECNICA
La tecnica della terapia delle relazioni oggettuali per le coppie e le famiglie emerge dalla concezione
teorica. L'obiettivo globale è quello di aiutare i membri della famiglia o della coppia a
reinteriorizzare i conflitti che sono stati esteriorizzati attraverso l'identificazione proiettiva. Il
focus pertanto,deve vertere sull'aiutare ciascuna persona a reimpossessarsi delle proprie proiezioni
e elaborarle di conseguenza.
Il processo terapeutico inizia con un'attenta diagnosi del modo in cui le rappresentazioni interne
del Sé e dell'oggetto sono state distribuite nella famiglia per mezzo della scissione e
dell'identificazione proiettiva. Quando questo modello diventa evidente,il terapeuta cerca di
spiegare come tra i vari membri della famiglia si sia formato un inconscio sistema collusivo,atto a
perpetuare il comportamento patologico del paziente designato.
La stabilità della famiglia dipende dalla capacità di uno o più membri della famiglia di contenere le
varie parti proiettate degli altri membri. Proprio come avviene per altre forme di psicoterapia
psicodinamica, queste interpretazioni esplicative incontrano generalmente delle resistenze.
La forza antiterapeutica può assumere la forma del tentativo di "risucchiare" il terapeuta
all'interno del sistema familiare. In altre parole,i membri della famiglia inconsciamente ripetono
gli schemi patologici della famiglia invece di verbalizzarli e analizzarli. Nella terapia della coppia
,ad esempio, un marito può utilizzare l'identificazione proiettiva con il terapeuta nel medesimo
modo in cui lo fa con la moglie.
Per via di queste potenti resistenze,i terapeuti della famiglia che si basano sulla teoria delle
relazioni oggettuali devono essere particolarmente sintonizzati rispetto alle proprie reazioni
controtransferali intese in senso ampio od oggettivo. Il altre parole,è fondamentale che i terapeuti
consentano a se stessi di fungere da contenitori per le parti proiettate dei membri della
famiglia,in maniera da poter diagnosticare e interpretare più accuratamente quanto accade nella
famiglia. I terapeuti saranno così in grado di mettere in evidenza gli schemi patologici collusivi nel
qui e ora del processo terapeutico e di collegarli a quanto avviene al di fuori di questo processo.
La forma di resistenza più comune all'inizio della terapia della coppia è,per entrambi i
coniugi,l'aspettarsi che il terapeuta "aggiusti" l'altro (Jones,Gabbard,1988). Poiché
l'esteriorizzazione del conflitto sul partner è ben consolidata,entrambi i coniugi sono più interessati
a persuadere il terapeuta del loro essere "nel giusto" che a riparare il matrimonio (Berkowitz,1984).
I terapeuti devono ripetutamente evitare di prendere,in tali conflitti,le parti dell'uno o dell'altro.
Devono invece aiutare le cop- pie ad allargare la loro prospettiva fino a includere i loro contributi
perso- nali al conflitto coniugale.
La transizione dal considerare il problema come un conflitto coniugale al percepirlo come un
conflitto interno che viene inscenato nell'ambito della coppia è un compito arduo per entrambi i
partner. L'identificazione proiettiva nella diade coniugale richiede una condizione di conflitto
perenne - la polarizzazione inerente al processo scissionale mantiene la stabilità (Zinner,1976). E'
facile che destabilizzi questa situazione venga sentito da entrambi i coniugi come minaccioso.
Il bisogno che il coniuge sia "l'oggetto cattivo" può essere così coercitivo da vanificare tutti gli sforzi
terapeutici (Dicks, 1963). Nonostante comprendano le inte razioni patologiche che avvengono tra
loro, talune coppie sceglieranno di vivere in una condizione di disarmonia piuttosto che affrontare
l'angoscia connessa con il cambiamento.
Quando la terapia giunge a una situazione di stallo a causa di tale resistenza, è talvolta utile che il
terapeuta esponga ai coniugi diverse opzioni e faccia loro capire che sono liberi di scegliere cosa
fare della loro vita. Il divorzio o anche nessun cambiamento devono essere tra queste opzioni e
devono essere considerati dal terapeuta come degli esiti accettabili. A quel punto soltanto i coniugi
potranno rendersi conto che la scelta di come vivere la loro vita dipende alla fin fine da loro stessi.
In ultima analisi,naturalmente,il cambiamento nella terapia della coppia non è responsabilità del
terapeuta - solo gli stessi coniugi possono decidere se intendono cambiare il loro matrimonio.
Quando i terapeuti si trovano altamente impegnati verso un particolare risultato,sono spesso
coinvolti in un'interazione collusiva nella quale si identificano con parti proiettate dei membri
della famiglia. Inoltre,più il terapeuta spinge affinché vi sia un cambiamento,più è probabile che la
coppia farà resistenza.
DA QUI_____RASSEGNA STORICA
Il professionista può contare su una lunga tradizione nell'applicazione dei principi psicoanalitici al
trattamento ospedaliero. La storia della nozione di ospedale psicoanalitico ebbe inizio col lavoro di
Simmel allo Schloss Tegel (1929),durante il quale egli notò come certi pazienti non potessero
essere analizzati al di fuori dell'ospedale a causa di vari comportamenti sintomatici,come alcolismo
e fobie. Egli ebbe l'idea che un ospedale potesse prolungare l'ora del paziente sul lettino
addestrando i membri dello staff ospedaliero a condurre un trattamento quasi analitico via via
che emergevano tematiche di transfert e resistenza. Nella sua creativa e brillante Guide to the
OrderSheet,Will Menninger (1939) smitizzò il modello della psicoanalisi individuale e tentò di
applicare i principi della psicoanalisi direttamente in ospedale modificandone l'ambiente.
Basandosi sull'assunto per cui tutti i sintomi derivano da disturbi nell'adeguata fusione ed
espressione delle due principali pulsioni istintuali,la libido e l'aggressività,Menninger elaborò un
sistema di trattamento ambientale largamente fondato sulla sublimazione 12 e che escludeva
l'insight. Piuttosto che frustrare o interpretare desideri e conflitti inconsci,questo approccio si
focalizzava sul reincanalamento delle energie in percorsi meno dannosi. Ad esempio,Menninger
incoraggiò l'espressione diretta dell'ostilità verso oggetti sostitutivi;le prescrizioni a un paziente
potevano andare dalla demolizione di un edificio al colpire un sacco da pugilato.
Sfortunatamente,questo modello non poteva includere i pazienti con una debolezza dell'Io che
implica problemi di controllo degli impulsi,per i quali è necessario un trattamento che aiuti ad
acquisire un maggior controllo sugli impulsi piuttosto che a indirizzarli verso oggetti sostitutivi.
Inoltre,questa concettualizzazione era limitata dal suo stesso riferirsi alla teoria duale degli istinti di
allora,che tendeva a negare il contesto delle relazioni oggettuali nel quale si collocano le pulsioni
disturbate,e nemmeno consentiva un esame sistematico del transfert e del controtransfert
nell'ambiente.
Il terzo modello si sviluppò dalla consapevolezza che i pazienti ricreavano con vari membri dello
staff ospedaliero i loro conflitti con i familiari (Hilles,1968).
L'interpretazione degli schemi di comportamento maladattivi nei termini delle loro radici nel
passato era tipica di questo modello,che si fondava sempre meno sul fornire sfoghi sostitutivi per i
bisogni inconsci. L'ambiente non veniva considerato una comunità terapeutica nella quale viene
dato rilevo alle esperienze reali,costruttive con gli altri ospiti,bensì come uno schermo sul quale gli
schemi arcaici vengono proiettati e poi esaminati. Schlesinger e Holzman (1970),descivendo gli
aspetti terapeutici dell'ambiente di un ospedale psichiatrico,notarono che tale ambiente poteva
integrare la relazione terapeuta-paziente offrendo a quest'ultimo la possibilità di elaborare in un
12
In psicoanalisi,termine introdotto da S.Freud (ted. Sublimierung)per indicare la trasformazione di impulsi istintuali
primitivi,soprattutto sessuali,a livelli superiori e socialmente accettabili,e comunque di carattere non sessuale,come
processo prevalentemente inconscio operante nella produzione artistica e creativa e nella sfera religiosa;v. anche
neutralizzazione.
contesto reale quanto veniva discusso nella terapia.
Serviva anche come una sorta di terreno di prova o di laboratorio nel quale i pazienti potevano
mettere in pratica il tentativo di cambiare in diversi modi,parallelamente al procedere della
psicoterapia. Schlesinger e Holzman affermarono che la prescrizione di una terapia ambientale per i
pazienti ricoverati era un processo complesso che richiedeva una particolare attenzione alle
molteplici funzioni del coinvolgimento del paziente nell'ambiente ospedaliero. Proposero uno
schema basato sui cinque punti di vista della metapsicologia psicoanalitica: strutturale,economico,
dinamico, adattivo e genetico.
Un certo numero di autori ha indicato il controtransfert come parte integrante del processo
terapeutico. Essi ammoniscono che l'efficacia del trattamento viene meno quando i membri dello
staff rispondono in maniera controtransferale come se fossero uno dei genitori del paziente.
Queste influenze controtransferali si verificano regolarmente,e non occasionalmente,e l'esame
sistematico del controtransfert dovrebbe far parte del lavoro di routine dell'équipe ospedaliero
orientato psicoanaliticamente è che i pazienti ricreano nell'ambiente esterno le loro relazioni
oggettuali interne.
Secondo Kerberg,il livello più alto di relazione oggettuale viene attivato nei rapporti terapeutici
individuali,mentre la versione più primitiva è più probabile nelle modalità di trattamento di
gruppo. Una combinazione di terapia individuale e di gruppo nei ricoveri ospedalieri a lungo
termine offre la possibilità di intervenire a entrambi i livelli. Kenberg (1973) sostenne che tale
approccio terapeutico bidimensionale richiede "un ambiente ospedalierlo 'neutro',ovvero un
atteggiamento da parte dello staff che sia equidistante dalle diverse istanze intrapsichiche ed
esterne coinvolte nei conflitti del paziente,e si rifletta in un'atmosfera ospedaliera globalmente
amichevole e generalmente tollerante,partecipe e intellettualmente pronta".
Nel contesto di questa atmosfera neutrale,vedeva la comunità terapeutica e la psicoterapia
individuale ospedaliera come operanti simultaneamente per esaminare le reazioni oggettuali
interne e allo stesso tempo per adempiere le funzioni dell'Io o di controllo.
Egli definisce il trattamento ospedaliero come "la simultanea diagnosi e terapia delle funzioni di
controllo del paziente e del suo mondo interno di relazioni oggettuali".
Riassumendo,l'applicazione dei principi psicoanalitici/psicodinamici al trattamento ospedaliero ha
subito una graduale evoluzione negli ultimi settant'anni. La nozione di contenimento dei pazienti
in terapia psicoanalitica ha lasciato gradualmente il posto a un secondo modello che prevede
prescritte interazioni con lo staff ospedaliero. Il terzo e attuale modello,che sposta l'accento
sull'esame sistematico del transfert e del controtransfert,ritiene che i pazienti ricreino
nell'ambiente esterno le loro relazioni oggettuali interne.
Questo punto di vista si riflette nel tentativo integrativo di Kernberg (1973) di fondere la teoria
psicoanalitica delle relazioni oggettuali,la teoria sistemica e l'uso dei processi gruppali in un
approccio globale al trattamento ospedaliero. Un principio fondamentale di questo approccio è
che in tutti noi esiste il potenziale sia per relazioni oggettuali di più alto livello,tipiche della
nevrosi di transfert nella terapia psicoanalitica individuale,sia per i livelli più primitivi di relazioni
oggettuali che portano,nelle situazioni di gruppo,a una regressione psicotica.
UN GRIDO D'AIUTO
E' riduttivo considerare l'identificazione proiettiva soltanto come un meccanismo di difesa. Come
l'individuo che costituisce il bersaglio delle proiezioni può percepire intensamente,essa è anche una
forma di comunicazione. Angosce primitive agiscono in modo tale da obbligare i pazienti a
sbarazzarsi di stati affettivi intollerabili, con le rappresentazioni del Sé e dell' oggetto loro
associate. Un certo sollievo viene raggiunto allorché un terapeuta è costretto a vivere sulla
propria pelle il contenuto proiettato che sta tormentando il paziente.
UN DESIDERIO DI TRASFORMAZIONE
Violente relazioni oggettuali interne possono essere esteriorizzate nella speranza che possano
essere trasformate. Sandler e Sandler (1987) hanno osservato che i pazienti interiorizzano
un'interazione desiderata,una fantasia di relazione con un genitore che risponda alle loro
aspettative.
In questo senso si può inferire che le vecchie relazioni sono ripetute con il desiderio inconscio che
questa volta sarà diverso (ad esempio, sia l'oggetto che il Sé saranno trasformati nella relazione
fantasticata che il paziente desidera ardentemente).
Un day-hospital o un reparto psichiatrico possono fornire una nuova e diversa forma di modalità
di relazione interpersonale che faciliti l'interiorizzazione di una relazione oggettuale meno
patologica. In un ambiente ottimale,l'obiettivo dei membri dello staff è di rapportarsi ai pazienti in
modo da evitare di essere indotti a reagire come farebbero le loro rappresentazioni oggettuali
interne. Evitando di comportarsi come chiunque altro nel mondo del paziente,possono offrire una
visione alternativa della realtà che andrà a riformulare l'oggetto-Sé dell'individuo secondo un nuovo
pattern.
Nel setting ospedaliero i pazienti costantemente ma inconsciamente mettono alla prova i membri
dello staff per verificare se siano diversi da figure precedenti dell'ambiente preospedaliero. La
situazione richiede comunque un avvertimento. I membri dello staff che semplicemente "sono
carini" con il paziente preserveranno il paziente dall'esperire14 ed elaborare vecchi modelli di
relazione. Ne deriva che in ogni setting terapeutico deve essere presente un equilibrio attento tra
l'essere usato come un oggetto nuovo e l'essere usato come un oggetto vecchio
(Gabbard,Wilkinson, 1994).
Con il trascorrere del tempo,le modalità relazionali da "oggetto vecchio" sono gradualmente
sostituite da nuovi modelli di relazione basati su nuove esperienze con lo staff curante,e su una
rinnovata comprensione da parte del paziente dei suoi bisogni inconsci di ricreare relazioni del
passato.
Nell'ambito di questa formulazione di relazioni oggettuali interne, il compito terapeutico è quello
14
Provare,sperimentare:e. un'indagine;e. le vie legali;tentare,mettere in opera:e. tutti i mezzi possibili per riuscire;
sono state esperite senza esito tutte le vie d'uscita.
di diagnosticare attentamente le rappresentazioni del Sé e dell' oggetto del paziente, e di
mantenere una diligente vigilanza riguardo alla natura dei Sé e degli oggetti proiettati in ogni
dato momento. Implicito in questo compito è l'assunto secondo il quale i terapeuti devono avere
una sufficiente familiarità con le loro proprie configurazioni interne del Sé e dell' oggetto, così da
poter discernere i due tipi di controtransfert.
In questo modello di trattamento basato sul transfert-controtransfert,lo staff terapeutico deve
mantenersi aperto ai potenti sentimenti che questi pazienti evocano. Esaminare il controtransfert
dev'essere parte integrante del processo terapeutico. I membri dello staff dovrebbero liberamente
permettersi di fungere da contenitori per le proiezioni del Sé e dell'oggetto del paziente, e per gli
affetti connessi alle relazioni oggettuali. Da una prospettiva individuale, questo approccio significa
evitare l'atteggiamento di "medico devoto" descritto da Searles (1967), nel quale il terapeuta cerca
di essere sempre amorevole, come difesa contro la sua vulnerabilità nell'indirizzare sadismo e odio
verso il paziente. Se il terapeuta è ipercontrollato e iperdifeso nei confronti delle reazioni emotive
del paziente, il processo diagnostico di delineare queste relazioni oggettuali interne verrà meno.
Nonostante la crescente tendenza degli ultimi anni a utilizzare riunioni dello staff per stilare piani
terapeutici a orientamento comportamentale,le reazioni emotive ai pazienti da parte dei singoli
operatori devono essere discusse apertamente e con comprensione. Se tali riunioni divengono
mere sedute amministrative con precise finalità,senza che vi sia un tempo dedicato a elaborare i
paradigmi del transfert-controtransfert,le conseguenti disfunzioni dello staff influiranno
negativamente sul paziente. Inoltre, l'ospedale non starà più attuando un trattamento orientato
psicodinamicamente, bensì una semplice "gestione del caso".
L'atteggiamento del capo del reparto o dell'équipe è cruciale per quanto riguarda il tono delle
discussioni relative al controtransfert. Il capo dev'essere un modello per il resto dello
staff,esaminando apertamente i propri sentimenti e rapportandoli alle relazioni oggettuali interne
del paziente. Egli deve altresì valorizzare e accettare l'espressione di sentimenti da parte degli altri
membri dello staff ed evitare di interpretarli come manifestazioni di conflitti
personali non risolti e non analizzati. Ii capo dell' équipe terapeutica dovrebbe anche acquisire
familiarità con lo stile abituale nel rapportarsi ai pazienti di ciascun componente
dello staff. Questa consapevolezza deve comprendere la conoscenza delle tipiche
reazioni controtransferali a certi tipi di pazienti, così come il funzionamento più
adattivo e libero da conflitti. Questa familiarità potrà aiutarlo a notare eventuali
deviazioni dalle caratteristiche modalità relazionali con i pazienti.
Egli deve altresì valorizzare e accettare l'espressione di sentimenti da parte degli altri membri dello
staff ed evitare di interpretarli come manifestazioni di conflitti interni.
Quando un membro dell'équipe condivide un sentimento disturbante emerso nel trattamento di un
paziente,il capo deve porre domande come: "Perché il paziente ha bisogno di evocare in lei quella
reazione?che cosa sta ripetendo?con quale figura del passato del paziente si sta identificando?
come possiamo usare i sentimenti che il paziente evoca in lei per capire come debbano reagire il
suo partner o i suoi amici?
La ricerca empirica,tuttavia,mostra che la scissione non si presenta solo in pazienti borderline,ma è
piuttosto caratteristica di un'ampia varietà di disturbo di personalità. I membri di un'équipe si
trovano ad assumere e a difendere l'uno contro l'altro delle posizioni altamente polarizzate con una
veemenza15 sproporzionata rispetto all'importanza della questione.
Il paziente ha presentato una rappresentazione del Sé a un gruppo di terapeuti e un'altra
15
Violenza,impeto travolgente:la v. dell'uragano;la v. dell'urto nemico;assalire con v.;la v. dell'ira,del desiderio;inveire
con v.;litigava con la sorella...con v.,a voce altissima,e poi si riappacificavano.
rappresentazione del Sé a un altro gruppo di terapeuti. Per mezzo dell'identificazione
proiettiva,ciascuna rappresentazione del Sé evoca una reazione corrispondente nel terapeuta,che
può essere compresa come un'identificazione inconscia con l'oggetto interno del paziente che è
stato proiettato.
Una scissione conclamata di questo tipo illustra chiaramente la nozione,convalidata nel
tempo,secondo la quale i pazienti riassumono nell'ambiente ospedaliero il loro mondo oggettuale
interno (Gabbard,1989). Terapeuti diversi si identificano inconsciamente con gli oggetti interni
del paziente e mettono in atto i ruoli di un copione scritto dall'inconscio del paziente. Inoltre, per
via dell' elemento di controllo
inerente all'identificazione proiettiva, vi è spesso nelle risposte dei terapeuti una
qualità obbligata.
La scissione che avviene nel trattamento ospedaliero rappresenta un'istanza speciale nella quale
si sviluppano contemporaneamente sia la scissione intrapsichica che quella interpersonale
(Hamilton,1988). Gli aspetti interpersonali della scissione che si verifica nei membri dello staff sono
chiaramente paralleli alla scissione intrapsichica del paziente. Inoltre, per via dell' elemento di
controllo inerente all'identificazione proiettiva, vi è spesso nelle risposte dei terapeuti una
qualità obbligata.
Ai membri dell'équipe dovrebbe essere consigliato di scambiarsi osservazioni e discutere tra loro
ma di non mettere in atto sentimenti di natura distruttiva. Essi dovrebbero essere incoraggiati a
elaborare i loro sentimenti nel corso delle riunioni e a utilizzare tali sentimenti per diagnosticare e
comprendere le relazioni oggettuali interne del paziente. Via via che il trattamento progredisce,i
membri dello staff acquisiranno una maggiore comprensione delle relazioni oggettuali interne del
paziente. Via via che il trattamento progredisce, i membri dello staff
acquisiranno una maggiore comprensione delle relazioni oggettuali interne del
paziente, e saranno a quel punto meno inclini a identifìcazioni controtransferali,
potendo così meglio chiarire le distorsioni, del paziente e la natura del suo mondo
oggettuale interno.
Pertanto,se ai membri dello staff viene data l'opportunità di provare potenti sentimenti
controtransferali e di discuterli nelle fasi iniziali della terapia di un dato paziente,essi saranno in
grado di avvicinarsi al paziente con maggiore obiettività a mano a mano che il trattamento
procede. Se i terapeuti sono inclini a negare nel controtransfert odio, rabbia e disprezzo
eludendo il senso di colpa, essi comunicheranno comunque in maniera non verbale i
loro intensi sentimenti negativi (Poggi, Ganzarain, 1983).
I membri di uno staff ospedaliero dovrebbero evitare il distacco ed entrare nel campo
interpersonale del paziente in maniera spontanea ma controllata. Questa capacità di lasciarsi
"risucchiare",ma solo parzialmente,è un assetto straordinario che consente ai terapeuti di acquisire
una comprensione empatica dei problemi relazionali del paziente (Hoffman,Gill,1988).
16
Che riguarda la diacronia:sviluppo d.,di una lingua,di una dialetto,o più in partic. di un elemento
fonetico,grammaticale,lessicale,il compresso dei suoi mutamenti attraverso il tempo;studio,esame d.,analisi d.,di un
fenomeno linguistico,del lessico di una lingua,ecc; Per estens.,il termine viene talora adoperato anche in altri settori
della scienza e degli studi,con riferimento a problemi,aspetti,processi della vita sociale o d'altro genere.
ospedaliero costituisce pertanto,un ottimale strumento diagnostico e terapeutico per la
comprensione del processo di scissione.
Lo psicoterapeuta non ha alcuna consapevolezza delle interazioni problematiche all'interno del
reparto e viene colto di sorpresa quando il personale infermieristico attira l'attenzione su di esse.
Come conseguenza di questa forma di scissione,lo staff ospedaliero può effettivamente escludere lo
psicoterapeuta dal processo di pianificazione del trattamento. In questo modo i membri dello staff
del reparto possono consolidare la loro alleanza proiettando la "cattiveria" e l'incompetenza al di
fuori del gruppo,sul terapeuta.
Se questo processo va avanti senza essere riconosciuto,diviene a un certo punto impossibile per il
personale del reparto e il terapeuta riconciliare le loro differenze e incontrarsi a metà strada.
Proprio come gli oggetti interni del paziente,essi non possono integrarsi. Il potere regressivo dei
gruppi è ben noto e può portare all'uso di scissione e identificazione proiettiva da parte di
professionisti altrimenti ben integrati. (Bion,Kengerg,Oldham,Russakoff).
Quando il gruppo di un'équipe raggiunge questo grado di frammentazione,troppo spesso il
paziente viene incolpato per aver cercato di dividere e vincere(Rinsley 1980).
Quello che spesso viene dimenticato in tali circostanze è che la scissione è un processo
inconscio,che i pazienti utilizzano automaticamente per salvaguardare la loro sopravvivenza
emotiva. Generalmente non incolpiamo i pazienti per altri meccanismi di difesa. Caratteristica
particolare della scissione sembra essere la percezione dei curanti che il paziente agisca in maniera
conscia e maliziosamente distruttiva. Un quadro di riferimento empatico è utile per ricordare ai
membri dello staff che la scissione è il tentativo del paziente di tenere lontana la distruttività al fine
di proteggersi.
Riassumendo,la scissione nel trattamento ospedaliero implica quattro caratteristiche principali:1)il
processo avviene a livello inconscio;2)il paziente percepisce i singoli membri dello staff in maniera
radicalmente diversa,basata sulla proiezione delle sue rappresentazioni oggettuali interne,e tratta
ognuno di loro in maniera diversa,conformemente a tali proiezioni;3)i membri dello staff
reagiscono al paziente,per mezzo dell'identificazione proiettiva,come se fossero effettivamente gli
aspetti proiettati dal paziente;4)conseguentemente,nelle discussione d'équipe sul paziente,i curanti
assumono posizioni estremamente contrapposte,difendendo tali posizioni con straordinaria
veemenza(Gabbard,1989).
Qualunque discussione sul modo in cui affrontare la scissione deve necessariamente partire
dall'osservazione di Burnham(1966) secondo cui la completa prevenzione della scissione non è né
possibile né desiderabile.
Come altri meccanismi di difesa,la scissione è una valvola di sicurezza che protegge i pazienti da ciò
che essi percepiscono come un pericolo schiacciante. E' un processo che si verificherà malgrado le
misure preventive adottate dai terapeuti. Il punto essenziale è che lo staff terapeutico deve
continuamente monitorare la scissione impedendo che essa ostacoli il trattamento,rovini il morale
dello staff e danneggi in maniera irreparabile le relazioni interpersonali tra i componenti dello staff.
Esempi di gravi stati psicopatologici e dimissioni del personale sono stati talvolta il risultato di tali
situazioni (Burnham,Main).
La preparazione professionale è un modo importante di aiutare lo staff ad affrontare la scissione.
Tutti i professionisti della salute mentale che lavorino con pazienti ricoverati dovrebbero avere
piena dimestichezza con il concetto di scissione e le sue varianti. Se i membri dello staff di un
reparto no sono in grado di riconoscere la scissione quando si sviluppa,la gestione della situazione
può divenire senza speranza. Nelle discussioni sul contro transfert,i membri dello staff possono
venire incoraggiati a lavorare nel senso del contenimento degli aspetti proiettati del
paziente,piuttosto che metterli in atto.
Sentimenti molto intensi verso i pazienti dovrebbero essere considerati come materiale utile per la
discussione e la supervisione piuttosto che come reazioni proibite che vanno tenute nascoste ai
supervisori. I membri dello staff dovrebbero inoltre imparare a controllare le loro tendenze
controtransferali a proiettare aspetti propri nel paziente.
La formazione professionale è,comunque,solo un inizio. Riunioni regolari e frequenti dello staff,che
includano lo psicoterapeuta del paziente,dovrebbero far parte della routine settimanale dell'unità
psichiatrica. Lo staff dovrebbe instaurare e portare avanti uno spirito di aperta comunicazione
riguardo alle differenze. Molti anni fa Stanton e Schwartz dimostrarono persuasivamente il valore
profilattico del portare alla luce ed esaminare i disaccordi all'interno di uno staff. Gli psicoterapeuti
dovrebbero considerarsi parte dell'équipe terapeutica e allearsi con le decisioni amministrative
dello staff del reparto(Adler).
Le interpretazioni al paziente dovrebbero essere viste come complementari agli altri interventi a
livello delle interazioni dello staff. L'obiettivo dello staff,in corrispondenza con l'approccio dello
psicoterapeuta al mondo interno del paziente,è quello di integrare e moderare gli oggetti esterni.
A questo fine,è spesso utile che il membro dello staff identificato con l'oggetto cattivo e il terapeuta
identificato con l'oggetto buono si incontrino congiuntamente col paziente per discutere
apertamente di come egli percepisca ciò che sta accadendo.
Quando la situazione è talmente carica emotivamente che le persone implicate non sono disposte a
incontrarsi,può entrare in scena un consulente obiettivo per cercare di mediare la
discussione(Gabbard). Il consulente può adempiere per li gruppo il ruolo di osservante e in tal
modo incoraggiare le persone coinvolte nella scissione a identificarsi con tale funzione,in maniera
simile a quando lo psicoterapeuta incontra adolescenti borderline e le loro famiglie(Shapiro).
Questi incontri presuppongono che le diverse parti riconoscano l'esistenza di un processo di
scissione in corso. Tale riconoscimento costituisce un importante passo verso una riuscita gestione
della scissione. Generalmente,i membri dello staff saranno piuttosto riluttanti ad ammettere di
essere coinvolti nella scissione. Quando viene indetta una riunione straordinaria per discutere le
dinamiche dello staff con un dato paziente,vi possono essere forti resistenze da parte dei curanti in
quanto una simile riunione può far apparire il paziente come troppo speciale (Burnham).
Quando l'approccio funziona,il gruppo sente che ciascun membro dello staff ha portato un tassello
del mosaico,così da rendere l'intero quadro più chiaro(Burnham). Certe spaccature
sembreranno,comunque,irreparabili;e proprio come gli oggetti interni del paziente non possono
essere integrati,così non possono essere riconciliati l'uno con l'altro gli oggetti esterni. Se il
terapeuta è nel ruolo dell'oggetto svalutato,talvolta accade che tali condizioni di stallo sfocino nel
suggerimento,da parte dello staff,di un nuovo terapeuta(Adler).
Quanto prima la scissione viene scoperta,meno sarà radicata e più soggetta sarà al cambiamento.
Certi segnali d'avvertimento dovrebbero continuamente essere tenuti sotto controllo nelle riunioni
dello staff:1)quando un terapeuta è inusitatamente punitivo nei confronti del paziente,2)quando un
terapeuta è insolitamente indulgente,3)quando un terapeuta difende ripetutamente un paziente
dai commenti critici degli altri membri dello staff,4)quando un membro dello staff ritiene che
nessun altro sia in grado di comprendere il paziente (Gabbard).
Quando i membri dello staff riescono a vincere il loro orgoglio e ad accettare la possibilità di essere
coinvolti in un'identificazione inconscia con aspetti proiettati del paziente,possono iniziare a
empatizzare con i sentimenti e le prospettive dei loro colleghi. Questa disponibilità a prendere in
considerazione il punto di vista altrui può portare a un lavoro cooperativo nell'interesse del
paziente,che ha come conseguenza un marcato miglioramento del processo di scissione. La
scissione interna del paziente spesso inizia a sanarsi quando la spaccatura esterna dello staff
migliora(Gabbard).
La tipica équipe terapeutica in un ospedale psichiatrico è formata da rappresentati di diverse
discipline della salute mentale - uno psichiatra,uno psicologo,un assistente sociale,un terapeuta
occupazionale,infermieri e tecnici della salute mentale. Latenti rivalità interdisciplinari sono terreno
fertile per lo sviluppo di scissioni all'interno dell'équipe. I singoli membri dell'équipe devono
considerare che il proprio lavoro deve assolvere due diversi compiti: uno riguarda il preciso incarico
terapeutico a seconda della specifica disciplina,il secondo riguarda il poter essere oggetto di
transfet o contenitore di proiezioni (Kernberg).
Le precedenti descrizioni dell'introiezione e della proiezione delle rappresentazioni del Sé e
dell'oggetto mostrano la necessità,in ogni reparto psichiatrico,di tenere sotto attenta vigilanza i
processi di gruppo. Frequenti riunioni dello staff sono essenziali per l'integrazione dei frammenti
scissi che circolano tra i suoi componenti e i pazienti.
Allo stesso modo,regolari incontri di gruppo con i pazienti favoriscono un'attenta elaborazione delle
interazioni che avvengono tra lo staff e i pazienti e tra i pazienti stessi;servono inoltre a prevenire la
messa in atto di conflitti che sorgono in queste relazioni. La teoria delle relazioni oggettuali fornisce
un buon modello concettuale per la comprensione dei processi di gruppo all'interno del reparto
(Kernberg,Oldham,Russakoff). Stanton e Schwartz hanno mostrato che le dinamiche nel gruppo dei
pazienti possono riflettere direttamente dinamiche simile nel gruppo dello staff. In particolare,è
comune che singoli pazienti mettano in atto dei conflitti latenti nello staff. L'elaborazione
sistematica dei conflitti interpersonali sia nelle riunioni dello staff sia in quelle a cui partecipano
anche i pazienti può essere preziosa per identificare processi paralleli nei due gruppi.
Il focus specifico di piccoli gruppi di pazienti ospedalieri varia a seconda della forza dell'Io e delle
categorie diagnostiche dei pazienti di un dato reparto. In generale,comunque,si può affermare che
le riunioni del gruppo psicoterapeutico fungono da interfaccia tra le difficoltà intrapsichiche de i
pazienti e i loro conflitti nell'ambiente ospedaliero. Kibel ha suggerito che il focus di tali gruppi
dovrebbe essere centrato sulle difficoltà interpersonali che emergono quotidianamente nel
reparto. Queste difficoltà possono essere collegate alle carenze o ai conflitti intrapsichici dei
pazienti. Egli consigliò di non dare rilievo al transfert in questo tipo di gruppi,in quanto l'angoscia
generata dall'impiego del transfert potrebbe sopraffare gli IO del gruppo,in senso sia individuale
che collettivo.
Horzitz,d'altra parte,riteneva che il focus sul transfert potesse essere prezioso con i pazienti
ricoverati,per rafforzare l'alleanza terapeutica all'interno del gruppo. Quando le riunioni di piccoli
gruppi vengono condotte in maniera appropriata,esse possono addirittura diventare dei luoghi
d'asilo,rifugi nei quali i pazienti possono dare sfogo ai loro sentimenti relativi all'esperienza d'essere
un paziente psichiatrico ricoverato in ospedale,e i componenti dello staff possono,a loro volta,dare
valore a questi sentimenti ed esperienze (Kibel).
CONSIDERAZIONI TERAPEUTICHE
Mentre la terapia interpersonale e la terapia cognitivo-comportamentale sono state
studiate in modo particolarmente esteso con i pazienti depressi, la terapia
psicodinamica breve della depressione non ha una base di ricerca. Nei primi studi di
terapia dinamica breve, essa veniva usata come modalità di confronto per un
gruppo di controllo da parte di ricercatori che si affidavano ad altri approcci. La
maggioranza di questi studi considerava la terapia dinamica breve nel contesto di
gruppo piuttosto che in una situazione duale. .
Più recentemente, tuttavia, rigorosi studi controllati hanno dimostrato risultati
promettenti per la terapia dinamica breve in pazienti depressi.
Due studi naturalistici longitudinali (Blatt, 1992; Blatt et al., 1994) suggeriscono che
una terapia psicodinamica a lungo termine può essere efficace con i pazienti
autocritici e perfezionisti che non rispondono a trattamenti brevi. Molti di questi
pazienti hanno probabilmente significativi tratti caratteriali ossessivo-compulsivi o
narcisistici. Questi pazienti perfezionisti possono anche essere a elevato rischio di
suicidio (Blatt, 1998; Hewitt et al., 1997), per cui l'investimento di tempo, energia e
risorse può essere assolutamente giustificato.
MANIA
La maggior parte dei pazienti maniacali non trarrà benefici da interventi
psicoterapeutici se la loro mania non viene prima controllata farmacologicamente.
Gran parte dei trattamenti successivi riguarda la prevenzione di ricadute attraverso
la messa a fuoco dei problemi legati alla non-compliance e alla mancanza di
consapevolezza rispetto alla malattia. Diverse tematiche di grande importanza
psicodinamica che sono spesso presenti nei pazienti bipolari devono essere
affrontate. In linea con la generale negazione della malattia, questi pazienti in
genere sostengono che i loro sintomi maniacali o ipomaniacali non fanno parte di un
disturbo ma sono piuttosto un riflesso del loro modo di essere.
In seguito a un episodio maniacale, i pazienti potranno essere acutamente
consapevoli della loro stessa distruttività e potranno provare rimorso per il danno
arrecato ad altri durante la fase maniacale. Lo psicoterapeuta potrà, pertanto, avere
un' occasione ottimale per aiutare il paziente a integrare gli aspetti amorevoli e
aggressivi delle rappresentazioni interne del Sé e dell' oggetto. li mantenimento
della scissione di questi loro aspetti offre ai pazienti un temporaneo sollievo dal
dolore ma nessuna possibilità di risolvere definìtivamente le loro ansie depressive.
Melanie Klein (1940) notò che quando i sentimenti di persecuzione e di aggressività
diminuiscono, le difese maniacali diventano necessarie al paziente. Ne deriva che un
altro obiettivo è quello di aiutare il paziente affinché divenga più capace di
interiorizzare una relazione nella quale il bene predomina sul male e l'amore sull'
odio.
Interventi psicologici nei momenti di stress elevato sono cruciali per prevenire le
ricadute. Lo psichiatra di orientamento dinamico deve essere sintonizzato sul
significato dei fattori stressanti specifici nella vita del paziente, e monitorarli mentre
gestisce la terapia farmacologica.
Salzman (1998) ha sostenuto persuasivamente l'integrazione di farmacoterapia e
psicoterapia nel trattamento dei pazienti bipolari. La costruzione di un' alleanza
terapeutica è il primo obiettivo, che viene raggiunto attraverso l'esplorazione
terapeutica, l'empatia e l'indirizzo pedagogico piuttosto che mediante la discussione
di tattiche. Può anche essere utile la creazione di un diagramma dell'umore. I
cambiamenti transferali dalla idealizzazione alla svalutazione sono frequenti, e l'agito
controtransferale in risposta alla frustrazione o alla rabbia rappresenta un rischio
costante.
DEPRESSIONE
Contrariamente a quanto si ritiene abitualmente, l'utilità di un approccio
psicodinamico alla depressione non si limita alle forme più lievi, più nevrotiche, della
condizione clinica. L'intervento psicoterapeutico può, in effetti, essere essenziale nel
trattamento delle forme più gravi, psicotiche, della depressione, soprattutto nei casi
in cui i trattamenti somatici sono stati inefficaci oppure sono stati rifiutati dal
paziente.
Il primo passo in una terapia, indipendentemente dal fatto che il paziente sia
ricoverato in ospedale o meno, deve essere la costruzione di un' alleanza
terapeutica. Affinché si instauri il rapporto necessario, il clinico deve semplicemente
ascoltare il paziente, empatizzando con il suo punto di vista.
Commenti "incoraggianti" sono vissuti dai pazienti depressi come completi fallimenti
dell' empatia, che potrebbero portarli a sentirsi maggiormente incompresi e soli
incrementando così le loro tendenze suicide.
I terapeuti che lavorano con questi pazienti dovrebbero invece comunicare di
comprendere che ci sono certamente dei motivi per essere depressi.
Il terapeuta sarà maggiormente d'aiuto semplicemente ascoltando, e sforzandosi di
comprendere come il paziente stesso interpreta la malattia.
Durante le prime fasi della raccolta dell' anamnesi, il clinico elaborerà una
formulazione esplicativa della depressione del paziente. Quali eventi hanno
apparentemente scatenato la depressione? Qual è l'aspirazione, di elevato valore
narcisistico, che il paziente non è riuscito a raggiungere?
Qual è l'ideologia dominante del paziente? Chi è l'altro dominante per il quale il
paziente sta vivendo e dal quale non riceve le risposte desiderate?
Vi sono sentimenti di colpa associati all' aggressività e alla rabbia e, se sì, con chi è
arrabbiato il paziente? I tentativi del Sé di ottenere delle risposte dall'oggetto-Sé
vengono frustrati? li paziente ha primariamente una depressione di tipo anaclitico,
nella quale il cambiamento terapeutico riguarderà le relazioni interpersonali?
Mentre il terapeuta ascolta la storia del paziente ed elabora ipotesi sulla base
psicodinamica della depressione, il paziente svilupperà un attaccamento transferale
nei suoi confronti. Nei termini di Arieti (1977), il terapeuta diviene il "terzo
dominante" nella vita del paziente, in aggiunta all'altro dominante. Molte delle
preoccupazioni che sono problema ti che nelle relazioni primarie del paziente
emergeranno anche nel transfert.
Arieti evidenziò come la costruzione dell' alleanza terapeutica possa richiedere che,
durante le fasi iniziali della psicoterapia, i terapeuti si adeguino ad alcune delle
aspettative del paziente, al fine di facilitare la ripetizione della sua patologia
all'interno della relazione terapeutica. Quando siano state raccolte informazioni
sufficienti, il terapeuta dovrà modificare l'approccio rendendolo maggiormente
espressivo, e interpretare al paziente lo schema dell'altro dominante, origine di tante
difficoltà. Arieti (1977) osservò che "il paziente deve giungere alla realizzazione
cosciente di non essere stato in grado di imparare a vivere per se stesso.
Non si ascoltava mai; nelle situazioni di grande significato affettivo non era mai in
grado di farsi valere. Gli importava solamente di ottenere l'approvazione, l'affetto,
l'amore, l'ammirazione o le cure dell'altro dominante". Dopo questa fase, è
possibile che emerga una buona dose di rabbia nei confronti dell'altro dominante.
Una volta svelata l'ideologia dell'altro dominante, il compito del terapeuta sarà di
aiutare il paziente a concepire nuovi possibili modi di vivere.
Nei termini di Bibring (1953), le aspirazioni idealizzate devono essere modificate e
rese realizzabili, o devono essere abbandonate e sostituite con altri scopi e obiettivi.
Di fronte alla prospettiva di sviluppare nuovi schemi di vita e nuovi scopi, questi
pazienti possono cercare risposte nel terapeuta. Se i terapeuti colludono dicendo ai
loro pazienti cosa fare, ciò rinforzerà semplicemente i sentimenti di bassa autostima
e di incapacità (Betcher, 1983; Maxmen, 1978).
Le richieste da parte dei pazienti di risolvere i loro dilemmi possono essere
tranquillamente arginate con la spiegazione
che essi sono nella posizione migliore per fare progetti di vita alternativi.
Per l'approccio psicodinamico ai pazienti depressi è cruciale stabilire il contesto e il
significato interpersonale della loro depressione. Sfortunatamente, i pazienti spesso
resistono tenacemente a tali implicazioni interpersonali (Betcher, 1983).
I pazienti depressi suscitano sentimenti particolarmente intensi. Nel corso di un
trattamento, il terapeuta potrà provare disperazione, rabbia, desideri di sbarazzarsi
del paziente, potenti fantasie di salvataggio e una miriade di altri sentimenti. Tutte
queste risposte emotive possono riflettere come altre persone nella vita del paziente
si possano sentire. Queste dimensioni interpersonali della depressione possono
essere implicate nel provocare o perpetuare la condizione patologica. Per esaminare
l'impatto della condizione del paziente sugli altri, il terapeuta deve richiedere la
collaborazione del paziente utilizzando tali sentimenti in maniera costruttiva
all'interno della relazione terapeutica.
Pochi eventi nella vita professionale di uno psichiatra sono più disturbanti del
suicidio di un paziente. Da uno studio (Chemtob et al., 1988) emerse che circa la
metà degli psichiatri che avevano perso un paziente per suicidio aveva vissuto livelli
di stress paragonabili a quelli di persone che si stavano riprendendo dalla morte di
un genitore.
Un suicidio portato a termine è un memento delle limitazioni insite nel mestiere.
Per i clinici la tendenza naturale, sia nella pratica ospedaliera che in psicoterapia, è
quella di lavorare intensamente per prevenire il suicidio. Adottare misure cautelative
ragionevoli per impedire che i pazienti si tolgano la vita è sicuramente giusto dal
punto di vista clinico, oltre a essere un comportamento responsabile da un punto di
vista etico e un efficace presidio medico difensivo da un punto di vista medicolegale. Ciò
nonostante, quando il ruolo del salvatore diviene eccessivamente
coinvolgente, i risultati possono essere antiterapeutici.
Innanzi tutto, i clinici debbono tenere sempre a mente un fatto inoppugnabile - i
pazienti che sono veramente intenzionati a uccidersi finiranno col farlo. Nessuna
entità di contenzione fisica, attenta osservazione e capacità clinica può fermare il
paziente realmente determinato al suicidio.
Dopo un suicidio portato a compimento, i clinici spesso si sentono in colpa per non
aver identificato i segni premonitori che avrebbero consentito di prevedere un
imminente tentativo di suicidio. Nonostante una corposa mole di letteratura sui
fattori di rischio per il suicidio a breve e a lungo termine, la nostra capacità di
prevedere il suicidio di un paziente è ancora notevolmente limitata.
Sintesi della letteratura (Cummings, Koepsell, 1998; Miller, Hemenway, 1999)
mettono in evidenza che la disponibilità di una pistola aumenta in modo significativo
il rischio di suicidio. Una comunicazione chiara è essenziale in tali circostanze, e deve
essere ricercato anche un eventuale abuso di sostanze. In caso di intensa ansia o di
panico dovrebbe essere considerato l'uso di una benzodiazepina (Hirschfeld, Russell,
1997). La psicoterapia può anche essere di straordinaria importanza per
comprendere perché il paziente vuole morire e che cosa si aspetta che accadrà dopo
la morte.
I terapeuti sono più utili ai pazienti tendenti al suicidio quando cercano
diligentemente di comprendere e analizzare le origini dei desideri suicidi anziché
divenire schiavi dei pazienti.
I terapeuti dovrebbero stare all' erta nei confronti dei transfert idealizzanti, che
spesso si formano rapidamente allorché i pazienti sono alla ricerca di un salvatore.
Può essere utile prevedere e interpretare le precoci delusioni transferali nel processo
terapeutico. Alcuni terapeuti riconoscono apertamente che non possono trattenere il
paziente dal commettere il suicidio e offrono invece l'opportunità di comprendere
perché il paziente pensi che il suicidio rappresenti l'unica scelta (Henseler, 1991).
È utile distinguere tra terapia e gestione del paziente con intenzioni suicide. La
seconda riguarda misure come 1'osservazione continua, le limitazioni fisiche e
l'allontanamento di oggetti acuminati dall' ambiente. Sebbene questi interventi siano
utili per impedire che il paziente metta in atto impulsi suicidi, le tecniche di gestione
non riducono necessariamente la futura vulnerabilità del paziente rispetto al ricorso
a comportamenti suicidi. La terapia dei pazienti con tendenze suicide - che consiste
in un approccio psicoterapeutico volto alla comprensione dei fattori interni e degli
agenti stressanti esterni che rendono il paziente potenziale suicida - è necessaria per
modificare il radicale desiderio di morire.
Per trattare efficacemente i pazienti con tendenze suicide, i clinici devono
distinguere la responsabilità del paziente dalla responsabilità del terapeuta. I medici
in genere, e soprattutto gli psichiatri, sono per carattere inclini a un esagerato senso
di responsabilità (Gabbard, 1985).
La clinica che si basa su una psichiatria integrata è efficace. CPS, CENTRO DIURNO, CRT,
COMUNITA’ TERAPETICA, dovrebbero esser i luoghi elettivi per una clinica integrata sistematica
dove il potenziale terapeutico(psicoterapia,farmacoterapia, tecniche educativo-riabilitative ecc.)
potrebbe essere utilizzato al meglio delle sue possibilità .
Gabbard sottolinea l’importanza dell’integrazione delle straordinarie conoscenze
accumulate nel campo della genetica, della neurobiologia(interazione gene/ambiente,
neuroplasticità) con le conoscenze clniche per la realizzazione del modello
biopsicosociale che fa riferimeto in particolare a Kandel (1999).
Da ciò deriva l'importanza attribuita all’integrazione di psicoterapia e farmacoterapia
come metodo sistematico di cura per le conduzioni psicopatologiche di rilevanza
clinica quali psicosi e borderline.
I professionisti della salute mentale tra i quali gli psicologi, gli psicoterapeuti,
gli psichiatri devono rispondere ai seguenti fondamentali interrogativi posti
dalla professione:
-CHI SIAMO?
-CHE COSA FACCIAMO?
-PERCHE’ LO FACCIAMO?
-COME LO FACCIAMO?
I CRITERI DI PROFESSIONALITA’ , COMPETENZA , RESPONSABILITA’ CHE
DOVREBBERO ACCOMUARE TUTTI COLORO CHE SONO INTERESSATI ALLO
SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA AUTENTICA E A MODULARE LE
INNUMEREVOLI SITUAZIONI DI MALESSERE , COSTITUISCONO I
PRESUPPOSTI FONDAMENTALI PER PARTECIPARE IN PRIMA PERSONA ALLA
CRESCITA DELL’INDIVIDUO E DELLA COLLETTIVITA’ NEL SUO INSIEME.
IPOTESI PSICODINAMICHE
A riguardo della condizione depressiva e maniacale sono stati attuati numerosi i tentativi di
chiarificare il problema da parte di esponenti di varie scuole di psicologia del profondo.
Come in tutti i disturbi psichici non vi è una causa nota e ben identificata che motivi l’insorgenza
del disturbo e i dati in possesso suggeriscono la presenza di una componente biologia o genetica
nel senso di una facilitazione all’insorgenza di un disturbo psichico successivo. In ogni caso,
l’interesse per le ipotesi psicodinamiche resta prioritario tenuto conto dell’impatto che
qualunque patologia può avere sull’assetto psichico e viceversa, assetto psico-fisico che nella
sua unitarietà esprime infatti l’unione indivisibile che costituisce la persona.
Freud ipotizzò inizialmente che vi fosse stata da parte del soggetto melanconico la perdita di un
oggetto fantasmatico introiettato, oscillando tra l’idea di averlo distrutto e l’incapacità a vivere
senza di esso. Successivamente questa ipotesi si spostò sul concetto della possibilità di
un'identificazione con tale oggetto. Freud nel parlare di introiezione fa comunque riferimento
alle tematiche afferenti all’area della sessualità orale.
Melanie Klein orientandosi verso lo sviluppo della fase pre-edipica riteneva che durante il
normale sviluppo del bambino, questi andasse incontro a differenti “fasi”, che venivano a
strutturarsi in seguito all’alternarsi delle esperienze positive o negative che il bambino stesso
faceva della madre in rapporto ai suoi bisogni. Dopo la fase simbiotica in cui il bambino e la
madre sono un tutt’uno, al momento della differenziazione in due individui separati il
bambino farebbe esperienza in momenti differenti di una madre accudente, accogliente e
che nutre, rilevando da tale situazione un vissuto di appagamento e soddisfazione dei propri
bisogni immediati (introiettando dunque una relazione positiva) alternando tale
rappresentazione con quella di una madre non accudente, non sollecita e che non nutre
quando questa non assolve immediatamente i propri compiti di genitrice lasciando nella
frustrazione del bisogno immediato il bambino. L’impossibilità di tenere unite queste due
rappresentazioni della madre e di sé stesso (della relazione di sé con la madre) porterebbe il
bambino nella cosiddetta fase schizoparanoide, in cui vissuti positivi e negativi vengono
tenuti rigidamente separati (e in cui gli oggetti cattivi vengono inizialmente proiettati
nell’altro, mantenendo al proprio interno quelli buoni e poi viceversa). Superamento di tale
fase sarebbe la fase depressiva, in cui il bambino riesce finalmente a tenere unite le differenti
rappresentazioni dello stesso oggetto, a innescando il timore di aver egli stesso per la propria
aggressività e sadismo distrutto gli oggetti buoni rimanendo da solo con gli oggetti cattivi
persecutori.
Secondo tale ottica la psicosi maniaco-depressiva sarebbe il riflesso del fallimento infantile nello
stabilire buoni oggetti interni, cioè il riflesso del non essere riusciti a superare la fase depressiva
infantile, alla quale il soggetto regredirebbe durante le fasi di scompenso.
La Klein fornisce anche una spiegazione per le fasi maniacali, che sono viste come tentativi di
recuperare gli oggetti buoni, disconoscendo gli oggetti cattivi interni e denegando la propria
dipendenza dagli oggetti buoni interni. La Klein sembra poi aprire uno spiraglio di interesse,
quando parla della possibilità che tali stati corrispondano anche a tentativi di invertire il
rapporto genitori figli secondo una dinamica di promozioni, successi,indipendenza, a cui però
seguirebbero sensi di colpa intollerabili, poi annullati dai meccanismi di difesa maniacali.
La Klein ha saputo porre attenzione all’esistenza di un mondo di relazioni che orientavano le
pulsioni interne non tenendo però in conto la dimensione del contatto con il proprio futuro, con
la linea direttrice che ci porta a progettarci nel mondo a partire da ciò che siamo stati e da ciò che
siamo.
Secondo la psicologia del Sé di Kohut invece la depressione potrebbe essere letta come una
risposta al fallimento da parte degli “oggetti-sé” di rispondere ai bisogni di rispecchiamento,
idealizzazione e gemellarità dell’individuo, cioè prendendo in considerazione il ruolo della
società, degli altri secondo i bisogni del sé in relazione ai bisogni di idealizzazione (avere un
riferimento a cui ispirarmi) gemellarità (essere come il modello che ho preso) e
specularità (ricevere conferme e convalide del proprio valore).
Per ciò che concerne la Psicologia Individuale di Alfred Adler possiamo mettere in evidenza come
le dinamiche che sottendono alle condizioni depressive facciano riferimento al tentativo da parte
del soggetto di uscire da un complesso di inferiorità attraverso varie modalità (differenti da
soggetto a soggetto in base a come ovviamente questi ha strutturato il proprio stile di vita nel
corso del tempo). Lo stile di vita individuale e con esso i meccanismi inconsci che sottendono la
“scelta depressiva” possono essere interpretati come una modalità di autoaffermazione.
Nella depressione si assiste ad una auto-vittimizzazione che diviene un terreno nel quale si trova
celata, a volte in modo più subdolo, altre in modo più manifesta, una accusa alla società, ai
congiunti, ai medici, al mondo intero di non potersi (di non sapersi) occupare della propria
condizione clinica, sicuramente la peggiore mai vista. Il tutto dunque viene permeato da un
rimprovero nei confronti del mondo e da una ricerca spasmodica di unicità, specificità,
singolarità,espressa questa volta non attraverso un’azione nel mondo, ma un ritiro dal mondo e
dalle responsabilità che questo pone.
Vi è poi il vissuto di essere gli unici a subire un destino così crudele, cioè a dirsi che le forze
avverse dell’intero universo si sarebbero cioè accanite nei propri confronti.
Considerando la mania si possono fare le seguenti riflessioni.
Nella mania il soggetto sembra reagire al proprio complesso di inferiorità accrescendo in modo
smodato e totalmente non aderente alla realtà (in modo per lo più delirante) il proprio valore. Il
soggetto si pone al centro del mondo (come del resto accade in tutti i deliri), e al di sopra il
mondo con le sue umane vicende, segnalando quella già citata “perdita di gravità esistenziale”,
che gli consente in modo fittizio e fasullo di poter guardare con disprezzo e superiorità il mondo
normale.
Il soggetto esperisce si diceva un accresciuta potenza che però non è altro che una perenne
impotenza (in-potenza) che non si realizza mai proprio perché è il confrontarsi con la realtà dei
fatti che è intollerabile.
IL MODELLO PSICODIAGNOSTICO ADLERIANO SESSIONE 1- UTILIZZO DEI DATI ANAMNESTICI E DEI TEST-
PARTE A
Anche il concetto di interpretazione assume in Psicologia Individuale un significato che si distingue da
quello delle altre Scuole consorelle di psicologia dinamica, per la sottile differenziazione che essa fa
dell’idea di interpretare, a seconda dell’utilizzo di destinazione, ossia se l’interpretazione si riferisce alla
psicodiagnostica o, invece, alla terapia. Nell’accezione più comune interpretare significa rendere chiaro e
comprensibile ciò che è o sembra oscuro e incomprensibile.
L’interpretazione diventa, di conseguenza, l’atto o il modo di interpretare.
Per la Psicoanalisi, come del resto per tutte le Scuole di psicologia del profondo, l’interpretazione é la
capacità di decodificare, attraverso tecniche approfondite di analisi, i significati latenti nei discorsi e nei
comportamenti di un soggetto, ma anche ogni tipo di comunicazione con cui l'analista tende a far affiorare
nel paziente la consapevolezza di tali significati.
Con riferimento al modello psicodinamico, possiamo dunque intendere l’interpretazione come
l’esplicitazione del senso occulto o latente nelle parole o nelle condotte di un individuo, ma anche la
spiegazione fatta alla stessa persona di tale senso, occulto o latente, secondo le regole prescritte dalla
strategia di Scuola.
In psicodiagnostica, interpretare vuol dire giungere ai significati reconditi contenuti negli argomenti e nelle
spiegazioni offerti da un soggetto sottoposto a indagine specifica, per mezzo di una tecnica studiata a fondo
e verificata nella sua efficacia,giovandosi anche, se necessario, di reattivi il cui coefficiente di validità dei
risultati sia garantito dalla loro utilizzazione nel tempo.
In terapia, invece, interpretare vuole dire esplicitare a una persona i significati latenti od occulti racchiusi
nei suoi discorsi, nei suoi comportamenti o nei suoi atteggiamenti, ma anche e soprattutto significa avere la
capacità di comunicare,secondo le norme indicate dalla strategia “terapeutica” di Scuola, alla stessa
persona, facendola partecipe, i significati reconditi o i contenuti criptici racchiusi nelle sue parole, nei suoi
atti e nelle sue condotte. Sintetizzando, interpretare, in terapia, vuol dire smascherare, decodificare e
svelare i contenuti del “linguaggio dell’inconscio”.
Il simbolo
Per le argomentazioni sopra indicate, la Psicologia Individuale non utilizza una chiave di lettura assoluta e
standardizzata del linguaggio segreto del ”simbolo”, ma lo interpreta attraverso particolari processi, in
relazione al vissuto dell'individuo, all'imprinting da lui ricevuto e al conseguente condizionamento culturale
subito.
Francesco Parenti definisce il simbolo «un oggetto concreto che rappresenta un concetto astratto, allo
scopo di enfatizzarne le implicazioni emotive e la forza espressiva». Si presume quindi il simbolo come
composto da un oggetto concreto, identificabile, definito "significante", e da una parte enigmatica,
metaforica o allegorica, indicata come "significato".
Per la Psicologia Individuale l'analisi dei simboli non è sorretta da una standardizzazione di comodo: il
"simbolismo universale". Se tutte le Scuole a indirizzo socioculturale interpretano l'origine del simbolo,
facendolo dipendere in modo diretto dalla matrice e dal mutare delle diverse culture, la Psicologia
Individuale fa del simbolo qualcosa di ancor più "variabile",poiché lo considera come il prodotto di una
costruzione personalizzata.
Il vissuto senza uguali di ciascun essere umano può, infatti, assegnare a determinate immagini o situazioni
un suo valore privato, capace di distaccarsi in modo decisivo, anche allegorico quando occorre, dagli
schemi della contingente “logica comune”, cui ogni individuo fa in genere riferimento.
È proprio tenendo conto della “logica privata” e personale di ciascun individuo che la Psicologia Individuale
imposta l’interpretazione del “linguaggio dell’inconscio”, vale a dire del gergo segreto usato per
esprimere la complessità degli stati d’animo, i disagi, i turbamenti, i bisogni, i desideri, i progetti e
quant’altro sia maturato nella psiche di un individuo, che non sia stato ancora in grado, o non abbia voluto,
inconsapevolmente s’intende, tradurre in concetto.
Si è detto a proposito dell’interpretazione dei primi ricordi infantili che lo strumento d’uso per la
decodificazione degli episodi narrati è il “metodo analogico-intuitivo”, ossia quel procedimento che,
partendo dalla conoscenza di elementi noti, fa supporre nel concetto preso in esame
significati analoghi a quelli già conosciuti. V’è, però, un secondo strumento di fondamentale importanza per
l’interpretazione dei codici dell’inconscio,il “processo associativo”, cioè quell'atto psichico in grado di
stabilire, senza alcun controllo cosciente o altra censura, nessi fra immagini e pensieri.
Tale tecnica è di vincolante rilevanza anche per gli psicoanalisti, in quanto ampiamente descritta da Freud
nelle sue interpretazioni.
Entrambe le procedure appena riferite saranno gli strumenti di lavoro per tutte le interpretazioni della
seconda fase del trattamento individualpsicologico, essenzialmente finalizzata all’acquisizione
dell’insight da parte del paziente. È proprio in questo momento dell’iter terapeutico che l’operatore, pur
astenendosi dal fornire indicazioni su quanto intuito della personalità del paziente, agirà in modo che il
soggetto prenda consapevolezza del carattere fittizio della propria meta finale, che,sino a quel momento,
ha però indirizzato lo stile di vita verso il disagio, la sofferenza e lo sconforto.
In modo particolare, una speciale attenzione dovrà essere rivolta a decifrare il linguaggio criptico
dell’inconscio celato nei sogni, nelle fantasie, nei sogni ad occhi aperti, nei lapsus, negli atti mancati, riferiti
in seduta dal paziente”.
SESSIONE 2 - I SOGNI
Secondo Pier Luigi Pagani “Non si può assolutamente negare a Sigmund Freud il merito di avere formulato
la prima teoria coerente e geniale sull’analisi psicodinamica dei sogni. Nella sua visione, il nucleo del sogno
sarebbe il suo contenuto latente, diretto a soddisfare in forma allucinatoria un desiderio rimosso, perché
inaccettabile sotto il profilo etico nello stato di veglia. Un macchinoso "lavoro onirico" trasformerebbe il
contenuto latente nelle immagini effettivamente percepite durante il sonno e talora ricordate al risveglio.
La Psicoanalisi imposta la propria interpretazione del sogno, compiendo un cammino inverso rispetto a
quello onirico, al fine di comprendere i suoi simboli di copertura e risalire così al suo contenuto latente,
ossia il desiderio rimosso. La teoria impostata sulla soddisfazione dei desideri corrisponde in realtà solo a
una certa percentuale di dinamiche oniriche, ma la sua applicazione ai sogni angoscianti richiede ipotesi più
complesse, fra cui quella di una svista o di un errore del lavoro onirico è forse la più probabile, ma non
convince in tutti i casi, per l'intensità e la pregnanza del linguaggio distruttivo elaborato nel corso di quel
tipo di sogni.
La forza espressiva delle immagini, secondo la nostra impostazione, propone il terrore e la depressione
come tematiche autentiche e non come artifici di copertura.
Oltre a ciò, sul piano dell'adattamento storico, i temi superegoici dell'ortodossia,ispirati a una pruderie o a
un’affettata castigatezza sessuale, risultano oggi travolti dall'evoluzione del costume e, per di più, gran
parte del problema morale ha lasciato il posto, nella cultura attuale, ad altri e non meno sofferti scontri
interiori ed esteriori.
La dottrina onirica adleriana, viceversa, mette a punto alcune costanti fondamentali nella dinamica dei
sogni, suscettibili di reggere alle variazioni sociopsicologiche. Innanzitutto, essa, in base alla propria
impostazione teleologica,interpreta il sogno come una “dinamica di sondaggio del futuro”, diretta sia ad
aprire ipotesi di appagamento, sia ad accantonare ipotesi di rischio. Il sogno può,cosi, mettere in luce la
puntigliosa ostinazione nel perseguimento di mete improduttive, ma, altrettanto, può mettere in moto
l'incoraggiamento a procedere verso obiettivi corretti ed equilibrati, anche se contraddistinti da
un'insufficiente dose di sicurezza.
«Esistono parecchie coincidenze fra il modo freudiano e quello adleriano d'inquadrare il linguaggio onirico.
Entrambe le correnti hanno avvertito che il flusso del pensiero nel sogno appare semplificato, assurdo,
incoerente, ma può rivelare a un'indagine approfondita una sua logica molto fine; che a volte accende il
banale e ipertrofizza il drammatico e altre volte copre con disincantata freddezza contenuti che dovrebbero
trasudare emozioni; che si collega molto bene alla libertà e ai segreti dell'arte o a certi modi di comunicare
dell'infanzia, assai vicini alla vitalità artistica del "naif" non razionalizzato».
Entrambe le Scuole ammettono l’uso dei simboli onirici, ma sono diverse,per l'una e per l'altra, le finalità
dei medesimi.
Se per la Psicoanalisi il significante copre il proibito pulsionale ed erotico,per la Psicologia Individuale il
significante può far da barriera a ogni forma di illecito, a seconda della formazione culturale del sognatore,
ma può anche contrastare immagini inferiorizzanti o rischiose, estese a ogni tema
che possa produrre angoscia. Inoltre, per la teoria adleriana, i simboli,come si è già accennato, non sono
universali, ma derivano imprevedibilmente tanto dalla cultura del momento, quanto dal vissuto
individuale della persona. La loro decodificazione non è quindi sorretta da categorie prefigurate e perciò
risulta più complessa e indaginosa.
Secondo Freud, il “lavoro onirico” costituisce la risultante dei meccanismi che,elaborando e trasformando i
resti diurni, gli stimoli fisici e il pensiero danno corpo al contenuto manifesto del sogno, dietro il quale si
cela il contenuto latente. Si tratta sicuramente di una grande scoperta nei confronti della quale sono
debitrici tutte le successive ipotesi psicodinamiche sul sogno, anche quelle che, come l'adleriana, si
differenziano notevolmente dalla visione psicoanalitica ortodossa.
Le principali critiche alla dottrina freudiana sul sogno, avanzate dalla Scuola adleriana, sono le seguenti:
Appare riduttiva l'ipotesi che il mascheramento delle immagini oniriche derivi solo da un conflitto etico-
sessuale fra Es e Superego. Il lavoro onirico nasconde conflitti morali su tematiche soggette a continue
variazioni in rapporto al rinnovarsi delle culture; contenuti che esprimono in modo troppo crudo
l'inferiorità e l'insicurezza dell'individuo; fattori di rischio di ogni altro genere, la cui segnalazione suggerisce
l'abbandono di un progetto, ma non può essere espressa direttamente, sempre per non generare un
eccesso d'angoscia.
I simboli di cui si vale il lavoro onirico non sono universali e prevalentemente centrati sul sesso, ma sono
tratti dalla cultura contingente e, in parte notevole, anche dal vissuto personale del soggetto, che può
assegnare a un’immagine una carica emotiva molto diversa da quella attribuitale di solito dal suo
ambiente.
Non è sostenibile neppure la tesi che il lavoro onirico presenti una congerie di elementi banali, fra i quali
si nasconde un solo e poco avvertibile significato latente, acriticamente riferibile a un desiderio libidico
rimosso. Per la Scuola adleriana tutte le immagini del sogno contribuiscono quasi sempre a tracciare una
linea direttrice unica indirizzata verso una meta segreta; solo poche volte sono avvertibili, nel linguaggio
onirico, diverse direttrici complementari, ambivalenti o addirittura opposte.
… Il sogno si manifesta attraverso metafore e allegorie, che fungono da significanti simbolici dietro i quali
si possono ritrovare assemblati anche più significati concreti. Sarà preciso compito dello psicoterapeuta
decodificare immagini, simboli, metafore e allegorie, ritraducendoli in concetti verbalizzabili, cioè
espressi mediante parole.
Sintetizzando, l'interpretazione dei sogni, secondo la Psicologia Individuale, si differenzia da quella del
modello psicoanalitico,essenzialmente per due motivi: il rifiuto di attribuire ai simboli un valore
prefigurato e costante e la chiave di lettura finalistica del contenuto onirico”.
Dall’ analisi interpretativa dei dati relativi ai componenti la costellazione familiare emerge
quanto segue:“La paziente propone la figura del padre in modo talmente negativo da far supporre come
la sua rappresentazione mentale di uomo ideale sarebbe stata in seguito decisamente quella opposta. Il
compagno della madre, il cognato, ma anche lo stesso marito, citato nel memorandum, sono le altre
figure maschili che emergono dalla descrizione della sua costellazione familiare allargata. Ebbene, questi
tre personaggi sono descritti in modo totalmente antitetico alla figura del padre: sono onesti, fedeli,
tranquilli, lavoratori, benvisti,graditi e apprezzati da tutti quanti. Del padre violento, disadatto e fallito
rimane solo un doloroso lontano ricordo e il tardivo «recupero giustificativo della sua immagine».
La madre: la vittima. Ora, comunque, si è rifatta una vita, «è tranquilla», vive fuori città, ha trovato «un
compagno, Gino, un uomo amabile, ben accetto e benvoluto da tutti». Rimasta vedova ancora molto
giovane, a trentott’anni, «ha dovuto darsi da fare» (come del resto ha dovuto fare anche la paziente),
trascurando, «purtroppo, a causa dell’impegno lavorativo» i bisogni delle giovani figlie, «con tutto quello
che poi ne è conseguito».
Pesa, comunque, su entrambi i genitori la grave responsabilità di aver allontanato Marinella da casa e poi,
nel momento di necessità, di averla sfruttata, bambina di soli dodici anni, perché desse una mano
nell’azienda, il famigerato mulino, che ben presto fallirà per l’assoluta inettitudine del padre. Dopo di che, la
ragazzina, non servendo più ed essendo tornata a essere solo un’altra bocca da sfamare, è
rispedita ancora una volta dai nonni, dove vi rimarrà sino ai quindici anni, per ritornare in famiglia
solamente in età da lavoro.
Qui si prospetta quel disagio psicologico, validamente descritto da Edmondo Pasini come “sindrome del
bambino odiato”. Si tratta di una serie di situazioni strutturalmente distinte che, pur riconoscendo cause
eziologiche diverse, rientrano in un unico quadro caratterizzato, accanto a segni minori, da una grave
insicurezza sia personale che sociale. Devono essere inseriti nella classificazione pure i bambini
rifiutati e quei bambini la cui nascita non è stata accettata perché nati fuori dal matrimonio, o che,
comunque, abbiano creato disturbo ai genitori con la loro venuta al mondo.
Le sorelle sono entrambe fortemente problematiche. La secondogenita anaffettiva, sbandata e
tossicomane conduce una vita sconvolgente e tragica: non si conosce neppure la sua sorte; i familiari
temono addirittura che sia morta. L’ultimogenita, offesa dalla malattia nella sua femminilità sin dall’età
adolescenziale, al punto di vedersi negata la maternità, è affetta da bulimia e cade in ricorrenti episodi
depressivi. In questo caso è possibile ritenere che la diagnosi di depressione sia stata formulata in modo
corretto, a causa delle tipiche manifestazioni maniacali che concludono ogni evento.
A questo punto, c’è da chiedersi: dal punto di vista psicologico, è andata peggio a Marinella, allontanata
precocemente dai genitori, o alle sorelle, vissute in famiglia in mezzo a quel clima litigioso e turbolento?
Al fine di una più corretta definizione dello stile di vita della paziente è opportuno aggiungere qualche
altra notizia raccolta dopo la richiesta rivoltale di parlare di sé.
«[…] Ho fatto pochissimo asilo, perché ero spesso ammalata, ma anche perché la nonna preferiva tenermi a
casa con sé. La prima e la seconda elementare le ho frequentate a Portogruaro, la terza e la quarta a San
Severo, in provincia di Foggia,presso i nonni paterni, e la quinta di nuovo a Pordenone. Mi iscrivono alla
prima media, ma la devo interrompere prima di ultimarla, perché sono richiamata a casa
ad aiutare mio padre in quel disgraziato mulino. Ho trovato, comunque, il modo di frequentare, mentre già
lavoravo a Milano come aiuto parrucchiera, un corso serale di steno-dattilografia, conseguendo con
successo il diploma finale, come prima classificata. Il mio ciclo scolastico si è concluso cinque anni fa, ormai
trentacinquenne, con il conseguimento, come privatista, del diploma di scuola media, ottenuto, senza che
mio marito lo sapesse, frequentando di nascosto un condensato corso diurno.
La valutazione fu ottima, ma ciò non è stato sufficiente a cancellare quel senso di inferiorità (testuale), che
mi ha accompagnato e che mi accompagnerà per tutta la vita. Ho cercato di compensare questo vuoto
leggendo moltissimo, di tutto, narrativa, letteratura, saggistica, psicologia. Il diploma di stenodattilografa
mi ha permesso di essere assunta, prima come tirocinante, poi come impiegata a tempo indeterminato,
nell’ufficio commerciale della stessa azienda dove lavorava da qualche tempo Mario.
Lì ci siamo conosciuti e abbiamo cominciato a frequentarci. Io avevo sedici anni, lui ventiquattro. Tutto è
iniziato come amicizia. In quell’ambiente, di amicizie ne avevo fatte molte. Poi, il primo bacio e
l’innamoramento,contraccambiato. Mi hanno conquistato le sue idee di uomo tranquillo. La sua famiglia mi
ha subito accolta come se fossi stata da sempre una di loro e per me è diventata la mia famiglia ideale. C’è
stata, invece, molta tensione fra mio padre, nei tre anni in cui è stato in vita, e mio marito…forse era
geloso… A vent’anni, mi sposo; Mario ne ha vent’otto. Ciò nonostante, io ho sempre mentito a mio marito
riguardo al grado di studi raggiunto».
Il livello di cultura cui è giunto il soggetto è dovuto quasi totalmente alle sue capacità auto-formative,
tenuto conto del caotico iter scolastico e del basso status educativo raggiunto attraverso la scuola
dell’obbligo. È indubbio che ci si trova di fronte a una persona dall’intelligenza eccezionale, dotata,
inoltre, di una ferrea volontà, di una tenace ambizione e da un elevato grado d’orgoglio.
Il bene dotale dell’intelligenza, anche se di ottimo livello, non basta da solo a formare una buona cultura
generale; deve essere sostenuto e stimolato da altri strumenti che consentano di superare
quell’intollerabile «senso di inferiorità», che la paziente, così istintivamente ha avvertito. E questi
strumenti sono, appunto, la volontà, che spinge, con determinatezza e in piena autonomia, verso la
realizzazione di un precisato fine,l’ambizione, che sollecita ad affermarsi e a distinguersi, e, infine, quella
giustificata fierezza,quel sentimento della propria dignità, che genericamente è definito orgoglio.
La paziente parla con proprietà l’italiano e lo scrive correttamente, conosce bene il
francese, appreso in modo autodidattico durante dei soggiorni abbastanza prolungati nella
Svizzera francofona, presso i cognati; la sorella del marito ha sposato un agiato cittadino
elvetico”.
I disturbi di personalità
Affrontare il tema della personalità disturbata ci porta ad aprire una parentesi su cosa
possa essere la personalità.
Potremmo definire personalità, una modalità, un come al posto di un che. Personalità è il
come viene vissuta la propria presenza al mondo. Si parla di personalità introverse ed
estroverse, di personalità artistiche o razionali, ma appare evidente come tutte queste
suddivisioni e semplificazioni non siano altro che tentativi di inquadrare ciò che per natura
è difficilmente inquadrabile. La personalità è più semplicemente come noi stessi ci
poniamo in rapporto con il mondo.
Ci si chiede spesso se si tratti di una questione ereditaria o che ha a che fare con
l’ambiente di provenienza o forse è un qualcosa che può riguardare l’educazione ricevuta?
Queste sono le tipiche domande che emergono quando ci si avvicina allo studio della
personalità. È ormai risaputo come vi sia una parte che precede le esperienze sociali. Il
bambino prima ancora di nascere, nel periodo fetale, sembra già manifestare un suo
temperamento. Possiamo dunque vedere nel “temperamento” una sorta di fase di tipo
pre-esperienziale che può condizionare lo sviluppo della sua personalità. Poter dire se tale
componente innata sia ereditaria, genetica o magari anche casuale .
E’ comunque certo è che una componente fondamentale per la formazione della personalità è attribuibile
alle esperienze ambientali,sociali ma secondo la Psicologia individuale di Alfred Adler vi è comunque
una parte che non dipende dalla ereditarietà e non è formata dalle esperienze ambientali, ma che utilizza la
prima come base di partenza e le seconde come materiale su cui agire, che è costituito dal sé creativo,
ossia quella funzione del sé che è in grado di interpretare i fatti del mondo interno ed esterno in modo del
tutto unico ed irripetibile e che trasferisce al singola persona valore in quanto tale. Si potrebbe dire che il sé
creativo è un qualcosa in più che permette anche a due gemelli omozigoti che sono quindi identici sotto il
profilo genetico e che sono cresciuti nello stesso ambiente di attribuire ad una stessa esperienza significati
e valori per sé differenti,unici e di conseguenza irripetibili.
APPROCCIO AL TEMA DELLE DIPENDENZE;SESSIONE 2 - RELAZIONE TRA DISTURBO DEL CONTROLLO DEGL
IMPULSI E DIPENDENZE
Partendo dalla premessa che gli studi su persone dipendenti hanno evidenziato la presenza di diverse
diagnosi psichiatriche,possiamo ritenere che sussiste un’associazione tra disturbi della
personalità, disturbi dell’umore e sviluppo delle dipendenze (Blatt e al.,1984).
Ad esempio tra le principali caratteristiche sintomatologiche del disturbo antisociale di personalità e del
disturbo borderline vi è la rabbia incontrollata ed innapropriata.
Sono stati evidenziati tre fattori che stanno alla base del comportamento aggressivo:
• fattore pulsionale
• suscettibilità allo stimolo
• capacità d’inibizione della risposta e quindi del controllo
• Nei disturbi da dipendenza si osserva il comportamento aggressivo
• AGGRESSIVITA’- COMPULSIVITA’- DIPENDENZA sono in stretta correlazione
tra loro.
Le dipendenze rendono dunque sempre più manifesti i gli aspetti del disagio anche psichiatrico.
La comorbilità delle dipendenze con una patologia psichiatrica è da considerarsi alla base di tutti quei
fenomeni di tipo clinico che implicano conseguenze non solo sul piano individuale ma anche su quello
sociale.
E’ stato ad esempio osservato che le alterazioni di tipo cognitivo, emotivo e comportamentale presenti nei
soggetti che manifestano un disturbo specifico correlato all’assunzione di sostanze e presentano nello
stesso tempo anche un disturbo di tipo psichiatrico pongono diversi interrogativi al clinico per quanto
concerne il trattamento terapeutico.
L’assunzione di sostanze e il disturbo psichiatrico benché compresenti possono essere indipendenti o anche
dipendenti,in questo ultimo caso il disturbo psichiatrico predispone all’assunzione di sostanze oppure
l’impatto della sostanza sul sistema nervoso centrale può provocare l’innesco di meccanismi attivanti un
quadro sindromico specifico.
Osserviamo come le dipendenze siano spesso associate al disturbo ossessivo compulsivo.
Se prendiamo in considerazione l’eziopatogenesi dei disturbi dell’alimentazione osserviamo
l’interazione di numerosi fattori che possiamo distinguere in : fattori predisponesti a lungo
termine, fattori precipitanti, fattori perpetuanti a fattori iatrogeni.
I fattori predisponenti si suddividono in individuali ( genere, età, tratti psicologici come ad
esempio la presenza di tratti ossessivi di personalità), familiari ( scarsa definizione dei ruoli)e
culturali ( mito ed esaltazione della magrezza).
I fattori precipitanti sono gli eventi che scatenano la patologia alimentare nei soggetti predisposti; i fattori
perpetuanti favoriscono il mantenimento e la cronicizzazione dei disturbi.
Tra i disturbi del comportamento alimentare associati a compulsività citiamo: -anoressia, bulimia, disturbo
da alimentazione controllata ( binge eating disordres ), night eating sindrome (caratterizzato da anoressia
nervosa mattutina, iperfagia serale ed insonnia),exerciting ( sindrome caratterizzata da intensa attività
fisica con l’ossessione di bruciare le calorie), vomitino (caratterizzato da abbuffate compulsive seguite da
episodi di vomito, tale comportamento viene attuato dalla persona di godere del cibo senza ingrassare).
Altri tipi di dipendenze associate alla compulsività:dipendenza da internet, giochi d’azzardo compulsivi on-
line,dipendenza da eccessive informazioni ( information overload),trading on line compulsivo , shopping
online compulsivo,dipendenza da cybersesso ( ricerca di materiale pornografico in rete), dipendenza da
cyber relazioni ( ricerca ossessiva di amicizie tramite chat, e-mail in sostituzione di relazioni reali),
dipendenza affettiva, dipendenza sessuale, dipendenza da lavoro, shopping compulsivo, dipendenza da
cellulare,dipendenza da sostanze stupefacenti, dipendenza da gioco d’azzardo.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE;SESSIONE 2 - COSA SI INTENDENDE PER PRIMO COLLOQUIO
Afferma Pagani: “Al fine di presentare i primi elementi applicativi,tecnici e metodologici, delle
psicodiagnostica secondo la concezione adleriana, inizierò affrontando i temi del primo contatto e del
primo
colloquio con il paziente, attraverso una visione d'insieme dell'approccio e lo farò servendomi di un caso,
che mi è parso particolarmente emblematico per illustrare gli argomenti che via via affronteremo.
Prima di trattare i temi d'apertura (primo contatto e primo colloquio), vorrei sgombrare il campo da un
possibile equivoco:quando si parla di primo colloquio, non ci si deve riferire solo alla
prima seduta, ma a tutta quella serie di incontri necessari alla raccolta, il più completa possibile, del
materiale informativo utile all'economia del trattamento.
L'uso della locuzione "primo colloquio", che apparirebbe veramente improprio per quanto appena detto, è
però giustificato dalla necessità di adeguarsi al linguaggio usato comunemente dalle altre
scuole di psicoterapia. Certamente sarebbe preferibile adottare espressioni quali primi colloqui o, meglio
ancora, colloqui preliminari.”
La durata del primo colloquio dipende dalla disponibilità del paziente a comunicare e a fornire dati
significativi per il completamento sistematico degli elementi necessari per futuro trattamento. Kurt Adler
consiglia di richiedere al paziente l'autorizzazione a prendere appunti, garantendogli nello stesso tempo il
massimo della riservatezza. Di solito si tratta solo di un invito formale, poiché il paziente non pone
quasi mai obiezioni.
L'operatore di linea adleriana adotta, nei confronti del soggetto che sta per iniziare il trattamento, un
approccio sciolto e incoraggiante, evita di raccogliere le notizie in modo troppo schematico e rigoroso,
come si usa abitualmente nella pratica medica, senza che queste esigenze di spontaneità rechino
pregiudizio alla raccolta di dati preliminari sufficientemente completi. La grande disponibilità offerta dallo
psicoterapeuta adleriano non deve, comunque, mai consentire che venga meno il suo ruolo; egli deve saper
bloccare in qualsiasi momento ogni tentativo di prevaricazione, che il paziente può mettere in atto, sia pure
inconsciamente, poiché l’aspirazione alla superiorità, che ciascun uomo porta in sé, in stretta correlazione
con il sentimento d'inferiorità (in quanto ne è l'antitesi), potrebbe spingerlo a resistere al trattamento.
Il primo contatto con il soggetto avviene di solito nella pratica privata, per telefono e in modo diretto con lo
psicologo/psicoterapeuta, mentre nel servizio pubblico è condizionato dall'intervento di altre persone:
l'infermiere/a o l'impiegata/o. Spesso, nel secondo caso, l'assegnazione del terapeuta avviene addirittura
d'ufficio.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE - PRIMA PARTE;SESSIONE 4 - IL PRIMO COLLOQUIO - A
Afferma Pagani: “Alberto si presenta puntuale all'appuntamento. La prima operazione che compete, a
questo punto, all'operatore è l'osservazione del nuovo paziente: la figura, l'aspetto, l'età dimostrata,
l'abbigliamento, la postura, la mimica, la gestualità, l'atteggiamento, e così via.
Nel nostro caso, si tratta di un giovane uomo sulla trentina, abbastanza alto e longilineo; veste in modo
appropriato, ha un atteggiamento educato, forse un po' formale, nel complesso disponibile. Sembra un po'
preoccupato, forse di aver fatto una scelta che non lo convince appieno, e non appare del tutto a
suo agio. Comunque, non possiede quelle caratteristiche specifiche, che consentano di avanzare il sospetto
di "depressione" ipotizzato dal fratello”.
I temi, che dovranno essere affrontati nel corso del primo colloquio, sono : la motivazione del ricorso alla
terapia. È sempre necessario richiederla, anche se di solito il motivo addotto ha solo un ruolo di copertura
della motivazione reale.
• - Allora, Alberto, che cosa non va?
• - Tutto.
• - Come tutto?
• - Vede, io vivo costantemente l'impressione di essere fuori posto, di non saper fare una scelta. E questa
impressione è confermata dal fatto che non riesco a concludere ciò che all'inizio mi sembra l'idea più
corretta. Me lo dice anche mio padre: "lascia perdere, lo faccio io, tu non sei capace". È
vero, io non so neppure piantare un chiodo, mio padre, invece, sa far e di tutto.
II secondo tema da ‘prendere in esame è la ricostruzione del quadro della situazione attuale nell'ambito
della vita di relazione, i tre compiti vitali dell'uomo: l’amore, che comprende, oltre agli affetti anche la
sessualità; l'amicizia, ossia la capacità di il tessere validi rapporti sociali in un clima di compartecipazione
emotiva e di cooperazione; il lavoro, che include qualsiasi forma di attività della mente. E’rilevante acquisire
informazioni sui rapporti affettivi e sessuali, sulle relazioni interpersonali, sul lavoro,sullo studio e sugli
interessi in generale .
• - Che studi ha fatto?
• - Ho il diploma di perito chimico, ma è una materia che non mi ha mai coinvolto...
• - L'ha scelta lei?
• - No, me l'ha consigliata mio padre.
• - Ah e come occupa il tempo libero?
• - Beh, sono fidanzato da tredici anni; nei week-end e durante i periodi di vacanza estiva, io ed Elisa
andiamo sul lago o in montagna, viviamo questi periodi in modo molto appagante, anche sessualmente,
come si conviene a una coppia stabile, ma al rientro, ognuno torna a casa sua. E poi, io studio anche... o
meglio, sono iscritto all'università, a giurisprudenza, fuori corso, naturalmente. Ho già cambiato due volte
facoltà e non riesco a trovare quella che fa per me... Mio fratello, invece, ha due lauree e io non ne riesco a
prender e nemmeno una...
• - Ha amici?
• - Sì, certo, molti. Vede, io suono in un complesso; la musica è la mia passione, come del resto lo è anche di
mio padre... è lì che si fanno delle conoscenze, degli amici... si esce assieme... ora, per la verità, un po'
meno.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE - SECONDA PARTE;SESSIONE 1- IL PRIMO COLLOQUIO - B
Il terzo e ultimo tema da affrontare nel corso del primo colloquio riguarda l'accertamento o l'esclusione di
un'eventuale patologia o di una familiarità in questo senso. Questa operazione viene definita anamnesi
psicopatologica mascherata:mascherata, perché consiste nel raccogliere le stesse informazioni, che
abitualmente si acquisiscono per mezzo dell'anamnesi psichiatrica tradizionale, senza darlo a
vedere e con una considerazione diversa dei sintomi, che sono, invece, da interpretare nei nostri casi, come
rivelatori di un conflitto psicodinamico.
• - Prima di venire da me, aveva già parlato con qualcuno dei suoi problemi?
• - No, con nessuno...
• - In famiglia, qualcuno ha avuto problemi, che so io, come i suoi?
• - Se si esclude mia madre, che dopo la fine della sua attività lavorativa è divenuta
una grossa nevrotica... altri, nessuno.
• - Allora, Alberto, che ne dice, ci rivediamo?
• - Sì, certo. Anche se parlare dei miei problemi mi angoscia un po'... Ho paura di
scoprire qualcosa che... forse non vorrei venire a sapere. Ma, ormai ho deciso.
Quando ritorno?
- Ci vedremo una volta alla settimana. Le va bene questo orario? Sì? Allora,a mercoledì prossimo.
La prima regola, veramente fondamentale perché il trattamento risulti produttivo è di non effettuare mai
pressioni sul soggetto in favore della scelta della terapia e di non scoraggiarlo accentuando le prospettive di
rischio e d'insuccesso. Altra norma importante è chiedere al paziente un impegno e garantirgli il proprio.
Alla fine del primo colloquio è poi indispensabile stipulare l'accordo terapeutico. L'accordo terapeutico non
è un elemento differenziato, a sé stante, del trattamento, ma soltanto la fase conclusiva del primo
colloquio.
Questo patto, più comunemente definito "contratto" da altre Scuole, ha un preciso scopo: stabilire con il
massimo rigore i punti d'intesa ai quali i due protagonisti della terapia dovranno attenersi.
Rimangono da affrontare, di solito, altri due punti essenziali: l'orario, con la frequenza delle
sedute e l'ammontare dell'onorario, con il relativo metodo di pagamento.
Fisserei, soprattutto, l'attenzione su due punti dell'intesa: la responsabilizzazione, da subito,del soggetto
circa l'accettazione del trattamento e la determinazione del ruolo dei due protagonisti. L'accordo è di fatto
consolidato dalla definizione dei tempi e del costo della terapia.
La perplessità relativa al timore di "scoprire qualcosa che... non vorrei venire a sapere",preoccupazione che
sfiora il soggetto alla fine del colloquio, si dissolve ben presto di fronte alla necessità di capire. La
resistenza, comparsa fugacemente, è stata vinta proprio dal bisogno di liberarsi da una condizione
sgradevole, bisogno divenuto ormai indifferibile, anche se conseguente ad un piano di vita progettato con
determinazione e modellato con costanza nel tempo.
L'orientamento ambientalista e il Gemeinschaftsgefül, il sentimento comunitario, fanno sicuramente della
Psicologia Individuale Comparata la capostipite storica del filone delle Scuole di psicologia del profondo ad
indirizzo socioculturale. L'intervento psicodiagnostico adleriano parte,quindi, di necessità, dallo studio della
piccola, ma importantissima cerchia con cui il soggetto, dall'infanzia in poi, si è relazionato: la famiglia
d'origine. Adler, infatti, ha rilevato quanto importanti siano i primi quattro,cinque anni nella formazione
dello Stile di vita, che si struttura attraverso gli stimoli ricevuti nell'ambiente familiare e in seguito
all'influenza dei modelli conviventi.
Bisogna, comunque, tenere conto che il paziente ci presenta le sue realtà,filtrate attraverso la propria
valutazione soggettiva, che può deformarle,sia sotto la spinta delle emozioni evocate, sia di quelle vissute
nel setting.
In base a queste considerazioni, l'operatore, dovrà interpretare il materiale raccolto, valutando la
precedenza assegnata dal soggetto ad una piuttosto che a un'altra delle varie figure del nucleo familiare, le
eventuali variazioni di registro linguistico usato nel descriverle, le ambivalenze, le
contraddizioni, escludendo ogni interpretazione semplificata e codificata da regole o imprigionata nel rigore
fittizio della testistica. Lo psicoterapeuta, affidandosi alla propria intuizione, dovrà formulare delle
ipotesi che potranno essere poi confermate, modificate o smentite nel corso del trattamento.
• - Alberto, il nostro cammino comincia ora. Come suo compagno di viaggio devo, però,
conoscerla a fondo, sapere molte cose di lei, comprendere i più minuti particolari della sua
vita, essere informato sulle persone con le quali lei ha avuto e ha relazione... Ecco,
immagini... si apre il sipario sulla storia della sua esistenza: lei è il protagonista, ma chi sono
quegli altri attori, i comprimari che recitano con lei in questa prima parte della trama della
sua vita? E ancora, più in là, quegli altri, mi vuole dire chi sono?
• - Intende la mia famiglia?
• - Sì, la sua famiglia.
• - Come le ho detto, ora io vivo da solo. Prima, però, la mia famiglia era composta dai miei
genitori e da noi tre figli, perché c'è anche mia sorella minore, nata sei anni dopo di me. Si è
sposata lo scorso anno; ora vive in Toscana con il marito e aspetta un bambino. Devo proprio
parlare prima dei miei genitori?
• - No, certo, parli pure di chi crede meglio.
• - Parlerò prima dei miei nonni, perché io ho vissuto a lungo con i miei nonni materni: i miei genitori erano
entrambi impegnati, ciascuno nel proprio lavoro. Nella famiglia dei nonni, in quel periodo, viveva anche zia
Lina, allora zitella: si sposerà più avanti. Io dormivo dai nonni, anzi, dormivo con i nonni, nel loro lettone, in
mezzo a loro. Il nonno mi raccontava le storie, tenendomi una mano sulla spalla finché non mi
addormentavo. Quando la zia si è sposata, mi sono trasferito nell'altra camera, dove c'era già mio fratello;
la mia sorellina, allora, non era ancora nata. Al sabato, però, tornavamo tutti a casa con i nostri genitori,
per ritornare poi, al lunedì, a vivere con i nonni. Ma, in quella casa con i miei genitori non mi sentivo a casa
mia: la mia casa era quella dei nonni. Quando ho compiuto undici anni, i miei hanno trovato un
appartamento vicino al loro luogo di lavoro e hanno chiesto che io ritornassi ad abitare con loro, ma io mi
sono rifiutato decisamente. Mi sono lasciato convincere solo qualche tempo dopo dal bel bagno di
quell'appartamento: l'aveva costruito mio papa, che era un artigiano bravissimo: sapeva fare di tutto e sa
ancora fare di tutto, il muratore, l'elettricista, l'idraulico: non c'era lavoro che lui non sapesse portare a
termine. Il nonno era un uomo pacato, ma nel contempo severo; se occorreva, mi rimproverava, mi puniva
anche. Ho sofferto molto quando è morto, avevo venticinque anni, ma ho pianto, forse sono stato l'unico a
piangere di tutta la famiglia. La nonna è morta prima del nonno, ma per lei non ho sofferto come per il
nonno. Con lei ho trascorso tutte le vacanze estive della mia infanzia; mia mamma restava a casa,
impegnata con il lavoro e io partivo con la nonna. Di carattere non era particolarmente affettuosa, ma
apprensiva ed estremamente paurosa. Quando eravamo in villeggiatura, la sera, dopo cena, la nonna ed io
andavamo sempre a trovare una sua amica; la nonna portava sempre con se una pila perché, al buio, ma...
non si sa mai...
• E i suoi genitori?
• Appunto, i miei genitori. Mia mamma, la ricordo com'era allora, anche lei severa e anche lei
apprensiva, non come la nonna, però... Adesso, come le ho detto è solo una grossa nevrotica:
è cambiata dopo la chiusura dell'azienda del nonno. Prima lavorava come e più di un uomo:
portava pesi, era lei addetta alle contrattazioni e se occorreva farsi capire usava anche un
linguaggio pesante. Verso i dieci anni scoprono che devo portare gli occhiali.
• Adesso vedo che non porta occhiali, ha le lenti a contato?
• No, assolutamente, non ne ho bisogno, era solo una lieve miopia. La mamma diceva che ero
l'unico di tutta la famiglia, mai nessuno aveva portato occhiali prima di me. E io ho vissuto la
cosa come una grave menomazione. Se n'erano accorti perché non vedevo il numero
dell'autobus che mi portava a fare la ginnastica correttiva per la scoliosi: un altro dramma.
L'aveva scoperto la sarta che mi confezionava l'abitino per la prima comunione. La mamma si
colpevolizzava per non essere stata lei ad accorgersi per prima del mio difetto. Ma di guai ne
ho avuti tanti.
• A tre anni, nel corso di una visita medica si scopre che ho un soffio al cuore, per cui:
cardiologo, controlli, esami del sangue... l'unica cosa buona era il cappuccino con la brioche
dopo i prelievi. La nonna mi diceva sempre: "non correre, lo sai che tu hai il cuore..." e mi
vietava di fare i bagni quando mi portava al mare... A quattro anni mi hanno operato di
appendicite. Mia mamma si è sposata perché incinta di mio fratello. In casa il bastone del
comando l'aveva lei. Ricordo le forti tensioni con il papa, che tendeva ad alzare un po' troppo
il gomito: a diciotto anni era già un forte bevitore. Ora è minacciato dalla cirrosi, anche se ha
sempre goduto di una salute dì ferro. Mio padre ha avuto un'infanzia difficilissima: molti
fratelli; si dice, forse non tutti dello stesso padre. Ancora bambino era stato costretto a
lavorare. Ma ha imparato il lavoro che ha svolto per molti anni coscienziosamente e con
molta perizia. Gli piace andare per osterie a cantare con gli amici. Io non so fare i lavoretti
come mio padre, però, come lui, amo la musica, qualsiasi tipo di musica. Le ho detto, vero,
che suono in un complesso? Raramente, mio padre mi sgridava, ma non era punitivo come il
nonno; ricordo di aver preso da lui solo uno schiaffo, una volta per un capriccio. Anche lui mi
raccontava le storie, come il nonno, la sera del sabato, quando rientravo a casa.
• - E i suoi fratelli?
• - Dei miei fratelli ho poco da dire: c'era troppa differenza di età con mio fratello maggiore, sette anni, e
quasi altrettanti in meno, sei, con la mia sorellina. Poi, entrambi sono fuori casa.
• - Ma, veramente, da quanto mi ha detto, fuori casa c'è anche lei.
• - Si, ma loro hanno famiglia. Comunque, se proprio Io vuoi sapere, mio fratello è sposato e ha due figli, un
maschio e una femmina, è laureato in ingegneria e in informatica ed è dirigente in una ditta di
telecomunicazioni. Abita dall'altra parte della città. Di mia sorella le ho già detto.
• È molto importante a questo punto prendere in considerazione i personaggi della costellazione familiare
presentati dal soggetto, l'ordine con cui vengono indicati, il tipo di descrizione e porsi i primi perché. È facile
intuire il motivo per cui Alberto ci abbia parlato prima dei nonni che dei suoi genitori. Cerchiamo,
comunque,di ottenere qualche informazione in più su questi ultimi.
• - Alberto, scriva per favore su questo foglio sotto padre e madre le parole o le frasi che le
vengono alla mente, senza forzature e senza stare a pensarci troppo su; al centro della pagina
annoti, invece, quello che ritiene comune ad entrambi.
• Ecco il risultato:
• Padre Madre
• Interazioni
• onesto lavoratrice
• beve per cantare nevrotica
• canta per bere aggressiva
• buono disponibile
• si vogliono bene
• si sopportano a vicenda
• Questa tecnica, suggerita da Francesco Parenti, utile, talora, per raccogliere ulteriori
elementi non colti nel corso della descrizione verbale dei singoli personaggi della
costellazione familiare, non aggiunge molto alle informazioni già acquisite, ma le conferma
tutte, segnalando, in modo particolare, la buona affettività che lega Alberto ai genitori.
Dopo aver precisato la sua posizione di secondogenito nell'ordine di nascita all'interno della fratria
(argomento sul quale ci soffermeremo fra qualche momento), Alberto inizia a parlare dei nonni ed è
abbastanza facile capirne il perché. La sua infanzia si è svolta lì, con loro; è alquanto significativo il preciso
ricordo del suo addormentarsi nel lettone dei nonni, con il nonno che appoggiava la sua mano sulla spalla di
Alberto, mentre gli raccontava la storia che gli avrebbe indotto il sonno. Come si vede, la presentazione
delle figure sia dei nonni che dei genitori non si limita alla descrizione, ma si arricchisce della narrazione di
episodi, con la funzione di trasformare in simboli ed allegorie le emozioni vissute in quei momenti.
Possiamo intanto osservare nelle figure dei nonni la buona impostazione dei ruoli familiari. Il nonno
"pacato", ma pure "severo" era il patriarca; se occorreva "rimproverava" e anche "puniva". La nonna, anche
se "non particolarmente affettuosa", era molto "apprensiva e paurosa", si preoccupava per la salute di
Alberto "non correre, lo sai che tu hai il cuore... ".
Diversa è, invece la posizione dei genitori; i ruoli tipici sono rovesciati: la mamma aveva "il bastone del
comando", "lavorava come e più di un uomo", usava anche "un linguaggio pesante" e se la prendeva con il
papa "se alzava un po' troppo il gomito". Però, il papa, almeno nell'immaginario del maldestro Alberto,
appare un modello di difficile imitazione: sa "fare di tutto", "coscienziosamente e con molta perizia", a
differenza di lui che "non sa piantare nemmeno un chiodo". Inoltre, la figura del padre, come
del resto quella del nonno nei confronti della nonna, è affettivamente meglio impostata di quella della
madre. Nel complesso, comunque, quel "si vogliono bene e si sopportano a vicenda", riesce a offrire il senso
della buona impostazione affettiva che la coppia genitoriale è riuscita a trasmettere al nostro soggetto.
Stupisce alquanto, invece, la riluttanza di Alberto a parlare dei propri fratelli e vedremo, se possibile,
almeno di ipotizzarne le ragioni.
La Psicologia Individuale dei tempi di Adler attribuiva grande importanza alla composizione della fratria e
dell’ordine di nascita dei fratelli. Oggi, che le famiglie numerose stanno diventando sempre più rare, le
coppie con un solo figlio rappresentano la maggioranza e quelle con più di due o tre figli sono addirittura
eccezionali. Per effetto di tale situazione gli analisti e gli psicoterapeuti adleriani sembrano considerare
meno questo importantissimo settore. In realtà, il vero motivo è da ricercare solo ed esclusivamente nella
mancanza di materiale su cui applicare l'insieme organico delle regole e dei principi relativi a questo
particolare ambito della costellazione familiare che, in ogni modo, tutti gli psicologi individuali hanno ben
presente ogni volta che si verifica l'occasione di occuparsene.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE - SECONDA PARTE;SESSIONE 2 - IL PRIMO COLLOQUIO - C
Langs conferma la validità dei primi ricordi come rivelatori di personalità, mentre per Mayman essi non
sarebbero altro che espressioni di importanti fantasie attorno alle quali si organizza la struttura del
carattere. A prescindere dalla differenza dei risultati ai quali sono giunti i due ricercatori, è significativo il
fatto che entrambi abbiano tenuto come punto di riferimento il concetto della dottrina
adleriana dei primi ricordi e ne abbiano ribadito l'importanza.
L'esplorazione dei primi ricordi infantili, inserita prima dell'inizio di un trattamento
adleriano, subito dopo la raccolta delle notizie anamnestiche rilevate nel corso del primo colloquio e lo
studio della costellazione familiare, è uno dei pochi momenti dell'analisi per cui la Scuola di Psicologia
Individuale abbia formulato delle norme precise. In verità, le regole guida, più che da Adler, sono state
indicate da alcuni suoi continuatori.
È proprio partendo da questa concezione di memoria che la Psicologia Individuale ha costruito la propria
dottrina dei ricordi primari d'infanzia. Ogni ricordo, frutto di un evento accolto, è l'esito di un'impressione
vagliata dallo Stile di vita. Talvolta,però, l'impressione può essere ridotta a un semplice stato d'animo,
particolarmente quando risulta impossibile evocare dei ricordi trasformati in lievi e sfumate sensazioni
emotive.
Poiché si è ormai acquisita da tempo la certezza che ogni essere umano ha in sé la facoltà di conservare
l'aderenza al reale per mezzo di una relazione fisica e spirituale con il mondo che lo circonda, la Psicologia
Individuale è giunta alla conclusione di come sia affascinante cercare e utilizzare i ricordi di un soggetto per
interpretarli come elementi significativi del suo Stile di vita.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE - SECONDA PARTE;SESSIONE 3 - IL PRIMO COLLOQUIO - D
Ecco come ho invitato Alberto a presentarmi i suoi primi ricordi.
• - Oggi, la invito a fare con me un viaggio nel passato. Ha certamente presenti le macchine del tempo. Di
sicuro ne avrà viste in qualche film o avrà letto di come funzionano in qualche romanzo di fantascienza: un
tizio entra nel marchingegno, muove una leva su e giù e la macchina lo porta avanti e indietro nel tempo,
anche per secoli, a rivedere mondi del passato o a mostrarne altri di un lontano futuro. La nostra
immaginaria macchina del tempo è molto più modesta: va esclusivamente all'indietro e al massimo di
qualche decennio. Ritorni con la memoria al tuo passato a ripescare gli episodi più lontani, che forse
credeva di aver dimenticato, rivivendoli e facendoli vivere anche a me, come se dovessi vederli proiettati su
uno schermo. Non conta che siano avvenimenti di grande interesse, anzi, più banali sono e meglio è. Non
ha importanza,poi, che me li presenti in ordine cronologico; deve anzi raccontarmeli così, come le
vengono alla mente: quella volta che... Bene, se crede, possiamo partire per il nostro
viaggio nella sua infanzia.
• - Ma, veramente, io ho già ricordato episodi della mia infanzia; vedrò di recuperarne qualche altro.
• - Sì, è vero, ma non era ancora entrato nella macchina del tempo. Ora è al suo interno e l'effetto è
diverso.
• Questi sono i primi ricordi d'infanzia di Alberto.
• 1° ricordo
• - Mia madre dice che ho molto sofferto ad andare all'asilo. Mi ci avevano mandato per togliermi dal
cortile. Avevo quattro anni. Però, io ricordo soltanto quella volta che le maestre mi hanno legato alla sedia
con la cintura del grembiulino. Ero disperato. Questo ricordo si ravviva ogni volta che mi trovo in una
situazione costrittiva. Se mi dovessero mettere in prigione, ad esempio, sono sicuro che ci morirei.
• Si è accennato al fatto che la Psicologia Individuale utilizza, per la decodificazione dei primi ricordi, il
metodo analogico-intuitivo, cioè quel procedimento che, muovendo dall'osservazione e dalla diretta
esperienza e quindi dalla conoscenza di elementi noti, fa supporre che, nel concetto preso in
considerazione, esistano significati similari. Affidandoci a questo criterio, cercheremo di formulare, con
l'esplorazione dei primi ricordi di Alberto, altre congetture e altre ipotesi da aggiungere a quelle già esposte
in precedenza, in modo che, alla fine, ci tornino utili per la ricostruzione del suo Stile di vita e, quindi, della
sua personalità. È bene, ad ogni modo, ribadire che, per il momento, si tratta solo di ipotesi e di
supposizioni riservate all'operatore; egli dovrà cercarne la conferma in altri elementi che acquisirà poi nel
corso del trattamento.
È bene, ad ogni modo, ribadire che, per il momento, si tratta solo di ipotesi e di supposizioni riservate
all'operatore; egli dovrà cercarne la conferma in altri elementi che acquisirà poi nel corso del trattamento.
• «Mia madre dice che ho molto sofferto ad andare all'asilo». Se la narrazione si fosse fermata a questo
punto, non avremmo potuto registrarla fra i ricordi primari d'infanzia, in quanto il contenuto sarebbe solo il
frutto della memoria di altri, ma il racconto prosegue fornendo elementi dei tutto soggettivi, fissati
indelebilmente nella memoria privata del nostro soggetto e il ricordo risulta pertanto valido. A
quattro anni, Alberto è mandato all'asilo per essere tolto dal cortile. Che cosa c'era nel cortile che avrebbe
potuto rivelarsi tanto nocivo per lui? Legato alla sedia dalle maestre con la cintura del grembiulino: l'asilo è
divenuto la metafora della costrizione. Il peso delle imposizioni è tale da sollecitargli l'analogia con la
prigione e l'intolleranza nei confronti delle costrizioni è capace di evocare perfino l'idea della
morte.
• 2° ricordo
• - Sempre dell'asilo, ricordo ancora l'iniezione antipolio, le pantofoline rosse, la gara per andare ad
apparecchiare la tavola in competizione con un compagno, ma soltanto perché a quel compito era
incaricata anche una bambina che mi piaceva.
• La memoria è qui interamente all'opera per far rivivere appieno il clima dell'asilo: la memoria visiva "le
pantofoline rosse", ma anche la memoria dolorifica, "l'iniezione antipolio". Il contenuto principale è però la
competizione. Una competizione primordiale: maschio contro maschio per la conquista della femmina. Ma
nel caso di Alberto la competizione si trasforma in una gara con un compagno d'asilo per andare ad
apparecchiare la tavola. In apparenza sì,ma, in realtà, lo scopo reale è avvicinare la bambina che gli piaceva.
"Fine fittizio" e "fine reale": si tratta due capisaldi della Psicologia Individuale.
• 3° ricordo
• - Desideravo tanto avere un cane. La cagnolina della nostra vicina aveva avuto i piccoli e io chiedo alla
signora di darmene uno, ma lei mi risponde che per averne uno ci vogliono mille lire. Io corro a casa, prendo
i soldi dalla mia cassettina per acquistarne uno, ma scoperto dai miei, sono obbligato a restituire il cane e a
recuperare i soldi. Ho pianto, non volevo, ma ho dovuto farlo e, umiliandomi, ho richiesto indietro i soldi alla
signora e ridato il cagnolino che avevo tanto desiderato.
• "Il desiderio frustrato", potrebbe essere il titolo di questo ricordo. Neppure disponendo di mezzi propri, i
soldi prelevati dalla sua "cassettina"., Alberto riesce ad appagare i suoi sogni, deve subire le decisioni degli
adulti, umiliarsi e,piangendo, restituire il cagnolino che aveva tanto desiderato. Forse è meglio non
prendere mai spontaneamente delle iniziative, per non pagarle poi con sofferenza,umiliazione e dolore.
• 4° ricordo
• - È la vigilia di Natale, aveva nevicato. Con mio papa si doveva andare a prendere la mamma, che era al
lavoro. Faccio un capriccio, perché voglio assolutamente mettermi delle scarpe foderate di pelliccia, che,
però, erano della mamma. Il papa mi fa presente che non è possibile, ma io insisto nella strana idea, sin che
lui si spazientisce e mi da uno schiaffo, uno dei pochi ricevuti da lui, se non l'unico.
• Il capriccio del bambino ha sempre una funzione di sondaggio sulla disponibilità degli adulti o di verifica
dei limiti sino a cui egli può spingersi. Adler aveva osservato come il bambino,soprattutto nel primo periodo
della sua vita, avverta una grave situazione di inadeguatezza. È questa limitazione che egli definisce,
intenzionalmente, sentimento di inferiorità, per indicare quel fisiologico stato di insufficienza e di
insicurezza che manifesta il fanciullo di fronte al mondo a lui ancora sconosciuto, nel cui contesto gli
sembra di percepire che vivano personaggi più grandi, più forti e più esperti di lui. Se gli apporti ambientali
gli saranno favorevoli, il bambino supererà, in modo graduale, il disagio dell'inferiorità, in concomitanza
con lo sviluppo somatopsichico, il processo di apprendimento e l'integrazione sociale,dapprima collaudata
nella cerchia familiare e poi sempre di più al di fuori di questa.
Il mezzo di più facile uso per il bambino per il superamento della propria inadeguatezza è l'aggressività, che
secondo la visione freudiana, è sempre figlia della frustrazione. Nell'ottica adleriana, l'aggressività infantile
è vista,piuttosto, come un'energia primordiale, non ancora ben disciplinata, ma già in grado di garantire la
soddisfazione delle necessità più elementari.
Lungo il cammino della vita il bambino incontrerà, però, i primi ostacoli, le prime sofferenze, i primi pericoli
che gli indicheranno i confini entro i quali egli potrà esprimere la propria forza, modulandone l'intensità, a
seconda delle esigenze contingenti. Più avanti, quando sarà maggiormente cresciuto, egli dovrà
necessariamente fare i conti con le regole di convivenza, indicate all'inizio dai genitori e, in seguito, richieste
dalla società. Molte di queste regole riguardano proprio il controllo dell'aggressività, che sarà così
indirizzata verso i settori consentiti.
• 5° ricordo
• - Ricordo vagamente il giorno che mi hanno portato in ospedale per togliermi l'appendice. Tutti quei
camici bianchi. Ero molto spaventato e piangevo.
• Quale situazione può essere più inferiorizzante per l'uomo della perdita del benessere fisico? Lontano
dall'ambiente tranquillizzante della propria casa, in un mondo sconosciuto di persone "in camice bianco"
s'insinua la paura, la disperazione, l'angoscia.
• 6° ricordo
• - Ricordo il ritorno a casa dopo la visita dell'oculista che mi aveva diagnosticato la miopia e prescritto gli
occhiali. La mamma che dice "sei tu l'unico con questo difetto, mai nessuno nella nostra famiglia ha portato
gli occhiali". E io mi sentivo piccolo e solo.
• Ancora una condizione di inferiorità, questa volta aggravata dalla diversità: "sei tu l'unico con questo
difetto... ".
• 7° ricordo
• - Ero molto piccolo, avevo circa tre anni ed ero a letto con uno degli attacchi di appendicite, che mi hanno
colto più volte durante l'anno precedente all'operazione. Ricordo che era di domenica, il lettino azzurro,
la borsa del ghiaccio e, legata a quel lettino, l'impressione, imprecisa e sfumata, di aver provato
un'eccitazione erotica.
• Eccitazione erotica a tre anni? Forse si tratta di una fantasia elaborata in un tempo successivo, un modo
utilizzato a posteriori per esprimere il concetto di piacere. Piacere e malattia? Piacere di essere ammalato?
Certo, una maniera alquanto impropria, anche se non eccezionale, di associare godimento e sofferenza.
• 8° ricordo
• - Sì, ho avuto una sessualità precoce. Ero molto piccolo, intorno ai sei, sette anni,ricordo di essermi
masturbato con una bambina del mio cortile e ricordo anche le masturbazioni con un amico... e poi, la
grande colpevolizzazione di quel comportamento da parte dell'insegnante di religione, che era una donna.
• «L'anatema gettato dalla Bibbia contro il "crimine" di Onan è sopravvissuto sino ai nostri giorni sotto
forma di colpevolizzazione della masturbazione. Questa colpevolizzazione è certamente meno drammatica
oggi che ancora qualche decennio dì anni fa. Sino all'inizio del secolo (scorso), l'onanismo era considerato
ufficialmente come un orribile vizio che portava a temibili conseguenze [...]se non perché veniva
colpevolizzato ». La visione attuale, secondo l'ottica adleriana,ritiene la masturbazione come un momento
di quella fase dell'evoluzione sessuale, coincidente con l'infanzia e la pubertà, che lo stesso Adler ha
definito con la locuzione "training erotico infantile".
Un discorso a parte merita, invece, il "senso di colpa" che ne è conseguito,aggravato, a sua volta,
dall'intervento dell'insegnante di religione.
Intendiamo per "senso di colpa" non la colpa determinata dalla violazione di norme etiche coscientemente
accettate, ma esclusivamente il "senso di colpa nevrotico", generato da pensieri, azioni o progetti, vissuti
inadeguatamente a livello inconscio. Si tratta di una "finzione rafforzata", che drammatizza azioni, pensieri
e progetti rapportabili a una vasta gamma di contenuti. Le "costrizioni" che inducono il conflitto non sono
esclusivamente di provenienza genitoriale: esse possono derivare da ogni figura investita di potere, per cui
la violazione accentua il rischio. Per Alberto, non è tanto grave l'atto di masturbarsi, quanto il peso del
senso di colpa per aver violato le norme etiche.
ANALISI DELLO STILE DI VITA DEL PAZIENTE - SECONDA PARTE;SESSIONE 4 - IL PRIMO COLLOQUIO - E
La decodificazione del linguaggio simbolico di Alberto a conclusione di questa prima fase dell'indagine
psicodiagnostica ci consentirà di ricomporre alcuni punti essenziali del suo Stile di vita.
1. Forte senso di incapacità decisionale («non so concludere niente») e di inadeguatezza («non so fare
niente»), indotte dal confronto negativo con il padre («mio padre, invece, sa fare di tutto») e con il fratello
(«mio fratello ha due lauree e io non ne riesco a prenderne nemmeno una...»); per di più, ironia della
sorte, porta il nome di uno, «zio morto in guerra, volontario e idealista».
2. Insicurezza affettiva e d’appartenenza. La sola persona che sa esprimere affetto sincero
e, nel contempo, sa mantenere rispetto e autorevolezza è il nonno materno, patriarca
dell’unica famiglia che Alberto considera veramente come sua («la mia casa era quella dei nonni»).
3. L'inquadramento della figura femminile, oltre tutto «non particolarmente affettuosa» e apprensiva, è
essenzialmente scoraggiante: «sei tu l'unico con questo difetto nella nostra famiglia...». Ne deriva un
senso d'inferiorità non facilmente compensata e compensabile («e io mi sentivo piccolo e solo»).
4. L'atteggiamento inferiorizzante della madre porta di conseguenza il soggetto a mettere a
punto la finzione rafforzata di un'immagine di sé differenziata in negativo nel confronto con
gli altri (gli occhiali, la scoliosi, il soffio al cuore, l'appendicite).
5. Spiccata insofferenza per le costrizioni, di cui l'asilo è divenuto l'eloquente metafora. Il gravame
attribuito alle imposizioni è tale da sollecitare l'analogia con la prigione e la ripulsa nei loro confronti è
persino capace di evocare l'idea della morte.
6. L'intolleranza per le frustrazioni è ampiamente segnalata dai due episodi raccolti con i primi ricordi
infantili di Alberto in cui gli viene negata la possibilità di avere un cagnolino e quella di indossare le scarpe
della madre, foderate di pelo. Ne deriva la propensione a non prendere mai spontaneamente delle
iniziative, per non pagarle poi con sofferenza,umiliazioni e dolore.
7. La difficoltà a prendere decisioni condiziona anche la stabilizzazione del rapporto di coppia. Alberto ed
Elisa, durante i periodi di vacanza, si comportano "come se" la loro fosse una coppia stabile, «molto
appagante, anche sessualmente, ma al rientro,ognuno torna a casa sua».
8. La scelta sessuale, orientata in senso eterosessuale (la «bambina che mi piaceva» di uno dei suoi primi
ricordi,l'attuale rapporto con Elisa), costituisce la prova che le masturbazioni rammentate da Alberto erano
soltanto il significante del "senso di colpa" che ne era conseguito,aggravato dall'intervento dell'insegnante
di religione, simbolo della morale comune.
Diagnosi
La valutazione diagnostica deve rivedere un’anamnesi accurata, una attenta e prolungata osservazione
del bambino con una particolare attenzione all’analisi delle modalità di interazione, di comunicazione,
del gioco imitativo o simbolico,della disponibilità e intenzionalità comunicativa, ecc. La valutazione
cognitiva si effettua mediante scale di sviluppo o test psicometrici,anche se risulta difficoltoso
somministrare test strutturati,in quanto le capacità di attenzione è limitata.
Ci sono scale basate su interviste a genitori, docenti o educatori o scale basate sull’osservazione diretta
del bambino che stabiliscono la gravità della sindrome autistica, come le CARS (childhood autism rating
scale), la ADI (autistic diagnostic interview) e la ADOS (autism diagnostic observation schedale).
Il profilo psicoeducativo-revisionato (PEP-R )è uno strumento finalizzato alla valutazione e alla
programmazione di un intervento di tipo individualizzato per bambini con ritardo generalizzato dello
sviluppo.
Il PEP-R verifica le seguenti aree di livello raggiunto dal bambino :
Imitazione
Percezione
Motricità fine
Motricità globale
Coordinazione oculo-manuale
Aspetto cognitivo e verbale
Relativamente al comportamento valuta:
Relazioni/ affetti
Interesse per il materiale
Risposte sensoriali e linguaggio
La valutazione deve inoltre prevedere un attento esame neurologico, l’EEG, la ricerca dell’X-fragile e uno
screening metabolico e la RMN dell’encefalo.
Trattamento
Aspetto RILEVANTE del trattamento è la presa in carico precoce. Si rende opportuna la riabilitazione
psicomotoria con lo scopo di potenziare le capacità cognitive del bambino, le capacità di interazione e
scambio reciproco e far emergere l’intenzionalità comunicativa.
E’ anche necessaria una presa in carico della famiglia , un coordinamento degli interventi educativi
scolastici e dell’ambiente sociale per potenziare e favorire una sempre maggiore capacità di autonomia
del soggetto.
Tra i programmi educativi che sembrano dare buoni risultati citiamo il TEACCH (TREATMENT AND
EDUCATION OF AUTISTIC AND RELATED COMMUNICATION HANDICAPPED CHILDREN).
Il TEACCH suggerisce strategie educative a cui far riferimento per favorire gli apprendimenti
e l’autonomia. Esempio: per far fronte alla difficoltà di organizzazione delle attività durante la giornata, al
soggetto viene data un’ AGENDA VISIVA della giornata in cui la sequenza delle attività da svolgere è
segnata, a seconda del livello di simbolizzazione raggiunto, tramite oggetti, fotografie, disegni, scritte.
Il canale visuale è utilizzato a supporto dell’indicazione verbale, là dove la sua comprensione risulta
deficitaria al fine di poter permettere al soggetto di comunicare i propri desideri quando l’espressione o
la capacità comunicativa risultano carenti.
La terapia farmacologia è limitata a casi specifici. Alcuni sintomi bersaglio sono l’iperattività,
l’aggressività, i comportamenti autolesionistici, la depressione, il comportamento compulsivo e i sintomi
psicotici.
Caratteristiche cliniche
- Ritardo di crescita intrauterino - Scarsa crescita somatica (da adulti statura media intorno al 3°
percentile) - Microcefalia - Ritardo mentale (75%) con QI medio e 58 (range 20-106) - Difetti
cardiovascolari: stenosi sopravalvolare aortica (75%), stenosi dei rami periferici dell’arteria polmonare,
stenosi valvolare aortica, ipoplasia aorta, valvola aortica bicuspide, coartazione dell’aorta, interruzione
dell’arco aortico, stenosi coronaria, difetti setto striale e ventricolare. Il 10% presenta prolasso della
mitrale e il 50% sviluppa ipertensione arteriosa prima dei 22 anni. - Ipercalcemia (tende a scomparire nel
secondo anno di vita), ipercalciuria, nefrocalcinosi, infezioni ricorrenti vie urinarie. - Ipotiroidismo. -
Dimorfismi facciali (facies ad elfo): appiattimento parte media del viso e radice del naso, narici antiverse,
filtro lungo, labbra grosse, macrostomia, sopracciglia rade nella parte media, rime palpebrali strette,
ipertelorismo, epicanto, esotropia, strabismo, iride blu con disegno stellato dello stroma anteriore; denti
piccoli iperdistanziati, micrognazia, voce roca.
- Iperacusia.
Sviluppo psicomotorio
- Significativa variabilità interindividuale - Ritardo dell’acquisizione delle principali tappe evolutive -
Difficoltà di equilibrio e di coordinazione (salire e scendere le scale anche di un solo scalino) - Deficit
motricità fine (abbottonare, sbottonare, uso delle forbici e delle matite) - Difficoltà nelle azioni che
richiedono una programmazione del movimento (vestirsi, spogliarsi da soli) - Difficoltà nell’orientamento
spaziale (valutare distanza e direzione) – Iperattività.
Capacità comunicativo-linguistiche
I soggetti manifestano elevata disponibilità relazionale, con marcata loquacità ma contenuto espressivo
povero. Sono in grado di produrre e comprendere strutture grammaticali anche complesse (passive,
negative). Il bagaglio lessicale è superiore a quello dei Down equiparati per età mentale e si caratterizza
in termini di fluenza semantica per il maggior numero di parole e per una particolare frequenza di termini
inusuali. Hanno difficoltà nell’uso dei pronomi e nella concordanza di genere. Altra abilità è l’apprendere
sequenze di nomi a memoria, anche se non vengono organizzati in un contesto semantico e non sono in
grado di lavorare in modo elastico sul materiale memorizzato. I soggetti sono abili nel riconoscimento dei
volti nonostante ciò implichi un processo di tipo olistico. Manifestano difficoltà nelle capacità numeriche
e di problem-solving. Buona risulta la capacità di attribuire ad altri pensieri, credenze, desideri,
nettamente superiore ai soggetti Down.
Caratteristiche
- dismorfismi : taglio degli occhi allungato e rivolto verso l’alto, epicanto, radice del naso ampia,
brachicefalia, impianto basso dei capelli a livello nucale, solco palmare unico ecc. - ipotonia -
ipotiroidismo - difetti cardiaci (comunicazione interatriale o interventricolare) - frequenti infezioni
dell’orecchio con rischio di ipoacusie trasmissive - cataratta congenita, strabismo, astigmatismo (miopico
e ipermetropico), nistagmo - instabilità atlanto-assiale (alterazione asintomatica dovuta a lassità
legamentosa e - ipotonia tra le prime due vertebre della colonna e la base del cranio) - ginocchio valgo,
lussazione dell’anca, piede piatto, scoliosi - ritardo mentale di grado variabile - impaccio motorio sia a
livello della motricità grossolana che fine - Instabilità psicomotoria/iperattività - difficoltà
comportamentali (difficoltà ad adattarsi a situazioni nuove con reazioni negative, comportamento
oppositivo, disturbi dell’umore, psicosi).
L’ avversione dello sguardo è una caratteristica distintiva dei maschi affetti, si manifesta nel momento del
saluto con l’altro e può essere caratterizzato dall’avversione dello sguardo e della testa associata ad un
riconoscimento appropriato dell’interlocutore; questo comportamento è qualitativamente differente da
quello descritto dei bambini autistici e può potenzialmente interrompere le interazioni sociali e il dialogo
con gli altri. Nonostante questa apparente ansia sociale e l’avversione al contatto di sguardo i soggetti
affetti dimostrano una disponibilità alla relazione sociale e sanno essere affettivi.
Le competenze linguistiche sono in ritardo anche quando il livello cognitivo è normale. I deficit sono
presenti sia livello recettivo che espressivo e includono disfluenze, produzioni di frasi incomplete,
ecolalia, perseverazione, scarsa fluenza nella conversazione. Le prestazione neuropsicologiche nei maschi
sono eterogenee; il grado di ritardo mentale è variabile con un 20% di casi con QI normale. Nelle forme
meno gravi sono presenti disturbi dell’apprendimento in particolare nell’area logico-matemetica, scarsa
coordinazione visuomotoria, scarsa capacità di ragionamento astratto e deficit attentivo. Migliori sono le
capacità linguistiche (lessicali) e di lettura e scrittura rispetto alle non-verbali. Particolarmente
compromesse risultano le prestazioni cognitive nell’area sequenziale in misura più marcata rispetto le
altre forme di RM ed in particolare rispetto alla S. di Down.
Le scale della Griffiths Mental Development Scales vengono utilizzate per la ricostruzione del quoziente
di sviluppo da 0 a 8 anni. Sono 6 scale concepite per rappresentare diverse aree di sviluppo. Ogni scala
può essere somministrata separatamente; dall’insieme dei punteggi delle scale si ottiene un quoziente di
sviluppo (QS) e un’età mentale globale. Scala A: locomotoria; scala B: personale-sociale, indaga le
capacità di autonomia; scala C: udito-linguaggio, valuta le capacità di comprensione e di produzione di
linguaggio; scala D: coordinazione occhio-mano, valuta la coordinazione, l’attenzione e la costanza del
bambino; scala E: performance, valuta l’abilità di manipolazione, la precisione e la velocità di esecuzione
delle prove; scala F: ragionamento pratico: applicabile dai tre anni, valuta le capacità di capire e risolvere
piccoli problemi pratici e aritmetici. La valutazione dell’intelligenza in età prescolare e scolare viene
effettuata attraverso l’uso delle scale WPPSI (3-6 anni) e WISC-R (6-16 anni) rispettivamente, ottenendo
un quoziente di intelligenza verbale, di performance e globale. Mediante l’analisi dei punteggi ponderati
dei vari subtest è possibile valutare l’omogeneità o meno del profilo cognitivo, a volte caratteristico per
alcuni quadri clinici.
Un altro strumento utile per la valutazione cognitiva dei bambini con difficoltà di linguaggio, non udenti o
di altre culture è la Leiter Performance International Scale che fornisce un’età mentale per soggetti di età
superiore ai due anni senza richiedere al bambino risposte verbali e riducendo al minimo la consegna
verbale dell’esaminatore (accoppiamento di colori, forme figure, copia di figure con cubi, completamento
di figure, calcolo numerico, analogie, completamento di serie, relazioni spaziali ecc.). La valutazione
neuropsicologica si effettua utilizzando, tra gli altri, la riproduzione per copia e a memoria della figura
complessa A (per soggetti sopra gli 8 anni) e B (per bambini dai 4 agli 8 anni) di Rey per la valutazione
dell’organizzazione percettiva, la memoria visiva, di pianificazione, il Wisconsin Card sorting test per le
capacità di ragionamento astratto e di categorizzazione e la capacità di variare le proprie strategie in
risposta al variare delle circostanze.
Tra i test proiettivi utilizzati in età evolutiva si possono citare il reattivo di Rorschach , il TAT (Thematic
aperception test di Murray) dall’età di 10 –11 anni e il CAT (Children aperception test di Bellack, in cui i
personaggi sono rappresentati da animali) per bambini più piccoli; lo Sceno test: attraverso l’uso di una
scatola contenente giochi come animali, persone, oggetti della casa, ecc. si invita il bambino a costruire
uno scenario e inventare una storia e successivamente viene data un’interpretazione delle tendenze
proiettive del bambino; disegno delle emozioni, dell’omino, della famiglia, dell’albero: vengono valutate
le capacità prattognosiche del bambino e la dimensione proiettiva. La valutazione clinica può essere
completata, quando necessario, da indagini neurofisiologiche e neuroradiologiche, come
l’elettroencefalogramma (in veglia, in deprivazione di sonno, in poligrafia, video-EEG), i potenziali evocati
uditivi del tronco, i potenziali evocati visivi, somatosensoriali, l’elettromiografia e la velocità di
conduzione nervosa periferica, l’ultrasonografia che utilizza la fontanella anteriore come finestra per
accedere al cervello del neonato e del lattante, la Tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza
magnetica nucleare (RMN) e la tomografia a emissione di positroni (PET).
PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO: ASPETTI TEORICI SESSIONE 1 - RIFLESSIONI SULLA TEORIA DELLA
MENTE E AUTISMO
Per teoria della mente si intende la capacità di comprendere gli stati mentali delle altre persone, cioè i
loro pensieri, le loro opinioni, i loro desideri, al fine di spiegare e predire il comportamento. Due livelli:
Primo livello inteso come capacità di attribuire ad altri semplici stati mentali (LUISA pensa che PAOLO sia
antipatico) Secondo livello inteso come capacità di predire il comportamento di qualcuno sulla base della
sua falsa opinione a proposito della vera opinione di un’altra persona sullo stato delle cose (LUISA pensa
che PAOLO pensa).
Si può credere ciò che non è vero.
Di uno stesso evento due persone possono pensare due cose differenti.
CONCLUSIONI
Gli stati mentali possono essere indipendenti dalle condizioni reali del mondo (PRIMO CASO) , sia dagli
stati mentali che gli altri hanno di uno stesso evento (SECONDO CASO).
Nei soggetti autistici possiamo osservare un deficit nel rappresentare gli altri e la mente degli altri (deficit
meta-rappresentazionale ), cioè la struttura di dati che codificano gli atteggiamenti che una persona ha
nei confronti di una certa proposizione quale credere, desiderare, far finta. I bambini autistici con livello
cognitivo più alto sono in grado di comprendere il secondo livello della teoria che consiste nel risolvere
problemi come LUISA pensa che PAOLO pensa però non sono in grado di spiegare la loro risposta.
PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO: ASPETTI TEORICI SESSIONE 3 - TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE
Teoria della coerenza centrale. Le persone di solito analizzano le situazioni cercando di cogliere il “tutto”
e sulla base di questo orientano l’attenzione verso i dettagli. Nei soggetti autistici si osserva un deficit
persistente e pervasivo di coerenza centrale che consiste nella difficoltà ad integrare le informazioni a
diversi livelli. Di conseguenza otterremo: Buone prestazioni nella prova di Disegno con Cubi della WISC-R
Cadute nei compiti che richedono un ragionamento pragmatico come la prova di Comprensione della
WISC-R Cadute nei compiti che richedono una riorganizzazione in sequenza come la prova di
Ordinamento di figure della WISC-R.
EXECUTIVE FUNCTIONS
Si tratta dell’ abilità di saper utilizzare e mantenere adeguate procedure di problem-solving per il
raggiungimento di un obiettivo. : Comprendono - la capacità di inibire una risposta o posticiparla a un
momento più appropriato - abilità di pianificare una sequenza di azioni - capacità di rappresentarsi un
compito selezionando informazioni rilevanti - flessibilità con la quale l’attenzione viene guidata.
Possiamo valutare l’efficienza delle funzioni precedentemente citate attraverso il Wisconsin Card Sorting
Test (WCST). Si tratta di una prova costituita da cartoncini rappresentanti delle figure diverse per forma,
colore e numero che il soggetto deve selezionare e raggruppare a seconda della categoria di volta in volta
scelta dall’esaminatore. E’ una prova di astrazione e flessibilità, mirata ad indagare le abilità di
categorizzazione, memoria di lavoro, attenzione selettiva e codifica del feed-back verbale. Nei soggetti
autistici abbiamo prestazioni caratterizzate da strategie non adattive. Si evidenzia Inoltre scarsa capacità
di modifica dell’approccio in caso di errore. Assistiamo ad un deficit della memoria di lavoro, si ha quindi
difficoltà nel mantenere in modo attivo le informazioni finalizzate a guidare i processi cognitivi.
Genitori e attaccamento.
Genitori scoraggiati: spesso rinunciano al loro ruolo, delegando ad altre figure parentali un ruolo
educativo per i propri figli.
Genitori ansiosi: vivono le fasi di crescita del bambino con preoccupazione eccessiva e temono il giudizio
ambientale. Genitori dominanti: riportano sui figli un ideale di perfezione.
Genitori assenti: si tratta di una realtà rintracciabile nelle situazioni di separazione coniugale, con conflitti
aperti che tendono a ripercuotersi negativamente sulla crescita del bambino, che spesso viene
strumentalizzato. Ne risulta il bambino trascurato.
L’ansia e l'angoscia del bambino sono risposte naturali ad una condizione di blocco evolutivo. L'ansia
diviene una modalità messa in atto per uscire da una situazione i costrizione e l'angoscia è espressione di
un vissuto determinato dalla trascuratezza dei suoi bisogni di crescita. Si incrementano i sistemi protettivi
tesi alla difesa dalle frustrazioni. Le barriere di tipo fobico si manifestano così attraverso l’aggressività e
comportamenti di tipo dissociale. I bambini e i ragazzi portatori di un disagio psichico presentano un
aspetto comune: “non hanno appreso il sentimento sociale perché racchiusi in un loro egocentrismo
cognitivo ed affettivo”.
l’UTILIZZO DELLA TECNICA DELLO PSICODRAMMA PER LA CURA DEL DISAGIO PSICHICO E DELLE
PSICOPATOLOGIE;SESSIONE 2 - PSICODRAMMA E NARRAZIONE
Il narrare e il narrarsi attraverso lo psicodramma diviene elemento insostituibile prioritario di un
percorso evolutivo.
Recuperando il pensiero di Demetrio possiamo ritenere che il tema della cura, attraverso il narrare e il
narrarsi ,in un’ottica di lettura psicodinamica,divengono espressione della possibilità di migliorare i
rapporti tra gli individui .
Attraverso l’utilizzo della tecnica dello psicodramma, viene messo in atto un processo rieducativo, che ha
lo scopo di ridare un senso al sistema di vita del soggetto.
L’UTILIZZO DELLA TECNICA DELLO PSICODRAMMA PER LA CURA DEL DISAGIO PSICHICO E DELLE
PSICOPATOLOGIE
SESSIONE 3 - APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DI PSICODRAMMA ADLERIANO
Afferma Pier Luigi Pagani : “Alfred Adler, come avvenne in altri campi, ebbe un ruolo di precursore nelle
dinamiche di gruppo".
All’inizio, egli affrontò il settore, prendendo lo spunto dal campo pedagogico, con l’organizzare gruppi di
insegnanti e di genitori nel periodo del suo impegno sociale a Vienna .
Anche la sua impostazione didattica fu largamente articolata sulla discussione ampia e informale dei
contenuti della sua dottrina, che stava via via prendendo corpo.
Lo psicodramma consiste sostanzialmente in un'improvvisazione scenica su di un tema, scelto da un
soggetto, in base ai suoi cattivi funzionamenti, alle sue distorte finalità, alle sue esigenze motivazionali, o
alle sue fantasie. Il soggetto, in veste di attore,il terapeuta,in qualità di conduttore, l’eventuale co-
conduttore, e gli altri protagonisti della recita,detti “io ausiliari”, sono i membri dell'equipe terapeutica.
Alla rappresentazione possono assistere degli spettatori (nelle forme di psicodramma che lo consentano
o che richiedano la loro presenza), i quali dispongono della facoltà di intervenire con partecipazioni libere
di vario tipo, identificandosi a vari livelli con il ruolo svolto dall'attore principale, se da loro ritenuto
conveniente. Tale procedimento mira a ottenere l'attualizzazione dei conflitti inconsci attraverso la
“catarsi”. Il conduttore e il co-conduttore, oltre alla loro funzione primaria di raccogliere e di esaminare i
dati che emergono dalla rappresentazione scenica, hanno il dovere di badare che lo svolgimento
complessivo sia contenuto nei giusti limiti (Pier Luigi Pagani,1985).
L'efficacia terapeutica dell’espressività di elementi conflittuali nel senso di “catarsi di condotta” era già
conosciuta molto tempo prima dell’ideazione dello psicodramma, in quanto essa corrisponde a un
bisogno dell’uomo di assumere un ruolo di condotta che gli permetta di scaricare, abreagendo, una
tensione emotiva ancorata nel profondo del suo essere (si pensi, per esempio, alla condotta infantile nel
gioco, al carnevale, alla commedia dell'arte, ecc.).
La catarsi deve essere distinta dall’insight, ossia da quella percezione netta e immediata di fatti esterni o
interni, dalla semplice individuazione di conflitti o dal riconoscimento delle motivazioni d'ansia, avendo
questi ultimi un significato terapeutico molto più limitato dal punto di vista emotivo.
Il processo di scarico dell'emozione, bloccata da una difesa, a volte, avviene in forma di reviviscenza, con
sfogo di grida, di collera e di pianti, che conduce, alla fine, a un rilassamento.
In Psicoanalisi, s’intende per “abreazione” la scarica emozionale attraverso la quale un soggetto si
svincola da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali (Pier Luigi Pagani,1985).
L’UTILIZZO DELLA TECNICA DELLO PSICODRAMMA PER LA CURA DEL DISAGIO PSICHICO E DELLE
PSICOPATOLOGIE
SESSIONE 4 - LO STATO EMOTIVO DI SCORAGGIAMENTO DEL PARTECIPANTE ALLO PSICODRAMMA
Come afferma Pier Luigi Pagani : “Chi non si considera all’altezza ,assume d’abitudine un atteggiamento
sfiduciato e rinunciatario non appena gli si prospetta un impegno che ritiene troppo difficile o troppo
gravoso; ma se, invece, gli si crea un’atmosfera stimolante , improntata al rispetto reciproco e alla fiducia
, si solleciterà in lui la capacità di pensare in modo creativo…Se appare il disagio, lo Stile di Vita rimane
alterato: il livello di autostima si abbassa a tal punto da annullarsi, si divene timidi, paurosi, vulnerabili.
E’ indispensabile individuare lo scoraggiamento al suo primo manifestarsi e promuovere tecniche, da
parte dello psicologo, adatte a reinfondere - nel soggetto portatore del disagio- il coraggio per affrontare
la vita.
IL REATTIVO DI RORSCHACH NELL'ETÀ EVOLUTIVA E NELL'ADULTO SECONDO IL METODO FRANCESCO
PARENTI, PIER LUIGI PAGANI – parte 1 - Sessione 1 – IL MATERIALE
Descrizione delle tavole
Il reattivo del Rorschach è costituito da dieci tavole di cartone, ciascuna delle quali offre la riproduzione
di una macchia d'inchiostro. Le tavole sono numerate da uno a dieci con numeri romani.
Caratteristica comune delle macchie è la simmetria speculare delle due metà laterali rispetto all'asse
centrale. Tale simmetria non è osservata in alcuni dettagli. In ciò il test rivela la sua discendenza dalle
prove estemporanee da cui è derivato. Nei primi esperimenti, come nei giochi dei bambini, si facevano
cadere gocce d'inchiostro su un foglio, piegandolo poi nel mezzo e ottenendo così una diffusione fortuita
del colore.
Cinque macchie (la I, la IV, la V, la VI e la VII) sono in grigio e nero. Due (la II e la III) sono in grigio e rosso.
Tre (la VIII, la IX e la X) sono policrome. Lo sfondo,sempre bianco, risulta, oltre che dallo spazio di
contorno, da alcuni « buchi» che affiorano in diverse posizioni.
La strutturazione delle forme è assai varia, pur restando sempre alquanto ambigua.
Si osservano intenzionali alternanze fra strutture abbastanza ben delineate ed altre più evanescenti.
Prima di presentare l'iconografia di ciascuna delle dieci tavole, cercheremo di descriverle, prestando
particolare attenzione ai dettagli.
Tavola l. Presenta una macchia unica di grandi dimensioni e di colore nero-grigio.
All'esterno dei contorni medio-inferiori sono sistemate alcune macchioline sparse.
Nel corpo della macchia principale appaiono quattro grandi «buchi», da cui affiora lo sfondo bianco. Vi è
inoltre un «buco» centrale più piccolo, di colore grigio pallido,quasi bianco. La grande macchia può
essere grossolanamente suddivisa in un corpo centrale e due ali laterali.
Tavola II. Qui la macchia è costituita da un grande corpo grigio-nero, con infiltrazioni rosate, interrotto al
centro da un grande «buco» bianco. Sopra questo corpo stanno due macchie rosse più piccole,
apparentemente staccate, in realtà collegate al nucleo maggiore da una sottile velatura rosata. Un'altra
macchia rossa,che termina con appendici appuntite, continua centralmente e mediamente il corpo,
cui si sovrappone in parte. L'elemento più caratterizzante di questa tavola è la prima comparsa del rosso.
Tavola III. Reca due macchie maggiori grigio-nere, molto ben strutturate antropomorficamente e
collegate fra loro in basso da un dettaglio medio sempre grigio. Due altri medi particolari grigio-neri,
appena staccati, fanno da gambe alle figure antropomorfe. Al centro, ben separata, sta una macchia
rossa a tipo di farfalla. Altre due macchie rosse ben strutturate e separate sono poste lateralmente
in alto.
Tavola IV. Presenta una sola macchia di un grigio-nero particolarmente cupo, con variazioni di superficie
un poco più chiare. Strutturalmente offre un supporto centrale di aspetto quasi fallico e due
prolungamenti laterali inferiori a guisa di piedi.
L'impressione generale di questa macchia è alquanto opprimente e minacciosa.
Tavola V. Offre una macchia grigio-nero scura, delineata con precisione decisamente figurativa.. Vi si
avvertono molto chiaramente un corpo centrale e due ali, che formano complessivamente un animale
alato, simile a un pipistrello.
Tavola VI. Anche in questa sede appare un'unica grande macchia di colore grigio un poco più chiaro. Il
chiaroscuro di superficie è qui particolarmente rilevato.
Figurativamente vi si nota un corpo maggiore con grosse frastagliature ai lati e una propaggine allungata
superiore, con sbavature laterali, a guisa di piume o baffi. Il dettaglio ricorda un totem.
Tavola VII. Porta una macchia grigia, dal chiaroscuro assai lieve. La forma è articolata in un supporto
inferiore a guisa di farfalla, con un piccolo corpo centrale più scuro. Dal grosso particolare inferiore si
levano lateralmente e simmetricamente due dettagli abbastanza grandi, ben strutturati, che contornano
un vasto spazio bianco centrale, aperto in alto.
Tavola VIII. Presenta la prima delle tre macchie a più colori, con variazioni di rosso, arancio, verde-
azzurro e grigio. L'impressione generale cromatica è gradevole. Dal punto di vista figurativo è strutturata
in cinque macchie ben distinte,ma sempre collegate reciprocamente da qualche dettaglio. Ai lati stanno
le due figure simmetriche più caratterizzate, che disegnano con sufficiente precisione due animali. Il
grosso particolare inferiore è a guisa di farfalla, con splendide variazioni cromatiche. Al centro e in alto,
due altre figurazioni senza precisi richiami al concreto. Il tutto termina superiormente con una piccola
punta fissurata. Significativi e abbastanza vasti gli spazi bianchi inclusi, in parte comunicanti.
Tavola IX. Reca una grande macchia a più colori, in parte sfumati. La struttura generale è assai poco
figurativa, evanescente, tanto da renderne piuttosto difficile l'interpretazione e tale da provocare
frequenti rifiuti. Alla base una formazione rosa orizzontale, un po' arrotondata ai lati. Al centro due
grandi figurazioni alate, di colore verde. Sopra queste, con osmosi cromatiche di confine, due macchie
che vanno dal rosso deciso all'arancio e terminano con due punte supero-laterali e due propaggini ad
arco, che quasi convergono al centro. Attorno alla parte superiore dell'asse centrale, grigiastro e sfumato,
due «buchi» ovali e in continuazione un grosso dettaglio bianco, che configura approssimativamente uno
strumento ad arco.
Degni di nota altri quattro «buchi» bianchi simmetrici.
Tavola X. Presenta molte macchie ricche di colori e con dimensioni piccole o medie.
Pare quasi una tavolozza e favorisce numerose interpretazioni di dettaglio. Si presta al riconoscimento di
svariate figurazioni, in prevalenza animali. Il tono generale è gradevole, distensivo od euforizzante.
IL REATTIVO DI RORSCHACH NELL'ETÀ EVOLUTIVA E NELL'ADULTO SECONDO IL METODO FRANCESCO
PARENTI, PIER LUIGI PAGANI – parte 1 - Sessione 2 – TECNICA GENERALE DI APPLICAZIONE DEL REATTIVO
– parte a
Ambientazione del soggetto e dell'esaminatore.
La situazione dell' esaminato deve essere impostata tenendo conto di esigenze sensoriali e psicologiche,
in parte generali e in parte contingenti. La luce naturale diurna è certo la più indicata per favorire la
spontaneità delle percezioni, ma non rappresenta un requisito rigido e indispensabile, anche perché
talora ostacolato da fattori obiettivi. In tali casi l'illuminazione dovrà essere ben dosata, in rapporto
anche al gradimento del soggetto.
È largamente preferibile che nel locale dove si svolge la prova siano presenti solo l'operatore e il
paziente. In particolare, per i soggetti in età evolutiva, è da evitarsi la presenza di familiari, che quasi
sempre modifica il loro comportamento e riduce la loro attenzione con interferenze di vario genere.
Questa regola di fondo non può essere osservata in casi speciali, ad esempio per alcuni bambini in cui
l'assenza dei genitori provoca reazioni emozionali negative, impostate di solito sul timore. Sarà
comunque utile un tentativo di sblocco affettivo e gratificante, che rientra nell'esperienza abituale di ogni
esperto psicologo dell'età evolutiva. In subordine si dovrà situare l'accompagnatore (è preferibile infatti
che si tratti di una sola persona)un poco in disparte, così da non poter osservare le tavole. In ogni caso
egli dovrà essere avvertito di non interferire in alcun modo. L'eventuale presenza di più
esaminatori costituisce invece una remora assai meno grave. Essa è d'altra parte imposta talora da
esigenze obiettive, ad esempio di ordine didattico.
Uno solo degli psicologi deve però stabilire il rapporto attivo con l'esaminato, in modo da creare un certo
legame transferale positivo.
La maggior parte dei testi presenta regole ben precise circa la posizione dell'esaminatore e del paziente.
Si prescrive di solito che l'uno e l'altro siedano allo stesso tavolo, situati reciprocamente ad angolo retto,
con la luce che provenga dalla sinistra dell' operatore. Se pure tali condizioni si prospettino come ideali,
riteniamo che, specie per quanto riguarda soggetti in età infantile, sia indispensabile
subordinarle alla necessità di stabilire un'atmosfera non rigida, assai lontana tanto
da quella di una scuola, quanto da quella di una clinica. Molti bambini, così, preferiscono già
spontaneamente sedersi di fianco all'esaminatore, con cui desiderano strutturare un rapporto affettivo-
protettivo. Altre volte è proprio lo psicologo a dover scegliere tale posizione per disinibire il soggetto. È
nostro parere che si debba mantenere per quanto possibile la disposizione scelta naturalmente
dall'esaminato,purché questa non ostacoli realmente la prova. Eventuali modifiche non andranno
presentate come «dovere», ma illustrate discorsivamente nei loro vantaggi di comodità o percezioni.
Una necessità obiettiva è, per contro, che il soggetto non sia in grado di osservare o di afferrare anzi
tempo le tavole, cosa che, ad esempio, i bambini instabili tentano di fare con grande frequenza. Ciò è
facilmente evitabile con banali artifici: tenere il reattivo in un cassetto semiaperto, coprirlo con fogli o
quaderni e così via.
Anche la posizione dell' esaminatore dipende da esigenze sotto molti aspetti analoghe a quelle del
soggetto. Egli deve essere in grado di osservare con naturalezza il comportamento del paziente e le
tavole in tutti i dettagli, restando seduto in posizione non rigida, così da togliere ogni eccesso di
formalismo alla situazione. Nei casi già esposti in cui l'operatore deve situarsi di fianco al soggetto,
sarà bene che egli assuma una sistemazione un poco arretrata.
Presentazione e somministrazione del test.
A nostro parere, è consigliabile far precedere l'inizio della prova da un breve colloquio disinibito e non
propriamente diagnostico, i cui temi saranno scelti estemporaneamente, secondo l'età, la cultura, le
caratteristiche e l'atteggiamento del soggetto. Ci si dovrà inoltre accertare se egli, in passato, sia già stato
sottoposto al reattivo.
Non condividiamo l'indirizzo di una presentazione diretta e drasticamente non esplicativa delle tavole. Ci
sembra più realistico procedere duttilmente caso per caso.
Con i bambini più piccoli è quasi sempre necessario illustrare la situazione come un gioco. Negli
adolescenti più maturi, già consapevoli di affrontare una prova psicologica, ogni finzione risulta invece
dannosa. Dissentiamo anche dall'orientamento che impone di lasciare l'esaminato nella convinzione
errata di dover cercare la risposta giusta. Ciò provoca infatti una situazione un po' artificiosa sul tipo
di un esame scolastico e censura la libera espressione di molte risposte, bloccandole sul nascere con il
timore di sbagliare. Quando il paziente è in grado di comprendere,ogni avvertimento di mistificazione lo
metterebbe sulla difensiva.
In sintesi, i concetti da illustrare al soggetto sono i seguenti:
- che gli si presenteranno delle macchie astratte, prive cioè di un reale significato;
- che egli dovrà osservarle e dire che cosa potrebbero rappresentare o che cosa gli richiamano alla mente;
- che in nessun caso le sue risposte comporteranno degli errori.
La struttura del discorso introduttivo dovrà essere articolata, ripetiamo, con estrema elasticità,
adattandosi all'età e alla cultura dell'esaminato.
Le tavole devono essere presentate nel loro orientamento naturale, senza alcuna premessa circa la
libertà di girarle, poiché ciò avrebbe già il valore di uno stimolo condizionante in questo senso. Se però il
paziente, di sua iniziativa, domanda se può girarle, gli si risponderà che è consentito. Ad ogni altra
richiesta sulle modalità dell'interpretazione (« Posso prendere in considerazione anche i particolari?»,
ecc.)si replicherà che in questa prova, o gioco, o esame, si può agire come meglio si crede.
Ci sembra molto importante, specie nei bambini, neutralizzare sin dall'inizio ogni manifestazione di
timore, diffidenza o insicurezza, mediante frasi incoraggianti,scelte intuitivamente e comunque non
troppo esplicative, ma soprattutto non condizionanti verso una determinata condotta.
I soggetti instabili sono spesso portati a trascurare le tavole, spostando la loro attenzione su altri oggetti.
In tale caso si dovrà richiamarli al compito proposto,evitando però con cura ogni modalità troppo severa
o traumatizzante e proponendo la figura dell'esaminatore con implicazioni di solidarietà amichevole, se
pure non scevra del minimo di direttività necessaria.
Le tavole devono essere successivamente consegnate nelle mani del soggetto e non appoggiate davanti a
lui sul piano del tavolo. Il motivo di tale prescrizione è ovvio:concedere il massimo di libertà e
spontaneità, lasciando all'esaminato scelte autonome di comportamento. Tale indirizzo ci fa dissentire
circa la proibizione, da molti sostenuta, di appoggiare in seguito il materiale. Si tratterebbe infatti di una
pseudofluidità imposta e quindi in contraddizione con se stessa.
D + Dd = 60-80%
Hd - Dettaglio umano. Ogni parte visibile ed esterna del corpo umano, senza
implicazioni scientifico-anatomiche.
Aggr Aggressiva. Esprime in forma diretta o palesemente simbolica l'aggressività, la violenza, gli
strumenti per realizzarle o le forze traumatizzanti della natura. Le risposte sangue, fuoco, esplosione, pur
conteggiandosi fra le aggressive,meritano, per alcune loro implicazioni, una siglatura propria. Così pure le
risposte orrore e sadiche.
- Espl Esplosione. Tutte le risposte con contenuto di "scoppio": bombe che esplodono, vulcani che
eruttano, fuochi d'artificio, ecc.
- Fuoco Fuoco. Le risposte il cui contenuto riguarda le fiamme, il fuoco e gli incendi.
- Orr Orrore. Ogni immagine capace di indurre terrore, sia nell'ambito del concreto che del surreale.
- Sad Sadiche. Significa, con raccapriccio, disgusto o addirittura compiacimento,figurazioni sgradevoli di
violenza esplicata: ad esempio immagini di animali schiacciati o tormentati.
- Sangue Sangue. Ogni risposta che riguardi il sangue.
Cart. An. Cartoni animati. I personaggi del cinema d'animazione o dei fumetti. Si tratta di un'aggiunta
legittimata dal costume e, come vedremo, dall'importanza psicodiagnostica.
Conf Confabulata. Contiene elaborazioni narrative di azioni o auto riferimenti che vanno oltre il
chiarimento della percezione. Non deve essere confusa con le globali confabulatorie (DG), per la cui
denominazione, pur accolta, abbiamo già espresso la nostra perplessità. Qui infatti siamo di fronte a una
vera confabulazione espressa nel contenuto e non a una speciale modalità dell'associazione.
Ogg.
Oggetto. Ogni interpretazione di oggetti non inseribili nelle
categorie già elencate.
Scient Scientifica. Comprende ogni immagine riferibile alle scienze, con esclusione dell'anatomia e della
tecnologia, per cui esistono apposite sigle (Ten e Anat).
Sex Sessuale. Includiamo nella categoria sia, ovviamente, gli organi genitali,sia le parti del corpo
palesemente erogene (ad esempio il seno femminile o la regione anale), sia le scene od azioni con
riferimenti erotici od amorosi. Se queste ultime contengono figure umane intere, associamo H e Sex.
Siamo invece estremamente prudenti nell' ammettere i simbolismi sessuali psicoanalitici, che, a
nostro parere, devono trovare conferma nell' esposizione o in qualche aspetto dinamico
comportamentale del soggetto (imbarazzo, allusività, ecc.). Vale per noi anche qui il criterio cautelativo
contro le interpretazioni arbitrarie, senz'altro più nocive all'obiettività della psicodiagnosi di
un'omissione.
Simb Simbolica. Si applica quando nella risposta si attribuisce all'immagine un ruolo simbolico oppure la
significazione di qualità affettivo-emotive o spirituali. Fanno parte del gruppo delle astratte (Astr).
Stereot Stereotipia. Ripete contenuti già comparsi in una precedente interpretazione. Precisiamo che si
deve trattare di una ripetizione della medesima immagine e non di un' analogia di gruppo nel contenuto,
che può configurare al massimo il così detto « amore per un tema )}, da aggiungersi come notazione al
termine del protocollo. Così ad esempio, in campo anatomico, le risposte esofago e stomaco non sono da
considerarsi stereotipe. La macchia in cui si presenta la ripetizione, inoltre, non deve suscitare la risposta
in esame come scontata banalità,perché si possa correttamente siglare una stereotipia. Così la risposta
«pipistrello» alla Tav. V, che si presenta con grande frequenza, non può essere considerata
stereotipa anche se già apparsa in una precedente interpretazione. È quindi importante ricordare che,
per essere siglato come stereotipia, il contenuto reiterato non deve appartenere all'elenco delle banali
(Ban, vedasi più avanti il paragrafo relativo).
Tecn Tecnologica. Vi si inquadrano tutte le risposte su temi ispirati alla tecnologia, alla meccanica, ecc.
Vestito Rientrano in questa categoria tutti i tipi di indumenti compresi i copricapo e i cappelli, una volta
esclusi. Si siglano Vestito anche i contenuti baffi, barba e acconciature.
Siglature plurime di contenuto.
In linea di principio è ammissibile, senza limitazioni, l'associazione di tutti i contenuti presenti in una
risposta. Come pratica corrente, ci sembra però più agile omettere la siglatura dei contenuti di scarso
rilievo nell'economia di un'interpretazione. Così, alla Tav. IlI, per la risposta «due uomini che reggono
qualcosa», ci pare sufficiente la registrazione del contenuto umano.
Frequenza.
L'eventuale rilievo della frequenza conclude le siglature da registrarsi per ogni risposta. Come abbiamo
detto, si siglano solo le frequenze massime e minime,omettendo la notazione delle medie, con i seguenti
simboli :Ban Banale. Risposta data, per la macchia o parte di macchia cui si riferisce,da almeno un
soggetto normale su sei.
Elenco delle banali in base alla nostra statistica:
Tav. I. Tutte le interpretazioni globali di pipistrelli, farfalle, insetti od uccelli.
Tav. II. Cani, orsi, elefanti o comunque grossi animali, visti nel corpo maggiore scuro della macchia. La
classica risposta « pagliacci» (globale) non ha raggiunto per noi frequenze sufficienti per includerla fra le
banali.
Tav. IlI. Figure umane di vario tipo (globale incompleta per tutto il grigio). Farfalla (rosso centrale).
Cravattina o fiocco (rosso centrale).
Tav. IV. Pelle o pelliccia o grosso animale peloso (globale, eventualmente incompleta). Essere gigantesco
o mostruoso, umano, animale o antropomorfo (globale, eventualmente incompleta).
Tav. V. Pipistrello o farfalla o grande uccello (globale).
Tav. VI. Pelle o pelliccia o tappeto (globale, eventualmente incompleta). Muso di
gatto (dettaglio superiore, su cui talora è costruita una globale).
Tav. VII. Teste di donne o di indiani (dettagli superiori). Coniglietti o cagnolini (dettagli superiori).
Tav. VIII. Figure di animali quadrupedi (grandi dettagli rosa laterali. Sono abbastanza frequenti
interpretazioni più estese, sino alle globali, in cui gli animali sono visti salire rocce o piante. Anche qui è
legittima la siglatura Ban).
Tav. IX. Per questa tavola non abbiamo acquisito banali.
Tav. X. Ragni o granchi (azzurri laterali superiori). Bruchi, vermi, cavallucci marini (verdi inferiori centrali).
Varie figure di animali comuni (soprattutto insetti, leoni, camosci, cavalli, ecc.) per le piccole macchie
gialle, verdi, marroni e le grigie superiori.
Testa di coniglio (dettaglio con due prolungamenti allungati fra i due verdi inferiori).
O+ - Originale positiva. Si siglano così le risposte particolarmente rare, la cui valutazione presenta
difficoltà e problemi, che ora cercheremo di chiarire. La positività implica ovviamente una percezione
sufficientemente obiettiva. Il Rorschach considerava originale ogni risposta data da non più di un
soggetto su cento per la macchia in esame e la maggior parte degli autori si attiene a questo criterio. Noi
sigliamo le originali con più larghezza, poiché riteniamo già notevolmente indicative,per la creatività,
l'immaginazione e l'anticonformismo, soprattutto nell'età evolutiva,le risposte offerte da un soggetto su
cinquanta. Consideriamo inoltre un indispensabile elemento di valutazione anche il livello socio-culturale
e scolastico di chi si esamina. Deve infatti ritenersi originale una risposta che si differenzi per
contenuto dalle interpretazioni offerte in media da altri individui assimila bili al soggetto per ambiente e
cultura.
Non è naturalmente possibile redigere elenchi di originali, poiché se ne acquisiscono continuamente di
nuove. Il giudizio è quindi affidato a una certa soggettività dell'esaminatore. La duttilità è d'altra parte
una dote richiesta ad ogni psicologo, le cui diagnosi devono a volte prescindere da metodologie
rigidamente codificate.
1 - Le due figurazioni rosso arancio poste in alto, anche se limitate alla loro metà superiore e interpretate
singolarmente.
2 - La grande macchia verde centrale, anche se interpretata solo in una delle due metà laterali.
3 - La striscia allungata mediana, purché interpretata con un'estensione di almeno 2/3.
4 - Il rosa inferiore intero.
5 - Le due "teste" laterali del rosa inferiore, anche se interpretate singolarmente.
1 - Ognuna delle macchie piccole e grandi raffigurate in questa tavola, se interpretata per intero, deve
essere siglata come D.
2 - Le seguenti parti di macchie sono anch'esse da siglarsi come D:
a - la parte allungata a guisa di bastone del grigio mediano superiore:
b - i due "animali" che sembrano sorreggere il precedente dettaglio:
c - le due macchie verdi vermiformi centrali inferiori;
d - il particolare più chiaro a forma di "testa di coniglio", posto fra le due macchie precedenti.
LOCALIZZAZIONE
Risposte globali. Sul piano percettivo e intellettuale, le G esprimono tendenza o capacità o bisogno
indirizzati verso l'associazione e la sintesi. Tutto ciò assume ovviamente un valore assai diverso secondo
la qualità della percezione. Se le risposte sono obiettive e in larga misura dotate di originalità, ne emerge
la significazione di un'intelligenza di tipo intuitivo-sintetico e nel contempo ricca d'immaginazione, di
creatività, di spirito artistico. Se le percezioni sono sempre rigorose ma piuttosto banali e povere di
originalità, ne risultano potenzialità intellettuali ancora efficienti, ma caratterizzate in vario grado da un
semplicismo sintetico. Se infine le risposte sono spesso poco obiettive, ne affiora di nuovo un
semplicismo intellettuale, privo però di reale efficienza e quindi in diversa misura, secondo gli altri segni,
rivelatore di un deficit. Sul piano affettivo-emotivo, le globali si propongono come indice di tendenza all'
entusiasmo, all'euforia ed anche di ambizione e di capacità di affrontare globalmente le situazioni. Il
valore reale di questi dati deriva pure dalla qualità delle risposte e si attenua quanto più queste sono
percettivamente e creativamente negative, sino ad annullarsi nelle vere carenze.
I significati che abbiamo illustrato corrispondono a doti e condizioni esistenti in una certa misura si può
dire in ogni individuo. Il valore della psicodiagnosi è quindi legato alla percentuale in cui si presentano le
globali. Per quanto riguarda la diagnosi dell'intelligenza, aggiungiamo che, come diremo meglio parlando
del modo di comprensione, particolari condizioni emotive, ad esempio la depressione o l'ansia, possono
incidere negativamente sulla capacità contingente di produrre G. In tali casi non si potrà perciò assegnare
un'indicazione intellettuale necessariamente negativa alla carenza di globali.
Modo di comprensione.
Da quanto abbiamo esposto sul valore diagnostico delle varie localizzazioni è già possibile dedurre il
significato dinamico dei loro rapporti quantitativi. Presentiamo comunque un prospetto sintetico
interpretativo sui diversi modi di comprensione: a) Equilibrato (vedasi la tabella dei valori medi nel
capitolo sulla siglatura). Caratterizza soggetti d'intelligenza efficiente, aderenti al concreto, nel contempo
capaci di sintesi e di analisi, purché la buona percezione della forma e gli altri dati confermino questa
valutazione. b) Deviato verso un dominio delle globali. È frequente, senza particolari motivazioni, nel
bambino più piccolo. Distingue spesso gli individui dotati di un'intelligenza ricca, creativa e talora teorica,
più disposti alla sintesi e all'intuizione che all'analisi, purché la percezione della forma sia obiettiva e si
acquisiscano risposte originali positive con incidenza notevole. Se la percezione è valida ma prevale la
banalità, caratterizza persone tendenti al semplicismo sintetico. Se infine si associa a cattiva percezione,
si osserva in soggetti intellettualmente poveri o addirittura in insufficienti mentali. Sul piano affettivo-
emotivo può segnalare propensione all' euforia, all'entusiasmo, alla suggestionabilità.
c) Deviato verso un dominio del dettaglio grande. Può indicare, se la percezione è obiettiva, intelligenze
di tipo analitico-deduttivo e nel contempo concretamente impostate. Abbinato a segni intellettualmente
negativi, sottolinea la carenza di associazione e di sintesi. Sul piano emotivo delinea, con una certa
moderazione, tendenze depressive o ansiose. d) Drasticamente deviato verso l'iperdettaglio, con
un'incidenza notevole di Dd. Sul piano intellettuale, secondo la percezione della forma e l'originalità,
appare in soggetti meticolosi e perfezionisti, incapaci di sintesi, di mentalità ristretta o addirittura
insufficienti mentali. Sul piano emotivo può segnalare stati depressivi, nevrosi ansiose o fobico-ossessive.
In campo decisamente psicopatologico si acquisisce in alcune psicosi, nei disturbi di personalità e in varie
forme di organicità cerebrale. Le Dbl e le Do aggiungono, ai quadri sopra illustrati, le loro speciali
significazioni.
Successione.
Rinviamo al capitolo sulla siglatura la descrizione delle varie forme di successione e presentiamo qui una
tabella riassuntiva sui loro significati: a) Ordinata. Caratterizza, se in armonia con gli altri segni, i soggetti
di normale ed equilibrata intelligenza, capaci di rigore e nel contempo di una sufficiente elasticità
mentale. b) Rigida. Denota un rigore logico eccessivo e una mancanza di elasticità che non consente un
duttile adattamento alle situazioni. Può caratterizzare soggetti inflessibili e talora ossessivi o addirittura
paranoidi. c) Disordinata. Offre varie e contrastanti significazioni, da selezionarsi in modo centrato
secondo gli altri dati. Può così denotare creatività libera dagli schemi e non rigorosa, estrosità
anticonformista, carenza di rigore analitico o persino tendenza alla dissociazione intrapsichica e quindi
disturbi di personalità e psicosi. d) Rovesciata. Anche qui le indicazioni diagnostiche sono contrastanti. La
scelta dovrà pertanto emergere come risultante di svariati elementi. La tendenza a rovesciare la
successione distingue talvolta il timido, l'ansioso o l'insicuro intellettuale o invece l'individuo dotato di
grande immaginazione polemicamente impostata.
Risposte colore-forma.
Sono sollecitate da un colore più ricco ed emotivo e non attenuato da una forma particolarmente ben
strutturata. Un parziale ossequio alla forma esiste comunque anche qui, se pure dominato dall'influenza
cromatica. Ne deriva la segnalazione di un'emotività più libera dall'autocontrollo, ma non ancora del
tutto acritica. La presenza di alcune CF in un protocollo in cui prevalgono nettamente le FC aggiunge di
solito una componente affettiva valida e spontanea, positivamente sganciata dall'inibizione. Un'incidenza
maggiore o addirittura un dominio assoluto delle risposte colore-forma denunciano invece un grado
variabile di labilità emotiva, che prende corpo d'abitudine nell'impulsività, nella suggestionabilità o in
entrambe. Nei soggetti così caratterizzati si configura una forma di pseudo-estroversione in realtà poco
adattabile, in quanto soggettivamente impostata, tendente a trascurare le esigenze altrui e ad uscire di
misura nei rapporti interpersonali e affettivi, desiderati e nel contempo difficili. È questo l'apporto
qualitativo delle CF alla personalità, da inserirsi però, come sempre, nell'intero mosaico psicodiagnostico,
per cui sarà la confluenza con il livello e la qualità del Tipo della Risonanza Intima e con tutti gli altri segni
a dirci se tali tendenze caratterizzano incisivamente l'individuo o ne illuminano soltanto alcune
angolature.
Risposte chiaroscuro.
Percepiscono ed interpretano non il contorno chiaramente figurato delle macchie, ma le più sfumate
variazioni di grigio in superficie. Si riferiscono inoltre ad un colore, il grigio, che assume spesso toni cupi
od ambigui. Troviamo qui la giustificazione teorica del rilievo statistico, che assegna alle CHS il ruolo
generico di rivelatrici dell'ansia e dell'angoscia nelle loro più diverse manifestazioni, sintomi oggi
largamente presenti nelle nevrosi. Le ritroviamo sia nelle nevrosi francamente ansiose, anche con
somatizzazioni, sia nelle depressioni infiltrate d'ansia, sia nelle forme ossessive e fobiche, cui l'ansia fa
costantemente da elemento caratterizzante. Il valore diagnostico è naturalmente proporzionale
all'incidenza di queste risposte, comunque sempre indicative.
Risposte chiaroscuro-tatto.
La componente pseudotattile, in aggiunta alle caratteristiche generali del chiaroscuro, propone con
chiarezza proiettiva il loro significato profondo. I soggetti che presentano delle CHST mostrano il bisogno
simbolizzato di toccare o meglio di accarezzare la tavola, oltre che di percepirla visivamente. Essi rivelano
così la necessità inevasa e spesso frustrata di più intensi ed approfonditi contatti affettivi o sessuali o
sociali. Segnalano inoltre l'ansia di fondo, espressa dal chiaroscuro, indotta dalle loro intime richieste.
Risposte chiaroscuro-prospettiva.
La percezione e l'interpretazione si addentrano qui nella macchia, come se volessero penetrare sino in
fondo al grigio o al bianco contornato dal grigio. È un modo simbolico ma proiettivamente ineccepibile di
significare le difese nebbiose che proteggono un contenuto conflittuale o un bisogno affettivo frustrato,
assieme al desiderio non consapevolmente chiarito di superare tali difese. Le CHSP segnalano pertanto
inibizioni o barriere specifiche erette verso determinati problemi e sempre inquadrabili nell'ansia
espressa anche in questa sede dal chiaroscuro.
Umane.
Sono un segno d'interesse per l'uomo e per i rapporti sociali, rappresentando un fattore essenziale
dell'intelligenza. Hanno un'incidenza media, nel normale ben evoluto ed integrato, pari al 10-30% delle
risposte. Una percentuale apprezzabile od elevata di umane è abitualmente segno di buona intelligenza e
disponibilità verso i rapporti interpersonali. Le umane fantastiche (che sigliamo sempre H con l'aggiunta
di Fant) possono denunciare talora evasione compensatoria dalla realtà o insufficiente maturità emotiva.
Una carenza di umane si riscontra nei difetti d'intelligenza, che devono però essere provati dalla
confluenza di altri segni. Le umane diminuiscono infatti anche in soggetti intelligenti ma bloccati nei
rapporti interpersonali, insicuri, timidi o scontrosi. Le figure umane acefale segnalano di caso in caso, e
secondo gli altri segni, ansia, inibizione, aggressività in genere repressa. Nel capitolo sulla siglatura ci
siamo dichiarati favorevoli alla registrazione fra le H delle risposte artistiche od orrorifiche a contenuto
umano, cui l'aggiunta del secondo contenuto fa da intuibile complemento per l'interpretazione.
Anche qui la prevalenza delle H sulle Hd vale di solito come conferma di una buona intelligenza, con
l'abituale eccezione degli stati di ansia o depressione che favoriscono l'iperdettaglio. Abbiamo per la
verità riscontrato un numero elevato di Hd pure in alcuni soggetti intelligenti, ma perfezionisti o
esibizionisti. In sintesi: le risposte umane hanno un’incidenza media che interessa il 10 - 30% delle
risposte e rappresentano un fattore essenziale dell’intelligenza. Genericamente le risposte H indicano un
interesse per l’uomo e per il sociale. Un’incidenza apprezzabile delle H,e ancor più il loro aumento, sono
segni di buona intelligenza e disponibilità verso i rapporti interpersonali. Una loro carenza può significare
un deficit intellettuale, mentre, sul piano affettivo-emotivo, può rappresentare un blocco nei rapporti
interpersonali, proprio dei timidi e degli insicuri. Una percentuale elevata di Hd segnala l’incapacità di
prendere un rapporto “completo” con l’uomo e con il sociale. Talora, può anche significare perfezionismo
ed esibizionismo. H Fant - Le risposte H Fant hanno il significato di evasione compensatoria dalla realtà e
scarsa maturità emotiva. H Acefala - Le risposte H Acefala segnalano ansia, inibizione, ma anche
aggressività repressa. Gli altri contenuti sono presentati in ordine alfabetico per una più rapida
consultazione.
Aggressive.
Denotano nel loro assieme, comprensivo delle sottocategorie più avanti indicate, aggressività
direttamente espressa o invece repressa, secondo le indicazioni degli altri segni. Così un Tipo di
Risonanza Intima extratensivo e dilatato depone per la manifestazione palese di queste esigenze, mentre
l'intratensione e soprattutto la coartazione evidenziano più frequentemente la tendenza a reprimerle o a
inibirle o ancora a esplicarle sporadicamente e con possibili frustrazioni secondarie o timori. Come si era
anticipato nel capitolo relativo alla siglatura, del gruppo delle risposte aggressive fanno parte anche le
risposte fuoco, esplosione, sangue, orrore e sadiche che, per le loro particolari implicazioni, necessitano
di una siglatura a parte (vedasi oltre in questo stesso paragrafo).
Anatomiche.
Assumono un valore proiettivo attendibile solo quando si possano escludere condizionamenti
professionali o culturali in medici, studenti di medicina, infermieri, ecc. Con solo queste esclusioni, le
anatomiche rivelano in prevalenza due specifiche situazioni psicologiche. Si acquisiscono con frequenza
in soggetti scolasticamente esibizionisti, che tendono a presentare per valorizzarsi uno sfoggio culturale
medico-scientifico. Compaiono pure con notevole incidenza negli individui patofobi e talora ossessivi, che
segnalano così, spesso in modo stereotipo, le loro preoccupazioni di fondo.
Araldiche.
Le immagini di stemmi e blasoni, in rapporto alla loro percentuale, al contenuto e alle modalità di
presentazione, possono evidenziare semplici influenze culturali o un bisogno di autovalorizzazione
esibizionistica o un'affermazione simbolica di virilità.
Architettoniche.
Non hanno significato proiettivo quando sono condizionate da influenze professionali o di studio. A volte
esprimono una particolare sensibilità estetica. Se presentano figurazioni proiettate verso l'alto possono
segnalare desiderio eventualmente inevaso di affermazione. In altri casi, specie se interpretate in
estensione, valgono come segno d'insicurezza.
Artistiche.
Sono d'aiuto allo psicologo per l'acquisizione degli interessi e della sensibilità estetica del soggetto, in
rapporto naturalmente al loro contenuto, all'obiettività della percezione e al livello culturale
dell'individuo in esame.
Astratte.
La loro interpretazione è molto impegnativa e richiede un'attenta valutazione di tutto il protocollo. In
parecchi casi segnalano, per il loro contenuto e per la confluenza di altri segni, l'esistenza di attitudini
intellettuali teoriche, di tipo filosofico o matematico, con eventuali carenze nell'ossequio al concreto. In
altri casi propongono tendenze di tipo mistico o lasciano affiorare autoriferimenti fobici esposti in modo
simbolico (vedasi più aventi il contenuto Simb). Quando sono gravemente infiltrate dall'assurdo e
dall'irrazionale, possono essere infine rivelatrici di disturbi della personalità o di psicosi.
Botaniche.
Numerose nei bambini, non sono molto proiettive. In soggetti di età maggiore possono, ma non
necessariamente, denunciare una regressione.
Cartoni animati.
Frequenti nel bambino per ovvie ragioni di ordine culturale, possono denunciare, nei soggetti più maturi,
regressione o solamente desiderio di serenità e di semplicità edonistica. Devono essere però valutate in
rapporto al contenuto. Esistono infatti immagini tratte dai cartoni animati con evidente significato
aggressivo.
Confabulate.
Possono comparire, senza necessarie implicazioni patologiche, nei bambini estroversi, legati al mondo
delle favole o desiderosi di raccontare eventi personali o esibizionisti. Già nell'adolescente, ma ancor più
nell'adulto, consentono però di avanzare sospetti di situazione abnorme. Possono evidenziare una
regressione nel mondo fantastico dell'infanzia o problemi conflittuali tanto prementi da dover essere
inseriti nelle risposte, anomalie della personalità e persino costruzioni deliranti.
Contaminata.
La sovrapposizione e il miscuglio illogico di immagini diverse, attivati da un'unica percezione,
suggeriscono la massima attenzione nell'indagine di personalità dei soggetti che presentano tale tipo di
risposta, in quanto potrebbe essere, se unito ad altri indizi, il segnale rivelatore di una dissociazione
intrapsichica.
Culturali.
Offrono spesso un quadro degli interessi intellettuali del soggetto, che devono essere a loro volta
rapportati all'ambiente di vita, per acquisirne eventuali significati psicologici d'integrazione o
differenziazione.
Depressiva.
Le risposte a sfondo malinconico, che caratterizzano tale siglatura, possono far avanzare il sospetto, in
base, naturalmente, al loro numero e agli altri segni presenti nel protocollo, di una tendenza del soggetto
a propensioni depressive.
Esplosione.
Segnalano aggressività ed impulsività, sia in modo palese che represso.
Euforica.
Le risposte con un sottofondo di entusiasmo, per lo più ingiustificato, fanno avanzare sommessamente il
dubbio che il soggetto tenda a un ottimismo eccessivo e immotivato, tipico dell'accelerazione dei processi
psichici. Ancora più attenzione va rivolta a tali riscontri se si accompagnano a risposte depressive.
Etnologiche.
Uniscono, alle indubbie implicazioni culturali, l'indicazione da parte del soggetto di un interesse per
l'uomo, rapportabile a quello segnalato dalle risposte H.
Fantastiche.
L'evasione della realtà è spesso sollecitata nel bambino da formule educative impostate sul mondo delle
favole, verso cui queste risposte possono evidenziare un'aderenza connaturale all'età o invece regressiva
e compensatrice di frustrazioni determinate dal reale. Alcuni contenuti fantastici particolarmente assurdi
e irrazionali propongono, specie nell'adulto, il sospetto o la prova di manifestazioni deliranti.
Fuoco.
Come le risposte esplosione, segnalano anch'esse aggressività ed impulsività.
Gastronomiche.
Secondo la classica interpretazione psicoanalitica, che però non condividiamo, sarebbero tipiche
dell'oralità. Per noi denunciano più semplicemente, in prevalenza, un edonismo elementare, nell'ambito
della normalità se poco numerose, nevroticamente compensatorio di altre esigenze se alte in
percentuale.
Geografiche.
Hanno, specie nell'età evolutiva, un ruolo proiettivo degno di nota solo se piuttosto numerose. Quando
sono percettivamente obiettive, precise e ben motivate nell'esposizione, segnalano spesso un
esibizionismo culturale intenzionalmente valorizzante di tipo scolastico. Se invece generiche e poco
precise, denunciano talora una situazione di disagio e d'insicurezza.
Maschera.
Segnalano spesso, in modo più spiccato e complesso delle risposte
Vestito.
La tendenza a coprire la propria personalità di fondo con artifici variabili, a volte valorizzanti e a volte
protettivi, secondo le altre indicazioni. Hanno valore in assoluto più che in percentuale: già due risposte
possono essere significative. Il dato richiede comunque conferma, poiché l'interpretazione può essere
suggerita più semplicemente da influenze culturali e mnemoniche.
Naturali.
Come le botaniche sono anch'esse tipiche dell'infanzia e segnalano, talora, una certa regressione.
Evidenziano a volte una condizione d'insicurezza e un conseguente bisogno di appoggio.
Nuvole.
Sono da rapportarsi alla significazione ansiosa e nevrotica della determinante CHS, che sempre le
sostiene. Essa è a volte attenuata dalla specifica indicazione di una levità gradevole.
Oggetto.
Sono piuttosto frequenti nei bambini. Non hanno ovviamente una proiettività generale e specifica, data
la varietà dei contenuti. Saranno questi a suggerire eventualmente, di caso in caso, interpretazioni
profonde, da formularsi sempre con estrema prudenza. Infatti, a volte, se manca il sostegno di altri segni,
le illazioni simboliche per le risposte oggetto sono quanto mai soggettive, forzate e quindi sconsigliabili.
Orrore.
Le immagini improntate al terrore avanzano più facilmente ipotesi fobiche, segnalando un
autoriferimento timoroso e spesso irrazionale. Talora invece esprimono il bisogno aggressivo d'incutere
paura o un'ambivalenza sado-masochistica.
Paesaggio.
La loro proiettività non è molto specifica e richiede l'analisi congiunta di altri segni. Talvolta rafforzano
indicazioni di esibizionismo auto-accentratore. L'associazione con il chiaroscuro ne intensifica invece le
significazioni di ansia.
Pelle.
Comportano sempre una determinante chiaroscuro-tattile con le sue significazioni di bisogno inevaso o
parzialmente inevaso di più approfonditi e caldi rapporti interpersonali affettivi o sessuali.
Religiose.
Lasciano talora affiorare diversi tipi di orientamento culturale o emotivo di fronte al problema religioso,
che variano dalla condivisione intensamente vissuta alla polemica. Un giudizio obiettivo deve inoltre
tenere conto delle caratteristiche ambientali e familiari.
Sadiche.
Nell’ambito del gruppo delle risposte aggressive, intensificano in modo più spiccato la loro componente
morbosa.
Sangue.
Anche tali risposte mantengono le indicazioni di aggressività, cui aggiungono una componente impulsiva
o anche un fondamento di paura. Sono frequenti, ad esempio, nelle nevrosi fobiche, tipicamente
associate con manifestazioni di shock alle tavole II e IX.
Scientifiche.
Contribuiscono a delineare il quadro dell'intelligenza e degli interessi specifici.
Sessuali.
Le modalità per delimitarne l'acquisizione sono esposte nel capitolo sulla siglatura, cui rinviamo il lettore.
Si tratta di risposte piuttosto rare, perché frenate dal pudore e dall'inibizione culturale. Hanno perciò un
valore proiettivo anche se la loro incidenza è modesta.' Nei bambini riflettono anche l'impronta
educativa ricevuta e negli adolescenti il grado di disinibizione specifica. Un loro particolare rilievo
coincide in genere con una delle seguenti situazioni: a) Disinvoltura in campo sessuale presentata in
modo esibizionistico o addirittura aggressivo o, al contrario, tranquillo, in rapporto alla dinamica
comportamentale del soggetto. b) Conflitti e complessi non risolti a contenuto sessuale, la cui esistenza
deve essere suggerita dagli eventuali segni di nevrosi presenti nel protocollo. c) Se numerose e stereotipe
di solito con almeno qualche sfasatura percettiva, indicazione specifica di un quadro fobico-ossessivo su
questo tema. Segni concomitanti di maggior gravità (O-, risposte confabulate, astratte, ecc.) possono
deporre per contenuti deliranti. Le sex simboliche, che acquisiamo con estrema prudenza e solo se
confermate da qualche aspetto psicodinamico evidente, lasciano di solito affiorare un quadro d'inibizione
sessuale.
Simbolica.
La risposta simbolica propone, per la sua astrazione, tendenze di tipo mistico o trascendentale, ma talora
lasciano anche affiorare autoriferimenti fobici esposti in modo simbolico.
Stereotipie.
Hanno grande importanza diagnostica e valore sia in assoluto che in percentuale. Tranne che nel
bambino più piccolo, in cui appaiono abbastanza spesso, sono sempre meritevoli di attenzione. La loro
valutazione deve tener conto del numero e del mosaico psicologico derivato dalla confluenza con altri
segni. Ecco uno specchio riassuntivo delle loro più frequenti significazioni: a) Se associate a sfasature
percettive della forma o ad altri segni carenziali, contribuiscono a delineare un'insufficienza mentale, in
genere su base post-cerebropatica. b) Sono tipiche dell'epilessia, in quanto espressione della vischiosità
psichica caratteristica di questa forma morbosa, tanto che una loro percentuale notevole merita sempre
un accertamento specifico. c) Unite ad altri segni, come l'iperdettaglio, le Do, le sfasature percettive, le
O-, ecc., possono presentarsi in varie forme organiche cerebrali, anche, ma non necessaria-mente,
accompagnate da difetto d'intelligenza.
d) Caratterizzano con grande frequenza le nevrosi ossessive o fobico-ossessive, come espressione di una
ritualità perseverante e appunto stereotipa. La diagnosi differenziale in favore di queste affermazioni si
basa sull'assenza di segni d'insufficienza mentale e sulla presenza di altri elementi specifici, come
l'abbondanza del chiaroscuro e, talora, l'alta percentuale di forma, la coartazione del TRI e gli shock,
specie alle tavole. II e IX e al grigio. Il loro contenuto coincide spesso con quello delle fobie e delle
ossessioni. e) Se il protocollo è permeato di assurdità, di astrazioni e di confabulazioni, le stereotipie
rafforzano il sospetto di anomalie della personalità o di psicosi. Anche qui è molto significativa l'analisi
del loro contenuto.
Tecnologiche.
Valgono anche qui le considerazioni intellettuali e sociali avanzate per le due precedenti categorie.
Vestito.
Possono esprimere simbolicamente l'esigenza di coprirsi o di nascondersi e quindi di celare alcuni aspetti
della propria personalità. L'indicazione deve essere acquisita con prudenza, come pura ipotesi. Esistono
alcune chiare eccezioni: ad esempio gli abiti o le divise con loro particolari implicazioni aggressive o
sessuali o di dominio o collegate alla religione, alla magia, alla politica, ecc.
Ruolo proiettivo dei contenuti.
In un protocollo, la presenza contemporanea di alcuni contenuti può denunciare: - regressione: Bot, Nat,
Cart An, Fant; - aggressività e impulsività: Aggr, Expl, Fuoco, Sangue, Sad (rivelano soprattutto la
componente morbosa dell’aggressività), Orr (talora con valenza sadomasochistica, ma più spesso con
componente fobica: temere l’aggressività altrui); - ansia sino all’angoscia: Nuvole, contenuto quasi
sempre associato alla determinante CHS; - bisogno di più caldi e approfonditi rapporti affettivi e/o
sessuali: Pelle, quasi sempre associate alla determinante CHST; - sensibilità estetica: Art e Arch; -
interessi specifici: Cult, Scient, Tecn, Rel; - esibizionismo di tipo culturale: Geo; di tipo autocentratore e
narcisistico: Paes; - desiderio di affermazione e autovalorizzazione: Arch (se si tratta di costruzioni estese
verso l’alto) e Arald; - edonismo elementare: Gastr e Cart An; - interesse per l’uomo: Etn, oltre
naturalmente al contenuto H; - carenza di ossequio al concreto, misticismo: Astr e Simb;
- patologia maggiore - Il reattivo di Rorschach assolve con spiccate alternanze di attendibilità il ruolo
psicodiagnostico per la patologia maggiore, a differenza dei brillanti risultati diagnostici che fornisce per
le nevrosi. Ecco, comunque, i contenuti di maggior rilievo psichiatrico: - Conf - Le risposte confabulate
possono mettere in evidenza problemi conflittuali, regressione, anomalie della personalità. elaborazioni
deliranti. Possono essere presenti anche nei soggetti esibizionisti e negli estroversi (in questo caso senza
spunti patologici). - Cont - Le risposte contaminate, specialmente se unite alle confabulate, potrebbero
segnalare dissociazione. - Depr ed Euf - Le risposte depressive ed euforiche sono, talora, presenti nei
disturbi affettivi, ma devono essere valutate con estrema prudenza. - Astr e Simb - Le risposte astratte e
simboliche possono avere significato patologico quando appaiono infiltrate da concetti assurdi e
irrazionali.
FREQUENZA
Banali.
Esprimono il grado di aderenza alle idee medie ambientali e consentono quindi una valutazione del
conformismo. La maggior parte degli Autori considera equilibrata una percentuale di banali pari al 20%
del totale. Ciò vale, a nostro parere, solo per i protocolli con un numero basso o medio di risposte e non
per quelli molto ricchi quantitativamente. È sufficiente infatti consultare l'elenco delle banali esposto nel
capitolo sulla siglatura per rendersi conto di come chi offre molte risposte, anche se poco creativo ed
originale, debba necessariamente elaborare altre interpretazioni, avendo presto esaurito le banali vere e
proprie. Così, ad esempio, un numero di quindici banali deve considerarsi piuttosto elevato in un
protocollo di quaranta o quarantacinque risposte. Un aumento delle banali segnala di solito soggetti
conformisti e incapaci di pensiero creativo, per carenza attitudinale specifica, ma anche talvolta per
blocco o inibizione di origine emotiva. Si tenga presente inoltre che gli stati depressivi, l'ansia, le coazioni
nevrotiche e la mancanza d'impegno nella prova variamente motivabile censurano spesso l'originalità e
incrementano le risposte comuni.
Abbiamo osservato infine in alcuni soggetti l'abbinamento di percentuali elevate tanto di banali quanto
di originali. Non si può parlare allora di carenza di creatività, ma più obiettivamente di un ossequio al
conformismo unito a potenzialità immaginative: si può trattare di persone creative che tendono ad
inserirsi nell'ambiente od anche di individui condizionati da una particolare formazione educativa. La
diminuzione delle banali è interpretabile in modo assai differente secondo le altre significazioni del
protocollo. Così può presentare uno spirito anticonformista e creativo, scarsamente adattabile al
pensiero medio ambientale, se gli altri dati consentono di acquisire un'intelligenza valida e originale.
Quando invece esistono segni di carenza intellettuale, un basso numero di banali può indicare addirittura
che il soggetto non raggiunge neppure la capacità di adeguarsi al pensiero comune. La mancanza delle tre
o quattro banali più frequenti, quali siano le indicazioni generali sull'intelligenza, è sempre un dato da
considerarsi con attenzione come sospetto indizio di abnormità psicologica.
Originali positive.
Esprimono, in rapporto al loro numero, il pensiero creativo, originale, libero dal conformismo. Nella loro
valutazione occorre seguire criteri individualizzati, tenendo conto soprattutto dell'ambiente familiare, del
livello di studi ed eventualmente della professione del soggetto. Non è possibile perciò indicare
percentuali generiche di originali positive. Nella loro valutazione si deve inoltre tenere in considerazione
il contenuto, specie se prevalente. La presenza di molte originali, varie e ben percepite, segnala
un'intelligenza di alto livello e immaginativa, eventualmente poco adattabile allo standard ambientale,
specie se la percentuale di animali e di banali è carente. Un contenuto prevalente di tipo professionale o
scolastico può evidenziare un legame intellettuale anche eccessivo e talora rigido con la propria attività.
Altri contenuti prevalenti possono, di caso in caso, evidenziare interessi specifici, problemi conflittuali o
spunti ossessivi, che non si caratterizzano però tanto abnormemente da comportare la perdita
dell'obiettività.
Originali negative.
Le risposte originali mal percepite avanzano sempre un sospetto di patologia, da chiarirsi in rapporto al
loro contenuto e alle indicazioni generali del protocollo. Poche O- in un protocollo dominato dalle O+
lasciano di solito affiorare una tendenza all'anticonformismo, suscettibile di valicare occasionalmente
l'obiettività e l’aderenza al concreto. In uno psicogramma intellettualmente povero o addirittura carente,
le O- intensificano l'indicazione di insufficienza sul piano percettivo. Particolari contenuti delle originali
negative possono evidenziare tendenze ossessive o persino spunti deliranti, entrando palesemente
nell'abnormità.
Shock colore.
È un segno generico di iperemotività, che prende corpo tipicamente nei soggetti nevrotici, ma non è
sufficiente da solo per la diagnosi di nevrosi, essendo riscontrabile con relativa frequenza anche in
persone normali emotivamente labili. Esso comunque rafforza notevolmente l'ipotesi di nevrosi suggerita
da altri segni.
Shock al grigio.
Si propone nella maggior parte dei casi come un segno rivelatore dell'angoscia o dell'inibizione, a volte
generica e a volte specifica per qualche contenuto interpretativo vissuto come conflittuale, espresso o
censurato. Abbiamo già detto della nostra particolare prudenza nella formulazione di ipotesi profonde a
questo riguardo. Condividiamo la remora comunemente accettata di escludere la registrazione di shock
alla prima tavola, che può provocare in molti soggetti difficoltà d'approccio al test, poi ben superate.
Rifiuto.
Rientra fra i meccanismi di shock, con l'esclusione già detta per la prima tavola, ma oltre ad essere
abbastanza frequente nelle nevrosi, può caratterizzare in casi particolari, diagnosticabili con altri segni
confluenti, un negativismo psicotico. Nel bambino più piccolo deve essere acquisito con maggiore
moderazione, in quanto possibile espressione d'insicurezza e di timore congeniali all'età.
Turning frequente.
La rotazione continua delle tavole, da non confondersi con la tranquilla e successiva loro osservazione in
posizioni diverse e non ripetute, può derivare da varie motivazioni, da valutarsi in rapporto all'età del
soggetto, alla dinamica generale del suo comportamento e alle altre indicazioni del protocollo. È tipica
del bambino instabile, divenendo sempre più significativa sul piano psicodiagnostico con il progredire
dell'età. Denuncia anche talora un impegno eccessivamente perfezionista, mediante il quale l'esaminato
sembra non voler lasciarsi sfuggire nessuna possibilità interpretativa. Altre volte segnala una condizione
d'insicurezza, espressa dalla ricerca ripetuta di modalità percettive che consentano le risposte o
ribadiscano la loro attendibilità. In alcuni casi, infine, esprime opposizione e resistenza ad interpretare.
L'assenza assoluta del turning, ossia l'osservazione costante delle tavole nella posizione in cui sono state
presentate, evidenzia talvolta insicurezza, inibizione o timore, ma il rilievo, a nostro parere, è sporadico e
deve essere confermato da altri segni, poiché molti soggetti normali e autoconsapevoli evitano di ruotare
le tavole senza che ciò comporti alcuna deviazione psicologica.
Critiche.
Le osservazioni e i commenti non inquadrabili come risposte offrono indicazioni estremamente diverse
secondo il loro contenuto e la dinamica di base del comportamento. Le significazioni più frequenti
esprimono insicurezza, pedanteria, perfezionismo, bisogno di conferma nelle interpretazioni od anche
esibizionismo, opposizione, diffidenza. Un valore particolare hanno le autocritiche, che a volte
confermano l'incertezza del soggetto o invece smentiscono una sua apparente sicurezza. Possono
apparire infine contenuti più francamente patologici, ad esempio autoriferimenti spesso simbolici sino
alle distorsioni del delirio. Secondo l'orientamento generale già esposto, evitiamo di attribuire un ruolo
specifico prefigurato ad alcune critiche, come le osservazioni sulla simmetria o i rilievi sull'asse centrale,
che abbiamo riscontrato in situazioni assai diverse e non riconducibili a un comun denominatore
analitico.
La percentuale di risposte forma. Riteniamo valido il principio generale secondo cui un'alta incidenza di
F+ propone sempre o quasi sempre un notevole controllo della vita affettivo-emotiva. Non accettiamo
però il concetto che si tratti necessariamente di un controllo «razionale». In base alla nostra statistica,
alcuni soggetti con eccesso di forma sono effettivamente dei razionali, anche se talora schiavi di questa
situazione, mentre altri sono soltanto degli inibiti, per cui l'agganciamento all'immutabilità del concreto
si pone come puro elemento di difesa. La carenza di risposte forma evidenzia specularmente un difetto di
autocontrollo emotivo, il cui significato potrà scaturire solo dall'analisi complessiva di tutto il protocollo.
Abbiamo parlato sin qui soltanto di F+, poiché in effetti è la positività della percezione a strutturare la
semantica dell' autocontrollo. Quando però esiste una larghissima prevalenza di forme ben viste, a
nostro parere è utile includere nella percentuale complessiva anche le sporadiche F-, che ci hanno
dimostrato statisticamente di concorrere alla significazione psicodiagnostica.
Il significato emotivo del movimento animato. Le M, in rapporto alla loro incidenza e alla qualità dei loro
contenuti, valgono come segno di stabilizzazione dell'emotività, nel senso più dell'interiorizzazione che
del controllo. Ciò non implica in tutti i casi una situazione di equilibrio e di adattamento, poiché può
trattarsi anche di uno stato introversivo intimamente sofferto. Saranno gli eventuali concomitanti segni
di nevrosi o la loro assenza a consentire un giudizio in merito.
Le risposte dettaglio bianco. La tendenza polemica avanzata dalle Dbl contribuisce non di rado a
caratterizzare le diverse situazioni affettivo-emotive. Essa infatti si propone quasi sempre, in rapporto
alla sua incidenza, come elemento di ostacolo per l'adattabilità sociale e quindi di conflitto. Il ruolo della
contraddizione sistematica delle idee ambientali, che rappresenta una condizione estrema, può
manifestarsi in seno a un'introversione conflittuale soggettivamente vissuta o invece con modalità
scopertamente aggressive. L'una o l'altra situazione sono abitualmente espresse dal convergere dei segni
psicodiagnostici.
Lo shock colore. Come si è detto, è un segno generico di iperemotività, che può ribadire il tipo di
significazioni del colore puro e caratterizza, anche se non costantemente, la vita affettivo-emotiva del
nevrotico.
Lo shock al grigio. È tipico dell'angoscia e dell'inibizione, spesso agganciate a specifici temi conflittuali
ben difesi e coperti. Significa pertanto un'emotività sofferta e contenuta, almeno settorialmente.
Personalità psicopatiche e psicosi. È questo un ruolo psicodiagnostico assai delicato, che per la verità il
reattivo del Rorschach assolve con spiccate alternanze di attendibilità. Esso consente in alcuni casi
brillanti e precoci riconoscimenti di condizioni psicopatologiche anche in assenza di una sintomatologia
conclamata, mentre può restare muto o quasi in situazioni d'indiscutibile abnormità. Può apparire
sorprendente che tale alternanza non si pro-spetti per le nevrosi. Una più accurata disamina chiarisce
però ineccepibilmente il divario. Il nevrotico manifesta dinamicamente in modo costante il suo
disadattamento, offrendo tratti emotivi tanto infiltrati nel suo carattere da non poter essere celati,
almeno a livello di sfumature. Lo psicotico, invece, è spesso in grado di presentare quadri esteriori
relativamente normali, a volte abbastanza protratti nel tempo.
Ci è sembrato opportuno trattare questo argomento di particolare difficoltà, classificando e riferendo i
segni psicodiagnostici ai diversi sintomi anziché ai vari quadri nosografici, poiché in effetti sono questi i
limiti che la metodologia ci ha sperimentalmente confermato. Le idee deliranti, assurde e contrastanti
con la comune obiettività e con il giudizio razionale, prendono corpo drasticamente in molte psicosi e
come semplice tendenza, in parte controllata, a livello di alcuni disturbi di personalità. Nel reattivo del
Rorschach esse si manifestano soprattutto con le risposte originali negative, contraddistinte appunto da
un'infrazione dell'obiettività sostenuta da una creatività e da una carica di convinzione abnormi. Il
bisogno di comunicare ad ogni costo le proprie tesi, i propri timori e le proprie ambizioni, conduce talora
il delirante a strutturare anche delle confabulazioni, che allargano gli scarni confini di una risposta nel più
ampio anche se distorto respiro di una narrazione. Chi è affetto da delirio può tendere a teorizzazioni di
principio che si esprimono in frequenti risposte astratte o simboliche. Le paure e gli autoriferimenti (o
addirittura le allucinazioni) che punteggiano le costruzioni deliranti danno luogo infine a non rare
manifestazioni di shock o di rifiuto, di solito clamorosamente esplicate.
L'eccitamento patologico maniacale o ipomaniacale influisce sensibilmente sul tipo di risonanza,
dilatandolo, sulla percentuale di risposte forma, abbassandola, e sul modo di comprensione,
incrementando d'abitudine le globali. Assai frequenti sono negli eccitati anche le risposte colore puro, da
cui deriva con maggior frequenza un'extratensione. La depressione endogena offre in linea di massima
segni specularmente opposti ai precedenti, caratterizzando lo psicogramma con una tendenza
all'iperdettaglio, con un aumento della percentuale di risposte forma e con una coartazione del tipo di
risonanza intima. Essa censura inoltre, con un disinteresse implicito, l'efficienza e l'originalità. La
dissociazione intrapsichica, quando non è tanto marcata da influenzare in modo scoperto il
comportamento e l'ideazione del malato (ed allora tutto lo psicogramma ne è sconvolto), si può
manifestare in modo sottile o imprevisto o alternante. Ne derivano improvvisi difetti dell'associazione
(ad esempio DG e Do) inosservanze del rispetto alla forma in precedenza impeccabile (F- ed O-),
inaspettati ripiegamenti autistici che inducono rifiuti a proseguire la prova, cadute o vuoti astensionistici
nella collaborazione. Altre volte si hanno stereotipie, automatismi verbali e agganciamenti reciproci di
parole in base a criteri segreti, tipici di una mente rifugiatasi nel surreale.
Segni generici di organicità cerebrale. Non ci sembra legittimo pretendere che il reattivo del Rorschach si
assuma il compito di un preciso strumento per le diagnosi neurologiche. Con esclusione dell'epilessia, di
cui abbiamo appena trattato, gli si può assegnare al massimo il ruolo di rivelatore aspecifico di
abnormità. In sintesi, i segni che possono orientare in questo senso sono soprattutto i seguenti: a- cattiva
percezione della forma, b -originali negative, c -globali confabulatorie, d -dettagli oligofrenici, e -tendenza
all'iperdettaglio, f -coartazione del tipo di risonanza intima, g -stereotipie, h -disordine clamoroso nella
successione. Il valore diagnostico di questi segni è naturalmente tanto più attendibile, quanto più essi
confluiscono.
INTERPRETAZIONE Il reattivo segnala un'intelligenza di ottimo livello (G, M, H, O%), di tipo intuitivo (alto
G%), disponibile sia alla sintesi che all'analisi (Modo di comprensione equilibrato), anticonformista,
molto polemica e oppositiva (Dbl), dotata di una fervida immaginazione (O%), la cui spinta creativa,
libera da schemi, la porta, però, a valicare occasionalmente l'obiettività e l'aderenza al concreto (O+, O-),
rendendola poco adattabile allo standard e al pensiero medio ambientale. La buona reattività
intellettuale (tempo medio di reazione) è stimolata anche dall'ambizione esibizionistica (aumento del
numero delle risposte). Come fattori di disturbo per la piena estrinsecazione intellettuale si segnalano:
l'eccessiva tendenza alla sottilizzazione e alla minuziosità (alte Dd%) e l'insicurezza nell'associare (alta
incidenza di G incomplete), dovuta a situazioni emozionali estese all'approfondimento dei rapporti
relazionali (H Fant).
Vita affettivo-emotiva estremamente interiorizzata (T.R.I. espanso e marcatamente intratensivo), tanto
da incidere negativamente, anche a causa della già citata creatività libera da schemi (O+, O-), sui rapporti
interpersonali, pur se molto desiderati, dando luogo a frustrazione (CF). Ne conseguono compensazioni di
tipo negativo, quali la fuga dalla realtà (Fant), che condiziona una insufficiente maturità emotiva,
l'aggressività (risposte del gruppo aggressivo: Fuoco, Orr e Sad) e le frustrazioni ad essa secondarie con le
loro possibili valenze sado-masochistiche (Sad e Orr), i conflitti non risolti a contenuto sessuale (Sex) e
l'instabilità emotiva di fondo (Euf). Il rifugio regressivo nel mondo fantastico dell'infanzia (Fant, Bot, Nat,
Cart An) conferma la presenza di problemi conflittuali non risolti (m) e tanto prementi da essere inseriti
nelle risposte (Conf e Cont). Si avverte, infine, il bisogno inconscio di nascondere alcuni aspetti non
graditi della propria personalità con artifici variabili, valorizzanti o autoprotettivi, talora in ambivalenza
con implicazioni aggressive, sessuali o di dominio (Vestito, Maschera).
INTERPRETAZIONE Il reattivo segnala un'intelligenza di ottimo livello, intuitivo-sintetica (alto G%, elevato
numero di risposte M e H), dotata di una fervida immaginazione (O%), la cui spinta creativa,
anticonformista e libera da schemi, la porta a valicare, occasionalmente, l'obiettività e l'aderenza al
concreto (O+, O-), rendendola poco adattabile allo standard e al pensiero medio ambientale (una sola
risposta Ban e basso A%). Come fattore di disturbo per la piena estrinsecazione intellettuale si
segnalano : l'inibizione (basso numero di risposte) e l'insicurezza (aumento del tempo di reazione con
turning frequente). Vita affettivo-emotiva intensa, ma interiorizzata (T.R.I. espanso e intratensivo), al
punto da incidere negativamente, a causa della già citata creatività libera da schemi (O+, O-), sui rapporti
interpersonali, pur desiderati. Si segnala anche la presenza di conflitti interiori non risolti, generatori di
frustrazioni (CF). Si avverte il bisogno inconscio di nascondere alcuni aspetti non graditi della propria
personalità con artifici variabili, prevalentemente autoprotettivi (risposte Vestito).
L’INTERVENTO CON GLI ADOLESCENTI ANALISI DI CASI E MODALITÀ DI TRATTAMENTO SESSIONE 4 – GLI
ADOLESCENTI
GLI ADOLESCENTI
L’adolescente può vivere momenti difficili con variazioni di comportamento. Le situazioni di particolare
tensione sono numerose e spesso è difficile stabilire quali comportamenti sono reattivi a un temporaneo
stato di stress e quali sono più strutturati e prevedibili di un disturbo. Ci sono dei fattori comuni che un
adolescente deve affrontare.
Il primo sono le relazioni con i genitori, cioè la capacità di passare in questo periodo della sua vita dalla
dipendenza emotiva dai genitori a una maggiore indipendenza.
Il secondo è legato alle relazioni con i coetanei, cioè scegliere come amici altri adolescenti con cui poter
diventare adulto.
Il terzo è la percezione che l’adolescente ha di sé, sia nel suo ruolo maschile o femminile, sia nella
capacità di modificare l’immagine di sé bambino.
Se durante lo sviluppo adolescenziale osserviamo criticità in questi punti ciò indica che possono esserci
state potenziali aree di disturbo nel corso dell’infanzia e che durante l’adolescenza emergono .
Approvazione e rassicurazioni genitoriali non sono più sufficienti e il riconoscimento dei coetanei non
funzionano in quanto i modelli adolescenziali sono diversi da quelli proposti dai genitori.
Ci sono molte occasioni in cui un adolescente può mutare il suo umore, può avere sensazioni che la sua
vita sia priva di valore o fare qualcosa di insolito rispetto al suo comportamento abituale: per
comprendere la situazione è importante capire come l’adolescente reagisce alla situazione di stress.
Processo di crescita è sinonimo di rischio, non si cresce se non si accetta di rischiare separandosi dai
genitori e ricercando un’identità personale autonoma.
Essere adolescenti significa trovarsi in un contesto relazionale e culturale privo di certezze.
Un ruolo importante nel favorire la comparsa del rischio è la tendenza ad agire, cioè
trasformare in gesto, comportamento, azione, un conflitto intrapsichico. Gli adolescenti usano il
linguaggio del corpo, dell’azione, che con il supporto del gruppo può acquisire un carattere violento e
trasgressivo.
In questa fase non va poi trascurata la relazione che l’adolescente ha con il proprio corpo.
Le modalità con le quali un adolescente esprime disprezzo nei confronti del proprio corpo sono
molteplici, così come sono diversi i sistemi di punizione e di controllo che l’adolescente mette in atto.
Numerose condotte a rischio esprimono dunque il conflitto dell’adolescenza,esistente fra mente e corpo,
ancora non del tutto integrati tra loro.
Un dato da non sottovalutare mai è un tentativo di suicidio anche se lo si considera dimostrativo: se un
adolescente ha tentato di suicidarsi ha molte probabilità di riprovarci in maniera decisiva. Non si può
sottovalutare il rischio.
In adolescenza il suicidio non è quasi mai il sintomo di una malattia mentale diagnosticabile, quindi
l’intervento non può essere il trattamento psichiatrico.
Si sta registrando un aumento della percentuale di morti per suicidio fra i giovani di età compresa fra i 14
e 24 anni.
Nel caso di una presa in carico di un adolescente che ha tentato il suicidio è opportuno supportare anche
il contesto familiare.
Quale significato può avere questo gesto per un adolescente?Un'intenzione è sicuramente quella
comunicativa. Il messaggio è quasi sempre rivolto ai genitori o agli amici e la cosa più urgente è quella di
aiutare il destinatario o i destinatari a comprenderlo per dare una risposta.
Se l’adolescente comprende che il messaggio è stato recepito e che si possono attivare nuovi canali di
comunicazione, il rischio tende a diminuire.
Pensiamo che sia il tentato suicidio che il suicidio siano una delle tante azioni mediante le quali gli
adolescenti tentano di trovare una soluzione immediata al dolore e all’angoscia che stanno vivendo.
Si rende necessario cercare di aiutare l’adolescente a sottrarsi dal compiere questo gesto cercando di
recuperare una diversa capacità di esprimere il dolore .
Ciò che un adolescente sembra provare prima di compiere il gesto suicidarlo è un sentimento: la
vergogna. L’adolescente vuole sfuggire alla vergogna .
Nei casi di suicidio o tentato suicidio c’è sempre un dolore inesprimibile. Un dolore narcisistico che
comporta un’immensa vergogna e sembra che l’unico modo per cancellarlo sia il gesto definitivo della
morte, una sorta dunque di riscatto spettacolare.
Sembra che gli adolescenti di oggi sappiano sperimentare poco la colpa, ma abbiano più paura della
vergogna perché la vergogna fa perdere la faccia.
Il modello di intervento deve essere tempestivo e prevedere colloqui psicologici sia per il ragazzo, sia per
i genitori, importante è evitare di banalizzare l’accaduto.
Il soggetto moralista
Secondo Irvin D. Yalom : La caratteristica di tale soggetto è il bisogno di essere riconosciuto, dimostrando
che l’altro ha torto.
Anche se il gruppo inizialmente può provare empatia per lui, l’empatia si trasforma in irritazione nel
momento in cui i membri del gruppo si rendono conto che il suo interesse principale consiste nel
raggiungere una posizione di superiorità morale e non nel condividere con gli altri le esperienze. Se un
altro membro del gruppo cerca di assumere una posizione di superiorità,, il moralista entra in conflitto
con l’intruso. Pazienti con questo modello di comportamento risultano profondamente turbati da
sentimenti di vergogna e di ira.
CONSIDERAZIONI:PER LA FORMULAZIONE DI UN PROGRAMMA PSICOTERAPEUTICO E’ IMPORTANTE
RICONOSCERE IL RUOLO SVOLTO DALLA VERGOGNA E DELLA RIDUZIONE DELL’AUTOSTIMA NELLA
DINAMICA DI QUESTI PAZIENTI. SE IL GRUPPO E’ AIUTATO A CAPTARE LA VERGOGNA CHE E’ ALLA BASE
DELLE POLEMICHE VIOLENTE DI AUTOAFFERMAZIONE DEL PAZIENTE, ALLORA GLI RISPONDERA’ IN
MODO COSTRUTTIVO.
Non possiamo però ridurre la nostra vita semplicemente alle problematiche nevrotiche legate alla sfera
sessuale anche se in taluni casi può comunque essere ritenuta valida.
La nostra emotività la esprimiamo in quei frammenti che ci lascia il sogno e che fanno parte della nostra
vita quotidiana.
Dobbiamo utilizzare il sogno come ogni altra manifestazione psichica.
Il sogno diviene uno strumento per meglio conoscere se stessi, per capire qual è il nostro comportamento
nel presente , qual è stato il nostro comportamento nel passato e per comprendere le nostre possibilità
di comportamento nel futuro.
Attraverso il sogno noi possiamo rivivere situazioni sia positive che negative.
La situazione minacciosa può ad esempio essere rappresentata nel sogno attraverso :
-un esame scolastico imminente
-un nemico
-L’idea della vittoria può essere invece rappresentata nel sogno attraverso.
-un volo verso l’alto
-Il pericolo può essere rappresentato attraverso l’abisso, l’affondare, la caduta.
Esistono diverse tipologie di sogno: sogni ricorrenti, sogni legati alla situazione attuale, incubi, sogni ad
occhi aperti, incubi.
Ci sono situazioni che pur sognando al risveglio non ricordiamo.
Quando manifestiamo il sogno esso subisce sempre delle manipolazioni.
Nel sogno si lavora attraverso il metodo delle associazioni libere ed è importante nell’ambito del sogno
individuare le parole chiave.
Attraverso le associazioni possiamo trarre dal sogno un significato concreto.
Nel sogno noi possiamo anche avere delle percezioni e delle sensazioni , quindi il sogno ci può ricordare
un odore, un colore, il freddo , il caldo ecc.
Per associazioni sul sogno si intende tutto ciò che si produce riferendoci a quel preciso tema onirico:
osservazioni, autointerpretazioni, descrizione di stati emotivi provati durante e dopo il sogno.
Adler suggerisce che il metodo per l’interpretazione dei sogni deve tenere in considerazione lo stato
d’animo che i sogni stessi lasciano dietro di sé.
L’autore ci mette però in guardia rispetto al sogno ed afferma:” Le metafore e i simboli possono essere
usati a sproposito, possono combinarsi in diversi significati, possono dire due cose nello stesso tempo…”
E’ interessante notare come Adler metta in discussione il simbolismo fisso nei sogni.
Poiché ogni essere umano è diverso dagli altri è altrettanto vero che i suoi simboli non possono avere lo
stesso significato per un’altra persona. Nonostante ciò egli ammette l’esistenza di “problemi umani
comuni” e di i tipici modalità per affrontarli.
Riteniamo interessante notare come il sogno ci permetta di delineare la “linea di vita” di una persona.
A questo proposito Adler così esprime: “ Se si scompone un sogno che sembra incomprensibile nelle sue
componenti e se si riesce a sapere dal sognatore cosa queste singole componenti significano per lui , con
una certa diligenza e un certo acume , risulterà l’impressione che dietro al sogno siano in gioco delle
forze che tendono verso una certa direzione. Questa direzione si rivelerà anche in altre situazioni della
vita di quella persona ed è determinata dal suo ideale personale , e dalle deficienze e dalle difficoltà di
cui essa sente il peso. Con questa tecnica si ottiene la linea di vita della persona o almeno una parte di
questa linea”.
IL CASO DI L.: ANALISI DEI SENTIMENTI DI AMORE E DI DOLORE ESPRESSI DALLA PAZIENTE - SESSIONE 1-
DESCRIZIONE DEL CASO
• L. è una signora sulla cinquantina, longilinea, dai capelli biondi corti, molto vivace, sportiva
nell’abbigliamento.
• Il suo viso è espressivo e dotato di grande carica comunicativa.
• Quando si presenta al primo colloquio appare molto provata e tesa, è in uno stato depressivo intenso
in seguito alla recente morte del coniuge.
• Vive con un figlio studente universitario brillante.
• Al primo colloquio appare in preda ad un delirio mistico-religioso, i contenuti sono molto confusi ma si
intravedono quegli spazi di razionalità che mi fanno capire che si potrà lavorare insieme.
• Durante il primo colloqui mi pongo in un atteggiamento empatico, questo la rassicura e pone le basi per
l’inizio del nostro futuro lavoro psicoterapeutico.
• L. esprime più volte nei primi incontri il timore di essere pazza, si lavorerà per farle acquisire
consapevolezza che non lo è.
• Dopo i primi colloqui si procede all’accordo terapeutico. Inizia così il nostro percorso.
• Compito della prima fase di questo percorso è stato quello di esplorare e comprendere lo stile di vita
della paziente.
• La seconda fase ha permesso alla paziente di acquisire consapevolezza del suo stesso stile di vita,
riconoscendone gli errori che lo hanno condizionato .
• Intendiamo proporre le poesie prodotte dalla paziente , emblematiche di questa sua seconda fase del
percorso terapeutico in cui sembra aver recuperato un buon equilibrio emotivo-affettivo.
IL CASO DI L.: ANALISI DEI SENTIMENTI DI AMORE E DI DOLORE ESPRESSI DALLA PAZIENTE SESSIONE 2-
POESIA : AMORE-DOLORE
• POESIA DI L. Amore-dolore
• Non si può quantificare il grado di dolore, amore
• unica cosa uno non può vivere senza l’altro.
• Un sottile velo divide queste qualità,
• queste qualità apparentemente differenti fortemente uguali.
••
La mamma con il bimbo
• amorosa domani
• quella mamma
• davanti ad un bocciol di rosa una lacrima
• riversa cadrà
• Uomo innamorato dato tutto per scontato felicità
• gioia finalmente compresa.
• Quand’ecco giorno triste
• pochi mesi
• son bastati la vita
• scivola fra le dita
• solo una pausa di dolor
• pur addolcita
• sussurrò
• volevo solo te
• Amicizia tutto dona con impeto con trasporto
• contenta di sè
• infiltrandosi nei più
• il cor suo lo sa
• un dolore l’ aspetterà
• l’agonia avverrà
• morte ci sarà.
• Attutire il colpo si dovrà con un pizzico di saggezza,
• negar
• non si può il dolor
• più in là osservando
• lentamente comunicare
• AMORE e DOLORE
• RIFLESSIONI :
• Il problema che si pone L. è quello del dolore e della sofferenza in quanto la morte si presenta come
espressione estrema del dolore.
• La morte fa paura perché costituisce il distacco supremo da tutto ciò che di più caro si ha: gli a amici, le
persone care, la stessa vita.
• Il momento della morte si identificherà con il momento del distacco, della lacerazione dei sentimenti
più intimi e personali .
IL CASO DI L.: ANALISI DEI SENTIMENTI DI AMORE E DI DOLORE ESPRESSI DALLA PAZIENTE
SESSIONE 3- POESIA:IL GIOVANOTTO E L’ANIMA
• Il giovanotto e l’anima
• Piccolo ometto curioso
• ragazzino fiducioso dei tuoi genitori.
• Cresciuto cerchi al di là di te sicurezza
• e amor
• tutto questo ti delude , spaventa
• riprometti a te di parlare con mamma.
• Indietreggi
• dici: anche mamma non sa niente.
• Cerchi nell’etere una risposta ma chissà questo dove ti porterà,
• forse nella confusione che proprio da lei volevi fuggire?
• Prova a cercare in me la tua anima,
• prova a confidarmi le perplessità che hai di fronte alla vita
• come ci si comporterebbe.
• Ora per il lavoro, ora per lo studio ,
• ora per l’amore.
• Forse l’anima tua
• esperienza avrà
• contenta sarò
• unita alla mente utilmente
• potrebbe donarti
• luce anche se intermittente
• RIFLESSIONI :affermò Adler : “La legge fondamentale della vita è dunque la vittoria sulle difficoltà…La
direzione dello sviluppo psichico come quella dello sviluppo corporeo , tende costantemente a superare
le difficoltà mediante una giusta soluzione dei problemi che il mondo ci pone.
Ogni soluzione erronea deriverà da uno sviluppo fisico e psichico inadeguato”.
IL CASO DI L.: ANALISI DEI SENTIMENTI DI AMORE E DI DOLORE ESPRESSI DALLA PAZIENTE
SESSIONE 4 - POESIA: INNO ALLA VITA
• POESIA :INNO ALLA VITA
• In un negozio da me conosciuto
• c’era un bambino bello e paffuto
• nella carrozzina era disteso
• tra un respiro e l’altro
• un succhiotto muoveva il suo labbro.
• Il mio sguardo si abbassò sino a scorgere il suo
• gli occhi miei si specchiavano, vagavano, cercavano
• in
• un mare calmo azzurro
• conciliante.
• La mano mia si avvicinò e lui calmo
• l’afferrò tocco dolce e più deciso
• al contatto di quella manina
• il mio cor sorrise corrisposta
• dal suo sguardo sorridente rassicurante
• modo il suo cor invitante.
• Stampato ho qui nel petto il sigillo dell’amor
• io vorrei arrivare a voi, dentro noi,
• gli occhi riveder invitanti andare a avanti.
• Sulla strada lasciar cader vecchi brandelli bianchi stanchi.
• Sorridere alla vita
• ricominciar a radunar
• forza, coraggio, onestà, caparbietà.
• L’anima certa si rallegrerà
• ci ringrazierà ricordandosi quella scintilla
scaturita da un contatto
• della vita
• in quel cucciolo di bambino
• Incontrato quel mattino.
• RIFLESSIONI: Afferma Alfred Adler :” La madre sviluppando l’amore per i figli si offre come il partner più
adatto per fornire al bambino la prima esperienza di una relazione con gli esseri umani. Dalla madre
vissuta come “prossimo” nelle fasi iniziali di sviluppo del sentimento sociale, partono i primi stimoli che
conducono il bambino ad inserirsi nella vita come elemento in un insieme e a selezionare i contatti con il
mondo che lo circonda”.
• SUCCEDE SPESSO CHE IL PAZIENTE SCELGA DI COMUNICARE AL TERAPEUTA ATTRAVERSO POESIE O
RACCONTI DA LUI PRODOTTI.
• QUESTO MATERIALE RISULTA PREZIOSO IN QUANTO ESPRESSIONE DEL VISSUTO DEL PAZIENTE.
• NELLA PRIMA POESIA AMORE-DOLORE L. E’ PROVATA DALLA PERDITA DEL MARITO
• MA SI STA SFORZANDO DI AFFRONTARE QUESTO MOMENTO ATTRAVERSO “UN PIZZICO DI SAGGEZZA”.
IL DOLORE SI PUO’ SUPERARE ATTRAVERSO L’AMORE.
• NELLA SECONDA POESIA IL GIOVANOTTO E L’ANIMA L. AFFRONTA LA TEMATICA DEL RAPPORTO CON IL
FIGLIO. L. STA CERCANDO UNA MODALITA’ DI COMUNICARE CON IL FIGLIO CHE E’ SFUGGENTE E CIO’ LE
PROVOCA SOFFERENZA.
• NELLA TERZA POESIA INNO ALLA VITA L. ESPRIME TUTTA LA SUA GIOIA PER LA VITA. E’ NATO DA POCO
IL NIPOTINO E VUOLE INIZIARE A SORRIDERE ALLA VITA.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO “UN
BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA(2002) – PARTE 1 - SESSIONE 1 - LA FAMIGLIA MALATA – PARTE A
Nel libro “ Un buco nell’anima guarire dalla malattia droga “ di Guido Vergani dialogo
con Roberto Bertolli e Furio Ravera (2002)-LIBRI SCHEIWILLER, ritroviamo un
atteggiamento tipico della famiglia nei confronti del figlio che manifesta disagio psichico
e psicopatologia.
Riportiamo alcuni stralci dal capitolo settimo del testo: “Droga come malattia e malattia negata, spesso
non solo dallo stato che lascia fare alle comunità…Negata anche dalle famiglie che non vogliono vedere o
si vergognano del figlio tossicomane o imprecano contro i mali della società, i tempi, la iattura della
droga facile, quasi ad ogni angolo di strada, e raramente si guardano dentro, pensano alla
fragilità dei figli e ai propri errori.
…Nella nostra esperienza la vergogna sociale è all’ordine del giorno… La negazione è un fatto ricorrente
ed è anche emotivamente giustificabile. Quasi sempre è l’angoscia a determinare quella cecità. Intuire
che un figlio è precipitato nella droga è tragicamente doloroso e qualunque essere umano cerca di
ridurre il dolore ,rimandando una totale presa di coscienza del problema. L’angoscia annebbia qualsiasi
genitore. Il solo concepire che il proprio figlio abbia un problema è già l’anticamera di un’ accecante
disperazione”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO “UN
BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 1
Nel testo si evidenziano esempi in negativo del comportamento di padri e madri di fronte al sospetto o
alla certezza della droga.
Si afferma: “Raggruppare i genitori in due, tre gruppi di comportamento è ovviamente una
semplificazione, perché ogni padre e ogni madre dovrebbero rientrare in più categorie. Ma è funzionale
al racconto. C’è il gruppo del “non ce ne siamo mai accorti”.
E’ la frase tipica che, ai primi incontri fra noi, il paziente e i genitori, delinea una lunga storia di droga. Di
solito, rivela una specie di rinuncia alla verifica, un accontentarsi della prima risposta data dal figlio o
dalla figlia alla loro ansietà, un continuo architettare i sospetti, un atteggiamento succube della minaccia:
“me ne vado da casa” alla recita del: “non avete fiducia in me”.
…Il secondo, vasto gruppo è quello del: “credevamo che tutto fosse andato a posto”.
Sono i genitori che hanno già saputo: un’epatite, la telefonata del padre di un amico drogato, un qualsiasi
incidente di percorso, hanno svelato la tossico mania. Anche in questi caso abbiamo notato il ripetersi di
identiche sequenza. Il tossicomane impiega tutte le sue energie per convincere che l’episodio è
sporadico, che non succederà più e,per “rifarsi una verginità” accetta persino il ricovero in clinica per la
disintossicazione”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO “UN
BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 1 - SESSIONE 3 - LA FAMIGLIA MALATA – PARTE C
Tra le domande che ci si pone c’è quella: “accetta di curarsi?”. Si evidenzia nel testo: “non esattamente.
Anzi, la disintossicazione fa parte della malattia perché la si usa per insabbiare nuovamente il problema,
per tranquillizzare i genitori. La sua funzione è quella della cortina fumogena. Nel corso del ricovero, il
paziente-imbroglione- minimizza il suo problema, è, in genere, molto reticente nel raccontare la sua
storia di tossicomane e invoca il segreto professionale perché padre e madre non sappiamo più di quello
che hanno già scoperto. Lo si dichiara ai genitori e spesso succede che digeriscano il divieto,rinnovando
comunque la fiducia a chi, proprio per quell’arroccarsi nel segreto professionale dei medici, dimostra di
non meritarla...
…Per l’esperienza che abbiamo accumulato lavorando con le famiglie, possiamo dire che non pochi
genitori vogliono farsi turlupinare. E’ un inganno che trova un fertile terreno anche nel legittimo ma
irrealizzabile desiderio delle famiglie di risolvere tutto nei tempi della disintossicazione. Un breve
ricovero e chiuso l’incidente, con il figlio che giura e spergiura di non ricaderci… La nostra esperienza è
anche fitta di famiglie che ci hanno totalmente e coraggiosamente accompagnato nella vicenda
terapeutica dei figli. Del resto, senza la loro fiducia e il loro appoggio e il loro dolente capire, le guarigioni
sarebbero state assai meno. La domanda iniziale ci stimolava a esempi in negativo, non per il gusto della
critica, ma a scopo propedeutico…”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO “UN
BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA(2002) – PARTE 1 - SESSIONE 4 - LA FAMIGLIA MALATA – PARTE D
Nel testo “Un buco nell’anima – Guarire dalla malattia droga” si evidenzia inoltre un quarto gruppo di
comportamenti famigliari di fronte all’evento droga. Così si afferma: “E’ la categoria del: “ci penso io”. Le
appartiene il padre di Anna, una eroinomane di venti anni. Le aveva strappato una confessione, le aveva
imposto di ricoverarsi in clinica per “ripulirsi”. Self-made-man, aveva una sconfinata fiducia in se, era
abituato ad agire di testa propria. Sapeva lui che fare: “Pensate a disintossicarla, che al resto provvedo
io. Le faccio passare la voglia di drogarsi”. Nessuna richiesta di spiegazioni, nessuna domanda,
nessun approfondimento. I nostri tentativi di dare qualche consiglio, almeno di cautela, si scontrarono
con un muro di cieco convincimento. Se insistevamo l’uomo si faceva ostile e chiuso. La madre non
esisteva. Piangeva e basta. Ci rassegnammo al ruolo di impresa di pulizia, ostacolati come eravamo nella
certezza che occorresse un progetto terapeutico.
…Giunse il giorno delle dimissioni dalla clinica. In tre settimane Anna aveva recuperato la forma fisica, ma
non aveva mostrato il minimo interesse alla conoscenza dei propri problemi, era rimasta passiva nei
colloqui individuali e nei gruppi quotidiani di confronto.
Se ne andò. Passò circa un mese. Trainata dal padre inferocito Anna tornò. Era fatta:volto inespressivo,
pupille a spillo, rese ancora più evidenti dall’iride azzurra. Era stata relegata in camera sua senza il
permesso di uscire. Ma la camera aveva ovviamente una finestra e, sotto, passava e ripassava il suo
ragazzo, un tossicomane, un piccolo spacciatore che non voleva perderla ne come fidanzata ne come
finanziatrice…
Quest’ultimo esempio ha, però, un risvolto positivo. Il padre di Anna non chiude gli occhi,vigila e, anche
se a modo suo, interviene. Ma è comunque negativo e tipico della categoria che potremmo chiamare fai
da te: nessuna richiesta di pareri competenti e un sostanziale rifiuto della scienza medica, psichiatrica.
Nel campo delle tossicodipendenze succede tanto spesso che possiamo considerare questo modo di
comportarsi come un sintomo specifico del nucleo famigliare in cui ci sia un caso di tossicomania. Come il
tossicomane compie con la droga un tentativo di automedicazione così la sua famiglia,attraverso il fai da
te, ripete l’automedicazione.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 2 SESSIONE 1 – QUESTO SIGNIFICA CHE ANCHE LA FAMIGLIA
DEL TOSSICODIPENDENTE E’ MALATA? – PARTE A
Nel libro “Un buco nell’anima guarire dalla malattia droga“ di Guido Vergani dialogo con Roberto Bertolli
e Furio Ravera (2002)-LIBRI SCHEIWILLER, si afferma quanto segue in riferimento alla domanda “Questo
significa che anche la famiglia del tossicodipendente e’ malata?”: “In qualche maniera, sì. Ma è
necessario spiegare bene cosa si intende per famiglia malata. La famiglia può essere rappresentata come
un sistema di relazioni molto complesso. Ciascun membro si impegna in un suo modo peculiare,
influenzando così il sistema. La malattia droga, il disagio psichico di uno dei membri producono una
variazione negativa del sistema che tende a irrigidirsi in meccanismi monotonamente ripetitivi. Ognuno
dei familiari si sente come costretto all’interno di un ruolo, una specie di cristallizzazione dell’identità.
…Questo incarceramente dentro i ruoli riduce notevolmente l’efficienza dei vari membri del sistema e,
quindi, del sistema stesso di fronte ad un problema. Accade così che ogni familiare appare più impegnato
a dare espressione al proprio ruolo che a trovare una soluzione. E’ quel che abbiamo constatato negli
ultimi quindici anni, lavorando con i tossicomani e i loro familiari e confrontando le nostre affermazioni
con il patrimonio culturale delle varie correnti della psicologia contemporanea.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDOVERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 2 SESSIONE 2 – QUESTO SIGNIFICA CHE ANCHE LA FAMIGLIA
DEL TOSSICODIPENDENTE E’ MALATA? – PARTE B
Ci si chiede se questo chiudere gli occhi, questo minimizzare possano diventare sostanziale complicità.
Si afferma nel testo “Un buco nell’anima – Guarire dalla malattia droga”: “…Nello spiegare ai genitori
che cosa è capitato al loro ragazzo, alla loro figliola, noi non abbiamo sfumature perché si rendano
conto che di malattia si tratta. Siamo franchi, anche nel portare in primo paino rel responsabilità
familiari, le eredità genetiche. Sono molto i fattori che provocano l’evento droga. Il tossicomane ha
probabilmente ereditato una certa struttura del carattere o della psiche. Come si eredita un certo tipo
di fegato, di pancreas, così si eredita anche un certo sistema nervoso. Gli studi testimoniamo che la
vulnerabilità dell’abuso ha anche un’origine genetica. Poi, ecco la trama dei sentimenti, degli eventi
delle storie familiari che hanno, per così dire, concimato le fragilità, gli scompensi di quel tessuto
psichico e caratteriale di quella personalità.”
E’ dunque meglio raccontare la realtà: “Meglio, perché di fronte ad un figlio che si sta uccidendo, è
spaventoso, è devastante non tentare di comprenderne tutte le cause… Interrogarsi sui propri errori
su quel che non si è fatto… anche sul troppo che si è dato. Noi abbiamo avuto tanti genitori che
hanno combattuto con dignità, amore e grinta che si sono dati da fare. Se la comunità riesce ad
instaurare una corretta collaborazione con la famiglia, e in particolar modo con il padre, nel 90% dei
casi i ragazzi guariscono.
…Se, in queste situazioni di emergenza, in queste burrasche, il padre riagguanta saldamente il timone
della barca, che magari aveva lasciato per il troppo lavoro, per vicende coniugali, sentimentali o
disattenzione, la fine del tunnel si fa assai più vicina. Il problema è che, a volte, non avviene e il timone
non ha mani o ha mani senza polso. A volte la debolezza diventa complicità, collusione.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 2 SESSIONE 3 – QUESTO SIGNIFICA CHE ANCHE LA FAMIGLIA
DEL TOSSICODIPENDENTE E’ MALATA? – PARTE C
Ci soffermiamo ora sul tema della complicità. Si afferma nel testo: “C’è la complicità del non vedere, della
parziale coscienza di quel che è il figlio. Spesso, i genitori alimentano dentro di loro un’immagine che non
c’è più: il figlio buono, bravo, affettuoso. Un po’ grossolanamente, per andare meglio a segno, noi
diciamo a questo mezzi-ciechi:“Cominciate a vedere il Mario canaglia, a fare i conti con lui, perché solo
così riuscirete,riusciremo, ad aiutare quell’altro Mario, il buono.”…Talvolta, i tossicomani sono i più
deboli, non i più malati della famiglia. Il malato vero è solo più forte e non ha inciampato: il suo
malessere non è venuto in superficie, è rimasto nel profondo. Spesso, come dicevano i vecchi psichiatri, il
malato è l’unica grondaia che scarica il tetto. Le altre sono otturate. Quando piove, l’acqua ha quel solo
scarico e straborda. Il malato, magari, è l’unico che esprime, rompendosi per fragilità, la patologia della
famiglia.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 2 SESSIONE 4 – QUESTO SIGNIFICA CHE ANCHE LA FAMIGLIA
DEL TOSSICODIPENDENTE E’ MALATA? – PARTE D
…Certo, la complicità è di per se malata. Nella fase di disintossicazione in clinica, il ragazzo riceveva dalla
madre panettoni su panettoni. Eravamo sotto Natale, ma quell’assiduità dolciaria ci insospettì, aprimmo
un panettone, lo affettammo e dentro ci trovammo una dose di eroina e una siringa. La mamma ci disse
che non resisteva all’idea che suo figlio soffrisse per la forzata astinenza.
Un padre ci portò il suo ragazzo. Noi nel colloquio di avvio, siamo molto espliciti, facciamo contratti
terapeutici molto severi in modo da chiarire sin dall’inizio che sarà un’esperienza dura, con regole
inflessibili sia per i genitori, sia per il paziente. Quel padre annuiva, condivideva i nostri
comandamenti,faceva la predica al figlio che protestava. Andarono al bar della clinica e, ce lo raccontò
chi stava dietro al bancone, il padre disse al figlio: “Tu, al dottore, digli sempre di si che,poi, noi due ci
mettiamo d’accordo”.
…Esempi di patologica debolezza, di amore malato, ce ne sono a centinaia. Quando i ragazzi dopo un
lungo periodo di cure in comunità, iniziando la fase del rientro, arrivano a Milano e si riavvicinano alle
famiglie, devono vivere autonomamente e mantenersi con il lavoro che si sono cercati, niente soldi,
niente regali dai genitori. Questo è più di un consiglio. E’ una regola del patto terapeutico”.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 3 SESSIONE 1 – “TUTTO E SUBITO” PUO’ INQUINARE LA
MENTE, IL COMPORTAMENTO DEI PIU’ FRAGILI – PARTE A
Come viene evidenziato nel libro “Un buco nell’anima – Guarire dalla malattia droga”: “I colloquio con i
genitori dei ragazzi in cura testimoniano che, nella stragrande maggioranza dei casi, le famiglie dei
tossicomani hanno un comune denominatore: un bisogno del figlio assume le caratteristiche di un
turbamento dello stato di quiete. Per evitare l’ansia generata dall’insorgere di un bisogno, queste
famiglie sono sempre più disposte ad anticipare i bisogni stessi, senza interrogarsi su di essi. Da qui, le
radici del cattivo rapporto che i tossicomani hanno con i loro desideri. Quando non si verifica quel
“tutto e subito” al quale sono stati abituati, vivono i bisogni come un disturbo, perché questi, per essere
soddisfatti, impongono di costruire un progetto, di perseguirlo e di attendere i tempi di realizzazione.
…L’esperienza clinica ci ha dimostrato che tale aspetto è molto frequente nelle storie dei
tossicodipendenti e che è un terreno favorevole alla droga, droga capace di spegnere le emozioni che
segnalano l’urgenza del bisogno e di produrre al contempo una sensazione di pseudo benessere.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 3 SESSIONE 1 – “TUTTO E SUBITO” PUO’ INQUINARE LA
MENTE, IL COMPORTAMENTO DEI PIU’ FRAGILI – PARTE B
Ci si domanda se un trauma può essere anche l’eccessiva protezione. Si afferma nel testo “Un buco
nell’anima – Guarire dalla malattia droga”: “Spesso la tossicomania è il rifiuto del dolore da parte di
ragazzi allevati nell’assurda certezza del “tutto facile”, educati come se fosse possibile tenere sempre a
distanza il dolore… In questi anni di lavoro abbiamo osservato che il tossicomane e i suoi famigliari sono
spesso accomunati dal fatto di non tollerare a sufficienza l’esistenza di problemi e dal fatto di negarne
l’esistenza quando la soluzione non è a portata di mano. La nostra esperienza ci ha portati a formulare
un’ipotesi sulla famiglia del tossicomane, ovvero sul modo in cui il sistema di relazione di una famiglia si
ammala fino ad arrivare a “produrre” la tossicomania in uno dei suoi membri.
…L’impressione più frequente è quella di trovarsi di fronte a nuclei famigliari nei quali è prevalente
l’impiego meccanismi di negazione come sistemi di difesa dalla frustrazione e dal dolore. Nella storia di
questi pazienti, abbiamo spesso individuato la comparsa di strategie di “evitamento”, un vero e proprio
disturbo di personalità… Strategie che trovano la complicità della famiglia. Ecco, allora, le storie
scolastiche con continui cambiamenti di ginnasi e licei… Ecco, la promozione quasi “comprata”… Ecco, le
stesse tecniche di “evitamento” di qualsiasi ostacolo nelle amicizie, nelle relazioni sentimentali, persino
nella pratica dei divertimenti sportivi… Ecco, la famiglia che non educa alla realtà e ai suoi inevitabili
dolori, alle sue incombenti frustrazioni.
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BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 3 SESSIONE 3 – “TUTTO E SUBITO” PUO’ INQUINARE LA
MENTE, IL COMPORTAMENTO DEI PIU’ FRAGILI – PARTE C
Alla domanda “Cosa può fare, come si deve comportare la famiglia?”, rileviamo quanto segue: “…Per la
terapia, la famiglia migliore è quella che accetta di andare al fondo del dolore, di non fermarsi al primo
sollievo. Il tossicodipendente è un’entità immedesimata nell’esecuzione di un gesto il “farsi”,
monotamente uguale, mentre intorno a lui la famiglia si agita febbrilmente per fermare quel gesto
autodistruttivo. Si sviluppa così un potente ricatto d’ansia e di paura cieca che altera la visione del
traguardo, del’obiettivo. Allora,spesso si punta alla disintossicazione, alla sospensione dell’assunzione di
sostanze come traguardo finale, mentre un reale risultato terapeutico è raggiungibile solo se si mettono
in atto cure tese a modificare quel che sta sotto alla tossicomania, solo se il tossicodipendente e la sua
famiglia compiono il passo della comunità terapeutica o di serie cure alternative. Concludere la prima
tappa è consolatorio, ma non risolve il problema.
…Per il tossicomane il silenzio del sintomo è illusorio; per i familiari è un sollievo che placa la lunga,
tremenda, devastante ansia. Accontentarsi significa essere nuovamente complici di un “evitamento” del
dolore. La “restituzione del dolore”, al tossicomane e a ciascun membro della sua famiglia è un processo
di conoscenze e chiarificazione che attribuisce a ciascuno le sue angosce, in una strettoia che nega
consolazioni ma prevede il sollievo solo nel radicale dissotterramento di quel che c’è sotto al sintomo e
nel definitivo cambiamento.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO “UN
BUCO NELL’ ANIMA GUARIRE DALLA MALATTIA DROGA“ DI GUIDO VERGANI DIALOGO CON ROBERTO
BERTOLLI E FURIO RAVERA (2002) – PARTE 3 SESSIONE 4 – “TUTTO E SUBITO” PUO’ INQUINARE LA
MENTE, IL COMPORTAMENTO DEI PIU’ FRAGILI – PARTE D
Si afferma inoltre nel testo “Un buco nell’anima – Guarire dalla malattia droga”: “I familiari devono
accettare la pena del distacco, della certezza che il figlio cresce quanto più si separa da loro, di una
lontananza programmatica, con rare telefonate e rarissime visite. Devono accettare la fatica dell’anima di
guardarsi dentro confrontandosi con altri genitori in riunioni settimanali. Devono soprattutto accettare
che il proprio figlio soffra per trarre dalla sofferenza la forza e l’impulso a modificare la condizione che
lo fa soffrire. Alle famiglie dei tossicomani noi promettiamo lacrime e un lungo percorso.
Ci chiedono tranquillità e noi restituiamo ansia e dolore. Non solo per lealtà. E’ un atto terapeutico. Quasi
sempre i genitori si aspettano che la comunità e il successivo cammino curativo, nella fase di rientro,m gli
restituiscano il figlio di prima.
…Ma non è quel “prima” che gli restituiremo la guarigione non passa da quel “prima”,anzi è il distacco da
come si era, anche da come si era quando non ci si drogava. Il ruolo del figlio all’interno della famiglia
non sarà più lo stesso. Se la terapia ha funzionato, il ragazzo non sarà più in linea con il progetto
vagheggiato dal padre o dalla madre. Sarà la realizzazione di un autonomo progetto esistenziale. Nelle
patologie da dipendenza… i figli sono quasi “siamesi” dei genitori e guarirli addestrarli all’autonomia è
come amputare un braccio al padre, alla madre. Per questo occorre essere molto chiari nel momento del
contratto terapeutico. Un figlio guarito equivale ad un figlio cambiato, cresciuto. E crescere non vuol dire
snaturarsi. Se giocano con onesta questa difficile partita, anche i genitori cambiano. Nel corso della
terapia, tutta la famiglia si riassetta su equilibri più sinceri.
…Ci si chiede se giocare con onestà significa impegnarsi, partecipare parallelamente alla terapia
attraverso gli incontri settimanali fra genitori, fare un muro contro i possibili rigurgiti di debolezza del
figlio? Tutto questo, ma anche qualcosa di più. Significa affidarci il ragazzo perché davvero
guarisca e non per liberarsi comunque da quella presenza angosciante e devastante. Succede, ed è anche
legittimo che una famiglia non ne possa più perché un tossicomane riesce a dilaniare tutte le esistenze
che gli ruotano attorno”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 1 SESSIONE 1 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE A
Riportiamo alcune riflessioni di Murray Bowen, psichiatra e professore alla Georgetown University,
Washington D.C., una delle figure di primo piano della terapia familiare e relazionale americana.
Dal testo di Murray Bowen “Dalla famiglia all’individuo – La differenziazione del sé nel sistema
familiare” (1979).
Riportiamo alcuni stralci del capitolo “La Teoria della famiglia nella pratica clinica” in cui si fa
riferimento agli orientamenti teorici e clinici dell’autore.
“La mia esperienza con le famiglie dura da dodici anni e comprende più di diecimila ore di
osservazione di famiglie in psicoterapia. Durante i primi cinque anni di pratica “familiare” ho anche
fatto delle psicoterapie individuali e avuto pazienti in psicoanalisi, Il termine “psicoterapia familiare”
era riservato alla situazione in cui due o più componenti della famiglia erano visti insieme. Lo sforzo
tecnico consisteva nell’analizzare il processo emotivo già esistente tra i membri della famiglia e nel
cercare di mantenermi emotivamente al di fuori di essa, cosa che chiamavo: “Non coinvolgermi nel
transfert”. Di ciò discuterò in seguito. In quegli anni mi servivo del termine “psicoterapia individuale”
nel caso in cui vedevo solo un componente della famiglia. Non avevo ancora sufficientemente
elaborato il mio funzionamento emotivo, ne sviluppato tecniche per evitare il transfert.
…Facevo una distinzione netta tra psicoterapia famigliare e individuale. La consideravo famigliare quando
il processo emotivo riguardava l’ambito della famiglia e individuale quando ciò non era possibile. In
quegli anni un altro processo evolutivo si stava compiendo. Dopo aver trascorso migliaia di ore in sedute
con le famiglie, diventò sempre meno possibile vedere un individuo senza “vedere” tutti gli altri
componenti della famiglia seduti come fantasmi assieme a lui. La percezione di una persona come
segmento di un più ampio sistema familiare ha diretto il mio modo di riflettere e di rispondere
all’individuo cambiando il mio approccio di base alla psicoterapia.
Durante gli ultimi sette anni, il mio lavoro è stato interamente rivolto alla psicoterapia della famiglia,
anche se circa un terzo delle ore è stato dedicato a un solo componente di una famiglia. La maggior parte
dell’esperienza clinica si è concentrata nella pratica privata. Vedendo una quarantina di famiglie per un
massimo di trenta ore alla settimana. Negli anni passati ho visto poche famiglie più di una volta alla
settimana; ho poi constatato che un numero di famiglie sempre maggiore raggiungeva gli stessi risultati
con appuntamenti meno frequenti. E’ stato difficile per me comunicare la nozione di come evitare il
transfert, come pure quella di fare psicoterapia familiare lavorando solo con un membro della famiglia.
Spero sia possibile chiarire tale concetto in questo articolo.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 1
SESSIONE 2 – RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE B
…Osservando insieme i membri della famiglia si possono notare numerose sfaccettature del fenomeno
umano, oscure in qualsiasi forma di intervista individuale. Ogni persona che osservi quotidianamente
famiglie i cui membri sono in relazione tra loro e in interazione di dati clinici che non corrispondono a
modelli concettuali individuali.
Uso i termini “sono in relazione con” e “interagiscono con” perché questi sono alcuni dei termini
inadeguati usati per descrivere il fenomeno famiglia. Di fatto i componenti della famiglia sono, fanno,
agiscono, interagiscono, assumono posizione, in una tale varietà di modi che struttura e ordine sono
difficili da vedere. Qualcosa è sbagliato in ogni termine usato. Fino ad ora le ricerche nel campo della
famiglia hanno cercato di isolare certe aree per studi selezionati e controllati.
…Nel 1957 uno dei miei collaboratori fece uno studio su: “Il dialogo agito in una intensa relazione”
concentrandosi sul non verbale. Questo voleva essere un tentativo di ricostruire un “dialogo” coerente
da una sequenza aggressiva tra una madre e una figlia,eliminando l’audio. Birdwhistell e Scheflen hanno
dato un contributo significativo,definendo come “cinesi” il sistema di “linguaggio del corpo” automatico
in ogni rapporto.
Una delle aree di studio prescelte è stata quella della “comunicazione” che a livello più semplice è quella
verbale. Sono stati elaborati studi sul linguaggio e sui diversi tipi di comunicazione trasmessi sotto forma
di sfumature nel tono di voce, inflessioni, modi di parlare – comunicazioni che ciascuno apprende fin
dall’infanzia e usa senza “sapere” di saperlo.
…Bateson, Jackson e collaboratori, partendo dall’analisi della comunicazione verbale,hanno sviluppato la
loro teoria del “doppio legame”, rilevando all’interno di un’unica affermazione messaggi conflittuali. In
alcune famiglie, le comunicazioni non verbali e le percezioni extrasensoriali agiscono anche in modo
preciso. Il vantaggio di usare termini come “comunicazione” o sistema “transazionale” consiste nel fatto
che si presta a una più precisa analisi di ricerca. Lo svantaggio invece è che il concetto è limitato e che
perciò è necessario usarlo con ampi margini di interpretazione. Per esempio, nella voce “teoria
della comunicazione” deve rientrare tutta una gamma di comunicazioni: quella verbale, quella tramite
l’azione, quella non verbale, quella extrasensoriale, le comunicazioni emotive; a tutto ciò si aggiungono
altre modalità quali la risposta viscerale di un componente della famiglia all’ansia o il cambiamento di un
umore in un altro. Qualunque sia l’approccio usato ogni ricercatore deve scegliere il proprio modo di
concettualizzare il fenomeno famiglia.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 1 SESSIONE 3 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE C
…Un sorprendente gruppo di modelli clinici, presenti in certo grado in tutte le famiglie,darà una visione
sintetica del sistema relazionale della famiglia. Essi seguono il modello generale del processo familiare
che diagnostica, classifica, attribuisce caratteristiche a certi componenti della famiglia. Le osservazioni
possono dimostrarsi ragionevolmente congrue, saltuariamente congrue oppure incongrue secondo le
dichiarazioni fatte da una famiglia in merito a una situazione. In un mio lavoro ho descritto in dettaglio il
“processo di proiezione della famiglia” tramite il quale un problema viene trasmesso a un membro
della famiglia durante anni di rimproveri e di critiche poi codificate da una diagnosi. Nella famiglia le
sopravvalutazioni sono irrealistiche quanto le sottovalutazioni, anche se queste ultime sono più frequenti
nell’ambito psichiatrico. Colui che è stato etichettato può resistere alle osservazioni della famiglia e
provocare una discussione, oppure può opporsi e ammetterle, o anche sollecitarle. In quest’ultimo caso
le caratteristiche assegnate diventano un fatto operativo.
…Le discussioni della famiglia su argomenti quali “rifiuto” “amore” e “ostilità”,costringeranno il terapista
a valutare di nuovo l’uso che egli stesso fa di tali termini. Secondo me, il “rifiuto” è uno dei meccanismi
più utili per mantenere l’equilibrio in una situazione di relazione. E’ costantemente presente tra la gente
e di solito non menzionato. A un certo punto di questo processo uno dei comportamenti della famiglia
solleva vivacemente il problema del rifiuto e la discussione ha inizio. Quando il rifiuto è presente in tutti i
componenti della famiglia, è colui che protesta per “il rifiuto” a rifiutare gli altri, piuttosto che l’inverso.
Dichiarazioni positive sulla presenza o l’assenza di “amore”, accompagnate da reazioni e controreazioni
possono trovare spazio senza che ci sia prova oggettiva di un cambiamento affettivo all’interno della
famiglia. Qualunque cosa s’intenda per amore, è un fatto che molti componenti della famiglia reagiscano
con forza a dichiarazioni sull’argomento. Il cattivo uso e l’abuso del concetto di “ostilità” rientra
nella stessa categoria. La medesima cosa si può dire in termini quali “maschile”,“femminile”,
“aggressivo”, “passivo”, “omosessuale”, “alcolista”.
…Un buon esempio è rappresentato dall’uso del termine “alcolista”. In una famiglia, da due generazioni
si parlava del nonno come di un “alcolista”. Il nonno aveva avuto successo,era stato abbastanza
responsabile, tranne che con sua moglie, donna molto ansiosa. Trovò un motivo per andare a vivere
lontano da lei, da allora in poi non bevve che moderatamente. La definizione che di lui aveva dato la
moglie fu accettata dai figli e trasmessa ai nipoti. Una terapia da me fatta con un’altra famiglia illustra un
altro aspetto del problema. La moglie aveva descritto nei minimi dettagli l’alcolismo del marito, io le
chiesi che ne pensava del problema. Egli convenne di avere effettivamente un problema con gli alcolici,
Quando gli chiesi quanto beveva s’adirò: “Senti, scocciatore, se ti dico che ho un problema con l’alcol, ce
l’ho veramente!”. Quando gli fu chiesto quanti giorni lavorativi aveva perso a causa del bere disse: “Uno!
Me ne sono proprio preso uno quella volta!”. Può essere grossolanamente inaccurato scambiare per
realtà dichiarazioni come queste: “Era un alcolista”. Può essere invece accurato e anche indicativo di una
realtà del sistema di relazione prendere la dichiarazione così: “Un componente della famiglia ha
detto che un altro era alcolista”. Tale metodo va applicato all’intera gamma dei termini usati nel sistema
relazionale della famiglia.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 1 SESSIONE 4 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE D
…”Tratterò ora del concetto di famiglia come sistema. Per il momento non cercherò di definire di che tipo
di sistema si tratti. Non una sola parola o termine potrebbe essere adeguato senza ulteriore precisazione,
e la precisazione falserebbe il concetto di sistema.
La famiglia è un sistema nella misura in cui il cambiamento di una parte del sistema è seguito da un
cambiamento comprensorio di altre parti del sistema. Preferisco pensare alla famiglia come a una varietà
di sistemi e sottosistemi. I sistemi funzionano a tutti i livelli di efficienza, che vanno da un livello ottimo a
quello di totale malfunzionamento o fallimento. E’ necessario anche pensare in termini di
superfunzionamento. Esso può variare da una compensazione della super funzione ad una non
compensazione della superfunzione stessa… Il funzionamento di ogni sistema dipende dal
funzionamento dei sistemi più ampi di cui fa parte e dei suoi sottosistemi.
…”Partendo dall’osservazione delle famiglie ho cercato di definire e di concettualizzare sia alcuni dei
modelli ripetitivi di funzionamento della famiglia, sia il modo in cui i vecchi modelli si attenuano e i nuovi
cominciano a predominare. La ricerca è iniziata con la schizofrenia: un componente della famiglia era in
uno stato di disfunzione totale e di collasso. Le modalità erano così chiare da non poter sfuggire, ma per
collocarle in una prospettiva più ampia era necessario lavorare tenendo conto dell’intero spettro di
disfunzione umana. Uno degli aspetti più importanti della disfunzione famigliare consiste nel pari livelli di
superfunzionamento di un’altra parte del sistema... Da una parte questo è un meccanismo reciproco e
flessibile che agisce lentamente: un componente della famiglia automaticamente funziona di più per
compensare il cattivo funzionamento di un altro che è temporaneamente malato. Ci sono poi gli stati
cronici, fissi di superfunzionamento di disfunzione in cui non vi è più flessibilità. Un esempio potrebbe
essere quello della madre dominante e del padre passivo. La super attività di solito è vista come
necessità a compensare lo scarso funzionamento dell’altro.
…Alcuni dei principali modelli di funzionamento osservati nelle famiglie sono stati formulati in concetti
base che includono la teoria familiare della malattia emotiva. Sarebbe più accurato parlare proprio di
“disfunzione familiare”. Modalità generali di disagio emotivo riscontrabili nella famiglia, sono anche
presenti in malattie fisiche e in disfunzioni sociali quali il comportamento irresponsabile e la
delinquenza… I sintomi dovunque compaiano nella famiglia sono prove di disfunzione, sia che appaiano
in una veste emotiva, fisica, conflittuale o sociale. Risultati promettenti si sono ottenuti quando
si è cercato di vedere i sintomi emotivi come prove di disfunzione familiare, piuttosto che come fenomeni
intra-psichici.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 2 SESSIONE 1 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” –PARTE E
…Secondo Bowen: “Anche il terapista fa parte del concetto di famiglia come sistema. E’ una
combinazione di sistema teorico-terapeutico in cui la teoria determina la terapia e le osservazioni che
emergono dalla terapia possono a loro volta modificare la teoria. Ho continuato a seguire l’ottica
originaria pur modificando continuamente sia la teoria che la terapia. Nel corso di questa mia ricerca, c’è
stato un sempre maggiore distacco emotivo dalla famiglie. Più famiglie si vedono e più ci si allontana dai
ristretti confini concettuali della teoria individuale, più ci si distacca da questi ultimi e più è facile vedere i
modelli familiari.
…per esperienza ho appreso che più un terapista impara di una famiglia più la famiglia impara di se
stessa e che più impara la famiglia più impara il terapista. E’ un ciclo continuo… Il terapista divenne da
una parte una specie di “esperto” nel comprendere i sistemi familiare, dall’altra una specie di
“ingegnere” nell’aiutarle a stabilire da sole il proprio equilibrio funzionale.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 2 SESSIONE 2 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE F
…Prosegue Bowen: “L’obiettivo generale perseguito era quello di aiutare i componenti della famiglia a
diventare esperti del sistema e capaci di riconoscerlo così bene da far si che la famiglia potesse riadattarsi
da sola senza l’aiuto di un esperto esterno, se e quando il sistema familiare fosse nuovamente sotto
tensione. L’ottimo si raggiunge quando il sistema familiare comincia a cambiare in direzione della
guarigione e quando i componenti importanti della famiglia sono sempre presenti alle sedute. In alcuni
casi la famiglia peggiorava durante la terapia: il più debole diventava ancora più debole, in risposta alla
superfunzione.
…Il terapista si pone sempre un problema iniziale: stabilire l’orientamento del sistema. La maggior parte
della famiglie sono inviate con diagnosi di disfunzione. Uniformandosi al modello medico, si aspettano
che il terapista mostri o dica loro come cambiare il figlio senza comprendere e modificare la parte che gli
riguarda nel sistema familiare … Io evito sia di formulare le diagnosi, sia di servirmi di altri concetti medici
quali malato o paziente.
Mi oppongo con tenacia alla tendenza della famiglia a considerarmi “terapista”. Al contrario cerco di
pormi come consulente di problemi familiare nelle prime sedute e come “supervisore” degli sforzi della
famiglia nel corso del tempo.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 2 SESSIONE 3 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE G
…Per Bowen: “La famiglia è un insieme di diversi tipi di sistemi. Può ben essere disegnata sistema sociale
o culturale, sistema di giochi, sistema di comunicazione, sistema biologico o in parecchi altri modi. Ai fini
della definizione del sistema teorico-terapeutico, penso alla famiglia come ad una combinazione di
sistemi emotivi e relazionali. Il termine “emotivo” si riferisce alla forza che motiva il sistema e
“relazionale” al modo in cui si esprime.
Quest’ultimo comprende la comunicazione, l’interazione e altre modalità di rapporto.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DALLA FAMIGLIA ALL’INDIVIDUO – LA DIFFERENZIAZIONE DE SE’ NEL SISTEMA FAMILIARE“ DI MURRAY
BOWEN (A CURA DI MAURIZIO ANDOLFI E MARCELLA DE NICHILO) (1979) – PARTE 2 SESSIONE 4 –
RIFLESSIONI SU: “LA TEORIA DELLA FAMIGLIA NELLA PRATICA CLINICA” – PARTE H
Secondo Bowen in letteratura ci sono più discordanze che consensi sulla definizione e sulla relazione tra
emozione e sentimento. Sul piano operativo afferma l’autore: “considero un sistema emotivo qualcosa di
profondo in contatto con processi cellulari e somatici. Considero il sistema affettivo come un ponte che
da un lato è in contatto con parti del sistema emotivo, dall’altro con quelle del sistema intellettivo. Nella
mia esperienza clinica ho stabilito una chiara distinzione dei sentimenti (che hanno a che fare
con la coscienza soggettiva) e le opinioni (che concernono la logica e il ragionamento del sistema
intellettivo). La frequenza con cui la gente dice: “sento che…” quando intende dire: “credo che…” è così
comune che credo che molti usino le due parole come sinonimi. Qualunque sia la validità delle idee al di
la del modo in cui vengono scelti questi concetti, esse giocano un ruolo predominante nella scelta dei
concetti stessi.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 1 SESSIONE 1 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE A
Affermano Whitaker e Bumberry nel testo “Danzando con la famiglia”: “Il processo della terapia della
famiglia ruota intorno a persone/relazioni non ad interventi tecnici o astrazioni teoriche. In quanto
essere umano, il terapeuta è una figura centrale. Come affermano Betz e Whitehorn (1975): la dinamica
della psicoterapia si trova nella persona del terapeuta. Teoria e tecnica prendono vita e forma soltanto
quando sono filtrate attraverso la persona del terapeuta.
…”Come terapeuti saremmo sciocchi a non riconoscere l’enorme importanza che rivestono la nostra
personalità, i nostri presupposti filosofici e tendenze personali, ai fini del processo terapeutico. Le nostre
concezioni circa la natura degli esseri umani, il potere delle relazioni, l’essenza del ruolo del terapeuta,
dirigono le nostre emozioni spesso senza il consenso cosciente. Perché la psicoterapia sia effettivamente
un incontro umano, è necessario che il terapeuta abbia mantenuto la capacità di essere una persona. In
quanto terapeuti professionisti si deve essere interessati quanto basta a entrare nella famiglia e a
coinvolgersi in essa, pur mantenete abbastanza amor proprio per opporsi al mandato culturale di
sacrificare se stessi per salvare la famiglia… Ma il terapeuta professionista non può sperare di essere
utile, non parliamo poi di sopravvivere se viene troppo travolto dall’altruismo…
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 1 SESSIONE 2 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE B
Prosegue Whitaker nel testo “Danzando con la famiglia”: “Per essere utili ad una famiglia in difficoltà, il
terapeuta deve essere chiaro riguardo alla struttura del ruolo professionale che adotterà… Io ritengo che
la guida fondamentale del mio ruolo professionale sia il massimo potenziamento della crescita di tutte le
persone coinvolte nel processo terapeutico, compresa la mia crescita. Anzi, la mia forse più di tutte. La
mia capacità di essere utile agli altri è mantenuta soltanto se resto consapevole del mio bisogno di
crescere e di evitare l’esaurimento professionale. Tuttavia è più di una funzione preventiva: infatti quello
che ho da offrire è la mia capacità di essere autentico, di essere vivo durante le sedute, di rispondere in
modo personale. Ciò richiede che anche io tragga qualcosa dalla situazione non esiste in realtà il
cosiddetto altruismo puro”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 1 SESSIONE 3 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE C
Whitaker affronta la questione della responsabilità del terapeuta: “Una delle questioni più difficili per il
terapeuta è quella di identificare quale sia la sua responsabilità nei confronti della famiglia con cui
lavora. E’ un punto ingannevole per i presupposti impliciti, non detti, che contraddistinguono le posizioni
adottate. Tanto più un terapeuta sente il bisogno di prendersi la responsabilità del cliente, tanto meno
crede nella capacità di questi di essere una persona competente. Non dovremmo convincere i pazienti
che sono degli inetti. Per esempio, ho rimuginato a lungo sull’idea di interpellare il maestro di un
bambino per discutere i suoi problemi di comportamento. La ragione fondamentale è che non voglio
rafforzare l’idea che i genitori siano stupidi. Sono loro che devono parlare con l’insegnante, non io.
Conoscono il figlio meglio di quanto io potrò conoscerlo, lo amano più di quanto potrei amarlo io.
Prosegui l’autore: “La mia posizione è quella di sforzarmi di essere disponibile verso la famiglia senza
essere responsabile per loro. Tratto con loro ad un livello simbolico, “come se”, senza mai prendere un
effettivo ruolo di vita. Il mio scopo è di essere personalmente responsivo quanto più posso, voglio che
abbia luogo un interscambio a livello umano, ma sto attento ad evitare qualsiasi tentativo da parte loro
di delegare la responsabilità per la loro vita. E’ la loro partita, non la mia. In realtà, la mia responsabilità
consiste nello spingerli ad accettare la piena responsabilità per il loro modo di vivere”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 1 SESSIONE 4 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE D
Afferma Whitaker: “Date le mie personali tendenze e concezioni sulle persone, e su quanto comporta la
crescita, dovrò prendere alcune decisioni professionali… Pertanto ritengo mia responsabilità organizzare
la partita in favore del cambiamento. Voglio creare le condizioni che favoriscano la possibilità di una
crescita reale… Questa preparazione della partita richiede che tutta la famiglia partecipi alla seduta. Sono
convinto che l’organismo familiare sia la vera fonte del potere e dell’influenza; non dare la giusta
considerazione a questo significa creare una situazione in cui qualsiasi crescita sarebbe soltanto una
pseudo crescita che la rete familiare più estesa potrebbe disfare per ritornare all’originale equilibrio
omeostatico.
…”In questo settore, sarò colui che si assume la responsabilità. E’ un po’ il caso del chirurgo al quale
occorrono certi strumenti prima di iniziare un’operazione seria. Sarei stupido a cominciare senza la
possibilità che l’impresa abbia successo. La presenza di tutta la famiglia è l’unico modo che conosco per
generare sufficiente ansia e motivazione al cambiamento”...
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 2 SESSIONE 1 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE E
Per quanto riguarda la struttura del ruolo professionale Whitaker: “Oltre agli innumerevoli fattori
personali che influenzano il nostro modo di essere terapeuti entra in gioco il modello professionale più
formalizzato. La formazione professionale, i concetti e i valori che leggiamo nei libri, i corsi di
aggiornamento e i supervisori, sono tutti fattori che contribuiscono a questo modello in evoluzione… Una
delle prime questioni da affrontare è quella di definire che cosa sia un terapeuta. Come definisci il nostro
ruolo e la nostra funzione professionale? Che cosa siamo disposti a fare? Come sceglieremo di rispondere
nelle varie situazioni cliniche? Non esiste un modello clinico preconfezionato che possiamo adottare. La
nostra interpretazione ideografica delle idee altrui crea il nostro marchio di fabbrica particolare.
Esaminiamo questo problema.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 2 SESSIONE 2 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE F
Whitaker afferma: “Il ruolo del terapeuta sia una sorta di posizione genitoriale, forse più una funzione
pseudo genitoriale, dato che il mio investimento non è mai tanto grande come quello che pongo nel
mondo reale. Non sono disposto a portarmi a casa la famiglia se hanno bisogno di un posto dove
abitare… Il mio coinvolgimento appartiene più alla sfera del genitore simbolico. Forse il concetto che
rende meglio l’idea è quello di genitore adottivo temporaneo… Offro di essere coinvolto ma mi riservo la
possibilità di decidere che voglio uscirne, non è un impegno a vita, infine, c’è uno scambio di
denaro, il che rende chiaro il fatto che il nostro non è un rapporto di altruismo incondizionato. Partendo
da questo modello di base, è più facile evitare la tentazione di essere eletto al ruolo di coniuge, fidanzato
o fratello”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 2 SESSIONE 3 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE G
L’autore Whitaker riporta uno scorcio di una seduta di copia in crisi:
Moglie: Allora che ne pensa, dottore? Ha sentito quali sono tutti i nostri problemi e vede quanto sono
infelice? Sicuramente lei ha lavorato con altre coppie in situazioni simili. Crede che farei bene a
divorziare?
Terapeuta: Questo non saprei dirglielo. Tra l’altro, io non sono disponibile sono sposato da 47 anni e non
sono disposto a lasciare mia moglie per lei. E nemmeno credo nella poligamia.
Afferma Whitaker: “La mia risposta mira sia a portare in superficie la corrente manipolativa sotterranea,
sia a far notare l’assurdità di chiedere ad un altro di gestire la propria vita. Il concetto basilare
dell’associazione merita anche un esame più ravvicinato quando si lavora con le famiglie. Mentre è
relativamente facile riuscire a dare empatia e sostegno ad un individuo in difficoltà, la faccenda diventa
molto più complessa con la famiglia.
Qualsiasi commento facciamo viene udito e filtrato da varie orecchie. Un gesto di comprensione verso la
moglie viene interpretato dal marito come se lei ci avesse incantato al punto di farci credere alla sua
versione della storia. Se diciamo ad un genitore che è duro allevare i figli, questi ultimi pensavo che
stiamo dalla parte del nemico. Gli esempi di questa specie di errata interpretazione selettiva sono
innumerevoli.
La soluzione consiste nell’informarli che l’insieme della famiglia è il nostro punto focale,che non abbiamo
alcun interesse nel prendere posizione a favore o contro un singolo membro o sottogruppo, che stiamo
spingendo tutta la famiglia a crescere”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
“DANZANDO CON LA FAMIGLIA – UN APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE“ DI CARL A. WHITAKER E
WILLIAM M. BUMBERRY (1988) – PARTE 2 SESSIONE 4 – CAPITOLO 2 : “LA PERSONA DEL TERAPEUTA:
INTEGRITA’ PERSONALE E STRUTTURA DEL RUOLO PROFESSIONALE” – PARTE H
Secondo Whitaker: “Uno dei doveri fondamentali di terapeuti è quello di essere onesti. A nessuno serve
un sostegno fasullo. Essere una prostituta psicologica può offrire un certo grado di conforto distorto, ma
non è quello che serve. Quindi fa parte del ruolo stabilire le condizioni in cui si può sviluppare la libertà di
essere sinceri o onesti con loro, senza sputare sentenze. Quando contestiamo la famiglia agiamo in base
alla nostra onestà, non con l’intento di indurli ad accettare il nostro commento. Dire: “credo che non
siate sinceri” è un po’ diverso dal dire: “siete bugiardi”. Non accuso, ne voglio convincerli a qualcosa, ma
soltanto esprimere la mia impressione”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
.CONSIDERAZIONI NOTTURNE DI UN TERAPEUTA DELLA FAMIGLIA DI C. A. WHITAKER (1990)
SESSIONE 1- DEFINIRE IL CONTESTO DELLA TERAPIA FAMIGIARE-PARTE A
Secondo Whitaker, è importante definire il contesto della terapia famigliare, per l’autore: “ la condizione
essenziale per il successo della psicoterapia-l’anestesia necessaria per la sua riuscita- è la risonanza
personale che il terapeuta sperimenta in risposta alla sua introiezione del dolore della famiglia. Se il
terapeuta non è in grado di entrare in empatia con questo dolore, non riuscirà a portare avanti una
buona psicoterapia”.
Abbiamo selezionato alcuni dei criteri terapeutici, a nostro avviso significativi,suggeriti da Whitaker:
• - Il terapeuta deve programmare il tempo, il luogo e lo spazio.
• - Quando comincia la terapia, il terapeuta deve imparare ad impedire che la famiglia si scinda in fazioni.
• - Il terapeuta deve essere libero di aggiungere creatività ai processi di cambiamento che i membri della
famiglia cominciano ad elaborare man mano che essi definiscono la loro posizione “io”.
• - I migliori risultati il terapeuta li ottiene prendendo meta-iniziative. Le meta-iniziative includono la sua
iniziale empatia con la famiglia, quindi l’individuazione rispetto alla famiglia stessa, per provare che è una
persona distinta e,infine, il suo riavvicinamento per incoraggiare i singoli membri a definire e ricostruire
la famiglia come unità.
- Il terapeuta deve stimolare gli aspetti dell’unità famigliare che emergono durante la seduta
psicoterapeutica
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
.CONSIDERAZIONI NOTTURNE DI UN TERAPEUTA DELLA FAMIGLIA DI C. A. WHITAKER (1990)
SESSIONE 2- DEFINIRE IL CONTESTO DELLA TERAPIA FAMIGIARE-PARTE B
Whitaker afferma: “ Separiamo ora i quattro linguaggi della terapia famigliare: Il linguaggio della
sofferenza e dell’impotenza , che i membri usano quando arrivano; il linguaggio delle inferenze , che il
terapeuta usa , all’inizio, nello strutturare il processo famigliare;il linguaggio delle opzioni,che il
terapeuta utilizza nel pieno della terapia per aiutare la famiglia a sviluppare la libertà di essere
irrazionale e personale, e infine, il linguaggio della separazione che comporta il condividere e il
riconoscere che separarsi è un dolce tormento…E’ evidente che migliore è il contesto, migliore è il
processo. Sono convinto che processo sia fondamentalmente più importante di progresso:infatti non si
sa mai dove il processo possa condurre e il progresso può essere un’illusione”.
“La famiglia può estromettere, togliere potere al singolo terapeuta e spesso anche a una squadra di
terapeuti. E’ perciò fondamentale stabilire l contesto della terapia famigliare ed è meglio farlo prima
dell’inizio della terapia. Chiunque prenda i primi contatti con la clinica o con il singolo terapeuta
familiare, è la persona che corre maggiormente il rischio di distruggere la terapia prima ancora di averla
cominciata. Questo avviene quando cerca di manipolare la famiglia tentando di imporre un cambiamento
condotto secondo il suo modo di vedere e suscitando immediatamente la ribellione della famiglia. I
singoli membri vogliono decidere per conto loro, mentre la persona che ha fatto il primo passo è
sovente uno dei manipolatori della famiglia stessa. Così, quando il terapeuta riceve la telefonata, deve
stare ben attento a preservare la dignità e l’indipendenza della famiglia come unità e quella degli altri
membri, sia come individui, sia come diadi”.
SUPPORTO ALLA FAMIGLIA DEL PORTATORE DI DISAGIO PSICHICO E PSICOPATOLOGIA: DAL TESTO
.CONSIDERAZIONI NOTTURNE DI UN TERAPEUTA DELLA FAMIGLIA DI C. A. WHITAKER (1990)
SESSIONE 2- DEFINIRE IL CONTESTO DELLA TERAPIA FAMIGIARE-PARTE C
Whitaker suggerisce come affrontare una richiesta di appuntamento da lui definita alla cieca:
“Raramente accetto la richiesta iniziale del tipo in cui la mamma chiama e dice:
P. il mio medico ha detto che la mia asma è psicosomatica che devo venire da lei.”
T. “Bene .d’accordo. Venga con suo marito e i bambini”.
P. “Ma non ne ho parlato a mio marito”
T. “Allora mi dispiace. Sarà meglio che lo faccia. Dopo, mi richiami di nuovo”.
P. “Mio marito non crede nella psichiatria”
T. “Benissimo se lui non crede nella psichiatria, è meglio che vi mettiate d’accordo fra di voi prima
di venire da me, perché non voglio che mi si rimproveri di aver causato il suo divorzio.”
Whitaker afferma che, poco dopo, la signora richiama dicendo che la famiglia è d’accordo sul prendere
l’appuntamento tutti insieme.
Adler di fronte alla malattia mentale assume un atteggiamento di fiducia. Egli pensa che lo stimolare nel
paziente l'interesse per gli altri consenta di imboccare un percorso di "cura": «La premessa più
importante alla guarigione è lo smantellamento della finzione rafforzata del malato, secondo la quale il
mantenimento dei propri valori può avvenire solo al di fuori della società e della logica comune» (4, p.
72). Ci si chiede come possa perseguirsi un incremento del sentimento sociale di fronte a pazienti chiusi
nella loro "solitudine artistica"? È indispensabile proporsi come «partner esente da rischi, che non voglia
cioè né umiliare, né imporre proprie soluzioni. Operata, con pazienza e gradi, la conquista affettiva, si
potrà dirigere verso l'obiettivo più ambizioso: avviare la coppia terapeutica verso la speranza e la
progettazione. La terza fase, che nei trattamenti adleriani assume una dimensione maggiore, è quella in
cui l'analista e l'analizzato percorrono assieme il grafico del recupero, sempre dentellato e spezzettato da
frustrazioni che sembrano in attivare il collaudo, dopo ciascuna delle quali il soggetto, aiutato dalla sua
guida, sappia accantonare le nostalgie di una nuova regressione» (lbid., p. 73).
INNO ALLA VITA In un negozio da me conosciuto c'era un bambino bello paffuto nella carrozzina era
disteso tra un respirar e l'altro un succhiotto muoveva il suo labbro. TI mio sguardo si abbassò fino a
scorgere il suo gli occhi miei si specchiavano, vagavano, cercavano in un mare calmo azzurro conciliante.
La mano mia si avvicinò e lui calmo l'afferrò tocco dolce e più deciso. Al contatto di quella manina il mio
cor sorrise corrisposta dal suo sguardo sorridente rassicurante modo il cor suo invitante. Stampato ho qui
nel petto il sigillo dell' amor. lo vorrei arrivare a voi, dentro noi, gli occhi riveder invitanti andare a-vanti.
Sulla strada lasciar cader vecchi brandelli bianchi stanchi Sorridere alla vita ricominciar a radunar forza,
coraggio, onestà, caparbietà. L'anima certa si rallegrerà ci ringrazierà ricordandosi quella scintilla
scaturita da un contatto della vita. In quel cucciolo di bambino incontrato quel mattino.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 1 SESSIONE 2 – FINZIONE E PSICOLOGIA INDIVIDUALE – PARTE B
Il termine finzione deriva da fingere e richiama alla mente il termine plasmare. La finzione può essere
dunque intesa come un modo di dar forma alla realtà, di rappresentarla. Se la finzione diviene
rappresentazione personale della realtà, è nel vivere "come se" che i pensieri, le emozioni e le percezioni
vengono elaborate in modo soggettivo, acquisendo così un significato personale.
Parenti, nel definire la finzione, la descrive come una modalità, in vario grado non obiettiva, di valutare
se stessi e il mondo, elaborata al servizio di finalità prevalenti che l'individuo persegue [20]. Possiamo
notare come il concetto di finzione,cardine del pensiero adleriano, tragga le sue origini dalla filosofia di
Hans Vaihinger.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 1 SESSIONE 3 – FINZIONE E PSICOLOGIA INDIVIDUALE – PARTE C
Secondo il filosofo la finzione «non ha bisogno di essere vera e neppure di apparire probabile; non è
sottoposta a verifiche sperimentali, ma è una figura retorica che viene conservata fintantoché si dimostra
utile e viene subito scartata quando cessa di essere efficace o quando può essere sostituita da un'altra
migliore» (23, p.726).
Vaihinger ne individua alcune tipologie, anche se il nostro interesse si rivolgerà in modo particolare a
quelle estetiche.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 1 SESSIONE 4 – FINZIONE E PSICOLOGIA INDIVIDUALE – PARTE D
Tale classificazione comprende:
- finzioni astrattive;
- finzioni simboliche o analogiche;
- finzioni euristiche;
- finzioni pratiche;
- finzioni estetiche.
Queste ultime sono considerate forme di rappresentazioni capaci di suscitare emozioni di alto livello,
come ad esempio la poesia e il sogno.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 2 SESSIONE 1 – ANALOGIA TRA SOGNO E POESIA – PARTE A
Adler sostiene come il sogno sia la fabbrica delle emozioni e come l'importante del sogno sia l'emozione
che lascia dietro di sé. L'attività del sogno è finzionale per i suoi aspetti simbolici, analogici, metaforici, Il
sogno, nell'ambito finzionale che lo caratterizza, fa sempre riferimento ad una simbologia soggettiva, che
si dipana in una dimensione pragmatica.
Il sogno può essere visto come luogo in cui il potere creativo della mente favorisce lo sviluppo di una
progettualità mirata al cambiamento. Le finzioni estetiche sono dunque legate all'attività onirica. Il tema
delle finzioni estetiche è affrontato da diversi autori, i quali ci invitano a riflettere sull'analogia tra poesia
e sogno.
Già Alexander Gottlieb Baumgarten, filosofo tedesco vicino a Leibniz, affronta la questione delle finzioni
estetiche e così si esprime: «L'immaginazione è un ingrediente psicologico che concorre alla forza o alla
virtù della produzione poetica, cui si ricollega, come in tutta la scuola leibnizio-wolffiana, l'ambito
delle finzioni» (9, p. 357). Per Baumgarten «ci possono essere delle finzioni strettissimamente vere,
quelle a cui non manca che la percezione: ciò che si apprende dal passato attraverso la storia, ciò che si
scorge da lontano nel presente, ciò che si progetta per il futuro, come la torre nell'anticipazione
dell'architetto» (lvi.)
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 2 SESSIONE 2 – ANALOGIA TRA SOGNO E POESIA – PARTE B
Jorge Luis Borges, da parte sua, sviluppa un'interessante riflessione. Secondo l'autore «il senso della vita
è il sogno. L'ha detto Schopenhauer e l'ha detto Hume. Si è sentito che c'era un'intimità, un intimo
legame tra i loro sogni e la vita. O piuttosto che la vita è una maniera del sogno. O che il sogno è una
maniera della vita ... e poi conviene credere nella possibilità di creare il proprio avvenire, modificare il
proprio avvenire. Questa è forse un'illusione, come un'illusione necessaria è il libero arbitrio. Ma per
continuare a vivere dobbiamo credere nei libero arbitrio, dobbiamo fare piani per un futuro certamente
incerto, e del quale l'unica cosa che sappiamo è che non potrà somigliare ai nostri sogni. Intanto facciamo
tutto come se fossimo immobili» (lO, p. 57).
Nicola Abbagnano riconosce negli stessi sogni che si accompagnano alle vicende della nostra vita reale,
espressioni e sintomi di un atteggiamento positivo dell'uomo di fronte al proprio incerto futuro. Per
l'autore i sogni non sono frutto dell'azione di chi vuole obliare o respingere la vita vissuta, ma sono
«barlumi di gioia, possibilità di vittorie e di pace che fanno da contrappeso agli aspetti negativi e' aiutano
a vincerli. Ben radicati nella realtà in cui viviamo, accettiamo il sogno che la vita ci offre» (1, pp. 121-122).
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 2 SESSIONE 3 – ANALOGIA TRA SOGNO E POESIA – PARTE C
Mauro Mancia, considerato uno dei padri delle neuroscienze in Italia così si esprime: «È la poetica del
sogno che conferisce una rappresentazione formale alle passioni che danno significato alle nostre
esperienze. Meltzer propone anche di estendere il concetto di linguaggio, così da includervi il sogno
inteso come un linguaggio interno, o meglio un linguaggio poetico che descrive il mondo interno. Ma
allora, se il sogno, come altre attività creati ve dell'uomo, è capace di dare ai significati emotivi di cui
sono cariche le esperienze una rappresentazione formale per mezzo di un linguaggio poetico,
quest'ultima, in quanto tale entra nel dominio dell'estetica [ ... ] possiamo pensare al sogno come ad un
momento privilegiato in cui la parte infantile dell'uomo usa la lingua interna della poesia per comunicare
lo stato della sua mente. Simbolizzazione e narrazione, insieme a condensazione e spostamento, all'uso
di metafore e metonimie, sineddoche e allitterazioni o di fenomeni di similarità e simmetria, permettono
un' omologazione tra il lavoro del sogno e i processi attivi nella poesia [ ... ] ambedue, sogno e poesia,
appaiono come una comunicazione interna al Sé che usa un linguaggio interno teso a trasformare
un'esperienza emotiva in una rappresentazione di uno stato della mente [ ... ] la bellezza del sogno
appare così analoga a quella della poesia [ ... ] l'attualizzazione del paradigma che si ha in un testo
poetico e la rappresentazione di un testo onirico entrano ambedue nel dominio dell'estetica» (16, p. 45).
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 2 SESSIONE 4 – ANALOGIA TRA SOGNO E POESIA – PARTE D
Alfred Adler in "Prassi e teoria della Psicologia Individuale" osserva a sua volta che «il sogno non usa
quasi mai - o solo in seguito ad una caratteristica particolare di chi sogna - avvenimenti recenti, immagini
del recente. Ma per risolvere un problema attuale esso ricorre a paragoni più semplici, più astratti, più
infantili, che hanno un sapore di immaginazioni più espressive, poetiche [ ... ] l'elemento analogico dei
pensieri del sogno appare sempre nel "come se" con cui la persona che sogna inizia il suo racconto» (3,
pp. 194-195).
Lo stesso autore in "Cosa la vita dovrebbe significare per voi" afferma che lo scopo dei sogni dev'essere
nelle emozioni che lascia dietro di sé. Il sogno è soltanto il mezzo,lo strumento per stimolare sentimenti e
sensazioni. Lo scopo del sogno sono i sentimenti che esso lascia dietro di sé [5].
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 3 SESSIONE 1 – IL SOGNO SI SERVE DEL LINGUAGGIO POETICO –
PARTE A
Nella poesia creare un 'immagine significa dare vita e corpo ad un aspetto reale dell' esistenza, mentre
invece se creiamo una forma in poesia possiamo offrire campo fertile alla fantasia dell'intelletto. Le
parole che compongono una lingua non vivono separate ma si richiamano tra loro o perché hanno in
comune il significato o perché sono in opposizione (contrari) o perché hanno in comune la forma, ma non
il significato (omonimi) o per associazione di idee.
La parola che ruota intorno ad un campo semantico si chiama parola-chiave ed è quella che racchiude
l'argomento stesso della poesia. Individuare la parola chiave significa comprendere il significato della
poesia. La parola chiave genera sempre un campo semantico. Per analogia, se pensiamo al sogno, è
proprio attraverso l'individuazione delle parole chiave del sogno che si sviluppano poi le associazioni
libere.
Secondo la Psicologia Individuale, attraverso l'individuazione delle parole chiave del sogno, possiamo
accedere ai dati della nostra parte emozionale.
Ascoltando i frammenti di terapia dei nostri pazienti, che ci provengono anche dal racconto dei loro
sogni, è facile cogliere l'ansia o il coraggio, l'allegria o la tristezza che pervadono una persona. Come
afferma Hillman «I sentimenti possono essere piacevoli e spiacevoli, costruttivi e distruttivi, espansivi e
ritentivi. Tutti questi sentimenti, queste sfumature, questi umori appartengono alla gamma
umana. Possono essere crudeli, malvagi e socialmente inaccettabili, ma la loro esistenza all'interno della
psiche fa parte della nostra natura. Sono potenzialità della nostra personalità, e la storia dell'uomo
presenta un'estensione incredibile di sentimenti possibili» (14, p. 102).
Il paziente che racconta la sua storia, il suo sogno, si serve del linguaggio poetico in quanto ci trasmette
emozioni che parlano attraverso il sentimento. Non possiamo parlare di sentimento senza far riferimento
all'emozione, considerata da Hillman evento totale della personalità, basata forse sull'affetto, che ha una
componente affettiva e contiene una dimensione di sentimento.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 3 SESSIONE 2 – IL SOGNO SI SERVE DEL LINGUAGGIO POETICO –
PARTE B
Pier Luigi Pagani, rifacendosi al pensiero di Adler, ribadisce che le emozioni sono da considerarsi come
delle dinamiche affettive capaci di conferire all'esistenza di ogni essere umano un'esperienza senza
confronti. Le emozioni del paziente si associano tra loro e nel loro esprimersi divengono poesia. Nel
seminario del 18 ottobre 2008 - organizzato dall'Istituto Alfred Adler di Milano presso l'Ospedale San
Carlo di Milano -, dall'emblematico titolo "Riconoscere le emozioni/vivere gli affetti" interessanti
risultano, a questo proposito, gli interventi di Pagani e Borgna.
Pier Luigi Pagani evidenzia gli stati emotivi che separano come l'ira, la tristezza, la nausea, l'angoscia e
che avvicinano come la compassione e che uniscono e separano nello stesso tempo come la vergogna,
invitandoci a riflettere proprio sulla loro caratteristica fondamentale e cioè di essere in grado di associarsi
tra loro.
Borgna evidenzia invece come le emozioni siano risposte affettive legate ad eventi che ci provengono
dall'esterno e mette in luce la loro rapida eclissi e il loro bruciarsi nel momento in cui si sperimentano. Il
linguaggio poetico del paziente si esprime nel rapporto psicoterapeutico attraverso emozioni che si
alternano spesso in modo vorticoso e contraddittorio e hanno il potere di sconvolgere.
Rollo May nel suo libro "L'amore e la volontà" così si esprime: «Un aspetto curioso che non cessa mai di
sorprendere le persone nel corso della psicoterapia,è che dopo aver confessato la loro collera, il loro
risentimento e persino il loro odio verso il coniuge, e dopo avergli mosso rimproveri per tutto il tempo
della seduta, finiscono per poi provare un sentimento d'amore verso di esso [ ... ] nel corso dell 'analisi il
negativo viene portato alla luce, con la speranza - che si rivela fondata abbastanza spesso da giustificare
questa regola - che il positivo abbia modo di emergere da sé [ ... ]. Amore e odio non sono in opposizione
polare ma procedono pari passo» (15, p. 146).
I sentimenti che si esprimono attraverso il racconto di un sogno sono paragonabili ad una poesia dove
l'immaginario, nel suo di spiegarsi attraverso le emozioni suscitate dalle associazioni libere del paziente,
diviene terapia. In questo senso le finzioni estetiche assumono la forma di rappresentazione capaci di
suscitare emozioni di alto livello.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 3 SESSIONE 3 – IL SOGNO SI SERVE DEL LINGUAGGIO POETICO –
PARTE C
Una comprensione del processo associativo delle emozioni può essere recuperata anche avvicinandosi
all'importante figura biblica di Giobbe. Una recente analisi del personaggio è stata sviluppata con
profondità da Gianni Vacchelli nel suo libro "Dagli abissi oscuri alla mirabile visione". Il libro di Giobbe
viene visto dall'autore come una tempesta di poesia altissima, di rivelazioni ed oscurità. Giobbe è l'uomo
delle emozioni, tormentato dalla sofferenza [22].
Ci troviamo di fronte ad una ricerca profondissima dove la gioia iniziale è instabile ma quella finale, che
passa attraverso la sofferenza, sarà solida. Giobbe,osserva Vacchelli, viene descritto come perfetto.
Purezza e perfezione sono la sua forza ma anche la sua debolezza. Vivendo infatti in funzione della
perfezione si rischia di non vivere pienamente e la lebbra che devasterà la pelle di Giobbe sarà per lui una
grande prova che susciterà nuove emozioni. Nel passaggio dal perfetto all'imperfetto Giobbe si rinnova.
L'autore biblico descrive un ambiente, un'atmosfera,una famiglia dove tutto è statico, soffocato e ciclico.
Giobbe nella sua perfezione è immaturo, ma uno "tsunami" presto si abbatterà su di lui, saranno
ondate violentissime dove tutto verrà sconvolto anche sul piano emotivo e ogni dolore potrà essere
compreso attraverso Giobbe. Il messaggio emotivo non è la sofferenza ma la legge ontologìca di
morte/resurrezione. Non c'è spiegazione per la morte dei figli e neppure giustificazione ma, secondo
Vacchelli, l'ecatombe narrata è simbolica e metaforica, il linguaggio del lutto giobbico deve essere
recepito in una ricerca di vita. Dunque ogni nostro dolore, anche se non giustificato,può essere fattore di
risveglio.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 3 SESSIONE 4 – IL SOGNO SI SERVE DEL LINGUAGGIO POETICO –
PARTE D
Ma il risveglio spesso è lentissimo ed è anche per questo, a nostro parere, che le psicoterapie possono
apparire interminabili e spesso dolorose e altrettanto doloroso sarà il distacco se assumerà una
connotazione abbandonica. Il paziente maturo dovrà prepararsi al distacco e interpretarlo in un'ottica di
rinascita, non come un dolore, ma come risveglio.
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 4 SESSIONE 1 – IL SOGNO DI FRANCESCA – PARTE A
Se il sogno è finzione estetica, in quanto tale, può essere visto come un dramma in cui si recitano diversi
ruoli quali quelli di autore, regista, attore, suggeritore e anche spettatore. Come afferma Marie-Louise
VonFranz, «se si cerca di capirlo in questa luce, esso offrirà al sognatore una comprensione il più delle
volte sorprendente di ciò che avviene psichicamente in lui "a sua insaputa", per così dire.
La sorpresa può essere penosa, piacevole o illuminante a seconda di come accettiamo nella nostra
coscienza il sogno-spettacolo» (12, p. 3).
Prenderemo ora in considerazi:one il sogno-spettacolo di Francesca. Il racconto del sogno è il seguente:
«Dicevo a mia madre ti odio, la guardavo dal basso in alto, come se fossi sdraiata, la respingevo». Dalle
associazioni libere di Francesca emerge che la parola chiave del sogno è "madre". Ripensando alla madre,
la definisce fredda ed insensibile. Le viene in mente il fumo, la luce rossa della sigaretta accesa in camera.
Ripensa alla vecchia casa dove tutti volevano andare a dormire a turno con papà.
«Noi sorelle dormivano in una stanza, mio fratello in un'altra». Ricorda un bel terrazzo. In quella casa ci
rimangono fino al compimento dei suoi 12 anni.
«Nella nuova casa ognuno ha la sua stanza. Papà non fumava. La mamma fumava in soggiorno ed io me
ne andavo in camera mia. Non si è mai posta il problema. Fumatrice accanita. Passava con la tazza di
caffè. L'odore di caffè non mi piaceva. Mix di caffè e fumo che disgusto! Provo ancora tanta rabbia. Mia
madre è ingombrante nella presenza anche se nella quotidianità cerco di non pensare a lei».
Le associazioni libere di Francesca evidenziano il tema della distanza. Francesca raccontando il suo sogno
accede alla sua parte emozionale, l'immaginario diviene terapia, la metafora è Francesca quando parla
del suo mondo interiore. Come nella poesia la parola chiave si fa rivelatrice di significati più profondi,
così nel sogno di Francesca la parola chiave "madre", attraverso il potere creativo della mente, diviene
rivelatrice di un vissuto emotivo costellato da sentimenti emotivi che separano. Nella storia di Francesca
ritroviamo il tema della "distanza".
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 4 SESSIONE 2 – IL SOGNO DI FRANCESCA – PARTE B
Francesca si laurea brillantemente in discipline letterarie e ritenendo di non poter raggiungere il massimo
dei risultati in quel settore si orienta alla scelta di un lavoro poco gratificante e non in linea con la sua
formazione. Il compagno con cui vive è spesso criticato e si rende conto di desiderarlo solo quando è
lontano per motivi di lavoro. Francesca decide di non frequentare più le amicizie comuni ad entrambi
perché si sente a disagio. Vive un senso d'inferiorità nei confronti delle altre coppie perché non ha figli e
non trova argomenti di dialogo costruttivi.
Francesca preferisce chiudersi in se stessa nell'affannosa ricerca di una distanza dall'altro, unica modalità
finzionale per sentirsi a proprio agio. A tre anni dall'inizio della psicoterapia nasce una figlia. Francesca si
sente una persona nuova.
Ecco come esprime le sue emozioni: «Ora mi sento forte rispetto a certe cose. Ho chiesto il part-time al
lavoro. Sono andata in ufficio leggera, senza paure. Mi sento più forte e decisa a rivendicare i miei diritti.
Prima ero impaurita». Prosegue Francesca: «Devo farcela, sono io la forza di mia figlia, non posso
permettermi di stare male, c'è la bimba. Prima riempivo il vuoto con il cibo. Non esisteva per me il
mondo esterno. Nei momenti in cui mi viene ancora voglia esagerata di cibo e quindi vivo un conflitto,
non faccio che ripetermi "Mia figlia non deve apprendere il mio modello, non deve cogliere la mia
modalità malata di gestire il cibo".
Quando mi viene l'ansia da cibo mi chiedo da dove viene il vuoto. Forse non sono felice e soddisfatta,
non lo sono mai stata. Il rapporto con il mio compagno ... è troppo difficile parlane. L'ho amato molto agli
inizi della nostra storia, adesso non so dire se mi piace. Sono stata con lui fino ad ora per fare un figlio. Mi
viene da dire me ne vado. Non so se voglio stare con lui, mi piace solo come papà. Non
riesco a pensarlo come compagno per la vita. Tante cose non mi piacciono di lui.
Ha dei momenti di rabbia forte, violenta. Una rabbia repressa che non mi piace.
Lui impronta tutto sul sesso. Mi fa star male. Lui è immaturo soprattutto a livello emotivo. Non di
ragionamento. Non sa gestire da adulto i suoi sentimenti, è in balia alle emozioni di un tardo
adolescente. Di lui mi ero fatta un'idea diversa. Pensavo fosse una persona forte e sicura ma non lo è.
Non è facile stare con lui,lui stesso ha bisogno di una persona più forte. Siamo simili, traballiamo sempre.
In una coppia uno dei due deve essere più forte. Due persone fragili non si possono aiutare. È un
ragazzino, non un uomo di quarantacinque anni. La sua volgarità mi fa pensare a mia madre, lei diceva
parolacce per intercalare, mi vergognavo di lei. Vorrei stare con una persona di cui essere fiera. Per
parecchi anni non ho parlato con mia sorella perché in lei vedevo me. Anni di silenzi e di lotta
contro il mio specchio. In lei rivedo me».
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 4 SESSIONE 3 – IL SOGNO DI FRANCESCA – PARTE C
Adler, nel "Temperamento nervoso", si chiede come la finzione si manifesti nella vita psichica e come si
realizzi concretamente. La sua manifestazione principale è rappresentata da quello che Adler descrive
come pensiero antitetico. Secondo Adler, per comprendere la lotta che il nevrotico sostiene
continuamente bisogna avere un quadro completo dei suoi dispositivi psichici, i quali, simili ad antenne
sensibilissime, gli forniscono uno strumento di misura e di paragone che, tenendo sempre viva la sua
attenzione scatenano in lui i più vari e controversi sentimenti: amore, odio, speranza, paura, dubbio,
attesa [2].
PROGETTO TERAPEUTICO: ANALISI DI CASI. ARTICOLO DA RIVISTA: LE FINZIONI ESTETICHE NELLA TEORIA
INDIVIDUALPSICOLOGICA – PARTE 4 SESSIONE 4 – IL SOGNO DI FRANCESCA – PARTE D
La poesia del sogno è dunque la poesia delle emozioni. Le emozioni, in un'ottica individualpsicologica,
sono interpretate come «forme psichiche in movimento,limitate nel tempo. È opportuno fare una
distinzione tra le emozioni che, da un punto di vista sociale, tendono a separare e quelle che tendono ad
unire. Le emozioni che separano, quali l'ira, la tristezza e la paura non sono manifestazioni imprevedibili
e misteriose ma, anzi, sorgono e si mostrano solo quando servono a uno scopo che è conforme al metodo
di vita o alla linea direttrice dell'individuo e hanno come obiettivo quello di produrre un cambiamento
della situazione in senso più favorevole all'individuo stesso» (2, pp. 248).
A questo proposito riteniamo che la poesia e il sogno, in quanto finzioni estetiche capaci di suscitare
emozioni, possano rispondere a molti interrogativi dell'uomo.
TAV. 5
« Qui c'è una stanza vecchia e una donna vecchia che entra dentro. Si spaventa da morire e sviene perché
ha visto un ladro. -Che cosa succede poi?- Non lo so ... il ladro scappa e lei quella sera sta male ».
TAV.6BM
« E' un figlio grande con la sua mamma. Parlano del suo lavoro o dell'università e tirano in lungo mentre
gli altri aspettano da mangiare».
TAV.7BM
« Questo non mi sembra un nonno perché ha la faccia cattiva e quello più giovane ha paura. Ma poi
pensa che è più forte lui e la paura gli passa ».
TAV.8BM
«Dei medici stanno operando una donna alla pancia. Davanti c'è la fidanzata e pensa che la donna
muore. Poi muore davvero ».
TAV. 10
«Un uomo bacia una donna perché si stanno sposando. Sono contenti ».
TAV. 13B
« C'è un bambino senza scarpe seduto davanti a una casa di legno. Si è proprio stufato di stare lì a fare
niente ».
TAV.14
« Vede la città e si spaventa e sviene. -Perché?- Non era abituato a guardarla dall'alto ».
TAV. 16
« Ci sono due macchine che fanno un incidente e c'è un ferito. Lo portano all'ospedale con l'ambulanza e
poi si salva ».
TAV.20
« E' un poliziotto che mi piace, che ho visto in un film. E' uno con la faccia da buono, che parla poco. Nel
primo tempo tutti lo picchiano, ma poi vince. Mi piace per quello ».
Interpretazione e analisi dello stile di vita
Le narrazioni partono sempre da una valutazione globale obiettiva delle immagini, di cui però trascurano
alcuni dettagli.
Una tendenza all'eccesso di sintesi è superabile in molti casi con l'incoraggiamento a continuare o con
qualche domanda non influenzante. E' possibile acquisire i seguenti spunti proiettivi sullo stile di vita del
soggetto: 1) Inquadramento pessimistico della realtà e dell'ambiente (Tavole 3BM - 5 - 7BM -
20).
2) Compensazioni ambivalenti del pessimismo di base, in parte improntate al perseguimento di un
modello ipervirile con note di aggressività (Tavole 4 - 7BM) o alla prefigurazione di interventi esterni
rassicuranti (Tavola 16) e in parte invece ad un astensionismo passivo e sofferto (Tavole 3BM - 5).
3) Proiezione concreta delle fobie e particolarmente della patofobia (Tavola 8BM) e dell'acrofobia (Tavola
14), quest'ultima non emersa dai colloqui preliminari.
4) Reiterata presentazione del problema «noia », implicante un senso di esclusione sociale (Tavole 1 -
13B).
5) Carenze affettive nell'ambito della famiglia, con rivendicazione polemica dell'attenzione materna in
competizione con il fratello maggiore (Tavola 6BM). Situazione analoga, fondata sull'impressione di
essere trascurato dagli altri, anche nell'ambiente extrafamiliare (Tavola 3BM).
6) Fantasia compensatoria di un'armonia affettiva idealizzata, che rivela anche i primi interessi
correttamente orientati verso l'altro sesso (Tavola 10).
7) Modello ideale perseguito, che tiene conto dei temi soggettivi d'inferiorità e li compensa in modo
evidentemente compiaciuto con la trasformazione del debole in eroe (Tavola 20).
L'interpretazione finalistica della sintomatologia fobica consente di rilevare la sua utilizzazione come
artificio di richiamo verso la madre e in subordine anche come alibi per autogiustificare un
comportamento non congeniale al modello perseguito e quindi devalorizzante. L'alternarsi di soluzioni
attive e rinunciatarie mostra una disponibilità di recupero incoraggiante ma non ancora sostenuta da
sufficiente sicurezza.
Per estensione è possibile interpretare anche l'anoressia e inserirla nello stile di vita del ragazzo. In seno
alla famiglia essa può valere ancora come richiamo d'attenzione. La sua scomparsa in situazioni
socialmente integrate (inviti a pranzo, ristorante, ecc.) ne ribadisce il significato.
TAV. 4
« Sono un marito e una moglie che hanno appena avuto una discussione. Non stanno proprio litigando,
ma forse è peggio. Continua sempre così: lui vuole aver ragione e lei sta zitta, ma non gli dà
soddisfazione. Allora lui vuole andarsene, ma non fa sul serio ».
TAV. 5
« La mamma entra e non trova la figlia. Fa una tragedia. Poi lei salta fuori: era solo uno scherzo. La
mamma piange e non la sgrida, ma non capisce lo scherzo ».
TAV. 6GF
« Sono sempre marito e moglie. Lei sta scrivendo una lettera e lui le dice: non va bene così, hai sbagliato
tutto. Lei risponde: e allora scrivile tu le lettere, che sei tanto bravo ».
TAV. 7GF
« La madre legge alla figlia una storia, perché le vuol bene e vuol farle compagnia. La bambina fa finta
d'interessarsi per non dispiacere alla mamma ».
TAV. 9GF
«Mi viene una storia lunga. Posso raccontarla? Dunque, c'era la guerra e due sorelle sono scappate su
un'isola deserta. Vivono lì per un anno come Robinson Crusoè.
Ogni tanto devono scappare o nascondersi perché ci sono delle belve feroci. Poi arriva una nave con dei
soldati. Vedono che sono nemici e si spaventano. Ma c'è una sorpresa: il padre si era arruolato coi
nemici, le trova lì e le porta in salvo».
TAV. 1O
« Un marito verso i quarant'anni deve partire per la guerra. Sta via per quattro anni e ritorna ferito e
paralitico. La moglie lo abbraccia e lo farà guarire ».
TAV. 13B
« Questo bambino non aveva amici perché gli altri tiravano i sassi nei nidi e lui aveva il cuore tenero.
Allora sua mamma adotta un altro bambino, così lui ha compagnia ed è contento ».
TAV. 14
«Una banda incarica un uomo di rubare. Lui finge solamente, ma non ruba. Allora la banda si vendica e lo
denuncia alla polizia. Anche se è innocente nessuno gli crede. Allora si butta in mare per ammazzarsi ».
TAV. 16
« Vedo una classe con i banchi, la maestra e gli scolari. Un bambino molto bravo si ammala e deve fare
una lunga assenza. Quando torna resta indietro e nessuno lo vuole aiutare. Ma lui è ricco, può pagarsi un
maestro, privato e diventa di nuovo uno dei primi ».
TAV. 20
« Non so, mi viene una storia di guerra, ma ne ho già dette due e voglio cambiare. Potrebbe essere un
giallo. Un uomo si nasconde per spiare qualcuno ».
Interpretazione e analisi dello stile di vita
Le narrazioni, particolarmente ricche nel contenuto ed evolute nel linguaggio, partono sempre con
obiettività dalle immagini, per liberare in seguito invenzioni che prescindono largamente dalla figura.
La loro proiettività è molto intensa e sufficiente per ricostruire su queste basi lo stile di vita del soggetto:
1) Inquadramento affettivo, ma nel con tempo critico e insoddisfatto della figura materna, di cui non è
posto in dubbio l'amore, ma la capacità di comprendere (Tavole 1 - 5 - 7GF).
Questo angolo di visuale sembra condividere in parte le critiche paterne, inserendovi però i frutti di un
rapporto affettivamente anche se non intellettualmente valido.
2) Inquadramento complesso e contraddittorio della figura paterna, di cui il soggetto sembra sottolineare
le carenze affettive, avanzando nel contempo un'esigenza e una speranza, almeno immaginata, di
recupero. Del padre, insomma, non sono poste in dubbio l'intelligenza e la sicurezza, ma è denunciata da
principio l'aridità emotiva, con una successiva fantasia di reintegrazione più armonica (Tavole 4 - 6GF -
9GF). La riabilitazione del padre avviene in una storia (Tavola 10) dopo un'emblematica punizione.
3) Intenso desiderio di un rapporto più costante con l'ambiente dei coetanei, ora in parte ostacolato
dall'isolamento della famiglia, la quale si propone al soggetto come poco gratificante perché carente di
stimoli (Tavole 2 - 3BM). L'integrazione extrafamiliare non sembra però esente da problemi. Si acquisisce
infatti un confronto frustrante fra la propria sensibilità e la durezza altrui {Tavola 13B). Si rileva inoltre
una fondamentale sfiducia nella comprensione e nella solidarietà dei coetanei (Tavole 14 - 16). Il mondo
esterno è talvolta drasticamente inquadrato con note di crudeltà spinta sino al sadismo.
4) Compensazioni non univoche del sentimento di diversità e dell'isolamento affettivo: a volte
rinunciatarie sino all'autodistruzione (Tavola 14) e a volte invece ipercompetitive e indirizzate verso
l'autovalorizzazione (Tavola 16). Fra i dati acquisiti preliminarmente i tic propongono una semantica di
ripulsa simbolica dell'ambiente e delle circostanze frustranti. L'amore un po' morboso per gli animali
pare invece compensare con una degradazione rassicurante le difficoltà dei rapporti umani.
TAV.6BM
« Questo ha sbagliato e adesso si trova nei guai. Roba di donne oppure ha preso dei soldi dove lavora. Lo
dice alla madre, che si addolora e cerca di aiutarlo, ma poi si arrabbia. Finiscono per litigare ».
TAV.7BM
« Questa figura non mi dice proprio niente, sono due che parlano e basta. Vuole proprio che inventi
qualcosa? Va bene, parlano di lavoro ».
TAV.8BM
« E' la storia di un incidente di caccia. Il ragazzo qui davanti non sapeva sparare e ha ferito qualcuno per
sbaglio. Adesso lo stanno operando. Lui è molto preoccupato e spera che guarisca ».
TAV.10
« E' un atto d'amore fra un uomo e una donna. Si può notare tutto il bene che si vogliono. Però ... forse la
storia è un po' diversa: mi sembra che la donna stia per piangere ».
TAV.13B
« Qui c'è povertà e solitudine. Il bambino pensa agli amici più felici di lui. Oppure una storia tutta diversa.
E' felice anche nella povertà perché si sente libero ».
TAV. 14
«Va verso l'unico punto di luce. Insomma è il discorso della vita. Ha vissuto male, è stato in prigione e
adesso vuole cambiare ».
TAV. 16
« Potrei vedere due ragazzi innamorati che si tengono per mano e corrono. Vogliono godere al massimo
di quel momento. Forse in avvenire non saranno mai così felici».
TAV.20
« Mi sembra un criminale ... non trovo la parola ... stanco. Ormai non può più tornare indietro, anche se
forse vorrebbe farlo ».
Interpretazione e analisi dello stile di vita
Le narrazioni sono sintetiche, sempre obiettive, bene impostate e capaci di significare i seguenti spunti
indicativi dello stile di vita:
1) Reiterata presentazione di un senso di colpa o almeno di un'autocritica sofferta (Tavole 3BM - 6BM -
8BM - 14 - 20). Le compensazioni a questo substrato sono ancora incerte e contraddittorie, alternando
propositi di recupero secondo il sentimento sociale a un'attesa passiva di soluzioni liberatrici e
all'accettazione rassegnata di una contaminazione ormai ineluttabile. I temi di autocolpevolizzazione
riguardano l'aggressività e la dissocialità. L'ambiente, ricostruito dal soggetto, li acquisisce con
insufficiente comprensione o imposta azioni punitrici.
2) Figure genitori ali vissute globalmente come incapaci di comprendere a fondo il soggetto (Tavola 1),
ma notevolmente differenziate l'una dall'altra. La figura materna, e quindi quella femminile, è vissuta
con un ruolo di vittima e sicuramente come più affettiva ed etica (Tavola 4), anche se non in grado di
capire a fondo il figlio (Tavola 6BM). Quella paterna è ricostruita con maggiore critica ed ostilità, con
caratteristiche di durezza e di minore affettività nei confronti della famiglia (Tavola
4). In una storia (Tavola 10) il ragazzo sembra auspicare un rapporto affettivamente valido fra i due sessi,
ripiegando però subito in un pessimismo che vittimizza la donna. La difesa verso la figura paterna è
ribadita dallo shock di rifiuto, che rende scontrosamente povera l'interpretazione, alla tavola 7BM.
3) Tentativo di compensare l'insufficiente realizzazione emotiva familiare con una ricerca affettiva
correttamente indirizzata verso l'altro sesso (Tavola 16), anche se poi la sua validità è parzialmente
inficiata da un'attribuzione di provvisorietà.
4) Confronto autoinferiorizzante e senso di esclusione nei rapporti con i coetanei (Tavola 13B).
5) Immediato rifiuto compensatorio di questa interpretazione, sostituita da un'idealizzazione introversiva
e aggressiva (Tavola 13B). I temi elaborati in questo complesso sembrano essere anche socio-economici.
6) Il positivo auspicio di recupero, simbolizzato nella tavola 14, ha sicuramente un valore generale, ma
presume in modo assai significativo la decolpevolizzazione.
L'interpretazione finalistica dell'enuresi è quella adlerianamente classica che attribuisce al sintomo un
valore di richiamo e di protesta, diretto ad impegnare l'ambiente familiare ad una maggiore attenzione
affettiva e ad un'armonizzazione. Il comportamento aggressivo nell'ambito della scuola sembra
paradossalmente ispirarsi all'ipervirilità paterna, nel contempo osteggiata ed eretta a modello.
L'ambivalenza determina come corollario il senso di colpa. I simbolismi liberatori, sebbene ancora incerti,
possono essere acquisiti come potenziali tà di recupero.