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Rossi
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INTRODUZIONE
Riassunto
Due opere letterarie, quella di Italo Svevo e quella di Gza Czth, vengono
utilizzate come catamnesi di esperienze analitiche, data la possibilit che offrono di
approfondire i risultati dell'analisi a livello fantastico.
Entrambe le opere sembrano l'espressione di analisi terminate in un'atmosfera
di grande ambivalenza per via del1a difficolt, o della impossibilit, di risolvere il
legame con la figura materna: in queste condizioni l'analisi termina con la negazione.
Nelle opere esaminate si evidenziano i vincoli non solubili di dipendenza, le nostalgie
inappagabili e i legami arcaici, che derivano da queste condizioni di eccessivo legame
materno, che pu essere espresso dalla metafora dell'abbraccio mortale.
Bibliografia
Czath G. (1905-1912): Oppio e altri racconti. Roma: Edizioni e/o 1985.
D'Alessandro M. (1985): La piaga e il coltello. In: Czath, citato.
Freud S. (1925): Inibizione Sintomo e Angoscia. OSF, Vol X, 233320.
Freud S. (1937): Analisi terminabile e interminabile. OSF, Vol XI, 496-538.
Kermode F. (1986): Freud and Interpretation. Int. Rev. Psycho-Anal. 12,3.
Kleist H. (1811): Il teatro delle marionette. Genova: Il Melangolo, 1982.
Rank O. (1924): Le trat!112atisme de la naissance (trad. franco S. Jenklvltch). Paris:
Payot, 1968.
Rossi R. (1980): I lotofagi. Riv. Psicoanal, XXVI, 3, 359-367.
Svevo 1. (1923): La Coscienza di Zeno. Milano: Mondadori, 1985.
Winnicott D.W. (1958): From paediatrics to psycho-analysis. London: Basic Books.
ROMOLO ROSSI,
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2) il controtransfert - uso qui il termine nel senso dell'impatto emotivo che il paziente ha sul terapista, ma anche per ci che cosa di solito assai pi significativa egli comunica a livello
non-verbale. Tale impatto pu essere rappresentato da uno stato
d'animo, come l'assenza di speranza o la maniacalit, oppure da una
intensa reazione materna o ancora dal sentirsi stupito e privo di
mente.
Spesso ci accorgiamo che il paziente fa sperimentare proprio
quella parte di s che trova intollerabile: per questo che simili
comunicazioni silenziose sono spesso le pi significative per farci
capire cosa disturba il paziente. Se io riesco ad osservarne l'impatto
su me stessa o resto capace di pensare, elaborare o verbalizzare
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e nesce a ritrovare la
capire;
b) il paziente
struttiva o terrorizzante
portare la sua angoscia
rimanda indietro le sue
c) se mi riesce di verbalizzare la mia esperienza del momento, ci pu avere un effetto dinamico sull'interazione e il processo di esplorazione fa cos un passo avanti; il paziente pu in questo
caso assumersi la responsabilit di una parte di s che fino ad allora
era stata negata.
Si verifica cos un processo di. aggiustamento reciproco. Il paziente ha il primo approccio con un incontro terapeutico e pu
quindi giudicare se questo quello che vuole; il terapista, dal canto
suo, notando la reazione ai commenti interpretativi riesce ad ottenere
qualche elemento sulla capacit del paziente di servirsi di questo tipo
di aiuto. Nonostante questo modello di intervista si possa definire
non strutturata, io ho tuttavia sempre in mente un certo numero di
domande specifiche alle quali spero di riuscire a dare delle risposte
quanto meno ipotetiche alla fine dell'intervista:
1) I problemi del paziente interferiscono con il suo sviluppo
o con le sue acquisizioni in uno o pi campi della sua vita, e lui - o
i suoi genitori, se questo il caso - o sono sufficientemente a
disagio con s stesso - o s stessi - da volere un trattamento e da
portarla avanti?
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DUE ADOLESCENTI
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Helen
Questa ragazza di 15 anni e mezzo era stata inviata dal suo
medico curante, che mi aveva fatto avere un lungo e interessante
resoconto di una sua conversazione con lei. Egli ci dava il quadro di
una famiglia che forniva grande sostegno e una dettagliata descrizione dei sintomi della ragazza, che soffriva di angosce claustrofobiche e
di vampate di calore quando si trovava in uno spazio ristretto o in
una stanza surriscaldata. Venimmo anche a sapere che all'et di
diciotto mesi aveva riportato delle ustioni abbastanza estese da richiedere un breve periodo di ricovero in ospedale. Prima di vedere
Helen, tuttavia, cercai di togliermi dalla mente quello che avevo
saputo dal medico, perch in qualche modo sembrava tutto troppo
ben confezionato e con collegamenti fin troppo ovvi: vampate di
calore e ustioni nell'anamnesi! Decisi di partire da zero e di tenere la
mia mente sgombra durante l'incontro con Helen.
Prima intervista
In sala d'attesa c'era una ragazza rotondetta con dei bei capelli,
gli occhi blu e un'espressione assai amichevole, quasi da bambina. Mi
segu volentieri, ma al momento di sederci nella mia stanza era quasi
sul punto si scoppiare in lacrime. Mi disse che aveva chiesto lei una
terapia, ma che adesso si era accorta di essere molto turbata dall'idea. Ci che disse fu: Ho vissuto con me stessa e ho cercato di
capirmi per quindici anni ormai. Ho paura di quello che si potrebbe
scoprire ancora, e non so se lo riconoscer come mio o avr voglia di
farlo . Risposi che sembrava spaventata all'idea di una parte sconosciuta di se stessa, di una straniera che poteva anche non piacerle.
Sembrava inoltre che avesse l'idea di essere buttata dentro un trattamento; le chiarii che ci saremmo viste per tre volte allo scopo di
tentare di esplorare il tipo di problemi che aveva, se volesse o no un
trattamento, che cosa se ne aspettasse e infine se un trattamento
fosse o no indicato. Disse allora che in famiglia si discuteva tutto:
sua madre capiva le persone e le loro emozioni, proprio come lei
stessa, d'altro canto. Pap invece non capiva un granch di queste
faccende, ma il migliore era senz'altro suo fratello, che capiva completamente e senza bisogno di parole. Si rivolgeva sempre a lui
quando stava male. Trov tuttavia impossibile specificare sia la
natura dell'aiuto da parte del fratello che ci che la faceva star male.
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difficolt abbastanza agevoli da controllare, voleva solo un po' d'aiuto per superare i suoi piccoli sconvolgimenti . lo dal canto mio
ero invece convinta - anche se non lo dissi - che la ragazza
avrebbe avuto probabilmente bisogno di una psicoterapia intensiva
per un grave disturbo di base dello sviluppo; il problema era che
non sembrava abbastanza in contatto con queste angosce profonde
per poter prendere una decisione simile: quello che era invece
riuscita a trovare era il modo di eludere situazioni potenzialmente
ansiogene. Secondo me la ragazza non aveva sviluppato una modalit
di relazione da-e-verso gli altri; si sentiva invece sola, completamente
fuori da questa esperienza e in stato di panico, incapace di entrare in
contatto sia internamente che esternamente. Per sfuggire queste emozioni terrificanti sembrava saltare dritta dentro, per cos1 dire all'interno della gente sentendosi quindi calda e claustrofobica. Un'altra
soluzione del problema consisteva nell'appiccicarsi a qualcuno, nel
caso al fratello. Ma per quanto fossi pi che certo di ci di cui aveva
bisogno, mi faceva sentire che non dovevo avvicinarmi troppo
rapidamente n dovevo ferirla o invadere la sua sfera privata - che
da un lato si sentiva cos1 protetta da riuscire a non sentire la sua
angoscia e dall'altro che non dovevo forzarla a farlo; in alcuni
momenti sentivo infatti di esporla a stati di angoscia estrema. Sentivo anche allo stato attuale di non potermi spingere oltre e sembrava
perci consigliabile aspettare qualche tempo prima di rivederla per
valutare di nuovo la situazione. Restammo d'accordo di rivederci
dopo due mesi.
Quando rividi Helen per la terza volta mi disse che da quando
ci eravamo incontrate aveva fatto un gran pensare e che si era resa
conto di non essere poi cos1 normale come aveva creduto. Alla mia
richiesta di chiarimenti, mi rispose che c'erano tutta una serie di
abitudini che in precedenza dava per scontate pensando che anche le
altre ragazze fossero come lei. Per esempio prima di andare a letto
aveva bisogno di sentire che tutti erano buoni e sicuri e si fermava
perci sulla soglia della sua stanza mandando baci a tutti i membri
della famiglia incluso il gatto, quindi doveva chiudere la porta
usando tutte e due le mani messe in modo quasi da toccarsi. Questo,
disse, per sentire che i suoi genitori erano insieme. Oh Dio , disse - suona piuttosto stupido, ma cos1 che succede!
Pensai che questi risultati fossero un modo di tenere a bada la
sua preoccupazione che le persone non fossero al sicuro: se avesse
sentito che non lo erano, lei stessa si sarebbe sentita non al sicuro.
Fu d'accordo, dicendo che si sentiva assai insicura per la maggior
parte del tempo: era uscita per esempio a far compere con una sua
amica ma al ritorno non si sentiva per niente certa che la casa o il
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tempo o addirittura la gente non fossero cambiati. Si sentiva completamente ,persa se non c'era un'amica o un membro della sua famiglia
con lei; addirittura non aveva mai provato a stare da sola. Mi disse
che le piaceva un certo modello di automobile perch era quello che
il padre aveva quando era bambina e provava simpatia per tutti gli
uomini con una giacca di velluto perch era quella che aveva una
volta il pap. Feci qualche commento sul suo attaccamen~o all'aspetto
esteriore come per esempio agli abiti che le persone mdossavano,
cio all'ambiente esterno piuttosto che alle qualit personali di una
madre o di un padre. Non sembrava affatto sentire di avere una
madre o un padre nella sua mente, n che avesse assorbito dai suoi
genitori qualcosa in grado di aiutarla quando restava sola. Disse che
non le era mai capitato di pensare che c'era qualcosa di sbagliato in
lei prima di parlare con me le altre due volte. Era solo adesso che le
era capitato di osservarsi mentre faceva tutte quelle cose strane e
piuttosto pazze e aveva cominciato ad accorgersi di quanto fosse
diversa dagli altri adolescenti e di come desiderasse veramente la
psicoterapia. Gliela chiedo in ginocchio! . Chiesi se pensasse di
essere pazza; rispose Oh, certo che no. La gente della mia et
usa questa parola molto liberamente, per qualunque cosa un po'
diversa dal solito. Non penso realmente che queste siano pazzie, ma
vorrei proprio un aiuto per questo mio essere cos immatura e
dipendente dalla gente . Rispose che avrebbe avuto bisogno di uno
schema di trattamento affidabile, di vedere cio il terapista ad intervalli abbastanza frequenti in modo da sentirsi abbastanza sicura per
poter affrontare le intense paure che tutte queste abitudini dovevano
tener lontane. Per questa ragione le suggerivo una psicoterapia quattro o cinque volte a settimana. Dapprincipio sembr piuttosto stupita, ma dopo averci pensato un po' disse che poteva capirne il senso.
Tir quindi fuori alcuni dubbi. Non le sarebbe piaciuto molto che ci
fosse una specie di padreterno che sapesse tutto di lei e fosse in
condizioni di cavarle fuori ogni tipo di informazione. Le spiegai
qualcosa del processo di analisi, spiegandole che uno psicoterapista
non ha gli occhi a raggi X, ma che si trattava invece di un processo
di scoperta graduale da portare avanti insieme. Disse che le sarebbe
piaciuto avere un terapista che fosse anche un amico, con il quale
si potesse portare avanti una conoscenza reciproca, su basi di parit.
Le spiegai che le cose non stavano esattamente in questi termini e
che nel modo in cui diceva lei non sarebbe stato di grande aiuto
perch il punto del trattamento psicoterapico era di aiutarla a capire
s stessa. Discutemmo quindi i dettagli pratici del trattamento:
abitava piuttosto distante, e di conseguenza il trattamento le avrebbe
portato via parecchio tempo. Restammo d'accordo che ne avrebbe
parlato con i genitori e mi avrebbe dato una risposta per lettera
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entro una decina di giorni. Nel caso, avrei avuto bisogno di parlare
con i suoi genitori. Nel frattempo mi sarei data da fare per trovare
una disponibilit per il suo trattamento.
Quando vidi i genitori di Helen, essi mi raccontarono le esperienze traumatiche che Helen aveva avuto da bambina a seguito delle
ustioni: durante il ricovero in ospedale era andata via via pi
isolandosi, e alla fine non riconosceva neanche pi i genitori. Dopo il
ritorno a casa aveva avuto un periodo di chiusura autistica, e mentre
pian piano ridiventava capace di stabilire un contatto migliore, continuava ad avere incubi terribili, si svegliava urlando e scalciando
incapace di riconoscere i genitori. Erano stati sempre preoccupati
dello sviluppo della ragazza, ma si erano alla fine rassicurati quando
dopo qualche tempo aveva iniziato a svilupparsi normalmente. Solo
da poco avevano cominciato a nutrire nuove preoccupazioni, poich
aveva interrotto tutta una serie di attivit; erano molto contenti che
avesse cercato aiuto e avrebbero cercato di appoggiare al massimo il
trattamento.
Ritengo che la cosa pi interessante di questi colloqui di valutazione sia stato il fatto che gli elementi della storia di Helen fossero
pienamente noti sia ai genitori che al medico curante come alla stessa
Helen. In apparenza la ragazza aveva sentito parlare molte volte
della sua storia, ma non sembrava capace di prenderla dentro n
volerne conoscere qualcosa. In altre parole, ci si trovava davanti ad
una adolescente che aveva s urgente bisogno di trattamento, ma che
non poteva fare un passo del genere se non sperimentava prima
l'angoscia e non era capace di sostenerla. Solo in seguito avrebbe
potuto affrontare il rischio, essendone cosciente e facendo sua l'idea
di affrontarlo piuttosto che di eluderlo. In seguito la sua terapista mi
disse che per lei il bisogno che i suoi confini e la sua sfera privata
fossero rispettati era estremamente importante: nella famiglia di
Helen infatti ognuno viveva per cos dire nelle tasche dell'altro, e
trovare uno spazio per s costituiva un problema serio per la paziente. Questo era qualcosa che avevo percepito ma che non sarei stata
in grado di descrivere al tempo dell'intervista di valutazione.
Jane
Questa studentessa di 20 anni ci fu inviata dal medico della sua
Universit verso la fine del primo anno di corso. Era andata molte
volte in ambulatorio dal medico e altre dall'infermiera del College,
parecchie volte a settimana lamentando mal di testa e depressione. Il
medico aveva prescritto parecchi analgesici e diversi antidepressivi, e
Jane ne riferiva ogni volta l'inefficacia. Il tono della lettera del
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medico indicava che la riteneva una seccatura e che non vedeva l'ora
di liberarsi di una paziente nosiosa passandola a noi.
Prima intervista
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Seconda intervista
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buona, che non aveva da dare niente che valesse e che non c'era
scopo ad andare avanti con queste interviste. Riconoscevo la sua
difficolt nel verbalizzare le sue emozioni e forse anche nel conoscerle, e le chiesi se per lei non sarebbe potuto essere pi facile entrare
in contatto con esse attraverso dei tests proiettivi. Chiarii che comunque anche se sarebbe stata una collega a vederla per questo
scopo, io avrei voluto vederla ugualmente, dopo. Menzionai anche la
possibilit di una terapia di gruppo, in un secondo tempo, come
modo di aiutarla a comprendere i suoi rapporti con i pari.
Ci che avevo provato durante questa intervista era, da una
parte, un senso di completa disperazione circa la mia capacit di
comprendere, lasciata da sola a cercare di farla cooperare, mentre
dall'altra mi sentivo assai preoccupata della severit e la natura
psicotica della sua depressione e sulla possibilit di un suicidio.
Sentivo di disperare di poter fare qualcosa, di poter trattenere
qualche speranza di una possibilit di trattamento. Avevo sperato che
lo stimolo a sottoporsi ai tests psicologici o di entrare in un gruppo
di pari potesse almeno spingerla fuori dal suo stato di passivit.
Dopo averne parlato con i colleghi, decisi che l'avrei vista
ancora una volta prima di decidere qualunque altro piano di valutazione, essendo stata portata a prendere in considerazione alcune
eventuali possibilit alternative di uscire dalla disperazione e dalla
difficolt di contenere l'enorme preoccupazione e l'intensa disperazione che mi era stata messa dentro.
Incontrando Jane per la terza volta rin1asi sorpresa dai grandi
cambiamenti che sembravano essersi verificati. Aveva un po' di colore
sulle guancie, lo sguardo era pi animato e si era anche messa un filo di
rossetto. Si sedette rapidamente e cominci subito a parlare. Disse:
Suppongo che dowei raccontarle come andata questa settimana. Mi
sono sentita molto meglio ed stata proprio una buona settimana. Ho
deciso di andare a trovare dei miei amici. Commentai come questo
fosse assai diverso dalla settimana precedente, quando aveva parlato
della pretesa che tutti andassero a bussare alla sua porta. Dissi che
mostrava di non contare pi sulla passivit, ma che aveva invece
deciso di fare lei qualcosa per ottenere un cambiamento, incluso il
modo di condurre il colloquio. Disse: Mi sono sentita molto, molto
depressa dopo averla incontrata la settimana scorsa, mi sentivo molto
peggio uscendo da questa stanza che quando c'ero entrata .
Mi raccont che si era resa conto che anche in questa situazion~, dove mi veniva reso facile parlare , lei non contribuiva per
mente. Pensava che si trattasse proprio di una sua brutta tendenza,
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Ero rimasta colpita dallo sforzo di questa ragazza di fare qualcosa ad onta delle formidabili difficolt che aveva in s stessa. fuor
di dubbio che i problemi di Jane interferivano con il suo sviluppo e
con i suoi risultati in parecchi campi della vita, eccetto apparentemente in ambito accademico. Doveva essere proprio una ragazza
molto brillante se era ugualmente riuscita a combinare qualcosa
nonostante le sue grosse difficolt e i sintomi depressivi. Era senz'altro un gran proiettore di senso di disperazione ma era stata
apparentemente - sebbene al principio si aspettasse un qualche tipo
di cura magica - in grado di mobilitare slancio sufficiente per
cercare un aiuto terapeutico e per capire quello che faceva a chi
poteva aiutarla. Mostrava una capacit considerevole di capire le
interpretazioni nonostante l'intenso negativismo. Ritenevo tuttavia
che il livello di invidia e di passivit avrebbero potuto a questo
punto rendere un trattamento individuale troppo difficile da sostene-
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re. Per questo motivo avevo pensato che sarebbe potuta andar meglio
in un gruppo, in parte anche perch gli altri avrebbero potuto
contrastare la sua passivit. Poteva inoltre fare un lavoro utile sulla
sua gelosia verso i pari ed esplorare la sua invidia degli adulti.
Questo voleva dire una terapia con frequenza di una volta a settimana. Ad onta delle sue proteste di dover aspettare una settimana per
la seconda intervista, l'avevo ritenuta capace di padroneggiare un
simile intervallo tra le sedute.
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quando si fanno sedute di valutazione con bambini. Naturalmente non abbiamo modo
di essere cer.ti che le nos~re v~utazioni siano corrette - solo il tempo prover quanto
il no:;tro p~o colpo d occhi? d~1 mond? interno di un paziente stato giusto o
sbagliato. CIO ruttavla non Cl esune dall obbligo di apprendere dall'esperienza e di
~ntr~llar~ d?!>? qualche tempo quello che avremo potuto cercare e scoprire nelle
lllterviste 1l11Zlali, aHmando coslla nostra capacit in vista di altre interviste esplorative.
Bibliografia
Harris M., Meltzer D. (1977): A Psychoanalytic Model of tbe Child in tbe Farnily in
the Conununity. O.M,S.
Riassunto
Ho presentato i resoconti di due interviste di valutazione con due ragazze
adolescenti assai diverse tra loro e messo in evidenza le interazioni che si erano
verificate tra noi. Ho avuto in seguito la fortuna di poter seguire nel tempo entrambe queste pazienti: Jane aveva dovuto aspettare parecchi mesi per iniziare la
terapia di gruppo, che al momento in cui scrivo dura da un anno e mezzo. In
questo periodo riuscita a capire qualcosa del suo rapporto con i pari ed migliorata in maniera considerevole.
Helen invece inizi una analisi a 5 sedu te per settimana con una analista
infantile in training due settimane dopo l'ultima intervista. Sono parecchi anni che
continua le sue sedute e per parecchio tempo ogni separazione ha causato una
angoscia catastrofica. lo credo che le tre interviste iniziali abbiano avuto l'efletto di
aiu l'are entrambe queste adolescenti a capire qualcosa sulla natura dei loro problemi, e a metterle in grado di decidere insieme a me la forma appropriata di
trattamento. Sono state capaci in seguito di avvicinarsi alla terapia in una maniera
che non era pensabile al momento della loro prima presa di contatto con l'ambulatorio. Considerando con quanta frequenza gli adolescenti abbandonano il trattamento, un simile lavoro preparatorio pare non solo utile, ma addirittura consigliabile.
Come si sar notato, io dedico molta attenzione al mio controtransfert e lo uso
come guida di tutti i commenti interpretativi che faccio. Per quanto riguarda il
transfert invece lo prendo in considerazione solo nel caso che interferisca seriamente con il lavoro esplorativo; in altri termini interpreto soltanto emozioni fortemente negative o idealizzazioni estreme. Metto poi sempre in relazione quel che
succede nel qui ed ora, in qualit di esempio vivente della natura dei rapporti che
il paziente ha con gli altri nel suo mondo interno e in quello esterno, dal momento
che non voglio n eccitare n incoraggiare emozioni infantili nei miei confronti.
Dal momento che nelle interviste esplorative si stabilisce una relazione temporanea,
il mio scopo quello di mettere in funzione nel paziente un processo di osservazione
e di riflessione sulla natura dei suoi rapporti. Quello che io spero si comincier ad
apprezzare alla fine del processo di valutazione proprio questo processo di riflessione sulle azioni e sulle emCYkioni, piuttosto che me stessa come mezzo che facilita
la comprensione. Se si riesce a raggiungere questo risultato, per il paziente pi
facile aspettare che si liberi un posto per iniziare il trattamento. Si sar anche reso
un poco meno difficile il passaggio a un altro professionista, sebbene sia inevitabile
un cetto grado di dolore e di angoscia al riguardo. Laddove tuttavia sia presente
una storia di perdite precedenti, si pu naruralmente cercare di evitare questo
passaggio. Dove invece il paziente si tuffa in un rapporto terapeu tico fin dalla
prima parola e si ritiene che il caso sia adatto per un trattamento a lungo termine
da parte di un collega, pu essere utile fare soltanto una breve valutazione, forse
addirittura di un solo incontro. particolarmente importante tenere questo in mente