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IL DONO DELLA TERAPIA – I.

Yalom

INTRODUZIONE
Yalom attraverso questo libro vuole offrire una guida e fornire ispirazione alla futura generazione di
psicoterapeuti. Desidera mettere in guardia gli studenti contro il settarismo e suggerire invece un
pluralismo terapeutico, in cui l’intervento, per essere efficace, deve essere il risultato di differenti
approcci terapeutici. All’interno del testo però parte da una cornice di riferimento interpersonale ed
esistenziale, facendo sì che le ragioni dei suoi consigli derivino dall’una o l’altra delle due
prospettive.
Yalom afferma che:
 quando opera all’interno di una cornice di riferimento interpersonale, parte dal presupposto
che i suoi pazienti precipitino nella disperazione per l’incapacità di sviluppare e sostenere
rapporti interpersonali gratificanti;
 quando opera all’interno della cornice di riferimento esistenziale parte dal presupposto che i
pazienti cadano nella disperazione dopo essersi confrontati con gli aspetti crudeli della
condizione umana, i “dati di fatto” dell’esistenza.
Dato che la maggior parte del suo lavoro deriva da una cornice esistenziale, chiarisce meglio la
definizione di questa branca della psicoterapia e gli aspetti ad essa connessi.
Definizione → la Psicoterapia esistenziale è un approccio terapeutico dinamico che si concentra
sulle problematiche radicate nell’esistenza stessa. L’aggettivo “dinamico” indica la presenza di
forze in conflitto all’interno di un individuo che generano il pensiero, le emozioni e il
comportamento dello stesso. Come le varie terapie psicoanalitiche, essa presuppone:
- la presenza di forze inconsce che influenzano il comportamento cosciente
- l’idea che il conflitto interiore dipenda anche dal confronto con i “dati di fatto”
dell’esistenza.
Infatti, se mettiamo da parte le preoccupazioni della vita quotidiana e riflettiamo profondamente
sulla nostra condizione nel mondo, arriviamo alle strutture profonde dell’esistenza, ossia alle
“questioni ultime”, che sono fondamentalmente 4:
 la morte
 la solitudine
 il significato della vita
 la libertà
Contenuto e Processo → per quanto riguarda il contenuto (ossia le parole effettivamente
pronunciate e le questioni affrontate) secondo Y. un terapeuta efficace non dovrebbe mai forzare la
discussione verso un’area precisa di contenuto, la terapia non dovrebbe essere guidata dalla teoria
ma dalla relazione. In merito al processo invece (ossia la relazione personale tra paziente e
terapeuta) Y. ritiene che un incremento della sensibilità per i problemi esistenziali possa influenzare
la natura della relazione stessa e influire su ogni singola seduta.
Nel “dono della terapia” Yalom riassume 85 suggerimenti per il lavoro degli psicoterapeuti futuri,
sintesi di anni di pratica clinica, integrando idee e tecniche ritenute utili da lui stesso nel lavoro
terapeutico. Attraverso questo libro Y. sembra riuscire a chiarire la sua posizione; anche se utilizza
il termine “paziente” (colui che soffre, che sopporta) vuole incoraggiare un rapporto terapeutico
basato sull’impegno, l’apertura e l’egualitarismo.
Divide inoltre i suoi suggerimenti in categorie o sezioni, in modo da renderli più comprensibili:
1. PRIMA SEZIONE (1-40): affronta la natura del rapporto terapeuta-paziente, enfatizzando il
qui ed ora e la rivelazione di sé del terapeuta.
2. SECONDA SEZIONE (41-51): suggerisce metodi per esplorare le preoccupazioni riguardo
la morte, il significato della vita e della libertà.
3. TERZA SEZIONE (52-76): affronta le questioni che si presentano nello svolgimento
quotidiano della terapia.
4. QUARTA SEZIONE (77-83): riguarda l’uso dei sogni durante la terapia.
5. QUINTA SEZIONE (84-85): esamina i rischi e i privilegi del ruolo di terapeuta.

SUGGERIMENTI
1. Rimuovete gli ostacoli alla crescita
Y. riprende i concetti della Horney (appartenente al movimento “neofreudiano” che tiene conto
della vasta influenza dell’ambiente interpersonale che avvolge il singolo e dà forma alla struttura
del carattere) all’interno del suo libro “Nevrosi e sviluppo della personalità”, secondo cui l’essere
umano possiede una propensione innata alla realizzazione di sé stesso; rimuovendo gli ostacoli,
l’individuo può svilupparsi e diventare un adulto pienamente realizzato. Il compito del terapeuta è
quindi quello di identificare e rimuovere gli ostacoli che possono bloccare la strada ai pazienti,
lasciando che il resto avvenga automaticamente, attraverso quelle forze di autorealizzazione insite
nel paziente stesso.

2. Evitate le diagnosi
Sebbene una diagnosi sia fondamentale per la riflessione sul trattamento di molte situazioni gravi
con un sostrato biologico, la diagnosi è spesso controproducente nella psicoterapia quotidiana di
pazienti meno gravi, in quanto limita la capacità di mettersi in relazione con l’altro come persona.
Potrebbe accadere infatti che una volta stabilita la diagnosi, il terapeuta presti meno attenzione agli
aspetti del paziente che non rientrano in essa. Un altro aspetto da considerare è il fatto che la
diagnosi può agire come una “profezia che si autorealizza”; bisogna quindi mantenere una certa
obbiettività nel progetto terapeutico non prendendo troppo sul serio il sistema diagnostico del DSM,
evitando di minacciare la natura spontanea e creativa dell’avventura terapeutica.

3. Terapeuta e paziente come “compagni di viaggio”


Secondo Yalom, essendo difficile negare la disperazione connaturata alla vita di ogni individuo
cosciente e dotato di libero raziocinio, non esiste persona o terapeuta che sia immune dalle tragedie
dell’esistenza; definisce quindi i terapeuti e i pazienti come “compagni di viaggio”, abolendo le
distinzioni tra “loro” (coloro che soffrono) e “noi” (i guaritori).

4. Coinvolgete il paziente
L’atto di rivelarsi pienamente a un altro ed essere accettati può essere lo strumento più efficace
dell’aiuto terapeutico. Yalom afferma che nulla ha più importanza della cura e del proseguimento
del rapporto con il paziente, infatti ritiene che il terapeuta debba prestare attenzione a ogni piccola
sfumatura sulla loro considerazione reciproca e controllare lo stato del rapporto attraverso domande
quali “Come stiamo andando oggi io e lei?” oppure “Come sente lo spazio tra noi oggi?”.

5. Siate un sostegno
Quando i pazienti, anni dopo, ripensano all’esperienza terapeutica, non ricordano le interpretazioni
del terapeuta ma piuttosto ricordano le sue espressioni di sostegno positive. Secondo Y. è infatti
importante non essere avari ma esprimere regolarmente pensieri e sentimenti positivi verso i
pazienti, in quanto l’accettazione e il sostegno da parte di una persona che ci conosce intimamente
(come il terapeuta conosce il paziente) è un grande supporto. Bisogna però fare attenzione a rendere
sempre il sostegno incisivo, attraverso feedback e interpretazioni.

6. Empatia: guardate dal finestrino del paziente


Rogers identificò “l’empatia accurata”, ossia mostrare comprensione e accettazione verso le
emozioni del paziente, come una delle 3 caratteristiche essenziali di un terapeuta efficace (insieme
all’”accettazione positiva incondizionata” e alla “autenticità”). Essa è importante nel presente
immediato, nel qui ed ora della terapia; quest’ultima, infatti, viene potenziata se il terapeuta entra
accuratamente nel mondo del paziente cercando di vederlo attraverso i suoi occhi e mediante una
conoscenza del suo passato. Il paziente trarrà un grande profitto dall’esperienza dell’essere capito
sul serio.

7. Insegnate l’empatia
Considerando che molti pazienti giungono in terapia perché non riescono a mantenere rapporti
interpersonali gratificanti o non riescono ad immedesimarsi nei sentimenti e nelle esperienze altrui,
è importante considerare l’empatia accurata non solo come caratteristica essenziale del terapeuta,
ma anche del paziente, aiutandolo a svilupparla.
Y. ritiene che dobbiamo aiutare i pazienti a sperimentare l’empatia con noi (i terapeuti), per poi far
sì che essi automaticamente lo faranno nei confronti di altre figure importanti della loro vita.

8. Fate in modo che il paziente sia importante per voi


Yalom ci invita a non rimanere estranei ai nostri pazienti, ma piuttosto lasciarci influenzare e
cambiare dal rapporto con loro; far sì che diventino importanti per noi e che entrino nella nostra
mente, senza nasconderlo. Sembrerebbe infatti che un’apertura del terapeuta comporti un’apertura
del paziente, per cui condividere le proprie sensazioni può rivelarsi molto utile ai fini della terapia.

9. Riconoscete i vostri errori


Y. afferma che se il terapeuta compie un errore è bene che lo ammetta, in quanto qualsiasi tentativo
di coprirlo si ritorcerà contro il terapeuta stesso: il paziente se ne accorgerà e la terapia ne risentirà.
In più, ammettere apertamente un errore, è un sistema per far capire al paziente quanto
effettivamente teniamo a lui.
10. Create una terapia nuova per ogni paziente
La terapia è spontanea, il rapporto è dinamico e sempre in evoluzione, c’è una sequenza continua di
esperienze e poi un esame del processo. In virtù di ciò, secondo Y., bisogna fare attenzione ai
tentativi di standardizzare le procedure terapeutiche, evitando una terapia uniforme per tutti i
pazienti. Il terapeuta deve tentare una terapia nuova per ognuno di essi, costruendo un rapporto
insieme ai pazienti e non sulla base di un protocollo.

11. L’atto terapeutico, non la parola terapeutica


Anche il terapeuta ha l’opportunità di imparare dal paziente. Le opinioni dei pazienti circa gli
avvenimenti più utili nella terapia sono generalmente relazionali, spesso riguardano un gesto del
terapeuta che è andato oltre la cornice della terapia o un esempio suggestivo della sua presenza; è
importante per il terapeuta ricercare nelle opinioni del paziente ciò che serve al processo
terapeutico.
Es. una paziente convinta che il terapeuta la volesse abbandonare per la sua collera incontrollabile,
al termine della terapia considerò come intervento più utile il fatto che il terapeuta aveva prenotato
automaticamente una seduta extra quando lei manifestava rabbia.

12. Impegnatevi nella terapia personale


La psicoterapia personale è la parte più importante della formazione psicoterapeutica. Secondo
Yalom i futuri terapeuti devono mostrare ai pazienti la via attraverso esempi personali; devono
quindi avere familiarità con i propri lati oscuri ed essere capaci di immedesimarsi con ogni
desiderio e impulso umano.
L’esperienza personale della terapia consente al terapeuta di sperimentare gli aspetti del processo
terapeutico dalla sedia del paziente, come ad esempio la tendenza a idealizzare il terapeuta, il
desiderio di dipendenza, l’accettazione dei feedback, la scoperta dei punti ciechi, ecc. L’auto-
esplorazione è un processo che dura tutta la vita ed è importante che il terapeuta vi si sottoponga in
stadi e momenti diversi del proprio percorso e che acquisisca una comprensione della forza dei vari
approcci terapeutici, evitando il settarismo.
Y. ritiene inoltre che le esperienze di gruppo hanno molto da insegnare perché solo essendo un
membro del gruppo è possibile toccare con mano fenomeni come la pressione del gruppo, il sollievo
della catarsi, il processo di ottenere un valido feedback sulla propria presentazione interpersonale.

13. Il terapeuta ha molti pazienti, il paziente ha solo un terapeuta


I pazienti spesso protestano per la disparità nella situazione psicoterapeutica: loro pensano più ai
terapeuti di quanto non facciano questi ultimi con i loro pazienti. La disparità può risultare irritante
per molti pazienti, ma è anche necessaria in quanto il terapeuta vuole incombere nella mente dei
pazienti, facendo sì che l’ora di terapia diventi uno degli avvenimenti più importanti nella loro vita.
14. Usate il qui-e-ora
Il qui-e-ora:
 è la fonte più importante di efficacia terapeutica
 si riferisce agli avvenimenti immediati dell’ora di terapia, a ciò che accade qui (in questo
studio) e ora (in questa precisa ora)
 è un approccio astorico che pone meno enfasi sul passato storico del paziente e sugli
avvenimenti esterni della sua vita.

15. Perché usare il qui-e-ora?


Secondo Yalom il fondamento teorico per usare il qui-e-ora si basa su 2 presupposti fondamentali:
 L’importanza dei rapporti interpersonali, in quanto nella nostra vita l’ambiente
interpersonale che ci circonda (parenti, amici, insegnanti) ha una grande influenza sul tipo di
persone che diventeremo.
 L’idea della terapia come un microcosmo sociale
In sintesi, il fondamento logico del qui-e-ora riguarda l’assumere che i problemi umani sono
ampiamente relazionali e che i problemi interpersonali di un individuo alla fine si manifesteranno
nel qui-e-ora dell’incontro terapeutico.
16. Sviluppate le antenne per il qui-e-ora
Uno dei primi passi nella terapia è identificare gli equivalenti qui-e-ora dei problemi interpersonali
dei pazienti. Gli avvenimenti quotidiani di ogni ora di terapia sono ricchi di dati da analizzare: come
i pazienti salutano, come si siedono, se ispezionano l’ambiente o meno, come raccontano la loro
storia, come iniziano e terminano la seduta e come si relazionano con il terapeuta.
Per” far crescere le antenne” per il qui-e-ora bisogna considerare che se gli individui sono esposti a
uno stimolo comune complesso (es il setting terapeutico) mostreranno reazioni e risposte differenti;
questo perché ogni individuo possiede un mondo interiore differente e lo stimolo ha un significato
diverso per ognuno.

17. Cercate equivalenti del qui-e-ora


Secondo Yalom quando un paziente solleva un problema che coinvolge un’interazione infelice con
un’altra persona, uno strumento utile per il terapeuta è quello di trovare nel qui-e-ora un equivalente
della situazione disfunzionale esposta dal paziente stesso.
Es. un paziente riporta in seduta una discussione con il figlio che ha generato in lui il sentimento di
aver perduto il figlio definitivamente. In questo caso per il terapeuta è più utile trovare una
situazione equivalente nel qui-e-ora, piuttosto che interpretare i sentimenti del figlio che l’esperto
non conosce; è più opportuno far riferimento ad un’esperienza vissuta in terapia con una
connotazione simile.

18. Lavorate sui problemi nel qui-e-ora


Le osservazioni sul qui-e-ora possono far riferimento a tutto quello che si svolge nella terapia; il
lavoro su di esso non è quindi necessariamente astorico, ma può comprendere qualsiasi evento che
si è verificato durante l’intero rapporto con il paziente (ad es. fatti accaduti nel corso delle sedute
precedenti possono essere contestualizzati nel qui-e-ora).

19. Il qui-e-ora dà energia alla terapia


L’importanza e la straordinarietà del lavoro sul qui-e-ora diventa particolarmente evidente nelle
terapie di gruppo. Alcuni esperimenti passati hanno consentito di comprendere che i membri del
gruppo imparano di più su loro stessi e sul loro comportamento attraverso la partecipazione
personale all’interazione, combinata con la partecipazione e l’analisi dell’interazione stessa. Gli
individui hanno bisogno di relazionarsi tra loro, così da poter dare e ricevere un feedback diretto,
capire come vengono percepiti dagli altri.

20. Usate i vostri sentimenti come dati


È importante fare sempre attenzione ai sentimenti immediati che un paziente suscita nel terapeuta.
Se quest’ultimo si sente annoiato e non ha voglia di incontrare il paziente, deve analizzare questi
sentimenti e arrivare alla radice del problema; se il paziente annoiasse il terapeuta, potrebbe
rivelarsi noioso anche per altre persone nella sua vita.

21. Articolate con attenzione i commenti sul qui-e-ora


Il commento sul qui-e-ora è un aspetto unico del rapporto terapeutico. Se da un lato dà un senso di
liberazione, dall’altro però è rischioso perché non siamo abituati a dare e ricevere feedback. I
terapeuti devono infatti prestare attenzione a questi commenti, cercando di presentarli in modi che
appaiano premurosi e accettabili ai pazienti.
Es. è preferibile che il terapeuta anziché utilizzare con il paziente il termine “noioso”, utilizzi parole
come “lontano”, “non connesso” per indicare le proprie sensazioni.

22. Tutto fa brodo per il qui-e-ora


Tutto ciò che accade in terapia è utile ed importante, tuttavia in alcuni casi è più opportuno fare
commenti immediati, mentre in altri casi è preferibile mettere da parte l’esame del qui-e-ora e
ritornare su un determinato passaggio nella seduta successiva. Per esempio, un paziente che piange
in terapia ci consente di indagare il qui-e-ora afferrando il pieno significato dell’espressione dei
sentimenti, in quanto i pazienti non mostrano i sentimenti nel vuoto ma proprio alla presenza del
terapeuta.
Secondo Yalom una terapia efficace consiste in una sequenza alternata: evocazione ed esperienza di
un affetto devono essere seguite dall’analisi e integrazione.

23. Verificate il qui-e-ora in ogni seduta


È importante adottare uno schema fin dalla prima seduta (con regole precise) per analizzare e
valutare il qui-e-ora nella terapia. Ciò è possibile attraverso domande quali “Secondo lei come ci
stiamo relazionando oggi?” oppure “Quanta distanza c’è tra noi oggi?”.
24. Quali bugie mi hai raccontato?
Spesso può capitare che i pazienti raccontino delle bugie per dissimulare delle informazioni,
trattenendole per vergogna, perché desiderano essere considerati in un certo modo dal terapeuta.
Bisogna quindi fare attenzione, in quanto anche la consapevolezza di queste bugie è un aspetto da
comprendere in terapia.

25. Schermo bianco? Scordatevelo! Siate reali


Y. ritiene che si debba abbandonare il modello terapeutico dello “schermo bianco” proposto
inizialmente, nel quale il terapeuta rimaneva neutrale e anonimo in attesa che il paziente proiettasse
le distorsioni del transfert su questo schermo. L’idea di usare distorsioni attuali per ricreare il
passato rientrava nella visione del terapeuta che indaga il trauma originario.
Un modello terapeutico migliore potrebbe essere quello che si propone di capire il passato per
comprendere l’attuale rapporto terapeuta-paziente.

26. Tre tipi di autosvelamento del terapeuta


Non ci sono ragioni per cui il terapeuta rimanga nascosto al paziente, ma ce ne sono molte invece
per rivelarsi ad esso. L’auto-svelamento del terapeuta è un complesso di comportamenti, alcuni che
facilitano la terapia e altri che risultano controproducenti.
Si possono delineare 3 ambiti di apertura del terapeuta:
- Il meccanismo della terapia (27)
- I sentimenti del qui-e-ora (28)
- La vita personale del terapeuta (29)

27. Il meccanismo della terapia. Siate trasparenti


Stabilire una relazione autentica con i pazienti richiede, per sua natura, di abbandonare il potere
insito nel mistero e nell’autorità del terapeuta. È importante preparare i pazienti al processo della
psicoterapia, soprattutto nel caso della psicoterapia di gruppo, che viene spesso vissuta come
esperienza fortemente ansiogena (per esempio i nuovi membri del gruppo, specialmente quelli privi
di un’esperienza di questo tipo, sono spesso resi ansiosi dal potere e dalla pressione del piccolo
gruppo). La preparazione è fondamentale anche nella psicoterapia individuale; Yalom suggerisce
quindi un’apertura totale sul meccanismo della terapia.

28. Rivelare i sentimenti del qui-e-ora. Usate discrezione


Per impegnarsi in un rapporto genuino con il paziente è essenziale che il terapeuta riveli i propri
sentimenti nei confronti del paziente nel presente immediato. I sentimenti del terapeuta sono una
delle fonti di dati di maggior valore nella terapia: aprirsi al paziente, spiegando i propri sentimenti
in quel preciso momento terapeutico, crea apertura nel paziente e, di conseguenza, il superamento di
un determinato ostacolo nella relazione.

29. Rivelare la vita personale del terapeuta. Siate prudenti


Su questo meccanismo di apertura, relativo alla vita personale del terapeuta, secondo Yalom ci sono
tesi controverse. Egli sottolinea però che ogni volta che ha condiviso con il paziente una sua
sfaccettatura, ciò ha poi facilitato la terapia. Ad esempio, nella terapia di gruppo è assiomatico che,
se il gruppo evita uno specifico argomento, nessun altro verrà affrontato in modo efficace.
Yalom racconta di un suo lutto famigliare (la morte della madre) e di come la condivisione di esso
con il gruppo, nonché la risposta a tutte le domande poste dai singoli membri, fece sì che, a seguito
di ciò, il gruppo si concentrò attivamente su altre questioni e riflessioni in modo produttivo.

30. Rivelare la vostra vita personale. Ammonimenti


Una delle paure più profonde che provano i terapeuti riguardo alla rivelazione personale è che una
volta rivelata una questione personale al paziente, non ci sia una fine e che egli voglia saperne
sempre di più. In realtà questa è una paura infondata; molti pazienti accettano quello che i terapeuti
vogliono condividere con loro senza andare oltre.
Nonostante ciò, Yalom vuole ammonire i futuri psicoterapeuti sul fatto che sebbene i pazienti siano
protetti dal segreto professionale, i terapeuti non lo sono e non possono neanche chiedere al
paziente di conservare per sé determinate informazioni. Il consiglio e il suggerimento di Y. è quindi
quello di evitare di fornire informazioni durante la terapia nel caso in cui non si volesse renderle di
dominio pubblico.

31. Trasparenza e universalità del terapeuta


Dal momento che molti pazienti iniziano la terapia sentendosi unici nella loro disgrazia, un fattore
terapeutico fondamentale è l’universalità, soprattutto nella terapia di gruppo. Sapere di non essere i
soli ad affrontare un problema o determinati pensieri, ma piuttosto che essi sono condivisi da altri
membri del gruppo, è profondamente confortante. Anche nella terapia individuale il paziente
potrebbe rivelare sentimenti che, in un certo tempo e in un certo luogo, ha provato anche il
terapeuta stesso; in questo caso è importante condividerli durante la seduta.

32. I pazienti opporranno resistenze alla vostra apertura


Molto spesso accade che i pazienti non desiderano conoscere la vita personale del terapeuta, ma
piuttosto vedere in lui una specie di mago, attribuendogli qualità mistiche, misteriose e autoritarie.
Tendono a vedere il terapeuta come onnisciente, come colui che conosce la strada che potrebbe
riportare a casa. In alcuni casi, quando l’idealizzazione che fanno del terapeuta è eccessiva, è
necessario comunicare questo stato al paziente per fa sì che esso si avvicini al terapeuta come
uomo, come persona vera e che non lo consideri una persona fuori dal tempo.

33. Evitate la falsa guarigione


Yalom con il termine “falsa guarigione” si riferisce ad un effetto del transfert, un improvviso
miglioramento radicale nel paziente, fondato sulla magia. Spesso alcuni pazienti già dopo le prime
sedute si mostrano nettamente migliorati, fanno complimenti sulle capacità interpretative del
terapeuta e sui feedback che quest’ultimo fornisce. Bisogna però far attenzione a questo processo
legato solitamente all’idealizzazione che il paziente fa del terapeuta.
34. Portate i pazienti più lontano di dove siete arrivati voi
Ci si chiede spesso se è possibile aiutare un paziente che ha sperimentato dei problemi nevrotici
simili a quelli del terapeuta, facendo sì che arrivi oltre e più lontano di quanto abbia fatto il
terapeuta stesso. In merito a ciò, esistono 2 punti di vista opposti:
- Uno più antico e tradizionale (oggi poco diffuso) secondo cui solo quando il terapeuta ha
analizzato sé stesso, le sue nevrosi e scoperto i suoi punti ciechi, può aiutare il paziente.
- Uno più recente di Karen Horney secondo cui se il terapeuta riesce a rimuovere gli ostacoli
nella vita del paziente, quest’ultimo maturerà spontaneamente e realizzerà il proprio
potenziale, raggiungendo un livello di integrazione superiore a quello del terapeuta stesso.

35. Essere aiutati dal proprio paziente


Secondo Yalom bisogna accettare che anche il paziente involontariamente o meno possa aiutare il
terapeuta in determinate situazioni. Jung parla di “guaritore ferito” affermando che spesso il
paziente possiede capacità perfette per curare la ferita del guaritore (il terapeuta). I guaritori feriti
spesso sono efficaci perché sono maggiormente in grado di provare empatia per le ferite del
paziente.

36. Incoraggiate l’autosvelamento del paziente


Nessun paziente trae beneficio dalla terapia senza autorivelazione; l’autosvelamento è infatti
essenziale nella terapia. Non è importante solo commentare il contenuto di una rivelazione fatta dal
paziente ma anche il processo stesso che ha portato il paziente a fare questa rivelazione. L’atto di
apertura del paziente è quindi fondamentale, ma possiamo distinguere 2 tipi di apertura:
- L’apertura verticale = si riferisce all’azione di andare alla radice del contenuto stesso esposto
dal paziente
- L’apertura orizzontale = ricercare cosa ha reso possibile l’apertura nel qui-e-ora
Se il paziente dovesse impiegare più tempo per l’autosvelamento e quindi mostrare un’apertura
ritardata, il terapeuta non deve rispondere con impazienza ma concentrarsi sul fatto che alla fine è
riuscito a sviluppare una certa fiducia e a fornire quella determinata informazione.

37. Il feedback in psicoterapia


La “finestra di Johari” è un paradigma della personalità relativo all’autosvelamento e al feedback.
Prevede 4 quadranti relativi a quattro tipologie del sé:
- Il Sé pubblico (conosciuto al sé e agli altri)
- Il Sé cieco (sconosciuto al sé e conosciuto agli altri)
- Il Sé segreto (conosciuto al sé e sconosciuto agli altri)
- Il Sé inconscio (sconosciuto al sé e agli altri)
In terapia si cerca di far crescere la cella pubblica e di ridurre la cella segreta, sperando di
diminuire anche la misura del sé inconscio, aiutando i pazienti a esplorare e a conoscere gli strati
più profondi di se stessi. La cella che però viene maggiormente presa di mira è quella del Sé cieco;
lo scopo della terapia è infatti quello di aumentare l’esame di realtà e aiutare i singoli a vedersi
come vengono visti dagli altri, quindi di ridurre la cella del sé cieco. Ciò avviene attraverso
l’azione del feedback: solo tramite esso i pazienti diventano migliori testimoni del proprio
comportamento e riescono a valutarne l’impatto sui sentimenti altrui.

38. Fornite il feedback in modo efficace e gentile


Nel fornire il feedback è importante inizialmente che il terapeuta chieda il consenso al paziente per
presentare le osservazioni sul qui-e-ora, per poi sottolineare che esse hanno un ruolo importante sul
chiarire le ragioni che lo hanno portato in terapia. Nel fare ciò, il terapeuta potrebbe introdurre al
paziente l’idea che il suo desiderio è quello di essere vicino ai pazienti e conoscerli meglio.

39. Aumentate la ricettività al feedback usando le “parti”


In terapia bisogna evitare di fornire feedback generalizzati, rendendoli il più possibile focalizzati ed
espliciti. Piuttosto che rispondere in maniera secca alle domande del paziente, il terapeuta dovrebbe
cercare di rendere più utile la sua risposta, indagando gli aspetti che lo avvicinano maggiormente al
paziente e quelli che lo allontanano. Spesso, utilizzare il concetto di “parti”, potrebbe contribuire
alla riduzione delle difese del paziente.
Per esempio, nel caso di un paziente che pensa spesso al suicidio, il terapeuta potrebbe commentare
dicendo “so che lei pensa spesso al suicidio, ma lei è ancora qua, quindi una parte di lei vuole
restare in vita; adesso vorrei comunicare con questa parte di lei.”

40. Feedback: battete il ferro finché è freddo


In alcuni casi in terapia può essere utile offrire un feedback su un determinato comportamento in un
momento successivo, ovvero offrire un feedback su un comportamento preciso quando il paziente
sta agendo in modo diverso.

41. Parlate della morte


Così come non possiamo tenere la morte lontana dalla nostra mente, non possiamo non parlarne in
terapia. La morte è infatti presente in ogni percorso di terapia, però molti terapeuti decidono di
evitare la discussione diretta di questa tematica nelle loro sedute.
Yalom, al contrario, ritiene che si debba affrontare la morte in terapia perché essa è un’esplorazione
profonda del corso e del significato della vita. Inoltre, essendo centrale nella nostra esistenza e
considerando la vita e la morte come interdipendenti, non può essere ignorata.

42. La morte e l’esaltazione della vita


Facendo riferimento a molti romanzi in letteratura o a storie di gruppi di pazienti oncologici gravi,
possiamo vedere come sebbene la morte fisica ci distrugga, l’idea della morte può salvarci.
Heidegger in particolare parla di due modalità di esistenza:
- Il modo di tutti i giorni = siamo distratti da ciò che ci circonda e ci esaltiamo per come sono le
cose nel mondo
- Il modo ontologico = ci focalizziamo sull’esistenza in sé delle cose, meravigliati dal fatto che
ci siano delle cose nel mondo. Quando viviamo in questo modo, siamo molto ricettivi per un
cambiamento personale.
Il passaggio dal modo di tutti i giorni a quello ontologico è segnato da “esperienze di confine”, ossia
episodi che ci allontanano dalla quotidianità e concentrano la nostra attenzione sull’essere in sé. La
morte è l’esperienza di confine più potente. Per esempio, in gruppi di soggetti malati di cancro, è
come se questa malattia li facesse guarire dalle nevrosi e dalle fobie, facendo sì che tutto assuma
una prospettiva diversa.

43. Come parlare della morte


Yalom ritiene che il terapeuta debba parlare della morte direttamente e in modo realistico,
affrontando in modo diretto anche quei pazienti che vivono con angoscia il pensiero della morte. In
questi casi, può essere utile esaminare la paura e chiedere con calma che cosa ci sia di terrificante in
essa. Infatti, una volta che il terapeuta dimostrerà la propria serenità nel parlare della morte, anche i
pazienti si sentiranno autorizzati a farlo con più tranquillità e ne parleranno con più frequenza.

44. Parlate del significato della vita


Molti pazienti arrivano in terapia con domande irrisolte relative al significato della vita, al perché
siamo qui e qual è il nostro scopo. Gli esseri umani infatti sono creature sempre alla ricerca di un
significato e spesso questa continua ricerca ci fa precipitare in una sorta di crisi. Secondo Yalom, il
significato della vita si può affrontare meglio in modo indiretto (a differenza di questioni come la
morte, la solitudine e la libertà): è importante immergersi in uno dei molti significati, basato sulla
trascendenza del sé, per poi rimuovere gli ostacoli all’impegno e lasciare che la domanda sul
significato scorra via da sola.

45. La libertà
Apparentemente la libertà sembra contenere solo connotazioni positive, ma in realtà essa ha anche
un lato oscuro. Vista dalla prospettiva della creazione di sé, delle scelte, della volontà e dell’azione,
la libertà è permeata di ansia. Infatti, attraverso il susseguirsi delle nostre scelte, delle azioni e dei
fallimenti nell’azione, diamo forma a noi stessi e siamo responsabili di noi stessi; non è quindi
possibile evitare questa responsabilità, questa libertà. Come dice Sartre, “siamo condannati alla
libertà”, non possiamo evitarla.

46. Aiutate i pazienti ad assumersi responsabilità


Affinché si possa ottenere un cambiamento terapeutico più significativo, il terapeuta deve
incoraggiare il paziente ad assumersi la sua parte di responsabilità, cioè a rendersi conto di come
egli stesso, in prima persona, contribuisce alla propria sofferenza. L’assunzione di responsabilità è il
primo passo essenziale nel processo terapeutico. Una volta che il singolo riconosce il proprio ruolo
nel creare queste situazioni difficili, si rende anche conto che è l’unico che ha il potere di cambiare
la situazione stessa. La disponibilità ad accettare la responsabilità varia molto da paziente a paziente
e, inoltre, ogni terapeuta sviluppa i propri metodi per facilitarne l’assunzione.

47. Mai (quasi mai) prendere decisioni al posto del paziente


Secondo Yalom prendere decisioni al posto del paziente è sempre una cattiva idea perché:
- Le informazioni fornite dal paziente sono distorte e il terapeuta si trova quindi ad operare su
dati poco affidabili.
- Le informazioni fornite dal paziente sono soggette a cambiamento col passare del tempo o con
il mutare del rapporto con il terapeuta; ciò fa sì che emergeranno nuovi fatti che il terapeuta
deve valutare.
È meglio fare affidamento su dati più sicuri per compiere osservazioni più oggettive, ottenibili
attraverso sedute di coppia (per osservare l’interazione tra i partner) e con la focalizzazione sul
rapporto terapeutico qui-e-ora. Solo in alcuni casi è preferibile agire direttamente, come nel caso
di una donna vittima di abusi fisici, che può essere invitata dal terapeuta a non tornare più nel
luogo in cui rischia di subirne ancora.

48. Decisioni: una via regia al substrato esistenziale


Prendere decisioni per i pazienti è un buon metodo per perderli. Le decisioni sono una via regia, una
strada importante verso un ricco campo esistenziale, come il regno della libertà, della responsabilità,
della scelta, del rimpianto, del desiderio e della volontà. In terapia uno dei primi passi è proprio
quello di far sì che il paziente si assuma la responsabilità delle sue azioni, facendogli capire che
prende decisioni anche non facendolo affatto. Una volta che i pazienti accettano ciò e si appropriano
del loro comportamento, il terapeuta può interrogarli sul grado di soddisfazione relativo alla natura
della decisione e al modo in cui è stata presa.

49. Concentrarsi sulle resistenze a prendere decisioni


La decisione, come la morte, è un’esperienza di confine, che ci mette a confronto con il punto fino
al quale noi creiamo noi stessi, ma anche con i limiti delle nostre possibilità. Le decisioni sono
infatti faticose perché esigono la rinuncia: le alternative si escludono a vicenda.

50. Facilitare la consapevolezza offrendo consigli


Sebbene il terapeuta solitamente aiuti il paziente a trattare i dilemmi decisionali invitandolo ad
assumersi la propria responsabilità ed evidenziando la sua resistenza alla scelta, ognuno può
ricorrere a tecniche diverse. Yalom spesso offre consigli al paziente per scuotere un pensiero o
determinati schemi comportamentali radicati. I consigli però non sono fini a sé stessi, ma devono
rappresentare un mezzo per incoraggiare l’esplorazione autonoma del paziente. Infatti, non è il
contenuto specifico del consiglio ad aiutare realmente, quanto piuttosto il fatto in sé.

51. Facilitare le decisioni: altri strumenti


Ogni terapeuta dopo anni di lavoro acquisisce tecniche preferite di mobilitazione da utilizzare in
specifiche situazioni. In alcuni casi Y. trova utile sottolineare l’assurdità della resistenza basata su
avvenimenti passati, ormai irreversibili. Per esempio, se un paziente non riesce ad andare avanti
nella sua vita per determinati eventi passati che l’hanno segnato, il terapeuta deve cercare di battersi
sul fatto che presto o tardi egli dovrà abbandonare l’obiettivo di avere un passato migliore.
Un’altra tecnica utile si è rivelata proprio la descrizione da parte di una terza persona (il terapeuta)
del paziente stesso, consentendo a quest’ultimo di guadagnare maggiore oggettività riguardo alla
sua situazione.

52. Conducete la terapia come una seduta continua


Registrare le sedute con i pazienti per poi riascoltarle prima della seduta successiva, oppure far sì
che i pazienti stessi riascoltino la seduta durante il tragitto per venire in terapia, permette al
terapeuta di andare più a fondo su alcuni temi importanti trattati nell’incontro precedente e
consente, al tempo stesso, di sviluppare la sensazione di vivere la terapia come se fosse una seduta
continua, un unico incontro. Nel caso dei gruppi invece, Yalom, trova utile scrivere dei riassunti
contenenti i pensieri e le sensazioni dell’ultima seduta, per poi inviarli a tutti i membri prima della
seduta successiva, così da mantenere un collegamento costante con i precedenti incontri.

53. Prendere appunti di ogni seduta


È importante che il terapeuta si prenda alcuni minuti tra una seduta e l’altra per inserire nel
computer gli argomenti principali, i propri sentimenti e ciò che è rimasto incompiuto nella seduta.
Inoltre, Yalom consiglia ai futuri psicoterapeuti di organizzare gli appuntamenti in modo da avere
sempre i minuti necessari per leggere gli appunti delle sedute precedenti, preparandosi al nuovo
incontro. Ciò, solitamente, è consigliabile quando gli incontri tra terapeuta e paziente non sono
molto frequenti.
54. Incoraggiate l’auto-monitoraggio
L’avventura della terapia è un esercizio di auto-esplorazione; è importante che i pazienti effettuino
un’auto-monitoraggio di sé e dei propri comportamenti, osservandosi in determinate situazioni e
prendendo appunti da riportare poi in seduta. Yalom consiglia anche ai pazienti di cercare di
ottenere un feedback dagli altri su come erano o come sono percepiti (es. nel caso di un incontro tra
vecchi compagni di classe).

55. Quando il vostro paziente piange


Dal momento che il pianto indica l’ingresso in una dimensione più profonda dell’emozione, il
compito del terapeuta non è quello di essere gentile e aiutare il paziente a smettere di piangere. Al
contrario, deve cercare di incoraggiare il paziente ad andare ancora più a fondo, condividendo i
propri pensieri. Quindi, di fronte ad una crisi di pianto, per prima cosa bisogna immergere il
paziente nel contenuto e nel significato delle lacrime, per poi analizzare l’atto in sé, concentrandosi
su ciò che il paziente prova nel piangere in presenza del terapeuta.

56. Concedetevi del tempo tra un paziente e l’altro


Ai fini della terapia, come abbiamo visto, è importante prendere appunti dettagliati al termine di
ogni seduta. Quindi, Yalom ritiene che il terapeuta si debba sempre concedere il giusto tempo tra un
paziente e l’altro, non solo per prendere appunti, ma anche per leggere le eventuali annotazioni e
riflettere, non riservandosi mai meno di 15 minuti.

57. Esprimete apertamente i vostri dilemmi


Quando il terapeuta ha difficoltà a rispondere a un paziente ed ha considerazioni contrastanti su
come commentare un determinato momento in terapia, è bene rendere partecipe il paziente di tali
dilemmi ed esprimerli apertamente.

58. Fate visite a casa


Fare visita a casa del paziente si può rivelare utile perché può fornire al terapeuta informazioni su
aspetti che altrimenti non avrebbe conosciuto, come gli hobby, le abitudini ricreative, la sensibilità
estetica. Le visite a casa sono quindi avvenimenti significativi che bisogna programmare con
attenzione per evitare che i pazienti vivano con ansia questa richiesta. Si devono prima stabilire e
rispettare certi confini ma, quando la situazione lo richiede, il terapeuta deve essere flessibile,
creativo e adattare la terapia che offre alle varie esigenze dei pazienti.

59. Non prendete la spiegazione troppo sul serio


Attraverso l’esperimento in cui sia il paziente che il terapeuta registravano le proprie opinioni di
ogni seduta terapeutica, si è potuto evidenziare come il terapeuta valorizzava maggiormente le
interpretazioni intellettuali, mentre il paziente si concentrava di più sui piccoli atti personali che
considerava importanti per il rapporto. Da ciò emerge quindi il fatto che i terapeuti danno un valore
molto più elevato dei pazienti all’interpretazione e all’intuito. Infatti, essi, più sanno della vita del
paziente, più si addentrano al suo interno diventandone testimoni stretti; si focalizzano
ripetutamente nell’identificare e chiarire gli ostacoli che bloccano l’incontro tra loro e il paziente.
Bisogna però sottolineare che non è dimostrato a livello empirico che l’introspezione porti al
cambiamento e che, qualsiasi intuizione del terapeuta può essere una costruzione, una spiegazione,
ma non la spiegazione in sé.

60. Stratagemmi per accelerare la terapia


Nella terapia di gruppo sono risultate particolarmente utili alcune tecniche di accelerazione o di
“scongelamento”, che rappresentano il primo stadio dell’esercizio vero e proprio. Tra di esse le più
utilizzate sono:
- Il trust fall = un esercizio sulla fiducia nel quale il gruppo forma un cerchio intorno a un
membro che, con gli occhi chiusi, cade all’indietro e viene afferrato dagli altri membri
- Il top secret = un esercizio in cui ognuno dei membri scrive su strisce di carta uguali tra loro
un grande segreto che riterrebbe rischioso rivelare. Le frasi vengono poi ridistribuite e ogni
membro legge il segreto di qualcun altro descrivendo come si sentirebbe al suo posto.
L’intervento più potente è però risultato essere l’esercizio “Chi sono?” in cui ogni membro
riceveva otto strisce di carta su cui doveva scrivere la risposta alla domanda “Chi sono?”. Ogni
membro doveva disporre le strisce in ordine, dalla più periferica alla più centrale (cioè più vicina
alla propria essenza), iniziando a meditare sulla prima immaginando come si sarebbe sentito se
avesse lasciato andare quella parte della sua identità. Lo stesso lavoro veniva ripetuto per tutte le
strisce e, una volta esaurite, il processo veniva invertito e si riappropriavano di ciascun effetto
della loro identità. Solo a questo punto poteva iniziare la discussione di gruppo in cui ognuno
approfondiva le problematiche che aveva riscontrato. Secondo Yalom questi stratagemmi di
accelerazione sono meno utili nella terapia individuale. Infatti, alcuni espedienti che utilizza per
soddisfare le necessità del paziente sono le visite a casa, come accennato precedentemente, e i
giochi di ruolo. Tra di essi i più comuni sono il gioco di ruoli informali e la tecnica della sedia
vuota; queste tecniche sono utili per generare dati per successivi approfondimenti. A ciò si
aggiunge anche il chiedere ai pazienti di portare in terapia vecchie foto di famiglia importanti o far
scrivere loro una lettera ad una persona con cui potevano avere delle questioni rimaste in sospeso,
per poi condividerla in terapia.

61. La terapia come prova generale per la vita


L’amicizia tra terapeuta e paziente è una condizione necessaria ma non sufficiente. Infatti, sebbene
la psicoterapia richieda un rapporto stretto, esso non è un fine, bensì il mezzo per raggiungere un
fine. La vicinanza del rapporto terapeutico è utile a molti scopi:
- Fornisce un posto sicuro ai pazienti per rivelarsi il più pienamente possibile
- Consente ai pazienti di sentirsi accettati e compresi dopo una grande rivelazione di sé
- Insegna ai pazienti le abilità sociali
Il rapporto terapeutico deve servire come punto di riferimento a cui i pazienti possono tornare con
l’immaginazione; avendo raggiunto una volta questo livello di intimità, possono coltivare
l’aspettativa di vivere altri rapporti simili. È importante però sottolineare che la modifica del
comportamento nella situazione terapeutica non è sufficiente affinché i pazienti trasferiscano il
cambiamento nel proprio ambiente di vita.

62. Usate il lamento iniziale come leva


Yalom suggerisce di non perdere mai il contatto con il lamento iniziale dei pazienti, in quanto le
ragioni che hanno portato il paziente in terapia e che fornisce nella prima seduta, possono rivelarsi
utili durante fasi difficili della terapia stessa.

63. Non abbiate paura di toccare il vostro paziente


In alcune situazioni, per esempio mentre il terapeuta accompagna la persona alla porta, avere
contatti con il paziente attraverso una stretta di mano o una pacca sulla spalla, può essere utile alla
relazione, sempre che non si ha il timore che questi contatti vengano interpretati dal paziente in
chiave sessuale. Infatti, Yalom crede che innanzitutto non bisognerebbe mai sollecitare il contatto
con il paziente ma, se durante la terapia il paziente volesse tenere la mano del terapeuta più a lungo
o cercare un abbraccio, bisognerebbe concederlo, rifiutando soltanto nel caso in cui esistano ragioni
importanti, come preoccupazioni di tipo sessuale, che vanno comunque sempre condivise in modo
esplicito con il paziente. Qualunque sia il contatto, è importante farne menzione nella seduta
successiva e assicurarsi che il tocco si trasformi in qualcosa di più utile a livello interpersonale.
64. Niente sesso con i pazienti
Negli ultimi anni vi è un’elevata incidenza di trasgressioni sessuali nelle situazioni in cui si esercita
un diverso livello di potere, quindi anche nella psicoterapia. In questo campo, ad essere danneggiati
non sono solo i pazienti ma anche i terapeuti. Spesso ci sono desideri sessuali da parte del paziente
nei confronti del terapeuta; in terapia le persone sono accolte, curate, accettate e sostenute
incondizionatamente e, alcune di esse, non sanno come rispondere a questa generosità. È proprio in
questi casi che specialmente le donne con scarsa autostima credono che l’unico vero regalo che
hanno da offrire sia di ordine sessuale. Tutte queste dinamiche dovrebbero però diventare parte del
dialogo terapeutico in quanto hanno creato difficoltà per il paziente nella sua vita ed è bene che
emergano nel qui-e-ora della seduta di terapia. Per quanto riguarda i terapeuti, può succedere che si
trovino in difficoltà perché magari non hanno una vita sessuale appagata o vivono isolati; in ogni
caso l’attività professionale non è un’opportunità per contatti sessuali. Infatti, la trasgressione
sessuale è distruttiva anche per i terapeuti in quanto una volta che esaminano sé stessi onestamente,
capiscono di aver agito per la propria soddisfazione, piuttosto che al servizio del paziente. Pagano
un prezzo altissimo non soltanto agli occhi del mondo esterno (sotto forma di censura) ma anche
verso sé stessi, provando sensi di colpa e vergogna persistente.

65. Prestate attenzione agli anniversari e ai momenti importanti della vita


Alcune date possono avere un grande significato per molti pazienti, come ad esempio gli
anniversari di matrimonio o divorzio, date di compleanni o di pensionamenti. Frequente nei pazienti
è proprio una reazione agli anniversari, in cui è stata documentata l’esistenza di un’influenza
inconscia su pensieri e sentimenti consci. Per questo, è importante che il terapeuta si ricordi di
questi anniversari.

66. Non ignorate mai l’”ansia da terapia”


Nonostante la psicoterapia sia un processo spontaneo caratterizzato dallo stile unico che ogni
professionista utilizza con i propri pazienti, ci sono alcune regole universali. Una di esse è quella di
esplorare sempre l’ansia collegata alla seduta. Infatti, sebbene l’ansia possa derivare dal contenuto
dello scambio terapeutico, più di frequente deriva dal processo, ossia da sentimenti sul rapporto
paziente-terapeuta. Secondo Yalom, dal momento che le cause dell’ansia si possono sempre
scoprire, essa può essere impedita e controllata. Nel caso in cui un paziente durante la seduta
sviluppi ansia, il terapeuta dovrebbe cercare di ripercorre l’intera seduta individuando con
precisione quando è emerso il disagio.

67. Dottore, mi tolga l’ansia


Se un paziente è oppresso dall’ansia e chiede aiuto, il terapeuta può porre la domanda “Cosa potrei
dire esattamente che potrebbe far sì che lei stia meglio?”. In questo modo il terapeuta non si sta
rivolgendo alla mente razionale del paziente, ma alla sua parte infantile. La persona solitamente
esprime ciò che vorrebbe sentirsi dire e il terapeuta ripete quello che il paziente desidera. Questo
esercizio di auto-rasserenamento crea però una situazione paradossale: il paziente viene proiettato in
uno stato mentale dipendente quando chiede al terapeuta di pronunciare determinate parole, ma
nello stesso tempo è obbligato ad assumere una posizione di autonomia inventando le parole che gli
danno sollievo.

68. Essere il boia dell’amore


Quando si parla di amore come stato mentale infatuato, ossessionato, stregato, che possiede
completamente l’individuo, solitamente si configura come un’esperienza meravigliosa, ma ci sono
casi in cui l’infatuazione procura più sofferenza che piacere. Per sviluppare un rapporto empatico
con i pazienti innamorati, Yalom consiglia al terapeuta di esprimere il proprio apprezzamento per lo
stato mentale astenendosi dalle critiche. Bisogna infatti essere delicati verso un sentimento che
permette di vivere con speranza; è bene considerare l’estasi del paziente, ma aiutarlo anche a
prepararsi alla sua fine, senza anticiparne i tempi.
Il paziente deve essere libero di scoprire ed esprimere le sensazioni sull’irrazionalità dei propri
sentimenti o sulla disillusione verso la persona amata. Quando una di queste esperienze si verifica
nella realtà, il terapeuta prende nota delle parole del paziente e, quando quest’ultimo rientra nel suo
stato ridealizzando l’amata, può ricordargli i suoi commenti.

69. Accogliere una storia


Un momento fondamentale della terapia è proprio quello dell’anamnesi del paziente. Ci sono degli
schemi sistematici che consentono di raccogliere meglio l’anamnesi; essi comprendono situazioni in
cui i pazienti presentano i loro problemi, la malattia e la propria storia. Ci sono sicuramente dei
vantaggi nel raccogliere i dati passo dopo passo, ma una volta che hanno acquisito esperienza,
raramente i terapeuti seguono una lista sistematica di domande nel lavoro psicoterapeutico. La
raccolta di dati diventa intuitiva e automatica; non precede la terapia ma è parte della terapia stessa.

70. Cronaca degli impegni giornalieri del paziente


Yalom, nonostante crede molto in un modello intuitivo di raccolta dati, svolge un’indagine
particolare nelle prime due sedute di terapia: chiede al paziente di fare un resoconto dettagliato della
sua giornata tipica. Se è abbastanza dettagliata, quest’indagine può essere molto istruttiva per i
terapeuti, consentendo da un lato di acquisire una ricca quantità di informazioni altrimenti ignorate
(es. abitudini alimentari, attività nel tempo libero) e dall’altro di iniziare rapidamente il processo
che consente di instaurare un rapporto. Infatti, l’esame approfondito delle attività quotidiane, fa
aumentare rapidamente il senso d’intimità terapeuta-paziente, necessario nel processo di
cambiamento.

71. Com’è popolata la vita del paziente?


Uno dei compiti più importanti nei primi contatti con il paziente è capire com’è popolata la sua vita.
Molte di queste informazioni si possono ottenere con un controllo dei suoi impegni quotidiani, ma è
anche necessario indagare in modo particolareggiato su tutte le persone che sono importanti per lui,
oltre che su ogni contatto interpersonale di una giornata tipica. Potrebbe essere istruttivo indagare
su tutti i migliori amici del paziente, passati e presenti.

72. Intervistate l’altro significativo


Quando il terapeuta sente descrivere dai pazienti persone per loro significative, inevitabilmente si
crea un’immagine mentale della persona in questione, dimenticando che le sue informazioni al
riguardo sono indirette, filtrate attraverso gli occhi imparziali del paziente. L’incontro con gli altri
significativi è fondamentale in quanto aiuta spesso il terapeuta ad entrare maggiormente nella vita
del paziente, fornendo una nuova prospettiva e informazioni molto utili. L’intervista avviene però
sempre in presenza del paziente, chiedendo all’altra persona dei feedback e suggerimenti per avere
idee sui cambiamenti che il paziente potrebbe realizzare.

73. Esplorate la terapia precedente


Se i pazienti hanno già affrontato una terapia in precedenza, è bene che il terapeuta indaghi in modo
particolareggiato su questa esperienza. Nel caso in cui la terapia non è stata soddisfacente,
solitamente il paziente ricorda la mancanza di coinvolgimento, la scarsa partecipazione del
terapeuta precedente. Quando si viene a conoscenza degli errori di quest’ultimo quindi,
bisognerebbe evitare di ripeterli, chiedendo al paziente di tanto in tanto come sta procedendo la
nuova terapia. Anche nel caso in cui un paziente ha sperimentato un percorso riuscito nel passato, è
comunque importante esplorare che cosa ha funzionato nella terapia, con lo scopo di incorporare gli
aspetti positivi in quella attuale. In ogni caso, i resoconti sulla terapia riuscita o meno non
rimangono statici, ma cambiano, tanto che il paziente può iniziare a ricordare gli effetti positivi di
terapeuti che inizialmente aveva denigrato.

74. Condividere l’oscurità dell’ombra


Il terapeuta deve cercare di normalizzare gli impulsi più oscuri dei pazienti, sottolineando l’ubiquità
di certi sentimenti e indirizzandoli verso letture appropriate. Il terapeuta deve quindi essere aperto ai
suoi lati oscuri e ignobili e, in determinati momenti, condividerli con il paziente, così da aiutare
quest’ultimo a non flagellarsi per le sue trasgressioni reali o immaginarie.

75. Freud non aveva sempre torto


Recentemente la teoria psicoanalitica ha ricevuto molte critiche in quanto datata e considerata una
pseudocoscienza, basata su un paradigma scientifico fuori moda. Secondo Yalom, un’intera
generazione di professionisti della salute mentale è stata educata a una visione severa e disinformata
dell’uomo. Freud, non solo inventò senza alcun aiuto la psicoterapia, ma in “Studi sull’isteria” nel
1895, prefigurò molti dei più importanti sviluppi che si sarebbero verificati negli anni successivi.
Pone infatti le fondamenta della disciplina: l’importanza dell’insight, dell’esplorazione profonda e
della sua espressione; l’esistenza del transfert, del trauma rimosso e della resistenza; l’uso dei sogni,
dei giochi di ruolo e delle libere associazioni; l’assoluta necessità di un rapporto terapeutico basato
sulla fiducia. Y. raccomanda perciò ai futuri professionisti di non valutare i contributi di Freud sulla
base delle posizioni assunte dai vari istituti psicoanalitici freudiani, in quanto molti di essi adottano
un punto di vista statico sul suo lavoro, completamente privo della sua disposizione d’animo
creativa e innovatrice.
C’è stato inoltre un recente sviluppo nel pensiero e nella pratica psicanalitica, attraverso una nuova
consapevolezza del ruolo cruciale dell’incontro umano nel processo di cambiamento; perciò, gli
analisti progressivi, tendono ad una maggiore apertura e autenticità nei loro rapporti con i pazienti.
76. La terapia cognitivo-comportamentale non è poi così miracolosa...
Il concetto di EVT (Teorie Validate Empiricamente) ha avuto di recente un enorme impatto sul
campo della psicoterapia, tanto che solo una breve terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è
autorizzata dalle autorità sanitarie. Innanzitutto, Yalom esorta i clinici a considerare che le terapie
non validate non sono terapie invalidate. La ricerca, se deve essere sovvenzionata, deve avere un
progetto chiaro; tale progetto favorisce molto le CBT ed esclude la maggior parte delle terapie
tradizionali, che si basano su un intimo rapporto terapeuta-paziente, focalizzato sull’evoluzione
spontanea del qui-e-ora. Inoltre, esistono molte false premesse nella ricerca sulle EVT:
- Il fatto che i problemi a lungo termine possano risolversi con una breve terapia;
- Il fatto che i pazienti hanno un unico sintomo definibile e che lo possano riferire
accuratamente all’inizio della terapia;
- Il fatto che gli elementi della terapia siano dissociabili l’uno dall’altro;
- Il fatto che un manuale di procedura sistematico possa permettere a persone poco formate di
applicare efficacemente la psicoterapia.

L’iniziale risposta positiva delle EVT ha quindi condotto a un quadro distorto della sua efficacia in
quanto la percentuale di pazienti che mantiene un miglioramento è bassa.

77. I sogni. Usateli, usateli, usateli.


Molti giovani terapeuti evitano di lavorare sui sogni per diversi motivi: alcuni sono intimiditi dalla
natura complessa, voluminosa e controversa della letteratura sui sogni, altri sono scoraggiati dalla
forma stessa dei sogni, dalla loro natura criptica e mascherata. La ragione più importante però
sembra essere il fatto che molti giovani terapeuti non hanno avuto l’esperienza di una terapia
personale che abbia potuto trarre profitto dal lavoro sui sogni. Yalom considera la scarsa attenzione
sui sogni una grande perdita, in quanto essi possono essere un supporto prezioso per una terapia
efficace; rappresentano una riformulazione dei problemi più profondi del paziente in un linguaggio
diverso, fatto di immagini visive.

78. Interpretazione completa di un sogno? Scordatevela!


Tra tutte le concezioni erronee che i giovani terapeuti possono avere riguardo al lavoro sui sogni, la
più preoccupante secondo Y. è l’idea che il loro scopo dovrebbe essere di interpretare un sogno in
modo completo e accurato. Anche se fosse possibile interpretare in modo esauriente un sogno,
questo non sarebbe il miglior modo di utilizzare l’ora di terapia; essi vanno utilizzati secondo
un’ottica pragmatica, solo quando possono facilitare la terapia stessa.

79. Usate i sogni in modo pragmatico: saccheggiate e depredate


Il principio fondamentale alla base del lavoro sui sogni è quello di estrarre da essi tutto ciò che
sembra avere importanza e che facilita e accelera la terapia. Come primo passo bisogna considerare
i tempi: inizialmente è fondamentale stabilire una forte alleanza terapeutica, focalizzando le
domande e i commenti sugli aspetti del sogno che riguardano l’impegno e la sicurezza nella
situazione terapeutica. Non si deve cercare di interpretare il sogno del paziente, né focalizzarsi sui
suoi aspetti curiosi; su queste immagini oniriche si potrà tornare in sedute future. La priorità sta
nell’aiutare il paziente a superare le sue resistenze, occupandosi degli aspetti legati alla terapia,
come la fiducia, la sicurezza e la riservatezza.

80. Imparate a navigare nei sogni


In primo luogo, è importante chiarire al paziente che:
- i sogni interessano al terapeuta;
- il terapeuta indaga su di essi nella prima seduta;
- il terapeuta mostra particolare attenzione per i sogni ricorrenti, per gli incubi o altri sogni
significativi.
Yalom raccomanda ai terapeuti di scrivere sempre le descrizioni dei sogni, perché alcuni di essi
contengono piccoli particolari significativi; inoltre, i sogni possono costituire più volte un
argomento di discussione nel corso della terapia, ed è utile averne una traccia scritta. La prima
domanda che si pone solitamente è sull’emozione vissuta nel sogno, per poi approfondire parti del
sogno chiedendo al paziente di fare associazioni libere sul contenuto. Y. si interessa anche agli
avvenimenti importanti del giorno che ha preceduto il sogno, il cosiddetto “residuo giornaliero”.

81. Imparate particolari sulla vita del paziente dai sogni


Il sogno è ricco di ricordi significativi del passato, per cui anche la semplice elaborazione può
permettere al paziente di cogliere quei ricordi; questo sforzo può spesso rivelarsi proficuo.

82. Prestate attenzione al primo sogno


Fondamentale è il primo sogno che il paziente riporta in terapia, in quanto offre una prospettiva
rivelatrice di problemi nodali. I primi sogni spesso esprimono le aspettative o le paure del paziente
riguardo la terapia che sta per cominciare; per questo è sempre importante dare per scontato che i
nuovi pazienti provano paure e confusione nei confronti della terapia, assicurandosi di preparare
ciascuno per il percorso che lo aspetta.

83. Prestate particolare attenzione ai sogni del terapeuta


Tra tutti i sogni offerti dai pazienti, nessuno è più valido per la terapia di quelli che coinvolgono il
terapeuta stesso (o qualche suo sostituto simbolico). Questi sogni rappresentano un grande
potenziale per la buona riuscita della terapia, infatti attraverso l’evoluzione dei sogni è possibile
osservare anche un’evoluzione del rapporto terapeutico.

84. Attenzione ai rischi del mestiere


Sembra essere un paradosso il fatto che gli psicoterapeuti, sempre alla ricerca di intimità con i
pazienti, debbano affrontare la solitudine come uno dei principali rischi della professione. Troppo
spesso i terapeuti trascurano i loro rapporti personali; al termine della giornata lavorativa, dopo aver
dato tanto, si sentono svuotati dal desiderio di ulteriori rapporti. Questo accade anche perché i
pazienti sono così idealizzanti che i terapeuti correrebbero il rischio di apprezzare meno i membri
della famiglia e gli amici, i quali sono meno disposti a riconoscere la loro eccellenza in tutte le cose.
Nonostante ciò, i terapeuti spesso sperimentano il dubbio sul proprio lavoro o della propria
grandiosità. Questi sbalzi di fiducia in sé stessi devono essere attentamente osservati affinché non
interferiscano con il lavoro terapeutico. Esperienze di vita dirompenti vissute dal terapeuta (come la
nascita di figli o stress per la loro crescita, lutti, divorzio, ecc) possono aumentare drammaticamente
lo stress e la difficoltà a condurre una terapia. Di tutti gli stress nella vita di uno psicoterapeuta, due
sono particolarmente catastrofici:
- Il suicidio di un paziente = se si lavora con pazienti molto problematici, bisogna sempre
convivere con la possibilità di un suicidio
- Una causa giudiziaria per negligenza professionale = i terapeuti si sentono profondamente
traditi dall’esperienza di una causa giudiziaria in quanto, dopo aver dedicato una vita intera
alla crescita dei loro pazienti, escono scossi e molto cambiati dall’esperienza.
Una strategia utile per combattere questi rischi potrebbe essere quella di prender parte a un gruppo
formato da soli terapeuti, in quanto i gruppi sono un veicolo molto efficace per generare sostegno e
cambiamento personale.

85. Abbiate cura delle prerogative professionali


La vita del terapeuta è una vita di servizio in cui ogni giorno trascende i propri desideri personali
per volgere lo sguardo alle necessità e alla crescita dell’altro. Il terapeuta trae piacere non solo dalla
crescita del paziente, ma anche dall’influenza salutare che i pazienti hanno su coloro con cui
vengono a contatto nella vita (effetto domino o relazionale a catena); questo è infatti un privilegio
straordinario e una grande soddisfazione. Allo stesso modo anche essere depositario di segreti è un
grande privilegio per il terapeuta, perché gli consente di avvicinarsi maggiormente ai pazienti,
conoscendo il dietro le quinte della loro vita.
Questo lavoro non consente solo di trascendere sé stessi, di evolvere, di crescere, ma anche di
immergersi nello sviluppo e nella conservazione della mente umana. I terapeuti sono considerati
guaritori della stessa discendenza dei terapeuti più antichi e di figure religiose o filosofiche, che
hanno sempre dedicato la loro vita ad alleviare la disperazione della vita umana.

SINTESI TEMI TRATTATI:


 La centralità del rapporto
 L’auto-svelamento
 Il Qui-e-ora
 La sensibilità ai temi esistenziali
 L’importanza del sogno

AGGIORNAMENTI: nuovi pensieri e nuovi sviluppi


Per Yalom, lo scopo di questi aggiornamenti è portare delle aggiunte o correzioni al testo originale.
Come primo aspetto, conferma il suo scetticismo verso le psicoterapie meccaniche e continua a
credere che una terapia psicodinamica a lunga scadenza consenta di affrontare con maggiore
efficacia una grande varietà di problemi. Per far sì che si possa comprendere meglio il tipo di
approccio da lui seguito in questo libro, rivela la sua intenzione di voler aumentare la sensibilità di
tutti i terapeuti (provenienti da qualunque scuola) al ruolo delle problematiche esistenziali nella
disperazione umana. Ritiene che l’ansia, per esempio, non abbia un’unica origine, ma che il
terapeuta debba essere attrezzato a riconoscere e affrontare tutte le fonti di disperazione del
paziente.

 Neuroscienze: abbracciatele
Spesso i terapeuti dibattono sul seguente enigma: “La malattia mentale è prefigurata nei
geni o è il risultato di fattori socio-psicologici?”. Le neuroscienze contemporanee
sembrano rispondere a questa domanda affermando che i geni, da soli, forniscono solo una
parte della causa dello sviluppo della malattia mentale. Ciò è anche supportato dagli studi
sull’ “epigenetica” che indicano la presenza di alcuni fattori che alterano l’attività di un
gene, senza modificare la struttura biochimica del gene stesso. Quindi, non è solo la
struttura molecolare del gene ad essere importante, ma anche i fattori che influenzano la
sua espressione (es. l’ambiente biochimico).
L’ambiente altera la nostra biochimica, che a sua volta controlla l’accensione e lo
spegnimento dell’attività dei geni. La velocità con cui si esprimono i geni, al tempo stesso,
è influenzata da eventi ambientali che si verificano durante lo sviluppo, come le pratiche
educative, i traumi psicologici, i fattori cronici di stress.

 Neurobiologia: sì, però manteniamo la nostra prospettiva


Bisogna sempre tenere presente la distinzione tra processo e contenuto. Il contenuto di una
seduta, in cui il terapeuta utilizza termini neurobiologici e grafici sull’anatomia del
cervello, fornisce una spiegazione accettabile per alcuni pazienti; la spiegazione però, da
sola, raramente è curativa. Il fattore veramente strumentale è il processo, la natura della
relazione terapeutica. Il compito intellettuale della psicoterapia è principalmente una
procedura che mantiene terapeuta e paziente fissati insieme, mentre la vera forza
guaritrice, la relazione terapeutica, attecchisce e guadagna forza.

 Empatia
La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che molti pazienti affetti da schizofrenia
mostrano un “deficit del filtro sensoriale”, ossia non hanno la capacità di escludere o
attenuare gli stimoli meno rilevanti (es. il rumore del traffico). In questo modo, si è
riscontrato che la ricerca sul cervello può aumentare l’empatia, consentendo ai terapeuti di
entrare in empatia con il mondo interiore di questi pazienti.
Effetti simili di entrata in empatia con il paziente avendo provato in modo simulato la sua
diagnosi, viene trasmesso dalle opere d’arte; per esempio, Dalì immaginò come una
persona paranoica percepisse un uomo e dipingesse un ritratto con enormi orecchie, occhi
e mani. I terapeuti possono sviluppare empatia quando si rendono conto che al cervello dei
loro pazienti mancano reti neuronali che permettono di elaborare dati sulle emozioni
sociali, come le espressioni facciali. Pazienti affetti da Asperger, possono dover mettere in
azione reti neuronali alternative, imparando con fatica le espressioni facciali e a cosa
corrispondono.

 Focalizzatevi sui rimpianti


Il passato non può essere cambiato, ma c’è sempre il futuro. Quando rivolgono la loro
attenzione al passato, molti pazienti sono pervasi dal sentimento del rimpianto per atti
commessi o omessi: il terapeuta ha il compito di fargli comprendere il valore del poter
modificare il futuro e di lasciare indietro il passato.

 Esortate alla curiosità


Il terapeuta deve cercare di stimolare la curiosità dei pazienti.

 Parlate della morte


Secondo Yalom la paura della morte caratterizza l’universo psicologico interiore
dell’uomo, per cui è impossibile da eliminare. Tuttavia, i terapeuti possono essere di
grande aiuto ai pazienti che hanno un’eccessiva preoccupazione e un eccessivo terrore
della morte, principalmente su due fronti:
1. Contribuendo a diminuire il terrore della morte
2. Usando la consapevolezza della morte come esperienza di risveglio per favorire in vari
modi la crescita personale.
L’argomento della simmetria: ci sono molte grandi idee a disposizione dei terapeuti per
ridurre il terrore della morte, ma la principale è l ‘ “argomento della simmetria”, che insiste
sul fatto che dopo la morte saremo nell’identico stato in cui eravamo prima della nascita.

La vita non vissuta e il terrore della morte: lavorando con i pazienti che vivono un intenso
terrore della morte, Yalom ha compreso che esiste una correlazione tra il livello
dell’angoscia della morte e la propria autorealizzazione; più si percepisce la propria vita
come non vissuta, maggiore è la paura della morte. Quindi, il lavoro per ridurre il terrore
della morte, può spesso comportare un aiuto al paziente affinché realizzi sé stesso.

Reazione a catena o effetto domino: si può paragonare la reazione a catena a una sorta di
increspatura, caratterizzata dalla creazione di cerchi concentrici di influenza che possono
incidere sugli altri per anni. I terapeuti, aiutando i pazienti, innescano un effetto domino in
cui la crescita e il cambiamento iniziano a estendersi anche all’esterno.

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