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22/04/2021

Mariani

Peter Fonagy e la terapia basata sulla mentalizzazione


Gli autori di riferimento per questo approccio sono quelli della scuola indipendista /middle school,
e saranno soprattutto Bowlby e Winnicott a influenzare molto il pensiero di Fonagy.

La corrente delle relazioni oggettuali, all’epoca di Fonagy, è ancora molto presente; Soprattutto la
scuola indipendente è ancora molto influente. Questi autori indipendentisti mettono in relazione il
soggetto con l’ambiente.

L’approccio della mentalizzazione è una terapia che va molto di moda attualmente, perchè esplora
un’area al confine della psicoanalisi (la psicoanalisi freudiana si soffermava quasi solo sulle nevrosi,
invece la terapia della mentalizzazione nasce in virtù dei pazienti extra nevrotici: ex. i pazienti
borderline si cerca di capire come aiutare attraverso un modello psicodinamico della mente
pazienti che più difficilmente dei nevrotici classici riescono a sostenere il setting della psicoanalisi
classica

Borderline: mette in atto meccanismi di difesa che attaccano anche il setting terapeutico,
rendendo difficile la terapia stessa.

Mentalizzazione: concezione che va ad esplorare in che modo io interpreto tutti i vissuti e i


comportamenti altrui e propri ha a che fare con la capacità di decodificare, comprendere e
rappresentare gli stati mentali propri e altrui

Ex: vedo una persona in uno stato di forte agitazione (balbetta, trema, muove le mani agitamente)
io posso attraverso le mie capacità di mentalizzazione capire quello che gli sta accadendo e magari
chiedergli se ha bisogno di una mano o perché è cosi agitato.

Avere la capacità di mentalizzazione ci permette allora di comprendere gli stati mentali altrui,
decodificarli e AGIRE.

L’obiettivo della terapia basata sulla mentalizzazione è cercare di incrementare sia le capacità del
paziente di rappresentare la propria esperienza interna sia di comprendere gli stati mentali
dell’altro significativo (quali sentimenti prevalgono, quali emozioni ecc…).

Che centra la mentalizzazione con l’attaccamento?


Per Fonagy ci sono 2 fattori principali che permettono un buono sviluppo della mentalizzaizone:

1) L’attaccamento sicuro (Bowlby): avere un attaccamento sicuro consente alla madre di


comprendere e decodificare lo stato interno del bambino e di autoregolarlo (buone
capacità di mentalizzazione) (ex: la mamma che capisce perché il bambino piange è segno
di buona mentalizzazione) e allo stesso modo la madre potrà sviluppare le capacità di
mentalizzazione nel bambino (da ciò deriva che se la madre non ha buone capacità di
mentalizzazione allora questo comporterà una disregolazione delle capacità di
mentalizzazione anche del suo bimbo).
I vissuti di falso sè del bambino: sono la manifestazione di qualcosa che non ha consentito
l’innesto della capacità di mentalizzazione.

Il vissuto del paziente borderline è prevalentemente basato su una dinamica abbandonica,


caratterizzata dal vissuto infantile di un attaccamento insicuro, disfunzionale o addiritturra
completamente assente  ragion per cui il borderline non ha buone capacità di mentalizzazione.

Per cui l’attaccamento sicuro consente al bambino di avere una buona capacità di comprendere le
proprie dimensioni interne; invece nell’attaccamento insicuro la capacità di mentalizzazione è
ridotta e ciò rende difficile al bambino di comprendere i propri stati interni il bambino sente che
c’è qualche cosa al suo interno che prende il sopravvento ma è una dimensione aliena,
incomprensibile che il bambino non riesce a decodificare questo porta alla dissociazioni di parti
di sè (il sè si scinde in tante parti che non comunicano tra di loro, e non sono integrate tra di loro)

2) Il biofeedback sociale (Gergely e Watson) si riferisce al rispecchiamento affettivo che i


genitori restituiscono al bambino.
Esso, in condizioni ottimali, deve essere adeguatamente contingente e con contrassegno:
contingenza = fedeltà con cui la risposta del caregiver riflette lo stato emotivo del bambino
contrassegno = quanto la risposta del caregiver è marcata dalle sue
caratteristiche personali
esempi: il bambino piange; la mamma sente piangere il bambino e scoppia in un pianto
disperato pure lei (eccesso di contingenza), oppure ride (eccesso di contrassegno)
In condizioni ottimali, il caregiver permette una modulazione delle emozioni del bambino; è
come se gli dicesse “capisco quello che provi, ma può essere modificato”
Un biofeedback sociale adeguato aiuta il bambino a costruirsi “rappresentazioni di secondo
ordine” degli stati affettivi (osservarli, nominarli) ed a essere capace di regolarli
La regolazione affettiva, infatti, è anch’essa strettamente correlata alla mentalizzazione.

Come si sviluppa la capacità di mentalizzazione?

Nel corso della prima infanzia il bambino funziona secondo alcune modalità esperienziali primitive,
che vengono via via abbandonate in favore di una maggiore funzione riflessiva, questa capacità
che seguono sono da intendersi come capacità di pre-mentalizzazione:

1. Equivalenza psichica = il bambino crede che la sua realtà soggettiva sia uguale a quella degli altri
e uguale alla realtà esterna; esso non distingue tra realtà soggettiva e realtà esterna.
esempio: se io sono arrabbiato vuol dire che anche tu sei arrabbiato, quindi la realtà è che siamo
arrabbiati l’uno con l’altro (quando magari è solo il bambino con bassa mentalizzazione ad essere
arrabbiato e all’altro non gliene frega nulla)
Questa modalità esperienziale è rafforzata da un rispecchiamento affettivo troppo contingente

2. Teleologia = il bambino crede che le azioni che scaturiscono in lui una reazione,
siano intenzionalmente state fatte per quello scopo
esempio: se qualcosa che fai, pensi, o dici suscita in me una reazione, questo è quello che tu volevi
che io provassi (penso che tu hai agito per far suscitare di proposito in me quella reazione, quando
magari sono stato io a comprendere male e ad aver reagito in modo aggressivo)

3. Giocare con il gioco del “Far finta” (winnicott) = il bambino, durante il gioco, sa che
quell’esperienza non è reale nel mondo esterno, e quindi inizia a capire che il proprio stato interno
non ha nulla a che vedere con il mondo esterno
esempio: il bambino che prende una scopa e dice: “questo è un apparecchio che mi fa
volare”; durante il gioco lo crede veramente, ma sa benissimo che questo è vero solo nel
gioco (non a caso si chiama modalità del “far finta”)
Questa modalità esperienziale è favorita da un rispecchiamento affettivo con troppo contrassegno

La capacità di mentalizzare si sviluppa in modo prototipico quando il bambino gioca con un adulto
o un bambino più grande e questo commenta il gioco che stanno facendo; la persona più
grande, in questo modo, facilita un legame con la realtà, fornendo una sua prospettiva alternativa,
esterna

I pazienti borderline…
Alla luce di questi dati, Fonagy capisce che i pazienti con disturbi di personalità, specie
i borderline, funzionano proprio con questi modi pre-mentalistici dell’esperienza. Cioè essi sono
fermi in questi stati di funzionare pre mentalistici.
esempio: Francesco vede che l’espressione sul volto della fidanzata, la mattina dopo che sono stati
insieme la notte, è un po’ triste; Francesco automaticamente pensa che è colpa sua, quindi si
angoscia e si arrabbia.
È un fallimento della mentalizzazione perché non è considerata un’altra prospettiva allo stato
triste dell’altra persona, se non la propria; Francesco non pensa che l’apparente tristezza potrebbe
essere stata causata da un qualunque altro motivo, che non riguarda né lui né il rapporto con lei

I pazienti borderline però, non è che non sanno mentalizzare, è che questa capacità viene meno o
viene distorta quando si trovano in situazioni particolari. Questa inibizione della capacità di
mentalizzare, è un meccanismo di difesa, al fine di preservarsi dalle rappresentazioni traumatiche
e dagli affetti negativi di chi si ha di fronte
esempio: quando un bambino viene picchiato, abusato o trascurato, inibisce la sua capacità di
mentalizzare, perché leggere la mente altrui significherebbe leggere cose brutte su di lui

Come si valuta e si misura la capacità di mentalizzazione? Come capiamo se una persona


mentalizza oppure no?

Per gli adulti, si usa un’intervista (essa ripercorre le relazioni che il soggetto ha avuto verso i
caregiver di riferimento quando era piccolo) chiamata “adult attachement interview”: partendo
dalla dimensione narrativa del soggetto (= il pz. che racconta), il terapeuta ha il compito di
analizzare questa narrazione fatta dal paziente e decodificarla, con il fine di comprendere le
relazioni infantili del pz con i suoi caregiver.
MA come avviene questo passaggio dalla narrazione alla comprensione del vissuto relazionale
infantile?

È la dimensione simbolica del paziente quella che deve essere valutata. La capacità di
simbolizzazione può intendersi come l’evoluzione della capacità del soggetto di gestire i suoi
conflitti interni e di comprendere i propri vissuti interni se il soggetto è in grado di simbolizzare
allora vuol dire che comprende i propri vissuti e sa gestire i propri conflitti interni (segno di una
buona mentalizzazione).
Un paziente con bassa mentalizzazione non è in grado di metaforizzare e di usare il gioco del “far
finta”, del “come se”, non esiste il gioco del “facciamo finta che…” ex: un padre che gioca con il
figlio, e il figlioletto lo imbocca COME SE la forchetta sia un aereo, ma il padre accompagna la
forchetta con la mano verso la sua bocca (il padre così facendo sta rompendo il gioco del bambino
che sta giocando con il “come se”: per il bimbo quella forchetta è diventata un aereo, e il padre
non dovrebbe rompere questo gioco simbolico)

TERAPIA
Fonagy ci suggerisce che nei pazienti molto irruenti (alto sopravvento dei conflitti interni, bassa
comprensione dei propri vissuti interni) si deve usare una terapia volta a rappresentare la sua
dimensione affettiva interna: La terapia deve sviluppare la capacità nel paziente di comprendere i
propri stati interni ma anche quelli degli altri, e deve anche sviluppare la capacità di
simbolizzazione.
Per fare recuperare la capacità di mentalizzazione ai pazienti che l’hanno inibita, bisogna insegnare
loro come si mentalizza.
Bisogna dimostrare ai pazienti che non c’è sempre una ed una sola interpretazione possibile ai
comportamenti degli altri, e che l’interpretazione si deve basare su qualche prova.
Con il ricorso a delle domande mirate si deve far capire al paziente con deficit di mentalizzazione
che la mente non è trasparente e quindi non può dare per scontato che ciò che crede che l’altra
persona pensi sia effettivamente così.

Bisogna considerare la terapia come un opportunità di ristrutturare il pensiero e di costruire un


tessuto di interpretazione dei propri stati emotivi interni, senza i quali verrebbero considerati dal
pazienti come alieni.

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