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Mario Bertini - PSICOLOGIA DELLA SALUTE

INTRODUZIONE
La psicologia della salute, come disciplina formale, si è affermata negli Stati Uniti dagli anni'70.
Tra le diverse ragioni della sua diffusione, vi è in primis il notevole mutamento nella prevalenza delle principali
patologie nei Paesi occidentali, passando dalle malattie infettive (la più importante causa di morte fino a
qualche decennio prima) a una crescita delle malattie a decorso cronico, come le malattie cardiovascolari,
cancro, diabete, infortunistica (soprattutto stradale). Questo ha determinato un aumento dell'importanza delle
determinanti psicologico-comportamentali, nel nuovo panorama della patologia, e ha facilitato un maggiore
coinvolgimento degli psicologi.
Con l'affermazione del modello bio-psico-sociale si è assistito a una naturale estensione della tradizionale
"psicologia medica", ovvero un supporto alla medicina nella condivisione dell'obiettivo comune di sconfiggere
le malattie.
Altra novità si manifesta nella stessa parola salute: fino a non molti anni fa, era semplicemente intesa come
"assenza di malattia", mentre oggi viene intesa come presenza di benessere.
L'OMS (1948) definisce la salute non come assenza di malattia, ma è uno stato di benessere fisico, psichico e
sociale. Tuttavia, nonostante le ripetute "raccomandazioni" dell'OMS, il concetto di salute come ben-essere
rischia di disperdersi nelle linee superficiali del salutismo e del consumismo edonico.
La definizione di Psicologia della Salute, approvata al momento dell'istituzione formale nel 1980 ed ancora oggi
accettata, non pone al primo punto la diagnosi e il trattamento terapeutico della patologia, ma la promozione
della salute.
Il ritardo e la difficoltà di questa disciplina si possono capire anche dall'uso del linguaggio:
1. Influenza negativa dei codici linguistici (introdotti e consolidati nel campo della malattia)
2. Vistose lacune di parole e metafore in grado di rappresentare i concetti originali della salute.

A questo proposito è possibile introdurre un neologismo salutìe, al fine di segnalare un senso di novità nel
panorama tradizionale della salute. A fronte di una confortante ricchezza di conoscenze che abbiamo sul
versante della malattie (con il suo plurale, malattie), vi è una desolante povertà in quello della salute: la
curiosità della scienza sembra riservata solo al malfunzionamento e al difetto, e non al vasto mondo delle
risorse, delle competenze, del corpo come della mente, dell'individuo come della società.

Normalità vs. normatività


Concetto di normalità: prevale una linea astratta (la norma statistica) al di sopra della quale si trova il soggetto
cosiddetto normale/sano, che non devia cioè dalla retta via (prescritta dal DSM), mentre al di sotto si trova il
soggetto cosiddetto deviante/malato.
Concetto di normatività: indica la competenza a stabilire norme nuove di fronte agli eventi della vita. In questo
modo si annulla così la classica dicotomia normale/deviante.

Metafora del viandante


In contrapposizione alla parola deviante (ancorata alla tradizione medica), si può introdurre il termine
viandante per indicare la salute della persona (gruppo, organizzazione) nell'affrontare il viaggio della vita, fra
mal-essere e ben-essere, con lo zaino carico di speranza.
Da "terapia" (delle malattie) a "promozione" (della salute)
La sensibilità umana è attraversata, in modo più o meno latente, dalla paura della morte e quindi fortemente
motivata a concentrarsi sulla malattia e a combatterla. Non c'è da stupirsi se la fuga più diretta e facile da
questo vissuto si risolva nella ricerca di un piacere edonico culturalmente diffuso e facilmente incentivato dalle
dinamiche esterne del mercato: non solo, la forza di questo istinto naturale può essere facilmente
strumentalizzata dalle dinamiche del potere politico. Dunque la scienza ha il compito di spiegare che il bisogno
di sopravvivenza si risolve non solo negli ingranaggi della difesa dalla morte, ma anche in quelli della speranza
di vita, di cui il ben-essere è vettore sostanziale.
Pertanto, scienza della malattia e scienza della salute sono due territori non alternativi, ma complementari di
cui la società contemporanea può avvalersi, a tutti i livelli, in un appropriato equilibrio di integrazione
gerarchica.
Obiettivo centrale del libro è quello di approfondire il territorio della salute come dimensione positiva e non più
come un' assenza di malattia.

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Parte I - I FONDAMENTI TEORICI DELLA SALUTE NELLA PROSPETTIVA DELLA PSICOLOGIA


CAP.1 - LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE

La nascita della psicologia della salute, come nuovo ambito disciplinare, costituisce un passo significativo per la
psicologia, in quanto la parola "salute" trova un'accoglienza ufficiale nel territorio della scienza psicologica.
Tale disciplina si affermò negli USA e la sua emergenza formale si può ricondurre agli anni '70 con la
costituzione della divisione nell’APA che raccolse un grande numero di iscritti.
La definizione di psicologia della salute, proposta in quella sede nel 1980 e poi generalmente accettata è:
L’insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica mirati:
1. alla promozione e mantenimento della salute;
2. alla prevenzione e al trattamento della malattia;
3. all’identificazione di correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni
associate;
4. all’analisi e miglioramento del sistema di cura della salute ed elaborazione delle politiche della salute.
Tale definizione è un repertorio onnicomprensivo di tutte le applicazioni della psicologia in ambito
sostanzialmente sanitario.

Considerazioni: anche se appare importante l'aver collocato al primo posto il tema della promozione della
salute, appare bene in vista lo scenario del modello di malattia, in linea con la vecchia psicologia medica.
Ciò costituisce un motivo di critica, in quanto la definizione nel suo insieme no trasmette il respiro di vera
novità che il riferimento alla parola "salute" meriterebbe.
Il clima culturale del periodo in cui essa nasceva si caratterizza per il diffondersi delle concezioni sistemiche
nelle discipline scientifiche, dove si faceva strada un passaggio dal modello biomedico tradizionale (forte
tendenza al riduzionismo) al modello bio-psico-sociale, di impronta sistemica.

MODELLO BIOMEDICO TRADIZIONALE


Modello descritto da Engel nel 1977 secondo cui la malattia può essere pienamente spiegata come deviazione
dalla norma di variabili biologiche misurabili. In particolare:
1. la malattia è un’entità indipendente dal comportamento sociale;
2. le deviazioni comportamentali sono spiegate in base a processi somatici disturbati;
3. modello che abbraccia il riduzionismo, ovvero la prospettiva filosofica secondo cui i fenomeni complessi
derivano da un singolo principio primario;
4. modello che abbraccia il dualismo mente-corpo, ovvero la dottrina che separa il mentale dal somatico;
5. è il modello folk (popolare, “di moda”) di malattia che domina il mondo occidentale.

Critiche: dagli aspetti dogmatici o metascientifici del modello derivano conseguenze negative:
disumanizzazione, tecnicismo spersonalizzante, "imperialismo" del livello biologico rispetto agli altri.
Pregi: grandi progressi delle applicazioni biomediche basate su tale modello.
Occorre sottolineare come la tentazione al riduzionismo e al dualismo caratterizza anche la psicologia: essa è
nata con Wundt alla fine dell’800 come psicofisiologia, ma a cavallo tra le guerre il cervello è diventato una
scatola nera e lo psicologo un non-fisiologo. Come conseguenza del pregiudizio dualistico la psicologia ha
accettato fino a pochi anni fa la distinzione tra malattie somatiche, psichiche e psicosomatiche.
Per tutte le discipline coinvolte nella cura della salute, si presenta quindi il problema della rigorosa specificità
delle aree teoriche e delle pratiche professionali. Da qui nasce un problema sia per la teoria che per la pratica.

VERSO UN MODELLO BIOPSICOSOCIALE


Tale modello emerge in una cornice teorica orientata alla teoria generale dei sistemi secondo la quale gli
organismi biologici sono entità complesse e unitarie, con diversi livelli di organizzazione strettamente
interconnessi.
La distinzione psiche e soma appartiene più al nostro bisogno classificatorio che alla realtà che si presenta come
un intero, descrivibile casomai con linguaggi diversi. Matarazzo (1977) osserva che i fattori psicosociali sono
implicati in tutte le malattie perché la malattia capita negli individui i quali hanno una struttura biologica ma
anche psicologica e sociale e dunque la malattia si può comprendere meglio come rottura di un sistema
biologico, psicologico e sociale. Lipowsky (1977) definisce la nuova medicina psicosomatica lo studio di
determinanti biologici, psicologici e sociali della salute e malattia. I fattori psicologici e sociali variano di
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malattia in malattia, di persona in persona, di episodio in episodio non si può a priori distinguere una classe di
malattie psicosomatiche. Il concetto di cause singole e di sequenze unilineari (es. dalla psiche al soma e
viceversa) è semplicistico e obsoleto, in quanto tutte le alterazioni della salute prevedono l'interazione
dinamica di fattori multiple che capitano in costellazioni varianti e in sequenze temporali, a loro volta
modificate da effetti retroattivi.
La psicoanalisi ha offerto ampi spazi di ispirazione alla relazione fra livelli somatici e psichici, in quanto la stessa
opera di freudiana nasce dallo studio di fenomeni fisici, detti isterici, negletti però alla medicina. Freud però
evitò di occuparsi dal punto di vista psicoanalitico di disturbi che implicassero lesioni organiche, nel timore di
essere confuso con la schiera dei guaritori dell'epoca pre-positivista.
Lipowsky afferma quindi che il modello biopsicosociale non rende necessaria la distinzione tra malattie
psichiatriche, psicosomatiche e mediche.

Tuttavia, questo modello presenta dei problemi epistemologici che, se non affrontati, possono aprire ampi
spazi di ambiguità: come è possibile affrontare l’intero, aprire lo sguardo a una visione olistica del sistema
mente-corpo con strumenti scientifici?

ASPETTI "DOGMATICI" E ASPETTI "METODOLOGICI" DEL RIDUZIONISMO


È opportuno parlare dei due aspetti del riduzionismo descritti da Agazzi (1979):
1. Aspetto dogmatico (aspetto da rifiutare): privilegiare qualche scienza particolare, dichiarandola
fondamentale e cercando poi di ricondurre a essa tutte le restanti scienze. Questa è una concezione
meccanicistica del mondo, che accredita solo una scienza come fondamentale o di base (es. linguaggio
della chimica e della fisica per spiegare i fenomeni biologici).
2. Aspetto metodologico (aspetto da seguire): concezione secondo cui una spiegazione soddisfacente di
una realtà complessa può essere ottenuta analizzandola, ossia scomponendola nei suoi elementi
costitutivi. La spiegazione si ottiene guardando all’in giù, dal tutto alle parti perché il comportamento
delle parti dà ragione a quello del tutto. Questo atteggiamento ha prodotto risultati eccellenti al punto
da avere il predominio nella mentalità scientifica: si guarda in giù non solo agli elementi di un processo
o sistema, ma anche alle posizioni delle diverse scienze (es. la biologia è spiegabile guardando giù alla
chimica).

Questo orientamento metodologico non solo è legittimo, ma anche utile. Ridurre il nostro campo di
osservazione (specializzazione) a un singolo livello è importante e necessario, a condizione che il livello stesso
non venga definito come basico.
La teoria dei sistemi ha un orientamento metodologico che guarda invece all’in sù, dalle parti all'intero, col
rischio di arrivare a un riduzionismo dogmatico ingiustificato, verso l’alto (es. la società è responsabile del
sintomo dell’individuo). E’ necessario specializzarsi in un livello (anche dal p.d.v. formativo/professionale) dal
momento che nessuno può afferrare la complessa articolazione dell’intero, ma a una sola condizione:
mantenere aperta la comunicazione con gli altri livelli, perché nessun livello è totalizzante o basico.

Dunque: Gli organismi biologici sono entità complesse con livelli diversi di organizzazioni strettamente
interconnessi. Inoltre, nessun riduzionismo dogmatico può essere accettato nell’ambito scientifico.
Per l’impossibilità di abbracciare con metodologia scientifica tutti i livelli insieme, la specializzazione (o
differenziazione dei ruoli professionali) è necessaria al progresso scientifico purché si abbia:
1. consapevolezza che ogni taglio di delimitazione del livello di analisi è del tutto arbitrario
2. conseguente riconoscimento dell'importanza di essere in comunicazione aperta tra i livelli
3. integrazione (oltre alla differenziazione)

Il modello biopsicosociale si presenta quindi come:


1. superamento della visione semplificatoria della "redutio ad unum" (il biologico)
2. dinamica sistemica, di complessità crescente, nella relazione tra i vari livelli.

Esso sottolinea due aspetti fondamentali collegati tra loro, la cui valorizzazione ha conseguenze pratiche nel
sistema di cura della salute:
Specificità di ogni livello di analisi: specializzazione teorica e metodologica delle differenti discipline, pur
tenendo presente che i livelli che costituiscono i fondamenti delle specializzazioni siano sì necessari per operare
scientificamente, ma stabiliti in modo arbitrario; le condizioni che legittimano il loro uso sono:
1. Il riduzionismo metodologico (e non dogmatico!)
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2. La consapevolezza dell’arbitrarietà da cui deriva il vincolo (e non la possibilità) di apertura


3. Comunicazione tra i vari livelli
4. Cura delle interfacce tra livelli
Essa riguarda sia:
Ricerca: si dovrebbe seguire la tendenza verso una articolazione tra settori e una integrativa continuità tra livelli
come ad esempio psicosociobiologia o psicofisiologia.
Occorre ricordare come le origini della psicofisiologia si confondano con quelle della psicologia scientifica: nel
pensiero di Wundt, la psicofisiologia non risulta come un branca della psicologia, bensì ne costituisce l'intero
ambito, includendo teoria, metodo e fondamenti metafisici.
Una più sofisticata elaborazione teorica del vecchio problema mente-corpo e soprattutto l'imponente sviluppo
delle discipline biologiche collaterali e il progresso delle tecnologie biomediche, hanno offerto spazi fecondi per
una ripresa della psicofisiologia.

Applicazione: la specializzazione conduce a una veduta parziale dell’evento studiato . Ne consegue che ci deve
essere comunicazione, oltre che fra i livelli, anche fra i professionisti arrivando quindi a una interdisciplinarietà
fra operatori del settore applicativo. Purtroppo è stato fatto poco in questa direzione e qui si pone quindi un
problema specifico di formazione perché non esistono insegnamenti specifici nei corsi di laurea quando invece
è importante che questa mentalità venga formata proprio a livello pre-laurea, quando lo studente sviluppa
atteggiamenti stabili a duraturi.

PRIME FASI DI SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE


Nella prime fasi di sviluppo della psicologia della salute, il contributo degli psicologi, pur esibendo la bandiera
della salute, si è mosso nell’ombra della malattia. Verso la fine del secolo scorso è apparsa sempre più evidente
l’importanza dei fattori psicologico-comportamentali nell’insorgenza, evoluzione e gestione delle patologie. Nei
primi manuali le ricerche venivano inquadrate in 3 ambiti di interesse psicologico:
1. Stili di vita: sembra esserci uno stretto rapporto tra dinamiche comportamentali (oggetto specifico
della disciplina psicologica) e processi di salute/malattia → certe abitudini assumono un peso notevole
nella genesi delle malattie.
In una relazione del ministro della sanità americana, emerge come nel 1976 in USA si stimò che oltre il
50% di tutte le morti era attribuibile a stili di vita non sani (fumare, mancanza di esercizio fisico,
consumo di alcol, droga, diete inadeguate, non uso di cinture di sicurezza). Una volta riconosciuto il
ruolo del comportamento nella genesi di disturbi, si richiese molto l’intervento della psicologia,
specialmente in ottica preventiva; dal 1980 a oggi il coinvolgimento degli psicologi della salute in queste
tematiche si è progressivamente esteso.
2. Reazioni alla malattia e ruolo di malato: la rappresentazione della malattia suscita atteggiamenti che
influenzano poi le conseguenze cliniche, come ad esempio minimizzare o accentuare i sintomi.
3. I manuali degli anni in cui si affermava psicologia della salute documentavano l’importanza del
controllo dei fattori psicologici nel decorso della malattia, nell’alleviare complicazioni, nella terapia del
dolore, nel valorizzare il supporto sociale, nelle crisi.
4. Un altro importante capitolo riguarda da una parte le problematiche dei rapporti paziente-malattia, e
dall'altra quelle relative al rapporto paziente- sistema sanitario/medico (es. compliance rispetto alle
prescrizioni mediche) dove la ricerca evidenzia l’opportunità di un adeguato riconoscimento della
dinamica relazionale nelle complesse transazioni fra pz e sistema di cura.
5. Effetti psicofisiologici diretti: si includono tutte le ripercussioni sulla salute direttamente legate a
fattori psicologici, senza la mediazioni di comportamenti insalubri di vario tipo. I fattori psicologici
possono agire su cellule, organi, funzioni tramite il SNC.
6. Stress: In particolare si sottolinea il concetto di stress, mutuato dalla fisica e utilizzato per primo da
Cannon per indicare gli effetti di alcuni agenti nocivi (es. freddo, mancanza di ossigeno).

In seguito tale concetto è stato utilizzato da Hans Selye per descrivere la sindrome generale di adattamento
dell’organismo di fronte a pressioni o sfide ambientali. Le scoperte di Selye hanno avuto grande impatto nella
medicina e nella psicologia della salute. Mentre nelle prime formulazioni del concetto di stress il focus era sulla
varietà di stimoli stressanti e sull’uniformità delle risposte, successivamente con lo sviluppo delle discipline
psicologico-comportamentali emerse la pregnanza della variabili che intervengono tra stimolo e risposta.
Lazarus e Folkman (1984) affermarono che la relazione tra stress e malattia non è solo di tipo semplice, ma
dipende in consistente misura da:
1. Differenze individuali biologiche e di personalità
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2. Dal contesto
3. Dalle risorse a disposizione
4. Dalla percezione dell’evento stressante stesso.
Inoltre mentre prima degli anni ’70 si pensava che lo stress contribuisse allo sviluppo di patologie
psicosomatiche, ma successivamente si indagò sulla relazione tra stress e tante altre patologie che si credevano
di natura strettamente organica: es. malattie cardiache, ictus, tubercolosi, diabete, leucemia, cancro e vari tipi
di malattie infettive, perfino la comune influenza.
Friedman e Rosenman (1974) studiarono le patologie cardiovascolari identificando una connessione tra il
rischio coronarico e un comportamento di tipo A (competitivo, ostile, urgente). Reiser (1980) sottolinea come il
cervello coordina funzioni mentali, comportamenti, funzioni corporee.

INFLUENZE PSICOLOGICHE SUI PROCESSI IMMUNITARI: si tratta di un'altra tematica dove si registra un rinnovato
interesse per merito di autori statunitensi (Ader, Cohen) che condussero uno studio sui ratti tramite un
condizionamento pavloviano in grado di modificare la reattività immunitaria tramite il SNC. Una funzione
classicamente ritenuta autonoma come quella immunitaria finisce quindi per rivelarsi intimamente collegata al
SNC e perciò potenzialmente influenzabile, per quella via, da fattori complessi di ordine mentale.
Negli anni ’70 un gruppo di psichiatri e immunologi australiani studiò le difese di 26 persone a distanza di 2 e 6
settimane dal divorzio: persone separate da poco e che erano molto legate al partner hanno un sistema
immunitario peggiore.
Infine Cohen dimostra una minore attività delle cellule Nk in un campione di disoccupati. Queste ricerche
aprono una breccia significativa tra medicina e psicologia, anche perché la medicina non riesce a far
fronte a nuove patologie senza l’apporto di una disciplina deputata allo studio del comportamento.
È doveroso riconoscere che ancora ben poco sappiamo circa la natura e il significato funzionale di queste
relazioni. Ader afferma che la divisione da professionalità che si occupano del soma e quelle della psiche è
arbitrari: vi è solo un organismo, e la natura delle relazioni fra sistemi è altrettanto importante, dal p.d.v.
funzionale, delle relazioni entro un sistema.

CAP.2 - IGEA E PANACEA


Nella mitologia greca il Dio Esculapio dell’antica Grecia aveva due figlie:
Panacea: rappresentava l’impegno continuo di ricerca e cura della malattia in tutte le sue forme;
Igea: era la dea della salute, rappresentata con un coppa in mano da cui beve un serpente, insegnava ai greci
come essere sani orientandoli alla moderazione dei comportamenti.
Queste due figure esprimono simbolicamente la presenza di due istanze complementari fra le quali sarebbe
artificioso attribuire superiorità o subordinazione. Entrambe sono necessarie all’uomo anche se il rapporto tra
le due istanze può subire variazioni storiche e culturali (la medicina moderna ha imbrigliato lo spirito di Igea
impegnandosi non oltre alla prevenzione della malattia).

Ma che cos’è in realtà la salute?


L’OMS definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non semplicemente
l'assenza di malattia o infermità". Questa definizione venne firmata il 22 luglio del '46 da rappresentanti di 61
Stati, ed emanata il 7 aprile del '48. Essa nella sua semplice formulazione, traccia le coordinate e le direttrici
essenziali per un itinerario complesso. Concepisce il “benessere” in modo generico e ci fa capire quanto sia
vuota la sua conoscenza, sia dal punto di vista strutturale che funzionale in quanto povero di articolazioni
concrete sul piano scientifico.
Come mai questo concetto ha trovato scarsa accoglienza dal punto di vista scientifico?
Ci sono state resistenze e difficoltà obiettive → occorre indagare anche la specifica responsabilità della
psicologia ricercando questa trascuratezza nei nodi critici del suo sviluppo ed emancipazione come scienza.

LE FATICOSE TAPPPE DEL PASSAGGIO AL "MODELLO SALUTE"


La psicologia della salute dopo oltre 30 anni dalla sua formale comparsa nella scena come disciplina, sta ancora
facendo fatica a traghettare il passaggio dal modello malattia al "modello salute". Nella storia
dell’emancipazione della psicologia dalla filosofia bisogna discutere di due questioni:
La scelta del metodo sulla linea delle scienze naturali: la maturazione dell’identità scientifica della psicologia è
un problema centrale nella sua emancipazione; il nodo epistemologico è nel compito che essa si propone di
studio oggettivo della soggettività. La psicologia entra nel mondo della scienza nella seconda metà dell’800
con l’Istituto di Psicofisiologia di Wundt, trovando nelle scienze naturali il terreno più idoneo di sviluppo,
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terreno in cui la misura nell’ordine della quantità e il metodo sperimentale costituivano i lineamenti salienti.
Ma la problematicità di questa scelta diventa più inquietante per la psicologia quando anche nelle scienze
biologiche nascevano dubbi sull’adozione delle misure tradizionali delle scienze fisiche, come sottolineato da
Canguilhem secondo cui quando si ha a che fare con processi biologici non si può usare l’approccio scientifico
tradizionale perché il biologico è caratterizzato da una sfuggevole variabilità dei processi vitali. Ancor più critici
sono i nodi da sciogliere affrontando il percorso della salute rispetto a quella della malattia perché la scelta
della positività allarga la soggettività ulteriormente. Il problema del metodo inoltre si è accentuato proprio in
coincidenza con la nascita della psicologia della salute coincidenza non casuale perché la salute si rivolge alla
vita e la vita richiede strumenti flessibili, mentre quando si parla di malattia è molto più coerente
e accettabile l’uso di metodologie quantitative tradizionali (Gadamer). Quando si parla di salute appaiono
evidenti i limiti delle conoscenze raggiungibili nella comprensione della soggettività utilizzando metodi
quantitativi (sostenuti dalla psicologia positiva- approccio nomotetico), seppur debba essere riconosciuto il
contributo che queste metodologie hanno portato per la comprensione di fenomeni complessi della mente
Si è affacciato all’orizzonte l’orientamento delle metodologie qualitative (sostenute dalla psicologia
umanistica – approccio idiografico). Questi due modi di procedere sono sempre stati visti come in
contrapposizione, mentre secondo Braibanti questa insistente lotta porta solo alla separazione netta dei due
settori quando invece la correttezza degli strumenti dipende dalla coerenza con questo obbiettivo e non
dall’uso dei numeri. E’ opportuno superare l’idea di scienza rigidamente bloccata alla scelta di un metodo unico
da applicare allo studio di tutte le realtà perché ci vuole una pluralità dei metodi che tenda ad un processo
integrativo, senza rinunciare a indagare obbiettivi intrisi di elementi valoriali o usando metodi
tradizionalmente rispettati ma del tutto inappropriati all’oggetto perché sono le domande che il ricercatore si
pone a strutturare le metodologie da adottare. Quantificare l’umanesimo e umanizzare la quantificazione
(Sheldon, Kasser).

L’appiattimento al modello medico: il distacco dalla filosofia e l’avvicinamento alla biomedicina e fisiologia
hanno intaccato l’identità della psicologia mostrando una forte influenza del modello medico-clinico e portando
ad un appiattimento al setting medico-psichiatrico dove si è trovata ad operare, specialmente la psicologia
medica e clinica.
È sufficiente notare quante parole (clinica, diagnosi, terapia, devianza) siano transitate e facciano parte del
patrimonio culturale della psicologi. Nel secolo scorso, denominazioni di derivazione medica (come "psicologia
clinica") hanno paradossalmente consentito ai medici di reclamare una competenza esclusiva su queste
discipline applicative. Infatti, fino al 1989, sul piano giuridico solo il medico era abilitato alla psicoterapia,
mentre l'accesso alla psicoterapia era vietato anche ai laureati in psicologia (da notare che in quegli anni il
laureato in medicina molto spesso non aveva avuto nemmeno l'opportunità di un insegnamento di psicologia).

L'ERRORE E IL PENTIMENTO DI WITMER


Il termine psicologia clinica fu introdotto nel 1896 ad opera dell’americano Witmer, fondando in quell'anno la
prima clinica psicologica. Egli si rifaceva alla tradizione della "clinica medica", mutuandone il termine riferito al
letto del paziente. Tuttavia, non c'è dubbio che l'oggetto di studio era il soggetto psicologico, non il paziente
che giace nel letto di un ospedale. La clinica psicologia = è un'istituzione di servizio sociale e pubblico, per la
ricerca e la formazione degli studenti nell'ortogenica psicologica, che include la guidance:
• Educativa
• Orientativa
• Correttiva
• Igienica
• Industriale
• Sociale

Le aree ricoperte dalla clinica psicologica sembrerebbero abbracciare il più vasto campo delle applicazioni della
psicologia, soprattutto dell'età evolutiva (di fatto la prima clinica psicologica non è altri che una child guidance
clinic). Pertanto, il termine adottato da Witmer dovrebbe essere considerato come una semplice analogia o
"metafora" della clinica medica: "klinos" = letto. Visto che i medici hanno la clinica, così anche gli psicologi
devono avere la loro clinica, seppur senza letto.
Negli anni successivi, la "clinica" diveniva sempre più un termine usato per un'area specificatamente collegata
ai problemi medici e della salute.
Il termine clinico è anche riferito al "metodo", fortemente in uso nella tradizione medica: studiare in profondità
il caso singolo, traendone conclusioni di carattere generale.
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E allora cosa intendiamo quando diciamo psicologia clinica? Questo temine è inappropriato e, nella migliore
delle ipotesi, genera confusione.
La presentazione della clinica psicologica all’APA da parte di Witmer fu accolta con grande freddezza. Per
riscuotere più successo, ha voluto forse ricorrere al termine “clinica” intesa come una metafora forte e
suggestiva tratta dal mondo medico ed è riuscito nel suo intento facendo penetrare la parola clinica nella
psicologia.
Witmer abbandonò il termine "psicologia clinica" nel 1909 promuovendo l'adozione del termine ortogenica che
include tutto ciò che oggi si chiamerebbe prevenzione primaria, secondaria e terziaria. In sostanza, l'ortogenica
era una professione interessata allo sviluppo umano, sia individuale sia di specie. Tale disciplina si occupa
primariamente delle cause e del trattamento del ritardo e della devianza, ed è per definizione la scienza dello
sviluppo normale, comprendendo entro il suo ambito tutte le condizioni che facilitano, conservano od
ostacolano lo sviluppo normale della mente e del corpo (1925). Aveva tra i suoi obbiettivi il cambiamento
sociale e che si occupa di cause e trattamento della devianza e del ritardo. Ma in poche persone accettarono
questo nuovo termine. Witmer, col passare degli anni, diventava più convinto di aver intravisto un tema
unificante che attraversa lo sviluppo umano: l’essere umano si sforza continuamente di perfezionare il suo
comportamento (quella che oggi è l’autorealizzazione diventa l’obiettivo centrale della sua clinica).

MOVIMENTI FAVOREVOLI PER IL PASSAGGIO AL "MODELLO SALUTE": LA PSICOLOGIA UMANISTICA E


POSITIVA
Nel panorama più ampio della psicologia però si possono rintracciare segnali incoraggianti per una libera
espressione di Igea: la psicologia umanistica e la psicologia positiva.
Prima di ciò, nella storia della psicologia, non mancano riferimenti al funzionamento ottimale di personalità,
spesso rappresentati dal concetto di maturità psicologica come ad esempio Freud che considera la maturità la
capacità di amare e lavorare.
Allport invece, riferendosi al concetto di normalità sostiene che la psicologia ha un quadro sufficientemente
chiaro del ruolo della cultura nel definire e produrre la normalità.
In epoche successive, mentre tende a scomparire il concetto di normalità, compaiono molti studi in cui i criteri
di maturità psicologica sono intesi nel senso di sviluppo o realizzazione delle potenzialità individuali e sociali.

PSICOLOGIA UMANISTICA
Nasce negli anni 50-60 del secolo scorso dando rilievo agli aspetti positivi della mente e portata avanti da autori
come Maslow, Murray, Rogers. Maslow nel 1954 aveva pubblicato “Motivazione e personalità” dove l’ultimo
capitolo si intitolava “Verso una psicologia positiva”. La prima fase della psicologia umanistica (1960-1970) fu
guidata dall’agenda di Maslow che articolava una visione olistica della persona, bisognosa di connessioni e
significato. Questa visione portò un contributo notevole al counseling familiare e organizzativo. La proposta
della psicologia umanistica, ben descritta dalla Resnick, consiste nel favorire una scienza che sostiene il primato
dell’esperienza sulle verità astratte e una metodologia descrittiva o qualitativa, pur abbracciando l’esigenza di
rigorosità. I metodi qualitativi della psicologia umanistica derivano dalla fenomenologia di Husserl. Taylor, un
critico della p. positiva, afferma che la parola “positiva” può riferirsi alla posizione epistemologica del
positivismo tradizionale di Comte, oppure al concetto di rinforzo positivo basato su una ricompensa che è più
efficace della punizione, oppure ancora a tutto ciò che si oppone in senso dualistico al termine negativo, che
rende il termine però relativo.

PSICOLOGIA POSITIVA
Negli anni ‘90 si è affermato il movimento della Psicologia Positiva in USA con a capo Seligman, che nel primo
capitolo del suo manuale afferma che questa psicologia riuscirà a capire e costruire i fattori che consentono a
persone, comunità e società di svilupparsi in modo fiorente e utilizzando gli stessi metodi e laboratori usati fino
ad ora i futuri scienziati cercheranno di comprendere e costruire le caratteristiche che rendono la vita più
degna di essere vissuta. Fin dalla nascita la p. positiva ha riconosciuto nei leader della p. umanistica i loro
precursori, tuttavia emerge una tendenza a distinguersi dalla p. umanistica a cui si attribuisce una scarsa
aderenza all’uso di metodi quantitativi, utilizzati invece dalla p. positiva. Seligman, un critico della p. umanistica,
afferma che la p. umanistica non rappresenta la p. positiva perché non ha generato una tradizione di ricerca.
Taylor, controparte di Seligman, muove altrettante critiche nei confronti della psicologia positiva, a partire
dall'uso stesso della parola "positiva", dietro la quale si nascondono 3 significati:
1. Significa positivismo: nel richiamo continuo agli standard della psicologia sperimentale si riconosce il
senso implicito di posizioni epistemologiche riferite al positivismo tradizionale di Comte.
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2. Riferimento al "rinforzo positivo": gli psicologi di questa corrente si erano formati nell'era del
behaviorismo e presentano quantità immerse di dati che dimostrerebbero come questo tipo di rinforzo,
basato sulla ricompensa, sia molto più efficace del rinforzo che si basa sulla punizione.
3. Positivo è in generale tutto ciò che si oppone in senso dualistico al termine negativo: il positivo può
essere o qualunque cosa uno definisca come opposto del negativo (relatività della questione) oppure
può significare solo quello che è definito da quelli che presumono di avere il maggior controllo su come
definirlo.
È evidente che, mentre da una parte si ostenta un approccio oggettivamente neutrale, libero dai "valori",
dall'altra (psicologia positiva) si introduce una parola come "virtù", palesemente connotata nel senso di valore
morale, Nonostante la disputa, la comparsa di idee e prassi targate come p. positiva ha avuto un effetto di
trascinamento positivo per il modo e la puntualità con cui i promotori hanno raccolta e catalizzato l’interesse di
molti psicologi intorno al cambiamento di paradigma.

CAP.3 - LA SCIENZA DELLA SALUTE COME BEN-ESSERE


Occorre ragionare sulle fondamenta stesse della scienza della salute.
Cosa si intende per scienza della salute?
La risposta deriva dalla definizione dell'OMS, ovvero “scienza del ben-essere” e, di conseguenza, i pilastri su cui
si fonda sono le discipline biologiche, psicologiche e sociali.
Su che basi si riconosce legittimità procedurale di questa scienza? Se si vuole costruire una scienza della salute
come stato di ben-essere bisogna compiere un percorso analogo a quello della scienza della malattia come
stato di mal- essere, ma ribaltato:
1. Scienza della malattia: individuare le varie forme di mal-essere (tassonomia) → individuare le cause
(ezio- patogenesi) → individuare i metodi per rimuoverlo o prevenirlo (terapia o promozione);
2. Scienza della salute: dimensioni che lo caratterizzano (tassonomia) → sorgenti e processi che lo
alimentano (salutogenesi) → metodologie per promuoverlo (promozione).
Non si può creare una divaricazione tra approccio biomedico e psicosociale, collocando il primo nella malattia e
il secondo nella salute perché il movimento verso Igea investe trasversalmente tutte le discipline di questo
campo.
Il richiamo a Igea, nonostante si possa rilevare un recente maggior interesse e impegno da parte della
psicologia, è comparso in origine in medicina con la parola igiene anche se né in campo medico né in campo
psicologico ci sia un vero impegno e sviluppo dei centri di interesse. Di fatto, sebbene si parli di "psicologia della
salute", come ambito disciplinare ormai accademicamente e professionalmente consacrato, ancora non vi è
ancora una "medicina della salute", dove la salute è una dimensione positiva e non l’assenza di malattia (a
differenza delle numerose ricerche della moderna psicosomatica che descrivono in che modo un fattore
determina una patologia oppure impedisca il benessere).

LA SCIENZA DEL BENESSERE DAL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOLOGIA


Questa emergenza della salute come stato di benessere, non deriva necessariamente dal modello
biopsicosociale, il quale implica una compresenza di più dimensioni ma non la direzione di interesse: inserir la
voce della psicologia o della soggettività tra gli operatori della salute non fa spostare la mentalità dal versante
del modello malattia a quello del modello della salute.
Dunque il vero problema che si presenta oggi è come declinare il concetto di "stato di benessere", contenuto
nella definizione.
È possibile rilevare due linee generali di tendenza:
1. Benessere soggettivo (subjective wellbeing)
Si tratta di studi mirati alla valutazione soggettiva del benessere, tramite l'uso di scale di valutazione
che includono misure positive e non la semplice assenza di fattori negativi. La misura del benessere
soggettivo vide un’accelerazione con l’entrata in campo degli economisti che si occupavano di PIL
inteso come indicatore di benessere di una nazione. Cicognani (1998) afferma che l'interesse per il
benessere soggettivo non è affatto prerogativa della psicologia, anzi, la psicologia è stata l'ultima in
ordine di tempo a occuparsene. Prima di lei è stato interesse di discipline come filosofia, religione,
ideologie politiche, economia, scienze sociali, ciascuna delle quali ha sviluppato le proprie prospettive e
una propria terminologia. Inoltre, agli inizi, paradossalmente la psicologia si è interessata soprattutto
delle condizioni in cui il benessere è assente, ovvero all'infelicità umana.
Il concetto di benessere soggettivo, che viene indicato generalmente come di tipo edonico, ha una
molteplicità di sfaccettature che richiedono un'attenzione sempre più differenziata da parte dei
ricercatori. Si possono distinguere, in generale, almeno due categorie:
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2. Benessere soggettivo: ricerche che riguardano esperienze registrate in situazioni contestuali o riferite a
circostanze recenti.
Esempio ricerca di Bradburn (1969): ricerca per evidenziare come certi cambiamenti sociali di
macrolivello potessero influenzare il ben-essere della gente usando come V.D. la felicità, intesa per lui
come eudaimonia, e operazionalizzandola come uno stato di equilibrio tra emozioni positive e negative.
Dagli anni '70 in poi, sulla falsariga di questa ricerca, hanno preso origine gran parte dei lavori sul
benessere soggettivo da parte degli psicologi. Ovviamente la "felicità" non è stato il solo indicatore di
benessere negli studi empirici di questi anni: centrale a tutti gli strumenti costruiti in questo ambito è la
presentazione di una serie di indicatori di salute sui quali la persona esprime il suo giudizio, sia sul piano
delle emozioni sia sul piano cognitivo.
3. Soddisfazione di vita (life satisfaction): ricerche che fanno riferimento a valutazioni di carattere
generale sul modo in cui le persone percepiscono il loro rapporto con la vita, tramite questionari (Scale)
in genere molto brevi, detti Global Evaluations of Individual Life Satisfaction che si propongono di
misurare la felicità interrogando un campione rappresentativo di soggetti sul livello generale di
soddisfazione della vita che stanno conducendo (es. eurobarometro", "Satisfaction With Life Scale" di
Diener)

Diener e collaboratori (2003) individuano 4 motivi per cui sono importanti le scale di misura del benessere
soggettivo. Queste scale dimostrano che il benessere soggettivo è in grado di produrre benefici rilevanti (es.
migliore salute e longevità):
1. Le persone di ogni parte del mondo ritengono che il benessere soggettivo sia un fattore importante;
2. Il benessere soggettivo è un indicatore della qualità della vita assieme ad altri indicatori economici e
sociali come il PIL;
3. Il benessere valutato come un’importante variabile di outcome nel campo della ricerca su anziani e altri
gruppi target (di fatto risulta un indicatore significativo della qualità della vita in età avanzata)

Oggi, il quadro di queste misure si presenta sempre più articolato e metodologicamente sofisticato. In genere
questi metodi si basano su valutazioni soggettive effettuate in diversi momenti della giornata e per molti giorni.
Rilevando esperienze vissute al momento, in diverse situazioni e in diversi contesti, è possibile superare le
ambiguità delle misure glovali basate sul ricordo a distanza (Kahneman, psicologo e premio Nobel per
l'economia). Kahneman, sottolineando anche il contributo emergente delle neuroscienze, sembra aver fiducia
nello sviluppo della conoscenza scientifica del benessere soggettivo. In una sua intervista del 2011, l'autore
afferma che la scoperta più importante in riferimento al benessere è il fatto che esso ha una larga componente
genetica e vi sono dati che dimostrato (fra il 33% e il 50% della varianza) l'ereditarietà della "soddisfazione di
vita".

Il ben-essere psicologico può essere definito come il funzionamento psicologico ottimale di una persona.
Si tratta dello sforzo di individuare le dimensioni oggettive di quello che si potrebbe definire un buon
funzionamento psicologico. Siamo su un piano profondamente diverso rispetto a quello del benessere
soggettivo, anche se i costrutti non sono del tutto indipendenti : l'esperienza eudemonica, caratteristica di un
funzionamento ottimale (ben-essere psicologico) non può non essere accompagnata da un vissuto edonico di
felicità (benessere soggettivo).
L'obiettivo è quello di sistematizzare l'ampio panorama delle conoscenze entro linee procedurali analoghe a
quelle seguite dagli studiosi della malattia. A fuoco si pone quindi l'individuazione delle dimensioni del ben-
esser e dei suoi indicatori, della loro dinamica evolutiva e della loro promozione. Nella consapevolezza della sua
complessità, Bertini ritiene questo il compito più rilevante per il futuro della psicologia della salute.
Prima di affrontare la tassonomia del ben-essere è indispensabile per l'itinerario tassonomico del ben-essere
utilizzare come termine di confronto la ormai consolidata "tassonomia del mal-essere", con le molteplici
categorie patologiche ampiamente rappresentate nel manuale psichiatrico DSM.
Kant (1764) affermava: "C'è un genere di medici, i medici della mente, che ogni volta che trovano un nome,
pensano di aver scoperto una malattia".
A tal proposito, si deve tener presente come, non solo la psichiatria ma anche la psicologia clinica, abbiano alle
spalle un'ampia storia di riferimenti al DSM = manuale che consiste in una classificazione dei disturbi mentali
che vengono definiti sulla base di quadri sintomatologici raggruppati attraverso procedure statistiche.
La strada per costruire una tassonomia della salute potrebbe passare da un tentativo di "decostruire" il DSM:
Maddux (2002) nel suo Manuale di psicologia positiva introduce un capitolo intitolato "Fermiamo la pazzia. La
Psicologia Positiva e la decostruzione dell'ideologia della malattia e del DSM".
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Secondo questo autore, la categorizzazione e patologicizzazione dell'esperienza umana del DSM è l'antitesi
della psicologia positiva ed è pertanto necessario attuare un certo tipo di "iconoclastia", in cui l'icona da
frantumare è il DSM.

Lo scopo non è la distruzione ma la sua decostruzione, ovvero:


1. un esame delle forze sociali che funzionano come sua base di potere;
2. un'analisi critica degli assunti impliciti che gli offrono una legittimazione pseudoscientifica. Questa
decostruzione dovrebbe costituire il primo stadio di una ricostruzioen del nostro modo di vedere il
comportamento umano e i problemi della vita.

Occorre innanzitutto rendersi conto che i concetti di normalità e anormalità, insieme alle etichette e categorie
diagnostiche specifiche, non sono riflessi e mappature di fatti psicologici interni alle persone, ma costrutti
sociali, ovvero concetti astratti elaborati nel corso degli anni da membri della società (individui e istituzioni) che
rappresentano un modo condiviso di vedere le cose. Le categorie diagnostiche non sono state "scoperte”,ma
“inventate" (es. omosessualità: Wilson nel '93 afferma che la controversia sull'omosessualità sembra
dimostrare che le diagnosi psichiatriche sono chiaramente intrecciate nelle costruzioni sociali della devianza). A
tal proposito, Widiger e Trull (1991) affermano che il DSM non è un documento scientifico, ma un documento
sociale, con ogni revisione il DSM ha avuto qualcos'altro da dire su come le persone dovrebbero vivere la loro
vita e ciò che rende la vita degna di essere vissuta.
Dunque le nostre nozioni di normalità-anormalità psicologica, salute-malattia, sono costruzioni sociali che
servono fini e valori: esse sono legate all'assunto su come le persone dovrebbero vivere la propria vita e a ciò
che rende la vita degna di essere vissuta.
Maddux smonta quindi alla radice la costruzione del DSM sulla base di alcuni assunti che considera
decisamente falsi:
1. La capacità di stabilire criteri chiari per distinguere tra pensieri, sentimenti, comportamenti normali e
anormali
2. L’idea che le categorie facilitino il giudizio clinico e il trattamento

A suo parere non si tratta di mettere in discussione l'attendibilità delle classificazioni in genere e del DSM in
particolare, ma la validità delle categorie stesse. L'autore afferma che tutti i sistemi di classificazione sono
arbitrari, il che non vuol dire che siano sconsiderati, ma che sono costruiti per servire i fini di quelli che li
sviluppano. I maggiori fautori della classificazione dei disordini psicologici giustificano le loro ragioni
nell'assunto che la "classificazione è il cuore di ogni scienza" (Barlow, 1991). Tuttavia, il pensiero categorico non
è il solo mezzo per dare senso al mondo, sebbene esso sia un mezzo caratteristicamente occidentale.
Dal momento che il sistema delle categorie è descrittivo e ateoretico può dare qualche aiuto, ma non può
offrire linee guida per facilitare i processi di cambiamento.
Wright e Lopez (2002) rilevano altre conseguenze legate al processo di categorizzazione, tra cui l'attenuazione
delle differenze intra-grupo (de-individuazione) e l'accentuazione delle differenze inter-gruppo.

CONCLUSIONI
Occorre sottolineare che le critiche di Maddux, come altri autori, non comportano la distruzione del DSM o di
altre classificazione, ma intendono piuttosto mettere in discussione un processo indebito di attribuzione
dovuto principalmente all'approccio categoriale. La tassonomia ha una sua indubbia utilità, purché vi sia la
piena consapevolezza della reale funzione che può assolvere.
La lineetta in "ben-essere psicologico" (rispetto a benessere soggettivo) rappresenta il fatto che queste due
aree sono assolutamente diverse. È sul versante del "ben-essere psicologico" che per la psicologia si sta
aprendo l'orizzonte di una vera scienze del ben-essere.

CAP.4
TASSONOMIA DEL BEN-ESSERE
Nella consapevolezza di una possibile critica, ci si deve domandare se sia utile procedere nella linea della
scienza appoggiandosi a un criterio di classificazione. Si dovrà allora riconoscere che i metodi classificatori
hanno un'utilità obiettiva, naturalmente se si rispettano le finalità e i limiti del loro uso, senza legittimare
inferenze interpretative indebite sulla natura degli oggetti classificati. Dunque è lecito il tentativo di identificare
le dimensioni positive della salute (tassonomia del ben-essere), a condizione di abbandonare l'approccio
categoriale ( cioè classificare persone o disturbi) sostituendolo con un approccio dimensionale, si occupa di
identificare e misurare le differenze individuali di fenomeni psicologici (es. le competenze, le emozioni, gli stili
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di vita). Lungo questa linea si assume che le persone presentino considerevoli deviazioni statistiche rispetto a
fenomeni comportamentali, cognitivi ed emotivi, senza però che questo significhi che queste deviazioni siano di
per sé disadattive o patologiche (Maddux, 2002).

A partire dagli anni ’70 ci furono una serie di iniziative per individuare queste dimensioni e tra i contributi
occorre ricordare:
Bandura (1977) con il costrutto di "self efficacy"
Antonovsky (1979) con il "senso di coerenza"
Csiksentmihalyi (1988) con il concetto di "flow".
Uno dei tentativi più importanti rimane però quello di Carol Ryff, negli anni '90.

IL CONTRIBUTO DI CAROL RYFF


In primo luogo, Ryff e collaboratori volendo andare oltre la concezione medica della salute, fortemente
ancorata al versante della patologia, hanno indicato 3 principi:
1. Riconsiderare l'eccesso di enfasi che la psicologia ha generalmente dato alla medicina rispetto alla
filosofia. Essi affermano che la salute positiva non è una questione medica, ma piuttosto una questione
filosofica che richiede un'articolazione del significato di "good life" : si mette in dubbio che il termine
"happiness" sia la giusta traduzione della parola eudemonismo = dottrina morale che identifica il bene
con la felicità, etimologicamente dal greco < essere con un buon (eu) spirito (daimon). Essi affermano
che la traduzione di Bradburn suggerisce un'equivalenza tra eudemonismo e edonismo, ma in realtà
con il termine eudemonia si intende "il sentimento che accompagna il comportamento nella direzione e
nella coerenza con le proprie autentiche potenzialità".
Secondo Ryff e Singer, se la concezione aristotelica di eudaimonia, come il più alto di tutti i beni, fosse
stata adottata nel senso di realizzazione del proprio vero potenziale, anziché come "happiness", gli
ultimi 20 anni di ricerca sul ben- essere psicologico avrebbero potuto prendere direzioni differenti.

Il benessere riguarda allo stesso tempo la mente, il corpo e le loro interconnesioni.


Una valutazione comprensiva della salute positiva deve includere sia le componenti mentali e fisiche, sia i modi
in cui esse reciprocamente si influenzano. Lo studio del substrato fisiologico degli "stati positivi della mente"
apre infatti delle direzioni future cruciali per la comprensione dei meccanismi sottostanti la salute positiva
umana.

La salute positiva umana si legge meglio come un processo multidimensionale dinamico che come uno stato
finale discreto.
In questo senso, il benessere umano è sostanzialmente una questione d'impegno nel vivere, che coinvolge
l'espressione di una vasta gamma di potenzialità umane: intellettuali, sociali, emotive e fisiche.
Si nota come nel pensiero della Ryff vi sia qualche accenno alla salute come processo anziché come stato, ma
per il momento è importante attestarci al livello della salute come stato, nelle sue dimensioni tassonomiche.
Il passo successivo degli autori, dopo aver condotto una circostanziata analisi delle caratteristiche ricorrenti
nella storia del pensiero filosofico, è stato quello di rivolgersi alla letteratura scientifica più attenta ai lineamenti
di funzionamento ottimale psicologico, al fine di individuare dimensioni suscettibili di misurazione, comuni e
trasversali ai vari orientamenti. In particolare, dimensioni tratte da una sintesi di:

• Teorie evolutive del ciclo di vita


• Resoconti clinici di funzionamento
• Descrizioni di salute mentale positiva

In altri termini, quando si esaminano le caratteristiche del ben-essere riportate in queste varie formulazioni,
appare chiaro che molti teorici hanno parlato di lineamenti simili del funzionamento psicologico positivo.
Dal doppio confronto della letteratura filosofia e della letteratura psicologica di maggiore spessore, gi autori
hanno ricavato un certo numero di indicatori del buon funzionamento psichico, mettendoli successivamente al
vaglio della sperimentazione empirica. Sono state individuate le seguenti dimensioni:

• Avere degli scopi e senso di direzione nella vita (purpose in life);


• Sviluppo personale (personal growth);
• Avere buone relazioni con gli altri (positive relations with others);
• Capacità di controllo e senso di efficacia personale (environmental-mastering);

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• Accettazione, rispetto di sé, autostima (self-acceptance);


• Autonomia (autonomy).

Di fatto, l'ipotesi di questa struttura del ben-essere a 6 fattori ha trovato sostanziale conferma nei dati di un
campione nazionale statunitense. In sintesi, per individuare le dimensioni dello "stato di ben-essere
psicologico" la Riff prevede il rispetto di alcuni passaggi:
• Prendere le distanze da una linea strettamente medica, cercando di attingere ispirazione alle fonti umanistiche
della filosofia e dell'etica.
• Da queste fonti si filtrano i "criterial goods", ovvero gli indicatori teorici che qualificano un buon funzionamento
mentale da cui si parte per verificare la loro trattabilità su piano delle scienze psicologico- sociali.
• Infine, si individua il substrato fisiologico di queste dimensioni che può determinare, secondo la Ryff, un
importante progresso nella comprensione integrata e positiva della salute.
Un'analisi critica ci fa capire le difficoltà e il merito nell'affrontare il crinale della "salute positiva". A tal
proposito, Contrada (1998) afferma che:
• Occorre maggior chiarezza sul rapporto con le tematiche dell’adattamento: la salute positiva è una
sottocategoria di una serie di processi che permettono all’uomo di sopravvivere e prosperare o è un modo di
concettualizzare tutto l’adattamento?
• Sospetto di circolarità tra dimensioni costitutive della salute e determinanti della salute: es. le relazioni sociali
sono una dimensione positiva o un fattore che contribuisce alla salute?
Nonostante ciò questo modo di procedere ha un’utilità pratica evidente.

LA CLASSIFICAZIONE DEL BEN-ESSERE


Seligman e Peterson (2003) sostengono che per l'affermazione scientifica della psicologia positiva occorre
partire da una tassonomia delle strenghts (risorse), così come ha fatto la psichiatria nella direzione opposta.
A tal proposito nel 2004 è uscito un manuale, nel quale si propone una classificazione delle "risorse e virtù del
carattere". Quest'opera si limita a istituire un processo di classificazione scientifica, ma tuttavia si intravede la
costruzione di un DSM alla rovescia, ovvero una classificazione non più orientata a descrivere i molti modi di
essere mentalmente malati, ma orientata ai molti modi di essere mentalmente sani.
Il manuale, senza la pretesa di aver costruito una vera e propria tassonomia, si presenta quindi come un
contributo, ampiamente argomentato nell'arco di quasi 800 pagine. È organizzato in 24 risorse (o virtù)
inquadrate all'interno di 6 categorie.

CATEGORIE RISORSE
1) SAGGEZZA E CONOSCENZA Creatività
Curiosità
Apertura mentale
Piacere di apprendere
Visione prospettica
2) CORAGGIO Audacia
Persistenza
Integrità
Vitalità
3) UMANITÀ Amore
Gentilezza
Intelligenza sociale
4) GIUSTIZIA Cittadinanza
Equanimità
Leadership
5) TEMPERANZA Perdonare e avere pietà
Umiltà e modestia
Prudenza
Autoregolazione
6) TRASCENDENZA Apprezzamento della bellezza e dell’eccellenza
Gratitudine
Speranza
Umorismo
Giocosità
Spiritualità

Dunque con l'occhio attento allo scenario di queste risorse vitali che, in qualche misura o in modo nascosto,

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sono comunque presenti in ciascuno di noi, si aprono nuove potenzialità all'esercizio dello psicologo.
Rogers (1961)ha descritto molte di quelle qualità che sono state successivamente identificate da Peterson e
Seligman (2004) come risorse e virtù del carattere, definendo la persona pienamente funzionante = non
difensiva e aperta all'esperienza, con la capacità di vivere pienamente ogni momento, avere fiducia nelle
risposta del proprio corpo al mondo, riconoscere il proprio diritto alla libertà così come la propria responsabilità
per le conseguenze di tale libertà, essere creativo, affidabile e costruttivo, e vivere una vita ricca e piena → ciò
secondo Robbins (2008).
In conclusione è necessario dire che, pur apprezzando il contributo alla tassonomia, non si può naturalmente
minimizzare la complessità del compito.

PERCHÉ LA PAROLA "SALUTE NON HA IL PLURALE?


La consapevolezza ch la salute è uno stato in cui si articolano una serie di dimensioni positive ci obbliga a non
trattare genericamente la "salute" al singolare.
Per indicare le dimensioni del ben-essere si fa riferimento a concetti come strengths ("forze"), virtues, life skills
("competenze di vita"), ma in realtà l'uso di tali termini riflette un fenomeno di grande interesse: non esiste nel nostro
vocabolario il plurale della parola salute! → e allora come si può parlare di tassonomia della salute se questa parola non ha
il plurale?
Tale mancanza nel vocabolario internazionale, sta a segnalare un emblematico vuoto di riflessione culturale e
scientifica, in cui a tutt'oggi ci troviamo rispetto al versante della salute positiva. A tal proposito Bertini (autore
del libro) propone di introdurre la parola "salutìe", neologismo che raggruppa insieme tutte le dimensioni della
salute che funge da provocazione che potrebbe costituire un'arma efficace per far riconoscere il vuoto
linguistico e facilitare un cammino analogo a quello ampiamente indirizzato e sostenuto dalla parola "malattie".
Così, come a rappresentare il concetto generale della malattie si è affermata la parola "malattia", a
rappresentare il concetto generale delle salutìe dovrebbe affermarsi la parola "salutìa".

LE BASI GENETICHE DELLE SALUTÌE PSICOLOGICHE


Nella storia della genetica si può rilevare una linea di pensiero nota come "determinismo biologico" che tende a
indicare rapporti abbastanza rigidi tra caratteri genetici e aspetti fenotipici. In questa linea sembrano trovare
prevalentemente spazio le elaborazioni teoriche e le ricerche nel versante della negatività.
Secondo un pregiudizio con radici antiche, vi sarebbe una sorta di destino biologico che costringe l'uomo, al pari
degli altri animali, alla reciproca sopraffazione: l'egocentrismo competitivo e aggressivo sarebbe un portato
naturale.
È curioso osservare che quando di solito si parla degli istinti degli antenati animali sedimentati nel nostro
cervello, si faccia perlopiù riferimento a quelli di tipo aggressivo ed egoista e assai poco a quelli di tipo
cooperativo, altruistico e altri simili. Eppure Gould (1977), noto biologo, afferma che esempi di comportamenti
obiettivamente altruistici (es. sacrificare la propria vita a vantaggio dei figli o degli altri) sono diffusi nel mondo
animale e inoltre, lo stesso Freud parlando di processo di civilizzazione affermava che ciò richiede che noi
sopprimiamo le inclinazioni biologiche al fine di un bene comune. La teoria dell'altruismo su base genetica
naturalmente porta un altro attacco all'orgoglio dell'uomo, già costretto altre volte a scendere dalla sua
presunta superiorità:
Copernico: togliendo la terra dalla centralità dell'universo;
Darwin: inserendo la storia dell'uomo entro l'evoluzione naturale;
Freud: ridimensionando la supposta razionalità dell'uomo.
L'educazione, la cultura, lo status e tutto l'intangibile che chiamiamo "libera volontà", determinano il modo con
ci restringiamo la scelta dei comportamenti entro l'ampio spettro (estremo altruismo ed estremo egoismo) che
i nostri geni consentono. Il vero fatto biologico nuovo risiede nello sviluppo enorme del cervello umano: questo
evento straordinario, verificatosi misteriosamente nella storia dell'evoluzione, ha probabilmente fatto sì che la
programmazione rigida del comportamento sia divenuta disadattiva. La notevole plasticità e flessibilità
consentite dalla nostra corteccia cerebrale può essere la determinante più importante della coscienza umana
svincolando l'uomo dalle rigidità dei programmi genetici. Violenza, sessismo e generica cattiveria sono biologici
dal momento che rappresentano una sottocategoria di una possibile gamma di comportamenti.
La concezione che emerge da queste prospettive porta all'affermazione di un cervello aperto all'intera gamma
dei comportamenti e non predisposto rigidamente verso alcuni di essi.
Bertini ha riportato i pensieri di Gould per due principali motivi:
Si nota come, anche nel campo della genetica, vi sia consonanza con gli orientamenti della psicologia della salute: Gould di
fatto riconosce uguale spessore alle dimensioni negative e a quelle positive, naturalmente in un quadro concettuale di
"potenzialità" e non di "determinismo" biologico.
Dando spessore biologico anche a dimensioni apparentemente elusive come altruismo e cooperazione, ci fa riflettere sulla
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legittimità con cui si è proceduto nel versante delle dimensioni negative.


Questo spaccato di riflessioni sulla potenzialità nell'utilizzazione di predisposizioni genetiche, è rilevante anche
sul piano dei cambiamenti adattivi riguardo al mutare delle concezioni storiche. Se la potenzialità della
competizione egocentrica e aggressiva può aver avuto un significato adattivo, è possibile interrogarci se oggi lo
sia meno e se si possano intravedere linee di maggiore adattività negli orientamenti verso la cooperazione.

IL PROGRESSO NELLE NEUROSCIENZE NELLO STUDIO DELLE SALUTÌE PSICOLOGICHE


In tempi recenti nell'ambito delle neuroscienze si nota un nuovissimo interesse allo studio di salutìe
psicologiche come altruismo, cooperazione, empatia con la comparsa di articoli in riviste d alto prestigio
scientifico. Tra i più famosi troviamo:
Brosnam e De Waal (2003, rivista Nature): studiano le scimmie e la loro ripugnanza all’ingiustizia: le scimmie si rifiutavano
di partecipare se vedevano che altre scimmie ottenevano con uguale sforzo (o anche senza sforzo) ricompense più
attraenti delle loro;
Rilling (2002): applica una risonanza magnetica funzionale a 36 donne durante il gioco del dilemma del prigioniero: la
mutua cooperazione si associa a un’attivazione consistente delle aree cerebrali collegate ai processi di ricompensa che
rinforza l’altruismo motivando i soggetti a resistere alla tentazione di accettare egoisticamente senza ricambiare i favori.
Gli approcci prevalenti economici e biologici vedono la cooperazione come un comportamento autointeressato. A tal
proposito Fehr e Rockenbach dimostrano che le sanzioni che svelano intenzioni egocentriche o avide distruggono la
cooperazione altruistica quasi completamente, mentre sanzioni percepite come giuste lasciano intatto l’altruismo.
In conclusione, l'insieme di queste ricerche (condotte su solide basi empiriche) indica i progressi scientifici nello
studio del ben-essere: fino a pochi anni fa era impensabile immaginare la comparsa in riviste come Nature e
Science di ricerche introno a temi come la cooperazione, il senso di giustizia, i processi decisionali, e altri.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI E L'ASIMMETRIA FRA QUELLE COSIDDETTE "NEGATIVE" E QUELLE


"POSITIVE"
Sono presenti spunti di riflessione tassonomica anche nel campo delle emozioni.
Il tema generale dell'affettività e la sua funzione di mediazione nel rapporto mente-corpo è di grande attualità
nel panorama delle neuroscienze.
Tale tema è di grande rilievo per la psicologia della salute, ma sembra esservi un'evidente prevalenza in
letteratura delle emozioni cosiddette negative, rispetto a quelle cosiddette positive.
Ashby, Isen e Turken (1999) affermano che nella letteratura neuroscientifica non c'è quasi alcuna menzione
dell'affettività positiva e il limitare l'uso del termine all'omeostasi può solo servire a pregiudicare ogni ricerca
sulla fisiologia dei libello più altri di gioia. Eppure, come osserva Changeaux (1986), la capacità di gioire, come
quella di soffrire, è iscritta nei nostri neuroni e nelle nostre sinapsi.
In realtà, la grande enfasi data allo studio delle emozioni negative appare giustificata sotto molti punti di vista:

Le caratteristiche di emozioni negative come rabbia, paura, disgusto sono chiaramente connotate e differenziate sia sul
piano dell'espressività fisica sia sul piano del loro specifico orientamento all'azione.
Dal punto di vista dell'evoluzione, si può facilmente capire la rilevanza adattiva di queste emozioni, così come la loro
influenza disadattiva quando esse presentano caratteristiche estreme, prolungate o contestualmente inappropriate.

Tutto questo spiega sufficientemente il motivo che ha spinto la ricerca scientifica a studiare in profondità le
emozioni negative.
Molto più vaghi e poco differenziati gli studi delle emozioni positive come gioia, serenità, interesse,
contentezza, sia sul piano fisiologico che sul piano psicologico-comportamentale.
La letteratura offre oggi una consistente mole di studi che dimostrano come anche le emozioni positive
possano produrre effetti significativi sulla salute.
Esempio ne è la ricerca di Danner e collaboratori (2001) che hanno analizzato a distanza di 60 anni dei
manoscritti di alcune suore: quelli dove comparivano più emozioni positive erano di suore che hanno vissuto
più a lungo.
L'obiettivo evidente per lo psicologo della salute è capire il valore intrinseco di queste emozioni.

IL MODELLO "AMPLIARE E COSTRUIRE" (Broaden-and-built)


A proposito del tema delle emozioni positive, di rilievo è il contributo di Barbara Fredrickson (2002) che da
diversi anni sta proponendo un modello teorico confortato da significativi risultati di ricerca.
Questo modello tende a dimostrare una diversa, ma intrinseca, proprietà adattiva delle emozioni positive.
La teoria sostiene che, a differenza delle emozioni negative (es. attacco e fuga) che restringono gli impulsi del

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comportamento umano ad alcune specifiche azioni utili alla sopravivenza, le emozioni positive ampliano la
gamma di pensieri e azioni facilitando la flessibilità del comportamento.
La teoria sostiene inoltre che, a differenza dei benefici prodotti dalle emozioni negative (diretti e
immediatamente adattivi rispetto a situazioni di pericolo), i benefici delle emozioni positive emergono nel
tempo e favoriscono:
• Maggior apertura mentale (es. strategie di coping o relazioni sociali)
• Salute
• Benessere
Sulla base di questi rilievi empirici si ritiene che le emozioni positive possano essere un ingrediente
fondamentale di un sano sviluppo della salute mentale. Dunque il modello di Fredrickson apre quindi uno
scenario interessante nella prospettiva della promozione del ben-essere.
La critica mossa a questo modello è che l’associazione fra emozioni positive e ben-essere non per forza è
sempre da interpretarsi in modo causale. A tal proposito sarebbe necessario:
• Incrementare ricerche di tipo longitudinale
• Effettuare ricerche di manipolazione sperimentale delle affettività positive a fine di verificare effetti di
cambiamento su altre variabili.
In conclusione, il problema della positività e della negatività delle emozioni va considerato rispetto alla loro
concreta utilità adattiva. La semplificazione linguistica di questi aggettivi che tende a stabilire delle categorie
astratte, impedisce di vedere quanto il contributo dell'una o dell'altra possa variare non solo nelle situazioni
concrete, ma anche nelle culture e nei tempi diversi in cui vengono espresse.

CAP.5 - SALUTOGENESI DEL BEN-ESSERE


Cosi come per la rimozione delle malattie, anche per promuovere la salute bisogna studiare le cause e la genesi
specifica delle varie salutìe. Per affrontare il versante della promozione del ben-essere è necessario
approfondire le basi teoriche alla radice del concetto stesso di promozione, conoscendo le sorgenti, le
dinamiche processuali delle dimensioni positive che si vogliono promuovere. Due contributi in particolare:
Antonovsky e Canguilhem

VERSO UNA VISIONE SALUTOGENICA: IL CONTRIBUTO DI A. ANTONOVSKY


Tale autore fu il primo a introdurre nel 1979 il termine saluto-genesi, ben consapevole delle lacune sul piano
teorico della promozione della salute, in quanto pensiero e ricerca non sono state sfruttate per formulare una
teoria in grado di guidare il campo. Nella letteratura e nei molteplici documenti dell’OMS, la promozione della
salute si riduce alla promozione degli stili di vita, i quali rimandano ai fattori di rischio da prevenire più che
promuovere. Lo scopo di Antonovsky (1996, nell'articolo "The salutogenic model as a theory to guide health
promotion") invece è quello di proporre come fondamento teorico il modello salutogenico = una teoria che
nasce dallo studio delle risorse e delle debolezze dei concetti e pratiche di promozione, prevenzione e
riabilitazione.
La visione salutogenica prevede il superamento di un assioma che caratterizza l’orientamento patogenetico (e
intrinsecamente anche i fautori della promozione della salute) che vede l’organismo umano come un sistema
splendido, un’organizzazione meccanica che prima o poi viene attaccata da fattori patogeni e quindi
danneggiata, identificando di conseguenza gli individui sani come una categoria residuale.
Per meglio spiegare il cambio di orientamento. L’autore utilizza la metafora del fiume:

• Nella visione della patogenesi: i malati sono nuotatori che annaspano nel fiume (di cui si occupa la medicina
curativa), i sani sono sulla terraferma mentre altri sono sulla riva in pericolo di cadere (di cui si occupa la medicina
preventiva);
• Nella visione della saluto genesi: si parte dall’assunto che il sistema umano (come tutti i sistemi viventi) è
intrinsecamente guasto, soggetto a un processo entropico inevitabile e a una morte certa e quindi siamo tutti nel
fiume, ma bisogna capire quanto è pericoloso e come sappiamo nuotare → Se per il fatto di essere un sistema
vivente, ognuno di noi è nel fiume, e nessuno sulla riva, si deduce che una classificazione dicotomica è
inappropriata.

In tal modo l'autore afferma che è meglio utilizzare un modello del continuum, che considera ognuno di noi, in
un dato momento nel tempo, un una qualche posizione lungo il continuum sano/malato.
Dopo il capovolgimento dell'orientamento patogenetico, con la sua concentrazione sui fattori di rischio,
Antonovsky si pone la domanda, dal punto di vista saluto-genico, di come capire e orientare il movimento delle
persone (o della collettività) nella direzione del polo positivo del continuum.
Introduce a tal proposito un altro neologismo: i fattori salutari = fattori che siano neghentropici, che
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promuovano attivamente la salute.


Un orientamento saluto-genico, come base per la promozione della salute, guida le iniziative di ricerca o di
azione, focalizzando l'attenzione sui fattori salutari e includendo tutte le persone, in qualunque posizione del
continuum esse si trovino. Per fare ciò è indispensabile superare la visione patogenetica che identifica la
persona con la malattia che ha: questo errore ha un risvolto:
• Sia etico: non è lecito trattare un essere umano identificandolo con una patologia, disabilità o caratteristica
particolare, dato che un essere umano è tale per la sua complessità;
• Sia scientifico: l'identificazione della complessità umana che si limita unilateralmente alla patologia è
semplicemente una cura povera.

Al contrario, nella visione salutogenetica si considera la persona (o la collettività) nella sua interezza
chiedendosi come possa essere aiutata a muoversi verso uno stato migliore di salute.
Antonovsky ritiene che l'orientamento salutogenico offra la base per lo sviluppo di una teoria che può essere
sfruttata nel campo della promozione della salute, pur constatando che idee brillanti non sono mancate.
Ciò che è mancato è l’integrazione di queste in una buona teoria.
Qui Antonosvky introduce una grande novità sia sul piano dell'oggetto che del metodo di studio: anziché
studiare i pazienti che presentano sintomi specifici delle varie malattie, si studiano le persone che esprimono al
massimo il livello di sintomi specifici delle varia salutìe. Un esempio: studio delle donne sopravvissute ai campi
di sterminio, mentre ci si aspetterebbe di studiare quelle più “malate”, Antonovsky decide di studiare quelle più
sane per capire cause e meccanismi della loro salute e sviluppa il concetto di "senso di coerenza" (SOC) come
fattore salutare, ovvero un orientamento tendenzialmente salutare della persona che consiste in 3 componenti:
• Comprensibilità: grado in cui gli eventi vengono percepiti come portatori di senso logico, ovvero sono ordinati,
consistenti, strutturati;
• Gestibilità: grado in cui la persona ha la sensazione di poterli affrontare;
• Significato: grado in cui la persona avverte che la vita ha senso e le sfide che essa ci presenta meritano l’impegno.
La teoria della salutogenesi con il concetto di SOC fu introdotta nel 1979 e poi rivista nel 1987 in un altro libro.
Antonovsky si propose non solo come teorico, ma anche come ricercatore fino a quando morì improvvisamente
nel 1994.

Gli studi sul tema aumentarono di numero e lo stesso autore commentò questa mole di ricerche sostenendo
che:
• La scala SOC è considerata coerente, affidabile e valida per le diverse culture e classi sociali, generi ed età;
• La preponderanza delle prove esistenti è coerente con l’ipotesi di salute sostenuta dalla SOC. Tuttavia, come dice
l’autore stesso, vi sono alcune criticità:
• La scala non è mai stata usata in culture non occidentali;
• Pochi studi longitudinali e quindi non si può dire molto sulla causalità.

Antonovsky considera gli uomini come sistemi aperti e autopoietici, sottolineando che gli eventi stressanti sono
onnipresenti in ciascuno di noi, eppure molte persone sono in grado di gestire la tensione risultante
mantenendosi del tutto sani. Egli respinse l'idea che il fine ultimo della medicina dovesse essere l'equilibrio
(omeostasi) e identificò la questione dell'origine della salute (la salutogenesi) come un fattore più significativo
dell'origine della malattia (patogenesi).
In conclusione, il cambiamento di paradigma tracciato nella salutogenesi non sconvolge il passato ma offre un
nuovo binario di teoria e metodo. Tale visione sollecita l'abbandono del concetto di normalità e di devianza
costituitivi del modello malattia.

DAL CONCETTO DI NORMALITÀ AL CONCETTO DI COMPETENZA NORMATIVA: IL CONTRIBUTO DI G.


CANGUILHEM
Canguilhem (1966) è un epistemologo francese e maestro di Foucault, nel cui pensiero è centrale il
superamento del concetto di normalità nel concetto di normatività = competenza a istituire nuove norme.
Il concetto di normalità ha un'accezione ambigua:
• Da una parte, si riferisce a un dato statistico
• Dall'altra, suggerisce un'idea di valore → ciò perché un carattere comune assume valore di tipo ideale Pertanto
nella tradizione consolidata in campo biomedico, la parola normale, oltre che veicolare il significato neutro di
norma statistica, veicola chiaramente il concetto valoriale di sano.

Canguilhem parte dalla contestazione del filone culturale positivista (Broussais, Compte, Bernand) per il quale
fra normale e patologico esiste continuità e in fondo equivalenza: la malattia non è ce variazione quantitativa,

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in eccesso o in difetto, rispetto alla condizione di salute. Di conseguenza, la salute si identifica con una gamma
di valori statisticamente normali e un soggetto è quindi sano se rientra all'interno di questa gamma (è tale
visione dicotomica che viene denunciata da Antonovsky).
Canguilhem confuta dettagliatamente la concezione del continuum quantitativo che consentirebbe ala
medicina di rivendicare l'oggettività scientifica del suo procedere. Egli afferma che la salute non è normalità se
non nella misura in cui è normatività (essere in salute è disponibilità ad adattarsi ad ambienti variati e poterli
trasformale). La malattia costituisce un impoverimento di tale creatività, ma non sfugge alla norma, in quanto
intendendo il normale come capacità di fare norme il patologico non è il contrario di normale poiché non è
l'assenza di norme ma la presenza di altre norme. Il patologico è invece il contrario del sano, che è l'organismo
capace di sottoporsi a diverse norme. La malattia è una norma inferiore di vita perché non tollera scarti e riduce
il potere di adattabilità.
È interessante come questo autore cerchi di attribuire al concetto di normatività non tanto il senso di
adattamento reattivo rispetto alle evenienze ambientali, quanto piuttosto una tensione proattiva. Egli infatti
afferma che l'organismo sano non cerca tanto di mantenersi nel proprio stato, e nel proprio ambiente presente,
quanto piuttosto di realizzare la propria natura. L'uomo sano non si sottrae ai problemi che gli vengono posti
dagli sconvolgimenti delle sue abitudini, anche fisiologicamente parlando, ma egli misura la propria salute sulla
propria capacità di superare le crisi organiche per instaurare un nuovo ordine. L'uomo non si sente in buona
salute se non quando si sente non solo normale (vale a dire adattato all'ambiente e alle sue esigenze) ma
normativo, ovvero capace di seguire nuove norme di vita.
Dunque la salute è una presenza attiva descrivibile sia a livello biologico che psicologico.
Il concetto di normatività è chiaramente in linea con la visione saluto genica. La convergenza fra il pensiero
dell'epistemologo Canguilhem e quello dello scienziato Antonovsky (che va oltre il concetto di normalità e
devianza) fa emergere un aspetto saliente del modello salute: il successo non va visto nel raggiungimento di un
livello in cui le persone vengono definite normali, oppure aspirano a un livello pre-determinato di normalità, ma
il successo va visto nel processo. Dunque il successo non sta nel risultato, ma nel processo.
Questi autori ci offrono l'immagine di una persona (o collettività)) che affronta le vicende buone o brutte della
vita con l'impegno adattivo salutare, a costruire il proprio percorso di vita (immagine che rimanda alla figura del
"viandante").

LA SALUTOGENESI NELLA PROSPETTIVA BIOMEDICA


È necessario che il concetto di salutogenesi progressivamente si affermi anche in questo territorio.
Ryff e Singer (1988) affermano che sfortunatamente la professione medica e la cultura che la sostiene, ha
costruito un'equazione tra il compito di trattare l'infermità umana e quello di promuovere la salute.
L'inclinazione pressoché esclusiva al versante dell'eziopatogenesi, tipica del modello malattia, non è un
approccio intrinsecamente associato alla medicina, ma solo un orientamento storicamente determinato. Basti
pensare all'effetto placebo: se è vero, come molte rassegne confermano, che l'effetto placebo può spiegare il
30-40% dei risultati positivi, perché non studiare più a fondo le funzioni biologiche auto-organizzative che lo
promuovono?
Occorre poi sottolineare il grande divario presente nel numero di ricerche a livello biologico che si registrano
nella linea della patogenesi, rispetto a quelle nella linea della salutogenesi.
Tuttavia, il numero di ricerche nella direzione positiva sta aumentando. Ad esempio Selye (1956) parlò di
"eustress" e "distress", rendendo conto che il termine stress appare ingiustamente schiacciato al versante della
negatività, quando invece la sua assenza assoluta sarebbe altrettanto deleteria. Pertanto propose la duplice
specificazione di eustress e distress.
L'attenzione della medicina è stata giustamente rivolta a capire come difendere il corpo e restaurare la norma
dagli assalti dell'ambiente interno ed esterno, mentre ben poco è stato fatto per salvaguardare e accrescere la
capacità normativa. La valutazione della salute, nella cultura biomedica dominante, si risolve nella linea
statistica dell'omeostasi e non nei dinamismi dell'impegno vitale.
Altra questione è il termine guarigione: la valutazione della guarigione si rappresenta per lo più nel concetto
della "restitutio ad integrum", e non nella comparsa e nell'ampiezza di una nuova norma. Nella prospettiva di
salute come dinamismo dell'impegno vitale, anche il senso di cura assumerebbe un significato più sottile:
curare = significa non cercare di forzarlo verso una condizione statisticamente ideale, ma aiutarlo a esprimere e
realizzare le sue potenzialità. Goldstein affermava che il curante appare una sorta di pedagogo, che con tutti i
mezzi che ha a disposizione favorisce l'autonomia del soggetto curato.
A tal proposito Ford (1990) sottolinea l'importanza di considerare gli uomini sia come sistemi auto-organizzativi
sia auto-costruttivi. Afferma che non possiamo cambiare o curare le persone ma fare qualcosa per loro → è
probabile che strategie d'intervento multi-livello, multi-componenziali facilitino il cambiamento più degli
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approcci mirati di tipo unidirezionale.


La linea dimensionale delle differenze individuali, fondamentale nel modello salute, viene perlopiù elusa nella
visione medica che individua le categorie devianti dei soggetti malati o a rischio dalla categoria dei soggetti sani
che stanno entro la gamma della normalità. Tuttavia, nello scenario della medicina più avanzata ci sono segnali
di aperture innovative degne di attenzione, come ad esempio il contributo di Maseri. Egli da tempo si dedica a
studiare i soggetti a rischio di patologia cardiaca seguendo una metodologia simile a quella di Antonosvky
perché si interessa non solo dei soggetti “malati” ma anche di quelli “sani”. La sua fondazione “Per il tuo cuore”
sostiene che “si parla molto di biodiversità nelle piante, animali ma bisogna applicare il concetto di biodiversità
anche al Malato in quando ogni malato ha diritto a una sua terapia personalizzata, che tenga conto della sua
risposta a malattie e terapie, della sua vulnerabilità, ma anche dei suoi "angeli custodi" (i fattori salutogenici)
verso i rischi ambientali. Il fascino che la medicina occidentale subisce verso le medicine alternative potrebbe
trovare canali più significativi e produttivi se venisse orientato alla ricerca di quanto la medicina occidentale
può recuperare e sviluppare al suo interno nella prospettiva scientifica della salutogenesi.

IL PROBLEMA DEI VALORI NEL MODELLO DELLA SALUTE


Occorre ora aprire uno spazio di riflessione sulle caratteristiche valoriali che investono alla radice la dinamica
delle dimensioni psicologiche positive.
Antonovky ha tutti i motivi per rilevare il deficit di teoria nel grande panorama della promozione della salute, in
quanto c'è dubbio che le basi teoriche della "promozione della salute" abbiamo una loro fragilità. È bene allora
fare i conti con questo problema prendendo anzitutto consapevolezza delle cause di questa fragilità, la cui più
importante risiede proprio nel passaggio al modello salute, dove assume un maggior rilievo il quadro degli
assunti valoriali (se l'obiettivo è l'individuazione di dimensioni psicologiche positive indicative della "good life",
allora il ricorso ai valori è un presupposto indiscutibile).
Abbiamo già sottolineato la difficoltà della psicologia di affermarsi come scienza alla stregua delle scienze
naturali dove, quasi per definizione, la posizione è neutrale, oggettiva e libera da valori (tale difficoltà riguarda
la psicologia a tutto campo, anche a livello del modello malattia). Basti ricordare l'attribuzione di patologico al
comportamento omosessuale nel DSM del '52 e la sua cancellazione nel '73, a significare quando il dato
apparentemente oggettivo viene scavalcato dalle influenze culturali che cambiano nel tempo o fra popolazioni
diverse.
Non c'è dubbio tuttavia che il passaggio al modello salute renda ancora più evidente tale difficoltà.
Gadamer (1993) afferma che le malattie sono un fenomeno che si può osservare attentamente, giudicarne il
valore clinico, e farlo con tutti i metodi messi a disposizione da un sapere oggettivamente fondato sulla scienza
moderna; la salute invece si sottrae curiosamente a tutto ciò. Infatti, diverso è il caso quando l'oggetto di studio
riguarda le dimensioni costitutive del ben-essere e la loro promozione: per spiegare il positivo dobbiamo fare i
conti con i valori e gli ideali fondamentali dell'esperienza umana.
In genere la posizione prevalente è il necessario superamento della cosiddetta value-free science, ovvero si
auspica un più consapevole riconoscimento che la scienza psicologica, a tutto campo, ma in particolare
nell'ambito della salute, non può dichiararsi libera dai valori della vita, nel suo procedere (teoria e metodo)
nell'acquisizione delle conoscenze. Per molti autori, tra cui Christopher (1999) gli assunti valoriali del benessere
nascono e trovano il loro luogo di maturazione nella cultura. Egli afferma che ogni cultura ha la sua "visione
morale" (moral vision) → il termine morale va inteso nel senso più profondo di ciò che è vita, la comprensione
più profonda di ciò che è buono, degno e desiderabile, ovvero cerca di catturale la centralità della dimensione
morale, etica, collegata al valore della nostra esistenza. ( ≠ senso peggiorativo di moralismo, ovvero
intolleranza, dare giudizi, imporre vedute ad altri). Christopher afferma che le persone necessariamente vivono
all'interno di "visioni morali" che rispondono a due domande di fondo: 1) Che cos'è una persona, chi sono io; 2)
"Che cosa una persona dovrebbe essere o diventare".

Le visioni morali (anche attraverso il veicolo delle psicologie indigene/folk) esercitano due tipi di funzioni:

• Funzioni descrittive: ogni visione del mondo delle varie culture determina in che cosa consiste la realtà, come
funziona, ciò che costituisce una persona, le sue risorse, facoltà, limiti (...) → la visione del mondo contribuisce a
una comprensione descrittiva della persona.
• Funzioni prescrittive: l'ethos di una cultura definisce la direzione nella quale dovrebbero procedere la crescita e lo
sviluppo, modellando in questo modo la comprensione popolare del concetto di maturità, saggezza e benessere
psicologico → indica come dovremmo comportarci, interagire, pensare, sentire.

In questo modo, l'ethos (costume/ carattere particolare di un popolo) aggiunge un elemento prescrittivo o
normativo.
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Ad esempio la visione del mondo che prevale nella cultura occidentale è l'individualismo, mentre in diverse
culture non-occidentali prevale la cultura della relazionalità (non si tratta di caratteristiche esclusive dell'una o
dell'altra cultura, ma pervasive di ogni cultura sebbene con diverso peso e diversa integrazione gerarchica).
Valori e morali non sono "cose" soggettive che gli esseri umani annettono alle loro rappresentazioni e
percezioni, ma al contrario, sono i valori intersoggettivi inevitabili e inestricabilmente intrecciati con i fatti.
Questa cornice di premessa ci obbliga pertanto ad approfondire la riflessioni in questi due temi:

Come conciliare le esigenze della scienza del ben-essere con il riferimento ai valori;
Quali conseguenze sul piano applicativo (vedi seconda parte del libro).

Come conciliare la scienza del ben-essere psicologico con il riferimento ai valori


Si può notare un fervore di studi e una linea di continuità tra di essi che ci consentono di segnalare due sistemi
motivazionali centrali della natura umana: il bisogno di individuazione e il bisogno di coesione. Vi è una
concordanza trasversale agli orientamenti delle varie scuole di pensiero circa la fondamentale tendenza della
persona a:

Individuazione: realizzazione delle proprie potenzialità, nella linea della libertà


Coesione: tendenza della relazione sociale, altrettanto biologicamente e psicologicamente fondante

Bisogno di individuazione
Per quanto riguarda il processo di individuazione (o realizzazione delle potenzialità umane) si può rilevare
un'importante distinzione tra:
Visione accrescitiva: implica il concetto di una struttura che sostanzialmente cambia solo nelle linea di un aumento
quantitativo.
Esempio: l’embrione è un piccolissimo uomo che aumenta solo di dimensioni, oppure sul versante psicologico lo
sviluppo della personalità vista come un recipiente fisso da riempire con esperienze ambientali o la cultura in
senso lato.
Visione dinamico-evolutiva: si basa invece sui processi di differenziazione e integrazione gerarchica, dove per esempio
l’evoluzione psichica del bimbo prevede l’emergenza critica di attitudini di base attraverso elaborazioni precedenti ma
anche sintesi creative nuove specifiche per ogni fase (l’uomo non si accresce ma si evolve e la sua legge è il cambiamento
che dura tutto il ciclo di vita e quando cessa subentra la morte).

Dunque lungo questa linea articolata di progresso, si misura il cammino di liberazione, nel senso di passaggio da
situazioni di dipendenza o eteronomia verso forme sempre più evolute di autodeterminazione razionale e
creativa. Il processo di "libertà" in cui si esprime il concetto di individuazione è il bisogno insopprimibile di uno
sviluppo naturale nella linea delle potenzialità umane. La vita tende sempre a unire e integrare, dunque per sua
natura la vita è un processo di costante sviluppo e cambiamento. Di fatto, quando sviluppo e cambiamento
cessano, subentra la morte.

Bisogno di coesione
Occorre sottolineare la caratteristica umana dell'infanzia prolungata e quindi l'inevitabile dipendenza del
bambino da un appropriato caregiver che si deve prender cura quotidianamente di lui. In assenza di un altro
essere umano che se ne faccia carico, il bambino non può sopravvivere.
Va compreso fino in fondo lo spessore biologico e la risonanza psicologica di questo bisogno. Il bisogno di
coesione, di "attaccamento", non è un optional psicologico: senza una relazione fondamentale di dipendenza
da un altro essere umano il bambino muore.
Le ricerche di Bowlby (1969) e di tanti altri sulle dinamiche dell'attaccamento hanno reso evidente la pregnanza
vitale di un'adeguata competenza relazionale del bambino fin dalla nascita.
Di conseguenza si può affermare che il bisogno di relazione nella coesione sociale è altrettanto radicato nei
sistemi motivazionali biologici e psicologici della natura umana, quanto il bisogno di individuazione nella libertà.
Reiss e Gable (2003) affermano che le relazioni sono forse la più importante fonte di soddisfazione di vita e di
benessere emotivo. Inoltre essi sostengono che, quasi senza eccezioni, le teorie del ben-essere psicologico
includono le "relazioni positive con gli altri" come un elemento centrale della salute e del ben-essere mentale.
Dunque relazioni come una componente intrinseca del ben-essere psicologico e non semplicemente come una
sua causa.

La mutualità come fattore saluto-genico


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Dopo aver rilevato la convergenza e la consistenza di questi studi, sorprende l'assenza in essi di un principio di
teoria in grado di ipotizzare il rapporto tra i due fondamentali sistemi motivazionali della natura umana
(individuazione e coesione). Si tratta infatti della coesistenza di due bisogni vitali, entrambi irrinunciabili ma
potenzialmente antinomici e conflittuali: senza l'indipendenza nella libertà non c'è realizzazione di sé, ma senza
la dipendenza non c'è vita.

Se infatti queste due istanze, universalmente riconosciute come centrai nella natura umana, sono anche
riconosciute come fortemente influenzate dalla cultura, sarà indubbiamente importante studiare i fattori
salutari (come propone Antonovsky) che favoriscono la tendenza verso il polo positivo del continuum malessere
ben-essere.
Occorre quindi introdurre ciò che Erikson chiama concetto di mutualità. Una relazione in cui due membri, due
gruppi sociali, due generazioni (due componenti, in senso lato) dipendono l'una dall'altra per lo sviluppo delle
rispettive potenzialità.
Bertini ritiene che la mutualità possa costituire un fattore salutare di primaria importanza sia a livello delle
relazioni interpersonali sia a livello di relazioni socio-ambientali.
Esempio: mentre il bambino sorride le prime volte alla madre, la madre non può fare a meno di restituire il
sorriso pieno di aspettative di un "riconoscimento" di cui lei stessa ha bisogno. Il sorriso sociale del bambino nei
primissimi mesi di vita rappresenta quindi un momento di "salvezza" evolutiva per entrambi: per il bambino che
ha bisogno di riconoscere e per la madre di essere riconosciuta (questo incontro di mutualità favorisce in
entrambi lo sviluppo dell'individuazione nella libertà e il processo di coesione nell'amore. Infatti, tanto più è
liberante il rapporto tanto più profonda è l'intimità della relazione).
A tal proposito, Erikson afferma che il fatto è che la mutualità dell'adulto e del bambino è la sorgente originaria
della speranza, l'ingrediente fondamentale di ogni azione effettivamente umana ed etica. Freud paragona
l'helpless neonato con l'helprich adulto e afferma che la loro reciproca comprensione è la sorgente primaria di
ogni motivo morale.
Erikson afferma che queste convinzioni sono riprese anche da Harlow che studia le scimmiette con madre in fil
di ferro o di pelo (nel loro sviluppo c’è un notevole danno alla personalità perché manca loro la reciprocità, uno
scambio circolare di azioni cariche di affetto tra madre e bambino. Spitz, 1961)
La dinamica costitutiva della mutualità non si esaurisce a livello delle prime interazioni madre-neonato, ma per
ogni fase di sviluppo assume caratteristiche specifiche che vanno ad interagire con un numero crescente di
persone che lo circondano (famiglia scuola comunità società) al punto che la sopravvivenza psicosociale è
garantita dalle virtù che si sviluppano nell’interscambio di generazioni che si succedono e si sovrappongono. Il
ben-essere di una società si realizza solo se c’è mutualità.
Dunque il tema della mutualità si estende a tutta la trama delle relazioni Io-Tu- Ambiente sociale, lungo il corso
della vita e il succedersi delle generazioni.
Tuttavia, della mutualità si apprezza la funzione positiva dello stare insieme e si trascura la sua funzione
concretamente evolutiva, ovvero la dipendenza di due persone (ruoli, gruppi, generazioni) per lo sviluppo delle
rispettive potenzialità.
La linea della mutualità si riconosce non tanto nella misura in cui uno si sacrifica, concede qualcosa all'altro, ma
nella misura in cui uno si realizza in virtù del proprio rapporto con l'altro.
La relazione di mutualità si costruisce al'interno di una reciproca visione dinamico-evolutiva e non accrescitiva:
quando si afferma l'importanza del rispetto dell'altro, si deve capire che la parola rispetto deriva da "respicere"
cioè vedere l'altro nella sua singolare e insopprimibile istanza di sviluppo dinamico evolutivo. Compito difficile
perché il bisogno di individuazione e quello di coesione sono altrettanto insopprimibili quanto virtualmente
antinomici.
Le dimensioni del ben-essere psicologico, quali si trovano nei lavori della Ryff e nelle ricerche più recenti delle
neuroscienze, trovano alla radice questa naturale doppiezza della natura umana la cui composizione non si può
trovare nella linea statica di un compromesso (es. metafora dei porcospini di Schipenhauer), ma in quella
dinamica di un reciproco potenziamento di due istante fondamentali.
Bertini ritiene che il riferimento allo spessore psicobiologico di questi sistemi motivazionali possa ridurre il
margine di relativismo degli assunti valoriali, rendendo in qualche modo più credibile le elaborazioni teoriche
da sottoporre a verifica sul piano empirico.
Il problema delle influenze culturali
Le istanze dell'individuazione e della coesione sociale rappresentano una linea generale e formale di tendenze
motivazionali radicate nella natura umana ma, ovviamente, la loro espressione dipende fortemente dalle
diverse influenze culturali.
Christopher (1999) commenta che la Ryff, nel ragionare sulla crescita individuale, non affronta alcune questioni
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chiave, in quanto la maggior parte dei criteri normativi nelle sottoscale vengono decontestualizzati e resi
procedurali. In questo senso, a quasi-neutralità della Ryff sottolinea un insieme di valori che sono normativi (es.
promuovere strumenti efficienti, relazioni finalizzate) ma mette da parte tutte le questioni di direzione o scopo.
Focalizzando l'attenzione su mondo psicologico interiore e sui mezzi per soddisfare gli obiettivi e le finalità
definite soggettivamente, questo approccio si inserisce proprio al centro della tradizione individualista liberale
(Sullivan, 1986). L'interno di Christopher è quello di sottolineare come le virtù costitutive del benessere
psicologico si basino su presupposti individualistici caratteristici della tradizione occidentale.
Robbins (2008) sottolinea come la psicologia positiva non possa cercare di dimostrare di essere indenne dai
valori, ma debba farsi carico di esaminare i suoi valori impliciti per renderli il più espliciti possibile.

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CAP.6 - SALUTE MALATTIA: DALLA VISIONE BIPOLARE ALLA VISIONE BIVARIATA


Nel quadro generale della scienza del ben-essere, dopo l'individuazione delle sue dimensioni costitutive
(tassonomia) e la dinamica del loro sviluppo (salutogenesi) il successivo passaggio riguarda il loro trattamento,
ovvero lo studio di come sia possibile facilitare la promozione. Il tema della psico-promozione è un'area estesa
che rappresenta il passaggio dalla teoria all'applicazione.
Il cambiamento di paradigma prospetta due interessanti scenari:
• Da una parte, si osserva che nel passato la preoccupazione primaria delle scienze biomediche e
psicologico- cliniche si è orientata a studiare il tema della malattia, scandagliando in profondità tutti i
livelli di analisi, dal più elementare al più complesso, mentre il concetto di salute è stato affrontato
raramente e in modo perlopiù superficiale. Pertanto, l'interesse primario della medicina è quello di
lavorare sulle anomalie per provvedere alla loro eliminazione.
Lo scenario che si manifesta in questo orientamento secolare può essere rappresentato dalla parola
devianza e, conseguentemente, la persona diagnosticata è segnalata come un deviante.
→ la salute assume i contorni di un'assenza.

• Dall'altra parte, nel nuovo scenario l'interesse primario è orientato a capire in profondità le dimensioni
caratteristiche della salute, le sue determinanti ezio-salutogeniche e i provvedimenti utili per
potenziarle.
→ la malattia che assume i contorni di un'assenza: la malattia diventa quella condizione che si verifica quando
scompaiono certe caratteristiche che vengono definite come salutari.

Seligman (2002) afferma esplicitamente che abbiamo bisogno di sviluppare una nosologia delle risorse e delle
virtù: lo "UNDSM-I", ovvero l'opposto del DSM-IV.
In questo scenario, la scomparsa dei sintomi patologici sarebbe la diretta conseguenza della promozione dei
sintomi salutari.

LA SCOPERTA DELLA SALUTE NON SIGNIFICA NEGAZIONE DELLA MALATTIA


Probabilmente la crisi del modello malattia, più che derivare da una ragione intrinseca al concetto di malattia, è
da ascriversi all'attenzione esclusiva su questo versante. I limiti e il disagio crescente del modello malattia
potrebbero proprio ricondursi alla mancanza di attenzione al versante della salute.
Per entrambe le posizioni (modello malattia e modello salute) si configura un rischio palese: da una parte lo
sconfinamento nel "salutismo" e dall'altra parte il "malativismo".
La soluzione non è da cercarsi nel perseguire una linea di moderazione rispetto agli eccessi di entrambi, MA nel
superare a monte la stessa idea del continuum dicotomico, secondo il quale la salute comparirebbe quando
cessa la malattia o viceversa (Bertini, 2001).
La scoperta che anche la salute è uno stato ci obbliga ad abbandonare la concezione semplicistica del rapporto
salute- malattia come un continuum lineare tra due poli che si autoescludono, ma figurativamente si passa a un
piano cartesiano.
Dunque occorre passare a una visione bivariata, più complessa (il modello salute non è in alternativa al
modello malattia). Nei processi di cambiamento di paradigma, s'incorre facilmente nell'errore di accentuare il
passaggio al nuovo con un rinforzo di negazione rispetto al paradigma precedente.
Porro (1998) afferma che il procedere dei discorsi non agisce solo nella forma dell'estromissione, ma i saperi si
succedono anche della forma dell'integrazione.

PRESUPPOSTI EPISTEMOLOGICI PER UNA CONCEZIONE BIVARIATA


Il superamento della linea di continuità tra salute e malattia, e quindi la sussistenza di due dimensioni
qualitativamente diverse, si può riscontrare nel pensiero dei due grandi epistemologi della seconda metà del
'900, Canguilhem e Gadamer.
Una chiara affermazione in questo senso si può avere da Canguilhem (1966) che sostiene che vi sono norme
biologiche sane e norme patologiche, e le seconde non sono della stessa qualità delle prime.
Il rifiuto della concezione positivista di Compte e Bernard, si trova anche in Gadamer (1993) che afferma che la
malattia non può essere definita da tutti i sintomi in base ai quali i valori standard, ottenuti con il calcolo della
media matematica, ci indicano ciò che è sano. Le circostanze marginali non misurabili sono talmente numerose
che quelle misurabili spesso perdono la loro forza.
Dunque si può affermare che sia Canguilhem che Gadamer ritengono che salute e malattia non si distribuiscono
lungo un continuum bipolare ma sono entità qualitativamente diverse.
Una volta accertata la presenza di due realtà qualitativamente indipendenti, il vero problema è il tema della
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relazione fra le dimensioni del ben-essere e del mal-essere fisico, psichico e sociale di quel complesso sistema
che è l'organismo umano. Il livello del funzionamento ottimale non lo si può individuare partendo dalla misura
delle malattie (illnesses) o delle salutìe (healths), ma dall'integrazione adattiva del loro rapporto.

IL SUPPORTO DELLE RICERCHE EMPIRICHE ALLA CONCEZIONE BIVARIATA


Dal momento che si tratta di un passaggio scientifico culturale di straordinaria importanza e a tal proposito è
necessario offrire qualche appoggio di natura empirica per legittimare sul piano scientifico la relativa
indipendenza delle due dimensioni e abbandonare di conseguenza la visione bipolare, dove ben-essere
(positività) e mal-essere (negatività) sono distribuiti ai poli opposto di un continuum unidimensionale.
Le ricerche nell'area dell'esperienza soggettiva offrono elementi importanti per capire la relazione tra le due
dimensioni (positività/negatività) e, in qualche misura, anche la natura dei meccanismi sottesi.
La visione bivariata è appoggiata dalle seguenti ricerche empiriche:
Bradburn: la mancanza di correlazione tra item positivi e negativi della felicità soggettiva → se le due dimensioni fossero
state linearmente distribuite lungo un continuum bipolare, si sarebbe trovata una significativa correlazione negativa fra di
esse.
Kahenman (nel volume "Well-being: the foundation of Hedonic Psychology", 1999): sostiene che questa indipendenza si
rileva a livello soggettivo ma anche biochimico in quanto piacere e dolore sono mediati da diversi neurotrasmettitori; le
regioni Good e Bad, approccio ed evitamento (che possono capitare simultaneamente), premio e punizione, affetto
positivo e negativo sono regolate da diversi meccanismi o neurotrasmettitori o vie neurali.
Ito e Cacioppo (1999): fanno una rassegna di ricerche psicofisiologiche e notano la separabilità dei substrati motivazionali
positivi e negativi.
Ryff e collaboratori (2006): sostengono che la bipolarità predice correlazioni speculari (ovvero ben-essere e mal-essere si
correlano con i marcatori biologici, ma presentano segni direzionali opposti) mentre l’indipendenza predice correlati
biologici distinti (ovvero ben-essere e mal-essere hanno segnature biologiche differenti). I risultati ottenuti indicano una
significativa prevalenza dell'ipotesi di una relazione di indipendenza rispetto alla relazione speculare.
Reiss e Gable (2003): sottolineano come nella ricerca corrente felicità e distress siano visti come opposti (l'assenza di
felicità è distress e viceversa), mentre essi sostengono che i processi positivi e negativi nelle relazioni interpersonali si
possono meglio comprendere come funzionalmente indipendenti e non come opposti.
Nelle applicazioni in campo sanitario: i sintomi di malattia mentale si correlano negativamente, ma modestamente, con le
misure di benessere soggettivo: nella relazione del Direttore generale della Sanità americano si afferma che salute e
malattia NON sono poli di un continuum.

Il passaggio a questa visione bidimensionale assume un grande rilievo per lo sviluppo della teoria della salute: si
aprono spazi per l'elaborazione di nuove idee sia sul piano della comprensione teorica dei fenomeni, sia per
l'applicazione concreta nel piano della pratica.

PRESUPPOSTI DI UN'INTEGRAZIONE ADATTIVA


La dimostrazione della relativa indipendenza delle due dimensioni mette a fuoco il tema centrare della co-
presenza di mal-essere/ben-essere e della loro possibile integrazione.
In letteratura si possono trovare degli spunti, non solo di carattere teorico ma anche empirico, utili per capire il
senso e la varietà delle relazioni possibili tra le due dimensioni.

Il concetto di coattivazione
Cacioppo e collaboratori (1994): mentre la concezione bipolare assume che gli stimoli influenzano l’affettività in
direzioni opposte (o positiva o negativa), la concezione bivariata consente oltre a questo anche la possibilità di
attivazione disgiunta quando gli stimoli influenzano la positività o negatività affettiva anche nella stessa
direzione. Dunque si può avere co-inibizione quando uno stimolo riduce entrambi i sistemi oppure co-
attivazione quando uno stimolo aumenta l’attivazione di entrambi i sistemi. La co-attivazione si può presentare
come un linea ambivalente di indeterminazione comportamentale e quindi può essere considerata come
instabile e spiacevole, ma può anche far emergere processi vitali. Larsen e collaboratori (2003) sostengono che
la modalità della co-attivazione può consentire alle persone di dare senso agli stress della vita, di acquisire
padronanza sugli stress futuri e di trascendere le
esperienze traumatiche ( la co-attivazione può permettere alle persone di trasformare l'avversità in vantaggio)
Il modello di spazio valutativo ESM di Cacioppo sostiene quindi che i meccanismi neurofisiologici sottostanti a
positività e negatività sono parzialmente distinti e separati e quindi:
• La riduzione dell’affettività negativa non comporta per forza l’aumento di quella positiva;
• Ciò che è stato appreso dallo studio dei processi negativi non può essere trasferito ai processi emozionali positivi;
• Lo studio delle relazioni tra emozioni positive e negative può produrre meccanismi non evidenziati dal semplice
studio delle emozioni negative.

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RIFLESSIONI SUL RAPPORTO FRA BEN-ESSERE E MAL-ESSERE, FRA VITA E MORTE


La una visione bivariata presenta difficoltà:
Sul piano concettuale: ci spinge a considerare la copresenza degli opposti, ovvero mal-essere e ben-essere, vitalità-
morbilità e in senso più ampio vita-morte.
Sul piano del vissuto personale: ci invita a riconoscere e accettare che sofferenza, malattia, morte fanno parte della vita.
Si tratta quindi di:
• Decifrare le caratteristiche peculiari della linea di salute (non dicotomica rispetto a quella della malattia);
• Capire che in parallelo con funzioni patogenetiche esistono anche funzioni salutogenetiche;
• Renderci conto che mentre tanto abbiamo lavorato sul criterio epidemiologico della morbilità, ben poco abbiamo
fatto per individuare e misurare le dimensioni e le dinamiche della vitalità;
• Capire che morbilità e vitalità non si escludono ma s'intrecciano fra loro lungo tutto il ciclo di vita.
I segni più emblematici di questo percorso sono dati da:
Il dolore della nascita: pianto del figlio che passa dalla simbiosi alla dolorosa ma gioiosa libertà e travaglio della madre che
perde una parte di sé ma gioisce per la crescita della relazione col figlio;
Dolore della morte: stacco necessario nello sviluppo isterioso della natura ciclica dell'universo. Nell'accettare e affrontare
positivamente ogni evento, dal travaglio della nascita all'agonia della morte, si gioca il cammino della libertà, libertà che fa
paura, come diceva E. Fromm.
Posto in questi termini il problema appare inaccessibile all'indagine scientifica. Mentre il fare i conti con la
coesistenza degli opposti appare un'operazione congeniale alla cultura filosofica orientale, lo è molto meno per
i seguaci occidentali di Newton e Galileo.
Domandiamoci quindi se, rinviando il tema filosofico della coincidentia oppositorum, sia possibile far emergere
comunque una cornice più articolare di comprensione del rapporto tra le due dimensioni. L'obiettivo è quindi di
incrementare studi che ci consentano di capire meglio il traffico degli scambi possibili tra linee relativamente
indipendenti di ben-essere e mal-essere. Ma se la linea della vita non si può individuare nell'assenza della linea
della morte, se di fatto anche la presenza di una malattia può sprigionare una crescita globale della
realizzazione personale e del vissuto soggettivo di benessere, allora siamo chiamati a riflettere meglio sul
possibile significato evolutivo della malattia e, termini più astratti, del rapporto tra morte e resurrezione. Sul
piano dello sviluppo psicologico, ogni passaggio ben riuscito si può metaforicamente rappresentare come
l'abbandono, la morte, di un certo stadio evolutivo, per riemergere a un nuovo livello di vita, in cui lo stadio
precedente non si perde, ma si rielabora e si riassume in un nuovo livello evolutivo (stadio che fa da sintesi) (la
linea della morte non come sottrazione di vita ma come tensione di cambiamento?)

BENEFIT FINDING
Un'indicazione concreta a riguardo ci viene da un capitolo del recente panorama della psicologia della salute
che introduce il concetto di benefit finding, cioè l'evento stressante negativo, oltre al trauma, può produrre
elementi di beneficio.
Dunque, nella prospettiva di promozione della salute, la strategia si orienta verso una rappresentazione nuova
dell'evento: il soggetto che manifesta e richiama l'attenzione sul trauma subìto, viene trattato non tanto come
un malato/paziente da guarire, quanto piuttosto sollecitato, come persona, a far leva sulle proprie risorse e
confrontarsi attivamente con una realtà fisicamente o psicologicamente pesante (focus sul processo in cui
l'attribuzione di patologico è scavalcata da quella di vitale, di una persona che accetta comunque la sfida nella
tensione positiva di adattamento).
Considerando il processo integrativo fra ben-essere e mal-essere, si tratta non solo di capire e gestire il danno
ma anche il beneficio che può derivare dal rapporto della persona nell'incontro con eventi identificabili come
negativi. Occorre dunque sottolineare le potenzialità concrete di questo cambiamento di prospettiva, e un
esempio viene dal PTSD. In questo ambito non numerose le ricerche dove si dimostra che in percentuale molto
alta (70%) le persone intervistate dopo forti traumi (es. morte di un familiare, terremoto) riportano di aver
tratto, in vario modo, qualcosa di positivo dalla loro esperienza.
Affleck e collaboratori (1991) riportano il valore predittivo di queste esperienze in una ricerca su madri che
avevano i propri neonati ricoverati in unità di cura intensiva. Questi autori mettevano in evidenza come alcune
di queste madri avessero riportato delle esperienze positive, proprio in conseguenza di questo evento
stressante: ad esempio un migliorato rapporto con famiglia e amici, vedere in una nuova prospettiva i problemi
della vita, aumento di capacità empatica, cambiamenti positivi nella loro personalità, certezza che ora il
bambino diveniva ancora più prezioso per loro. La presenza di queste esperienze si dimostro significativamente
predittiva non solo rispetto al benessere della madre, ma anche nei test di sviluppo dei bambini a distanza di 18
mesi.
Il collegamento piuttosto consistente tra benefit finding e miglioramento del PTSD, sia a livello fisico sia
psicologico, sollecita la ricerca di tecniche in grado di promuovere direttamente questi processi.
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LO SVILUPPO POST-TRAUMATICO DA STRESS


Rispetto alla vasta letteratura sui disturbi post-traumatici da stress, è molto interessante che nascano ora studi
centrati più specificamente sul concetto di sviluppo post-traumatico.
Linley e Joseph (2004) affermano che lo sviluppo post-traumatico rappresenta il ben-essere psicologico
all'interno di un contesto di sofferenza e avversità. Nell'integrare il negativo e il positivo nello sviluppo post-
traumatico hanno descritto una tragica speranza che racchiude sia il riconoscimento della nostra posizione
esistenziale sia l'inevitabile mortalità, e indica come la saggezza possa essere un risultato positivo della nostra
lotta con il trauma.
Questi autori hanno elaborato una teoria dell'adattamento psicologico in seguito a traumi e avversità,
traendo elementi di conoscenza e ottenendo un riscontro positivo sia dal versante tradizionale degli studiosi
dello stress post- traumatico, sia dal versante degli studiosi dello sviluppo post-traumatico. Integrando il
linguaggio di entrambi i versanti è stato possibile incrementar la conoscenza dei processi di adattamento al
trauma.
Nolen-Hoeksema e Davis (2002) affermano che tali riflessioni suggeriscono che il porre l'accento sul ritorno di
un certo livello di funzionamento fa perdere di vista il vero processo di cambiamento che molte persone
sperimentano dopo la perdita. Invece di aspettarsi che le persone ritornino alla normalità, al loro
funzionamento normale, possiamo dedicarci a cercare le vie attraverso le quali i traumi possano contribuire allo
sviluppo di nuovi e più alti livelli di funzionamento.
Bertini sostiene che tale suggerimento sia del tutto coerente con il concetto di distinguere la capacità
normativa dalla normalità statistica e, a livello di trattamento, di non riorientare il processo all'obiettivo della
famosa restitutio ad integrum ma allo sviluppo di nuove norme per un positivo processo di adattamento, o
meglio di "sviluppo vitale" anche in presenza di traumi obiettivamente traumatici.
Questi studi e queste riflessioni si pongono su una linea che sembra la versa sfida: superare la concentrazione
alternativa sul mal-essere o sul ben-essere, verso una concezione complessa della loro integrazione.

CAP.7 - UN LINGUAGGIO PER IL MODELLO SALUTE


Secondo Gadamer il nostro secolo ha fatto un passo avanti nel dare un’importanza fondamentale all’aspetto
linguistico: il linguaggio è prezioso perché riflette ma anche crea l’esperienza, il movimento culturale di
un’epoca. Al contrario può anche essere dannoso nel servire una funzione rigida di conservazione.
Occorre quindi riflettere sull'influenza del linguaggio medico nel passaggio dal modello malattia al modello
salute, e sull'importanza di aprire spazi di innovazione linguistica.

LE PAROLE DEL LINGUAGGIO MEDICO


La medicina nel corso dei secoli ha prodotto molte parole e metafore a servizio del sistema concettuale
coerente con una cultura orientata alla malattia e anche la psicologia si è facilmente appiattita al modello
medico nell’utilizzare molti termini, come ad esempio psicologia clinica, psicoterapia, psicodiagnosi, fin dal suo
costituirsi come scienza applicata, in stretta linea con le modalità espressive del modello malattia.
Il passaggio alla "psicologia della salute" avrebbe dovuto spostare i sistemi concettuali dal versante della
malattia a quelli della salute. Tuttavia, specchio e in parte causa di questo ritardo è proprio il linguaggio, sia
tecnico sia quotidiano, ancora carente di innovazioni linguistiche.
La parola salute non è adeguata a rappresentare il concetto di salute come stato di ben-essere fisico, psichico e
sociale: questa parola trascina ancora in sé il senso ambiguo tramandato nei secoli della medicina (la salute è
un vuoto, il solo evocarla fa emergere l'attenzione al vero pieno, cioè la malattia). Pertanto, anche oggi quando
si parla di salute, il suo riferimento acquista rilievo solo in quanto assenza di malattia.
Vale la pena rilevare come il significato della parola salute abbia subito un viraggio espressivo proprio con
l'affermarsi della scienza medica. I latini avevano due parole a disposizione:
• Salus < salvezza, intesa come salvezza della persona → termine più comprensivo per indicare la salvezza della
persona, nel quale si poteva anche includere la salvezza del corpo.
• Valetudo < salute fisica.

Il termine "salus" ha avuto una profonda eco nella tradizione cristiana, la quale ovviamente lo ha usato
nell'accezione di salvezza in riferimento all'anima.
È interessante osservare come nella nostra lingua il riferimento più esplicito ed esclusivo alla salute fisica
(valetudo) si sia sostanzialmente perso. Si potrebbe pensare che il termine salus si sia talmente affermato nella
cultura cristiana, come salute dell'anima, che nel passaggio dal latino all'italiano si sarebbe imposto, rispetto al
termine valetudo, anche laddove il riferimento fosse palesemente rivolto alla salute del corpo e non dell'anima.
Con il passare del tempo e soprattutto attraverso il progressivo affermarsi della medicina, sembra che il

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termine salus abbia definitivamente assorbito al suo interno il termine valetudo. OGGI, come conseguenza, ci
troviamo con una sola parola a disposizione per indicare la salute, ma soprattutto si assiste alla scomparsa
dell'accezione salus = salvezza.
Infatti, per l'orientamento privilegiato verso la malattia che il modello biomedico ha assunto nel corso degli
anni, il risultato finale è che parlando di salute il riferimento non va alla salvezza (oggi si potrebbe dire alla
promozione della persona), ma alla malattia del corpo o della mente.
La presenza di una parola che per tre secoli è stata usata al servizio della patologia, ha determinato gli
orientamenti scientifico-culturali e i luoghi del potere.

Altri termini di derivazione medica, importanti da discutere sono i seguenti:


Psicologia clinica: vedi prime pagine
Psicodiagnosi: il concetto di oggettivazione dei fenomeni attraverso metodi quantitativi di misura (caro alla
linea delle scienze naturali) è in qualche misura coerente con l'approccio della malattia. Nessuno pertanto vuole
negare l'utilità della diagnosi psicologica. Tuttavia, non si può ugualmente non riconoscere quanto il concetto e
la parola diagnosi, con le sue frequentazioni psichiatriche e psicologico-cliniche, e con l'associazione acritica alle
operazione del DSM, abbia trattenuto e in qualche modo oscurato, lo sviluppo degli approcci dinamico-
evolutivi, enfatizzati all'interno del modello salute. Rispetto al tradizionale orientamento diagnostico, ben
diversa è la posizione dell'analisi della domanda (R. Carli).
Psicoterapia: termine usato sia in psichiatria (dove il trattamento è in gran parte farmacologico) sia in
psicologia che implica di l'obiettivo implicito della restitutio ad integrum del paziente.

L'USO AMBIGUO DELLE PAROLE TRA IL MODELLO MALATTIA E IL MODELLO SALUTE


Occorre sottolineare l'incongruenza linguistica con cui talvolta dobbiamo confrontarci nel passaggio dal
modello malattia al modello salute.
Innanzitutto occorre far riferimento al concetto di normalità e l'uso della parola normatività: nella tradizione
consolidata in campo biomedico, la parola "normale", oltre che il significato neutro si norma statistica, veicola
chiaramente il concetto valoriale di sano. L'ambiguità si capisce ancora meglio quando si passa al contrario di
normale: affermare che una persona è anormale non significa solamente che, rispetto a una certa
caratteristica, la prestazione di quella persona si colloca al di sopra o al di sotto di un dato medio, ma significa
attribuirle la qualifica di patologico. Si può fare di conseguenza anche un riferimento alle parole devianza e
deviante, largamente in uso sia nel linguaggio comune sia in quello tecnico degli esperti. Come sinonimi della
parola deviante, sul dizionario, si trovano infatti tutti i termini che indicano patologia: es. diverso, disadattato,
anormale, fuorviante, aberrante, degenere. Come contrario, un solo termine: normale (intendendo la persona
sana di mente). In realtà, se il termine normale, invece di assumere il significato valoriale, fosse direttamente
riferito alla media statistica, allo il termine deviante dovrebbe essere inteso sia al negativo che al positivo.

IL LINGUAGGIO COLLOQUIALE COME SPIA DI PERSISTENZA DEL MODELLO MALATTIA


Che senso ha la dizione "salute positiva" (positive health) che si trova oggi ampiamente diffusa nella letteratura
scientifica corrente? Se il passaggio dal modello malattia al modello salute fosse chiaramente consolidato,
questa aggettivazione dovrebbe apparire del tutto superflua. La salute è di per sé un'altra cosa dalla malattia,
non ha bisogno di essere qualificata come positiva, perché per sua natura è positiva (infatti non si usa il termine
"malattia negativa", perché è in se stessa negativa la malattia).
A tal proposito, Canguilhem (1966) afferma che è pleonastico (ridondante) parlare di buona salute, concetto
normativo che definisce un tipo ideale di struttura e di comportamento organico: la salute è il bene organico.
Un'altra curiosa ambiguità risiede nell'uso degli aggettivi positivo/negativo nell'ambito di diagnosi cliniche:
l'aggettivo qualificativo "positivo" viene usato nella direzione opposta a quella che il semplice buon senso
seguirebbe. Infatti, si dice "positivo all'AIDS" quando si ha contratto il virus, in quanto il sangue risulta positivo
all'infezione (il linguaggio usato il medicina rivela chiaramente una cultura orientata alla malattia).
Anche nel linguaggio colloquiale si nota tale versante, ad esempio quando si risponde "Come stai? - Bene - Ah,
meno male!" . Il "meno male" significa aver meno quantità di male, cioè di nuovo lo star bene si identifica con
la mancanza di malattia. Nel linguaggio comune si ha una frequente conferma che siamo ancora piegati al
versante del modello malattia.

L'IMPORTANZA DI PAROLE NUOVE


Il compito che si presenta non è tanto il semplice riconoscimento di questa interferenza, quanto quello di
creare parole, metafore nuove, specificamente coerenti con il modello salute. Come dice Lakoff, le metafore
servono a strutturare il pensiero. Lakoff e Johnson (2005) affermano infatti che nuove metafore hanno il potere
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di creare nuove realtà.


Tuttavia, il campo da esplorare è vasto e di notevole complessità, e l'introduzione di parole e soprattutto di
metafore nuove richiede la maturazione e la chiarezza di concetti nuovi.
Come sostituire queste parole con parole che anziché alla scoperta di malattie e alla loro ri-mozione, sono
orientate alla scoperta di dimensioni salutari alla loro pro-mozione?

Salutìe/salutìe
Come lo stato di malessere si articola e si differenzia in una serie di dimensioni misurabili (le malattie), anche lo
stato di benessere ha tutte le ragioni per differenziarsi e articolarsi in una serie di dimensioni (le salutìe).
È straordinario che ancora, dopo 30 anni di psicologia della salute, non si avverta la centralità di questo tema.
Occorre allora indagare le ragioni di questa indifferenza. Solo le malattie hanno avuto l'onore di tanta
attenzione da parte della scienza, ma la mancata attenzione alle dimensioni positive della salute non può
essere dovuta solamente alla loro minore rilevanza pragmatica rispetto a quelle negative. Probabilmente se la
salute, come ben-esser, non è stata sottoposta al microscopio della scienza lo è stato anche per una malintesa
forma di rispetto: la salute è una dimensione unitaria, una realtà da incasellare al singolare, il plurale non esiste.
MA il concetto di salute deve configurarsi come sintesi delle tante sfaccettature di ben-essere e mal-essere
(malattie e salutìe) al livello più alto dei processi integrativi.

Occorre riflettere su fatto che la cultura generale (nel linguaggio comune) spinge più facilmente ciascuno di noi
a sottolineare il malessere, a presentare lamentele e, viceversa, a chiudere con un certo ritegno il cancello dei
vissuto di ben-essere. È possibile che il progresso delle conoscenze delle dimensioni del ben-essere, e il loro
manifestarsi nel linguaggio quotidiano, possa portare un contributo di salutare cambiamento nel tessuto
culturale.

Salutogenesi
La parola salutogenesi, equivalente alla parola patogenesi, per quanto ancora non molto diffusa, è
sufficientemente accreditata in campo psicologico, tanto da immaginare una sua progressiva affermazione
anche in campo medico. Tale termine non costituisce solo un'innovazione linguistica, ma è rappresenta un
retroterra teorico importante per il modello salute (Antonovsky).
Bertini ci tiene a sottolineare la sua convinzione che l'elaborazione dei nuovi sistemi concettuali e il
cambiamento del linguaggio sono linee processualmente interagenti, entrambe necessarie per l'affermazione
della scienza della salute.

Psico-promozione
Il concetto di terapia delle malattia, va sostituito con il concetto di promozione delle risorse (salutìe).
Invece che psico-terapia, psico-promozione, parola che già compare nei piani sanitari nazionali e regionali ma
nella pratica siamo molto indietro, specialmente a livello individuale.
Parlare di promozione avrebbe un doppio vantaggio:
Facilitare la domanda: la parola psico-promozione libera l'immaginario della gente dallo stigma della patologia mentale;
Ampliare l'offerta: il concetto di promozione, per sua natura, si rivolge non solo alla fascia particolare di quelli che si
ritengono malati, ma a tutta la popolazione.
Infine, occorre sottolineare come manchi del tutto una parola in grado di rappresentare, in modo comprensivo,
l'insieme dei fenomeni riguardanti la scienza psicologica della salute. Una sorta di equivalente della parola
psicopatologia, potrebbe appunto essere il termine "psicosalutologia".

Metafora del viandante


"Viandante" come contrario del termine “deviante” ( lo psicologo non è più un correttore che conduce alla
retta via, ma una guida (come Virgilio con Dante) che accompagna).
La psicologia cioè dell'uomo sano, non perché "normale", ma in quanto dinamicamente capace di "instaurare
norme nuove" salutari nel suo perenne cammino di adattamento creativo. Si potrebbe osservare che la parola
"adattamento" ha dei margini di ambiguità, perché suggerisce anche l'idea di un ripiegamento passivo per
sopravvivere agli eventi, e non per vivere gli eventi, sia positivi che negativi.

CONCLUSIONE
Bertini ha cercato di individuare le parole più appariscenti che si sono trasferite nella psicologia a partire da una
loro secolare affermazione nel campo della medicina. Questo trasferimento è storicamente non solo
comprensibile, ma anche utile in quanto ha permesso alla psicologia di essere riconosciuta, dal "genitore"

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medicina, come scienza applicata. Infatti, è in virtù della sua vicinanza alla medicina che, nel tempo, la
psicologia ha potuto acquistare prestigio professionale anche nella cultura più ampia.
Tuttavia, riconosciuta l'utilità storica di queste parole, penso che sia il momento di acquisire maggiore
consapevolezza della loro influenza negativa. Lo psicologo dovrebbe procedere liberandosi del fardello
identificatorio (anche quello di natura linguistica), per realizzare la propria identità.

CAP.8 - RIFLESSIONI CONCLUSIVE


Nel cercare i fondamenti scientifici del ben-essere psicologico, Bertini ha immaginato un percorso analogo a
quello seguito dalla scienza medica (tassonomia, patogenesi, terapia) sostanzialmente orientata allo studio del
mal-essere. Ha prospettato la necessità di questo movimento, nella consapevolezza delle differenze e dei limiti.
Scienza della salute (tassonomia, salutogenesi, promozione) è diventata la bussola che guida il percorso del
cosiddetto "modello salute" così come scienza della malattia è stata ed è tuttora la bussola che guida il
percorso del cosiddetto "modello malattia".
In questo percorso si presentava la possibilità di rovesciare la definizione della "salute come assenza di
malattia" e i proporre la definizione della "malattia come assenza di salute".
L'orientamento si è rivolto alla sussistenza di due dimensioni: malattia/salute, negatività/positività,
malessere/benessere. Alcune riflessioni sul piano epistemologico e diversi studi sul piano più strettamente
empirico danno sostegno alla relativa indipendenza delle due dimensioni.
Il passaggio successivo ha posto come focus la sfida di un processo integrativo i cui, con il concetto di benefit
finding, Bertini ha indicato alcuni risvolti positivi evidenti anche sul piano applicativo.

IL FUTURO DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE


Occorre puntare l'attenzione in modo specifico e diretto al concetto unitario di salute, discutendo anche la
definizione classica che ci accompagna da oltre mezzo secolo.
Avendo collocato la salutìa (= insieme articolato di dimensioni potenzialmente positive) in stretta relazione con
la malattia (= insieme articolato di dimensioni potenzialmente negative), la parola salute dovrebbe in qualche
modo rappresentare il significato di questa relazione.

IL CONCETTO DI SALUTE NELLA PROSPETTIVA BIVARIATA


Come sottolineato in precedenza, la parola salute si è trasferita nella cultura contemporanea nella veste
consunta del modello malattia, richiedendo costantemente l'aggettivo "positiva" per indicarne le caratteristiche
che la differenziano dalla sua condizione di assenza di malattia.
Nell'uso comune del linguaggio si deve notare tuttavia il criterio di usare le dicotomie bene/male,
positività/negatività viene rispettato per la malattia ma non per la salute → nessuno userà mai la dizione
"malattia negativa", in quanto la malattia è di per sé una condizione negativa.
Canguilhem (1966) ci aiuta a capire l'ambiguità del termine, in quanto egli afferma che il termine salute ha due
differenti sensi:
Salute come tipo ideale di struttura e di comportamento organici → è dunque pleonastico parlare di buona salute, perché
la salute è il bene organico;
Salute qualificata: concetto descrittivo, che definisce una certa disposizione e reazione di un organismo individuale nei
confronti di possibili malattie.
Allo stato attuale la parola salute è ambigua perché rappresenta due concetti differenti, mentre la parola
"malatia" rappresenta esclusivamente il concetto del male organico.
La parola "salute" dovrebbe emergere come dimensione integrativa di malattìa e salutìa: né come assenza di
malattia né come stato separato dalla malattia, ma come espressione di una dinamica integrativa di mal-essere
e ben- essere.
Il continuum bivariato non deve essere confuso con il tradizionale continuum bipolare e richiede una parola
espressiva in grado di rappresentarlo con assoluta chiarezza.
Occorre infine sottolineare l'importanza della soggettività: nella complessità del concetto di sintesi fra "bene
organico" e "male organico", occorre rivendicare il valore della coscienza. L'autore ritiene che, nello studio delle
malattie, troppo facilmente si trascuri il punto di vista soggettivo.
Canguilhen (1966) afferma che il fatto patologico non è percepibile come tale, ovvero come alterazione dello
stato normale, se non a livello della totalità organica e, nel caso dell'uomo, a livello della totalità individuale
cosciente. Dunque siamo in una linea in cui al centro di ciò che significa essere sano o essere malato si pone
l'esperienza della persona e non lo stato della fisiologia o della patologia degli organi.
Il problema da affrontare riguarda la traduzione sul piano empirico del concetto di salute, soprattutto quando il
processo integrativo non si limita al livello delle dimensioni psicologiche ma si allarga a quelle fisiche e sociali.

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Un tentativo di operazionalizzare la salute, includendo non solo parametri psicologici, è stato offerto da
Seligman (2008) secondo cui la salute può essere operazionalizzata mediante una combinazione di misure
indicative di condizioni eccellenti a livello biologico, soggettivo e funzionale.

LA SALUTE È UNO STATO?


Sempre sul concetto di salute un altro punto critico è l'attribuzione di stato che si trova in modo estremamente
diffuso in letteratura, a causa della sua presenza nella classica definizione dell'OMS.
Della salute come ben-essere si può ragionare a partire da due visioni differenti:
1. Da una parte, una visione statica centrata sul concetto di normalità, che rimanda alla concezione classica del
positivismo che ha guidato la scienza biomedica.
2. Dall'altra parte, si contrappone il concetto di normatività, ovvero la capacità dinamica insita nell'organismo di
instaurare nuove norme.
Quindi la salute assume la caratteristiche di una presenza attiva di una realtà la cui identità non dipende dalla
conservazione statica di norme da difendere, ma proprio dalla capacità di cambiamento di sviluppo nel
cambiamento.
Gadamer (1993) si chiede: "In che cosa consiste il benessere se non proprio nel fatto di non costituire il centro
dell'attenzione, permettendoci di essere liberamente aperti e pronti a tutto?" → con ciò si intende una vera e propria
presenza che implica vivacità e partecipazione al mondo.
Gadamer afferma che la salute non è un sentirsi, ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme ad altri
uomini ed essere occupati attivamente e positivamente dai compiti particolari della vita.
Nella visione di questi due epistemologi, certamente la salute non si qualifica come stato ma come processo
vitale.

LA SALUTE COME PROCESSO


Anderson (1984) sulla base di una rassegna internazionale, osserva che la salute può essere vista in uno dei 3
modi seguenti:
Prodotto: legato alla nozione di malattia.
Potenzialità: in linea con la psicologia positiva.
Processo: si enfatizza un fenomeno o processo dinamico in continuo cambiamento. Il processo di salute può essere:
Cumulativo: per quando riguarda ad es. apprendimento e sviluppo
Ciclico: nelle fasi di creazione e distruzione

Cowley e Billings (1999) affermano che i "processi" richiedono contesto e significato che dia loro un senso,
cosicché legami, schemi, interconnessioni e azioni acquistano maggiore rilevanza rispetto ai fattori o agli eventi
separati. Se la salute è vista come processo, non è possibile concepire alcun aspetto di essa che possa emergere
da solo: l'interno contesto socioculturale è importante.
Rogers (1959), ragionando sulla persona che funziona appieno", rifiuta chiaramente le posizioni statiche a
favore del processo, affermando che la persona pienamente funzionante è una person-in-process, una persona
in continuo cambiamento.
Antonovsky a tal proposito afferma che la salute non è assenza di malattia, ma il processo mediante il quale le
persone mantengono il loro senso di coerenza, il senso cioè che la loro vita è comprensibile, gestibile,
significativa, e la capacità di funzionare in presenza di cambiamenti sia in se stessi sia in relazione all'ambiente.
Dunque emerge come tutti questi contributi teorici convergano con la valutazione della salute come un
processo dinamico e non come uno stato: un processo in cui salutìe e malattie emergono in una visione
integrativa, sia a livello della persona, dei gruppi e delle organizzazioni.

VERSO UNA NUOVA DEFINIZIONE DI SALUTE


La definizione attuale di salute come "stato di benessere fisico, psichico e sociale" risente vagamente l'ombra di
uno scientismo che nel dirigere lo sguardo alla dinamicità della biologia non ha saputo abbandonare l'ottica
della staticità della materia. In qualche modo, ciò può indurre a privilegiare un'idea della salute nella posizione
statica di un obiettivo o risultato da raggiungere, mentre è importante prendere sempre maggiore
consapevolezza della sua autentica identità processuale.
Dunque la definizione di salute potrebbe essere: la salute è un processo integrativo di ben-essere e mal-essere
fisico, psichico e sociale.
Dopo aver definito la salute come un processo di sintesi, nulla si toglie alla legittimità delle operazioni
tassonomiche e salutogenetiche che costituiscono i fondamenti per la costruzione della scienza della salute.
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Grieco e Lingiardi affermano che Foucault ricostruisce quel tratto del cammino della medicina che vede nel
metodo sostanzialmente visivo dell'anatomia patologica, da cui si sviluppa lo sguardo della clinica, il
fondamento in grado di definire la condizione storica della medicina. Il passaggio attraverso la morte, o meglio
attraverso il corpo morto come oggetto naturale, segna l'inizio del suo costituirsi come sapere scientifico.
Foucalut esprime questo concetto con una frase "la malattia ha potuto staccarsi dalla contro-natura e prender
corpo nel corpo vivente degli individui, solo quando la morte è diventata l'a priori dell'esperienza medica".
In modo altrettanto lapidario Bertini afferma che la salute potrà decollare scientificamente quando la vita, e
non solo la morta, diventeranno l'a priori della scienza.

Parte II - LA PROMOZIONE DELLA SALUTE DAL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOLOGIA


CAP.1 - LA PROMOZIONE DELLA SALUTE NELLA STORIA DELL’OMS
Per capire come il concetto di promozione della salute si è diffuso in ambito internazionale, è opportuno rifarsi
ai Convegni dell’OMS, organizzazione che ha sollecitato una riflessione a tutto campo anche se poi le risposte
non sono state all’altezza.
Premesse:
XXX Congresso Mondiale sulla Salute nel Mondo 1977, dove compare l’obiettivo sociale dell’OMS e dei governi
di raggiungere per tutti i cittadini del mondo entro il 2000 un livello di salute tale da permettere una vita
economicamente e socialmente produttiva(un po’ ottimistico ma ha permesso la nascita di un movimento in
questa direzione)
Manifesto di Alma Alta, città dove si tenne la Conferenza Internazionale sull’Assistenza Sanitaria Primaria nel
1978: ribadisce la salute come stato di benessere fisico, mentale e sociale, come diritto fondamentale il cui
raggiungimento è un risultato sociale perché richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali oltre a
quello sanitario.

Conferenze:
PRIMA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI OTTAWA (CANADA, 1986):
presenta una Carta per stimolare l’azione a favore della “Salute per Tutti” per l’anno 2000 (e oltre) in risposta
alle aspettative mondiali per un nuovo movimento di sanità pubblica;
definisce la promozione della salute = processo che mette in grado le persone di +
e di migliorarla per raggiungere uno stato di benessere fisico, mentale e sociale, attraverso
l’identificazione e realizzazione delle proprie aspirazioni, soddisfazione dei propri bisogni, cambiamento
dell’ambiente circostante (salute come risorsa per la vita quotidiana e non come fine della vita)
La promozione della salute non spetta solo al settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al
benessere;
condizioni e risorse per la salute sono: pace, abitazione, istruzione, reddito, ecosistema stabile, risorse
sostenibili, giustizia sociale, equità;
passaggio dal concetto di educazione della salute al concetto di promozione della salute che si rivolge a
individui e gruppi nell’ambito in cui essi vivono, lavorano amano;
due livelli di cambiamento nel sociale: migliorare gli stili di vita e lavorativi, migliorare le condizioni di vita e
lavorative;
orienta i professionisti della salute pubblica a cambiare il linguaggio da un tono educativo a una linea di sviluppo
della comunità;

SECONDA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI ADELAIDE (AUSTRALIA,


1988)
Cresce il numero di nazioni che partecipa (42) alla stesura di Raccomandazioni finali in linea con Alma Alta e
Ottawa. La Carta di Adelaide identifica 5 aree di azione, interdipendenti, che identificano la salute come
obbiettivo sociale che accentua il coinvolgimento della gente, la cooperazione fra settori della società e la cura
a livello primario:
Costruire una politica di salute pubblica (stabilisce le condizioni che rendono possibili le altre 4);
Creare ambienti favorevoli;
Sviluppare le abilità personali;
Rafforzare l’azione della comunità;
Riorientare i servizi sanitari.

TERZA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI SUNDSVALL (SVEZIA, 1991)
Partecipano 81 nazioni e si nota l’orientamento a stimolare le politiche nazionali a farsi carico del tema,
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indicando strategie adeguate alle esigenze dei processi di globalizzazione. La visione delle persone come parte
dell’ecosistema terrestre e quindi la loro salute è fondamentalmente collegata all’ambiente al punto che il
miglioramento della qualità della vita deve preservare la sostenibilità dell’ambiente. La sfida è realizzare
azioni concertate per uno sviluppo sostenibile e un ambiente favorevole alla salute, favorevole sia per la
dimensione fisica sia per quella sociale : creare ambienti favorevoli ha connotazione fisica, sociale, psicologica,
economica e politica e ogni dimensione è connessa alle altre. 4 aspetti per definire la qualità degli ambienti:
Dimensione sociale, comprende i modi in cui le norme, le abitudini e i processi sociali incidono sulla salute, sia
positivamente sia negativamente (es aumentando l’isolamento sociale);
Dimensione politica, che richiede ai governi di garantire la partecipazione democratica e il decentramento di
risorse e responsabilità (spostarle dalla corsa agli armamenti);
Dimensione economica, ri-canalizzazione delle risorse per realizzare la Salute per Tutti;
Necessità di riconoscere e usare le abilità delle donne in tutti i settori.

QUARTA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI JAKARTA (INDONESIA, 1997)
Si tratta della prima conferenza tenuta in una Paese in via di sviluppo e a coinvolgere il settore privato nella
promozione della salute; inoltre 10 anni dopo Ottawa si ha riflettuto sull’efficacia delle azione svolte fino ad
Ora. Vi sono 5 priorità:
Promuovere responsabilità sociale nei confronti della salute;
accrescere competenza della comunità ad aumentare il potere del singolo;
espandere e consolidare le partnership per la salute;
aumentare investimento per lo sviluppo della salute;
assicurare un’infrastruttura per la promozione della salute.

QUINTA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI CITTA’ DEL MESSICO (MESSICO, 2000)
Da qui in poi, uso di “globale”, meno aspetti teorici e focus sui problemi di sviluppo della promozione.
100 nazioni partecipanti, si sottolinea la necessità di porre la salute in modo preminente nelle agenzia
internazionali, nazionali e locali e stimolare partnership tra diversi settori perché la promozione della salute
crea vantaggi per la salute e la qualità della vita, specialmente per chi vive in circostanze avverse. Si sviluppa la
carta di Ottawa: la promozione della salute è per mezzo, con e per le persone (singoli e gruppi) tramite
rafforzamento delle capacità di agire dei singoli e di attivarsi delle comunità per controllare i determinanti della
salute (che possono essere fuori dal controllo degli individui oppure no, e a tal proposito devono occuparsene i
servizi sanitari, che devono orientarsi alla promozione della salute).

SESTA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI BANGKOK (THAILANDIA, 2005)
Promozione della salute come diritto umano fondamentale in quanto è un processo per aumentare il controllo
sui determinanti della salute ed è funzione centrale della sanità pubblica che affronta le malattie trasmissibili e
altre minacce della salute. Diversi capitoli orientati all’azione:
Impegno globale: tutti insieme per la salute applicare strategie efficaci e iniziative innovative come
partnership, reti…
Colmare la lacuna dell’attuazione visto che, a partire da Ottawa, poche azioni sono state fatte fino ad ora;
Invito all’azione: richiesta all’OMS di allocare risorse per promuovere la salute, avviare piani di azione e
monitorarli tramite indicatori obbiettivi e riferire sui lavori in corso; valutare benefici possibili derivanti dallo
sviluppo di un Trattato Globale per la Salute;
Partnership in tutto il mondo per promuovere la salute.

SETTIMA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI NAIROBI (KENYA, 2009)
Si chiude con la “Nairobi call to action”, oltre 100 nazioni, si propongono di:
Usare il potenziale non sfruttato della promozione;
Rendere i principi della promozione della salute integrali all’agenda politica e dello sviluppo;
Fare meccanismi di attuazione efficaci e sostenibili.
Vengono elaborate 5 strategie/azioni:
Costruire la capacità per la promozione della salute;
Rinforzare i sistemi sanitari;
Partnership e azioni intersettoriali;
Empowerment di comunità;
Literacy (alfabetizzazione) della salute e dei comportamenti di salute.

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CONCLUSIONI
Per concludere possiamo notare come dato positivo le varie iniziative in tutto il mondo a partire da Ottawa:
• le città sane
• le scuole che promuovono salute
• gli ospedali che promuovono salute
• i luoghi di lavoro che promuovono salute
Per quanto riguarda le criticità si possono individuare:
La controversia su :
1. Approccio centrato sull’individuo: interventi individuali anche se in ambiti organizzativi o istituzionali (
si cerca di cambiare le persone)
2. Approccio centrato sul contensto/setting: si interviene sul contesto, orientandolo a offrire opportunità
di cambiamento agli individui e ai gruppi.

Tale controversia si risolve non tanto considerando le due posizioni come antitetiche ma come dialoganti e
reciprocamente valorizzanti. Inoltre c’è confusione circa il significato del concetto di “promozione della salute":
perché ci sono tante definizioni vaghe e diverse tra loro.

CAP.2 - ANALISI DEL CONCETTO DI PROMOZIONE DELLA SALUTE


Occorre rifarsi alla parola inglese "inabling" = dare ai soggetti la capacità di controllo sulla salute".
Tuttavia, rimane aperto il campo delle incertezza sul paino teorico e applicativo e l'insufficiente impegno ad
attuarlo: da una parte vi è la consistente tenacia, specialmente da parte dell'OMS nel sostenere l'importanza
della promozione della salute (per il futuro dell'umanità), dall'altra la difficoltà e la lentezza con cui i vari Paesi
sono riusciti a tradurre in pratica le raccomandazioni presentate nei vari documenti.
Come mai questa confusione sul tema?
1. per le resistenze e le negligenze delle amministrazioni locali per difficoltà economiche e politiche;
2. per il distacco fra il piano nobile degli enunciati e l’insufficiente preparazione del terreno scientifico che
deve svilupparli: senza un quadro di chiarezza scientifica non si possono trovare motivazioni adatte e
credibilità e consenso nella cultura più ampia, anche politico-amministrativa.

LA "NEBULOSA" DELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE


La prospettiva della “promozione della salute” nel modello biopsicosociale ha portato a 2 conseguenze/ambiguità:
Allargamento di interesse su questo tema alle scienze psicosociali e il coinvolgimento della società civile e
politica (quindi non più solo di ordine medico e questo) ha portato a una de-medicalizzazione dove il medico
perde il suo primato nella materia e si sente scavalcato. Si ha così mescolamento tra piani della scienza e
istanze sociali che non permette un chiaro confronto sul piano scientifico-culturale quando invece è importante
differenziare le responsabilità da parte delle varie discipline che concorrono alla promozione della salute, pur
tollerando alcune aree di sovrapposizione.
Oscillazione fra modello malattia e modello salute.
Vi sono altri elementi di confusione nel considerare il concetto di salute nell’accezione positiva e lo dimostrano
le iniziative globali di promozione della salute che invece fanno implicitamente ricorso al modello di malattia.
Nonostante ciò che dice l’OMS, la prassi non si muove in questa direzione e lo dimostra anche la confusione tra
la parola promozione e prevenzione.

DIFFERENZA TRA PROMOZIONE E PREVENZIONE


Prevenzione = all’interno del modello di malattia, la componente emotivo-motivazionale di fondo è la paura
perché ci si muove tendendo alla sicurezza, all’incolumità, alla prudenza, è una lotta contro il tempo rispetto a
qualcosa che dai per scontato ( implica sensibilità verso la possibilità di risultati negativi).
Etimologicamente < pre-venio = vengo prima di una cosa temuta e ineluttabile quale una crisi o una malattia
Promozione = nel modello di salute, la componente emotivo-motivazionale di fondo è la speranza, la persona è
orientata ad affrontare le sfide della vita in vista di una crescita →implica sensibilità verso risultati positivi
raggiungibili e orientamento a perseguirli (operazione positiva verso il futuro dove salute e malattia possono
coesistere.)
Etimologicamente < pro-moveo = andare verso una cosa ambita. Higgins sostiene che entrambe siano forme
diverse di autoregolazione.
A volte si confondono le due parole perché si pensa che facendo prevenzione si stia promuovendo la salute, ma
in realtà prevenzione e promozione usano metodologie diverse per affrontare anche gli stessi problemi.
Dunque la confusione tra i due termini è:
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1. Vera: in quanto prevenire può certamente lasciare spazio a un progresso di salute (ben-essere);
2. Errata: in quanto di per sé non lo garantisce, e perché l'operazione di prevenzione si iscrive in una metodologia del
tutto diversa da quella propria di un'operazione di promozione.

Detto questo, la prevenzione rimane comunque un tema rilevante anche per la psicologia della salute e a volte
interventi tipici della prevenzione possono essere inquadrati in un’ottica rispettosa dei criteri della promozione,
come ad esempio la ricerca-azione “Diamoci una Mossa” di Lucidi che ha coinvolto 30 000 famiglie italiane allo
scopo di promuovere stili di vita attivi e alimentazione corretta in quanto fattori importanti nella salute e in
quanto diritti di ogni persona e bambino.
Oggi la strategia preventiva è prevalente, e l’orientamento nell’infanzia e adolescenza è quello di focalizzarsi
sugli aspetti negativi, basta osservare la rassegna di Rich che mostra come ogni 21 articoli dedicati alle emozioni
negative ne troviamo 1 solo per quelle positive. Tra gli argomenti più discussi c’è il PTSD, dove troviamo molti
spunti di interventi preventivi; ma è la strategia migliore?
Nel 2002 l’OMS presentò il Report on Violence and Health secondo cui la promozione ha un ruolo importante
nel sostegno dello sviluppo sano di bambini e adolescenti anche perché la violenza fisica spesso origina dalla
mancata competenza famigliare (resilienza familiare).
Anche la letteratura sostiene che usare una giusta strategia che tiene conto di risorse e fattori protettivi genera
risultati significativi anche in situazioni di gravità. Ad esempio, l’origine dello stress post-traumatico si può
esaminare non tanto nell’eziopatogenesi, ma quanto alla luce di un insufficiente sviluppo nella linea di salute.
A conferma delle potenzialità preventive degli interventi di promozione si può citare il lavoro di Fava e coll.
(2003) in cui si dimostra come l'orientamento a promuovere il ben-essere sia il miglior modo di prevenire le
ricadute della depressione.

CAP.3 - LA PROMOZIONE DEL BEN-ESSERE NELLA PROFESSIONALITA’ DELLO PSICOLOGO


È necessario abbandonare il concetto generale di “promozione della salute” per focalizzarsi sul versante
specifico della “promozione del ben-essere” a livello psicologico.
Il passaggio al modello salute impone un quadro di riferimento teorico specifico e una coerente metodologia
applicativa. Esso risulta caratterizzato da:
1. Il concetto implicito nella parola promozione di “muovere verso” segnala un cambiamento di ottica:
2. l’orientamento verso il futuro;

Il cliente è visto come auto-organizzatore anziché come soggetto passivo di trattamento (soggetto
protagonista) Si ha così un cambio di atteggiamento delle persone di fronte allo psicologo: non più oggetti di
malattia ma soggetti di salute;
Metafora del viandante anziché del deviante e lo psicologo diventa facilitatore;
Lo sguardo è rivolto non solo ai soggetti patologici o a quelli a rischio ma a tutta la popolazione (orientamento
che si può ritrovare nei documenti dell’ufficio regionale (EURO) dell’OMS del 1985 secondo cui la promozione
della salute deve coinvolgere tutti nella vita quotidiana);
Le caratteristiche del modello salute aprono la strada a opportunità formative e iniziative professionali
innovative in grado di stimolare e aumentare la domanda sia in contesti già avviati, sia nuovi, sia in psicoterapia
privata (Bosio).
La psico-promozione deve riuscire a vincere la sfida della scientificità.

FONDAMENTI METODOLOGICI DELLA PSICO-PROMOZIONE


Qual è il modello applicativo che caratterizza la psicologia della salute? Nella definizione dell'APA si trova che la
psicologia della salute è semplicemente psicologia applicata alle vicende della salute.
La promozione del ben-essere, cioè di un funzionamento ottimale della persona, gruppi, comunità, contiene
implicitamente e come centrali i concetti di sviluppo e relazionalità, concetti trasversali a molti orientamenti e
modelli ma in particolare a quello dinamico-evolutivo, sistemico e co-costruttivo, che possono essere
considerati principi metodologici alla base di ogni intervento di promozione del ben-essere:
APPROCCIO DINAMICO-EVOLUTIVO: si contrappone a quello statico-accrescitivo, è un approccio epigenetico che
richiama l’attenzione alla dimensione temporale degli eventi, dimensioni trascurate nel modello malattia. E’ un
movimento attivo e costruttivo della persona e dei contesti in un processo di realizzazione nel e per le
transazioni con le dinamiche socio ambientali. Nasce dalle radici della parola stessa pro-muovere, muovere
verso al contrario del ri-muovere del modello malattia. Uno stesso evento può essere codificato negativamente
in una visione statico-accrescitiva e molto positivamente in una dinamico-evolutiva (es: il bimbo che dice no alla
mamma, puoi reagire severamente o con permissivismo se leggi il comportamento con metro di riferimento

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adulto e quindi statico, mentre puoi essere felice del fatto che il bimbo sviluppa autonomia in un approccio
dinamico) nel rispetto e comprensione delle diversità;
APPROCCIO CO-COSTRUTTIVO: trova i fondamenti teorici nel concetto eriksoniano di mutualità, dato dal bisogno
di libertà e dipendenza, l’una condizione dell’altra. La mutualità non è un appello esortativo ma una condizione
sine qua non e il criterio metodologico della co-costruzione è in stretta coerenza col principio teorico della
mutualità. co-costruire, infatti, significa passare a una posizione coinvolgente “io sono con te”, nel rispetto della
diversa specificità e responsabilità di un ruolo, ma nella piena condivisione dell’impegno verso gli obbiettivi da
raggiungere. Qui emerge il protagonismo del cliente perché lo psicologo esplora obbiettivi e metodi col cliente;
la co-costruzione e la valenza positiva di salute trovano molti punti di contatto con il costruttivismo, termine
che trova sempre più spazio nella letteratura psicologica dell’ultimo quarto del secolo scorso come dice
Mahoney in quanto il costruttivismo considera il sistema vivente come un agente proattivo che partecipa alle
proprie dinamiche di vita. Nel costruttivismo c’è qualcosa in più della semplice auto-organizzazione, perché c’è
il disordine, che è necessario allo sviluppo di tutti i sistemi complessi. Altri filoni teorici della co-costruzione si
trovano nella psicologia classica (campo dinamico-evolutivo, area cognitiva, empowerment e self-efficacy).

APPROCCIO SISTEMICO: la persona come “unità di analisi” si sposta nella valorizzazione della “person- in-
environment”. Si supera l’atteggiamento di concentrazione sui tratti interni alla persona e si tiene come focus
la persona nelle sue relazioni con l’ambiente. Altman sostiene che ambiente e comportamento sono un’unità
integrale o transazionale, e non si può comprendere un fenomeno senza studiare ambiente e comportamento
come una singola unità di analisi (così il punto di vista che emerge non fa riferimento alla inter-azione ma alla
trans- azione fra persone e ambienti. Ovviamente si può lavorare anche con una sola componente del sistema,
purchè ci sia un’ottica aperta alla transazione relazionale delle varie componenti. Se non si può coinvolgere in
modo diretto le componenti di un sistema, devi rendere consapevoli i partecipanti delle ragioni per le quali non
sono presenti le altre componenti e dei limiti dell’intervento, ridimensionabili se si sollecita un’apertura al
coinvolgimento sistemico di tutte le componenti.

CAP.4 - LA PSICO-PROMOZIONE NEI CONTESTI


Nel ben-essere psicologico è implicito l’orientamento ai contesti sociali per uno sviluppo dell’individuo in
sintonia con lo sviluppo della società. Contesti intesi come ambienti di vita e come relazioni interpersonali,
intergruppi, interistituzionali significativi (Cigognani).
Il ben-essere psicologico può trovare spazio applicativo sia a livello dell’individuo sia a livello della collettività e
ci sono luoghi privilegiati per lo psicologo della salute per operare nell’ottica della promozione del ben-essere
tra cui i seguenti.

LA PSICO-PROMOZIONE NELLA SCUOLA


L’approccio di promozione veicola un messaggio importante, cioè un’assunzione di responsabilità della scuola
di assecondare lo sviluppo individuale e sociale di tutti gli alunni. Ma la scuola italiana è pronta a farlo? Sì, se si
considerano i documenti ufficiali dove si richiama spesso alla formazione integrale dello studente:
Scuola materna: il documento ministeriale “Orientamenti dell’Attività educativa nelle Scuole materne statali”
del 1991 dice che la scuola concorre a promuovere la formazione integrale della personalità di soggetti liberi,
responsabili, attivi nella vita di comunità tramite sviluppo di identità (sicurezza, stima di sé), autonomia (fare
scelte) e competenza (immaginazione, intelligenza creativa). I fini sono acquisire fiducia nelle proprie capacità
di comunicazione, disponibilità a riconoscere il diritto degli altri alle proprie idee e opinioni, impegno a farsi
un’idea personale e manifestarla, ascoltare e comprendere, disposizione a risolvere conflitti.
Scuola elementare: nei Nuovi Programmi della Scuola Elementare del 1985 si legge che la scuola ha il compito
di: sostenere l’alunno nella conquista di autonomia e nell’inserimento delle relazioni interpersonali per la
partecipazione al bene comune; operare perché il fanciullo abbia occasioni di iniziativa, decisione,
responsabilità personale e autonomia e distingua la solidarietà attiva col gruppo e il cedimento passivo alla
pressione del gruppo conservando indipendenza di giudizio; sviluppare creatività e consapevolezza di sé per un
pensiero riflesso e critico;
Scuola media: i Programmi della Scuola Media del 1979 parlano di sviluppo, conoscenze, capacità e
orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili in grado di compiere scelte, con
particolare attenzione alla delicata fase evolutiva in cui avvengono le trasformazioni più importanti nella
condizione fisica e psicologica;
Scuola superiore: il Progetto Giovani del 1985 parla di offrire ai giovani l’opportunità di essere promotori di
analisi e interventi mirati a migliorare la qualità della vita scolastica, tanto da renderla idonea a favorire la
maturazione delle potenzialità insiste in ciascuno di loro e l’acquisizione di capacità di scelta valide, ai fini del
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conseguimento del proprio equilibrio psicofisico e sociale.


L’urgenza di interventi di educazione alla salute impegna il Ministero dell’Istruzione, della Sanità e la
Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS con la legge 162/1990 che sollecita la formazione di docenti,
la costituzione di CIC (centri di informazione e consulenza), l’estensione del progetto ai ragazzi, genitori e bimbi
di scuole materne.
Il Piano Nazionale per il benessere dello studente del 2007 sostiene che bisogna superare l’ottica preventiva ed
enfatizzare la promozione della salute e la valorizzazione della persona: cultura, scuola e persona sono
inscindibili. Tuttavia la scuola italiana fa fatica a tradurre le linee teoriche in operazioni efficaci.
I propositi della scuola si riferiscono proprio a quelle Life SkillEducation (LSE) o competenze di vita che la
psicologia della salute da tempo sottolinea.
ll tema delle LSE è diffuso in ambito internazionale, sostenuto dall’OMS e ben noto anche in Italia:
Negli anni 80 questi programmi avevano un orientamento preventivo (abuso sostanze, gravidanze precoci…)
Negli anni 90 l’OMS definisce le LS come “competenze di vita” e “per la vita” per gestire le richieste della vita
quotidiana e sono quindi alla radice dello sviluppo e della promozione di salute. Le competenze di vita si
possono dividere come una torta in 5 fette/aree entro cui si possono prevedere ulteriori aggiunte:
1. Pensiero creativo, pensiero critico;
2. Comunicazione efficace, capacità di relazioni interpersonali;
3. Autoconsapevolezza, empatia;
4. Gestione emozioni, gestione stress;
5. Capacità di prendere decisioni, capacità di risolvere i problemi.

Il consenso e l’interesse alle iniziative spinse la Divisione di Salute Mentale dell’OMS a mettere a punto “linee
guida”, collaborando con agenzie internazionali già impegnate in programmi da fare a scuola => nascono i
programmi di LSE nelle scuole e nella raccomandazione 4 del Comitato degli Esperti dell’OMS (1996) si dichiara
che per raggiungere l’obbiettivo salute entro il 2000 ogni scuola deve far conoscere agli alunni gli aspetti critici
della salute e sviluppare le competenze di vita.
Che rapporto c’è tra LSE e psicologia della promozione del ben-essere? Sicuramente le competenze di vita sono
coerenti col modello salute anche se nella letteratura internazionale le LS vengono applicate in un contesto di
prevenzione e spesso non si rilevano segni distintivi e modalità di “processo” che caratterizzano la qualità di
una linea di promozione; spesso inoltre sono programmi brevi dove il compito dello psicologo della salute è
quello di sollecitare lo sviluppo di risorse e competenze psicosociali, mettendo a disposizione di tutte le
componenti della scuola le sue conoscenze che la psicologia è in grado di offrire.

Vi sono dei requisiti metodologici della “promozione” nelle scuole:


1. Tenere conto della cultura locale del contesto;
2. Coerenza con la linea dinamico-evolutiva→ passaggio da una visione dello sviluppo accrescitiva a una dinamico-
evolutiva dove lo studente non è oggetto di insegnamento ma soggetto di apprendimento;
3. Coerenza con la linea sistemica: lo studente cresce nella misura in cui crescono anche le altre componenti
(insegnanti, scuola, famiglia, territorio) e ogni componente è agente di cambiamento e deve partecipare
attivamente se possibile;
4. Coerenza con la linea co-costruttiva: lo sviluppo individuale e sociale dello studente si realizza tramite la
partecipazione di tutte le componenti (aspetto più critico) → ogni fase della ricerca-intervento deve adottare
questo principio, riconoscendo le competenze specifiche di ogni componente.

Se vogliamo introdurre in Italia un programma coerente con questi principi, dobbiamo confrontarci col
panorama internazionale, dove emerge un programma in particolare che sembra adatto, il MODELLO SKILLS
FOR LIFE (Competenze per la vita) elaborato dall’organizzazione TACADE e usato in UK e da altri Paesi in quanto
in linea con le concezioni dinamiche, sistemiche e co-costruttive. Secondo questo programma l’obbiettivo si
può raggiungere nella misura in cui:
1. Le componenti del sistema vengono coinvolte nel processo;
2. Ogni azione della scuola tiene come punto di riferimento generale lo sviluppo individuale e sociale dello studente;
Pregi:
• Sul piano metodologico questo modello è coerente e gli strumenti sono sistematici ed efficaci;
• Enfasi sui protagonisti della vita scolastica indicati come agenti di cambiamento;
• Fisionomia processuale e ricorsiva del cambiamento che attraversa vari stadi:
• Preparare il cambiamento;
• Identificare i bisogni;
• Valutare le risorse;
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• Analizzare il rapporto bisogni/risorse;


• Individuare focus di cambiamento;
• Identificare i risultati da raggiungere;
• Programmare ed entrare in azione;
• Verificare;
• Riavviare il processo.
• Offerta di materiali didattici flessibili;
• Integrazione delle skills for life nella didattica;
• Obbiettivi affidati alla scuola in generale e non al rapporto classe-prof;

La scuola offre opportunità di interazione ai 4 fondamentali agenti di cambiamento: agli studenti


di prendere parte al proprio sviluppo; agli insegnanti di agire attivamente nel proprio sviluppo professionale
in vista dello sviluppo degli studenti; all’organizzazione scolastica di sostenere un approccio collaborativo allo
sviluppo; alle famiglie e comunità di collaborare con gli altri 3 per lo sviluppo dei propri figli e cittadini.
Per progettare in questo modo bisogna partire dalla valutazione della gamma dei bisogni nella scuola facendo
riferimento alla piramide dei bisogni che vede al vertice gli studenti (perché i loro bisogni sono primari, ma ve
ne sono anche altri) e ai 3 lati insegnanti, organizzazione scolastica e famiglie e comunità.
Il modello è stato introdotto sperimentalmente nella scuola italiana a partire da una prima esperienza nel
comune di Orvieto seguita da una ricerca-intervento in 9 province per verificare la potenzialità del modello
estero in Italia, che ha visto una stretta collaborazione e arricchimento vicendevole tra insegnanti e psicologi e
si è conclusa con un congresso nazionale con un riscontro positivo.
In generale, nella società di oggi, si vive una disintegrazione delle relazioni sociali che ha come causa o
conseguenza il declino delle strutture educative e il fatto che nelle famiglie di oggi i genitori sono inglobati dal
lavoro. La scuola ha una grande responsabilità, ma non solo, anche la psicologia che non deve ripiegarsi sempre
nel modello malattia.

LA PSICO-PROMOZIONE IN OSPEDALE
Nell’ospedale la figura di Igea è stata profondamente oscurata da Panacea; scarsa è l’attenzione alle dinamiche
organizzative interne perché il focus è concentrato sui singoli pazienti.
Ma per diventare più umano non si può apportare miglioramenti ambientali che calano in modo prescrittivo sugli
operatori, ma bisogna accogliere e curare il paziente come persona portatrice di salute, di vita, qualunque sia il livello di
malattia e la distanza dalla morte (l’ospedale non si deve limitare alla cura della malattia ma deve contestualmente
operare per il potenziamento della salute).
Goffman sostiene che il sanitario di oggi è come un meccanico che, nel riparare l’auto, ha la sfortuna di avere
intorno il proprietario a dargli fastidio mentre cerca di ripararla. Non si presta adeguata attenzione al guidatore,
cioè alla personalità del paziente e non si insegna al guidatore a guidare bene la macchina per evitare che
ritorni in officina. C’è chi pensa che per fare questo non c’è spazio né tempo, ma è un errore perché l’ospedale
è un luogo dove ha senso creare un centro di promozione della salute.

Bertini sostiene che prendersi cura di una persona significa considerare anche tutta la trama di transazioni
sociali che lega la persona dentro e fuori dall’ospedale. Si tratta di cambiare la cultura, o meglio di recuperare
in chiave moderna la vocazione originaria degli ospedali di assistenza globale ai bisogni della persona
sofferente, e non di stretta cura della malattia presente. Storicamente, infatti, la dimensione medica è
subentrata più tardi per poi prevalere del tutto ma in questo modo l’uomo perde la sua dimensione storico-
biografica. In realtà progressi sono stati fatti, ma non un vero salto di qualità dove l’ospedale diventa uno
spazio e tempo prezioso per realizzare integrazione tra benessere e malessere. Bisogna quindi fare operazioni
coerenti con il quadro teorico della promozione.
Obiettivo che si pongono gli HPH (Health Promoting Hospitals), ospedali deputati a promuovere salute, nati a
partire dalle sollecitazioni della Carta di Ottawa.
In Italia il programma nasce negli anni ’80 e si impegna a:
1. Sviluppare promozione della salute nell’ospedale;
2. Ampliare l’interesse del management ospedaliero e delle strutture alla tutela della salute e non solo cura malattia;
3. Fare esempi di buona pratica clinica e organizzativa;
4. Incoraggiare la cooperazione e lo scambio di esperienze tra ospedali;
5. Trovare aree di interesse comune per fare programmi e procedure di valutazione;

In accordo coi principi delle Raccomandazioni di Vienna (1997) l’HPH dovrebbe:


1. Promuovere la dignità umana, equità, solidarietà, etica professionale riconoscendo bisogni, valori, culture dei
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gruppi;
2. Migliorare la qualità, il benessere di pz e familiari e staff, diventare un’organizzazione che apprende;
3. Focus sulla salute con approccio globale;
4. Prendersi cura di chi fornisce servizi sanitari ai pz e famiglie per facilitare la guarigione e aumentare le competenze
dei pz;
5. Usare le risorse in modo efficace ed efficiente;
6. Creare collegamenti con altri livelli del sistema sanitario e con la comunità.

Per facilitare ciò, a partire dal 1993 si sono create reti tematiche che collegano gli ospedali che sviluppano
attività simili (es. ambienti liberi dal fumo).
Gli HPH si riconoscono nel SettingApproach for health Promotion che non si limita a promuovere la salute, ma
prende in considerazione l’influenza del setting in cui la gente vive.
La sezione europea dell’OMS nel 2001 presenta degli standard europei sperimentati poi in 36 ospedali di 9
Paesi:
Standard 1: l’ospedale deve avere una politica scritta per la promozione della salute, finalizzata a pz, famiglie e
staff, che va implementata come parte del sistema di qualità;
Standard 2: obbligo di valutare i bisogni di paziente per salute, prevenzione, rehab;
Standard 3: l’organizzazione fornisce al paziente informazioni su fattori importanti della malattia o condizioni di
salute e gli interventi di promozione della salute vanno fatti con tutti i pazienti;
Standard 4: la direzione stabilisce le condizioni per lo sviluppo dell’ospedale come luogo di lavoro;
Standard 5: continuità e cooperazione con altri servizi, settori della salute.
Si nota un positivo shift da interventi a livello individuale a dinamiche organizzative: queste iniziative vanno
incentivate ma non sono sufficienti perché oltre a promuovere la componente organizzativa, deve mirare alla
promozione della salute delle persone e non dei pazienti.
Dal paziente come oggetto di terapia alla persona come soggetto di salute, introducendo il concetto di salute
nella sua accezione positiva. Co-presenza in ospedale di un’attenzione sia verso i sintomi della malattia e i loro
trattamenti, sia verso le dimensioni della salute e la loro promozione. Si possono individuare delle linee di
metodo in base alle 3 fasi salienti del percorso di ospedalizzazione:
Fase dell’accoglienza: introdurre il corrispettivo dell’anamnesi patologica remota e prossima, raccogliendo cioè
una storia di vita che attivi la riflessione anche sulle risorse personali e sociali del paziente, faciliti la
collocazione dell’evento critico in una storia personale sottolineando l’opportunità che la crisi offre, crei una
relazione psicologo-paziente che faciliti la motivazione al lavoro. A proposito Frank sostiene che l’importanza
nella storia non è nel contenuto ma nel fatto di narrarla perché permette di riconoscere la propria dignità
morale;
Fase della degenza: chi entra in ospedale ha molti momenti vuoti dove non sa che fare ed è quindi disponibile.
Per questo si possono inserire seminari o laboratori in piccoli gruppi per trattare di tematiche coerenti con la
promozione delle competenze psicosociale, stili di vita, difesa da stress e motivarli a farsi sostenere anche dopo
la dimissione;
Fase post-ospedaliera: offrire informazioni sui risultati ottenuti, prescrizioni da rispettare, circostanze da
affrontare nel futuro perché porta vantaggi oggettivamente accertati; motivare la persona a frequentare un
seminario che l’ospedale propone durante la degenza.
Il ricovero è un momento di crisi che può condurre a esiti regressivi o progressivi: l’ospedale deve potenziare la
competenza delle persone a instaurare nuove norme, nel rapporto tra ben-essere e mal-essere.

LA PSICO-PROMOZIONE NELLE CITTA’


Anche nelle città sono nate reti che promuovono la salute (HealthPromotingCities) anche se il tema della salute
viene sempre inteso in senso sanitario (terapia e prevenzione). Ogni ricerca-intervento, invece, dovrebbe
muoversi nel rispetto dei 3 indirizzi metodologici:
Secondo una visione sistemica, tener conto delle funzioni di ogni componente (autorità politico-
amministrative, esperti, cittadinanza) e della comunicazione tra i livelli;
Secondo un’ottica costruttivistica occorre lavorare sulla qualità dei coinvolgimento partecipativo e quindi lo
psicologo deve facilitare il dialogo tra i 3 componenti e far esplorare loro insieme le soluzioni migliori con
rispetto di competenze e ruoli;
Secondo una visione dinamico-evolutiva, vedere la diversità dei punti di vista invece che come elemento di
disturbo come molla di crescita del sistema stesso (Rand).
Per fare ciò è importante partire da una proposta specifica nel contenuto ma poco strutturata nella forma,
lasciando ampio spazio all’immaginazione delle componenti e ponendo massima attenzione all’analisi delle
complesse transazioni fra le varie componenti del sistema.
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L’impegno a lavorare in una direzione integrativa tra le diverse discipline è sollecitato dall’OMS attraverso i
progetti “città sane”, diffusi in tutto il mondo Italia compresa, ma nonostante ciò le programmazioni sono
ancora orientate dagli esperti tecnico-urbanistici e non vedono una partecipazione delle scienze umane.
Nel 2000, ad Orvieto, la Società Italiana di Psicologia della Salute tenne un Congresso Nazionale dove si parlò di
senso della costruzione del ben-essere anche a livello di convivenza negli aggregati urbani, volendo passare
“dalla lotta alla malattia alla costruzione della salute”. Aderirono la Società Italiana di Antropologia Medica e
l’Associazione Italiana di Sociologia, il sindaco e la giunta comunale e venne presentato un MANIFESTO, dove si
nota l’idea che una migliore qualità della vita nella città si può ottenere tramite un cambiamento radicale della
relazione fra amministratori, esperti e cittadini e si propone quindi come un retroterra culturale per sollecitare
la metodologia della progettazione partecipata nella pianificazione urbanistica. Ebbe un riscontro molto
positivo.
Questo modo di lavorare permette:
• All’amministrazione di definire e verificare nuovi approcci, strumenti e metodi per organizzare il
governo e la pianificazione del territorio;
• Ai tecnici di avvicinarsi agli utenti e modulare gli interventi in funzione delle loro aspettative,
realizzando una vision condivisa nella comunità;
• Ai cittadini di passare dal passivo all’attivo, assumendosi responsabilità;
• Agli psicologi della salute di offrire un contributo qualificato in un’area dove ancora non è ben visibile la
nostra presenza.
La psicologia della salute deve prendere coscienza di doversi mettere in cammino, di avviare la propria
transurbanza nella città postmoderna, per riscoprire un senso e una pratica di riposizionamento (Braibanti).

MANIFESTO DI ORVIETO:
Premesse:
Gli strumenti della programmazione territoriale (piano dei trasporti, piano dei servizi ecc) sono una dimensione operativa e
istituzionale di grande influenza nella vita quotidiana. Questi strumenti classificano e sistemano i contenitori urbanistici e
dei servizi e istituiscono una rappresentazione della città e territorio che interagisce con culture e comportamenti dei
cittadini. Gli strumenti esercitano implicitamente la loro influenza e raramente tengono conto dei cambiamenti che
inducono nei comportamenti e relazioni. I cittadini hanno bisogno di trasformare la relazione tra programmazione
territoriale e nuove configurazioni delle fenomenologie sociali. Gli strumenti sono occasioni di un rapporto d’esplorazione
con le culture locali, di promozione della domanda sociale, che nasce non solo dai bisogni ma anche dall’offerta.
A partire da ciò, il contributo delle scienze umane consiste nel:
• Fare analisi della domanda che rileva risorse, aspettative, culture locali processi di customersatisfaction;
• Fare strumenti di sollecitazione e maturazione dei processi partecipativi per rendere il cittadino co- protagonista
per favorire una comunità competente;
• Valutare su piano psicologico, sociale e culturale l’impatto positivo o negativo degli interventi relativi al piano
regolatore;
• Valutare a breve e lungo termine e monitorare i risultati degli interventi sul vissuto soggettivo dei cittadini;
• Integrare gli strumenti positivi che intervengono nella costruzione del benessere e salute dei cittadini costruire
una rete tra i diversi soggetti istituzionali.
In conclusione bisogna porre come obbiettivo generale del piano regolatore il tema della qualità della vita e ben- essere,
che impone agli organi decisionali di piegarsi alla soggettività dei cittadini e rende evidente la necessità di una diversa
relazione integrativa degli esperti tra di loro e con i responsabili degli organismi politico-amministrativi.

LA RICERCA-INTERVENTO NELLE GROSSE CALAMITA’


In questi casi, dopo le lacrime e il conforto si aprirà il vuoto e la solitudine del confronto con la realtà e proprio
in quel momento la competenza degli psicologi orientati alla salute sarà di aiuto in ottica di apertura al futuro
della
ricostruzione immaginando ciò che renderà speciale la ricostruzione e non lamentandosi di ciò che non va→
possibile modello di fasi dell’intervento:
Co-progettazione: comporre e decidere le funzioni del comitato fatto dai rappresentati delle varie componenti;
Laboratori distinti per fasce d’età: far emergere la propria rappresentazione del processo di ricostruzione per
migliorare il “prodotto” e far emergere senso di partecipazione e responsabilità civica. Gli psicologi devono far
esprimere la vision tenendo conto degli interessi comuni ma anche delle caratteristiche psicologiche delle
diverse fasce d’età (all’inizio gruppi divisi per età)
Negoziazione: momenti di incontro tra i diversi gruppi e poi negoziazioni tra le varie componenti tramite
mediazione, simulazioni, giochi di ruolo;
Esecuzione dei lavori: accresce il senso di responsabilità, può concludersi con una festa e si può organizzare un

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convegno sul tema.

CAP.5 - LA PSICO-PROMOZIONE NEL CICLO DI VITA DEL VIANDANTE


L’approccio della promozione del ben-essere consente allo psicologo di offrire la sua competenza a tutta la
popolazione e in ogni fase della vita, in quanto vi sono molteplici nodi cruciali in cui la promozione del ben-
essere può trovare una specifica domanda di applicazione.
Oggi si tende a rivolgere l’attenzione solo alla popolazione a rischio o patologica e a vedere le transizioni da una
fase a un’altra come crisi in senso negativo invece che come opportunità di sviluppo:
Nella popolazione neonatale, l’elemento centrale di una concezione di promozione del ben-essere consiste nel
vedere il neonato come competente e questa competenza si sviluppa nella misura in cui il genitore stesso si
rapporta in modo competente accettando l’altro come co-protagonista nel processo di relazione.
Negli adolescenti, molti studi vertono sugli aspetti negativi; uno studio sull’adolescenza di Larson e Richards
evidenzia come il 27% degli adolescenti considerati si dichiari annoiato, ma in questo caso bisogna motivarli alla
paura di qualcosa di male o motivarli alla gioia e lo sviluppo?
Negli anziani le perdite fisiche e psichiche inevitabili nell’invecchiamento possono essere viste in luce diversa da
quella consueta, come un passaggio verso una dimensione di leggerezza, di superiorità rispetto alla
sostanziale futilità degli eventi, e un invito a rivolgere l’attenzione su cose semplici e ricche di significato.
Ogni abbandono evoca il richiamo alla morte, l’ultimo distacco, che però va vista come parte della vita, tensione
di sviluppo, come un respiro di libertà da ogni momento della vita → difficile da pensare.

CAP.6 - PSICOLOGIA DELLA SALUTE E PSICOTERAPIA


A differenza della psicologia della salute nei contesti, un problema si pone quando l’orientamento di
promozione lo si deve effettuare a livello individuale o di gruppo, entrando nel dominio della psicoterapia,
termine con un forte radicamento nella visione medica perché implica la presenza di una malattia da
rimuovere.

PRESENZA DELL'ORIENTAMENTO DI "PSICO-PROMOZIONE" NELLE ATTUALI SCUOLE DI PSICOTERAPIA


Alcuni psicologi e psicoterapeuti, in primis gli umanisti, ma anche gli psicoanalisti, hanno riconosciuto il valore
dell’esperienza positiva, riorientando i clienti sulle loro potenzialità invece che sui limiti (Resnick) → ci vuole
una ricerca più mirata alle tecniche appropriate per assecondare una coerente attuazione sul piano della prassi
e in
letteratura ci sono tentativi in questa direzione di “psicologia positiva” anche se, come sottolinea sempre la
Resnick, l’influenza del modello malattia permane anche tra gli umanistici perché non è facile procedere nel
versante della positività in psicoterapia anche perché spesso vive un bias radicato sia nei clienti che nei
terapeuti tale per cui chi si rivolge allo psicoterapeuta porta una domanda implicita di essere risanato dal
terapeuta stesso.

LA MOLTEPLICITÀ DELLE PSICOTERAPIE


La psicoterapia, come versante applicativo della psicologia, porta con sé una serie di problemi di carattere
generale, tra cui quello della molteplicità della psicoterapie: Garfield nota come a metà anni 60 gli approcci di
psicoterapia erano circa 60, nel 1975 erano 130, 5 anni dopo erano 200 e nel 1986 oltre 400. Di qui nasce la
domanda se vi siano differenze di risultati nelle varie forme, la cui risposta è che ogni tipo di psicoterapia
apporta un miglioramento nei soggetti rispetto a quelli di controllo (non c’è differenza di scuola nel successo
della terapia → verdetto di Dodo). Di conseguenza l’efficacia non è dovuta a fattori specifici, ma a fattori
comuni come per esempio la personalità del terapeuta e la relazione terapeuta-cliente. La relazione
terapeutica, essendo trasversale a ogni scuola, dovrebbe poter essere descritta con una “metateoria” (Carere).
Fattori specifici e fattori comuni
Effettivamente si è notato come il modo di operare di un terapeuta esperto è più simile a quello di esperti di
altre scuole piuttosto che di inesperti della stessa scuola.
Seligman e Peterson notano come siano pochissimi i trattamenti che possono vantare il carattere di specificità
e che molte idee rilevanti siano state presentate come “aspecifiche”.
In particolare ci sono due classi di non specificità:
Tattiche: prestare attenzione, essere autorevoli, costruire un buon rapporto, usare trucchi del mestiere, creare
fiducia, incoraggiare ad aprirsi, formulare il problema, chiedere che paghi per le sedute…
Strategie profonde: alimentare speranza, promuovere coraggio, competenze relazionali, ragionevolezza,
insight, ottimismo, autenticità, perseveranza, realismo, capacità di vivere il piacere, orientamento verso il
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futuro, responsabilità personale, ricerca di senso, narrazione (raccontare le proprie storie di vita vedendo la
propria vita con senso e capacità di agire invece che passività, anche se la narrazione viene spesso trascurata
nella ricerca e formazione quando invece assume posizione centrale nell’ambito della psicoanalisi, come
sostiene Ferro).
Sempre secondo gli autori, la promozione di queste risorse ha un effetto terapeutico più ampio degli specifici
ingredienti di risanamento fino a oggi studiati.
La possibilità che le terapie abbiano elementi in comune fu affrontata già nel 1936 da Rosenzweig; oggi c’è una
vasta letteratura che concorda che questi fattori ruotano attorno al modello salute. Il crescendo di riflessioni e
ricerche sui fattori aspecifici spiega il movimento verso l’integrazione delle varie forme di psicoterapia,
incoraggiato anche da due sondaggi che mettono in evidenza come l’approccio preferito da molti terapeuti è di
tipo eclettico (dal 59% al 72% dei casi nel primo svolto da Safran e Messer e dal 55% dei casi nel secondo di
Garfield e Kurtz) e che diventa un vero e proprio movimento organicamente riconoscibile in importanti
iniziative come la SEPI (Society for Exploration of Pstchiterapy Integration), la fondazione del Journal of
Psychoterapy Integration.
Mahoney parla di de-segregazione come requisito necessario per l’integrazione e sottolinea come gli studi a
riguardo si differenziano in 3 filoni:
Eclettismo tecnico: combinare varie tecniche in base all’utilità rispetto ai vari clienti;
Fattori comuni: individuare fattori trasversali alle varie scuole e poi specifici;
Integrazione teorica: il fine dell’integrazione è prima concettuale e poi procedurale.
Un problema che complica l’integrazione è la posizione dei postmodernisti rispetto ai modernisti, che accettano
il movimento integrativo se profondamente aperto a una relazione dialogica fra le diverse scuole per aiutare i
teorici e professionisti a superare l’atteggiamento di superiorità che nasce dal confronto con altre “culture”
terapeutico e adottare invece un senso di sorpresa e curiosità di imparare, atteggiamento rappresentato dalla
figura dell’antropologo culturale (Safran e Messer).
Mahoney infine sottolinea come pochi vadano cercando una singola terapia integrativa migliore delle altre, ma
si vada invece in cerca di un pensiero integrativo che influenzi le terapia per migliorarne e generarne altre di più
utili.
Mentre il dialogo è difficile con finalità integrative, più facile è quello tramite l’incontro su un terreno comune
ma esterno alle terapie: la ricerca scientifica. Liotti rifiuta l’ideologia postmoderna ritenendo l’epistemologia
scientifica moderna come fondamento comune al pensiero clinico psicoterapeutico e ritenendo che
l’integrazione dei linguaggi psicoterapeutici è già in atto e destinata a procedere per conto suo senza bisogno di
fare qualcosa.
Lo psicoterapeuta deve riconoscere la sua appartenenza costitutiva al mondo della scienza e il suo ambito
teorico di base non può che risiedere nella scienza psicologica, come già aveva detto Freud.

LA POSIZIONE DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE: DALLA TEORIA ALLA PRASSI DELLA PSICO-PROMOZIONE
Nella cornice del modello salute lo psicoterapeuta, ovvero lo psico-promotore, abbandonando la visione
dicotomica “normale/anormale” si rivolge al viandante che affronta le circostanze della vita con le sue forze e
con le sue debolezze, coerentemente orientate alla crescita della competenza normativa.
Tra gli aspetti salienti troviamo:
La centralità del cliente e relazione co-costruttiva con lo psicologo: il fattore cliente ha un’importanza
fondamentale in tutte le forme di terapia al punto che Lambert stima che i fattori legati al cliente spiegano il
40% della varianza di outcome, Brown sostiene che le differenze nei metodi spiegano meno del 5% della
varianza di outcome e altri studi dimostrano che la persona che ha ricevuto terapia sta meglio dell’80% del
campione non trattato, di cui fra il 40 e l’87% per merito del fattore cliente;
Consapevolezza ed esplicitazione degli assunti: l’opinione diffusa è quella di interagire col pz in modo neutro e
privo di orientamento valoriale ma questo atteggiamento deriva dall’allineamento alle scienze naturali neutrali,
a-storiche e libere dai valori, in riferimento al concetto di moral vision di Christopher, secondo cui
l’individualismo è la concezione culturale per il solo 30% della popolazione mondiale:
L’idea di sviluppare teorie “oggettive” è impropria perché la conoscenza si basa su interpretazioni che non
possono mai essere obbiettive a motivo della nostra ineliminabile storicità. Il nostro ruolo potrebbe essere
quello di NON proiettare i nostri valori e aiutare gli altri a prendere decisioni all’interno del sistema di valori che
loro ritengono significativi, ma questa visione comporta due conseguenze negative.
La prima è che un approccio distaccato è impossibile se abbiamo un’interazione genuina con gli altri; la seconda
è che si cade nel relativismo dove si perde la voce in capitolo;
La nostra appartenenza culturale non deve essere vista come qualcosa di negativo, ma come una precondizione
per conoscere o per partecipare in modo significativo nella vita e nelle sue lotte → ciò che è cattivo è

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comportarsi come se non fossimo culturalmente inseriti;


Necessità di un processo interpretativo continuo (e disordinato) e di un costante dialogo, dove non puoi solo
applicare nozioni stereotipate su diverse culture ai nostri clienti.

Lo psicologo nel rapporto coi clienti deve appoggiarsi alle conoscenze più aggiornate che derivano dal suo ruolo
specifico di professionista-scienziato, anche se devono essere vissute e presentate in tutta la loro discutibile
verità. E’ costitutivo della responsabilità del ruolo l’essere pienamente competente rispetto agli sviluppi del
pensiero scientifico contemporaneo e consapevole dei limiti che esso comporta (il livello dialogico ermeneutico
e il livello scientifico non sono quindi alternativi).
Visione integrativa di benessere/malessere: lo psicologo della salute deve maturare un appropriato livello di
competenza rispetto alle funzioni classiche della patologia; inoltre nel Sistema di Classificazione Internazionale
del funzionamento della disabilità e della salute (ICF) il costrutto di disabilità viene svincolato dal senso rigido di
malattia perché la condizione di disabilità non appartiene alla persona ma si desume dalla relazione tra le
richieste dell’ambiente e le prestazioni dell’individuo→ rivisitazione dei costrutti di riabilitazione e abilitazione;
infine la tendenza a differenziare gli interventi in rapporto alla gravità del problema è superata perché ci sono
dati di ricerca che dimostrano che anche con un cliente particolarmente malato può essere vantaggioso
puntare sulle risorse minime a sua disposizione.
La valutazione del risultato: è molto complesso valutare l’efficacia di una psicoterapia attraverso la definizione
a priori di obbiettivi da raggiungere (es dell’uomo che fa la pipì addosso), anche all’interno della stessa scuola;
Spostamento dal risultato al processo: il successo della psico-promozione è tutto intorno al processo;
Problema del linguaggio: bisogna creare una parola che esprime il concetto di promozione, convincente come
“psicoterapia” come psico-promozione o psicosalutogenesi la parola terapia è legata al concetto di
“correzione”.

CAP.7 - IL BEN-ESSERE COME OBIETTIVO DELL’ECONOMIA


Da 2 secoli la felicità ha fatto ingresso nel mondo dell’economia e della politica per merito di Bentham che
propone l’utilitarismo, secondo cui il valore positivo o negativo di tutte le azioni andrebbe giudicato sulla base
dei loro effetti sulla felicità umana. La migliore azione è quella che procura maggior felicità a un numero
maggiore di persone. Il tema della felicità è scomparso fino a poche decadi fa per il suo carattere soggettivo e
poco quantificabile per il pensiero positivistico e perché chi se ne doveva occupare, ovvero la psicologia, era
impegnato a studiare il malessere.
Oggi però ci sono nuove metodologie ed è riemerso l’interesse per il benessere: nel mondo occidentale il PIL è
l’indicatore principale che il Paese deve massimizzare per soddisfare la felicità ma oggi questo indicatore soffre
di una crisi che vuole integrarlo con altri indicatori, soggettivi e oggettivi.
Nel pensiero economico tradizionale, una figura fondamentale è quella di Adam Smith che ne “la ricchezza
delle nazioni” (1776) espone la sua teoria del libero mercato secondo cui le persone agiscono sulla base di
istinti egoistici:
1. Le nazioni devono concedere all’egocentrismo una libertà maggiore di quanto non sia stata data da
sistemi religiosi
2. L’egocentrismo (anche se guidato dalla meno etica delle motivazioni) è una forza pro-sociale che
stimola più energia produttiva e la concorrenza previene i danni di un eccessivo sfruttamento,
rappresentando così una sorta di mano invisibile.
Una considerazione indispensabile da fare però, è che per Smith il modello del libero mercato si basava sulla
convinzione di fondo del potere della solidarietà umana, secondo cui (come sostiene ne “la teoria dei
sentimenti morali”) la capacitò umana di solidarietà impedisce una crudeltà eccessiva verso gli altri impedendo
che si formi un’economia moralmente irresponsabile.
MacDonald, economista orientale che critica l’economia occidentale sottolinea come ben presto i requisiti
morali di Smith furono accantonati perché tanto “la mano invisibile avrebbe pensato a fare giustizia”. Anche la
distruzione ambientale non venne considerata in quanto si credeva che le risorse erano illimitate. Questa
moderna teoria economica fu aggravata da due razionalizzazioni:
1. L’equazione tra attività economica e soddisfazione di tutti i bisogni fondamentali dell’uomo;
2. Cinismo secondo cui l’umanità è incapace di azioni premurose → individui come “razionali
massimizzatori della propria utilità individuale.
Tideman, economista inglese a contatto con il mondo orientale, nota come questi assunti si sono sviluppati nel
momento storico del distacco della religione dalla scienza e quindi subendo l’influenza delle grandi scoperte
scientifiche in una visione del mondo come macchina che l’uomo deve guidare. Parallelamente Darwin mostra
come l’uomo derivi dalla scimmia primitiva motivata da avidità e aggressione.
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Nel XIX secolo, Malthus e Ricardo sostengono che le economie sono sistemi chiusi con quantità fisse di beni
materiali. La scarsità quindi diventa uno stato naturale: allo stesso modo anche la competizione e la guerra
sono naturali. Quindi l’uomo è intrinsecamente RAZIONALE e sono predicibili le scelte comportamentali.
Per tutte queste considerazioni è facile capire come mai il PIL è stato sempre tenuto come indicatore del ben-
essere. Ma oggi è opportuno distinguere il ben-essere soggettivo (di interesse dell’economia) e il ben-essere
psicologico.

BEN-ESSERE SOGGETTIVO
Easterlin con il suo paradosso della felicità dimostra come al crescere della ricchezza inizialmente cresce anche
la felicità, ma poi rimane costante con tendenza ad abbassarsi. Come si spiega?
Gioia o tristezza dopo un certo tempo tendono a svanire, costringendo gli uomini a vivere su un tapis roulant in
cerca continua di nuove stimolazioni senza mai raggiungerne di permanenti (Brickman e Campbell), dove un
ruolo fondamentale lo assumono i geni che determinano una linea base (Teoria del SET POINT) di felicità che
rimane costante nel tempo, seppur può oscillare moderatamente; Lyubomirsky, Sheldon e Schkade, nel loro
modello concettuale individuano 3 fattori che determinano il benessere:
1. il set point di felicità (oppure set range, inteso come gamma invece che punto) (spiega il 50% della
varianza);
2. le circostanze di vita (10%);
3. la attività positive c-c orientate verso un fine (40%);
Confronto sociale, secondo cui essere felice dipende dal confronto con due norme: cosa guadagnano gli altri
rispetto a te (ti paragoni con gruppi di riferimento e se aumenta il guadagno campi gruppi di paragone → se
aumenti a tutti il guadagno non aumenta la felicità perché rimangono i gap) e cosa tu stesso sei abituato a
guadagnare.
Queste concezioni portano alla crisi dell’equazione aumento della ricchezza = aumento del benessere, ma
nonostante ciò non ci sono ancora strumenti in grado di convincere la politica a integrare o sostituire
l’indicatore del PIL con altri indicatori; inoltre occorre anche una maturazione culturale.
Nonostante ciò per le scienze psicosociali è doveroso criticare la visione della natura umana tipica
dell’economia:
Critiche al concetto di “razionalità umana”: nella visione classica le persone hanno un comportamento razionale
con eccezioni possibili ma marginali (questa visione serve ad avere sistemi economici in equilibrio nel lungo
termine, così da poter fare previsioni).
Kahneman con la Teoria del prospetto prende il premio Nobel sostenendo che quando si deve decidere in
materia economica le motivazioni psicologiche, incluse emozioni e pregiudizi, sono importanti nel determinare
il comportamento delle persone: se le persone non sono del tutto razionali le loro scelte non per forza
massimizzano l’utilità sperimentata e l’aumento delle opportunità non per forza migliorerà le scelte;
Critiche al concetto di natura egocentrica: sempre Kahneman parla di egocentrismo limitato e non totale in
quanto la concentrazione sugli aspetti negativi della natura umana è ampiamente presente nella cultura e
l’egocentrismo è la rappresentazione dell’istanza accrescitiva di cui il PIL è lo strumento di pompaggio più
adeguato.

BEN-ESSERE PSICOLOGICO
Nella prassi economica il primo bisogno è stato ridotto alla dimensione accrescitiva scotomizzando l’altro
dimensione fondamentale, quella della coesione sociale, mentre l’equilibrio tra le due componenti in rapporto
di mutualità è fondamentale perché la mutualità è un’alternativa scientificamente fondata all’egocentrismo. È
possibile quindi passare da un’idea di PIL come fine a PIL come mezzo al servizio del ben-essere della persona
così come si è passati dal modello biomedico a quello biopsicosociale: in entrambi i casi la svolta si gioca
tramite un’apertura sistemica dai livelli più bassi a quelli più alti della condizione umana, considerando non solo
il livello di salute individuale e non solo il PIL come fattore di crescita anche perché l’aumento del ben-essere in
una rete relazionale che aumenta la partecipazione aumenta anche la responsabilità e la disponibilità a
produrre beni materiali. Il peso eccessivo della nostra cultura individualistica rispetto alla coesione può essere
alla base dell’egocentrismo dell’Occidente (per esempio in Bhutan, paese orientale, si è passati dal PIL al FIL -
felicità interna lorda- che si basa non solo sulla crescita economica, ma anche su buona governance, preservare
e promuovere la cultura, conservare l’ambiente – seppur questa apertura alla connessione può sfociare in
comportamenti non apprezzabili come l’espulsione di una minoranza etnica).
Oggi il tema del cambiamento degli indicatori viene proposto nella politica (Cameron, capo del governo inglese
“pensare non a ciò che dobbiamo fare per mettere denaro nelle tasche delle persone ma gioia nei loro cuori”)
come si può notare dalla conferenza “oltre il PIL” di Bruxelles del 2007 per individuare indicatori più adeguati e
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dall’istituzione della commissione Sarkozy per individuare i limiti del PIL, trovare informazioni sulla produzione
di indicatori, valutare strumenti di misura alternativi, presentare le info statistiche in modo adeguato.
Tra i tentativi di modulare il PIL troviamo:
Genuine Progress Indicator (indicatore di progresso reale) che distingue le spese positive da quelle negative (es
costi di criminalità, inquinamento..);
Sostituzione del PIL col FIL, promossa dalla corrente neo-utilitarista e applicata solo in Bhutan → criticato in
quando la felicità non può essere il fine ultimo delle persone → il FIL però può valorizzare il suo distinto ruolo in
aggiunta al PIL;
Indicatori di natura oggettiva della distribuzione del PIL: indici di povertà, indici di distribuzione come il Gini, il
Sen o l’Atkinson.

Più difficile il problema dell’integrazione tra indicatori, dove Foregard suggerisce il dashboard (cruscotto) come
approccio che non cerca di ridurre il benessere a un numero ma incoraggia a trovare informazioni su aspetti
oggettivi e soggettivi del benessere.
→ una sigla appropriata potrebbe essere BIL (ben-essere interno lordo) entro cui potrebbero convergere i
classici indicatori di produzione ma anche quelli di benessere soggettivi e oggettivi e quelli di ben-essere
psicologico.
Anche in questo ambito è importante notare le limitazioni dovute al linguaggio, in particolare alla distinzione
tra due concetti:
Crescita = appropriata nella visione economica tradizionale perché rappresenta un concetto lineare e semplice
di aumento della produzione di beni materiali nell’ordine della quantità→ il PIL è un indicatore di crescita e non
di sviluppo;
Sviluppo = si riferisce alla libertà delle persone nell’esprimere le capacità e nell’intraprendere azioni in linea con
le scelte valoriali personali→ è un concetto che non racchiude solo il PIL, ma anche elementi di natura
psicologica (Paesi sottosviluppati diventano Paesi sottocresciuti).
La relazione che si deve stabilire tra crescita materiale e sviluppo del ben-essere individuale e sociale prevede
un rapporto di reciproco potenziamento dei 2, immaginati ognuno come un continuum con agli estremi, nel
primo caso, indigenza/opulenza e nel secondo caso povertà/ricchezza così che può esistere un Paese ricco
indigente oppure povero opulento.
Questo passaggio è molto lento perché la cultura di oggi è propensa ad affidarsi al PIL, come il PIL fosse una
droga delle nazioni, strumento unico e indipendente dal BIL. Nel linguaggio comune, inoltre, abbiniamo il
benessere al possesso di beni (benestante = uno che ha tanti beni), mentre ci sono culture diverse dove i
concetti di povertà e ricchezza assumono significati coerenti col concetto di sviluppo, in particolare il Bhutan
dove la povertà nasce quando le persone non sono in grado di contribuire alla propria comunità in modo
significativo → per alleviare la povertà bisogna favorire la crescita delle capacità di dare agli altri in modo
appropriato.

CAP.8 - LA TRADUZIONE CONCRETA NELL’AGIRE POLITICO


Si cercherà di tradurre concretamente nell'agire politico i concetti visti fino ad ora passa per il concetto di ben-
essere soggettivo, in grado di individuare elementi non segnalati dagli indicatori oggettivi.
Gli indicatori di benessere permettono un significativo monitoraggio di ambiti collegati al tema della qualità
della vita, come la salute pubblica, i trasporti, le famiglie, il lavoro ecc. Le misure di benessere soggettivo
possono essere usate:
• Come input alle discussioni e analisi delle politiche nazionali,
• Per i leader come indicatore di informazioni su benessere e preoccupazioni dei cittadini;
In letteratura ci sono molti esempi di utilizzo di questi indicatori da parte di leader politici → es. studi sulla
disoccupazione o sul pendolarismo.
Il politico deve tener conto dei limiti della visione edonica in quanto gli effetti sono poco duraturi, ma deve
ricorrere ad altri indicatori in linea con una visione eudemonica che caratterizza il ben-essere psicologico e
rende più stabili i livelli di felicità. Il compito della politica è quello di promuovere a tutto campo il ben-essere, e
non semplicemente al felicità dei cittadini, passando quindi per la crescita dell’individuo ma anche per il suo
sviluppo per e nella relazione con l’altro.
Nel mondo di oggi ci sono cambiamenti nelle diverse relazioni sociali:
Lo studente non più oggetto di insegnamento ma soggetto di apprendimento;
Il pazienti non più oggetto di terapia, ma soggetto di salute;
L’esperto, non più sopra di te o come te, ma con te rispettando il tuo ruolo e impegno;
Il politico, non più amministratore e erogatore di servizi ma attivatore di processi nella comunità.
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Pertanto il politico deve favorire questi cambiamenti nei vari contesti organizzativi e istituzionali, tra cui
troviamo:
scuola: i politici italiani devono sostenere e incentivare iniziative LSE, devono saper distinguere tra
promozione e prevenzione (es: emergenza bullismo, non intervenire solo contrastando l’evento negativo, ma
inserire azioni di promozione di risorse positive);
contesto sanitario: riflettere sul vero significato di promozione (es: iniziative “salute in tutte le politiche”
promosse dall’UE che mira a considerare le conseguenze che ogni azione politica ha sulla salute de cittadini. I
politici dovrebbero sostenerle ma in realtà ancora una volta si registra una deviazione sul versante
“malattia/prevenzione”).
Oltre alla possibilità del politico di promuovere ben-essere dei cittadini nei contesti, egli deve anche assumere il
ruolo di promotore tramite il coinvolgimento partecipativo diretto con i cittadini e livello istituzionale e anche
a livello delle amministrazioni locali. Questo richiede un vero e proprio cambiamento della natura stessa del
processo politico perché la co-costruzione richiede anche un cambiamento della relazione politico-cittadino,
non certo privo di difficoltà, come quella del cittadino di superare la posizione passiva di chi chiede ed esige o
quella del politico di abbandonare il carattere prescrittivo/autoritario del potere, superabili però tramite il
riconoscimento dell’uguaglianza e il rispetto della differenza.
Oltre a questa difficoltà, è possibile individuarne un’altra, avanzata dal politico: il bisogno di risultati a breve
termine è una costante nella prassi politica, perché danno sollievo immediato e garantiscono consenso e ri-
elezione. Ma in questa visione la politica fatica a capire che le persone possono derivare utilità anche nel
processo con cui si persegue un risultato, anche se poi si verifica a distanza, purchè sia un processo
partecipativo che si svolga con modalità procedurali di qualità tecnico-scientifica e che venga condotto da una
componente politico-amministrativa la cui autorevolezza venga percepita come espressione di volontà di
condivisione. Frey e Stutzer dimostrano che in Svizzera l’attivazione di processi partecipativi da parte dei
governi ha un significativo effetto positivo sul ben-essere.

CAP.9 - LO PSICOLOGO DI BASE


Oggi sta nascendo l’ipotesi di istituire, a fianco al medico di base, lo psicologo di base e questo argomento può
interessare molto la psicologia della salute perché si parla di cura a livello primario. Questa ipotesi è sostenuta
da ragioni scientifico-culturali:
La maggior parte dei pazienti che vanno dal medico di base per disagi psicologici, inizialmente presenta una
sintomatologia fisica al medico (stime dicono che i problemi psicosociali sono tra il 40% e il 60% di tutte le
consultazioni);
Il passaggio al modello biopsicosociale vede un’integrazione sistemica tra i vari componenti che al giorno d’oggi
si rivela ancora molto lenta. Spesso non avviene e quando una persona va dal medico per problemi psicologici
non riceve un servizio appropriato o non viene creduto: per quanto un medico possa essere sensibile a
problematiche psicologiche, il suo sguardo sarà cmq rivolto al “paziente”;
La concezione bivariata di salute impone di farsi carico, oltre che del mal-essere della persona, anche del ben-
essere ( il medico utilizza lo psicologo per valutare l’influenza della soggettività del cliente nel gioco complesso
del rapporto fra ben-essere e mal-essere).
L’attenzione alla componente psicologica nelle cure primarie trova ampio riscontro a livello internazionale
(come sostiene il presidente dell’APA nel 2009) seppur gli psicologi stessi dimostrino poca propensione a
lavorare in questo ambito.
Qual è il ruolo dello psicologo di base? L’orientamento dello psicologo di base mira alla promozione della
salute, evitando la psicologizzazione o medicalizzazione dei problemi.
Qual è il suo rapporto col medico di base? Il suo rapporto è alimentato dal rispetto della visione sistemica, e
quindi dalla relazione di interfaccia tra lui e gli altri professionisti. Nell’ambito della cura primaria, ci sono 3 tipi
di servizi:
Coordinati: c’è collaborazione ma a distanza, in setting diversi;
Co-locali: collocati nello stesso setting;
Integrati: nella stessa collocazione, vedono le componenti mediche e psicologiche coinvolte nello stesso luogo
in piani di trattamento per singoli o gruppi (presenza congiunta di entrambi) offrono maggiori garanzie di
efficacia
Quale deve essere la sua formazione? In Olanda, dopo la laurea magistrale, percorso di 2 anni come psicologo
della salute e poi training di un anno dove ogni settimana dedichi 4 giorni alla pratica supervisionata di cura
primaria e uno alle lezioni universitarie.
Quali difficoltà e opportunità? Nel mondo psicologico domina l’orientamento simil-medico; possibili resistenze
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dei medici che si sentono spodestati; difficoltà economiche anche se in realtà questa iniziativa riduce i costi (in
Olanda questi interventi producono un 10% di risparmio sul costo della spesa medica).

CAP. 10 - CONCLUSIONI
La psicologia della salute permette di superare lo hiatus fra teoria e applicazione, considerato ancora oggi un
problema dovuto all’appiattimento alle metodologie delle scienze naturali e al modello biomedico: la salute
come ben-essere richiama esplicitamente l’attenzione sui processi che regolano le funzioni adattive di sviluppo
della persona e della convivenza nel contesto socioecologico → se questo è l’obbiettivo specifico della
promozione della salute, le discipline di base dei corsi di laurea, dai processi generali di funzionamento
psicologico e psicobiologico a quelli centrali dello sviluppo lungo il ciclo di vita fino al campo della relazioni
psicosociali, sembrano offrire il terreno più idoneo per orientare gli indirizzi applicativi in stretta continuità con
la teoria.
Inoltre la psicologia della salute permette un ritorno a un rapporto adulto col genitore "filosofia": la psicologia è
figlia della madre-filosofia e del padre-medicina e col tempo ha sviluppato un eccessivo attaccamento al padre
(per poter acquisire identità scientifica in linea con la cultura positivistica dell’epoca) e un distacco dalla madre
per paura di legame simbiotico; successivamente ribellione verso il padre e poi riavvicinamento. La psicologia
della salute permette un allontanamento dalla malattia-padre e un avvicinamento alla salute-madre. Ryff e
Stinger sostengono che la trascuratezza verso la filosofia sui “beni della vita” (goods in life) ha minato gli sforzi
di capire la salute positiva.

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