Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
INTRODUZIONE
La psicologia della salute, come disciplina formale, si è affermata negli Stati Uniti dagli anni'70.
Tra le diverse ragioni della sua diffusione, vi è in primis il notevole mutamento nella prevalenza delle principali
patologie nei Paesi occidentali, passando dalle malattie infettive (la più importante causa di morte fino a
qualche decennio prima) a una crescita delle malattie a decorso cronico, come le malattie cardiovascolari,
cancro, diabete, infortunistica (soprattutto stradale). Questo ha determinato un aumento dell'importanza delle
determinanti psicologico-comportamentali, nel nuovo panorama della patologia, e ha facilitato un maggiore
coinvolgimento degli psicologi.
Con l'affermazione del modello bio-psico-sociale si è assistito a una naturale estensione della tradizionale
"psicologia medica", ovvero un supporto alla medicina nella condivisione dell'obiettivo comune di sconfiggere
le malattie.
Altra novità si manifesta nella stessa parola salute: fino a non molti anni fa, era semplicemente intesa come
"assenza di malattia", mentre oggi viene intesa come presenza di benessere.
L'OMS (1948) definisce la salute non come assenza di malattia, ma è uno stato di benessere fisico, psichico e
sociale. Tuttavia, nonostante le ripetute "raccomandazioni" dell'OMS, il concetto di salute come ben-essere
rischia di disperdersi nelle linee superficiali del salutismo e del consumismo edonico.
La definizione di Psicologia della Salute, approvata al momento dell'istituzione formale nel 1980 ed ancora oggi
accettata, non pone al primo punto la diagnosi e il trattamento terapeutico della patologia, ma la promozione
della salute.
Il ritardo e la difficoltà di questa disciplina si possono capire anche dall'uso del linguaggio:
1. Influenza negativa dei codici linguistici (introdotti e consolidati nel campo della malattia)
2. Vistose lacune di parole e metafore in grado di rappresentare i concetti originali della salute.
A questo proposito è possibile introdurre un neologismo salutìe, al fine di segnalare un senso di novità nel
panorama tradizionale della salute. A fronte di una confortante ricchezza di conoscenze che abbiamo sul
versante della malattie (con il suo plurale, malattie), vi è una desolante povertà in quello della salute: la
curiosità della scienza sembra riservata solo al malfunzionamento e al difetto, e non al vasto mondo delle
risorse, delle competenze, del corpo come della mente, dell'individuo come della società.
1
lOMoAR cPSD| 1616544
La nascita della psicologia della salute, come nuovo ambito disciplinare, costituisce un passo significativo per la
psicologia, in quanto la parola "salute" trova un'accoglienza ufficiale nel territorio della scienza psicologica.
Tale disciplina si affermò negli USA e la sua emergenza formale si può ricondurre agli anni '70 con la
costituzione della divisione nell’APA che raccolse un grande numero di iscritti.
La definizione di psicologia della salute, proposta in quella sede nel 1980 e poi generalmente accettata è:
L’insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica mirati:
1. alla promozione e mantenimento della salute;
2. alla prevenzione e al trattamento della malattia;
3. all’identificazione di correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni
associate;
4. all’analisi e miglioramento del sistema di cura della salute ed elaborazione delle politiche della salute.
Tale definizione è un repertorio onnicomprensivo di tutte le applicazioni della psicologia in ambito
sostanzialmente sanitario.
Considerazioni: anche se appare importante l'aver collocato al primo posto il tema della promozione della
salute, appare bene in vista lo scenario del modello di malattia, in linea con la vecchia psicologia medica.
Ciò costituisce un motivo di critica, in quanto la definizione nel suo insieme no trasmette il respiro di vera
novità che il riferimento alla parola "salute" meriterebbe.
Il clima culturale del periodo in cui essa nasceva si caratterizza per il diffondersi delle concezioni sistemiche
nelle discipline scientifiche, dove si faceva strada un passaggio dal modello biomedico tradizionale (forte
tendenza al riduzionismo) al modello bio-psico-sociale, di impronta sistemica.
Critiche: dagli aspetti dogmatici o metascientifici del modello derivano conseguenze negative:
disumanizzazione, tecnicismo spersonalizzante, "imperialismo" del livello biologico rispetto agli altri.
Pregi: grandi progressi delle applicazioni biomediche basate su tale modello.
Occorre sottolineare come la tentazione al riduzionismo e al dualismo caratterizza anche la psicologia: essa è
nata con Wundt alla fine dell’800 come psicofisiologia, ma a cavallo tra le guerre il cervello è diventato una
scatola nera e lo psicologo un non-fisiologo. Come conseguenza del pregiudizio dualistico la psicologia ha
accettato fino a pochi anni fa la distinzione tra malattie somatiche, psichiche e psicosomatiche.
Per tutte le discipline coinvolte nella cura della salute, si presenta quindi il problema della rigorosa specificità
delle aree teoriche e delle pratiche professionali. Da qui nasce un problema sia per la teoria che per la pratica.
malattia in malattia, di persona in persona, di episodio in episodio non si può a priori distinguere una classe di
malattie psicosomatiche. Il concetto di cause singole e di sequenze unilineari (es. dalla psiche al soma e
viceversa) è semplicistico e obsoleto, in quanto tutte le alterazioni della salute prevedono l'interazione
dinamica di fattori multiple che capitano in costellazioni varianti e in sequenze temporali, a loro volta
modificate da effetti retroattivi.
La psicoanalisi ha offerto ampi spazi di ispirazione alla relazione fra livelli somatici e psichici, in quanto la stessa
opera di freudiana nasce dallo studio di fenomeni fisici, detti isterici, negletti però alla medicina. Freud però
evitò di occuparsi dal punto di vista psicoanalitico di disturbi che implicassero lesioni organiche, nel timore di
essere confuso con la schiera dei guaritori dell'epoca pre-positivista.
Lipowsky afferma quindi che il modello biopsicosociale non rende necessaria la distinzione tra malattie
psichiatriche, psicosomatiche e mediche.
Tuttavia, questo modello presenta dei problemi epistemologici che, se non affrontati, possono aprire ampi
spazi di ambiguità: come è possibile affrontare l’intero, aprire lo sguardo a una visione olistica del sistema
mente-corpo con strumenti scientifici?
Questo orientamento metodologico non solo è legittimo, ma anche utile. Ridurre il nostro campo di
osservazione (specializzazione) a un singolo livello è importante e necessario, a condizione che il livello stesso
non venga definito come basico.
La teoria dei sistemi ha un orientamento metodologico che guarda invece all’in sù, dalle parti all'intero, col
rischio di arrivare a un riduzionismo dogmatico ingiustificato, verso l’alto (es. la società è responsabile del
sintomo dell’individuo). E’ necessario specializzarsi in un livello (anche dal p.d.v. formativo/professionale) dal
momento che nessuno può afferrare la complessa articolazione dell’intero, ma a una sola condizione:
mantenere aperta la comunicazione con gli altri livelli, perché nessun livello è totalizzante o basico.
Dunque: Gli organismi biologici sono entità complesse con livelli diversi di organizzazioni strettamente
interconnessi. Inoltre, nessun riduzionismo dogmatico può essere accettato nell’ambito scientifico.
Per l’impossibilità di abbracciare con metodologia scientifica tutti i livelli insieme, la specializzazione (o
differenziazione dei ruoli professionali) è necessaria al progresso scientifico purché si abbia:
1. consapevolezza che ogni taglio di delimitazione del livello di analisi è del tutto arbitrario
2. conseguente riconoscimento dell'importanza di essere in comunicazione aperta tra i livelli
3. integrazione (oltre alla differenziazione)
Esso sottolinea due aspetti fondamentali collegati tra loro, la cui valorizzazione ha conseguenze pratiche nel
sistema di cura della salute:
Specificità di ogni livello di analisi: specializzazione teorica e metodologica delle differenti discipline, pur
tenendo presente che i livelli che costituiscono i fondamenti delle specializzazioni siano sì necessari per operare
scientificamente, ma stabiliti in modo arbitrario; le condizioni che legittimano il loro uso sono:
1. Il riduzionismo metodologico (e non dogmatico!)
3
lOMoAR cPSD| 1616544
Applicazione: la specializzazione conduce a una veduta parziale dell’evento studiato . Ne consegue che ci deve
essere comunicazione, oltre che fra i livelli, anche fra i professionisti arrivando quindi a una interdisciplinarietà
fra operatori del settore applicativo. Purtroppo è stato fatto poco in questa direzione e qui si pone quindi un
problema specifico di formazione perché non esistono insegnamenti specifici nei corsi di laurea quando invece
è importante che questa mentalità venga formata proprio a livello pre-laurea, quando lo studente sviluppa
atteggiamenti stabili a duraturi.
In seguito tale concetto è stato utilizzato da Hans Selye per descrivere la sindrome generale di adattamento
dell’organismo di fronte a pressioni o sfide ambientali. Le scoperte di Selye hanno avuto grande impatto nella
medicina e nella psicologia della salute. Mentre nelle prime formulazioni del concetto di stress il focus era sulla
varietà di stimoli stressanti e sull’uniformità delle risposte, successivamente con lo sviluppo delle discipline
psicologico-comportamentali emerse la pregnanza della variabili che intervengono tra stimolo e risposta.
Lazarus e Folkman (1984) affermarono che la relazione tra stress e malattia non è solo di tipo semplice, ma
dipende in consistente misura da:
1. Differenze individuali biologiche e di personalità
4
lOMoAR cPSD| 1616544
2. Dal contesto
3. Dalle risorse a disposizione
4. Dalla percezione dell’evento stressante stesso.
Inoltre mentre prima degli anni ’70 si pensava che lo stress contribuisse allo sviluppo di patologie
psicosomatiche, ma successivamente si indagò sulla relazione tra stress e tante altre patologie che si credevano
di natura strettamente organica: es. malattie cardiache, ictus, tubercolosi, diabete, leucemia, cancro e vari tipi
di malattie infettive, perfino la comune influenza.
Friedman e Rosenman (1974) studiarono le patologie cardiovascolari identificando una connessione tra il
rischio coronarico e un comportamento di tipo A (competitivo, ostile, urgente). Reiser (1980) sottolinea come il
cervello coordina funzioni mentali, comportamenti, funzioni corporee.
INFLUENZE PSICOLOGICHE SUI PROCESSI IMMUNITARI: si tratta di un'altra tematica dove si registra un rinnovato
interesse per merito di autori statunitensi (Ader, Cohen) che condussero uno studio sui ratti tramite un
condizionamento pavloviano in grado di modificare la reattività immunitaria tramite il SNC. Una funzione
classicamente ritenuta autonoma come quella immunitaria finisce quindi per rivelarsi intimamente collegata al
SNC e perciò potenzialmente influenzabile, per quella via, da fattori complessi di ordine mentale.
Negli anni ’70 un gruppo di psichiatri e immunologi australiani studiò le difese di 26 persone a distanza di 2 e 6
settimane dal divorzio: persone separate da poco e che erano molto legate al partner hanno un sistema
immunitario peggiore.
Infine Cohen dimostra una minore attività delle cellule Nk in un campione di disoccupati. Queste ricerche
aprono una breccia significativa tra medicina e psicologia, anche perché la medicina non riesce a far
fronte a nuove patologie senza l’apporto di una disciplina deputata allo studio del comportamento.
È doveroso riconoscere che ancora ben poco sappiamo circa la natura e il significato funzionale di queste
relazioni. Ader afferma che la divisione da professionalità che si occupano del soma e quelle della psiche è
arbitrari: vi è solo un organismo, e la natura delle relazioni fra sistemi è altrettanto importante, dal p.d.v.
funzionale, delle relazioni entro un sistema.
terreno in cui la misura nell’ordine della quantità e il metodo sperimentale costituivano i lineamenti salienti.
Ma la problematicità di questa scelta diventa più inquietante per la psicologia quando anche nelle scienze
biologiche nascevano dubbi sull’adozione delle misure tradizionali delle scienze fisiche, come sottolineato da
Canguilhem secondo cui quando si ha a che fare con processi biologici non si può usare l’approccio scientifico
tradizionale perché il biologico è caratterizzato da una sfuggevole variabilità dei processi vitali. Ancor più critici
sono i nodi da sciogliere affrontando il percorso della salute rispetto a quella della malattia perché la scelta
della positività allarga la soggettività ulteriormente. Il problema del metodo inoltre si è accentuato proprio in
coincidenza con la nascita della psicologia della salute coincidenza non casuale perché la salute si rivolge alla
vita e la vita richiede strumenti flessibili, mentre quando si parla di malattia è molto più coerente
e accettabile l’uso di metodologie quantitative tradizionali (Gadamer). Quando si parla di salute appaiono
evidenti i limiti delle conoscenze raggiungibili nella comprensione della soggettività utilizzando metodi
quantitativi (sostenuti dalla psicologia positiva- approccio nomotetico), seppur debba essere riconosciuto il
contributo che queste metodologie hanno portato per la comprensione di fenomeni complessi della mente
Si è affacciato all’orizzonte l’orientamento delle metodologie qualitative (sostenute dalla psicologia
umanistica – approccio idiografico). Questi due modi di procedere sono sempre stati visti come in
contrapposizione, mentre secondo Braibanti questa insistente lotta porta solo alla separazione netta dei due
settori quando invece la correttezza degli strumenti dipende dalla coerenza con questo obbiettivo e non
dall’uso dei numeri. E’ opportuno superare l’idea di scienza rigidamente bloccata alla scelta di un metodo unico
da applicare allo studio di tutte le realtà perché ci vuole una pluralità dei metodi che tenda ad un processo
integrativo, senza rinunciare a indagare obbiettivi intrisi di elementi valoriali o usando metodi
tradizionalmente rispettati ma del tutto inappropriati all’oggetto perché sono le domande che il ricercatore si
pone a strutturare le metodologie da adottare. Quantificare l’umanesimo e umanizzare la quantificazione
(Sheldon, Kasser).
L’appiattimento al modello medico: il distacco dalla filosofia e l’avvicinamento alla biomedicina e fisiologia
hanno intaccato l’identità della psicologia mostrando una forte influenza del modello medico-clinico e portando
ad un appiattimento al setting medico-psichiatrico dove si è trovata ad operare, specialmente la psicologia
medica e clinica.
È sufficiente notare quante parole (clinica, diagnosi, terapia, devianza) siano transitate e facciano parte del
patrimonio culturale della psicologi. Nel secolo scorso, denominazioni di derivazione medica (come "psicologia
clinica") hanno paradossalmente consentito ai medici di reclamare una competenza esclusiva su queste
discipline applicative. Infatti, fino al 1989, sul piano giuridico solo il medico era abilitato alla psicoterapia,
mentre l'accesso alla psicoterapia era vietato anche ai laureati in psicologia (da notare che in quegli anni il
laureato in medicina molto spesso non aveva avuto nemmeno l'opportunità di un insegnamento di psicologia).
Le aree ricoperte dalla clinica psicologica sembrerebbero abbracciare il più vasto campo delle applicazioni della
psicologia, soprattutto dell'età evolutiva (di fatto la prima clinica psicologica non è altri che una child guidance
clinic). Pertanto, il termine adottato da Witmer dovrebbe essere considerato come una semplice analogia o
"metafora" della clinica medica: "klinos" = letto. Visto che i medici hanno la clinica, così anche gli psicologi
devono avere la loro clinica, seppur senza letto.
Negli anni successivi, la "clinica" diveniva sempre più un termine usato per un'area specificatamente collegata
ai problemi medici e della salute.
Il termine clinico è anche riferito al "metodo", fortemente in uso nella tradizione medica: studiare in profondità
il caso singolo, traendone conclusioni di carattere generale.
6
lOMoAR cPSD| 1616544
E allora cosa intendiamo quando diciamo psicologia clinica? Questo temine è inappropriato e, nella migliore
delle ipotesi, genera confusione.
La presentazione della clinica psicologica all’APA da parte di Witmer fu accolta con grande freddezza. Per
riscuotere più successo, ha voluto forse ricorrere al termine “clinica” intesa come una metafora forte e
suggestiva tratta dal mondo medico ed è riuscito nel suo intento facendo penetrare la parola clinica nella
psicologia.
Witmer abbandonò il termine "psicologia clinica" nel 1909 promuovendo l'adozione del termine ortogenica che
include tutto ciò che oggi si chiamerebbe prevenzione primaria, secondaria e terziaria. In sostanza, l'ortogenica
era una professione interessata allo sviluppo umano, sia individuale sia di specie. Tale disciplina si occupa
primariamente delle cause e del trattamento del ritardo e della devianza, ed è per definizione la scienza dello
sviluppo normale, comprendendo entro il suo ambito tutte le condizioni che facilitano, conservano od
ostacolano lo sviluppo normale della mente e del corpo (1925). Aveva tra i suoi obbiettivi il cambiamento
sociale e che si occupa di cause e trattamento della devianza e del ritardo. Ma in poche persone accettarono
questo nuovo termine. Witmer, col passare degli anni, diventava più convinto di aver intravisto un tema
unificante che attraversa lo sviluppo umano: l’essere umano si sforza continuamente di perfezionare il suo
comportamento (quella che oggi è l’autorealizzazione diventa l’obiettivo centrale della sua clinica).
PSICOLOGIA UMANISTICA
Nasce negli anni 50-60 del secolo scorso dando rilievo agli aspetti positivi della mente e portata avanti da autori
come Maslow, Murray, Rogers. Maslow nel 1954 aveva pubblicato “Motivazione e personalità” dove l’ultimo
capitolo si intitolava “Verso una psicologia positiva”. La prima fase della psicologia umanistica (1960-1970) fu
guidata dall’agenda di Maslow che articolava una visione olistica della persona, bisognosa di connessioni e
significato. Questa visione portò un contributo notevole al counseling familiare e organizzativo. La proposta
della psicologia umanistica, ben descritta dalla Resnick, consiste nel favorire una scienza che sostiene il primato
dell’esperienza sulle verità astratte e una metodologia descrittiva o qualitativa, pur abbracciando l’esigenza di
rigorosità. I metodi qualitativi della psicologia umanistica derivano dalla fenomenologia di Husserl. Taylor, un
critico della p. positiva, afferma che la parola “positiva” può riferirsi alla posizione epistemologica del
positivismo tradizionale di Comte, oppure al concetto di rinforzo positivo basato su una ricompensa che è più
efficace della punizione, oppure ancora a tutto ciò che si oppone in senso dualistico al termine negativo, che
rende il termine però relativo.
PSICOLOGIA POSITIVA
Negli anni ‘90 si è affermato il movimento della Psicologia Positiva in USA con a capo Seligman, che nel primo
capitolo del suo manuale afferma che questa psicologia riuscirà a capire e costruire i fattori che consentono a
persone, comunità e società di svilupparsi in modo fiorente e utilizzando gli stessi metodi e laboratori usati fino
ad ora i futuri scienziati cercheranno di comprendere e costruire le caratteristiche che rendono la vita più
degna di essere vissuta. Fin dalla nascita la p. positiva ha riconosciuto nei leader della p. umanistica i loro
precursori, tuttavia emerge una tendenza a distinguersi dalla p. umanistica a cui si attribuisce una scarsa
aderenza all’uso di metodi quantitativi, utilizzati invece dalla p. positiva. Seligman, un critico della p. umanistica,
afferma che la p. umanistica non rappresenta la p. positiva perché non ha generato una tradizione di ricerca.
Taylor, controparte di Seligman, muove altrettante critiche nei confronti della psicologia positiva, a partire
dall'uso stesso della parola "positiva", dietro la quale si nascondono 3 significati:
1. Significa positivismo: nel richiamo continuo agli standard della psicologia sperimentale si riconosce il
senso implicito di posizioni epistemologiche riferite al positivismo tradizionale di Comte.
7
lOMoAR cPSD| 1616544
2. Riferimento al "rinforzo positivo": gli psicologi di questa corrente si erano formati nell'era del
behaviorismo e presentano quantità immerse di dati che dimostrerebbero come questo tipo di rinforzo,
basato sulla ricompensa, sia molto più efficace del rinforzo che si basa sulla punizione.
3. Positivo è in generale tutto ciò che si oppone in senso dualistico al termine negativo: il positivo può
essere o qualunque cosa uno definisca come opposto del negativo (relatività della questione) oppure
può significare solo quello che è definito da quelli che presumono di avere il maggior controllo su come
definirlo.
È evidente che, mentre da una parte si ostenta un approccio oggettivamente neutrale, libero dai "valori",
dall'altra (psicologia positiva) si introduce una parola come "virtù", palesemente connotata nel senso di valore
morale, Nonostante la disputa, la comparsa di idee e prassi targate come p. positiva ha avuto un effetto di
trascinamento positivo per il modo e la puntualità con cui i promotori hanno raccolta e catalizzato l’interesse di
molti psicologi intorno al cambiamento di paradigma.
2. Benessere soggettivo: ricerche che riguardano esperienze registrate in situazioni contestuali o riferite a
circostanze recenti.
Esempio ricerca di Bradburn (1969): ricerca per evidenziare come certi cambiamenti sociali di
macrolivello potessero influenzare il ben-essere della gente usando come V.D. la felicità, intesa per lui
come eudaimonia, e operazionalizzandola come uno stato di equilibrio tra emozioni positive e negative.
Dagli anni '70 in poi, sulla falsariga di questa ricerca, hanno preso origine gran parte dei lavori sul
benessere soggettivo da parte degli psicologi. Ovviamente la "felicità" non è stato il solo indicatore di
benessere negli studi empirici di questi anni: centrale a tutti gli strumenti costruiti in questo ambito è la
presentazione di una serie di indicatori di salute sui quali la persona esprime il suo giudizio, sia sul piano
delle emozioni sia sul piano cognitivo.
3. Soddisfazione di vita (life satisfaction): ricerche che fanno riferimento a valutazioni di carattere
generale sul modo in cui le persone percepiscono il loro rapporto con la vita, tramite questionari (Scale)
in genere molto brevi, detti Global Evaluations of Individual Life Satisfaction che si propongono di
misurare la felicità interrogando un campione rappresentativo di soggetti sul livello generale di
soddisfazione della vita che stanno conducendo (es. eurobarometro", "Satisfaction With Life Scale" di
Diener)
Diener e collaboratori (2003) individuano 4 motivi per cui sono importanti le scale di misura del benessere
soggettivo. Queste scale dimostrano che il benessere soggettivo è in grado di produrre benefici rilevanti (es.
migliore salute e longevità):
1. Le persone di ogni parte del mondo ritengono che il benessere soggettivo sia un fattore importante;
2. Il benessere soggettivo è un indicatore della qualità della vita assieme ad altri indicatori economici e
sociali come il PIL;
3. Il benessere valutato come un’importante variabile di outcome nel campo della ricerca su anziani e altri
gruppi target (di fatto risulta un indicatore significativo della qualità della vita in età avanzata)
Oggi, il quadro di queste misure si presenta sempre più articolato e metodologicamente sofisticato. In genere
questi metodi si basano su valutazioni soggettive effettuate in diversi momenti della giornata e per molti giorni.
Rilevando esperienze vissute al momento, in diverse situazioni e in diversi contesti, è possibile superare le
ambiguità delle misure glovali basate sul ricordo a distanza (Kahneman, psicologo e premio Nobel per
l'economia). Kahneman, sottolineando anche il contributo emergente delle neuroscienze, sembra aver fiducia
nello sviluppo della conoscenza scientifica del benessere soggettivo. In una sua intervista del 2011, l'autore
afferma che la scoperta più importante in riferimento al benessere è il fatto che esso ha una larga componente
genetica e vi sono dati che dimostrato (fra il 33% e il 50% della varianza) l'ereditarietà della "soddisfazione di
vita".
Il ben-essere psicologico può essere definito come il funzionamento psicologico ottimale di una persona.
Si tratta dello sforzo di individuare le dimensioni oggettive di quello che si potrebbe definire un buon
funzionamento psicologico. Siamo su un piano profondamente diverso rispetto a quello del benessere
soggettivo, anche se i costrutti non sono del tutto indipendenti : l'esperienza eudemonica, caratteristica di un
funzionamento ottimale (ben-essere psicologico) non può non essere accompagnata da un vissuto edonico di
felicità (benessere soggettivo).
L'obiettivo è quello di sistematizzare l'ampio panorama delle conoscenze entro linee procedurali analoghe a
quelle seguite dagli studiosi della malattia. A fuoco si pone quindi l'individuazione delle dimensioni del ben-
esser e dei suoi indicatori, della loro dinamica evolutiva e della loro promozione. Nella consapevolezza della sua
complessità, Bertini ritiene questo il compito più rilevante per il futuro della psicologia della salute.
Prima di affrontare la tassonomia del ben-essere è indispensabile per l'itinerario tassonomico del ben-essere
utilizzare come termine di confronto la ormai consolidata "tassonomia del mal-essere", con le molteplici
categorie patologiche ampiamente rappresentate nel manuale psichiatrico DSM.
Kant (1764) affermava: "C'è un genere di medici, i medici della mente, che ogni volta che trovano un nome,
pensano di aver scoperto una malattia".
A tal proposito, si deve tener presente come, non solo la psichiatria ma anche la psicologia clinica, abbiano alle
spalle un'ampia storia di riferimenti al DSM = manuale che consiste in una classificazione dei disturbi mentali
che vengono definiti sulla base di quadri sintomatologici raggruppati attraverso procedure statistiche.
La strada per costruire una tassonomia della salute potrebbe passare da un tentativo di "decostruire" il DSM:
Maddux (2002) nel suo Manuale di psicologia positiva introduce un capitolo intitolato "Fermiamo la pazzia. La
Psicologia Positiva e la decostruzione dell'ideologia della malattia e del DSM".
9
lOMoAR cPSD| 1616544
Secondo questo autore, la categorizzazione e patologicizzazione dell'esperienza umana del DSM è l'antitesi
della psicologia positiva ed è pertanto necessario attuare un certo tipo di "iconoclastia", in cui l'icona da
frantumare è il DSM.
Occorre innanzitutto rendersi conto che i concetti di normalità e anormalità, insieme alle etichette e categorie
diagnostiche specifiche, non sono riflessi e mappature di fatti psicologici interni alle persone, ma costrutti
sociali, ovvero concetti astratti elaborati nel corso degli anni da membri della società (individui e istituzioni) che
rappresentano un modo condiviso di vedere le cose. Le categorie diagnostiche non sono state "scoperte”,ma
“inventate" (es. omosessualità: Wilson nel '93 afferma che la controversia sull'omosessualità sembra
dimostrare che le diagnosi psichiatriche sono chiaramente intrecciate nelle costruzioni sociali della devianza). A
tal proposito, Widiger e Trull (1991) affermano che il DSM non è un documento scientifico, ma un documento
sociale, con ogni revisione il DSM ha avuto qualcos'altro da dire su come le persone dovrebbero vivere la loro
vita e ciò che rende la vita degna di essere vissuta.
Dunque le nostre nozioni di normalità-anormalità psicologica, salute-malattia, sono costruzioni sociali che
servono fini e valori: esse sono legate all'assunto su come le persone dovrebbero vivere la propria vita e a ciò
che rende la vita degna di essere vissuta.
Maddux smonta quindi alla radice la costruzione del DSM sulla base di alcuni assunti che considera
decisamente falsi:
1. La capacità di stabilire criteri chiari per distinguere tra pensieri, sentimenti, comportamenti normali e
anormali
2. L’idea che le categorie facilitino il giudizio clinico e il trattamento
A suo parere non si tratta di mettere in discussione l'attendibilità delle classificazioni in genere e del DSM in
particolare, ma la validità delle categorie stesse. L'autore afferma che tutti i sistemi di classificazione sono
arbitrari, il che non vuol dire che siano sconsiderati, ma che sono costruiti per servire i fini di quelli che li
sviluppano. I maggiori fautori della classificazione dei disordini psicologici giustificano le loro ragioni
nell'assunto che la "classificazione è il cuore di ogni scienza" (Barlow, 1991). Tuttavia, il pensiero categorico non
è il solo mezzo per dare senso al mondo, sebbene esso sia un mezzo caratteristicamente occidentale.
Dal momento che il sistema delle categorie è descrittivo e ateoretico può dare qualche aiuto, ma non può
offrire linee guida per facilitare i processi di cambiamento.
Wright e Lopez (2002) rilevano altre conseguenze legate al processo di categorizzazione, tra cui l'attenuazione
delle differenze intra-grupo (de-individuazione) e l'accentuazione delle differenze inter-gruppo.
CONCLUSIONI
Occorre sottolineare che le critiche di Maddux, come altri autori, non comportano la distruzione del DSM o di
altre classificazione, ma intendono piuttosto mettere in discussione un processo indebito di attribuzione
dovuto principalmente all'approccio categoriale. La tassonomia ha una sua indubbia utilità, purché vi sia la
piena consapevolezza della reale funzione che può assolvere.
La lineetta in "ben-essere psicologico" (rispetto a benessere soggettivo) rappresenta il fatto che queste due
aree sono assolutamente diverse. È sul versante del "ben-essere psicologico" che per la psicologia si sta
aprendo l'orizzonte di una vera scienze del ben-essere.
CAP.4
TASSONOMIA DEL BEN-ESSERE
Nella consapevolezza di una possibile critica, ci si deve domandare se sia utile procedere nella linea della
scienza appoggiandosi a un criterio di classificazione. Si dovrà allora riconoscere che i metodi classificatori
hanno un'utilità obiettiva, naturalmente se si rispettano le finalità e i limiti del loro uso, senza legittimare
inferenze interpretative indebite sulla natura degli oggetti classificati. Dunque è lecito il tentativo di identificare
le dimensioni positive della salute (tassonomia del ben-essere), a condizione di abbandonare l'approccio
categoriale ( cioè classificare persone o disturbi) sostituendolo con un approccio dimensionale, si occupa di
identificare e misurare le differenze individuali di fenomeni psicologici (es. le competenze, le emozioni, gli stili
10
lOMoAR cPSD| 1616544
di vita). Lungo questa linea si assume che le persone presentino considerevoli deviazioni statistiche rispetto a
fenomeni comportamentali, cognitivi ed emotivi, senza però che questo significhi che queste deviazioni siano di
per sé disadattive o patologiche (Maddux, 2002).
A partire dagli anni ’70 ci furono una serie di iniziative per individuare queste dimensioni e tra i contributi
occorre ricordare:
Bandura (1977) con il costrutto di "self efficacy"
Antonovsky (1979) con il "senso di coerenza"
Csiksentmihalyi (1988) con il concetto di "flow".
Uno dei tentativi più importanti rimane però quello di Carol Ryff, negli anni '90.
La salute positiva umana si legge meglio come un processo multidimensionale dinamico che come uno stato
finale discreto.
In questo senso, il benessere umano è sostanzialmente una questione d'impegno nel vivere, che coinvolge
l'espressione di una vasta gamma di potenzialità umane: intellettuali, sociali, emotive e fisiche.
Si nota come nel pensiero della Ryff vi sia qualche accenno alla salute come processo anziché come stato, ma
per il momento è importante attestarci al livello della salute come stato, nelle sue dimensioni tassonomiche.
Il passo successivo degli autori, dopo aver condotto una circostanziata analisi delle caratteristiche ricorrenti
nella storia del pensiero filosofico, è stato quello di rivolgersi alla letteratura scientifica più attenta ai lineamenti
di funzionamento ottimale psicologico, al fine di individuare dimensioni suscettibili di misurazione, comuni e
trasversali ai vari orientamenti. In particolare, dimensioni tratte da una sintesi di:
In altri termini, quando si esaminano le caratteristiche del ben-essere riportate in queste varie formulazioni,
appare chiaro che molti teorici hanno parlato di lineamenti simili del funzionamento psicologico positivo.
Dal doppio confronto della letteratura filosofia e della letteratura psicologica di maggiore spessore, gi autori
hanno ricavato un certo numero di indicatori del buon funzionamento psichico, mettendoli successivamente al
vaglio della sperimentazione empirica. Sono state individuate le seguenti dimensioni:
11
lOMoAR cPSD| 1616544
Di fatto, l'ipotesi di questa struttura del ben-essere a 6 fattori ha trovato sostanziale conferma nei dati di un
campione nazionale statunitense. In sintesi, per individuare le dimensioni dello "stato di ben-essere
psicologico" la Riff prevede il rispetto di alcuni passaggi:
• Prendere le distanze da una linea strettamente medica, cercando di attingere ispirazione alle fonti umanistiche
della filosofia e dell'etica.
• Da queste fonti si filtrano i "criterial goods", ovvero gli indicatori teorici che qualificano un buon funzionamento
mentale da cui si parte per verificare la loro trattabilità su piano delle scienze psicologico- sociali.
• Infine, si individua il substrato fisiologico di queste dimensioni che può determinare, secondo la Ryff, un
importante progresso nella comprensione integrata e positiva della salute.
Un'analisi critica ci fa capire le difficoltà e il merito nell'affrontare il crinale della "salute positiva". A tal
proposito, Contrada (1998) afferma che:
• Occorre maggior chiarezza sul rapporto con le tematiche dell’adattamento: la salute positiva è una
sottocategoria di una serie di processi che permettono all’uomo di sopravvivere e prosperare o è un modo di
concettualizzare tutto l’adattamento?
• Sospetto di circolarità tra dimensioni costitutive della salute e determinanti della salute: es. le relazioni sociali
sono una dimensione positiva o un fattore che contribuisce alla salute?
Nonostante ciò questo modo di procedere ha un’utilità pratica evidente.
CATEGORIE RISORSE
1) SAGGEZZA E CONOSCENZA Creatività
Curiosità
Apertura mentale
Piacere di apprendere
Visione prospettica
2) CORAGGIO Audacia
Persistenza
Integrità
Vitalità
3) UMANITÀ Amore
Gentilezza
Intelligenza sociale
4) GIUSTIZIA Cittadinanza
Equanimità
Leadership
5) TEMPERANZA Perdonare e avere pietà
Umiltà e modestia
Prudenza
Autoregolazione
6) TRASCENDENZA Apprezzamento della bellezza e dell’eccellenza
Gratitudine
Speranza
Umorismo
Giocosità
Spiritualità
Dunque con l'occhio attento allo scenario di queste risorse vitali che, in qualche misura o in modo nascosto,
12
lOMoAR cPSD| 1616544
sono comunque presenti in ciascuno di noi, si aprono nuove potenzialità all'esercizio dello psicologo.
Rogers (1961)ha descritto molte di quelle qualità che sono state successivamente identificate da Peterson e
Seligman (2004) come risorse e virtù del carattere, definendo la persona pienamente funzionante = non
difensiva e aperta all'esperienza, con la capacità di vivere pienamente ogni momento, avere fiducia nelle
risposta del proprio corpo al mondo, riconoscere il proprio diritto alla libertà così come la propria responsabilità
per le conseguenze di tale libertà, essere creativo, affidabile e costruttivo, e vivere una vita ricca e piena → ciò
secondo Robbins (2008).
In conclusione è necessario dire che, pur apprezzando il contributo alla tassonomia, non si può naturalmente
minimizzare la complessità del compito.
Le caratteristiche di emozioni negative come rabbia, paura, disgusto sono chiaramente connotate e differenziate sia sul
piano dell'espressività fisica sia sul piano del loro specifico orientamento all'azione.
Dal punto di vista dell'evoluzione, si può facilmente capire la rilevanza adattiva di queste emozioni, così come la loro
influenza disadattiva quando esse presentano caratteristiche estreme, prolungate o contestualmente inappropriate.
Tutto questo spiega sufficientemente il motivo che ha spinto la ricerca scientifica a studiare in profondità le
emozioni negative.
Molto più vaghi e poco differenziati gli studi delle emozioni positive come gioia, serenità, interesse,
contentezza, sia sul piano fisiologico che sul piano psicologico-comportamentale.
La letteratura offre oggi una consistente mole di studi che dimostrano come anche le emozioni positive
possano produrre effetti significativi sulla salute.
Esempio ne è la ricerca di Danner e collaboratori (2001) che hanno analizzato a distanza di 60 anni dei
manoscritti di alcune suore: quelli dove comparivano più emozioni positive erano di suore che hanno vissuto
più a lungo.
L'obiettivo evidente per lo psicologo della salute è capire il valore intrinseco di queste emozioni.
14
lOMoAR cPSD| 1616544
comportamento umano ad alcune specifiche azioni utili alla sopravivenza, le emozioni positive ampliano la
gamma di pensieri e azioni facilitando la flessibilità del comportamento.
La teoria sostiene inoltre che, a differenza dei benefici prodotti dalle emozioni negative (diretti e
immediatamente adattivi rispetto a situazioni di pericolo), i benefici delle emozioni positive emergono nel
tempo e favoriscono:
• Maggior apertura mentale (es. strategie di coping o relazioni sociali)
• Salute
• Benessere
Sulla base di questi rilievi empirici si ritiene che le emozioni positive possano essere un ingrediente
fondamentale di un sano sviluppo della salute mentale. Dunque il modello di Fredrickson apre quindi uno
scenario interessante nella prospettiva della promozione del ben-essere.
La critica mossa a questo modello è che l’associazione fra emozioni positive e ben-essere non per forza è
sempre da interpretarsi in modo causale. A tal proposito sarebbe necessario:
• Incrementare ricerche di tipo longitudinale
• Effettuare ricerche di manipolazione sperimentale delle affettività positive a fine di verificare effetti di
cambiamento su altre variabili.
In conclusione, il problema della positività e della negatività delle emozioni va considerato rispetto alla loro
concreta utilità adattiva. La semplificazione linguistica di questi aggettivi che tende a stabilire delle categorie
astratte, impedisce di vedere quanto il contributo dell'una o dell'altra possa variare non solo nelle situazioni
concrete, ma anche nelle culture e nei tempi diversi in cui vengono espresse.
• Nella visione della patogenesi: i malati sono nuotatori che annaspano nel fiume (di cui si occupa la medicina
curativa), i sani sono sulla terraferma mentre altri sono sulla riva in pericolo di cadere (di cui si occupa la medicina
preventiva);
• Nella visione della saluto genesi: si parte dall’assunto che il sistema umano (come tutti i sistemi viventi) è
intrinsecamente guasto, soggetto a un processo entropico inevitabile e a una morte certa e quindi siamo tutti nel
fiume, ma bisogna capire quanto è pericoloso e come sappiamo nuotare → Se per il fatto di essere un sistema
vivente, ognuno di noi è nel fiume, e nessuno sulla riva, si deduce che una classificazione dicotomica è
inappropriata.
In tal modo l'autore afferma che è meglio utilizzare un modello del continuum, che considera ognuno di noi, in
un dato momento nel tempo, un una qualche posizione lungo il continuum sano/malato.
Dopo il capovolgimento dell'orientamento patogenetico, con la sua concentrazione sui fattori di rischio,
Antonovsky si pone la domanda, dal punto di vista saluto-genico, di come capire e orientare il movimento delle
persone (o della collettività) nella direzione del polo positivo del continuum.
Introduce a tal proposito un altro neologismo: i fattori salutari = fattori che siano neghentropici, che
15
lOMoAR cPSD| 1616544
Al contrario, nella visione salutogenetica si considera la persona (o la collettività) nella sua interezza
chiedendosi come possa essere aiutata a muoversi verso uno stato migliore di salute.
Antonovsky ritiene che l'orientamento salutogenico offra la base per lo sviluppo di una teoria che può essere
sfruttata nel campo della promozione della salute, pur constatando che idee brillanti non sono mancate.
Ciò che è mancato è l’integrazione di queste in una buona teoria.
Qui Antonosvky introduce una grande novità sia sul piano dell'oggetto che del metodo di studio: anziché
studiare i pazienti che presentano sintomi specifici delle varie malattie, si studiano le persone che esprimono al
massimo il livello di sintomi specifici delle varia salutìe. Un esempio: studio delle donne sopravvissute ai campi
di sterminio, mentre ci si aspetterebbe di studiare quelle più “malate”, Antonovsky decide di studiare quelle più
sane per capire cause e meccanismi della loro salute e sviluppa il concetto di "senso di coerenza" (SOC) come
fattore salutare, ovvero un orientamento tendenzialmente salutare della persona che consiste in 3 componenti:
• Comprensibilità: grado in cui gli eventi vengono percepiti come portatori di senso logico, ovvero sono ordinati,
consistenti, strutturati;
• Gestibilità: grado in cui la persona ha la sensazione di poterli affrontare;
• Significato: grado in cui la persona avverte che la vita ha senso e le sfide che essa ci presenta meritano l’impegno.
La teoria della salutogenesi con il concetto di SOC fu introdotta nel 1979 e poi rivista nel 1987 in un altro libro.
Antonovsky si propose non solo come teorico, ma anche come ricercatore fino a quando morì improvvisamente
nel 1994.
Gli studi sul tema aumentarono di numero e lo stesso autore commentò questa mole di ricerche sostenendo
che:
• La scala SOC è considerata coerente, affidabile e valida per le diverse culture e classi sociali, generi ed età;
• La preponderanza delle prove esistenti è coerente con l’ipotesi di salute sostenuta dalla SOC. Tuttavia, come dice
l’autore stesso, vi sono alcune criticità:
• La scala non è mai stata usata in culture non occidentali;
• Pochi studi longitudinali e quindi non si può dire molto sulla causalità.
Antonovsky considera gli uomini come sistemi aperti e autopoietici, sottolineando che gli eventi stressanti sono
onnipresenti in ciascuno di noi, eppure molte persone sono in grado di gestire la tensione risultante
mantenendosi del tutto sani. Egli respinse l'idea che il fine ultimo della medicina dovesse essere l'equilibrio
(omeostasi) e identificò la questione dell'origine della salute (la salutogenesi) come un fattore più significativo
dell'origine della malattia (patogenesi).
In conclusione, il cambiamento di paradigma tracciato nella salutogenesi non sconvolge il passato ma offre un
nuovo binario di teoria e metodo. Tale visione sollecita l'abbandono del concetto di normalità e di devianza
costituitivi del modello malattia.
Canguilhem parte dalla contestazione del filone culturale positivista (Broussais, Compte, Bernand) per il quale
fra normale e patologico esiste continuità e in fondo equivalenza: la malattia non è ce variazione quantitativa,
16
lOMoAR cPSD| 1616544
in eccesso o in difetto, rispetto alla condizione di salute. Di conseguenza, la salute si identifica con una gamma
di valori statisticamente normali e un soggetto è quindi sano se rientra all'interno di questa gamma (è tale
visione dicotomica che viene denunciata da Antonovsky).
Canguilhem confuta dettagliatamente la concezione del continuum quantitativo che consentirebbe ala
medicina di rivendicare l'oggettività scientifica del suo procedere. Egli afferma che la salute non è normalità se
non nella misura in cui è normatività (essere in salute è disponibilità ad adattarsi ad ambienti variati e poterli
trasformale). La malattia costituisce un impoverimento di tale creatività, ma non sfugge alla norma, in quanto
intendendo il normale come capacità di fare norme il patologico non è il contrario di normale poiché non è
l'assenza di norme ma la presenza di altre norme. Il patologico è invece il contrario del sano, che è l'organismo
capace di sottoporsi a diverse norme. La malattia è una norma inferiore di vita perché non tollera scarti e riduce
il potere di adattabilità.
È interessante come questo autore cerchi di attribuire al concetto di normatività non tanto il senso di
adattamento reattivo rispetto alle evenienze ambientali, quanto piuttosto una tensione proattiva. Egli infatti
afferma che l'organismo sano non cerca tanto di mantenersi nel proprio stato, e nel proprio ambiente presente,
quanto piuttosto di realizzare la propria natura. L'uomo sano non si sottrae ai problemi che gli vengono posti
dagli sconvolgimenti delle sue abitudini, anche fisiologicamente parlando, ma egli misura la propria salute sulla
propria capacità di superare le crisi organiche per instaurare un nuovo ordine. L'uomo non si sente in buona
salute se non quando si sente non solo normale (vale a dire adattato all'ambiente e alle sue esigenze) ma
normativo, ovvero capace di seguire nuove norme di vita.
Dunque la salute è una presenza attiva descrivibile sia a livello biologico che psicologico.
Il concetto di normatività è chiaramente in linea con la visione saluto genica. La convergenza fra il pensiero
dell'epistemologo Canguilhem e quello dello scienziato Antonovsky (che va oltre il concetto di normalità e
devianza) fa emergere un aspetto saliente del modello salute: il successo non va visto nel raggiungimento di un
livello in cui le persone vengono definite normali, oppure aspirano a un livello pre-determinato di normalità, ma
il successo va visto nel processo. Dunque il successo non sta nel risultato, ma nel processo.
Questi autori ci offrono l'immagine di una persona (o collettività)) che affronta le vicende buone o brutte della
vita con l'impegno adattivo salutare, a costruire il proprio percorso di vita (immagine che rimanda alla figura del
"viandante").
Le visioni morali (anche attraverso il veicolo delle psicologie indigene/folk) esercitano due tipi di funzioni:
• Funzioni descrittive: ogni visione del mondo delle varie culture determina in che cosa consiste la realtà, come
funziona, ciò che costituisce una persona, le sue risorse, facoltà, limiti (...) → la visione del mondo contribuisce a
una comprensione descrittiva della persona.
• Funzioni prescrittive: l'ethos di una cultura definisce la direzione nella quale dovrebbero procedere la crescita e lo
sviluppo, modellando in questo modo la comprensione popolare del concetto di maturità, saggezza e benessere
psicologico → indica come dovremmo comportarci, interagire, pensare, sentire.
In questo modo, l'ethos (costume/ carattere particolare di un popolo) aggiunge un elemento prescrittivo o
normativo.
18
lOMoAR cPSD| 1616544
Ad esempio la visione del mondo che prevale nella cultura occidentale è l'individualismo, mentre in diverse
culture non-occidentali prevale la cultura della relazionalità (non si tratta di caratteristiche esclusive dell'una o
dell'altra cultura, ma pervasive di ogni cultura sebbene con diverso peso e diversa integrazione gerarchica).
Valori e morali non sono "cose" soggettive che gli esseri umani annettono alle loro rappresentazioni e
percezioni, ma al contrario, sono i valori intersoggettivi inevitabili e inestricabilmente intrecciati con i fatti.
Questa cornice di premessa ci obbliga pertanto ad approfondire la riflessioni in questi due temi:
Come conciliare le esigenze della scienza del ben-essere con il riferimento ai valori;
Quali conseguenze sul piano applicativo (vedi seconda parte del libro).
Bisogno di individuazione
Per quanto riguarda il processo di individuazione (o realizzazione delle potenzialità umane) si può rilevare
un'importante distinzione tra:
Visione accrescitiva: implica il concetto di una struttura che sostanzialmente cambia solo nelle linea di un aumento
quantitativo.
Esempio: l’embrione è un piccolissimo uomo che aumenta solo di dimensioni, oppure sul versante psicologico lo
sviluppo della personalità vista come un recipiente fisso da riempire con esperienze ambientali o la cultura in
senso lato.
Visione dinamico-evolutiva: si basa invece sui processi di differenziazione e integrazione gerarchica, dove per esempio
l’evoluzione psichica del bimbo prevede l’emergenza critica di attitudini di base attraverso elaborazioni precedenti ma
anche sintesi creative nuove specifiche per ogni fase (l’uomo non si accresce ma si evolve e la sua legge è il cambiamento
che dura tutto il ciclo di vita e quando cessa subentra la morte).
Dunque lungo questa linea articolata di progresso, si misura il cammino di liberazione, nel senso di passaggio da
situazioni di dipendenza o eteronomia verso forme sempre più evolute di autodeterminazione razionale e
creativa. Il processo di "libertà" in cui si esprime il concetto di individuazione è il bisogno insopprimibile di uno
sviluppo naturale nella linea delle potenzialità umane. La vita tende sempre a unire e integrare, dunque per sua
natura la vita è un processo di costante sviluppo e cambiamento. Di fatto, quando sviluppo e cambiamento
cessano, subentra la morte.
Bisogno di coesione
Occorre sottolineare la caratteristica umana dell'infanzia prolungata e quindi l'inevitabile dipendenza del
bambino da un appropriato caregiver che si deve prender cura quotidianamente di lui. In assenza di un altro
essere umano che se ne faccia carico, il bambino non può sopravvivere.
Va compreso fino in fondo lo spessore biologico e la risonanza psicologica di questo bisogno. Il bisogno di
coesione, di "attaccamento", non è un optional psicologico: senza una relazione fondamentale di dipendenza
da un altro essere umano il bambino muore.
Le ricerche di Bowlby (1969) e di tanti altri sulle dinamiche dell'attaccamento hanno reso evidente la pregnanza
vitale di un'adeguata competenza relazionale del bambino fin dalla nascita.
Di conseguenza si può affermare che il bisogno di relazione nella coesione sociale è altrettanto radicato nei
sistemi motivazionali biologici e psicologici della natura umana, quanto il bisogno di individuazione nella libertà.
Reiss e Gable (2003) affermano che le relazioni sono forse la più importante fonte di soddisfazione di vita e di
benessere emotivo. Inoltre essi sostengono che, quasi senza eccezioni, le teorie del ben-essere psicologico
includono le "relazioni positive con gli altri" come un elemento centrale della salute e del ben-essere mentale.
Dunque relazioni come una componente intrinseca del ben-essere psicologico e non semplicemente come una
sua causa.
Dopo aver rilevato la convergenza e la consistenza di questi studi, sorprende l'assenza in essi di un principio di
teoria in grado di ipotizzare il rapporto tra i due fondamentali sistemi motivazionali della natura umana
(individuazione e coesione). Si tratta infatti della coesistenza di due bisogni vitali, entrambi irrinunciabili ma
potenzialmente antinomici e conflittuali: senza l'indipendenza nella libertà non c'è realizzazione di sé, ma senza
la dipendenza non c'è vita.
Se infatti queste due istanze, universalmente riconosciute come centrai nella natura umana, sono anche
riconosciute come fortemente influenzate dalla cultura, sarà indubbiamente importante studiare i fattori
salutari (come propone Antonovsky) che favoriscono la tendenza verso il polo positivo del continuum malessere
ben-essere.
Occorre quindi introdurre ciò che Erikson chiama concetto di mutualità. Una relazione in cui due membri, due
gruppi sociali, due generazioni (due componenti, in senso lato) dipendono l'una dall'altra per lo sviluppo delle
rispettive potenzialità.
Bertini ritiene che la mutualità possa costituire un fattore salutare di primaria importanza sia a livello delle
relazioni interpersonali sia a livello di relazioni socio-ambientali.
Esempio: mentre il bambino sorride le prime volte alla madre, la madre non può fare a meno di restituire il
sorriso pieno di aspettative di un "riconoscimento" di cui lei stessa ha bisogno. Il sorriso sociale del bambino nei
primissimi mesi di vita rappresenta quindi un momento di "salvezza" evolutiva per entrambi: per il bambino che
ha bisogno di riconoscere e per la madre di essere riconosciuta (questo incontro di mutualità favorisce in
entrambi lo sviluppo dell'individuazione nella libertà e il processo di coesione nell'amore. Infatti, tanto più è
liberante il rapporto tanto più profonda è l'intimità della relazione).
A tal proposito, Erikson afferma che il fatto è che la mutualità dell'adulto e del bambino è la sorgente originaria
della speranza, l'ingrediente fondamentale di ogni azione effettivamente umana ed etica. Freud paragona
l'helpless neonato con l'helprich adulto e afferma che la loro reciproca comprensione è la sorgente primaria di
ogni motivo morale.
Erikson afferma che queste convinzioni sono riprese anche da Harlow che studia le scimmiette con madre in fil
di ferro o di pelo (nel loro sviluppo c’è un notevole danno alla personalità perché manca loro la reciprocità, uno
scambio circolare di azioni cariche di affetto tra madre e bambino. Spitz, 1961)
La dinamica costitutiva della mutualità non si esaurisce a livello delle prime interazioni madre-neonato, ma per
ogni fase di sviluppo assume caratteristiche specifiche che vanno ad interagire con un numero crescente di
persone che lo circondano (famiglia scuola comunità società) al punto che la sopravvivenza psicosociale è
garantita dalle virtù che si sviluppano nell’interscambio di generazioni che si succedono e si sovrappongono. Il
ben-essere di una società si realizza solo se c’è mutualità.
Dunque il tema della mutualità si estende a tutta la trama delle relazioni Io-Tu- Ambiente sociale, lungo il corso
della vita e il succedersi delle generazioni.
Tuttavia, della mutualità si apprezza la funzione positiva dello stare insieme e si trascura la sua funzione
concretamente evolutiva, ovvero la dipendenza di due persone (ruoli, gruppi, generazioni) per lo sviluppo delle
rispettive potenzialità.
La linea della mutualità si riconosce non tanto nella misura in cui uno si sacrifica, concede qualcosa all'altro, ma
nella misura in cui uno si realizza in virtù del proprio rapporto con l'altro.
La relazione di mutualità si costruisce al'interno di una reciproca visione dinamico-evolutiva e non accrescitiva:
quando si afferma l'importanza del rispetto dell'altro, si deve capire che la parola rispetto deriva da "respicere"
cioè vedere l'altro nella sua singolare e insopprimibile istanza di sviluppo dinamico evolutivo. Compito difficile
perché il bisogno di individuazione e quello di coesione sono altrettanto insopprimibili quanto virtualmente
antinomici.
Le dimensioni del ben-essere psicologico, quali si trovano nei lavori della Ryff e nelle ricerche più recenti delle
neuroscienze, trovano alla radice questa naturale doppiezza della natura umana la cui composizione non si può
trovare nella linea statica di un compromesso (es. metafora dei porcospini di Schipenhauer), ma in quella
dinamica di un reciproco potenziamento di due istante fondamentali.
Bertini ritiene che il riferimento allo spessore psicobiologico di questi sistemi motivazionali possa ridurre il
margine di relativismo degli assunti valoriali, rendendo in qualche modo più credibile le elaborazioni teoriche
da sottoporre a verifica sul piano empirico.
Il problema delle influenze culturali
Le istanze dell'individuazione e della coesione sociale rappresentano una linea generale e formale di tendenze
motivazionali radicate nella natura umana ma, ovviamente, la loro espressione dipende fortemente dalle
diverse influenze culturali.
Christopher (1999) commenta che la Ryff, nel ragionare sulla crescita individuale, non affronta alcune questioni
20
lOMoAR cPSD| 1616544
chiave, in quanto la maggior parte dei criteri normativi nelle sottoscale vengono decontestualizzati e resi
procedurali. In questo senso, a quasi-neutralità della Ryff sottolinea un insieme di valori che sono normativi (es.
promuovere strumenti efficienti, relazioni finalizzate) ma mette da parte tutte le questioni di direzione o scopo.
Focalizzando l'attenzione su mondo psicologico interiore e sui mezzi per soddisfare gli obiettivi e le finalità
definite soggettivamente, questo approccio si inserisce proprio al centro della tradizione individualista liberale
(Sullivan, 1986). L'interno di Christopher è quello di sottolineare come le virtù costitutive del benessere
psicologico si basino su presupposti individualistici caratteristici della tradizione occidentale.
Robbins (2008) sottolinea come la psicologia positiva non possa cercare di dimostrare di essere indenne dai
valori, ma debba farsi carico di esaminare i suoi valori impliciti per renderli il più espliciti possibile.
21
lOMoAR cPSD| 1616544
• Dall'altra parte, nel nuovo scenario l'interesse primario è orientato a capire in profondità le dimensioni
caratteristiche della salute, le sue determinanti ezio-salutogeniche e i provvedimenti utili per
potenziarle.
→ la malattia che assume i contorni di un'assenza: la malattia diventa quella condizione che si verifica quando
scompaiono certe caratteristiche che vengono definite come salutari.
Seligman (2002) afferma esplicitamente che abbiamo bisogno di sviluppare una nosologia delle risorse e delle
virtù: lo "UNDSM-I", ovvero l'opposto del DSM-IV.
In questo scenario, la scomparsa dei sintomi patologici sarebbe la diretta conseguenza della promozione dei
sintomi salutari.
relazione fra le dimensioni del ben-essere e del mal-essere fisico, psichico e sociale di quel complesso sistema
che è l'organismo umano. Il livello del funzionamento ottimale non lo si può individuare partendo dalla misura
delle malattie (illnesses) o delle salutìe (healths), ma dall'integrazione adattiva del loro rapporto.
Il passaggio a questa visione bidimensionale assume un grande rilievo per lo sviluppo della teoria della salute: si
aprono spazi per l'elaborazione di nuove idee sia sul piano della comprensione teorica dei fenomeni, sia per
l'applicazione concreta nel piano della pratica.
Il concetto di coattivazione
Cacioppo e collaboratori (1994): mentre la concezione bipolare assume che gli stimoli influenzano l’affettività in
direzioni opposte (o positiva o negativa), la concezione bivariata consente oltre a questo anche la possibilità di
attivazione disgiunta quando gli stimoli influenzano la positività o negatività affettiva anche nella stessa
direzione. Dunque si può avere co-inibizione quando uno stimolo riduce entrambi i sistemi oppure co-
attivazione quando uno stimolo aumenta l’attivazione di entrambi i sistemi. La co-attivazione si può presentare
come un linea ambivalente di indeterminazione comportamentale e quindi può essere considerata come
instabile e spiacevole, ma può anche far emergere processi vitali. Larsen e collaboratori (2003) sostengono che
la modalità della co-attivazione può consentire alle persone di dare senso agli stress della vita, di acquisire
padronanza sugli stress futuri e di trascendere le
esperienze traumatiche ( la co-attivazione può permettere alle persone di trasformare l'avversità in vantaggio)
Il modello di spazio valutativo ESM di Cacioppo sostiene quindi che i meccanismi neurofisiologici sottostanti a
positività e negatività sono parzialmente distinti e separati e quindi:
• La riduzione dell’affettività negativa non comporta per forza l’aumento di quella positiva;
• Ciò che è stato appreso dallo studio dei processi negativi non può essere trasferito ai processi emozionali positivi;
• Lo studio delle relazioni tra emozioni positive e negative può produrre meccanismi non evidenziati dal semplice
studio delle emozioni negative.
23
lOMoAR cPSD| 1616544
24
lOMoAR cPSD| 1616544
BENEFIT FINDING
Un'indicazione concreta a riguardo ci viene da un capitolo del recente panorama della psicologia della salute
che introduce il concetto di benefit finding, cioè l'evento stressante negativo, oltre al trauma, può produrre
elementi di beneficio.
Dunque, nella prospettiva di promozione della salute, la strategia si orienta verso una rappresentazione nuova
dell'evento: il soggetto che manifesta e richiama l'attenzione sul trauma subìto, viene trattato non tanto come
un malato/paziente da guarire, quanto piuttosto sollecitato, come persona, a far leva sulle proprie risorse e
confrontarsi attivamente con una realtà fisicamente o psicologicamente pesante (focus sul processo in cui
l'attribuzione di patologico è scavalcata da quella di vitale, di una persona che accetta comunque la sfida nella
tensione positiva di adattamento).
Considerando il processo integrativo fra ben-essere e mal-essere, si tratta non solo di capire e gestire il danno
ma anche il beneficio che può derivare dal rapporto della persona nell'incontro con eventi identificabili come
negativi. Occorre dunque sottolineare le potenzialità concrete di questo cambiamento di prospettiva, e un
esempio viene dal PTSD. In questo ambito non numerose le ricerche dove si dimostra che in percentuale molto
alta (70%) le persone intervistate dopo forti traumi (es. morte di un familiare, terremoto) riportano di aver
tratto, in vario modo, qualcosa di positivo dalla loro esperienza.
Affleck e collaboratori (1991) riportano il valore predittivo di queste esperienze in una ricerca su madri che
avevano i propri neonati ricoverati in unità di cura intensiva. Questi autori mettevano in evidenza come alcune
di queste madri avessero riportato delle esperienze positive, proprio in conseguenza di questo evento
stressante: ad esempio un migliorato rapporto con famiglia e amici, vedere in una nuova prospettiva i problemi
della vita, aumento di capacità empatica, cambiamenti positivi nella loro personalità, certezza che ora il
bambino diveniva ancora più prezioso per loro. La presenza di queste esperienze si dimostro significativamente
predittiva non solo rispetto al benessere della madre, ma anche nei test di sviluppo dei bambini a distanza di 18
mesi.
Il collegamento piuttosto consistente tra benefit finding e miglioramento del PTSD, sia a livello fisico sia
psicologico, sollecita la ricerca di tecniche in grado di promuovere direttamente questi processi.
25
lOMoAR cPSD| 1616544
26
lOMoAR cPSD| 1616544
Il termine "salus" ha avuto una profonda eco nella tradizione cristiana, la quale ovviamente lo ha usato
nell'accezione di salvezza in riferimento all'anima.
È interessante osservare come nella nostra lingua il riferimento più esplicito ed esclusivo alla salute fisica
(valetudo) si sia sostanzialmente perso. Si potrebbe pensare che il termine salus si sia talmente affermato nella
cultura cristiana, come salute dell'anima, che nel passaggio dal latino all'italiano si sarebbe imposto, rispetto al
termine valetudo, anche laddove il riferimento fosse palesemente rivolto alla salute del corpo e non dell'anima.
Con il passare del tempo e soprattutto attraverso il progressivo affermarsi della medicina, sembra che il
27
lOMoAR cPSD| 1616544
termine salus abbia definitivamente assorbito al suo interno il termine valetudo. OGGI, come conseguenza, ci
troviamo con una sola parola a disposizione per indicare la salute, ma soprattutto si assiste alla scomparsa
dell'accezione salus = salvezza.
Infatti, per l'orientamento privilegiato verso la malattia che il modello biomedico ha assunto nel corso degli
anni, il risultato finale è che parlando di salute il riferimento non va alla salvezza (oggi si potrebbe dire alla
promozione della persona), ma alla malattia del corpo o della mente.
La presenza di una parola che per tre secoli è stata usata al servizio della patologia, ha determinato gli
orientamenti scientifico-culturali e i luoghi del potere.
Salutìe/salutìe
Come lo stato di malessere si articola e si differenzia in una serie di dimensioni misurabili (le malattie), anche lo
stato di benessere ha tutte le ragioni per differenziarsi e articolarsi in una serie di dimensioni (le salutìe).
È straordinario che ancora, dopo 30 anni di psicologia della salute, non si avverta la centralità di questo tema.
Occorre allora indagare le ragioni di questa indifferenza. Solo le malattie hanno avuto l'onore di tanta
attenzione da parte della scienza, ma la mancata attenzione alle dimensioni positive della salute non può
essere dovuta solamente alla loro minore rilevanza pragmatica rispetto a quelle negative. Probabilmente se la
salute, come ben-esser, non è stata sottoposta al microscopio della scienza lo è stato anche per una malintesa
forma di rispetto: la salute è una dimensione unitaria, una realtà da incasellare al singolare, il plurale non esiste.
MA il concetto di salute deve configurarsi come sintesi delle tante sfaccettature di ben-essere e mal-essere
(malattie e salutìe) al livello più alto dei processi integrativi.
Occorre riflettere su fatto che la cultura generale (nel linguaggio comune) spinge più facilmente ciascuno di noi
a sottolineare il malessere, a presentare lamentele e, viceversa, a chiudere con un certo ritegno il cancello dei
vissuto di ben-essere. È possibile che il progresso delle conoscenze delle dimensioni del ben-essere, e il loro
manifestarsi nel linguaggio quotidiano, possa portare un contributo di salutare cambiamento nel tessuto
culturale.
Salutogenesi
La parola salutogenesi, equivalente alla parola patogenesi, per quanto ancora non molto diffusa, è
sufficientemente accreditata in campo psicologico, tanto da immaginare una sua progressiva affermazione
anche in campo medico. Tale termine non costituisce solo un'innovazione linguistica, ma è rappresenta un
retroterra teorico importante per il modello salute (Antonovsky).
Bertini ci tiene a sottolineare la sua convinzione che l'elaborazione dei nuovi sistemi concettuali e il
cambiamento del linguaggio sono linee processualmente interagenti, entrambe necessarie per l'affermazione
della scienza della salute.
Psico-promozione
Il concetto di terapia delle malattia, va sostituito con il concetto di promozione delle risorse (salutìe).
Invece che psico-terapia, psico-promozione, parola che già compare nei piani sanitari nazionali e regionali ma
nella pratica siamo molto indietro, specialmente a livello individuale.
Parlare di promozione avrebbe un doppio vantaggio:
Facilitare la domanda: la parola psico-promozione libera l'immaginario della gente dallo stigma della patologia mentale;
Ampliare l'offerta: il concetto di promozione, per sua natura, si rivolge non solo alla fascia particolare di quelli che si
ritengono malati, ma a tutta la popolazione.
Infine, occorre sottolineare come manchi del tutto una parola in grado di rappresentare, in modo comprensivo,
l'insieme dei fenomeni riguardanti la scienza psicologica della salute. Una sorta di equivalente della parola
psicopatologia, potrebbe appunto essere il termine "psicosalutologia".
CONCLUSIONE
Bertini ha cercato di individuare le parole più appariscenti che si sono trasferite nella psicologia a partire da una
loro secolare affermazione nel campo della medicina. Questo trasferimento è storicamente non solo
comprensibile, ma anche utile in quanto ha permesso alla psicologia di essere riconosciuta, dal "genitore"
29
lOMoAR cPSD| 1616544
medicina, come scienza applicata. Infatti, è in virtù della sua vicinanza alla medicina che, nel tempo, la
psicologia ha potuto acquistare prestigio professionale anche nella cultura più ampia.
Tuttavia, riconosciuta l'utilità storica di queste parole, penso che sia il momento di acquisire maggiore
consapevolezza della loro influenza negativa. Lo psicologo dovrebbe procedere liberandosi del fardello
identificatorio (anche quello di natura linguistica), per realizzare la propria identità.
30
lOMoAR cPSD| 1616544
Un tentativo di operazionalizzare la salute, includendo non solo parametri psicologici, è stato offerto da
Seligman (2008) secondo cui la salute può essere operazionalizzata mediante una combinazione di misure
indicative di condizioni eccellenti a livello biologico, soggettivo e funzionale.
Cowley e Billings (1999) affermano che i "processi" richiedono contesto e significato che dia loro un senso,
cosicché legami, schemi, interconnessioni e azioni acquistano maggiore rilevanza rispetto ai fattori o agli eventi
separati. Se la salute è vista come processo, non è possibile concepire alcun aspetto di essa che possa emergere
da solo: l'interno contesto socioculturale è importante.
Rogers (1959), ragionando sulla persona che funziona appieno", rifiuta chiaramente le posizioni statiche a
favore del processo, affermando che la persona pienamente funzionante è una person-in-process, una persona
in continuo cambiamento.
Antonovsky a tal proposito afferma che la salute non è assenza di malattia, ma il processo mediante il quale le
persone mantengono il loro senso di coerenza, il senso cioè che la loro vita è comprensibile, gestibile,
significativa, e la capacità di funzionare in presenza di cambiamenti sia in se stessi sia in relazione all'ambiente.
Dunque emerge come tutti questi contributi teorici convergano con la valutazione della salute come un
processo dinamico e non come uno stato: un processo in cui salutìe e malattie emergono in una visione
integrativa, sia a livello della persona, dei gruppi e delle organizzazioni.
Grieco e Lingiardi affermano che Foucault ricostruisce quel tratto del cammino della medicina che vede nel
metodo sostanzialmente visivo dell'anatomia patologica, da cui si sviluppa lo sguardo della clinica, il
fondamento in grado di definire la condizione storica della medicina. Il passaggio attraverso la morte, o meglio
attraverso il corpo morto come oggetto naturale, segna l'inizio del suo costituirsi come sapere scientifico.
Foucalut esprime questo concetto con una frase "la malattia ha potuto staccarsi dalla contro-natura e prender
corpo nel corpo vivente degli individui, solo quando la morte è diventata l'a priori dell'esperienza medica".
In modo altrettanto lapidario Bertini afferma che la salute potrà decollare scientificamente quando la vita, e
non solo la morta, diventeranno l'a priori della scienza.
Conferenze:
PRIMA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI OTTAWA (CANADA, 1986):
presenta una Carta per stimolare l’azione a favore della “Salute per Tutti” per l’anno 2000 (e oltre) in risposta
alle aspettative mondiali per un nuovo movimento di sanità pubblica;
definisce la promozione della salute = processo che mette in grado le persone di +
e di migliorarla per raggiungere uno stato di benessere fisico, mentale e sociale, attraverso
l’identificazione e realizzazione delle proprie aspirazioni, soddisfazione dei propri bisogni, cambiamento
dell’ambiente circostante (salute come risorsa per la vita quotidiana e non come fine della vita)
La promozione della salute non spetta solo al settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al
benessere;
condizioni e risorse per la salute sono: pace, abitazione, istruzione, reddito, ecosistema stabile, risorse
sostenibili, giustizia sociale, equità;
passaggio dal concetto di educazione della salute al concetto di promozione della salute che si rivolge a
individui e gruppi nell’ambito in cui essi vivono, lavorano amano;
due livelli di cambiamento nel sociale: migliorare gli stili di vita e lavorativi, migliorare le condizioni di vita e
lavorative;
orienta i professionisti della salute pubblica a cambiare il linguaggio da un tono educativo a una linea di sviluppo
della comunità;
TERZA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI SUNDSVALL (SVEZIA, 1991)
Partecipano 81 nazioni e si nota l’orientamento a stimolare le politiche nazionali a farsi carico del tema,
32
lOMoAR cPSD| 1616544
indicando strategie adeguate alle esigenze dei processi di globalizzazione. La visione delle persone come parte
dell’ecosistema terrestre e quindi la loro salute è fondamentalmente collegata all’ambiente al punto che il
miglioramento della qualità della vita deve preservare la sostenibilità dell’ambiente. La sfida è realizzare
azioni concertate per uno sviluppo sostenibile e un ambiente favorevole alla salute, favorevole sia per la
dimensione fisica sia per quella sociale : creare ambienti favorevoli ha connotazione fisica, sociale, psicologica,
economica e politica e ogni dimensione è connessa alle altre. 4 aspetti per definire la qualità degli ambienti:
Dimensione sociale, comprende i modi in cui le norme, le abitudini e i processi sociali incidono sulla salute, sia
positivamente sia negativamente (es aumentando l’isolamento sociale);
Dimensione politica, che richiede ai governi di garantire la partecipazione democratica e il decentramento di
risorse e responsabilità (spostarle dalla corsa agli armamenti);
Dimensione economica, ri-canalizzazione delle risorse per realizzare la Salute per Tutti;
Necessità di riconoscere e usare le abilità delle donne in tutti i settori.
QUARTA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI JAKARTA (INDONESIA, 1997)
Si tratta della prima conferenza tenuta in una Paese in via di sviluppo e a coinvolgere il settore privato nella
promozione della salute; inoltre 10 anni dopo Ottawa si ha riflettuto sull’efficacia delle azione svolte fino ad
Ora. Vi sono 5 priorità:
Promuovere responsabilità sociale nei confronti della salute;
accrescere competenza della comunità ad aumentare il potere del singolo;
espandere e consolidare le partnership per la salute;
aumentare investimento per lo sviluppo della salute;
assicurare un’infrastruttura per la promozione della salute.
QUINTA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI CITTA’ DEL MESSICO (MESSICO, 2000)
Da qui in poi, uso di “globale”, meno aspetti teorici e focus sui problemi di sviluppo della promozione.
100 nazioni partecipanti, si sottolinea la necessità di porre la salute in modo preminente nelle agenzia
internazionali, nazionali e locali e stimolare partnership tra diversi settori perché la promozione della salute
crea vantaggi per la salute e la qualità della vita, specialmente per chi vive in circostanze avverse. Si sviluppa la
carta di Ottawa: la promozione della salute è per mezzo, con e per le persone (singoli e gruppi) tramite
rafforzamento delle capacità di agire dei singoli e di attivarsi delle comunità per controllare i determinanti della
salute (che possono essere fuori dal controllo degli individui oppure no, e a tal proposito devono occuparsene i
servizi sanitari, che devono orientarsi alla promozione della salute).
SESTA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI BANGKOK (THAILANDIA, 2005)
Promozione della salute come diritto umano fondamentale in quanto è un processo per aumentare il controllo
sui determinanti della salute ed è funzione centrale della sanità pubblica che affronta le malattie trasmissibili e
altre minacce della salute. Diversi capitoli orientati all’azione:
Impegno globale: tutti insieme per la salute applicare strategie efficaci e iniziative innovative come
partnership, reti…
Colmare la lacuna dell’attuazione visto che, a partire da Ottawa, poche azioni sono state fatte fino ad ora;
Invito all’azione: richiesta all’OMS di allocare risorse per promuovere la salute, avviare piani di azione e
monitorarli tramite indicatori obbiettivi e riferire sui lavori in corso; valutare benefici possibili derivanti dallo
sviluppo di un Trattato Globale per la Salute;
Partnership in tutto il mondo per promuovere la salute.
SETTIMA CONFERENZA GLOBALE SULLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI NAIROBI (KENYA, 2009)
Si chiude con la “Nairobi call to action”, oltre 100 nazioni, si propongono di:
Usare il potenziale non sfruttato della promozione;
Rendere i principi della promozione della salute integrali all’agenda politica e dello sviluppo;
Fare meccanismi di attuazione efficaci e sostenibili.
Vengono elaborate 5 strategie/azioni:
Costruire la capacità per la promozione della salute;
Rinforzare i sistemi sanitari;
Partnership e azioni intersettoriali;
Empowerment di comunità;
Literacy (alfabetizzazione) della salute e dei comportamenti di salute.
33
lOMoAR cPSD| 1616544
CONCLUSIONI
Per concludere possiamo notare come dato positivo le varie iniziative in tutto il mondo a partire da Ottawa:
• le città sane
• le scuole che promuovono salute
• gli ospedali che promuovono salute
• i luoghi di lavoro che promuovono salute
Per quanto riguarda le criticità si possono individuare:
La controversia su :
1. Approccio centrato sull’individuo: interventi individuali anche se in ambiti organizzativi o istituzionali (
si cerca di cambiare le persone)
2. Approccio centrato sul contensto/setting: si interviene sul contesto, orientandolo a offrire opportunità
di cambiamento agli individui e ai gruppi.
Tale controversia si risolve non tanto considerando le due posizioni come antitetiche ma come dialoganti e
reciprocamente valorizzanti. Inoltre c’è confusione circa il significato del concetto di “promozione della salute":
perché ci sono tante definizioni vaghe e diverse tra loro.
1. Vera: in quanto prevenire può certamente lasciare spazio a un progresso di salute (ben-essere);
2. Errata: in quanto di per sé non lo garantisce, e perché l'operazione di prevenzione si iscrive in una metodologia del
tutto diversa da quella propria di un'operazione di promozione.
Detto questo, la prevenzione rimane comunque un tema rilevante anche per la psicologia della salute e a volte
interventi tipici della prevenzione possono essere inquadrati in un’ottica rispettosa dei criteri della promozione,
come ad esempio la ricerca-azione “Diamoci una Mossa” di Lucidi che ha coinvolto 30 000 famiglie italiane allo
scopo di promuovere stili di vita attivi e alimentazione corretta in quanto fattori importanti nella salute e in
quanto diritti di ogni persona e bambino.
Oggi la strategia preventiva è prevalente, e l’orientamento nell’infanzia e adolescenza è quello di focalizzarsi
sugli aspetti negativi, basta osservare la rassegna di Rich che mostra come ogni 21 articoli dedicati alle emozioni
negative ne troviamo 1 solo per quelle positive. Tra gli argomenti più discussi c’è il PTSD, dove troviamo molti
spunti di interventi preventivi; ma è la strategia migliore?
Nel 2002 l’OMS presentò il Report on Violence and Health secondo cui la promozione ha un ruolo importante
nel sostegno dello sviluppo sano di bambini e adolescenti anche perché la violenza fisica spesso origina dalla
mancata competenza famigliare (resilienza familiare).
Anche la letteratura sostiene che usare una giusta strategia che tiene conto di risorse e fattori protettivi genera
risultati significativi anche in situazioni di gravità. Ad esempio, l’origine dello stress post-traumatico si può
esaminare non tanto nell’eziopatogenesi, ma quanto alla luce di un insufficiente sviluppo nella linea di salute.
A conferma delle potenzialità preventive degli interventi di promozione si può citare il lavoro di Fava e coll.
(2003) in cui si dimostra come l'orientamento a promuovere il ben-essere sia il miglior modo di prevenire le
ricadute della depressione.
Il cliente è visto come auto-organizzatore anziché come soggetto passivo di trattamento (soggetto
protagonista) Si ha così un cambio di atteggiamento delle persone di fronte allo psicologo: non più oggetti di
malattia ma soggetti di salute;
Metafora del viandante anziché del deviante e lo psicologo diventa facilitatore;
Lo sguardo è rivolto non solo ai soggetti patologici o a quelli a rischio ma a tutta la popolazione (orientamento
che si può ritrovare nei documenti dell’ufficio regionale (EURO) dell’OMS del 1985 secondo cui la promozione
della salute deve coinvolgere tutti nella vita quotidiana);
Le caratteristiche del modello salute aprono la strada a opportunità formative e iniziative professionali
innovative in grado di stimolare e aumentare la domanda sia in contesti già avviati, sia nuovi, sia in psicoterapia
privata (Bosio).
La psico-promozione deve riuscire a vincere la sfida della scientificità.
35
lOMoAR cPSD| 1616544
adulto e quindi statico, mentre puoi essere felice del fatto che il bimbo sviluppa autonomia in un approccio
dinamico) nel rispetto e comprensione delle diversità;
APPROCCIO CO-COSTRUTTIVO: trova i fondamenti teorici nel concetto eriksoniano di mutualità, dato dal bisogno
di libertà e dipendenza, l’una condizione dell’altra. La mutualità non è un appello esortativo ma una condizione
sine qua non e il criterio metodologico della co-costruzione è in stretta coerenza col principio teorico della
mutualità. co-costruire, infatti, significa passare a una posizione coinvolgente “io sono con te”, nel rispetto della
diversa specificità e responsabilità di un ruolo, ma nella piena condivisione dell’impegno verso gli obbiettivi da
raggiungere. Qui emerge il protagonismo del cliente perché lo psicologo esplora obbiettivi e metodi col cliente;
la co-costruzione e la valenza positiva di salute trovano molti punti di contatto con il costruttivismo, termine
che trova sempre più spazio nella letteratura psicologica dell’ultimo quarto del secolo scorso come dice
Mahoney in quanto il costruttivismo considera il sistema vivente come un agente proattivo che partecipa alle
proprie dinamiche di vita. Nel costruttivismo c’è qualcosa in più della semplice auto-organizzazione, perché c’è
il disordine, che è necessario allo sviluppo di tutti i sistemi complessi. Altri filoni teorici della co-costruzione si
trovano nella psicologia classica (campo dinamico-evolutivo, area cognitiva, empowerment e self-efficacy).
APPROCCIO SISTEMICO: la persona come “unità di analisi” si sposta nella valorizzazione della “person- in-
environment”. Si supera l’atteggiamento di concentrazione sui tratti interni alla persona e si tiene come focus
la persona nelle sue relazioni con l’ambiente. Altman sostiene che ambiente e comportamento sono un’unità
integrale o transazionale, e non si può comprendere un fenomeno senza studiare ambiente e comportamento
come una singola unità di analisi (così il punto di vista che emerge non fa riferimento alla inter-azione ma alla
trans- azione fra persone e ambienti. Ovviamente si può lavorare anche con una sola componente del sistema,
purchè ci sia un’ottica aperta alla transazione relazionale delle varie componenti. Se non si può coinvolgere in
modo diretto le componenti di un sistema, devi rendere consapevoli i partecipanti delle ragioni per le quali non
sono presenti le altre componenti e dei limiti dell’intervento, ridimensionabili se si sollecita un’apertura al
coinvolgimento sistemico di tutte le componenti.
Il consenso e l’interesse alle iniziative spinse la Divisione di Salute Mentale dell’OMS a mettere a punto “linee
guida”, collaborando con agenzie internazionali già impegnate in programmi da fare a scuola => nascono i
programmi di LSE nelle scuole e nella raccomandazione 4 del Comitato degli Esperti dell’OMS (1996) si dichiara
che per raggiungere l’obbiettivo salute entro il 2000 ogni scuola deve far conoscere agli alunni gli aspetti critici
della salute e sviluppare le competenze di vita.
Che rapporto c’è tra LSE e psicologia della promozione del ben-essere? Sicuramente le competenze di vita sono
coerenti col modello salute anche se nella letteratura internazionale le LS vengono applicate in un contesto di
prevenzione e spesso non si rilevano segni distintivi e modalità di “processo” che caratterizzano la qualità di
una linea di promozione; spesso inoltre sono programmi brevi dove il compito dello psicologo della salute è
quello di sollecitare lo sviluppo di risorse e competenze psicosociali, mettendo a disposizione di tutte le
componenti della scuola le sue conoscenze che la psicologia è in grado di offrire.
Se vogliamo introdurre in Italia un programma coerente con questi principi, dobbiamo confrontarci col
panorama internazionale, dove emerge un programma in particolare che sembra adatto, il MODELLO SKILLS
FOR LIFE (Competenze per la vita) elaborato dall’organizzazione TACADE e usato in UK e da altri Paesi in quanto
in linea con le concezioni dinamiche, sistemiche e co-costruttive. Secondo questo programma l’obbiettivo si
può raggiungere nella misura in cui:
1. Le componenti del sistema vengono coinvolte nel processo;
2. Ogni azione della scuola tiene come punto di riferimento generale lo sviluppo individuale e sociale dello studente;
Pregi:
• Sul piano metodologico questo modello è coerente e gli strumenti sono sistematici ed efficaci;
• Enfasi sui protagonisti della vita scolastica indicati come agenti di cambiamento;
• Fisionomia processuale e ricorsiva del cambiamento che attraversa vari stadi:
• Preparare il cambiamento;
• Identificare i bisogni;
• Valutare le risorse;
37
lOMoAR cPSD| 1616544
LA PSICO-PROMOZIONE IN OSPEDALE
Nell’ospedale la figura di Igea è stata profondamente oscurata da Panacea; scarsa è l’attenzione alle dinamiche
organizzative interne perché il focus è concentrato sui singoli pazienti.
Ma per diventare più umano non si può apportare miglioramenti ambientali che calano in modo prescrittivo sugli
operatori, ma bisogna accogliere e curare il paziente come persona portatrice di salute, di vita, qualunque sia il livello di
malattia e la distanza dalla morte (l’ospedale non si deve limitare alla cura della malattia ma deve contestualmente
operare per il potenziamento della salute).
Goffman sostiene che il sanitario di oggi è come un meccanico che, nel riparare l’auto, ha la sfortuna di avere
intorno il proprietario a dargli fastidio mentre cerca di ripararla. Non si presta adeguata attenzione al guidatore,
cioè alla personalità del paziente e non si insegna al guidatore a guidare bene la macchina per evitare che
ritorni in officina. C’è chi pensa che per fare questo non c’è spazio né tempo, ma è un errore perché l’ospedale
è un luogo dove ha senso creare un centro di promozione della salute.
Bertini sostiene che prendersi cura di una persona significa considerare anche tutta la trama di transazioni
sociali che lega la persona dentro e fuori dall’ospedale. Si tratta di cambiare la cultura, o meglio di recuperare
in chiave moderna la vocazione originaria degli ospedali di assistenza globale ai bisogni della persona
sofferente, e non di stretta cura della malattia presente. Storicamente, infatti, la dimensione medica è
subentrata più tardi per poi prevalere del tutto ma in questo modo l’uomo perde la sua dimensione storico-
biografica. In realtà progressi sono stati fatti, ma non un vero salto di qualità dove l’ospedale diventa uno
spazio e tempo prezioso per realizzare integrazione tra benessere e malessere. Bisogna quindi fare operazioni
coerenti con il quadro teorico della promozione.
Obiettivo che si pongono gli HPH (Health Promoting Hospitals), ospedali deputati a promuovere salute, nati a
partire dalle sollecitazioni della Carta di Ottawa.
In Italia il programma nasce negli anni ’80 e si impegna a:
1. Sviluppare promozione della salute nell’ospedale;
2. Ampliare l’interesse del management ospedaliero e delle strutture alla tutela della salute e non solo cura malattia;
3. Fare esempi di buona pratica clinica e organizzativa;
4. Incoraggiare la cooperazione e lo scambio di esperienze tra ospedali;
5. Trovare aree di interesse comune per fare programmi e procedure di valutazione;
gruppi;
2. Migliorare la qualità, il benessere di pz e familiari e staff, diventare un’organizzazione che apprende;
3. Focus sulla salute con approccio globale;
4. Prendersi cura di chi fornisce servizi sanitari ai pz e famiglie per facilitare la guarigione e aumentare le competenze
dei pz;
5. Usare le risorse in modo efficace ed efficiente;
6. Creare collegamenti con altri livelli del sistema sanitario e con la comunità.
Per facilitare ciò, a partire dal 1993 si sono create reti tematiche che collegano gli ospedali che sviluppano
attività simili (es. ambienti liberi dal fumo).
Gli HPH si riconoscono nel SettingApproach for health Promotion che non si limita a promuovere la salute, ma
prende in considerazione l’influenza del setting in cui la gente vive.
La sezione europea dell’OMS nel 2001 presenta degli standard europei sperimentati poi in 36 ospedali di 9
Paesi:
Standard 1: l’ospedale deve avere una politica scritta per la promozione della salute, finalizzata a pz, famiglie e
staff, che va implementata come parte del sistema di qualità;
Standard 2: obbligo di valutare i bisogni di paziente per salute, prevenzione, rehab;
Standard 3: l’organizzazione fornisce al paziente informazioni su fattori importanti della malattia o condizioni di
salute e gli interventi di promozione della salute vanno fatti con tutti i pazienti;
Standard 4: la direzione stabilisce le condizioni per lo sviluppo dell’ospedale come luogo di lavoro;
Standard 5: continuità e cooperazione con altri servizi, settori della salute.
Si nota un positivo shift da interventi a livello individuale a dinamiche organizzative: queste iniziative vanno
incentivate ma non sono sufficienti perché oltre a promuovere la componente organizzativa, deve mirare alla
promozione della salute delle persone e non dei pazienti.
Dal paziente come oggetto di terapia alla persona come soggetto di salute, introducendo il concetto di salute
nella sua accezione positiva. Co-presenza in ospedale di un’attenzione sia verso i sintomi della malattia e i loro
trattamenti, sia verso le dimensioni della salute e la loro promozione. Si possono individuare delle linee di
metodo in base alle 3 fasi salienti del percorso di ospedalizzazione:
Fase dell’accoglienza: introdurre il corrispettivo dell’anamnesi patologica remota e prossima, raccogliendo cioè
una storia di vita che attivi la riflessione anche sulle risorse personali e sociali del paziente, faciliti la
collocazione dell’evento critico in una storia personale sottolineando l’opportunità che la crisi offre, crei una
relazione psicologo-paziente che faciliti la motivazione al lavoro. A proposito Frank sostiene che l’importanza
nella storia non è nel contenuto ma nel fatto di narrarla perché permette di riconoscere la propria dignità
morale;
Fase della degenza: chi entra in ospedale ha molti momenti vuoti dove non sa che fare ed è quindi disponibile.
Per questo si possono inserire seminari o laboratori in piccoli gruppi per trattare di tematiche coerenti con la
promozione delle competenze psicosociale, stili di vita, difesa da stress e motivarli a farsi sostenere anche dopo
la dimissione;
Fase post-ospedaliera: offrire informazioni sui risultati ottenuti, prescrizioni da rispettare, circostanze da
affrontare nel futuro perché porta vantaggi oggettivamente accertati; motivare la persona a frequentare un
seminario che l’ospedale propone durante la degenza.
Il ricovero è un momento di crisi che può condurre a esiti regressivi o progressivi: l’ospedale deve potenziare la
competenza delle persone a instaurare nuove norme, nel rapporto tra ben-essere e mal-essere.
L’impegno a lavorare in una direzione integrativa tra le diverse discipline è sollecitato dall’OMS attraverso i
progetti “città sane”, diffusi in tutto il mondo Italia compresa, ma nonostante ciò le programmazioni sono
ancora orientate dagli esperti tecnico-urbanistici e non vedono una partecipazione delle scienze umane.
Nel 2000, ad Orvieto, la Società Italiana di Psicologia della Salute tenne un Congresso Nazionale dove si parlò di
senso della costruzione del ben-essere anche a livello di convivenza negli aggregati urbani, volendo passare
“dalla lotta alla malattia alla costruzione della salute”. Aderirono la Società Italiana di Antropologia Medica e
l’Associazione Italiana di Sociologia, il sindaco e la giunta comunale e venne presentato un MANIFESTO, dove si
nota l’idea che una migliore qualità della vita nella città si può ottenere tramite un cambiamento radicale della
relazione fra amministratori, esperti e cittadini e si propone quindi come un retroterra culturale per sollecitare
la metodologia della progettazione partecipata nella pianificazione urbanistica. Ebbe un riscontro molto
positivo.
Questo modo di lavorare permette:
• All’amministrazione di definire e verificare nuovi approcci, strumenti e metodi per organizzare il
governo e la pianificazione del territorio;
• Ai tecnici di avvicinarsi agli utenti e modulare gli interventi in funzione delle loro aspettative,
realizzando una vision condivisa nella comunità;
• Ai cittadini di passare dal passivo all’attivo, assumendosi responsabilità;
• Agli psicologi della salute di offrire un contributo qualificato in un’area dove ancora non è ben visibile la
nostra presenza.
La psicologia della salute deve prendere coscienza di doversi mettere in cammino, di avviare la propria
transurbanza nella città postmoderna, per riscoprire un senso e una pratica di riposizionamento (Braibanti).
MANIFESTO DI ORVIETO:
Premesse:
Gli strumenti della programmazione territoriale (piano dei trasporti, piano dei servizi ecc) sono una dimensione operativa e
istituzionale di grande influenza nella vita quotidiana. Questi strumenti classificano e sistemano i contenitori urbanistici e
dei servizi e istituiscono una rappresentazione della città e territorio che interagisce con culture e comportamenti dei
cittadini. Gli strumenti esercitano implicitamente la loro influenza e raramente tengono conto dei cambiamenti che
inducono nei comportamenti e relazioni. I cittadini hanno bisogno di trasformare la relazione tra programmazione
territoriale e nuove configurazioni delle fenomenologie sociali. Gli strumenti sono occasioni di un rapporto d’esplorazione
con le culture locali, di promozione della domanda sociale, che nasce non solo dai bisogni ma anche dall’offerta.
A partire da ciò, il contributo delle scienze umane consiste nel:
• Fare analisi della domanda che rileva risorse, aspettative, culture locali processi di customersatisfaction;
• Fare strumenti di sollecitazione e maturazione dei processi partecipativi per rendere il cittadino co- protagonista
per favorire una comunità competente;
• Valutare su piano psicologico, sociale e culturale l’impatto positivo o negativo degli interventi relativi al piano
regolatore;
• Valutare a breve e lungo termine e monitorare i risultati degli interventi sul vissuto soggettivo dei cittadini;
• Integrare gli strumenti positivi che intervengono nella costruzione del benessere e salute dei cittadini costruire
una rete tra i diversi soggetti istituzionali.
In conclusione bisogna porre come obbiettivo generale del piano regolatore il tema della qualità della vita e ben- essere,
che impone agli organi decisionali di piegarsi alla soggettività dei cittadini e rende evidente la necessità di una diversa
relazione integrativa degli esperti tra di loro e con i responsabili degli organismi politico-amministrativi.
40
lOMoAR cPSD| 1616544
futuro, responsabilità personale, ricerca di senso, narrazione (raccontare le proprie storie di vita vedendo la
propria vita con senso e capacità di agire invece che passività, anche se la narrazione viene spesso trascurata
nella ricerca e formazione quando invece assume posizione centrale nell’ambito della psicoanalisi, come
sostiene Ferro).
Sempre secondo gli autori, la promozione di queste risorse ha un effetto terapeutico più ampio degli specifici
ingredienti di risanamento fino a oggi studiati.
La possibilità che le terapie abbiano elementi in comune fu affrontata già nel 1936 da Rosenzweig; oggi c’è una
vasta letteratura che concorda che questi fattori ruotano attorno al modello salute. Il crescendo di riflessioni e
ricerche sui fattori aspecifici spiega il movimento verso l’integrazione delle varie forme di psicoterapia,
incoraggiato anche da due sondaggi che mettono in evidenza come l’approccio preferito da molti terapeuti è di
tipo eclettico (dal 59% al 72% dei casi nel primo svolto da Safran e Messer e dal 55% dei casi nel secondo di
Garfield e Kurtz) e che diventa un vero e proprio movimento organicamente riconoscibile in importanti
iniziative come la SEPI (Society for Exploration of Pstchiterapy Integration), la fondazione del Journal of
Psychoterapy Integration.
Mahoney parla di de-segregazione come requisito necessario per l’integrazione e sottolinea come gli studi a
riguardo si differenziano in 3 filoni:
Eclettismo tecnico: combinare varie tecniche in base all’utilità rispetto ai vari clienti;
Fattori comuni: individuare fattori trasversali alle varie scuole e poi specifici;
Integrazione teorica: il fine dell’integrazione è prima concettuale e poi procedurale.
Un problema che complica l’integrazione è la posizione dei postmodernisti rispetto ai modernisti, che accettano
il movimento integrativo se profondamente aperto a una relazione dialogica fra le diverse scuole per aiutare i
teorici e professionisti a superare l’atteggiamento di superiorità che nasce dal confronto con altre “culture”
terapeutico e adottare invece un senso di sorpresa e curiosità di imparare, atteggiamento rappresentato dalla
figura dell’antropologo culturale (Safran e Messer).
Mahoney infine sottolinea come pochi vadano cercando una singola terapia integrativa migliore delle altre, ma
si vada invece in cerca di un pensiero integrativo che influenzi le terapia per migliorarne e generarne altre di più
utili.
Mentre il dialogo è difficile con finalità integrative, più facile è quello tramite l’incontro su un terreno comune
ma esterno alle terapie: la ricerca scientifica. Liotti rifiuta l’ideologia postmoderna ritenendo l’epistemologia
scientifica moderna come fondamento comune al pensiero clinico psicoterapeutico e ritenendo che
l’integrazione dei linguaggi psicoterapeutici è già in atto e destinata a procedere per conto suo senza bisogno di
fare qualcosa.
Lo psicoterapeuta deve riconoscere la sua appartenenza costitutiva al mondo della scienza e il suo ambito
teorico di base non può che risiedere nella scienza psicologica, come già aveva detto Freud.
LA POSIZIONE DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE: DALLA TEORIA ALLA PRASSI DELLA PSICO-PROMOZIONE
Nella cornice del modello salute lo psicoterapeuta, ovvero lo psico-promotore, abbandonando la visione
dicotomica “normale/anormale” si rivolge al viandante che affronta le circostanze della vita con le sue forze e
con le sue debolezze, coerentemente orientate alla crescita della competenza normativa.
Tra gli aspetti salienti troviamo:
La centralità del cliente e relazione co-costruttiva con lo psicologo: il fattore cliente ha un’importanza
fondamentale in tutte le forme di terapia al punto che Lambert stima che i fattori legati al cliente spiegano il
40% della varianza di outcome, Brown sostiene che le differenze nei metodi spiegano meno del 5% della
varianza di outcome e altri studi dimostrano che la persona che ha ricevuto terapia sta meglio dell’80% del
campione non trattato, di cui fra il 40 e l’87% per merito del fattore cliente;
Consapevolezza ed esplicitazione degli assunti: l’opinione diffusa è quella di interagire col pz in modo neutro e
privo di orientamento valoriale ma questo atteggiamento deriva dall’allineamento alle scienze naturali neutrali,
a-storiche e libere dai valori, in riferimento al concetto di moral vision di Christopher, secondo cui
l’individualismo è la concezione culturale per il solo 30% della popolazione mondiale:
L’idea di sviluppare teorie “oggettive” è impropria perché la conoscenza si basa su interpretazioni che non
possono mai essere obbiettive a motivo della nostra ineliminabile storicità. Il nostro ruolo potrebbe essere
quello di NON proiettare i nostri valori e aiutare gli altri a prendere decisioni all’interno del sistema di valori che
loro ritengono significativi, ma questa visione comporta due conseguenze negative.
La prima è che un approccio distaccato è impossibile se abbiamo un’interazione genuina con gli altri; la seconda
è che si cade nel relativismo dove si perde la voce in capitolo;
La nostra appartenenza culturale non deve essere vista come qualcosa di negativo, ma come una precondizione
per conoscere o per partecipare in modo significativo nella vita e nelle sue lotte → ciò che è cattivo è
42
lOMoAR cPSD| 1616544
Lo psicologo nel rapporto coi clienti deve appoggiarsi alle conoscenze più aggiornate che derivano dal suo ruolo
specifico di professionista-scienziato, anche se devono essere vissute e presentate in tutta la loro discutibile
verità. E’ costitutivo della responsabilità del ruolo l’essere pienamente competente rispetto agli sviluppi del
pensiero scientifico contemporaneo e consapevole dei limiti che esso comporta (il livello dialogico ermeneutico
e il livello scientifico non sono quindi alternativi).
Visione integrativa di benessere/malessere: lo psicologo della salute deve maturare un appropriato livello di
competenza rispetto alle funzioni classiche della patologia; inoltre nel Sistema di Classificazione Internazionale
del funzionamento della disabilità e della salute (ICF) il costrutto di disabilità viene svincolato dal senso rigido di
malattia perché la condizione di disabilità non appartiene alla persona ma si desume dalla relazione tra le
richieste dell’ambiente e le prestazioni dell’individuo→ rivisitazione dei costrutti di riabilitazione e abilitazione;
infine la tendenza a differenziare gli interventi in rapporto alla gravità del problema è superata perché ci sono
dati di ricerca che dimostrano che anche con un cliente particolarmente malato può essere vantaggioso
puntare sulle risorse minime a sua disposizione.
La valutazione del risultato: è molto complesso valutare l’efficacia di una psicoterapia attraverso la definizione
a priori di obbiettivi da raggiungere (es dell’uomo che fa la pipì addosso), anche all’interno della stessa scuola;
Spostamento dal risultato al processo: il successo della psico-promozione è tutto intorno al processo;
Problema del linguaggio: bisogna creare una parola che esprime il concetto di promozione, convincente come
“psicoterapia” come psico-promozione o psicosalutogenesi la parola terapia è legata al concetto di
“correzione”.
Nel XIX secolo, Malthus e Ricardo sostengono che le economie sono sistemi chiusi con quantità fisse di beni
materiali. La scarsità quindi diventa uno stato naturale: allo stesso modo anche la competizione e la guerra
sono naturali. Quindi l’uomo è intrinsecamente RAZIONALE e sono predicibili le scelte comportamentali.
Per tutte queste considerazioni è facile capire come mai il PIL è stato sempre tenuto come indicatore del ben-
essere. Ma oggi è opportuno distinguere il ben-essere soggettivo (di interesse dell’economia) e il ben-essere
psicologico.
BEN-ESSERE SOGGETTIVO
Easterlin con il suo paradosso della felicità dimostra come al crescere della ricchezza inizialmente cresce anche
la felicità, ma poi rimane costante con tendenza ad abbassarsi. Come si spiega?
Gioia o tristezza dopo un certo tempo tendono a svanire, costringendo gli uomini a vivere su un tapis roulant in
cerca continua di nuove stimolazioni senza mai raggiungerne di permanenti (Brickman e Campbell), dove un
ruolo fondamentale lo assumono i geni che determinano una linea base (Teoria del SET POINT) di felicità che
rimane costante nel tempo, seppur può oscillare moderatamente; Lyubomirsky, Sheldon e Schkade, nel loro
modello concettuale individuano 3 fattori che determinano il benessere:
1. il set point di felicità (oppure set range, inteso come gamma invece che punto) (spiega il 50% della
varianza);
2. le circostanze di vita (10%);
3. la attività positive c-c orientate verso un fine (40%);
Confronto sociale, secondo cui essere felice dipende dal confronto con due norme: cosa guadagnano gli altri
rispetto a te (ti paragoni con gruppi di riferimento e se aumenta il guadagno campi gruppi di paragone → se
aumenti a tutti il guadagno non aumenta la felicità perché rimangono i gap) e cosa tu stesso sei abituato a
guadagnare.
Queste concezioni portano alla crisi dell’equazione aumento della ricchezza = aumento del benessere, ma
nonostante ciò non ci sono ancora strumenti in grado di convincere la politica a integrare o sostituire
l’indicatore del PIL con altri indicatori; inoltre occorre anche una maturazione culturale.
Nonostante ciò per le scienze psicosociali è doveroso criticare la visione della natura umana tipica
dell’economia:
Critiche al concetto di “razionalità umana”: nella visione classica le persone hanno un comportamento razionale
con eccezioni possibili ma marginali (questa visione serve ad avere sistemi economici in equilibrio nel lungo
termine, così da poter fare previsioni).
Kahneman con la Teoria del prospetto prende il premio Nobel sostenendo che quando si deve decidere in
materia economica le motivazioni psicologiche, incluse emozioni e pregiudizi, sono importanti nel determinare
il comportamento delle persone: se le persone non sono del tutto razionali le loro scelte non per forza
massimizzano l’utilità sperimentata e l’aumento delle opportunità non per forza migliorerà le scelte;
Critiche al concetto di natura egocentrica: sempre Kahneman parla di egocentrismo limitato e non totale in
quanto la concentrazione sugli aspetti negativi della natura umana è ampiamente presente nella cultura e
l’egocentrismo è la rappresentazione dell’istanza accrescitiva di cui il PIL è lo strumento di pompaggio più
adeguato.
BEN-ESSERE PSICOLOGICO
Nella prassi economica il primo bisogno è stato ridotto alla dimensione accrescitiva scotomizzando l’altro
dimensione fondamentale, quella della coesione sociale, mentre l’equilibrio tra le due componenti in rapporto
di mutualità è fondamentale perché la mutualità è un’alternativa scientificamente fondata all’egocentrismo. È
possibile quindi passare da un’idea di PIL come fine a PIL come mezzo al servizio del ben-essere della persona
così come si è passati dal modello biomedico a quello biopsicosociale: in entrambi i casi la svolta si gioca
tramite un’apertura sistemica dai livelli più bassi a quelli più alti della condizione umana, considerando non solo
il livello di salute individuale e non solo il PIL come fattore di crescita anche perché l’aumento del ben-essere in
una rete relazionale che aumenta la partecipazione aumenta anche la responsabilità e la disponibilità a
produrre beni materiali. Il peso eccessivo della nostra cultura individualistica rispetto alla coesione può essere
alla base dell’egocentrismo dell’Occidente (per esempio in Bhutan, paese orientale, si è passati dal PIL al FIL -
felicità interna lorda- che si basa non solo sulla crescita economica, ma anche su buona governance, preservare
e promuovere la cultura, conservare l’ambiente – seppur questa apertura alla connessione può sfociare in
comportamenti non apprezzabili come l’espulsione di una minoranza etnica).
Oggi il tema del cambiamento degli indicatori viene proposto nella politica (Cameron, capo del governo inglese
“pensare non a ciò che dobbiamo fare per mettere denaro nelle tasche delle persone ma gioia nei loro cuori”)
come si può notare dalla conferenza “oltre il PIL” di Bruxelles del 2007 per individuare indicatori più adeguati e
44
lOMoAR cPSD| 1616544
dall’istituzione della commissione Sarkozy per individuare i limiti del PIL, trovare informazioni sulla produzione
di indicatori, valutare strumenti di misura alternativi, presentare le info statistiche in modo adeguato.
Tra i tentativi di modulare il PIL troviamo:
Genuine Progress Indicator (indicatore di progresso reale) che distingue le spese positive da quelle negative (es
costi di criminalità, inquinamento..);
Sostituzione del PIL col FIL, promossa dalla corrente neo-utilitarista e applicata solo in Bhutan → criticato in
quando la felicità non può essere il fine ultimo delle persone → il FIL però può valorizzare il suo distinto ruolo in
aggiunta al PIL;
Indicatori di natura oggettiva della distribuzione del PIL: indici di povertà, indici di distribuzione come il Gini, il
Sen o l’Atkinson.
Più difficile il problema dell’integrazione tra indicatori, dove Foregard suggerisce il dashboard (cruscotto) come
approccio che non cerca di ridurre il benessere a un numero ma incoraggia a trovare informazioni su aspetti
oggettivi e soggettivi del benessere.
→ una sigla appropriata potrebbe essere BIL (ben-essere interno lordo) entro cui potrebbero convergere i
classici indicatori di produzione ma anche quelli di benessere soggettivi e oggettivi e quelli di ben-essere
psicologico.
Anche in questo ambito è importante notare le limitazioni dovute al linguaggio, in particolare alla distinzione
tra due concetti:
Crescita = appropriata nella visione economica tradizionale perché rappresenta un concetto lineare e semplice
di aumento della produzione di beni materiali nell’ordine della quantità→ il PIL è un indicatore di crescita e non
di sviluppo;
Sviluppo = si riferisce alla libertà delle persone nell’esprimere le capacità e nell’intraprendere azioni in linea con
le scelte valoriali personali→ è un concetto che non racchiude solo il PIL, ma anche elementi di natura
psicologica (Paesi sottosviluppati diventano Paesi sottocresciuti).
La relazione che si deve stabilire tra crescita materiale e sviluppo del ben-essere individuale e sociale prevede
un rapporto di reciproco potenziamento dei 2, immaginati ognuno come un continuum con agli estremi, nel
primo caso, indigenza/opulenza e nel secondo caso povertà/ricchezza così che può esistere un Paese ricco
indigente oppure povero opulento.
Questo passaggio è molto lento perché la cultura di oggi è propensa ad affidarsi al PIL, come il PIL fosse una
droga delle nazioni, strumento unico e indipendente dal BIL. Nel linguaggio comune, inoltre, abbiniamo il
benessere al possesso di beni (benestante = uno che ha tanti beni), mentre ci sono culture diverse dove i
concetti di povertà e ricchezza assumono significati coerenti col concetto di sviluppo, in particolare il Bhutan
dove la povertà nasce quando le persone non sono in grado di contribuire alla propria comunità in modo
significativo → per alleviare la povertà bisogna favorire la crescita delle capacità di dare agli altri in modo
appropriato.
Pertanto il politico deve favorire questi cambiamenti nei vari contesti organizzativi e istituzionali, tra cui
troviamo:
scuola: i politici italiani devono sostenere e incentivare iniziative LSE, devono saper distinguere tra
promozione e prevenzione (es: emergenza bullismo, non intervenire solo contrastando l’evento negativo, ma
inserire azioni di promozione di risorse positive);
contesto sanitario: riflettere sul vero significato di promozione (es: iniziative “salute in tutte le politiche”
promosse dall’UE che mira a considerare le conseguenze che ogni azione politica ha sulla salute de cittadini. I
politici dovrebbero sostenerle ma in realtà ancora una volta si registra una deviazione sul versante
“malattia/prevenzione”).
Oltre alla possibilità del politico di promuovere ben-essere dei cittadini nei contesti, egli deve anche assumere il
ruolo di promotore tramite il coinvolgimento partecipativo diretto con i cittadini e livello istituzionale e anche
a livello delle amministrazioni locali. Questo richiede un vero e proprio cambiamento della natura stessa del
processo politico perché la co-costruzione richiede anche un cambiamento della relazione politico-cittadino,
non certo privo di difficoltà, come quella del cittadino di superare la posizione passiva di chi chiede ed esige o
quella del politico di abbandonare il carattere prescrittivo/autoritario del potere, superabili però tramite il
riconoscimento dell’uguaglianza e il rispetto della differenza.
Oltre a questa difficoltà, è possibile individuarne un’altra, avanzata dal politico: il bisogno di risultati a breve
termine è una costante nella prassi politica, perché danno sollievo immediato e garantiscono consenso e ri-
elezione. Ma in questa visione la politica fatica a capire che le persone possono derivare utilità anche nel
processo con cui si persegue un risultato, anche se poi si verifica a distanza, purchè sia un processo
partecipativo che si svolga con modalità procedurali di qualità tecnico-scientifica e che venga condotto da una
componente politico-amministrativa la cui autorevolezza venga percepita come espressione di volontà di
condivisione. Frey e Stutzer dimostrano che in Svizzera l’attivazione di processi partecipativi da parte dei
governi ha un significativo effetto positivo sul ben-essere.
dei medici che si sentono spodestati; difficoltà economiche anche se in realtà questa iniziativa riduce i costi (in
Olanda questi interventi producono un 10% di risparmio sul costo della spesa medica).
CAP. 10 - CONCLUSIONI
La psicologia della salute permette di superare lo hiatus fra teoria e applicazione, considerato ancora oggi un
problema dovuto all’appiattimento alle metodologie delle scienze naturali e al modello biomedico: la salute
come ben-essere richiama esplicitamente l’attenzione sui processi che regolano le funzioni adattive di sviluppo
della persona e della convivenza nel contesto socioecologico → se questo è l’obbiettivo specifico della
promozione della salute, le discipline di base dei corsi di laurea, dai processi generali di funzionamento
psicologico e psicobiologico a quelli centrali dello sviluppo lungo il ciclo di vita fino al campo della relazioni
psicosociali, sembrano offrire il terreno più idoneo per orientare gli indirizzi applicativi in stretta continuità con
la teoria.
Inoltre la psicologia della salute permette un ritorno a un rapporto adulto col genitore "filosofia": la psicologia è
figlia della madre-filosofia e del padre-medicina e col tempo ha sviluppato un eccessivo attaccamento al padre
(per poter acquisire identità scientifica in linea con la cultura positivistica dell’epoca) e un distacco dalla madre
per paura di legame simbiotico; successivamente ribellione verso il padre e poi riavvicinamento. La psicologia
della salute permette un allontanamento dalla malattia-padre e un avvicinamento alla salute-madre. Ryff e
Stinger sostengono che la trascuratezza verso la filosofia sui “beni della vita” (goods in life) ha minato gli sforzi
di capire la salute positiva.
47