Sei sulla pagina 1di 4

La prima teoria che prendiamo in considerazione è la teoria della differenziazione emotiva;

questa teoria proposta da Alan Sroufe negli anni ’70, costituisce una rielaborazione di un
approccio teorico proposto da Bridges negli anni ’30. L’essenza di questa teoria è che a partire
da uno stato iniziale di eccitazione indifferenziata, a regolazione fisiologica, si vanno
progressivamente differenziando, nel corso dello sviluppo, specifiche e diverse emozioni che
saranno regolati eminentemente da processi psicologici, specificamente cognitivi. Mentre,
infatti, l’idea della differenziazione era condivisa anche da Bridges, l’elemento di novità che
caratterizza l’approccio teorico di Sroufe è l’enfasi posta sul contributo cognitivo allo sviluppo
emotivo. Più specificamente, durante questo periodo di differenziazione, si passa attraverso una
fase intermedia, caratterizzata dai cosiddetti “precursori” delle emozioni (piacere,
circospezione, frustrazione), ossia stati interni simili alle emozioni, ma aventi ancora una base
fisiologica, è quindi in quanto tali non considerabili a pieno titolo “emozioni” vere e proprie. Da
esse, nel corso del secondo semestre del primo anno di vita, si vanno differenziando le emozioni
vere e proprie (gioia, paura, rabbia), così definibili perché implicano un processo cognitivo di
attribuzione di significato all’evento scatenante. Sroufe descrive il percorso evolutivo di 3
sistemi emotivi, ognuno caratterizzato da un precursore, da cui evolve l’emozione vera e
propria. Analizziamone uno per volta.

8. Il primo che prendiamo in considerazione è il sistema di piacere-gioia. Nelle prime settimane


di vita, il bambino manifesta un sorriso che è regolato unicamente da fluttuazioni nel livello di
attivazione fisiologica, prodotte da uno stimolo esterno (1 voce, 1 luce che si accende, ecc.).
Dunque, quella che sembra essere un’espressione emotiva, è in questa fase precocissima
soltanto l’espressione di una fluttuazione nel livello di attivazione fisiologica. Lo stimolo che la
produce non ha alcuna valenza psicologica per il bambino, ma ciò che la determina è soltanto un
alterazione nell’intensità dello stimolo ambientale, dunque l’aspetto quantitativo dello
stimolo (ad esempio in un ambiente silenzioso, l’intervento di un rumore, oppure in uno stato di
buio, una luce che si accende, ecc.).

9. A partire da 3 mesi, compare il precursore della gioia, ossia il piacere. E’ a questa età che
compare il sorriso sociale che solitamente il bambino manifesta a persone familiari e poi
specificamente alla madre. Questa manifestazione si caratterizza per una regolazione di natura
psicofisiologica; infatti, secondo Sroufe, la componente psicologica consiste in un meccanismo
di riconoscimento di qualcosa di familiare sulla base di uno schema mentale molto elementare e
di natura sensoriale, che il bambino si è formato precedentemente essendo stato esposto a quello
stimolo: in altre parole, il bambino si costruisce un’elementare schema mentale ad esempio del
volto della persona familiare. La componente fisiologica, tuttavia è ancora presente:
successivamente, quando il bambino si troverà di fronte allo stimolo (il volto della persona
familiare), tenterà di assimilare questo volto allo schema preesistente, compiendo uno sforzo
che gli comporta accumulo di tensione. Quando l’assimiliazione sarà riuscita, la tensione viene
scaricata mediante il sorriso. Quindi, in sintesi, il piacere è certamente la risultante di un
processo di natura psicologica (ossia il riconoscimento mediante assimilazione a uno schema
mentale), sebbene a livelli molto rudimentali; ma ancora parzialmente regolato
fisiologicamente, perché implica un processo graduale di accumulo e poi rilascio di tensione che
riflette una fluttuazione nell’attivazione fisiologica. E’ importante, inoltre notare che ciò che
scatena la reazione di piacere non è più l’aspetto quantitativo dello stimolo ambientale (la sua
intensità), ma il suo contenuto (la familiarità): dunque, il contenuto dello stimolo comincia a
diventare l’elemento rilevante alla base dell’esperienza emotiva.

10. L’ultima tappa si raggiunge intorno ai 7 mesi: è questo il momento in cui, secondo Sroufe,
compare l’emozione vera e propria della gioia. Essa è regolata da un meccanismo
psicologico, più specificamente cognitivo: il bambino, infatti, prova l’emozione della gioia
quando attribuisce un determinato significato all’evento scatenante. Nel caso dell’emozione
della gioia, il significato attribuito è di qualcosa di piacevole, vissuto come tale sulla base del
contesto e ovviamente della sua esperienza passata (ad esempio, la gioia che il bambino
manifesta nei giochi sociali con la madre: questo implica un contesto di assenza di pericoli e un
esperienza passata sulla cui base il bambino prevede che cosa succederà nel gioco- ad esempio,
la madre che si nasconde e poi ricompare-). A questo punto, la caratteristica dello stimolo che
scatena la reazione non è né l’intensità, né il contenuto, ma il significato soggettivo che il
bambino attribuisce all’evento, sulla base del contesto e della sua esperienza passata.
Questo processo evolutivo che abbiamo descritto per il sistema di piacere-gioia, procede in
maniera fondamentalmente analoga per gli altri due sistemi emotivi descritti da Sroufe.

11. Il secondo che descriviamo è il sistema di circospezione-paura. Durante le prime


settimane di vita, il bambino presenta il tipico fenomeno dell’attenzione forzata: esso consiste
nell’incapacità del bambino di distogliere l’attenzione da un particolare stimolo percettivo, e
denota un’immaturità nelle sue capacità di realizzare un’esplorazione flessibile e selettiva
dell’ambiente. La catalizzazione su un determinato stimolo ambientale, dal quale il bambino
non riesce a distogliere l’attenzione, determina un incremento nello stato di attivazione
fisiologica, che si esprime in una reazione di disagio e pianto, che consente al bambino di
scaricare la tensione accumulata. (per maggiori approfondimenti si rimanda al capitolo sullo
sviluppo percettivo). Dunque, ancora una volta, una reazione all’apparenza emotiva, non ha
ancora un valore psicologico, ma è determinato da meccanismi fisiologici. Inoltre, l’aspetto
rilevante dello stimolo che determina la reazione è l’intensità (ad esempio, uno stimolo
particolarmente luminoso che attira l’attenzione del bambino).

12. A partire da 3 mesi, compare il precursore della paura, la circospezione. Similmente al


meccanismo che regola il piacere, anche questa manifestazione si caratterizza per una
regolazione di natura psicofisiologica; infatti, la componente psicologica è sempre il
meccanismo di riconoscimento per assimilazione agli schemi mentali preesistenti. La
componente fisiologica consiste sempre nell’accumulo di tensione progressiva, determinato
dallo sforzo di assimilazione. Tuttavia, a differenza di quanto accade nel caso del piacere, in
questo caso l’assimilazione fallisce perché il bambino si trova davanti ad uno stimolo non
familiare, che non riesce a riconoscere, perché non assimilabile agli schemi preesistenti. Il
fallimento dell’assimilazione determina la reazione di circospezione. Quindi, in sintesi, anche la
circospezione è la risultante di un processo di natura psicologica (ossia il riconoscimento
mediante assimilazione a uno schema mentale), sebbene a livelli molto rudimentali; ma
ancora parzialmente regolato fisiologicamente, perché implica un processo graduale di
accumulo e poi rilascio di tensione che riflette una fluttuazione nell’attivazione fisiologica. E’
importante, inoltre notare che ciò che scatena la reazione di circospezione non è più l’aspetto
quantitativo dello stimolo ambientale (la sua intensità), ma il suo contenuto (la non
familiarità): dunque, il contenuto dello stimolo comincia a diventare l’elemento rilevante alla
base dell’esperienza emotiva. Infine, a partire dalla metà del primo anno di vita, compare la
reazione di paura: il bambino ora è in grado di attribuire un determinato significato all’evento.
Nel caso dell’emozione della paura, il significato attribuito è di qualcosa di minaccioso, vissuto
come tale sulla base del contesto e ovviamente della sua esperienza passata (ad esempio,
rivedere un cane che in passato ha morso il bambino). Quindi, a questo punto, e analogamente a
quanto accade per la gioia, la caratteristica dello stimolo che scatena la reazione non è né
l’intensità, né il contenuto, ma il significato soggettivo che il bambino attribuisce all’evento.

13. L’ultimo che descriviamo è il sistema di frustrazione-rabbia. Anche per questa emozione,
il percorso è analogo a quelli descritti prima. Durante le prime settimane di vita, il bambino
manifesta un’attività motoria spontanea. Quando questa viene impedita (ad esempio
bloccandogli le braccia), il bambino manifesta uno stato generale di agitazione. Questo ha una
base fisiologica, poiché il blocco prolungato dell’attività motoria spontanea determina accumulo
di attivazione, e quindi disagio. L’aspetto rilevante dello stimolo che determina questa attività è
sempre l’aspetto quantitativo (ad esempio, la durata del tempo in cui blocchiamo le braccia del
bambino). A partire dal terzo mese, compare il precursore della rabbia, ossia la frustrazione:
in luogo di un fallimento nell’esecuzione di uno schema motorio, si ha conseguente accumulo di
tensione che il bambino manifesta attraverso la reazione della frustrazione. Coerentemente col
modello, anche questo è un meccanismo psico-fisiologico: la presenza di schemi motori infatti,
implica una forma molto rudimentale di organizzazione dell’attività a livello mentale; tuttavia il
meccanismo di accumulo e rilascio tensione appartiene ancora alla regolazione fisiologica.
Infine, alla metà del primo anno di vita, compare l’emozione vera e propria della rabbia: essa
è regolata psicologicamente perchè implica l’attribuzione di significato all’evento, come di
qualcosa che ostacola la realizzazione di un atto intenzionale.
Il modello di Alan Sroufe si completa con l’individuazione della comparsa di altre emozioni nel
corso del secondo di vita per differenziazione da queste fondamentali di cui abbiamo appena
parlato. Riassumendo, nel modello della differenziazione emotiva tutte le emozioni originano da
uno stato iniziale di attivazione indifferenziata; le emozioni fondamentali si vanno
differenziando nel corso del primo anno di vita e sebbene siano evidenti delle espressioni
cosiddette emotive nel primo semestre (sorriso, pianto), si potrà parlare di emozione vera e
propria soltanto quando l’esperienza implica un meccanismo cognitivo di attribuzione di
significato all’evento. L’emozione vera e propria dunque è psicologicamente regolata ed è
sganciato da una regolazione fisiologica, che invece gioca un ruolo fondamentale
specificamente nel corso del primo semestre di vita.

14. La seconda teoria che prendiamo in considerazione è la teoria differenziale di Izard.


Secondo questo approccio, a differenza da quanto sostenuto nel modello precedente, il neonato
possiede fin dalla nascita un certo numero di emozioni fondamentali (interesse, gioia, tristezza,
disgusto, sorpresa, collera, disprezzo, paura, vergogna) e già differenziate. Il modello
differenziale implica che: 1) ogni emozione è regolata da uno specifico programma neurale
innato e universale; 2) l’esperienza soggettiva e le modalità espressive (facciali e vocali)
corrispondenti ad ogni emozione sono specifici; 3) le emozioni compaiono secondo un
programma maturativo innato nel momento in cui sono funzionali all’adattamento del bambino
e alle richieste dell’ambiente; 4) in questo percorso maturativo, lo sviluppo cognitivo,
l’apprendimento e la socializzazione svolgono un ruolo sempre maggiore nello svincolare
l’esperienza emotiva dal rigido controllo neurale, influenzando ad esempio le situazioni
scatenanti, il controllo, l’integrazione cognitiva, ma non determinano lo sviluppo delle emozioni
che hanno un tempo di comparsa indipendente. Emerge dunque le principale differenza rispetto
al modello precedente: le emozioni sono già differenziate e prescindono nella loro definizione
dalla componente cognitiva, seppure essa svolge un ruolo importante.

15. Come accennato, le emozioni emergono allorché nel corso dello sviluppo, devono assolvere
un compito evolutivo. Cominciamo dunque a vedere questo percorso evolutivo: Izard distingue
diverse tappe evolutive in funzione del tipo di esperienza che caratterizza il bambino in quella
tappa e del tipo di funzione che svolgono le emozioni. Nel primo e nel secondo mese di vita, il
bambino presenta il I livello di esperienza, quello sensorio-affettivo: A questo livello,
l’espressione delle emozioni svolge la funzione di comunicare i bisogni e fondare il legame
madre-bambino. L’emozione negativa più frequente è lo sconforto che può essere causata ad
esempio da sofferenza o bisogni fisici. L’emozione positiva principale è l’interesse, manifestato
dalla preferenza per certi stimoli sensoriali (solitamente visivi) su altri. Dai 3 ai 9 mesi il
bambino si caratterizza per il II livello di esperienza, quello percettivo-affettivo: questa fase è
caratterizzata da più evidenti processi percettivo-affettivi, quali attenzione specifica verso
oggetti e persone. Emergono ad esempio la sorpresa, che aiuta il bambino a prepararsi a
elaborare le informazioni che seguono l’evento inatteso; la collera e la paura che gli consentono
di reagire adeguatamente agli ostacoli (la prima) e di evitare le minacce (la seconda).

16. Il III livello è quello cognitivo-affettivo (dai 9 ai 24 mesi): il bambino acquisisce una
maggiore consapevolezza di sé come agente, comincia a sviluppare una certa memoria degli
eventi e una coscienza maggiore dell’ambiente che lo circonda. Riflesso del senso di
autoconsapevolezza sono le emozioni di timidezza e vergogna; anche il senso di colpa è legato
alla consapevolezza di sé come agente causale ed è la base per lo sviluppo del senso di
responsabilità individuale. Infine a partire dai 24 mesi, il compito centrale in cui il bambino è
impegnato riguarda la modulazione delle proprie emozioni in accordo con le regole sociali: la
socializzazione e l’acquisizione delle prime regole che l’ambiente impone come modalità
idonee di esibire le emozioni, fanno sì che queste perdano la loro connessione iniziale con le
espressioni fisiologiche e diventino sempre più socialmente determinate.

17. L’ultimo approccio teorico su cui focalizziamo l’attenzione, è quello funzionalista di


Campos. Questo autore, pone l’accento sulla funzione delle emozioni, che è quella di regolare
l’interazione tra individuo e ambiente. Egli considera le emozioni fondamentali (gioia, tristezza,
rabbia, paura, disgusto, interesse, sorpresa) come innate, autonome dallo sviluppo cognitivo;
inoltre i loro pattern espressivi, come ad esempio i movimenti facciali e i correlati fisiologici,
sono intrinseci ma non invarianti, poiché la loro associazione cambia in base all’interazione tra
individuo e ambiente.

Potrebbero piacerti anche