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D. W. WINNICOTT
INTRODUZIONE
Lo sviluppo emotivo comincia fin dal primo momento. Non è possibile ignorare gli eventi dei primi giorni e
delle prime ore; anche l’esperienza della nascita può avere la sua importanza.
C’è qualcosa nella madre del neonato che la rende particolarmente adatta alla protezione del figlio e al
rispondere positivamente ai suoi bisogni. La madre può adempiere a questa funzione se si sente sicura, se
si sente amata nei suoi rapporti col padre del bambino e con la famiglia, se si sente accettata dalla società.
Tale capacità non scaturisce da conoscenze, ma deriva da un atteggiamento istintivo che acquisisce con
l’avanzare della gravidanza.
DIPENDENZA
All’inizio il bambino è assolutamente dipendente dall’ambiente fisico ed emotivo. Nei primissimi stadi non
c’è traccia di consapevolezza di questa dipendenza. Gradualmente, essa diventa nota al bambino entro
certi limiti, che così acquista la capacità di fare intendere all’ambiente quando ha bisogno di attenzione.
Tuttavia, quanto si riscontra ad un anno è estremamente variabile, non solo da un bambino all’altro ma
anche in uno stesso bambino.
È del tutto normale che il conseguimento di un certo grado d’indipendenza possa essere ripetutamente
perduto e riguadagnato. Questo passaggio è una manifestazione dell’innata tendenza del bambino a
crescere; tale crescita non può avere luogo a meno che qualcuno non si adatti premurosamente ai bisogni
del bambino.
INTEGRAZIONE
In realtà all’età di un anno la maggior parte dei bambini ha raggiunto lo stato di individuo. Ciò significa che
la personalità si è integrata. Ma l’integrazione non può darsi per scontata. Essa emerge gradualmente da
un primario stato di inintegrazione. All’inizio il bambino è un complesso di fasi di motilità e percezioni
sensoriali. Il riposo, ad esempio, rappresenta per il bambino un ritorno a uno stato di inintegrazione. Un
ritorno ad essa non spaventerà necessariamente il bambino se la madre gli darà sicurezza. Infatti, la madre
o l’ambiente tengono il bambino unito, cosicché l’inintegrazione può aver luogo parallelamente alla
reintegrazione senza l’insorgenza di angoscia.
L’integrazione sembra essere in rapporto con esperienze emotive o affettive come l’ira o l’eccitamento
connesso alla nutrizione. Gradualmente, via via che l’integrazione diventa un fatto acquisito e il bambino
va componendosi in unità, il disfacimento di ciò che è stato acquisito diventa disintegrazione piuttosto
che inintegrazione, e la disintegrazione è dolorosa.
PERSONALIZZAZIONE
A un anno il bambino vive saldamente nel corpo. Questa situazione, in cui psiche e soma si trovano in
intimo reciproco rapporto, emerge dagli stadi iniziali in cui la psiche immatura non è strettamente legata al
corpo e alla vita di questo. Se ci si adatta in maniera soddisfacente ai bisogni del bambino, vi sono migliori
possibilità che si instauri una relazione salda tra psiche e soma.
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Al contrario, quando c’è difetto di adattamento, la psiche tende a sviluppare un’esistenza solo vagamente
in relazione con l’esperienza del corpo, col risultato che le frustrazioni fisiche non sono sempre avvertite
nella loro piena intensità.
Anche la psiche del bambino sano può perdere contatto col corpo in alcuni momenti, e possono verificarsi
fasi in cui non è facile per lui rientrare d’un tratto nel corpo, come per esempio quando viene svegliato da
un sonno profondo. Le madri, infatti, dovrebbero svegliare gradualmente il bambino, proprio al fine di
evitare di provocare panico per via del cambiamento di posizione che il corpo subisce in un momento in cui
la psiche è assente da esso. In tali momenti potrebbe verificarsi pallore, sudore freddo e vomito.
MENTE E PSICHE-SOMA
Ad un anno il bambino ha chiaramente sviluppato l’inizio di una mente, che si distingue dalla psiche.
La psiche è in diretto rapporto col soma e col funzionamento corporeo, la mente ha le sue radici
nell’esistenza e nel funzionamento di quelle parti del cervello che si sviluppano in uno stadio più avanzato.
All’inizio la madre deve adattarsi in modo quasi totale ai bisogni del bambino affinché la personalità di
quest’ultimo si sviluppi senza problemi. Essa è poi in grado di ridurre questo suo adattamento sempre di
più, poiché la mente del bambino e i suoi processi intellettuali sono idonei ad accettare diminuzioni di tale
adattamento. Perciò possiamo affermare che la mente sia alleata della madre, assumendosi parte della
sua funzione.
La maggior parte delle madri sono capaci di adattarsi alla maggiore o minore capacità mentale del singolo
bambino e di procedere di pari passo. Tuttavia, è facile che per una madre perdere il passo con un bambino
che abbia capacità intellettuali limitate e, viceversa, il bambino svelto è soggetto a perdere contatto con
una madre lenta. Ad una certa età, il bambino diviene capace di accettare le caratteristiche della madre ed
essere relativamente indipendente dalla capacità di lei di adattarsi ai suoi bisogni.
FANTASIA E IMMAGINAZIONE
Una caratteristica del bambino è la fantasia, che possiamo descrivere come l’elaborazione immaginativa
della funzione fisica. Essa diviene infinitamente complessa, ma è presumibilmente limitata nella quantità.
Il gioco di qualsiasi tipo ne dimostra l’esistenza.
Un notevole grado di evoluzione della fantasia si verifica durante il primo anno di vita. Tuttavia, benché
questa evoluzione sia una naturale tendenza dello sviluppo, essa può essere arrestata o deviata qualora
venissero a mancare determinate condizioni.
Alla fine del primo anno iniziano a delinearsi anche difese secondarie per affrontare la dissoluzione
dell’organizzazione primaria: ad esempio, un generale affievolirsi di tutta la vita interna, che clinicamente
si manifesta con l’umore depresso; oppure una proiezione di elementi del mondo interiore verso la realtà
esterna, che si manifesta con atteggiamenti inclini alla paranoia.
VITA ISTINTUALE
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All’inizio la vita istintuale del bambino si fonda sulla funzione nutritiva. Intorno ai cinque mesi, il bambino
comincia a collegare la funzione escretoria con quella nutritiva. Contemporaneamente a ciò, egli inizia
l’acquisizione di un mondo personale interno che di conseguenza tende a localizzare nella pancia. Da
questo semplice modello l’esperienza psiche-soma si allarga fino ad includere l’intero funzionamento
corporeo.
Tutte le funzioni tendono ad avere un carattere orgastico in quanto ciascuna prevede una fase di
eccitamento, un acme cui partecipa tutto il corpo, e un periodo di ripercussioni.
La funzione anale acquista sempre più importanza, fino a predominare sulla funzione orale. L’orgasmo
dell’escrezione è un orgasmo espulsorio, ma in certe circostanze l’ano può divenire un organo recettore.
Anche l’escrezione urinaria è orgastica e di conseguenza eccitante e piacevole.
La soddisfazione orgastica, tuttavia, dipende considerevolmente da una corretta regolamentazione
dell’orario. Gli sforzi di regolare i bambini nelle loro funzioni escretorie, se hanno successo, privano il
bambino di piaceri fisici che spettano a questo periodo dell’infanzia, pertanto le conseguenze di un
addestramento troppo precoce sono enormi.
L’eccitamento genitale, durante il primo anno di vita, non è di primaria importanza. Comunque, è in questo
periodo che l’erezione fallica e l’eccitazione clitoridea acquisiscono importanza di per sé. Al compimento
del primo anno non è raro che la bambina inizi ad invidiare i genitali del bambino. Tale discrepanza tenderà
a far emergere esibizionismo e invidia nei seguenti uno o due anni.
Durante il primo anno le esperienze istintuali comportano nel bambino la capacità di stabilire relazioni con
gli oggetti, capacità che sfocia in un rapporto di amore tra due persone intere, il bambino e la madre.
Anche il rapporto triangolare interviene come fattore nuovo al compimento del primo anno, ma non
raggiunge il suo pieno stato finché il bambino non compie i primi passi e finché la funzione genitale non
acquista il predominio sugli altri tipi di funzionamento.
RELAZIONI OGGETTUALI
Ad un anno, in alcuni momenti il bimbo è una persona intera in relazione con persone intere. Questa
conquista è possibile soltanto quando vi siano condizioni adatte.
Il primo stadio è un rapporto con oggetti parziali: ad esempio, il neonato stabilisce un rapporto con la
mammella, non essendo ancora per lui la madre una figura definita. La graduale integrazione della
personalità del bambino in una unità gli rende possibile intendere l’oggetto parziale come parte di una
persona intera, e questo aspetto dello sviluppo genera specifiche ansietà.
Parallelamente al riconoscimento dell’oggetto intero si sviluppa un senso di dipendenza, e ha quindi inizio
un bisogno di indipendenza.
SPONTANEITÀ
L’impulso istintuale crea una situazione che può sfociare nel soddisfacimento o in un generale malessere
sia della psiche che del soma.
Le soddisfazioni sono di fondamentale importanza durante il primo anno di vita, ed è solo gradualmente
che il bambino acquista la capacità di rimanere in uno stato di attesa. Ciò che si pretende è che egli
abbandoni la propria spontaneità in favore della compiacenza delle esigenze di coloro che di lui si
prendono cura. In tal modo, la spontaneità è minacciata da due ordini di fattori:
1. Dal desiderio della madre di liberarsi dalla schiavitù della maternità, che può essere aggravato dall’idea
della madre di dover disciplinare presto il bambino per farne un “buon bambino”.
2. Dallo sviluppo di una restrizione della spontaneità dall’interno del bambino (instaurazione del Super-
Io).
Questo sviluppo del controllo dall’interno costituisce la vera base della moralità, la cui origine può quindi
verificarsi già nel primo anno di vita.
All’inizio i meccanismi dell’autocontrollo sono brutali come gli stessi impulsi, e la severità della madre aiuta
in quanto è meno crudele e più umana. La severità materna ha, dunque, un’importanza inaspettata poiché
produce accondiscendenza in modo delicato e graduale e salva il fanciullo dalla furia dell’autocontrollo.
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CAPACITÀ CREATIVA
La spontaneità conduce naturalmente all’argomento dell’impulso creativo, che dà al bambino il senso di
essere vivo.
L’impulso creativo innato si inaridisce se non trova riscontro da parte della realtà esterna. Ogni bambino
deve ricreare il mondo, e ciò è possibile solo se il mondo lo raggiunge nei momenti della sua attività
creativa. Egli si protende e la mammella è lì, e la mammella è creata.
Da ciò prende il via un naturale processo di creazione individuale dell’intero mondo della realtà esterna. Le
prime penose tappe di questo processo di vita appartengono alla primissima infanzia e sono legate alla
capacità della madre di presentare modelli di realtà al momento più o meno opportuno.
MOTILITÀ - AGGRESSIVITÀ
La motilità è ciò che precorre l’aggressività, un termine che aumenta sempre più di significato via via che
il bambino cresce. Un particolare esempio è costituito dall’afferrare con la mano e dal masticare che più
tardi diventa mordere.
Nel bambino sano, gran parte del potenziale aggressivo viene a fondersi intimamente con le sue
esperienze istintuali e con i modelli dei rapporti individuali infantili.
In cattiva salute, solo una piccola parte viene a fondersi con la vita erotica, e il bambino è allora oppresso
da impulsi privi di significato. Questi conducono alla distruttività nel rapporto con gli oggetti oppure
formano la base di un’attività completamente priva di significato come, ad esempio, la convulsione.
Questo è un modo in cui può verificarsi uno stato patologico nello sviluppo emotivo, evidente fin dal
primissimo stadio e che si manifesta infine come un disordine psichico.
La potenzialità aggressiva è estremamente variabile poiché condizionata non solo da fattori innati, ma
anche da possibili disturbi ambientali.
CAPACITÀ DI APPRENSIONE
Verso la seconda metà del primo anno di vita di un bambino normale appare evidente la capacità di
apprensione o di avvertire il senso di colpa. Questo è uno stato legato all’integrazione della personalità del
bambino in un’unità, e dell’accettazione da parte sua della responsabilità per la totale fantasia di ciò che
appartiene al momento istintuale. Il presupposto necessario di questa acquisizione è la presenza assidua
della madre, la quale deve essere pronta a comprendere e accettare gli sforzi immaturi del fanciullo ad
amare in modo costruttivo. Questo importante stadio dello sviluppo emotivo è stato studiato molto
dettagliatamente da Melanie Klein.
La potenza virile (e l’accettazione di essa) ha una delle sue radici nello sviluppo emotivo che ha luogo prima
(come anche dopo) il compimento del primo anno di età.
POSSESSO
Ad un anno i bambini sono entrati, di solito, in possesso di uno o più oggetti morbidi (orsacchiotti, peluche,
ecc.) che rivestono per loro molta importanza. È chiaro che questi rappresentano oggetti parziali.
È molto interessante studiare l’uso che il bambino fa del primissimo oggetto adottato: questo può
assumere il valore di intermediario tra il Sé del bambino e il mondo esterno. È tipico vedere un bambino
andare a dormire stringendo questo oggetto (chiamato oggetto transizionale) e allo stesso tempo
succhiare il pollice. Il comportamento peculiare a ogni bambino che appare al momento di andare a
dormire o nei momenti di solitudine, di ansietà, può persistere fino alla tarda infanzia o anche fino all’età
adulta, e fa parte del normale sviluppo emotivo. Questi fenomeni, definiti da Winnicott transazionali,
sembrano formare la base dell’intera vita culturale dell’adulto.
Questa è un’occasione per studiare le origini del comportamento affettuoso, importante in quanto la
perdita della capacità di essere affettuoso è una caratteristica del più grande dei figli, spesso deprivato, il
quale clinicamente rivela una tendenza antisociale.
AMORE
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Via via che il bambino cresce, il significato della parola amore muta, accogliendo in sé nuovi elementi:
Amore significa esistere, respirare, essere in vita per essere amato.
Amore significa appetito e bisogno di soddisfazione.
Amore significa contatto affettuoso con la madre.
Amore significa integrazione (da parte del fanciullo) dell’oggetto dell’esperienza istintuale con la
madre intera nel momento del contatto affettuoso.
Amore significa affermare il proprio diritto sulla madre, forzarla a riparare alle deprivazioni inevitabili
di cui è responsabile.
Amore significa sollecitudine per la madre (o per l’oggetto che la sostituisce) come la madre è stata
sollecitata verso il bambino. Ciò preannuncia un atteggiamento adulto di responsabilità.
CONCLUSIONE
Al compimento del primo anno di vita nulla è ancora definito, e quasi tutto può essere perduto per un
successivo collasso delle condizioni ambientali, o attraverso le ansietà proprie della maturazione emotiva.
LA COPPIA MADRE-NEONATO
Nell’esaminare il rapporto tra madre e neonato è necessario distinguere ciò che appartiene alla madre e ciò
che comincia a svilupparsi nel bambino. Qui sono implicate due forme distinte di identificazione: quella
della madre col bambino e quella del bambino con la madre.
Osserviamo nella madre gestante una crescente identificazione col bambino. Ella lo sente come un
“oggetto interno”, oggetto che immagina come formatosi dentro di lei e ivi mantenutosi. Il bambino
assume nella fantasia inconscia della madre altri significati, ma la caratteristica predominante sarà la
propensione, da parte della madre, di far defluire l’interesse dal suo proprio io verso il bambino. Winnicott
indica questo atteggiamento della madre come preoccupazione materna primaria.
Due tipi di disordine materno possono intervenire a questo riguardo. A un estremo c’è la madre i cui
interessi verso di sé sono troppo prepotenti per essere abbandonati; all’altro c’è la madre che è
costantemente incline all’apprensività e per la quale il bambino diventa la sua preoccupazione patologica.
È nel corso normale delle cose che la madre ritorni ad occuparsi di se stessa man mano che il bambino le
permetterà di farlo; la madre patologicamente preoccupata non solo protrae troppo a lungo la sua
identificazione col bambino, ma inoltre attua il passaggio da questa all’antica preoccupazione per sé in
modo brusco.
Tutti questi fatti trovano riscontro nel lavoro di terapia infantile. I bambini che vengono curati passano
attraverso fasi nelle quali tornano indietro e sperimentano di nuovo (o sperimentano per la prima volta) i
primi rapporti che non sono stati soddisfacenti nella loro storia passata.
È significativo che la madre, allorché si trova nello stato descritto, sia molto vulnerabile. È possibile
accorgersene quando si verifica un collasso nelle naturali forze protettive.
Alcune donne non solo provano difficoltà a sviluppare la preoccupazione materna primaria, ma possono
anche soffrire di disturbi clinici a causa del ritorno da questo stato a un normale atteggiamento verso la
vita e se stesse.
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ereditarie. Sono i bambini ben assistiti che presto formeranno la propria individualità, completamente
diversa da quella di chiunque altro, mentre coloro che ricevono un appoggio dell’Io inadeguato o
patologico tendono ad assomigliarsi nei tipi di comportamento. Si potrebbe dire che in questo primissimo
stadio il Sé del bambino è soltanto potenziale.
LA FUNZIONE MATERNA
Possiamo suddividere nelle seguenti categorie la funzione che una madre sufficientemente adatta al suo
ruolo svolge nei primi stadi della vita del figlio:
1. Tenere in braccio: un soddisfacente modo di tenere in braccio è l’elemento fondamentale
dell’assistenza materna, comprovato solo dalle reazioni provocate da un difettoso modo di sorreggere,
che produce estrema angoscia nel neonato, ponendo la premessa per sensazioni come quella di
disintegrarsi, di precipitare all’infinito, e altre ansietà generalmente descritte come psicotiche.
2. Manipolazione del bambino: la manipolazione del bambino facilita in lui la formazione di una
comunanza psicosomatica. Ciò accresce il senso del reale. Una difettosa manipolazione ostacola lo
sviluppo del tono muscolare e della coordinazione.
3. Presentazione o realizzazione degli oggetti: cioè rendere reale l’impulso creativo del bambino. Ciò
dà il via alla capacità del bambino di entrare in relazione con gli oggetti.
SOMMARIO
Assistiamo all’evoluzione dell’esperienza dell’immatura coppia madre-bambino, ad una
compartecipazione madre-neonato in cui la madre, per mezzo di un certo tipo di identificazione, viene
incontro allo stato originario di indifferenziazione del bambino. Da questo stato di indifferenziazione, il
bambino - senza il particolare stato sopra descritto - non potrà mai veramente emergere. In questo caso, il
meglio che si potrà attendere sarà lo sviluppo di una falsa personalità che nasconderà l’eventuale abbozzo
di quella vera.
Se tutto va per il meglio, constateremo che un bambino è emerso, un bimbo il cui Io è in grado di
organizzare le sue difese contro le ansietà. Secondo Winnicott, quanto facciamo nel corso di una terapia è
un tentativo di imitare il processo naturale che caratterizza il comportamento di ogni madre verso il suo
bambino.
Freud fu il primo ad affrontare scientificamente il problema dello sviluppo umano; infranse la riluttanza a
parlare apertamente di sesso e specialmente della sessualità del bambino e del fanciullo, e riconobbe gli
istinti come fondamentali. Egli dimostrò l’esistenza dell’inconscio represso e il funzionamento del conflitto
inconscio e tentò coraggiosamente di formulare delle teorie dei processi mentali, alcune delle quali sono
state ormai accettate da tutti.
Ogni individuo inizia e si sviluppa e diventa maturo. Non si può parlare di maturità adulta se non in
dipendenza dello sviluppo precedente. Questo sviluppo è estremamente complesso e si svolge
ininterrottamente dalla nascita fino alla vecchiaia.
Il nostro compito è provvedere condizioni ambientali adatte all’età del lattante, del bambino e del
fanciullo, un ambiente che possa permettere ad ogni individuo di diventare una persona capace di
prendere il suo posto nella comunità senza perdere la sua propria individualità.
Quando diamo ai bambini il loro giusto tipo di svago, perseguiamo con ciò uno scopo: quello di rendere
possibile a ognuno di essi di raggiungere quel finale grado di sviluppo che è lo stato adulto, il quale in senso
collettivo si chiama democrazia. Tuttavia, sappiamo quanto sia importante non mettere i bambini in
situazioni troppo grandi per loro. Ci si riferisce ad uno stadio precedente dove c’è già un germe di ciò
quando diamo la possibilità ai bambini di assumere temporaneamente funzioni nell’ambito della
comunità. Comunque, in genere ogni bambino avrà piacere di essere in posizione di responsabilità per
limitati periodi di tempo. Ciò dà migliori risultati quando avviene per iniziativa del fanciullo e non è imposto
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dai genitori. Poco a poco però, i bambini diventano capaci di identificarsi con essi così da accettare le
imposizioni senza una troppo grande perdita del senso della propria individualità.
Tutto ciò ci porta sempre più indietro. La persona che è in intimità col bambino deve dare sempre più
affidamento. Sappiamo che, con il bambino piccolo, è solo l’affetto per quel particolare bambino che rende
idonea la persona a dare sufficiente affidamento. Solo una madre devota può intendere i bisogni del
bambino. Infatti, il bambino all’inizio ha bisogno di un tale grado di attivo adattamento ai suoi bisogni che
può essere dato solo da una persona devota che si occupi interamente di lui.
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A questo punto è opportuno postulare un primo stadio di spietatezza: all’inizio le idee eccitate e
altamente distruttive che si accompagnano all’esperienza istintuale sono rivolte verso il seno della madre.
Il bambino sano giunge presto a rendersi conto che ciò che egli, nella sua fantasia, aggredisce così
spietatamente, s’identifica con ciò che egli ama e di cui ha bisogno. La spietatezza lascia allora il posto ad
uno stadio di apprensione.
Dopo una soddisfacente esperienza di eccitamento, il bambino deve far fronte a due ordini d fenomeni.
Una cosa buona è stata attaccata e danneggiata, e il bambino ha tratto vantaggio da questa esperienza.
Egli deve essere capace di sopportare il sentimento di colpa. Col tempo si presenta il modo di uscire dal
conflitto, poiché egli diventa in grado di trovare i modi di rimediare, di dar qualcosa in cambio, di restituire
ciò che (nella sua fantasia) è stato rubato. Il bambino deve essere capace di accettare il sentimento di colpa
e mutare questo stato di cose offrendo riparazione. Perché ciò accada, la madre deve essere lì, sollecita e
premurosa, durante il periodo di colpa.
Quando tutto procede per il meglio non è la colpa che si avverte, ma è il senso di responsabilità che si
sviluppa. Il senso di colpa rimane latente, per riapparire quando manca la riparazione nei confronti della
distruzione. Le difficoltà in questo campo, associate con la repressione di dolorosi conflitti, conducono alle
varie manifestazioni nevrotiche e ai disturbi del temperamento. Esaminando invece il contenuto degli stati
ineccitati, ci avvicineremo molto di più allo studio della psicosi.
4. SULLA SICUREZZA
È incontestabile che i genitori che si dimostrano troppo premurosi coi loro figli causano in loro angoscia,
così come quelli su cui non c’è da fare affidamento rendono i loro figli smarriti e spauriti. D’altro canto,
sappiamo che i bambini hanno bisogno di sentirsi sicuri.
I bambini avvertono nella sicurezza una sorta di sfida, una sfida a provare di essere capaci di sottrarsi ad
essa. L’idea che la sicurezza è un bene, portata all’estremo, darebbe come conclusione che la prigione sia
un luogo ideale in cui crescere. Ma l’uomo deve vivere libero per poter vivere immaginativamente.
Segno certo di uno sviluppo sano è quando i bambini mostrano di saper fare uso della libertà che viene loro
man mano concessa. Deve formarsi nell’intimo di ogni bambino una fede in qualcosa; qualcosa su cui
possa contare e che resista o che, se offeso, risorga. Cosa porta il fanciullo ad avere fiducia nelle persone
che gli sono intorno e nelle cose? Cosa dà modo di manifestarsi a quella che chiamiamo fiducia in se stessi?
È l’ambiente che fa sì che il fanciullo si sviluppo. In difetto di idonee condizioni ambientali, lo sviluppo
personale del fanciullo non può aver luogo. Inoltre, dato che non esistono due bambini esattamente uguali,
è necessario che ci adattiamo ai bisogni specifici di ogni singolo fanciullo. Quindi, chiunque si prenda cura
di un fanciullo deve conoscerlo e lavorare sulla base di un vivo rapporto personale con lui. Con la nostra
presenza, con l’essere autenticamente noi stessi, procuriamo una stabilità che non è rigida, ma viva e
umana. Ciò fa sì che il bambino si senta sicuro.
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I bambini molto piccoli sono assolutamente dipendenti dalle nostre cure e non sono in grado di far nulla da
sé. Essi hanno bisogno che i loro impulsi siano soddisfatti e hanno bisogno di noi per dare un significato alla
loro spontaneità. Quando la madre riesce ad assolvere questo compito iniziale, il risultato sarà un bambino
le cui difficoltà non sono rappresentate dagli urti del mondo, bensì dalla vita stessa e dal conflitto che si
accompagna al sentimento della vita. Nelle circostanze più favorevoli, nella sicurezza data da
un’equilibrata sollecitudine, il bambino comincia a vivere una propria vita individuale.
Il bambino che ha conosciuto la sicurezza in questo primo stadio di vita comincia a possedere la certezza
che non verrà abbandonato.
Il problema è che cosa accade quando nel bambino si è instaurato un senso di sicurezza. Ne segue una
lunga lotta contro la sicurezza data dall’ambiente. La madre, dopo l’iniziale periodo di protezione, lascia
gradualmente che il bambino si slanci in nuove occasioni di libera espressione. Questa lotta contro la
sicurezza e i controlli accompagna tutta l’infanzia; eppure, i controlli continuano ad essere necessari.
I genitori continuano ad essere pronti con la loro disciplina, ma nella misura in cui conoscono i loro figli e
nella misura in cui si preoccupano dell’evoluzione della loro individualità, essi accolgono la sfida con
piacere. Continuano a funzionare come custodi dell’ordine, ma attendono l’atto di arbitrio e la rivolta.
In condizioni di buona salute, col tempo, i bambini diventano capaci di conservare un senso di sicurezza
anche di fronte all’evidente insicurezza, ad esempio quando uno dei genitori è malato o quando la famiglia,
per una ragione o un’altra, si disgrega.
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Questo recinto era rappresentato dalla madre e dal padre, dalla famiglia, dalla casa. Ed era inoltre in
rapporto con la sua immaturità, con la sua dipendenza dai genitori. Questo recinto fu un naturale
prolungamento delle braccia della madre che lo circondarono quando era piccolo. E dal momento che i
bambini non sono uguali fra loro, la madre si rende conto di aver creato un recinto diverso per ciascuno di
essi, e che da questo recinto il bambino viene ora fuori, pronto per un nuovo tipo di recinto. In altre parole,
per il bambino è giunto il momento di andare a scuola.
Naturalmente i genitori avranno già provveduto ad accelerare tale processo servendosi di un asilo infantile.
ULTERIORI COMPLICAZIONI
A questa età la vita può influenzare il bambino in tanti altri modi.
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Molto probabilmente il bambino si abituerà a qualche oggetto particolare. Questo è diventato essenziale
per lui per la prima volta prima o dopo il primo compleanno e soprattutto nei momenti di transizione come
quello dal sonno alla veglia. Esso è immensamente importante. Questo oggetto, infatti, collega il bambino
alla realtà esterna o partecipata. È parte sia del bambino che della madre. Un bimbo può non adoperarlo
durante il giorno, mentre un altro può portarselo dietro dappertutto. A cinque anni, il bisogno di tale
oggetto può non essere cessato, ma molte altre cose possono prendere il suo posto.
Possono sorgere delle complicazioni quando il bambino va a scuola: il maestro dovrà procedere con
delicatezza, e non bandire in modo assoluto dalla classe questo oggetto subito. Questo problema si risolve
da sé, quasi sempre, in poche settimane.
Se le ansietà che nascono dall’andare a scuola si risolvono da sole, allora il bambino sarà capace di
rinunciare a portare questo oggetto con sé, e al suo posto porterà magari un’automobilina o una piccola
bambola. In genere i bambini abbandonano questi oggetti appena acquistano sicurezza.
Ci si aspetta che essi mostrino ansietà riguardo a tutto ciò che li allontana dall’essere parte e possesso della
madre e della casa. L’ansietà può manifestarsi come un ritorno ai modelli infantili. Questi diventano una
specie di intima psicoterapia, la quale conserva la sua efficacia poiché la madre è viva e a disposizione e
poiché essa fornisce continuamente un legame tra il presente e le esperienze infantili del bambino.
POST SCRIPTUM
I bambini hanno tendenza a sentirsi sleali se prendono diletto della scuola e provano gioia nel dimenticare
la madre per poche ore. In tal modo sentono una vaga ansietà quando si avvicinano a casa, oppure
ritardano il loro rientro senza sapere perché. La madre che per qualche ragione è arrabbiata con il proprio
bambino, non dovrebbe scegliere il momento del suo ritorno da scuola per manifestare la propria collera.
La famiglia conserva sempre la sua importanza ed è responsabile di gran parte del nostro viaggiare. La
famiglia ha una sua propria crescita e ciascun bambino partecipa ai cambiamenti relativi al graduale
ampliarsi della famiglia e alle sue difficoltà. La famiglia protegge il bambino dal mondo. In modo graduale,
il mondo comincia a filtrare dentro: gli zii, i vicini, la scuola. Questa infiltrazione dell’ambiente circostante è
il miglior modo in cui il bambino possa venire a confronto col più vasto mondo, e ricalca esattamente lo
schema in base a cui il neonato è immesso nella realtà esterna ad opera della madre.
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La totale fantasia del sesso, conscia o inconscia, è variabile in modo pressocché infinito. È importante
comprendere il senso di inquietudine e di colpa che nasce dagli elementi distruttivi (in larga misura
inconsci) che si accompagnano all’impulso amoroso quando questo si esprime fisicamente. Tale senso
d’inquietudine contribuisce fortemente al bisogno, nei genitori, di formare una famiglia.
Le ansietà reali del padre al momento del parto della moglie riflettono più chiaramente di qualsiasi altra
cosa le ansietà della fantasia del sesso e non solo della realtà fisica. Gran parte della gioia che il bambino
reca nella vita dei genitori si fonda sul fatto che egli ha in sé qualcosa che lo spinge a vivere
indipendentemente dall’essere tenuto in vita. D’ora innanzi, il bimbo vero si contrappone a tutte le
fantasie di bene e di male.
Non è possibile comprendere l’atteggiamento dei genitori verso i loro figli se non si tiene conto del
significato che ciascun figlio acquista nella fantasia, conscia o inconscia, dei genitori nei confronti dell’atto
che produce il concepimento. I genitori si comportano in modo diverso nei confronti di ciascun figlio. Molto
dipende dal rapporto fra i genitori al momento del concepimento, durante la gestazione, al momento della
nascita e dopo. Si sente dire che è strano che i figli possano essere così diversi l’uno dall’altro pur avendo gli
stessi genitori ed essendo cresciuti nello stesso ambiente. Non si tiene conto dell’intera elaborazione
immaginativa dell’importante funzione del sesso, e del modo con cui ciascun figlio si colloca in modo
specifico o non riesce a collocarsi in una certa situazione immaginativa ed emotiva; situazione che non può
mai essere due volte la stessa.
I due genitori hanno bisogno di figli reali per lo sviluppo dei loro rapporti reciproci. Non basta dire che i
genitori amano i propri figli. Essi spesso riescono ad amarli. Ma i bambini hanno più bisogno di «avere dei
genitori» che di essere amati; hanno bisogno di qualcosa che permetta loro di superare i momenti in cui
sono odiati e perfino si rendono odiosi.
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TENDENZE POSITIVE NEI FIGLI
Considerando i fattori integrativi e distruttivi nei confronti della famiglia derivanti dai figli, bisogna tener
presente che ogni genitore è stato ed è tuttora figlio.
L’integrazione della famiglia dipende dalla tendenza integrativa di ogni singolo figlio, che non è da dare
per scontata, poiché è una questione di sviluppo emotivo.
In condizioni normalmente favorevoli, il neonato è in grado di manifestare un’innata tendenza verso
l’integrazione che è parte del processo di crescita. Tale processo deve aver luogo per ogni figlio. Se le
condizioni sono favorevoli nei primi stadi di grande dipendenza, e l’integrazione della personalità si attua,
essa influisce sull’ambiente. Questo bambino contribuisce alla situazione familiare.
Questo contributo da parte di ciascun figlio può passare inosservato finché non si sperimenta lo shock di
un figlio malato o anormale, che per una ragione o per un’altra non dia tale contributo. Quando questo
contributo manca, i genitori sono gravati di un compito che non è naturale: devono provvedere una
impalcatura familiare, sforzarsi di tenere in piedi una famiglia e un’atmosfera familiare nonostante non ci
sia aiuto da trarre da quello specifico figlio.
Ogni singolo figlio, attraverso un sano sviluppo emotivo e un soddisfacente sviluppo della sua personalità,
promuove la famiglia e l’ambiente familiare. Non è solo una semplice questione di amabilità da parte del
bambino. Il bambino lusinga i genitori con la sua fiducia nella loro attendibilità e disponibilità, cui i genitori
in parte rispondono, perché sono capaci di identificarsi con loro. Questa capacità di identificazione dipende
dall’aver compiuto loro stessi, all’età dei figli, un soddisfacente sviluppo della propria personalità.
Spesso i genitori sono capaci di soddisfare le aspettative dei loro figli in modo migliore e in misura
maggiore di quello da essi sperimentato coi loro genitori. Ciò è, tuttavia, pericoloso, poiché quando ciò
accade, inevitabilmente cominciano a risentire della propria bontà, cosicché tendono a sciupare ciò che
fanno tanto bene.
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7. GLI EFFETTI SULLA FAMIGLIA DELLA MALATTIA DEPRESSIVA NEI GENITORI
Quando siamo chiamati a intervenire in situazioni in cui è chiaro che la dinamica familiare ha ceduto, noi ci
sforziamo di individuare i fattori che sono alla base delle difficoltà che dobbiamo affrontare.
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In genere le persone trovano il modo di aggirare le piccole difficoltà, ma è più che frequente il caso in cui un
insuccesso metta in azione una depressione latente.
È chiaro che il lavoro dello psicoanalista non si esaurisce in questo risolvere le difficoltà che si presentano.
Anche se il successo di un giorno significa speranza, basta una piccola avversità perché esse sentano
incombere di nuovo la minaccia di uno stato di completo caos, dal quale sembra non esserci alcuna
possibilità di recupero.
ESEMPI CLINICI
«Una ragazza venne da me per un trattamento analitico. Recentemente c’è stata una ricaduta. Tutto è
dipeso dal riscaldamento del suo nuovo appartamento. Essa aveva cercato di risparmiare facendo riparare
il vecchio impianto ed ora deve far fronte all’acquisto di uno nuovo. Come avrebbe potuto mai guadagnare
abbastanza per vivere? Essa singhiozzò durante tutta la seduta.
Quando tornò a casa qualcuno aveva risolto il problema e inoltre le aveva inviato del denaro. Per noi è
interessante il fatto che la sua depressione si attenuò durante il suo ritorno a casa, prima ancora che
trovasse la stufa avuta in dono e il denaro. Le era rimasto solo un lieve dubbio a proposito dell’essere in
grado di guadagnarsi di vivere: ed io avevo condiviso la sua fase di disperazione.»
Secondo Winnicott la nostra azione dà dei frutti se teniamo presente il grave peso di depressione che deve
risolversi nell’intimo della persona depressa, mentre noi cerchiamo di facilitare la risoluzione dei suoi
occasionali problemi immediati.
«Un’ottima famiglia con una salda tradizione familiare, circondata da ogni agio materiale, mi consulta
come medico, poiché i genitori si sono accorti che uno dei due ragazzi sta sviluppando in modo sbagliato.
Dopo aver visitato più volte ambedue i ragazzi, a poco a poco mi resi conto che era necessario affidarli ad
altra persona diversa dalla madre. Essa era alle prese con la propria depressione; stava sottoponendosi a
terapia, ma il mio trattamento di questi ragazzi la lasciò con una terribile sensazione di essere una persona
fallita. L’aver dovuto permettere che altri si prendessero cura dei suoi due ragazzi fu per lei un trauma.
Allora la sua apprensione si rivolse alla figlia che è assolutamente normale. Essa mi chiede di occuparmi di
lei. Qualsiasi dubbio avessi manifestato, sarebbe stato subito interpretato da questa madre come una
conferma delle sue ansietà di essere in realtà una persona inutile. Essa è invece un’ottima persona.»
«Un mio collega chirurgo un giorno mi chiede di visitare i suoi figli poiché gli sembrava che mostrassero
una quantità di sintomi. Trovai una sana vita familiare, con frequente tensione tra i genitori ma una
sufficiente stabilità. Fui sul punto di non afferrare l’elemento essenziale di questo caso, rappresentato dalla
depressione del padre che andava assumendo la forma di dubbio sulle sue capacità di marito e di padre. Gli
dissi che i bambini erano normali. Il suo sollievo fu eccezionale e duraturo. Avrei provocato un disastro se,
resomi conto delle ansietà e delle difficoltà che tormentavano la vita di quei bambini e i rapporti tra i
genitori, avessi cominciato col tentare di risolverle.»
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«Tale caso riguarda una donna particolarmente brillante in campo intellettuale che avrebbe potuto
occupare un posto di grande responsabilità nel settore dell’educazione. Essa preferì, tuttavia, maritarsi. Ha
cresciuto tre figli ed ha otto nipotini. Si può dire che la sua vita è riuscita in modo notevole specie per
quanto riguarda l’educazione dei figli e la formazione di una famiglia. Essa è stata capace di sopportare la
morte prematura del marito. Questa donna è colta ogni mattina da una gravissima forma di depressione,
cosa che è stata un tratto costante di tutta la sua vita. Dal momento in cui si sveglia finché non ha fatto
colazione e non si è data un aspetto accettabile per il mondo, si trova in uno stato di estrema depressione
che non solo la porta a piangere, ma talvolta le fa anche correre il rischio di un impulso suicida.
Tra la sveglia e la colazione, essa è tanto malata quanto molti malinconici ricoverati in ospedali psichiatrici.
Nondimeno, nel suo caso la depressione è stata un fenomeno controllato, sopportato principalmente da
lei.»
Queste persone alquanto più normali soggette a depressioni hanno di solito amici che conoscono il loro
stato, e sono quindi in grado di offrir loro il sostegno di cui hanno bisogno. Ma alcuni individui hanno
difficoltà a procurarsi amicizie, e quando sopravviene questa complicazione si rende necessario il nostro
intervento per dare, seppure in forma professionale, quello stesso genere di aiuto che darebbe un amico.
La medesima diffidenza che rende difficili le amicizie interferirà con la loro capacità di trarre profitto dal
nostro aiuto professionale; oppure ci può accadere di essere accettati come amici e idealizzati al punto che
per tutto il tempo ci toccherà sentire denigrare altre persone. Si tratta di un sistema paranoide nel quale
noi siamo capitati dalla parte giusta rispetto alla linea di separazione tra il buono e il cattivo.
Pur avendo, in alcuni casi, un fondamento fisico, la psicosi è una malattia di natura psicologica, la quale
non va confusa con la psiconeurosi. Si tratta della malattia di persone che non sono abbastanza sane da
essere psiconeurotiche.
La parola psicosi può essere considerata come un termine di uso comune per indicare la schizofrenia, la
depressione maniacale e la melanconia, con maggiori o mino complicazioni paranoidi. Non c’è una linea
netta tra l’una e l’altra malattia, e si dà spesso il caso di un ossessivo che diviene depresso o confuso, per
tornare poi ad essere ossessivo.
Quale possa essere l’effetto della psicosi sulla vita della famiglia emerge con estrema chiarezza da una
trattazione di casi reali. Chi si occupa di questi problemi sa che molte famiglie si disgregano a causa della
tensione prodotta dalla psicosi di uno dei loro membri, e che la maggior parte di esse rimarrebbero
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probabilmente intatte se potessero essere liberate da tale tensione. Ciò investe un enorme problema
pratico e la necessità di misure preventive, specialmente per quanto riguarda l’organizzazione di
un’assistenza psichiatrica ospedaliera per i bambini.
I problemi presentati dalla psicosi si confondono spesso con quelli derivanti dall’insufficienza mentale
originaria, dai postumi dell’encefalite e dalle varie forme cliniche della tendenza antisociale. Tuttavia, in
questa trattazione la psicosi indicherà specificatamente una perturbazione dello sviluppo emotivo in uno
dei primi stadi.
«Un bimbo nacque da una donna di caratteristiche piuttosto mascoline. Il padre era in tutto e per tutto
dipendente dalla moglie e si assumeva soltanto modeste responsabilità. Nonostante ciò, era in grado di
guadagnarsi un’agiata esistenza col suo lavoro. Il ragazzo dette ben presto segni di essere uno psicotico. Il
disturbo non fu individuato in tempo dato che ogni manifestazione poteva essere interpretata come una
reviviscenza delle caratteristiche che erano state del padre nella sua fanciullezza.
Mentre le specializzazioni del padre erano risultate redditizie, quelle del ragazzo si rivelarono sterili. Ora
egli ha trent’anni. I genitori sono stati costretti ad adattare la loro esistenza ai problemi immediati e al
futuro, e non hanno osato mettere al mondo altri figli. Essi avrebbero potuto sviluppare se stessi e ad età
avanzata avrebbero potuto separarsi e iniziare ciascuno per suo conto una nuova e più matura esperienza
matrimoniale. Ma la presenza della psicosi serrò in una morsa queste due persone coscienziose.»
«Fui consultato a proposito di un ragazzo di 7 anni e mezzo, figlio unico, nato con manifesto danno
endocranico. Egli mostrò molti segni di intelligenza. Divenne capace di leggere a circa 8 anni solo perché
aveva una governante che ritenne di dover riuscire a farlo leggere a qualsiasi costo.
Il ragazzo cominciò a creare problemi ai genitori molto presto. Io suppongo che i suoi genitori non abbiano
mai avuto intenzione di avere un figlio, essi erano impreparati ad averlo. Essi erano completamente presi
dal lavoro e dalla vita sociale. Il loro concetto della vita era avere pochi giorni di intenso lavoro nel mezzo
della settimana, inseriti tra weekend trascorsi all’aria aperta. Ora introducete in una simile esistenza un
ragazzo psicotico che grida tutta la notte, che se la fa sotto, che non sa assolutamente che farsene della
campagna, ha paura dei cani e dei cavalli.
Queste persone dovettero adattarsi nel modo più innaturale a una vita che si addicesse al bambino.
Compirono grandissimi sacrifici per procurargli qualche cura, ma tutto ciò non servì. Il padre morì
prematuramente e la madre è rimasta sola con l’intera responsabilità del ragazzo. Una scuola è venuta in
aiuto e il ragazzo continua a viverci, benché incapace di diventare una persona matura.»
«Un bimbo, figlio di due genitori dotati di grande responsabilità, ad un certo momento, che sembrò
coincidere con la gravidanza della madre, cominciò a manifestare regressi nel suo sviluppo. Si rivelò una
decisa psicosi infantile.
Fu possibile organizzare un trattamento psicoterapico dimostratosi, entro certi limiti, riuscito. I genitori
hanno fatto tutto il possibile per collaborare a questa cura.»
In questo caso specifico, la famiglia fu appena in grado di sopportare la malattia del ragazzo. Il trattamento
coronato da successo di un figlio può risultare traumatico per uno o ambedue i genitori.
«Il direttore di una scuola pubblica aveva un figlio che fu sul punto di far naufragare la sua carriera. Il
ragazzo, l’ultimo di numerosi figli, manifestò uno stato confusionale che persistette rendendo impossibile
la sua ulteriore presenza nel collegio in cui era alloggiato. Egli era totalmente irrequieto e imprevedibile. La
madre sarebbe stata in grado di disciplinare un figlio normale, ma era troppo anziana per potersi occupare
di questo figlio più piccolo, il cui stato non concedeva tregua. Il padre continuò nella sua routine guardando
le cose da lontano.
La famiglia sarebbe andata in pezzi se non fosse stato per una scuola che prese il bambino accettandolo
quale egli era e senza attendersene alcun vantaggio. Questo bambino non era disadattato e non
manifestava alcuna tendenza antisociale, ma si trova spesso in uno stato di confusione o, nel migliore dei
casi, organizzato in più parti dissociate.»
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Casi come questo sono sfortunati perché non si presentano con quella caratteristica della tendenza
antisociale che costringe infine qualche autorità a provvedere. La malattia di un tale ragazzo continua solo
a logorare la struttura familiare. Gli altri figli, in tali famiglie, se ne vanno appena possono.
«Un professore inglese e sua moglie avevano messo su una solida famiglia, e tutto andò per il meglio
finché non sopravvenne una psicosi infantile sviluppatasi su un cretinismo non individuato. Essi non erano
in grado di far fronte a questa infermità della loro bambina. Sfruttando la mia amicizia con un funzionario
dell’assistenza per l’infanzia fu trovata per la bambina una casa putativa (istituzione propria del sistema
assistenziale inglese. Il bimbo negletto è accolto in una famiglia, sotto compenso, che lo custodisce e lo
educa come un figlio, pur senza adottarlo). In questa famiglia la bambina ritardata, che pur tuttavia si
sviluppava, poté essere accolta come convalescente da una malattia. Tale soluzione salvò la famiglia.»
È una cosa consueta che i genitori si sentano colpevoli per la condizione del figlio. Essi non possono fare a
meno di associare la sua condizione come una meritata punizione. I genitori putativi non hanno
preoccupazioni di questo genere, e sono perciò più liberi di accettare il bambino com’è. Comunque, non si
dovrebbe mai permettere che una famiglia si disgreghi a causa della psicosi di uno dei suoi membri.
«Mi fu condotta una bambina di tredici anni, inviata dall’autorità locale che aveva esaurito tutte le sue
risorse. M’incontrai nella sala d’aspetto con una bimba molto sospettosa, accompagnata da un padre
pronto ad assalirmi. Dissi al padre di aspettare fuori e m’intrattenni con la bambina per un’ora.
Mettendomi dalla sua parte, mi fu possibile stabilire con lei un profondo contatto durato per anni. Dovetti
colludere con le se allucinazioni paranoidi, rivestire di fatti riguardanti la famiglia, probabilmente
corrispondenti a verità.
Dopo un’ora mi permise di vedere suo padre, che aveva assunto un’aria di disdegno e si manteneva sulla
difensiva; essendo un’alta personalità nell’amministrazione locale, aveva visto la sua posizione gravemente
compromessa da ciò che la bambina andava dicendo. Era proprio tale posizione politica che rendeva
pressocché impossibile all’autorità locale di agire come avrebbe voluto.
La sola cosa che potei fare fu di dire che la bambina non doveva più tornare a casa. Essa trascorse un anno
o due in una casa diretta da una donna straordinaria. Tuttavia, fu la ragazza che cominciò a tornare a casa,
dove è probabile che esistesse un’inconscia connivenza con la madre, e ben presto i guai ricominciarono.
Più tardi essa si trovava in un riformatorio in compagnia di un bel numero di giovani prostitute, ma non
divenne una prostituta poiché non era una ragazza deprivata con tendenza antisociale. Ma era ancora
acutamente paranoide. Provocò situazioni di gelosia e fuggì. Fu infine mandata in un ricovero per
disadattati e più tardi divenne infermiera. La capo-reparto era soddisfatta del suo lavoro e i pazienti le
volevano bene, ma presto o tardi qualcosa di cui avrebbe dovuto rispondere sarebbe saltata fuori.
Essa sapeva che non avrei potuto far nulla, e alla fine toglieva la comunicazione.»
La malattia psicotica in un genitore spesso ci sconfigge proprio perché la persona malata è investita di
responsabilità. È molto facile che il genitore sano se ne vada per salvare la propria sanità di mente, anche a
costo di lasciare il figlio alla mercé della psicosi dell’altro.
«Tale caso riguarda un ragazzo e una ragazza, fra i quali intercorreva un solo anno di differenza di età.
Erano i due soli figli di due persone molto malate. La madre era assolutamente inadatta ad essere madre,
essendo una schizofrenica latente. A un certo momento, s’era sposata e aveva messo al mondo questi due
bambini allo scopo di socializzarsi nell’ambito della famiglia. Il marito era un maniaco-depressivo, quasi
psicopatico. La madre ebbe un amore contiguo e violento anche se, per quanto ne so, non fisico, per il
figlio, il quale subì nell’adolescenza un episodio schizofrenico. La bambina fu fortemente influenzata da un
profondo attaccamento per il padre, e ciò costituì per lei una scappatoia, sicché solo a quarant’anni e dopo
la morte dei genitori subì il collasso. Nel frattempo, divenne una fortunata donna d’affari, che disprezzava
gli uomini e dimostrava che nel suo lavoro non le mancava nulla.
Il fratello si sposò, ebbe una famiglia, si sbarazzò quindi della moglie. Quando tutto il passato fu cancellato,
questa persona molto malata con una riuscita falsa personalità, si presentò per sottoporsi a trattamento.
Venne per essere messa in grado di affrontare la propria schizofrenia. Essa venne internata e quindi in
breve riuscì a rimettere insieme i pezzi della propria personalità così da essere dichiarata guarita e dimessa.
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Si trattò, dunque, di una psicosi dei genitori che trovò faticosamente la sua via d’uscita attraverso due figli
molto intelligenti.
Il fatto essenziale è che non c’era alcuna possibilità di liberazione per la ragazza fino alla morte dei genitori
e finché non si fosse affermata come unità indipendente. Il prezzo dell’attesa fu tremendo: essa si sentiva
inutile e irreale. È terribile che a volte non ci sia speranza per i figli fino a che i genitori non siano morti. In
questi casi la psicosi è nel genitore, e la sua presa sul figlio è tale che il solo scampo sta nello sviluppo di una
falsa personalità.»
Talvolta, trovandoci di fronte a malattia grave, noi siamo costretti a lasciare le cose come stanno ed
attendere probabilmente fino a che la tensione non mandi in pezzi la famiglia; talvolta è nostro compito
porre fine violenta ad una situazione prima che si deteriori ulteriormente; in altri casi tentiamo di dare un
assestamento alla confusione esistenze. Ma anche troppo spesso non troviamo alcun appiglio alla
speranza, e dovremmo essere in grado allora di accettare questa realtà.
9. GLI EFFETTI DELLA PSICOSI DEI GENITORI SULLO SVILUPPO EMOTIVO DEL BAMBINO
LA STORIA DI ESTHER
Ester è la bambina affiliata da una intelligente coppia della classe media, che ha adottato un bambino e
che alleva ora un’altra bimba affiliata. Il padre ha sempre avuto molta cura di Esther e mostrato una gran
sensibilità nel comprenderla.
Sembra che la mamma biologica di Esther fosse una donna molto intelligente che conosceva parecchie
lingue. Il suo matrimonio fallì, dopo di che essa si unì ad un vagabondo, e da questa unione nacque Esther.
Nei suoi primi mesi di vita la bimba era rimasta con la madre, che aveva risposto pienamente ai suoi
compiti. Allevò personalmente la bambina fin dalla nascita ed è descritta, in un rapporto dall’assistente
sociale, come una donna che idolatrava la figlia. Tuttavia, quando Esther compì cinque mesi, la madre
cominciò ad apparire agitata e assente. Dopo una notte insonne prese a vagare presso un canale,
osservando un ex agente di polizia che stava vangando. Quindi si avvicinò al corso d’acqua e vi gettò la
bambina. Il poliziotto salvò la piccola rimasta incolume, mentre la madre fu detenuta e in seguito schedata
come schizofrenica con tendenze paranoidi. Così Esther fu presa in carico dall’autorità locale, e in seguito
dichiarata “difficile” nell’asilo dove rimase fino ai due anni e mezzo, quando venne accolta nella casa
putativa.
Nei primi mesi, Esther diede molto filo da torcere alla madre putativa. Era solita buttarsi per terra in mezzo
alla strada e mettersi a gridare. Gradualmente la situazione migliorò, però i sintomi riapparvero quando,
verso i tre anni di età, un altro bambino di sei mesi venne accolto in casa. Il bambino venne adottato
mentre lei non lo fu mai. Esther non permetteva che il bambino chiamasse “mamma” la madre sostitutiva
né permetteva ad altri di riferirsi a questa come la madre del bambino. Dapprima manifestò sintomi di
distruttività, poi cambiò atteggiamento e iniziò a proteggere il bambino. Questo cambiamento si verificò
quando la madre sostitutiva le permise di comportarsi come una bambina di sei mesi.
Tuttavia, tra lei e la madre vennero a svilupparsi continui contrasti, i quali si accrebbero dopo che uno
psichiatra consigliò che la bambina, che aveva in quel momento cinque anni, trascorresse un periodo fuori
casa. Il padre, sempre sensibile ai bisogni della figlia, fece in modo di farla tornare. Com’egli riferì, a quel
punto tutta la fiducia della bimba nella casa sostitutiva era morta. Sembrava che l’uomo fosse diventato la
madre della bambina; forse in questo va ricercata l’origine della paranoia che in seguito l’uomo manifestò.
Esther si sviluppò con regolarità, nonostante la grave tensione presente di continuo nei rapporti tra i
genitori putativi. Inoltre, è importante ricordare che la madre ha sempre apertamente preferito il bambino
adottato.
Una madre gravemente inferma com’era la madre biologica di Esther può aver dato alla bambina un inizio
eccezionalmente buono. Secondo Winnicott, Esther aveva goduto di una soddisfacente esperienza di
allattamento e anche di quel sostegno dell’Io di cui il bambino ha bisogno nei primi stadi di sviluppo.
Questa madre si era probabilmente fusa con la sua bambina ad un alto grado. Winnicott supponeva che
essa avesse voluto liberarsi della bambina con la quale si era fusa perché vedeva sorgere davanti a sé una
nuova fase, che si sentiva incapace di affrontare, in cui sarebbe stato inevitabile che la bimba si separasse
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da lei. Profondissime forze sono in azione in un momento come questo, e quando la donna gettò la bimba
nel canale (dopo aver scelto il tempo e il luogo in cui quasi certamente la bambina sarebbe stata salvata)
essa stava dibattendosi in qualche potente conflitto inconscio. Così stando le cose, com’è probabile, la
bimba di cinque mesi può aver perduto, al momento in cui veniva gettata nel canale, una madre ideale.
Al momento in cui la madre putativa comparve, non appena essa cominciò a significare qualcosa, Esther
cominciò a farne l’oggetto di tutto ciò che le era mancato. In questo momento la donna avrebbe avuto
bisogno di qualcuno che le avesse spiegato a cosa prepararsi. Essa si accollò una bambina che aveva
perduto una madre ideale e che aveva avuto una confusa esperienza dai cinque mesi ai due anni e mezzo, e
naturalmente tra lei e la bambina non c’erano quei fondamentali legami che si stabiliscono nel periodo
delle prime cure materne. Essa non riuscì infatti a instaurare un buon rapporto con Esther, benché sia stata
capace di accudire agevolmente il bambino adottato; e quando più tardi accolse in casa l’altra bambina
affiliata, essa era solita ripetere ad Esther: «Questa è la bambina che ho sempre desiderato».
Nella vita di Esther, finché la famiglia non si sfasciò, fu il padre a fungere da madre buona e idealizzata.
Esther non potrebbe essere considerata in alcun modo psicotica, tuttavia soffre di deprivazione poiché uno
dei suoi problemi è la tendenza compulsiva al furto. Presenta inoltre problemi di natura scolastica. Vive
con la madre putativa che è diventata molto possessiva nei suoi confronti e ha reso quasi impossibile ogni
contatto col padre. Contemporaneamente, il padre ha sviluppato una grave infermità psichiatrica di natura
paranoico-allucinatoria.
I genitori sostitutivi sapevano che la madre di Esther era stata dichiarata ufficialmente inferma di mente,
però non erano stato messi al corrente dell’intera storia perché l’assistente sociale aveva capito che essi
temevano che Esther potesse ereditarne la pazzia.
INFERMITÀ PSICOTICA
Per quelli di noi che sono inclini a considerare i pazienti psichiatrici non come altrettante malattie, ma
come persone vittime della lotta dell’uomo per lo sviluppo, l’adattamento, la vita, il compito diventa
infinitamente complesso. Quando visitiamo un paziente psicotico, pensiamo: è solo per caso che io non
sono come lui.
Possiamo provare a distinguere i vari tipi di infermità. Per primo, potremmo dividere i genitori psicotici in
padri e madri, poiché vi sono alcuni effetti che riguardano solo il rapporto madre-neonato o, se riguardano
il padre, lo riguardano solo nel ruolo di sostituto della madre. A questo proposito, potremmo rilevare
l’esistenza di un altro ruolo del padre, che è quello di rendere umano qualcosa nella madre e distogliere da
lei quell’elemento che altrimenti diventerebbe magico e potente e guasterebbe in lei la sua attitudine
materna. I padri hanno le loro proprie infermità. Tuttavia, queste non influiscono sulla vita del bambino
nella primissima infanzia e prima che questi non sia abbastanza grande da riconoscere nel padre un uomo.
Secondo Winnicott, le psicosi possono grosso modo essere divise in psicosi maniaco-depressive e in
disordini schizoidi, includendo in questi la stessa schizofrenia.
Osservando le caratteristiche di uno schizoide, la prima cosa che si riscontra è la debole demarcazione del
confine fra realtà interna ed esterna, fra ciò che è soggettivamente concepito e ciò che è oggettivamente
percepito. Si nota anche una relativa incapacità a costituirsi come entità io-corpo: la psiche non è
chiaramente legata all’anatomia e al funzionamento del corpo. Gli uomini e le donne schizoidi non
riescono a instaurare facilmente o a mantenere rapporti con oggetti esterni a loro stessi o reali nel comune
senso della parola.
I genitori con queste caratteristiche falliscono in molti impercettibili modi nel governo dei propri figli, a
meno che, consapevoli delle loro deficienze, non li affidino ad altri.
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Dobbiamo rassegnarsi al fatto che questo o quel bambino venga coinvolto senza scampo nell’infermità dei
genitori, specialmente della madre, e che non c’è nulla da fare per lui.
Queste caratteristiche psicotiche nei genitori possono influire in vario modo sullo sviluppo del bimbo e del
fanciullo. Bisogna tuttavia ricordare che l’infermità del bambino è propria del bambino, anche se nella
eziologia del caso è bene dare la massima importanza alle deficienze ambientali.
GENITORI DEPRESSIVI
La depressione può essere un’infermità cronica che impoverisce la capacità d’affetto di un genitore, può
essere una grave turba che si manifesta a periodi con una rottura più o meno improvvisa dei rapporti.
Quando un bimbo ha bisogno che la madre si occupi interamente di lui, può essere gravemente disturbato
dal fatto di scoprire improvvisamente che la madre è preoccupata per qualcos’altro che riguarda
solamente la vita personale di lei.
«A sette anni, Tony aveva un’ossessione per i legacci. Era sul punto di diventare un pervertito con
pericolose attitudini avendo già provato, per gioco, a strangolare la sorella. Questa ossessione fu fermata
quando la madre, su mio consiglio, cominciò a discutere con lui a proposito della sensazione ch’egli aveva
di perdere la madre. Questo sentimento era sorto in seguito a numerose separazioni occorse nella prima
infanzia a causa della depressione della madre. Ogni ricaduta tendeva più d’ogni altra cosa a rinnovare
l’ossessione per i legacci. Per lui il legaccio è l’estrema risorsa, legare insieme le cose che sembrano doversi
separare.»
In questo caso, fu la fase melanconica nella depressione cronica di un’ottima madre di buona famiglia a
produrre la deprivazione che a sua volta suscitò il sintomo descritto.
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curato fuori di casa. Ci vollero tre anni per venire a capo della malattia di Percival che era strettamente
connessa con quella di ambedue i genitori.
Mi fu possibile servirmi di ambedue i genitori, benché malati, per accudire il bimbo durante la prima fase
critica del suo male. La madre diventò un’eccellente assistente psichiatrica permettendo alla personalità di
Percival di fondersi con la sua nel modo necessario. Io sapevo ch’ella non sarebbe durata a lungo, tuttavia
quando dopo sei mesi ricevetti l’SOS che attendevo e allontanai Percival da casa, il lavoro maggiore era
stato compiuto.
Quando il ragazzo migliorò dovette essere messo al corrente del fatto che i genitori erano malati, cosa che
riuscì ad accettare senza sforzo.»
PREMESSA
Sono stati compiuti molti studi su questa fase dello sviluppo, ed è venuta a formarsi una nuova letteratura
composta sia di opere biografiche sia di romanzi che trattano della vita degli adolescenti.
C’è una cosa che coloro che esplorano quest’area della psicologia devono accettare fin dal principio, cioè il
fatto che i giovani non vogliono essere compresi.
CURARE L’ADOLESCENZA
Esiste solo una vera cura per l’adolescenza, che però non offre alcun aiuto. Consiste nel tempo che passa e
nel graduale processo di maturazione, che avranno come risultato finale l’emergere di una persona adulta.
Questo processo non può essere rallentato né affrettato, ma può essere spezzato e distrutto, può
cristallizzarsi in infermità psichiatrica.
ENUNCIATO TEORICO
I ragazzi in questa fase d’età sono a confronto con i cambiamenti della pubertà. Essi giungono allo sviluppo
della capacità sessuale e alle manifestazioni sessuali secondarie, con una storia personale che include
moduli personali nell’organizzare delle difese contro ansietà di vario tipo.
In condizioni di sanità, in ogni individuo c’è stata, prima del periodo di latenza, un’esperienza piena del
complesso edipico e l’organizzazione di modi per respingere l’angoscia o accettare i conflitti relativi a
queste condizioni complesse. Inoltre, derivanti dalle esperienze della prima e della seconda infanzia, ci
sono certe caratteristiche e tendenze personali, ereditate ed acquisite. Così i ragazzi giungono alla pubertà
con tutti i modelli precostituiti a causa delle esperienze della prima e primissima infanzia, e molte cose
sono inconsce.
Tuttavia, pur essendovi un’ampia varietà di casi individuali, il problema generale è lo stesso: come farà
questa organizzazione dell’Io ad affrontare la nuova avanzata dell’Id (Es)?
L’AMBIENTE
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La funzione assolta dall’ambiente in questo stadio è fondamentale. Molte delle difficoltà degli adolescenti
per le quali è richiesto il nostro intervento professionale derivano da fallimenti ambientali; questo basta a
sottolineare l’importanza vitale dell’ambiente e dell’organizzazione familiare.
SFIDA E DIPENDENZA
Una caratteristica dell’adolescenza è il rapido alternarsi di sprezzante indipendenza e di regressiva
dipendenza e perfino del coesistere, in un dato momento, di questi due estremi.
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L’INACCETTABILITÀ DELLA FALSA SOLUZIONE
La cura dell’adolescenza è il passare del tempo, cosa che per l’adolescente ha scarso significato. Esso è alla
ricerca di una cura immediata, e allo stesso tempo respinge una cura dopo l’altra perché in esse avverte un
qualcosa di falso.
Una volta che l’adolescente riesce ad accettare il compromesso, egli ha la possibilità di scoprire vari modi
per addolcire la verità assoluta. Per esempio, una soluzione è offerta dall’identificazione con la figura dei
genitori, o da una prematura maturità nei confronti del sesso, o dalle conquiste intellettuali. In generale, gli
adolescenti respingono questi palliativi e devono passare attraverso una zona di bonaccia (doldrums area),
ovvero una fase nella quale si sentono futili e non hanno ancora trovato se stessi. Un rigetto totale di questi
compromessi significa che ogni individuo deve cominciare da zero. Noi vediamo giovani alla ricerca di una
forma di identità che non li abbandoni durante la loro lotta per consistere (to feel real) la lotta per instaura
un’identità personale. Essi non sanno cosa diventeranno, cosa sono e cosa aspettano, e poiché ogni cosa è
in sospeso, essi si sentono inconsistenti (unreal).
Coloro che si prendono cura degli adolescenti sono colpiti da questo miscuglio di sfida e dipendenza: gli
adolescenti possono mostrarsi provocanti e nello stesso tempo dipendenti e perfino puerili.
ESIGENZE DELL’ADOLESCENTE
Possiamo riassumere le esigenze degli adolescenti nel seguente modo:
Evitare la falsa soluzione.
“Consistere” o sopportare di essere “indifferenti a tutto”.
Sfidare, in un ambiente in cui si può contare che la dipendenza trovi accoglimento.
Pungolare ripetutamente la società cosicché il suo antagonismo sia reso manifesto.
LA BONACCIA
La società deve accogliere e tollerare il fenomeno della bonaccia dell’adolescenza, venirgli incontro ma
non curarlo. La nostra società è abbastanza sana da poterlo fare? Taluni individui sono troppo malati per
poter accedere a quello stadio dello sviluppo emotivo che può chiamarsi adolescenza, o ne sono capaci ma
in modo distorto.
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società, ciò provoca la coesione degli altri e struttura temporaneamente il gruppo. In qualche modo, i
singoli membri del gruppo si servono degli estremi per aiutarsi a consistere nella loro lotta per cercare di
uscire fuori dalla bonaccia.
La sfida più grande da parte degli adolescenti è rivolta a quella parte di noi che non ha avuto la sua
adolescenza. Questa parte di noi ci fa risentire nei confronti di coloro che vivono la loro fase di bonaccia, e
ci sospinge a voler trovare una soluzione per loro. Esistono centinaia di false soluzioni: se diamo appoggio
sbagliato, se lo togliamo sbagliamo. Ma poi, col tempo, ci rendiamo conto che l’adolescente è emerso dalla
fase di bonaccia ed è ora in grado di identificarsi con la società, con i genitori o con gruppi più vasti, senza
sentire minacciata la propria individualità.
La psicologia di cui si occupa Winnicott considera la maturità come sinonimo di buona salute. Il ragazzo di
dieci anni che è sano è maturo come ragazzo di dieci anni. L’adulto sano è maturo come adulto, e con ciò
vuol dire che egli è passato attraverso tutti gli stati di immaturità e di maturità propri delle età anteriori.
Vi sono due modi di affrontare l’argomento dello sviluppo individuale.
Per primo c’è lo sviluppo della vita istintuale, le funzioni istintuali e le fantasie pregenitali che si evolvono
nella piena sessualità. Secondo questa linea di pensiero, si arriva all’idea di adolescenza quale momento in
cui i cambiamenti della pubertà dominano la scena e in cui le difese contro l’ansietà organizzate nei primi
anni tendono a riapparire.
Secondo l’altro modo di vedere le cose, invece, ogni individuo inizia nella quasi assoluta dipendenza,
raggiunge gradi di minore dipendenza e quindi comincia a conseguire l’autonomia. In questo secondo
modo non abbiamo bisogno di preoccuparci molto dell’età del bimbo, ma bensì delle condizioni ambientali
che sono appropriatamente adattate ai bisogni del singolo in ogni specifico momento. Ciò richiama il tema
dell’assistenza materna che cambia in rapporto all’età del bambino.
Cure materne diventano cure dei genitori, che si assumono insieme la cura del loro bambino e provvedono
ai rapporti fra il neonato e gli altri figli. Cure dei genitori evolvono in cure della famiglia e la famiglia prende
ad allargarsi ulteriormente fino a includere nonni e cugini. Osservando questo fenomeno non dovremmo
stupirci nel constatare che l’uomo ha bisogno per il suo sviluppo di cerchi sempre più ampi, in cui egli possa
dare il suo contributo.
Solo la famiglia del bambino è capace di continuare questo compito iniziato dalla madre, il compito di
venire incontro ai suoi bisogni sempre nuovi nel corso dello sviluppo. Esso implica anche l’accettazione
della sfida che eromperà durante l’adolescenza e del ritorno alla dipendenza che si alterna alla sfida. Nel
corso dello sviluppo emotivo l’individuo si muove dalla dipendenza verso l’indipendenza e in condizioni di
sanità conserva la capacità di spostarsi di qua e di là dall’una all’altra. Nella sfida l’individuo erompe al di là
di tutto ciò che si trova immediatamente attorno a lui a dare sicurezza. Affinché ciò porti frutto, egli ha
bisogno di trovare un cerchio più ampio pronto a succedere, e di conservare la capacità di ritornare alla
situazione che è stata rotta. Un bimbo scappa via di casa, ma in fondo al giardino la sua fuga è finita. Il
recinto del giardino è simbolo del più stretto cerchio che lo cingeva e dal quale è appena uscito, cioè la
casa. Più tardi, il bimbo elaborerà queste cose andando a scuola, in rapporto ad altri gruppi. Questi
rappresentano il distacco dalla casa e, allo stesso tempo, l’immagina simbolica della casa da cui ci si è
allontanati. Quando tutto ciò si svolge bene, il bambino è in grado di ritornare a casa, malgrado la sfida che
è implicita nell’atto di andarsene.
Per il bambino è molto difficile risolvere i conflitti di lealtà in questo muoversi dentro e fuori senza
un’appropriata guida della famiglia. Nella grande maggioranza dei casi ci sono una casa e una famiglia che
rimangono intatte e offrono all’individuo l’opportunità per lo sviluppo personale.
Nell’ambito della stessa cassa, quando ci sono altri figli, il bimbo fruisce di un aiuto incommensurabile
dall’avere l’opportunità di condividere dei problemi. Quando una famiglia è intatta e i fratelli e le sorelle
sono veri consanguinei, il singolo ha la migliore opportunità di iniziare a condurre una vita sociale.
Quando la famiglia non è intatta e minaccia di rompersi, ci accorgiamo di quanto essa sia importante.
Fintantoché la famiglia è intatta, tutto è legato al padre e alla madre reali. Nella sua fantasia inconscia è
sempre a loro che il figlio rivolge le sue pretese. Gradualmente, egli giunge a perdere molte o quasi tutte le
rivendicazioni sui genitori reali, ma ciò avviene nella fantasia conscia. La famiglia esiste come qualcosa che
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è cementato da questo fatto: per ogni singolo membro, il padre e la madre reali sono vivi nell’intima realtà
psichica. In tal modo constatiamo due tendenze:
La prima è la tendenza ad allontanarsi dalla madre, dai genitori, dalla famiglia e ad ogni passo
acquistare una maggiore libertà di idee e funzionamento.
La seconda è il bisogno di conservare o ricostituire il rapporto con il padre e la madre reali. È questa
seconda tendenza che fa della prima una parte dello sviluppo e non la disgregazione della personalità
dell’individuo.
Un caso tipico ci è fornito dallo sviluppo sessuale: nel matrimonio si riscontra contemporaneamente
l’abbandono e il distacco dai genitori reali, accompagnati dal fatto che si porta con sé l’idea di edificare una
famiglia.
In relazione a questo tema del ripetuto «erompere al di là» (break-through), caratteristico della vita
dell’individuo in fase di crescita, il complesso edipico giunge come una liberazione, poiché nella situazione
triangolare il fanciullo può conservare l’amore della madre con l’idea del padre in mezzo, e vicersa la
fanciulla, con la madre in mezzo, può conservare l’affetto per il padre.
Se si accetta l’idea di sanità come maturità secondo l’età, la maturità emotiva dell’individuo non può
essere conseguita se non all’interno di una struttura in cui la famiglia ha fornito il ponte che conduce dalle
cure dei genitori direttamente alle provvidenze sociali.
Sono due, dunque, le principali caratteristiche con cui la famiglia contribuisce alla maturità emotiva
dell’individuo: una è la continua opportunità di usufruire di un alto grado di dipendenza; l’altra
nell’opportunità offerta all’individuo di staccarsi dai genitori verso la famiglia, e da questo nucleo a un altro
e ad un altro ancora. Questi cerchi sempre più ampi, che in ultimo diventano raggruppamenti politici o
religiosi o culturali nell’ambito della società, rappresentano il prodotto finale di qualcosa che prende inizio
con le cure materne.
IL CAMPO PROFESSIONALE
La pediatria si fonda su una conoscenza a priori dello sviluppo fisico e dei disordini di crescita del corpo e
delle sue funzioni. La psichiatria è fondata sulla comprensione dello sviluppo emotivo del neonato
normale, del bimbo, dell’adolescente e dell’adulto, e dello sviluppo del rapporto che si instaura fra
l’individuo e la realtà esterna.
La psicologia accademica sta sul confine tra sviluppo fisico e sviluppo emotivo. Si occupa di quelle
manifestazioni che, benché psicologiche, appartengono in realtà alla crescita fisica.
Per chiarire meglio: lo psicologo accademico si preoccupa dell’età in cui il bimbo è capace di camminare; la
psicologia dinamica prende in considerazione il fatto che un bimbo può essere spinto a camminare prima
del tempo dall’ansietà, o può essere ritardato a farlo a causa di fattori emotivi.
A prima vista la psicologia accademica sembra essere più scientifica della psichiatria dinamica. È tuttavia
un fatto che gli esseri umani sono costituiti di sentimenti e di modalità di sentire e che conoscere la
struttura intellettiva non significa conoscere la psiche dell’individuo.
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DICOTOMIA PSICOSOMATICA
In nessun altro campo è così evidente la necessità di capire tali questioni come in quello del trattamento di
disordini psicosomatici.
È molto difficile incontrare un pediatra orientato in senso fisico che cooperi su un piano di parità con lo
psicoterapeuta, che ha invece una formazione mentale psico-analitica.
Esistono ambulatori dove un bambino può essere tenuto in osservazione per un lungo periodo di tempo
senza essere schedato come un caso fisico o psichiatrico. Questi offrono il solo tipo di ambiente adatto per
esercitare la medicina psicosomatica.
LA PSICANALISI E IL BAMBINO
Anche nell’orientamento dello psicanalista nei confronti del bambino si è verificata un’evoluzione. Lo
psicanalista praticante ha sotto trattamento ogni sorta di pazienti adulti. In tutti i casi, rivolgendo la sua
attenzione anche ai problemi attuali del paziente, egli riscontra che il suo lavoro principale lo conduce allo
studio dell’infanzia e perfino della primissima età. Il secondo passo si compie con il trattamento di
adolescenti, bambini e bimbi molto piccoli, e con l’occuparsi della vita emotiva del bambino vero invece
che del bambino nell’adulto. Applicando la psicoterapia, lo psicanalista si trova in un’ottima posizione per
studiare il bimbo nella sua totalità. Disturbi di ordine fisico dovuti a disordini emotivi cadono presto sotto
la sua osservazione così come deformazioni emotive secondarie ad infermità fisiche. Questa, tuttavia,
richiede la competenza del pediatra.
Ma chi si occuperà del bambino nella sua interezza?
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riconosciuta, diagnosticata e spesso curata. In alcuni casi l’ambiente è abbastanza normale, in altri il
fattore esterno è eziologicamente rilevante.
3. Neurosi o psicosi latente: lo psichiatra apprende a individuare nel bimbo l’infermità potenziale, quella
che può manifestarsi più tardi in seguito alla pressione di un trauma. Questo terzo compito dello
psichiatra per bambini è molto difficile ma non impossibile. Come esempio possiamo prendere il
fenomeno abbastanza frequente dell’organizzazione di un falso Sé.
L’abilità professionale dell’ostetrica, fondata sulla conoscenza scientifica del fenomeno fisico, dà alle sue
pazienti quella fiducia in lei di cui esse hanno bisogno. Tuttavia, è indubbio che l’ostetrica accrescerà
grandemente il suo valore acquistando anche una comprensione della sua paziente in quanto essere
umano.
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La psicanalisi ha già portato ad un grande cambiamento nell’atteggiamento delle ostetriche.
LA MADRE SANA
Una delle difficoltà che si incontrano a proposito dell’atteggiamento dell’ostetrica verso la madre riguarda
il problema della diagnosi di salute o infermità in senso psichiatrico.
In caso di sanità la paziente è una persona perfettamente sana e matura, più che capace di prendere le sue
decisioni sulle questioni principali. Essa si trova semplicemente in uno stato di dipendenza a causa delle
proprie condizioni; pertanto, si affida temporaneamente all’ostetrica, e il fatto stesso di essere capace di
ciò implica sanità e maturità.
RAPPORTO MADRE-DOTTORE-INFERMIERA
Winnicott ritiene che la madre sana, proprio in quanto matura e adulta, non può cedere il controllo ad una
infermiera e a un dottore che essa non conosce.
La madre, il dottore e l’infermiera devono conoscersi ed avere continuità di contatti, se possibile, lungo
tutta la gravidanza.
Una completa spiegazione di tutto il processo del travaglio e del parto deve essere data alla madre dalla
persona in cui essa ha riposto la sua fiducia, e ciò serve anche a dissipare tutte le informazioni inquietanti e
sbagliate che essa possa aver reperito altrove.
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Dunque, la madre è contemporaneamente una persona in uno stato di grande dipendenza e anche
un’esperta di allattamento e cura del bambino. È difficile per alcune infermiere tenere conto di queste due
opposte proprietà della madre, con la conseguenza che esse si sforzano di intervenire nel rapporto
nutritivo. Moltissime inibizioni alimentari sono cominciate in questo modo: alcune infermiere non si
rendono conto che, nonostante la propria competenza nel lavoro, questo non comporta che esse
intervengano nello stabilire un rapporto tra il bambino e il seno materno.
C’è un altro fatto: generalmente, la madre sente in modo più o meno intenso di aver rubato il suo bimbo
alla propria madre. Questo deriva dall’aver giocato a mamma e papà e dai sogni di quando, da bambina,
scorgeva nel proprio padre il suo ideale. Cosicché essa può facilmente sentire che l’infermiera è una madre
vendicativa venuta per portarle via il bambino. L’infermiera non deve far nulla a riguardo, ma sarà di
grande aiuto se di fatto eviterà di portare via il bambino e di presentarlo alla madre solo all’ora della
poppata.
Nel caso di infermità fisiche, dottori e infermiere probabilmente conosceranno la soluzione, data la loro
specifica preparazione.
Ma sotto la cura psicoterapeutica vengono a trovarsi molti bambini non affetti da malattie fisiche; ad
esempio, in casi in cui si tratta di assistere una madre e il suo bambino all’inizio del loro rapporto la nostra
opera non è curativa, poiché la madre e il bambino godono in genere di buona salute.
Le osservazioni di Winnicott a proposito del dare consigli appartengono a tre categorie:
1. La differenza fra il trattamento di un’infermità e il consiglio su problemi riguardanti la vita.
2. La necessità di tenere il problema per sé piuttosto che offrire una soluzione.
3. L’intervista professionale.
«In un altro caso i genitori avevano chiesto consiglio ad un pediatra a proposito di uno svezzamento
difficile. Fatta la visita e non avendo trovato nulla, il medico disse alla madre di completare
immediatamente lo svezzamento, cosa che ella fece.»
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Questo consiglio era semplicemente fuori luogo. Veniva a intromettersi nell’inconscio conflitto della
madre a proposito dello svezzamento del bimbo. Egli avrebbe dovuto attenersi al suo circoscritto
intervento e rinviare l’interpretazione della difficoltà di svezzamento a qualcuno capace di considerare
sotto i suoi veri aspetti questo più vasto problema di vita e di rapporti.
L’INTERVISTA PROFESSIONALE
La psicologia, se praticata, deve esserlo secondo uno schema. L’intervista deve essere tenuta in un
ambiente appropriato, fissando un limite di tempo. In questa cornice noi possiamo dare affidamento molto
più che nella vita quotidiana. Il limite di tempo è utile a noi stessi: la prospettiva della fine della seduta
affronta in precedenza il nostro proprio risentimento, che altrimenti si insinuerebbe a guastare la nostra
partecipazione.
Coloro che praticano in questo modo la psicologia, accettando i limiti e soffrendo - per delimitati periodi di
tempo - le pene del caso, non hanno bisogno di sapere molto. Essi apprenderanno dai loro pazienti.
«CASEWORK» E PSICOTERAPIA
Il termine casework indica il processo che un ente particolare svolge per risolvere un problema.
Cosa ben diversa è la psicoterapia, che spesso viene applicata senza che si accompagni necessariamente al
casework, dal momento che il bimbo paziente è condotto da adulti che riconoscono il suo stato di
infermità. Comunque, questi due procedimenti spesso coesistono nella pratica e diventano
interdipendenti, anche se è importante puntualizzare che il casework non può essere impiegato per
riparare una terapia fallita, né lo si può immettere nel percorso psicoterapeutico senza provocare una
grande confusione.
Chi pratica il casework deve avere la massima conoscenza possibile dell’inconscio, ma egli non deve
cercare di alterare il corso degli eventi cercando di interpretarlo. Tutt’al più dovrà limitarsi a dare forma
verbale ai vari fenomeni del cliente non completamente compresi.
Al contrario, il lavoro dello psicoterapeuta è svolto principalmente per mezzo dell’interpretazione
dell’inconscio, del transfert e dei conflitti del paziente.
Winnicott espone numerosi casi come esempio.
«Rupert, ragazzo di 15, molto intelligente e gravemente depresso, è un brutto caso di anoressia nervosa.
Chiese di essere sottoposto a trattamento psicanalitico. Si tratta di un minimo di casework, avendo i
genitori messo l’analista al centro del caso. Le richieste dell’analista ricevono l’appoggio dei genitori. In
questo caso esiste un pericolo potenziale: se il ragazzo peggiorasse, i genitori potrebbero perdere la loro
fiducia nell’analista.»
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Il trattamento della bambina venne interrotto dal riaffacciarsi dei sintomi in concomitanza del suo ritorno a
scuola. Non potevo supporre a quel tempo che fosse la madre ad impedire alla figlia di raggiungere
condizioni di salute tali da permetterle di andare normalmente a scuola. Avrei dovuto cercare di affrontare
i problemi della madre, ma venni fuorviato dal fatto che essa era assolutamente inconsapevole di avere dei
problemi personali e inoltre dal fatto che i sintomi nella bambina erano quasi scomparsi dall’inizio del
trattamento psicoterapico. Il collasso rivelò che la madre era una forza violentemente disintegrativa.
Scoprii che dottori ed altra gente erano intervenuti perfino durante il periodo in cui la bimba veniva
condotta da me. Alla fine fui estromesso dal caso.
In questo caso al centro c’era una madre che, senza saperlo, era spinta a disperdere tutte le persone
responsabili in modo da rendere impossibile a chiunque di prendere la direzione del caso.»
A prima vista sembrerebbe che si tratti semplicemente di due procedimenti, psicoterapia e casework.
Guardando un po’ più addentro, si vede che alla psicoterapia si accompagna sempre del casework. Si tratta
sempre di occuparsi dei genitori del bimbo, o di provvedere delle alternative alla famiglia nel caso che
questa si riveli insoddisfacente. A volte anche la scuola deve essere tenuta al corrente. Insomma, la parola
casework sembra riferirsi in senso ampio a tutto quanto viene compiuto nel governo di un caso quando
non rientra nella psicoterapia.
Tuttavia, Winnicott crede che non si arrivi all’idea di casework finché non si riconosce nel caso la presenza
di forze disintegrative e la necessità di contenerle con qualche processo integrativo. In questo senso, è
l’elemento distruttivo che mette in moto ed alimenta la dinamica del casework.
L’argomento dell’elemento disintegratore può essere ulteriormente osservato nel seguente esempio:
«Jeremy, otto anni, sano e robusto, non era capace di addormentarsi senza reggere l’orecchio della madre.
La famiglia era buona. I genitori, che avevano tutte le migliori intenzioni di conservarne il buon
andamento, vennero a chiedermi di risolvere il problema.
Affidai temporaneamente la direzione del caso a un’assistente sociale psichiatrica: diedi il mio appoggio
professionale senza richiedere rapporti ma solo di essere messo al corrente di tanto in tanto.
L’assistente sociale riuscì a far comprendere alla madre, che ne era ignara, la parte da lei svolta nel
provocare e alimentare i sintomi del bimbo. Si trattava di un bimbo sano prigioniero della sua ansietà a
causa della depressione della madre. Era figlio unico, e sentiva che gli era impossibile liberarsi dal bisogno
che la madre aveva di lui. Adesso il ragazzo è capace di andare a scuola. La mamma si sta adattando a
questa perdita, e credo si stia riavvicinando al marito. In questo modo il problema si sta risolvendo da sé.»
Il casework in questo caso consisteva nella comprensione del problema da parte dell’assistente sociale, nel
discuterlo con la madre e nel suo interessamento per un lungo periodo. Il caso era tenuto insieme dai
genitori.
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dell’atteggiamento del padre. Se avessi interferito, avrei sciupato la soddisfazione della madre. Se
intervenissi e intervistassi il bimbo, potrei fallire o diventare un sostituto del padre.»
L’autore presenta il seguente caso per illustrare lo stretto legame fra le più blande forme di psicosi e i primi
stadi della tendenza antisociale:
«Un ragazzo era stato informato dal suo collegio che all’età di 16 anni avrebbe dovuto andarsene a causa
dei suoi ripetuti furti. In un colloquio col ragazzo questi fu in grado di descrivermi un periodo molto difficile
da lui trascorso verso l’età di cinque o sei anni in cui gli era sembrato che i genitori lo avessero trascurato.
Ne parlai con i genitori, i quali riconobbero che era perfettamente vero che a quell’età il bambino non era
stato trattato come dovuto. Il fatto era avvenuto proprio quando il ragazzo, che era stato fino allora il più
piccolo dei fratelli e perciò molto vezzeggiato, era diventato il mediano a causa della nascita di una sorella.
Si trattava di un’ottima famiglia, e i genitori erano profondamente addolorati nel constatare di aver creato
col loro comportamento le basi del fallimento del figlio al collegio. Essi erano più che disposti a riprenderlo
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a casa e a dedicarsi interamente a lui. Diedero al ragazzo un intero anno di completa libertà da ogni
responsabilità. Alla fine di quest’anno il fanciullo cominciò a desiderare veramente di tornare a scuola, ma
non prima di aver compiuto una grave regressione e di essere diventato estremamente dipendente come
un bambino piccolo. Alla fine prese a frequentare una scuola pubblica, e poi quella dove il padre era
preside. Il fatto di aver rubato fu presto dimenticato e in verità egli non lo aveva più fatto dal giorno del
nostro colloquio in cui si era ricordato del periodo in cui era stato trascurato.
Ritengo che il modo con cui trattai con i genitori sia stato un tipo di casework, facendo loro comprendere
in che modo fossero in grado di aiutare, e rimanendo in contatto con loro per affrontare le mutevoli
esigenze della situazione quando il ragazzo peggiorò. In questo caso tutto fu semplificato dal fatto che sia i
genitori che il direttore del collegio desideravano sinceramente che il ragazzo guarisse.»
In alcuni casi di psicosi infantile, specialmente nei casi gravi, c’è un anormale atteggiamento dei genitori
che è la vera causa dell’infermità e che continua ad agire come fattore che la conserva.
SOMMARIO
Di solito ci sono genitori che riconoscono l’infermità nel loro figlio e ne richiedono il trattamento.
Il casework diventa il tratto principale quando il bimbo è psichicamente malato e nello stesso tempo c’è
una deficienza ambientale che deve essere corretta. Nel caso più semplice è presente un’infermità psichica
in uno o ambedue i genitori, e il casework prende la sua forza dinamica e la sua propria integrazione come
reazione a questa infermità.
Il punto principale è che, in un modo o nell’altro, a causa di una tendenza disintegrativa presente nel caso,
deve svilupparsi un processo attivamente integrativo se si vuole che le esigenze del caso vengano
affrontate.
16. IL BIMBO DEPRIVATO E COME PUÒ ESSERE COMPENSATO DELLA PERDITA DELLA VITA FAMILIARE
Una comunità deve interessarsi prima di tutto ai suoi membri sani. È al normale andamento della buona
famiglia che bisogna dare precedenza. Si deve cercare di non interferire mai nella vita di una famiglia ben
governata, neppure per il suo proprio bene. I medici sono specialmente inclini, sia pur sempre con buone
intenzioni, a interferire fra la madre e il neonato o fra i genitori e i figli.
Winnicott espone un esempio:
«Una madre divorziata aveva una figlia di sei anni. Un’organizzazione religiosa, cui il padre della bambina
apparteneva, aveva intenzione di togliergliela e di metterla in collegio perché non ammetteva il divorzio. Il
fatto che la figlia fosse ben sistemata e sicura con la madre e il suo nuovo marito veniva ignorato, e si
sarebbe preteso di creare uno stato di deprivazione a causa del principio che un figlio non deve vivere con
la madre divorziata.»
In realtà un gran numero di bambini deprivati viene “fabbricato” in un modo o in un altro, e il rimedio sta
nell’evitare un errato governo.
Chiunque lavori in questo campo conosce il tipo di caso in cui, per una ragione o per un’altra, si è venuto a
creare uno stato tale che – se si vuole evitare che la famiglia si sfasci e il bimbo venga affidato al tribunale –
il solo rimedio è allontanarlo dalla casa. Molti casi disperati si riaggiustano da soli se si ha la possibilità di
attuare tempestivamente queste separazioni.
Quando la famiglia è sufficientemente buona essa è il posto più adatto per il bambino per crescervi. La
grande maggioranza dei bambini che hanno bisogno di aiuto psicologico soffrono per perturbazioni
connesse a fattori interni, inerenti in larga misura al fatto che la vita è di per sé difficile. Questi disturbi
possono essere curati lasciando il bimbo nella propria casa.
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2. Famiglia disgregatasi per la separazione dei genitori, buoni come genitori.
3. Famiglia disgregatasi per la separazione dei genitori, non buoni come genitori.
4. Famiglia incompleta, perché non c’è padre. La madre è buona.
5. Famiglia incompleta, per mancanza di padre. La madre non è buona.
6. Non c’è mai stata una famiglia.
Evitiamo di dare qualsiasi valutazione del problema in base ai sintomi del bambino, o ai sentimenti che le
sue sventure suscitano in noi. Inoltre, alla prova dei fatti, spesso la sola maniera di determinare l’esistenza
di un soddisfacente ambiente iniziale sta nel provvedere un ambiente buono e vedere in che modo il
bambino può approfittarne. Un bambino deprivato è malato, e non è mai così semplice che un
riadattamento ambientale provochi il rovesciamento dalla malattia alla salute. Nel migliore dei casi, il
bambino comincerà a migliorare e non appena comincerà a manifestarsi un mutamento dell’infermità a
uno stato di minore infermità, egli diventerà sempre più capace di odiare la trascorsa deprivazione.
La salute non giunge fintantoché quest’odio non sia stato sentito. Tuttavia questo risultato sopraggiunge
solo se ogni cosa è relativamente a disposizione del Sé cosciente del bambino, e questo è un caso raro.
Dove si determina una deprivazione sopra una soddisfacente esperienza iniziale, l’odio appropriato alla
deprivazione può essere raggiunto.
Winnicott espone un caso clinico come esempio:
«Si tratta di una bimba di sette anni. Il padre morì quando ella aveva tre anni, ma essa riuscì a superare
questa difficoltà molto bene. La madre si prese cura di lei in modo eccellente e si risposò. Il patrigno si
affezionò molto alla bimba. Tutto andò per il meglio fino al momento in cui la madre rimase incinta. A
questo punto il padre cambiò completamente atteggiamento verso la figliastra. Egli ritirò il suo affetto
dalla bambina. Dopo la nascita del figlio le cose peggiorarono e la madre si trovò ad avere affetti divisi. La
bimba non può fiorire in questa atmosfera ma, inviata in un collegio, potrebbe perfino comprendere le
difficoltà sopraggiunte nella famiglia.»
D’altro canto, il caso seguente mostra gli effetti di un’insoddisfacente prima esperienza:
«Una madre mi conduce il suo bambino di due anni e mezzo. Egli ha una buona famiglia, ma è contento
solo quando riceve le attenzioni personali della madre o del padre. Non riesce a staccarsi dalla madre e a
giocare da solo, e l’avvicinarsi di un estraneo lo terrorizza. Venne adottato quando aveva cinque settimane,
e già a quel tempo era malato. La governante della casa in cui era nato ne aveva fatto il suo prediletto e
aveva anche provato a nasconderlo quando la coppia si era presentata per avere un bambino da adottare. Il
trasferimento a cinque settimane aveva causato un grave perturbamento nello sviluppo emotivo del
neonato.»
È necessario sapere cosa accade nel bambino quando una buona struttura ambientale si rompe o quando
non è mai esistita, e ciò comporta lo studio dell’intero problema dello sviluppo emotivo dell’individuo.
Benché sia difficile dare una chiara e semplice formulazione di questi fenomeni, è necessario comprenderli
se vogliamo riconoscere quali siano i segni favorevoli in un bimbo deprivato.
Consideriamo il significato dell’atto antisociale, per esempio il rubare. Quando un bimbo ruba, ciò che egli
cerca non è l’oggetto rubato, ma la persona, la madre dalla quale il bimbo ha diritto di rubare perché essa è
la madre. Infatti, ogni neonato può realmente affermare il diritto di rubare alla madre, perché il neonato
inventa la madre, la pensa, la crea. Col suo essere lì, la madre dà al bambino la sua stessa persona come
materiale con cui egli possa creare, cosicché alla fine la madre soggettivamente autocreata viene a
coincidere in larga misura con quella della realtà.
I sintomi antisociali rappresentano una brancolante ricerca di recupero ambientale, e indicano speranza. Il
bambino antisociale ha dunque bisogno di un ambiente specializzato che abbia finalità terapeutiche e che
possa dare una risposta di realtà alla speranza espressa dai sintomi. Ciò deve protrarsi per un lungo periodo
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per diventare efficace in senso terapeutico, e inoltre il bambino deve acquistare molta fiducia nel nuovo
ambiente.
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che abbia ragione di essere corrisposta con tale odio; il crudele genitore adottivo è allora veramente
amato.
Per contro, il bambino nella grande istituzione non è governato al fine di curarlo della sua infermità. Gli
scopi qui sono provvedere alloggio, nutrimento e vestiti ai bambini negletti; dare un tipo di
trattamento in cui i bambini vivano nell’ordine; e infine tenere il maggior numero di bambini lontani da
scontri con la società. Un trattamento severo in questi casi è essenziale. A tal proposito è importante
puntualizzare che anche in comunità molto severe, finché c’è coerenza e imparzialità, i bambini
possono scoprire tra loro dell’umanità e anche giungere ad apprezzare la severità per il fatto che
questa implica stabilità.
Nelle istituzioni di questo tipo i metodi di trattamento sono a profitto della società. I bambini saranno
costretti a perdere la loro propria identità in misura più o meno ampia. Comunque, ci saranno sempre
bambini che rappresenteranno una sconfitta, per i quali dovrebbe esistere un equivalente dell’ospedale
psichiatrico per adulti.
FENOMENI TRANSIZIONALI
Com’è che il bambino comune può essere privato della casa e di ciò che gli è familiare senza ammalarsi? Ci
basti pensare ad un qualunque bambino e domandarci cosa egli si porta a letto come aiuto per
addormentarsi. Può anche darsi, in alcuni casi, che non ci sia stato un vero oggetto ma che il bambino si sia
succhiato il pollice, o abbia condotto un’attività genitale attribuibile alla masturbazione. In alcuni casi, nei
primi mesi il bambino avrà preteso niente meno che la presenza di un essere umano, probabilmente la
madre.
Winnicott chiama questa cosa oggetto transizionale. Dalla veglia al sonno il bambino passa bruscamente
da un mondo percepito ad uno da lui creato. Fra i due c’è bisogno di fenomeni di transizione di ogni
genere, che fungano da territorio neutro.
La maggior parte dei bambini compresi nella categoria dei disadattati non ha avuto questo oggetto,
ovvero lo ha perduto. Deve esserci qualcuno che l’oggetto rappresenta; il che significa che il loro stato non
può essere curato semplicemente dando loro un nuovo oggetto.
Questi fenomeni transizionali rendono il bambino capace di affrontare frustrazioni e deprivazioni e il
presentarsi di situazioni nuove. Se da questo punto di vista osserviamo l’uso dei giochi, delle attività auto-
erotiche, delle nenie serali, scopriremo che per mezzo di queste cose il bambino ha acquistato la capacità –
entro certi limiti – di fare a meno di ciò cui era abituato e di ciò di cui ha bisogno.
Un neonato o un bambino piccolo che vengono mossi da un posto all’altro affrontano lo stesso problema.
Se priviamo il bambino degli oggetti di transizione e disturbiamo i fenomeni transizionali formatisi, egli ha
una sola scappatoia: la scissione della personalità. Quando questa si è determinata, e i ponti fra il
soggettivo e l’oggettivo si sono rotti, il bimbo diventa incapace di agire come persona umana completa.
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17. INFLUENZE DI GRUPPO E IL BAMBINO DISADATTATO. L’ASPETTO SCOLASTICO
Il bambino normale, che vive in una casa normale, sviluppa degli scopi: egli va a scuola e ha realmente
interesse che questa gli insegni qualcosa. Egli trova il suo proprio ambiente e anzi contribuisce a
conservarlo, svilupparlo e modificarlo.
Al contrario, il bambino disadattato abbisogna di un ambiente che dia maggiore importanza al
trattamento che non all’insegnamento: in questi casi, “scuola” significa “ostello”. Per queste ragioni, coloro
che si occupano di bambini disadattati non sono insegnanti con un pizzico di comprensione umana, ma
psicoterapeuti di gruppo che aggiungono un pizzico di insegnamento. In tal senso, la conoscenza della
formazione dei gruppi è di fondamentale importanza per il loro lavoro.
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2. All’altro estremo, a un certo numero di persone relativamente inintegrate può essere data protezione
così da permettere il formarsi di un gruppo. In questo caso la dinamica non proviene dagli individui ma
dalla copertura. Gli individui di questo gruppo passano per tre stadi:
a) Sono contenti di essere protetti e acquistano fiducia;
b) Cominciano a trarre profitto dalla situazione, diventando dipendenti e regredendo verso
l’inintegrazione;
c) Cominciano, ognuno per proprio conto, a conseguire una qualche integrazione servendosi della
copertura offerta dal gruppo di cui hanno bisogno a causa della loro attesa di persecuzione.
La parola democrazia è usata per designare il raggruppamento più maturo, e si riferisce a un insieme di
persone adulte la maggioranza delle quali ha raggiunto l’integrazione personale così come la maturità
sotto altri aspetti.
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4. Bambini che mantengono sia un’integrazione personale sia la difesa dalla minaccia di disintegrazione
che si concretizza nella costituzione di una forte personalità.
5. Bambini che hanno conosciuto una appropriata assistenza agli inizi. La continuità del loro allevamento
ha tuttavia sofferto di una interruzione che ha impedito l’ulteriore uso degli oggetti intermedi. Questi
sono i comuni bambini con il “complesso della deprivazione”, il cui comportamento sviluppa
caratteristiche antisociali ogni volta che essi cominciano di nuovo a sperare. Nel migliore dei casi essi
regrediscono in senso generale, o in modo localizzato (come nell’orinare a letto). Nel peggiore dei casi
la società è costretta a tollerare i loro sintomi di speranza.
6. Bambini che hanno avuto un inizio abbastanza buono ma che hanno sofferto degli effetti di una figura
paterna o materna cui non si confà loro identificarsi.
7. Bambini con tendenze maniaco-depressive, con o senza elemento ereditario o genetico.
8. Bambini normali eccetto che in fasi depressive.
9. Bambini con attesa di persecuzione e con tendenza a subire o fare prepotenze. Nei maschi ciò può
formare la base di pratiche omosessuali.
10. Bambini ipomaniaci, con depressione latente o nascosta dietro disordini psicosomatici.
11. Bambini sufficientemente integrafi e socializzati da soffrire delle inibizioni e delle tendenze compulsive
e organizzazioni difensive contro l’ansietà.
12. Bambini normali che, trovandosi di fronte ad anormalità d’ambiente o in situazioni di pericolo,
possono usare ogni meccanismo di difesa senza essere condizionati ad un solo tipo da deformazioni
dello sviluppo emotivo.
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