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LA FAMIGLIA E LO SVILUPPO DELL’INDIVIDUO

D. W. WINNICOTT

1. IL PRIMO ANNO DI VITA. MODERNE VEDUTE SULLO SVILUPPO EMOTIVO

INTRODUZIONE
Lo sviluppo emotivo comincia fin dal primo momento. Non è possibile ignorare gli eventi dei primi giorni e
delle prime ore; anche l’esperienza della nascita può avere la sua importanza.
C’è qualcosa nella madre del neonato che la rende particolarmente adatta alla protezione del figlio e al
rispondere positivamente ai suoi bisogni. La madre può adempiere a questa funzione se si sente sicura, se
si sente amata nei suoi rapporti col padre del bambino e con la famiglia, se si sente accettata dalla società.
Tale capacità non scaturisce da conoscenze, ma deriva da un atteggiamento istintivo che acquisisce con
l’avanzare della gravidanza.

TENDENZA INNATA ALLO SVILUPPO


Nei fatti psicologici c’è una tendenza innata allo sviluppo, che corrisponde alla crescita del corpo e al
graduale sviluppo delle funzioni.
Non ci è dato assistere a questo sviluppo naturale a meno che le condizioni non siano sufficientemente
buone. Tuttavia, parte della difficoltà sta nell’individuare quali siano queste condizioni.

DIPENDENZA
All’inizio il bambino è assolutamente dipendente dall’ambiente fisico ed emotivo. Nei primissimi stadi non
c’è traccia di consapevolezza di questa dipendenza. Gradualmente, essa diventa nota al bambino entro
certi limiti, che così acquista la capacità di fare intendere all’ambiente quando ha bisogno di attenzione.
Tuttavia, quanto si riscontra ad un anno è estremamente variabile, non solo da un bambino all’altro ma
anche in uno stesso bambino.
È del tutto normale che il conseguimento di un certo grado d’indipendenza possa essere ripetutamente
perduto e riguadagnato. Questo passaggio è una manifestazione dell’innata tendenza del bambino a
crescere; tale crescita non può avere luogo a meno che qualcuno non si adatti premurosamente ai bisogni
del bambino.

INTEGRAZIONE
In realtà all’età di un anno la maggior parte dei bambini ha raggiunto lo stato di individuo. Ciò significa che
la personalità si è integrata. Ma l’integrazione non può darsi per scontata. Essa emerge gradualmente da
un primario stato di inintegrazione. All’inizio il bambino è un complesso di fasi di motilità e percezioni
sensoriali. Il riposo, ad esempio, rappresenta per il bambino un ritorno a uno stato di inintegrazione. Un
ritorno ad essa non spaventerà necessariamente il bambino se la madre gli darà sicurezza. Infatti, la madre
o l’ambiente tengono il bambino unito, cosicché l’inintegrazione può aver luogo parallelamente alla
reintegrazione senza l’insorgenza di angoscia.
L’integrazione sembra essere in rapporto con esperienze emotive o affettive come l’ira o l’eccitamento
connesso alla nutrizione. Gradualmente, via via che l’integrazione diventa un fatto acquisito e il bambino
va componendosi in unità, il disfacimento di ciò che è stato acquisito diventa disintegrazione piuttosto
che inintegrazione, e la disintegrazione è dolorosa.

PERSONALIZZAZIONE
A un anno il bambino vive saldamente nel corpo. Questa situazione, in cui psiche e soma si trovano in
intimo reciproco rapporto, emerge dagli stadi iniziali in cui la psiche immatura non è strettamente legata al
corpo e alla vita di questo. Se ci si adatta in maniera soddisfacente ai bisogni del bambino, vi sono migliori
possibilità che si instauri una relazione salda tra psiche e soma.

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Al contrario, quando c’è difetto di adattamento, la psiche tende a sviluppare un’esistenza solo vagamente
in relazione con l’esperienza del corpo, col risultato che le frustrazioni fisiche non sono sempre avvertite
nella loro piena intensità.
Anche la psiche del bambino sano può perdere contatto col corpo in alcuni momenti, e possono verificarsi
fasi in cui non è facile per lui rientrare d’un tratto nel corpo, come per esempio quando viene svegliato da
un sonno profondo. Le madri, infatti, dovrebbero svegliare gradualmente il bambino, proprio al fine di
evitare di provocare panico per via del cambiamento di posizione che il corpo subisce in un momento in cui
la psiche è assente da esso. In tali momenti potrebbe verificarsi pallore, sudore freddo e vomito.

MENTE E PSICHE-SOMA
Ad un anno il bambino ha chiaramente sviluppato l’inizio di una mente, che si distingue dalla psiche.
La psiche è in diretto rapporto col soma e col funzionamento corporeo, la mente ha le sue radici
nell’esistenza e nel funzionamento di quelle parti del cervello che si sviluppano in uno stadio più avanzato.
All’inizio la madre deve adattarsi in modo quasi totale ai bisogni del bambino affinché la personalità di
quest’ultimo si sviluppi senza problemi. Essa è poi in grado di ridurre questo suo adattamento sempre di
più, poiché la mente del bambino e i suoi processi intellettuali sono idonei ad accettare diminuzioni di tale
adattamento. Perciò possiamo affermare che la mente sia alleata della madre, assumendosi parte della
sua funzione.
La maggior parte delle madri sono capaci di adattarsi alla maggiore o minore capacità mentale del singolo
bambino e di procedere di pari passo. Tuttavia, è facile che per una madre perdere il passo con un bambino
che abbia capacità intellettuali limitate e, viceversa, il bambino svelto è soggetto a perdere contatto con
una madre lenta. Ad una certa età, il bambino diviene capace di accettare le caratteristiche della madre ed
essere relativamente indipendente dalla capacità di lei di adattarsi ai suoi bisogni.

FANTASIA E IMMAGINAZIONE
Una caratteristica del bambino è la fantasia, che possiamo descrivere come l’elaborazione immaginativa
della funzione fisica. Essa diviene infinitamente complessa, ma è presumibilmente limitata nella quantità.
Il gioco di qualsiasi tipo ne dimostra l’esistenza.
Un notevole grado di evoluzione della fantasia si verifica durante il primo anno di vita. Tuttavia, benché
questa evoluzione sia una naturale tendenza dello sviluppo, essa può essere arrestata o deviata qualora
venissero a mancare determinate condizioni.

REALTÀ (INTERNA) PERSONALE


Allo scadere del primo anno di vita, il mondo interno dell’individuo è divenuto un’organizzazione definitiva.
Gli elementi positivi sono ricalcati sui moduli dell’esperienza personale, specialmente dell’esperienza
istintuale, e fondati sulle innate caratteristiche ereditate dell’individuo (nella misura in cui siano
manifestate così presto).
Questo modello del mondo personale di ogni bambino si organizza secondo complessi meccanismi che
hanno come scopo:
1. La conservazione di ciò che è percepito come “buono”, cioè tale da rafforzare il Sé.
2. L’isolamento di ciò che è percepito come “cattivo”, cioè inaccettabile o immesso dalla realtà esterna
senza consenso (trauma).
3. La conservazione di un’area in cui gli oggetti hanno interrelazioni viventi, stimolanti, aggressive e
anche affettuose.

Alla fine del primo anno iniziano a delinearsi anche difese secondarie per affrontare la dissoluzione
dell’organizzazione primaria: ad esempio, un generale affievolirsi di tutta la vita interna, che clinicamente
si manifesta con l’umore depresso; oppure una proiezione di elementi del mondo interiore verso la realtà
esterna, che si manifesta con atteggiamenti inclini alla paranoia.

VITA ISTINTUALE

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All’inizio la vita istintuale del bambino si fonda sulla funzione nutritiva. Intorno ai cinque mesi, il bambino
comincia a collegare la funzione escretoria con quella nutritiva. Contemporaneamente a ciò, egli inizia
l’acquisizione di un mondo personale interno che di conseguenza tende a localizzare nella pancia. Da
questo semplice modello l’esperienza psiche-soma si allarga fino ad includere l’intero funzionamento
corporeo.
Tutte le funzioni tendono ad avere un carattere orgastico in quanto ciascuna prevede una fase di
eccitamento, un acme cui partecipa tutto il corpo, e un periodo di ripercussioni.
La funzione anale acquista sempre più importanza, fino a predominare sulla funzione orale. L’orgasmo
dell’escrezione è un orgasmo espulsorio, ma in certe circostanze l’ano può divenire un organo recettore.
Anche l’escrezione urinaria è orgastica e di conseguenza eccitante e piacevole.
La soddisfazione orgastica, tuttavia, dipende considerevolmente da una corretta regolamentazione
dell’orario. Gli sforzi di regolare i bambini nelle loro funzioni escretorie, se hanno successo, privano il
bambino di piaceri fisici che spettano a questo periodo dell’infanzia, pertanto le conseguenze di un
addestramento troppo precoce sono enormi.
L’eccitamento genitale, durante il primo anno di vita, non è di primaria importanza. Comunque, è in questo
periodo che l’erezione fallica e l’eccitazione clitoridea acquisiscono importanza di per sé. Al compimento
del primo anno non è raro che la bambina inizi ad invidiare i genitali del bambino. Tale discrepanza tenderà
a far emergere esibizionismo e invidia nei seguenti uno o due anni.

Durante il primo anno le esperienze istintuali comportano nel bambino la capacità di stabilire relazioni con
gli oggetti, capacità che sfocia in un rapporto di amore tra due persone intere, il bambino e la madre.
Anche il rapporto triangolare interviene come fattore nuovo al compimento del primo anno, ma non
raggiunge il suo pieno stato finché il bambino non compie i primi passi e finché la funzione genitale non
acquista il predominio sugli altri tipi di funzionamento.

RELAZIONI OGGETTUALI
Ad un anno, in alcuni momenti il bimbo è una persona intera in relazione con persone intere. Questa
conquista è possibile soltanto quando vi siano condizioni adatte.
Il primo stadio è un rapporto con oggetti parziali: ad esempio, il neonato stabilisce un rapporto con la
mammella, non essendo ancora per lui la madre una figura definita. La graduale integrazione della
personalità del bambino in una unità gli rende possibile intendere l’oggetto parziale come parte di una
persona intera, e questo aspetto dello sviluppo genera specifiche ansietà.
Parallelamente al riconoscimento dell’oggetto intero si sviluppa un senso di dipendenza, e ha quindi inizio
un bisogno di indipendenza.

SPONTANEITÀ
L’impulso istintuale crea una situazione che può sfociare nel soddisfacimento o in un generale malessere
sia della psiche che del soma.
Le soddisfazioni sono di fondamentale importanza durante il primo anno di vita, ed è solo gradualmente
che il bambino acquista la capacità di rimanere in uno stato di attesa. Ciò che si pretende è che egli
abbandoni la propria spontaneità in favore della compiacenza delle esigenze di coloro che di lui si
prendono cura. In tal modo, la spontaneità è minacciata da due ordini di fattori:
1. Dal desiderio della madre di liberarsi dalla schiavitù della maternità, che può essere aggravato dall’idea
della madre di dover disciplinare presto il bambino per farne un “buon bambino”.
2. Dallo sviluppo di una restrizione della spontaneità dall’interno del bambino (instaurazione del Super-
Io).

Questo sviluppo del controllo dall’interno costituisce la vera base della moralità, la cui origine può quindi
verificarsi già nel primo anno di vita.
All’inizio i meccanismi dell’autocontrollo sono brutali come gli stessi impulsi, e la severità della madre aiuta
in quanto è meno crudele e più umana. La severità materna ha, dunque, un’importanza inaspettata poiché
produce accondiscendenza in modo delicato e graduale e salva il fanciullo dalla furia dell’autocontrollo.

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CAPACITÀ CREATIVA
La spontaneità conduce naturalmente all’argomento dell’impulso creativo, che dà al bambino il senso di
essere vivo.
L’impulso creativo innato si inaridisce se non trova riscontro da parte della realtà esterna. Ogni bambino
deve ricreare il mondo, e ciò è possibile solo se il mondo lo raggiunge nei momenti della sua attività
creativa. Egli si protende e la mammella è lì, e la mammella è creata.
Da ciò prende il via un naturale processo di creazione individuale dell’intero mondo della realtà esterna. Le
prime penose tappe di questo processo di vita appartengono alla primissima infanzia e sono legate alla
capacità della madre di presentare modelli di realtà al momento più o meno opportuno.

MOTILITÀ - AGGRESSIVITÀ
La motilità è ciò che precorre l’aggressività, un termine che aumenta sempre più di significato via via che
il bambino cresce. Un particolare esempio è costituito dall’afferrare con la mano e dal masticare che più
tardi diventa mordere.
Nel bambino sano, gran parte del potenziale aggressivo viene a fondersi intimamente con le sue
esperienze istintuali e con i modelli dei rapporti individuali infantili.
In cattiva salute, solo una piccola parte viene a fondersi con la vita erotica, e il bambino è allora oppresso
da impulsi privi di significato. Questi conducono alla distruttività nel rapporto con gli oggetti oppure
formano la base di un’attività completamente priva di significato come, ad esempio, la convulsione.
Questo è un modo in cui può verificarsi uno stato patologico nello sviluppo emotivo, evidente fin dal
primissimo stadio e che si manifesta infine come un disordine psichico.
La potenzialità aggressiva è estremamente variabile poiché condizionata non solo da fattori innati, ma
anche da possibili disturbi ambientali.

CAPACITÀ DI APPRENSIONE
Verso la seconda metà del primo anno di vita di un bambino normale appare evidente la capacità di
apprensione o di avvertire il senso di colpa. Questo è uno stato legato all’integrazione della personalità del
bambino in un’unità, e dell’accettazione da parte sua della responsabilità per la totale fantasia di ciò che
appartiene al momento istintuale. Il presupposto necessario di questa acquisizione è la presenza assidua
della madre, la quale deve essere pronta a comprendere e accettare gli sforzi immaturi del fanciullo ad
amare in modo costruttivo. Questo importante stadio dello sviluppo emotivo è stato studiato molto
dettagliatamente da Melanie Klein.
La potenza virile (e l’accettazione di essa) ha una delle sue radici nello sviluppo emotivo che ha luogo prima
(come anche dopo) il compimento del primo anno di età.

POSSESSO
Ad un anno i bambini sono entrati, di solito, in possesso di uno o più oggetti morbidi (orsacchiotti, peluche,
ecc.) che rivestono per loro molta importanza. È chiaro che questi rappresentano oggetti parziali.
È molto interessante studiare l’uso che il bambino fa del primissimo oggetto adottato: questo può
assumere il valore di intermediario tra il Sé del bambino e il mondo esterno. È tipico vedere un bambino
andare a dormire stringendo questo oggetto (chiamato oggetto transizionale) e allo stesso tempo
succhiare il pollice. Il comportamento peculiare a ogni bambino che appare al momento di andare a
dormire o nei momenti di solitudine, di ansietà, può persistere fino alla tarda infanzia o anche fino all’età
adulta, e fa parte del normale sviluppo emotivo. Questi fenomeni, definiti da Winnicott transazionali,
sembrano formare la base dell’intera vita culturale dell’adulto.
Questa è un’occasione per studiare le origini del comportamento affettuoso, importante in quanto la
perdita della capacità di essere affettuoso è una caratteristica del più grande dei figli, spesso deprivato, il
quale clinicamente rivela una tendenza antisociale.

AMORE

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Via via che il bambino cresce, il significato della parola amore muta, accogliendo in sé nuovi elementi:
 Amore significa esistere, respirare, essere in vita per essere amato.
 Amore significa appetito e bisogno di soddisfazione.
 Amore significa contatto affettuoso con la madre.
 Amore significa integrazione (da parte del fanciullo) dell’oggetto dell’esperienza istintuale con la
madre intera nel momento del contatto affettuoso.
 Amore significa affermare il proprio diritto sulla madre, forzarla a riparare alle deprivazioni inevitabili
di cui è responsabile.
 Amore significa sollecitudine per la madre (o per l’oggetto che la sostituisce) come la madre è stata
sollecitata verso il bambino. Ciò preannuncia un atteggiamento adulto di responsabilità.

CONCLUSIONE
Al compimento del primo anno di vita nulla è ancora definito, e quasi tutto può essere perduto per un
successivo collasso delle condizioni ambientali, o attraverso le ansietà proprie della maturazione emotiva.

2. IL RAPPORTO INIZIALE DELLA MADRE COL BAMBINO

LA COPPIA MADRE-NEONATO
Nell’esaminare il rapporto tra madre e neonato è necessario distinguere ciò che appartiene alla madre e ciò
che comincia a svilupparsi nel bambino. Qui sono implicate due forme distinte di identificazione: quella
della madre col bambino e quella del bambino con la madre.
Osserviamo nella madre gestante una crescente identificazione col bambino. Ella lo sente come un
“oggetto interno”, oggetto che immagina come formatosi dentro di lei e ivi mantenutosi. Il bambino
assume nella fantasia inconscia della madre altri significati, ma la caratteristica predominante sarà la
propensione, da parte della madre, di far defluire l’interesse dal suo proprio io verso il bambino. Winnicott
indica questo atteggiamento della madre come preoccupazione materna primaria.
Due tipi di disordine materno possono intervenire a questo riguardo. A un estremo c’è la madre i cui
interessi verso di sé sono troppo prepotenti per essere abbandonati; all’altro c’è la madre che è
costantemente incline all’apprensività e per la quale il bambino diventa la sua preoccupazione patologica.
È nel corso normale delle cose che la madre ritorni ad occuparsi di se stessa man mano che il bambino le
permetterà di farlo; la madre patologicamente preoccupata non solo protrae troppo a lungo la sua
identificazione col bambino, ma inoltre attua il passaggio da questa all’antica preoccupazione per sé in
modo brusco.
Tutti questi fatti trovano riscontro nel lavoro di terapia infantile. I bambini che vengono curati passano
attraverso fasi nelle quali tornano indietro e sperimentano di nuovo (o sperimentano per la prima volta) i
primi rapporti che non sono stati soddisfacenti nella loro storia passata.
È significativo che la madre, allorché si trova nello stato descritto, sia molto vulnerabile. È possibile
accorgersene quando si verifica un collasso nelle naturali forze protettive.
Alcune donne non solo provano difficoltà a sviluppare la preoccupazione materna primaria, ma possono
anche soffrire di disturbi clinici a causa del ritorno da questo stato a un normale atteggiamento verso la
vita e se stesse.

L’IDENTIFICAZIONE DEL BAMBINO CON LA MADRE


Nell’esaminare lo stato d’identificazione del bambino, Winnicott si riferisce al bambino nato al termine
normale, del bambino appena nato e a quello di poche settimane o mesi.
Solo in presenza di una madre sufficientemente adatta il bambino inizia un processo di sviluppo personale
ed effettivo. Se le cure materne non sono rispondenti, il bimbo diviene un insieme di reazioni alle
sollecitazioni e la sua vera personalità non riesce a formarsi.
Nel bambino che ha una madre sufficientemente adatta, l’Io è contemporaneamente forte e debole. Tutto
dipende dall’idoneità della madre a dargli sostegno. Se la coppia madre-bimbo è in buona armonia, l’Io del
bimbo è veramente molto forte poiché ben sostenuto sotto ogni riguardo. L’Io rafforzato è capace di
organizzare difese e sviluppare tipi di comportamento personali e fortemente caratterizzati da tendenze

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ereditarie. Sono i bambini ben assistiti che presto formeranno la propria individualità, completamente
diversa da quella di chiunque altro, mentre coloro che ricevono un appoggio dell’Io inadeguato o
patologico tendono ad assomigliarsi nei tipi di comportamento. Si potrebbe dire che in questo primissimo
stadio il Sé del bambino è soltanto potenziale.

LA FUNZIONE MATERNA
Possiamo suddividere nelle seguenti categorie la funzione che una madre sufficientemente adatta al suo
ruolo svolge nei primi stadi della vita del figlio:
1. Tenere in braccio: un soddisfacente modo di tenere in braccio è l’elemento fondamentale
dell’assistenza materna, comprovato solo dalle reazioni provocate da un difettoso modo di sorreggere,
che produce estrema angoscia nel neonato, ponendo la premessa per sensazioni come quella di
disintegrarsi, di precipitare all’infinito, e altre ansietà generalmente descritte come psicotiche.
2. Manipolazione del bambino: la manipolazione del bambino facilita in lui la formazione di una
comunanza psicosomatica. Ciò accresce il senso del reale. Una difettosa manipolazione ostacola lo
sviluppo del tono muscolare e della coordinazione.
3. Presentazione o realizzazione degli oggetti: cioè rendere reale l’impulso creativo del bambino. Ciò
dà il via alla capacità del bambino di entrare in relazione con gli oggetti.

In breve, lo sviluppo implica il retaggio di un processo di maturazione e l’accumularsi di esperienze di vita;


ma questo sviluppo non si attua se non in un ambiente che lo faciliti.

SOMMARIO
Assistiamo all’evoluzione dell’esperienza dell’immatura coppia madre-bambino, ad una
compartecipazione madre-neonato in cui la madre, per mezzo di un certo tipo di identificazione, viene
incontro allo stato originario di indifferenziazione del bambino. Da questo stato di indifferenziazione, il
bambino - senza il particolare stato sopra descritto - non potrà mai veramente emergere. In questo caso, il
meglio che si potrà attendere sarà lo sviluppo di una falsa personalità che nasconderà l’eventuale abbozzo
di quella vera.
Se tutto va per il meglio, constateremo che un bambino è emerso, un bimbo il cui Io è in grado di
organizzare le sue difese contro le ansietà. Secondo Winnicott, quanto facciamo nel corso di una terapia è
un tentativo di imitare il processo naturale che caratterizza il comportamento di ogni madre verso il suo
bambino.

3. ACCRESCIMENTO E SVILUPPO IN CONDIZIONI DI IMMATURITÀ

Freud fu il primo ad affrontare scientificamente il problema dello sviluppo umano; infranse la riluttanza a
parlare apertamente di sesso e specialmente della sessualità del bambino e del fanciullo, e riconobbe gli
istinti come fondamentali. Egli dimostrò l’esistenza dell’inconscio represso e il funzionamento del conflitto
inconscio e tentò coraggiosamente di formulare delle teorie dei processi mentali, alcune delle quali sono
state ormai accettate da tutti.
Ogni individuo inizia e si sviluppa e diventa maturo. Non si può parlare di maturità adulta se non in
dipendenza dello sviluppo precedente. Questo sviluppo è estremamente complesso e si svolge
ininterrottamente dalla nascita fino alla vecchiaia.
Il nostro compito è provvedere condizioni ambientali adatte all’età del lattante, del bambino e del
fanciullo, un ambiente che possa permettere ad ogni individuo di diventare una persona capace di
prendere il suo posto nella comunità senza perdere la sua propria individualità.
Quando diamo ai bambini il loro giusto tipo di svago, perseguiamo con ciò uno scopo: quello di rendere
possibile a ognuno di essi di raggiungere quel finale grado di sviluppo che è lo stato adulto, il quale in senso
collettivo si chiama democrazia. Tuttavia, sappiamo quanto sia importante non mettere i bambini in
situazioni troppo grandi per loro. Ci si riferisce ad uno stadio precedente dove c’è già un germe di ciò
quando diamo la possibilità ai bambini di assumere temporaneamente funzioni nell’ambito della
comunità. Comunque, in genere ogni bambino avrà piacere di essere in posizione di responsabilità per
limitati periodi di tempo. Ciò dà migliori risultati quando avviene per iniziativa del fanciullo e non è imposto

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dai genitori. Poco a poco però, i bambini diventano capaci di identificarsi con essi così da accettare le
imposizioni senza una troppo grande perdita del senso della propria individualità.
Tutto ciò ci porta sempre più indietro. La persona che è in intimità col bambino deve dare sempre più
affidamento. Sappiamo che, con il bambino piccolo, è solo l’affetto per quel particolare bambino che rende
idonea la persona a dare sufficiente affidamento. Solo una madre devota può intendere i bisogni del
bambino. Infatti, il bambino all’inizio ha bisogno di un tale grado di attivo adattamento ai suoi bisogni che
può essere dato solo da una persona devota che si occupi interamente di lui.

EDUCAZIONE DEI GENITORI


Quando le persone che si occupano dei bambini sono nevrotiche o quasi psicotiche (e molte lo sono), esse
non sono suscettibili di essere educate. Nel dare assistenza a madri e bambini comuni e nell’insegnare a
questi, dobbiamo risolutamente mantenerci orientati verso la normalità e la sanità, e la madre sana ha
molto da insegnarci.
Siamo del tutto certi che i dottori e le infermiere che si prendono cura delle madri nei consultori, nei reparti
di maternità e negli ambulatori pediatrici permettono veramente alla madre sana di assolvere la sua
funzione?
Negli ospedali di maternità oggi non è più così raro vedere il neonato posto in culla accanto alla madre.
Inoltre, in gran parte grazie all’opera di Bowlby e Robertson, si riscontra ora una maggiore tendenza a
permettere ai genitori di mantenersi in contatto con i loro bambini che abbiano bisogno di essere ricoverati
in ospedale.
Dovendo trasferire queste considerazioni ad un ambiente come quello della scuola materna, possiamo
affermare che in essa è possibile trovare due tipi di bambini:
1. Bambini che sono allevati da genitori in modo appropriato. Questi daranno dei frutti e saranno capaci
di rivelare e fronteggiare ogni genere di sentimenti.
2. Bambini i cui genitori non sono riusciti nel loro compito. Questi hanno bisogno di quell’attivo
adattamento ai loro bisogni che in realtà spetta alle primissime settimane e ai primi mesi, e possono
esigerlo da persone diverse dai loro genitori. Inoltre, dal momento che questo adattamento giunge
troppo tardi, il bambino non possiede la capacità di servirsene in modo appropriato, oppure ha bisogno
che sia accentuato e prolungato per un lungo tempo. In tal caso, la persona che è in grado di dare ciò
può trovarsi in una situazione molto difficile, perché il bambino può contrarre una dipendenza da lui a
cui egli non osa porre termine.

IL BAMBINO NELLA REALTÀ DEL SUO VIVERE


Lo stato di eccitamento implica l’operare degli istinti.
Ogni funzione corporea ha una sua elaborazione immaginativa, per cui i conflitti che si determinano nel
campo delle idee comportano inibizioni e disordini negli eventi corporei; crescita in questo caso significa
non solo passare da uno stadio all’altro per via dell’età, ma anche un elaborato assestamento di ciascuno
stadio non appena conseguito. È proprio in questi primi stadi dello sviluppo istintivo che hanno inizio
quelle gravi repressioni che paralizzano la vita di molti individui.
Le varie pulsioni istintuali che quali dilacerano il fanciullo con la loro violenza si sviluppano secondo una
progressione naturale. All’inizio sono la bocca e tutti i meccanismi ricettivi a costituire la base della fantasia
che si trova al vertice dell’eccitamento. Più tardi sono i fenomeni escretori e ciò che accade nell’interno a
fornire il materiale per la fantasia eccitata. Col tempo sopravviene un tipo di eccitamento genitale che si
può dire domini la vita del bambino dal secondo al quinto anno. La progressione naturale di questi vari tipi
di idee eccitate e di organizzazioni dell’eccitamento non è generalmente chiara e semplice perché a tutti
gli stati insorgono dei conflitti.
Naturalmente le idee proprie dei momenti di eccitazione stanno a fondamento del gioco e dei sogni. Nel
gioco c’è un eccitamento di tipo speciale, e il gioco è guastato allorché il bisogno istintuale diretto prende il
sopravvento. Solo poco per volta il bambino riesce a dominare questi fatti.
Fortunatamente, contemporaneamente ala scoperta di queste difficoltà, i bambini hanno la possibilità di
conseguire vertici di appagamento in tutte quelle varie forme che sono loro caratteristiche, ad esempio il
cibo, il sonno, la defecazione e la minzione.

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A questo punto è opportuno postulare un primo stadio di spietatezza: all’inizio le idee eccitate e
altamente distruttive che si accompagnano all’esperienza istintuale sono rivolte verso il seno della madre.
Il bambino sano giunge presto a rendersi conto che ciò che egli, nella sua fantasia, aggredisce così
spietatamente, s’identifica con ciò che egli ama e di cui ha bisogno. La spietatezza lascia allora il posto ad
uno stadio di apprensione.
Dopo una soddisfacente esperienza di eccitamento, il bambino deve far fronte a due ordini d fenomeni.
Una cosa buona è stata attaccata e danneggiata, e il bambino ha tratto vantaggio da questa esperienza.
Egli deve essere capace di sopportare il sentimento di colpa. Col tempo si presenta il modo di uscire dal
conflitto, poiché egli diventa in grado di trovare i modi di rimediare, di dar qualcosa in cambio, di restituire
ciò che (nella sua fantasia) è stato rubato. Il bambino deve essere capace di accettare il sentimento di colpa
e mutare questo stato di cose offrendo riparazione. Perché ciò accada, la madre deve essere lì, sollecita e
premurosa, durante il periodo di colpa.
Quando tutto procede per il meglio non è la colpa che si avverte, ma è il senso di responsabilità che si
sviluppa. Il senso di colpa rimane latente, per riapparire quando manca la riparazione nei confronti della
distruzione. Le difficoltà in questo campo, associate con la repressione di dolorosi conflitti, conducono alle
varie manifestazioni nevrotiche e ai disturbi del temperamento. Esaminando invece il contenuto degli stati
ineccitati, ci avvicineremo molto di più allo studio della psicosi.

SVILUPPO INDIPENDENTEMENTE DAGLI ECCITAMENTI


In modo graduale, il bambino comincia a sentirsi abitatore di ciò che noi senza sforzo riconosciamo essere
il suo proprio corpo. Inoltre, riscontriamo lo sviluppo di una capacità di stabilire un rapporto con la realtà
esterna. Questa prova è complessa e difficile. Il mondo percepito oggettivamente non è mai eguale a
quello concepito, cioè a quello visto soggettivamente. Con il suo attivo adattamento, la madre sovrappone
fin dall’inizio la realtà esterna a quella concepita dal bambino, assolve questa funzione in modo
rispondente e con sufficiente frequenza.
In secondo luogo, se l’ambiente si comporta in modo appropriato, il bambino ha buone possibilità di
conservare il senso della continuità del suo esistere. In questi casi, l’individuo acquista una stabilità che non
può essere ottenuta in nessun altro modo.
Se la realtà esterna è stata presentata al bambino poco a poco proporzionatamente alla sua
comprensione, questi può crescere in modo da diventare capace di avvicinarsi con spirito scientifico al
mondo dei fenomeni. Se ciò si verifica con successo, dobbiamo essere grati ai genitori premurosi e a tutti
coloro che si sono via via succeduti nella cura e nell’educazione del bambino.

4. SULLA SICUREZZA

È incontestabile che i genitori che si dimostrano troppo premurosi coi loro figli causano in loro angoscia,
così come quelli su cui non c’è da fare affidamento rendono i loro figli smarriti e spauriti. D’altro canto,
sappiamo che i bambini hanno bisogno di sentirsi sicuri.
I bambini avvertono nella sicurezza una sorta di sfida, una sfida a provare di essere capaci di sottrarsi ad
essa. L’idea che la sicurezza è un bene, portata all’estremo, darebbe come conclusione che la prigione sia
un luogo ideale in cui crescere. Ma l’uomo deve vivere libero per poter vivere immaginativamente.
Segno certo di uno sviluppo sano è quando i bambini mostrano di saper fare uso della libertà che viene loro
man mano concessa. Deve formarsi nell’intimo di ogni bambino una fede in qualcosa; qualcosa su cui
possa contare e che resista o che, se offeso, risorga. Cosa porta il fanciullo ad avere fiducia nelle persone
che gli sono intorno e nelle cose? Cosa dà modo di manifestarsi a quella che chiamiamo fiducia in se stessi?
È l’ambiente che fa sì che il fanciullo si sviluppo. In difetto di idonee condizioni ambientali, lo sviluppo
personale del fanciullo non può aver luogo. Inoltre, dato che non esistono due bambini esattamente uguali,
è necessario che ci adattiamo ai bisogni specifici di ogni singolo fanciullo. Quindi, chiunque si prenda cura
di un fanciullo deve conoscerlo e lavorare sulla base di un vivo rapporto personale con lui. Con la nostra
presenza, con l’essere autenticamente noi stessi, procuriamo una stabilità che non è rigida, ma viva e
umana. Ciò fa sì che il bambino si senta sicuro.

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I bambini molto piccoli sono assolutamente dipendenti dalle nostre cure e non sono in grado di far nulla da
sé. Essi hanno bisogno che i loro impulsi siano soddisfatti e hanno bisogno di noi per dare un significato alla
loro spontaneità. Quando la madre riesce ad assolvere questo compito iniziale, il risultato sarà un bambino
le cui difficoltà non sono rappresentate dagli urti del mondo, bensì dalla vita stessa e dal conflitto che si
accompagna al sentimento della vita. Nelle circostanze più favorevoli, nella sicurezza data da
un’equilibrata sollecitudine, il bambino comincia a vivere una propria vita individuale.
Il bambino che ha conosciuto la sicurezza in questo primo stadio di vita comincia a possedere la certezza
che non verrà abbandonato.
Il problema è che cosa accade quando nel bambino si è instaurato un senso di sicurezza. Ne segue una
lunga lotta contro la sicurezza data dall’ambiente. La madre, dopo l’iniziale periodo di protezione, lascia
gradualmente che il bambino si slanci in nuove occasioni di libera espressione. Questa lotta contro la
sicurezza e i controlli accompagna tutta l’infanzia; eppure, i controlli continuano ad essere necessari.
I genitori continuano ad essere pronti con la loro disciplina, ma nella misura in cui conoscono i loro figli e
nella misura in cui si preoccupano dell’evoluzione della loro individualità, essi accolgono la sfida con
piacere. Continuano a funzionare come custodi dell’ordine, ma attendono l’atto di arbitrio e la rivolta.
In condizioni di buona salute, col tempo, i bambini diventano capaci di conservare un senso di sicurezza
anche di fronte all’evidente insicurezza, ad esempio quando uno dei genitori è malato o quando la famiglia,
per una ragione o un’altra, si disgrega.

IL BISOGNO DI METTERE ALLA PROVA LE MISURE DI SICUREZZA


I figli sentono il bisogno di continuare a controllare se essi possano ancora fare affidamento sui loro
genitori, e questa prova può protrarsi fino a che essi stessi non diventino genitori e anche dopo.
È tratto caratteristico proprio degli adolescenti di mettere alla prova tutte le misure di sicurezza e tutte le
regole e le discipline. Essi portano con sé un senso di sicurezza che viene costantemente rafforzato dalle
prove che essi compiono sui loro genitori, sugli insegnanti e su qualsiasi persona in cui si imbattono.
Sono soprattutto gli adolescenti a compiere queste prove, sembra perché essi si trovano a dover far fronte
a nuovi e violenti sentimenti che li spaventano, ed hanno bisogno di constatare che i controlli esterni siano
ancora in opera. Ma allo stesso tempo devono provare di essere capaci di infrangere quelle barriere e
affermare la propria personalità. I ragazzi sani hanno bisogno di qualcuno che li disciplini, ma le regole
devono essere imposte da persone che siano in grado di essere amate e odiate.
Col tempo, questo sviluppo porta il fanciullo o l’adolescente ad un senso adulto di responsabilità;
responsabilità che mira soprattutto a predisporre condizioni di sicurezza per i bambini della nuova
generazione.
Quindi, buone condizioni nei primi stadi conducono al senso di sicurezza; il senso di sicurezza conduce
all’auto-controllo, e quando l’auto-controllo diventa realtà, allora la sicurezza imposta dal di fuori diventa
un insulto.

5. IL BAMBINO DI CINQUE ANNI


Ci sono caratteristiche peculiari dell’età di cinque anni che dovrebbero spingerci a non ridurre la nostra
attenzione nei riguardi della sicurezza delle condizioni ambientali.
I genitori osservano lo sviluppo dei loro bambini e ne rimangono meravigliati. Tutto è lento, eppure nello
stesso tempo tutto accade velocemente. Ci troviamo di fronte a un’interessante contraddizione. Allorché i
genitori vedono le cose dal punto di vista del bambino, il tempo rimane quasi immobile. Appena si ritorna a
prendere l’esperienza di adulti, ci rendiamo conto che cinque anni sono quasi nulla.
Ciò ha un curioso effetto sul rapporto tra ciò che ricordano i genitori e ciò che ricorda il bambino. Egli
ricorda alcune cose remote, specialmente se ne sente parlare. Egli è diventato più consapevole di se stesso
e del tempo presente, e contemporaneamente ha cominciato a dimenticare. Egli ora ha un passato.
Potremmo dire che egli sta uscendo da un luogo recintato. Non è facile per lui tornare di nuovo dentro o
avvertire che è di nuovo dentro, a meno che non sia stanco o malato, allora il recinto è di nuovo ricostituito
a suo beneficio.

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Questo recinto era rappresentato dalla madre e dal padre, dalla famiglia, dalla casa. Ed era inoltre in
rapporto con la sua immaturità, con la sua dipendenza dai genitori. Questo recinto fu un naturale
prolungamento delle braccia della madre che lo circondarono quando era piccolo. E dal momento che i
bambini non sono uguali fra loro, la madre si rende conto di aver creato un recinto diverso per ciascuno di
essi, e che da questo recinto il bambino viene ora fuori, pronto per un nuovo tipo di recinto. In altre parole,
per il bambino è giunto il momento di andare a scuola.
Naturalmente i genitori avranno già provveduto ad accelerare tale processo servendosi di un asilo infantile.

LA SCUOLA ELEMENTARE A CINQUE ANNI


L’asilo infantile non è molto dissimile dalla casa; esso è ancora un ambiente specializzato.
La scuola elementare, più o meno buona che sia, non offrirà mai quella capacità di adattamento e la
specializzazione proprie dell’asilo infantile, tranne forse all’inizio. Il fanciullo dovrà compiere uno sforzo di
adattamento, dovrà adeguarsi a ciò che è richiesto agli alunni in una scuola.
A questo punto sorgono delle difficoltà, dato che i cambiamenti ambientali devono essere adattati alle
modificazioni che si stanno verificando nel ragazzo in dipendenza del suo sviluppo. I genitori apprendono a
conoscere il loro bambino, e ne parlano con gli insegnanti che sono pratici di tutto ciò.
L’uscire fuori dal recinto è molto eccitante e terrorizzante; una volta fuori, è terribile per il bambino non
essere in grado di tornare indietro. La vita è tutta una serie di uscite da recinti e di rischi da affrontare e di
incontri di nuove sfide.
Alcuni bambini hanno delle difficoltà particolari che li rendono incapaci di fare nuovi passi, e i genitori
possono aver bisogno di aiuto se il tempo non vi pone rimedio o se vi sono altri indizi di malattia.
Può anche darsi che la stessa madre, anche la migliore, si comporti in modo errato quando il bambino si
ritrae indietro. Alcune madri agiscono su due piani: su un piano, esse desiderano solo che i loro bambini
crescano e vadano incontro al mondo; sull’altro piano, esse non riescono a concepire di lasciare andar via il
proprio bambino. In questo piano più profondo, la madre non riesce a disfarsi della sua funzione di madre.
Il bambino intuisce ciò molto facilmente. Benché felice a scuola, egli torna ansimante a casa e grida ogni
mattina perché non vuole varcare la soglia della scuola. Egli è addolorato per la sua mamma perché sa che
essa non può sopportare di perderlo e che è incapace di lasciarlo andare.
Molte persone, incluse le migliori, soffrono di temporanei e talvolta continui stati di lieve depressione. La
vivacità di un bambino nella casa è sempre stata un buon tonico. Quando giunge il momento in cui il
bambino deve andare a scuola, la madre teme il vuoto della sua casa e di se stessa, la minaccia di un senso
di personale sconfitta che può spingerla a cercare un interesse sostitutivo. Al ritorno del bambino, se è
intervenuta una nuova preoccupazione, egli dovrà riconquistarsi il suo posto nel centro d’interesse della
madre. La conseguenza comune è che il bambino finisca per diventare un caso di “rifiuto della scuola”.
Può anche darsi che sia il padre a complicare in qualche modo la cosa, così che il bambino desidera la
scuola ma non riesce ad andarvi o a restarvi.
Madri come queste possono trovare sollievo nel sapere che cose del genere sono molto comuni. Tale
madre può essere contenta della sensibilità del figlio nei confronti dei sentimenti di lei e degli altri e
dispiacente che la sua inespressa ansietà possa rattristare il bambino a causa sua.
La madre può aver sperimentato questa difficoltà in cui si trova il bambino in un’epoca anteriore, ad
esempio potrebbe aver avuto difficoltà a svezzarlo. In questi stadi ella veniva a trovarsi sotto la minaccia di
perdere la dipendenza del figlio da lei.
Esiste una strettissima relazione tra questo stato d’animo vagamente depressivo e la capacità della donna
di dare al figlio la sua completa sollecitudine. La maggior parte delle donne vivono proprio sulla linea di
confine tra l’apprensione e l’inquietudine.
Le madri devono attraversare ogni sorta di pene, ed è un bene quando i neonati e i bambini non le debbano
condividere.
Il neonato inizia con un magico controllo dell’ambiente, se riceve bastanti attenzioni, e crea il mondo dal
nuovo. All’età di cinque anni, il bambino è diventato capace di vedere la madre quasi come essa è in realtà.

ULTERIORI COMPLICAZIONI
A questa età la vita può influenzare il bambino in tanti altri modi.

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Molto probabilmente il bambino si abituerà a qualche oggetto particolare. Questo è diventato essenziale
per lui per la prima volta prima o dopo il primo compleanno e soprattutto nei momenti di transizione come
quello dal sonno alla veglia. Esso è immensamente importante. Questo oggetto, infatti, collega il bambino
alla realtà esterna o partecipata. È parte sia del bambino che della madre. Un bimbo può non adoperarlo
durante il giorno, mentre un altro può portarselo dietro dappertutto. A cinque anni, il bisogno di tale
oggetto può non essere cessato, ma molte altre cose possono prendere il suo posto.
Possono sorgere delle complicazioni quando il bambino va a scuola: il maestro dovrà procedere con
delicatezza, e non bandire in modo assoluto dalla classe questo oggetto subito. Questo problema si risolve
da sé, quasi sempre, in poche settimane.
Se le ansietà che nascono dall’andare a scuola si risolvono da sole, allora il bambino sarà capace di
rinunciare a portare questo oggetto con sé, e al suo posto porterà magari un’automobilina o una piccola
bambola. In genere i bambini abbandonano questi oggetti appena acquistano sicurezza.
Ci si aspetta che essi mostrino ansietà riguardo a tutto ciò che li allontana dall’essere parte e possesso della
madre e della casa. L’ansietà può manifestarsi come un ritorno ai modelli infantili. Questi diventano una
specie di intima psicoterapia, la quale conserva la sua efficacia poiché la madre è viva e a disposizione e
poiché essa fornisce continuamente un legame tra il presente e le esperienze infantili del bambino.

POST SCRIPTUM
I bambini hanno tendenza a sentirsi sleali se prendono diletto della scuola e provano gioia nel dimenticare
la madre per poche ore. In tal modo sentono una vaga ansietà quando si avvicinano a casa, oppure
ritardano il loro rientro senza sapere perché. La madre che per qualche ragione è arrabbiata con il proprio
bambino, non dovrebbe scegliere il momento del suo ritorno da scuola per manifestare la propria collera.

6. FATTORI INTEGRATIVI E DISTRUTTIVI NELLA VITA DELLA FAMIGLIA

La famiglia conserva sempre la sua importanza ed è responsabile di gran parte del nostro viaggiare. La
famiglia ha una sua propria crescita e ciascun bambino partecipa ai cambiamenti relativi al graduale
ampliarsi della famiglia e alle sue difficoltà. La famiglia protegge il bambino dal mondo. In modo graduale,
il mondo comincia a filtrare dentro: gli zii, i vicini, la scuola. Questa infiltrazione dell’ambiente circostante è
il miglior modo in cui il bambino possa venire a confronto col più vasto mondo, e ricalca esattamente lo
schema in base a cui il neonato è immesso nella realtà esterna ad opera della madre.

TENDENZE POSITIVE NEI GENITORI


Dopo il matrimonio, se i figli arrivano immediatamente, può darsi benissimo che essi non siano bene
accetti poiché la giovane coppia non ha ancora superato quella fase iniziale in cui l’uno rappresenta tutto
per l’altro. Conosciamo casi in cui il primo figlio spezza con la sua nascita il rapporto fra madre e padre e ne
soffre le conseguenze, come capita spesso di avvicinare famiglie in cui i bambini non arrivano.
L’esistenza della famiglia e il mantenimento di un’atmosfera familiare dipendono dai rapporti fra i genitori
nell’ambiente sociale in cui vivono. Il contributo che essi possono dare all’edificazione della famiglia
dipende in gran parte dal loro generale rapporto con il più ampio cerchio che li circonda.
Tuttavia, i genitori non possono essere considerati esclusivamente nel loro rapporto con la società. Ci sono
potenti forze inerenti al loro stesso rapporto che creano e plasmano la famiglia. Queste forze
appartengono alla fantasia molto complessa del sesso. Il sesso non è solo una questione di soddisfazione
fisica; rappresenta un compimento dello sviluppo emotivo individuale. Quando tali soddisfazioni
provengono da rapporti piacevoli dal punto di vista personale e sociale, esse rappresentano il vertice di
salute mentale. Al contrario, disordini nel campo sessuale sono associati con ogni genere di disordini
neurotici. Tuttavia, benché il potere sessuale sia vitalmente importante, la completa soddisfazione non è in
se stessa un fine quando si prende in considerazione il fatto della famiglia. Talune persone hanno scarsa
capacità al godimento sessuale. Ciononostante, è indubbiamente una fruttuosissima esperienza per tutti
gli interessati quando i genitori sono in grado di godere senza difficoltà della maturità emotiva individuale.
Soffermiamoci a considerare ciò che Winnicott definisce la fantasia del sesso.

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La totale fantasia del sesso, conscia o inconscia, è variabile in modo pressocché infinito. È importante
comprendere il senso di inquietudine e di colpa che nasce dagli elementi distruttivi (in larga misura
inconsci) che si accompagnano all’impulso amoroso quando questo si esprime fisicamente. Tale senso
d’inquietudine contribuisce fortemente al bisogno, nei genitori, di formare una famiglia.
Le ansietà reali del padre al momento del parto della moglie riflettono più chiaramente di qualsiasi altra
cosa le ansietà della fantasia del sesso e non solo della realtà fisica. Gran parte della gioia che il bambino
reca nella vita dei genitori si fonda sul fatto che egli ha in sé qualcosa che lo spinge a vivere
indipendentemente dall’essere tenuto in vita. D’ora innanzi, il bimbo vero si contrappone a tutte le
fantasie di bene e di male.
Non è possibile comprendere l’atteggiamento dei genitori verso i loro figli se non si tiene conto del
significato che ciascun figlio acquista nella fantasia, conscia o inconscia, dei genitori nei confronti dell’atto
che produce il concepimento. I genitori si comportano in modo diverso nei confronti di ciascun figlio. Molto
dipende dal rapporto fra i genitori al momento del concepimento, durante la gestazione, al momento della
nascita e dopo. Si sente dire che è strano che i figli possano essere così diversi l’uno dall’altro pur avendo gli
stessi genitori ed essendo cresciuti nello stesso ambiente. Non si tiene conto dell’intera elaborazione
immaginativa dell’importante funzione del sesso, e del modo con cui ciascun figlio si colloca in modo
specifico o non riesce a collocarsi in una certa situazione immaginativa ed emotiva; situazione che non può
mai essere due volte la stessa.
I due genitori hanno bisogno di figli reali per lo sviluppo dei loro rapporti reciproci. Non basta dire che i
genitori amano i propri figli. Essi spesso riescono ad amarli. Ma i bambini hanno più bisogno di «avere dei
genitori» che di essere amati; hanno bisogno di qualcosa che permetta loro di superare i momenti in cui
sono odiati e perfino si rendono odiosi.

FATTORI DISTRUTTIVI DERIVANTI DAI GENITORI


È utile tener presente che i genitori non sono di necessità completamente maturi perché sono giunti al
matrimonio e hanno formato una famiglia. L’adulto ha grande difficoltà a crescere se non getta via quanto
ha conseguito nei primi stadi del suo sviluppo. Uomini e donne hanno ancora molto da crescere nei
decenni successivi al matrimonio se si sposano presto. Sposarsi da giovani è la cosa migliore per la
costituzione di una famiglia. I figli vengono su meglio con genitori non troppo saggi; tali genitori
apprendono dai loro figli.
Tuttavia, non possiamo aspettarci che ogni uomo e donna aspetti a sposarsi finché non sia realizzato. È
vero che nella maggioranza dei casi questi hanno bisogno di stabilire una piattaforma (come sposarsi e
avere una famiglia) per poter finalmente compiere un ulteriore sviluppo personale. Essi sono spesso
propensi ad attendere un certo numero di anni, mentre i figli hanno bisogno di loro, prima di compiere un
nuovo passo in avanti. A volte c’è un periodo di grande tensione prima che finalmente i genitori, o uno di
essi, possano ricominciare una nuova fase di sviluppo.
È in realtà molto difficile raggiungere un pieno sviluppo durante l’adolescenza. Molti ragazzi possono
attraversare la loro adolescenza in modo piuttosto inibito. L’adolescenza è essenzialmente una fase
difficile, un miscuglio di dipendenza e di sfida, una fase che passa via via che si diventa adulti.
Gran parte di ciò che viene a complicare la vita della famiglia è rappresentato dal comportamento dei
genitori quando viene meno la loro capacità di sacrificare tutto per i loro figli. Nella grande maggioranza
dei casi i genitori sono abbastanza maturi per farlo, come i loro genitori hanno fatto per essi, in modo che i
figli possano non solo nascere in una famiglia, ma anche crescere e raggiungere l’adolescenza in essa, e
ciascuno di loro possa proseguire nell’ambito di questa fino al proseguimento di una vita indipendente. Ma
ciò non è sempre possibile.
Nel matrimonio sopravvengono delle difficoltà, e i figli devono allora essere capaci di adattarsi alla
dissoluzione della famiglia. A volte può accadere ai genitori di vedere i loro figli accedere ad una
soddisfacente indipendenza adulta nonostante essi abbiano rotto l’impalcatura familiare.
Naturalmente, in un certo numero di casi, giovani sposi evitano deliberatamente di avere figli, essendo
consapevoli che questa è ancora una situazione instabile, e sapendo di dover fare ulteriori esperienze
prima di essere in grado di fondare una famiglia che alla fine hanno intenzione di formare.

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TENDENZE POSITIVE NEI FIGLI
Considerando i fattori integrativi e distruttivi nei confronti della famiglia derivanti dai figli, bisogna tener
presente che ogni genitore è stato ed è tuttora figlio.
L’integrazione della famiglia dipende dalla tendenza integrativa di ogni singolo figlio, che non è da dare
per scontata, poiché è una questione di sviluppo emotivo.
In condizioni normalmente favorevoli, il neonato è in grado di manifestare un’innata tendenza verso
l’integrazione che è parte del processo di crescita. Tale processo deve aver luogo per ogni figlio. Se le
condizioni sono favorevoli nei primi stadi di grande dipendenza, e l’integrazione della personalità si attua,
essa influisce sull’ambiente. Questo bambino contribuisce alla situazione familiare.
Questo contributo da parte di ciascun figlio può passare inosservato finché non si sperimenta lo shock di
un figlio malato o anormale, che per una ragione o per un’altra non dia tale contributo. Quando questo
contributo manca, i genitori sono gravati di un compito che non è naturale: devono provvedere una
impalcatura familiare, sforzarsi di tenere in piedi una famiglia e un’atmosfera familiare nonostante non ci
sia aiuto da trarre da quello specifico figlio.
Ogni singolo figlio, attraverso un sano sviluppo emotivo e un soddisfacente sviluppo della sua personalità,
promuove la famiglia e l’ambiente familiare. Non è solo una semplice questione di amabilità da parte del
bambino. Il bambino lusinga i genitori con la sua fiducia nella loro attendibilità e disponibilità, cui i genitori
in parte rispondono, perché sono capaci di identificarsi con loro. Questa capacità di identificazione dipende
dall’aver compiuto loro stessi, all’età dei figli, un soddisfacente sviluppo della propria personalità.
Spesso i genitori sono capaci di soddisfare le aspettative dei loro figli in modo migliore e in misura
maggiore di quello da essi sperimentato coi loro genitori. Ciò è, tuttavia, pericoloso, poiché quando ciò
accade, inevitabilmente cominciano a risentire della propria bontà, cosicché tendono a sciupare ciò che
fanno tanto bene.

FATTORI DISTRUTTIVI DERIVANTI DAI FIGLI


In determinate malattie psichiche dei bambini vi sono tendenze di natura secondaria che si sviluppano e si
manifestano sotto forma di un attivo bisogno da parte del bambino di rompere ogni cosa che sia buona,
stabile, sicura, di un qualunque valore. L’esempio più rilevante è la tendenza antisociale del bambino
deprivato che è altamente distruttivo nei confronti della vita della famiglia. La famiglia è costantemente
messa alla prova e, una volta riconosciuta come degna di fiducia, diventa il bersaglio degli impulsi
distruttivi del bambino. Inconsciamente, egli è in cerca di qualcosa di buono che ha perduto in uno stadio
anteriore e con cui è arrabbiato perché se ne andò.

ULTERIORI SVILUPPI DEI DUE TEMI


Vi sono molte famiglie che restano intatte se i figli sviluppano bene, ma che non reggono alla presenza di
un figlio malato.
Nel valutare se un bambino debba essere sottoposto a trattamento psicoterapico, ci troviamo a dover
tener conto non solo della diagnosi della malattia e della eventuale disponibilità di uno psicoterapista, ma
anche della capacità della famiglia a sostenere (hold) il bimbo malato e a sopportarne la malattia per tutto
il periodo di tempo precedente al momento in cui la psicoterapia comincia a dare risultati.
Mentre molte famiglie sono capaci di farlo, altre ne sono incapaci, e si è allora costretti a sistemare il
bambino lontano dalla famiglia.
In molti casi, genitori capaci di crescere figli sani e di offrire loro una buona impalcatura familiare, ad un
certo punto scoprono di avere un bambino malato, ansioso o soggetto a disordini psicosomatici o a
depressioni, o un bimbo disintegrato nella personalità, oppure antisociale.
Tali questioni sono ricordate solo allo scopo di illuminare il tema centrale: c’è qualcosa nel sano sviluppo di
ogni singolo bambino che sta alla base dell’integrazione del gruppo familiare.
Il bimbo, naturalmente, non può produrre questa famiglia per magia, senza i genitori e senza la volontà dei
genitori che nasce dal loro proprio rapporto. Tuttavia, ogni neonato e ogni bambino crea la famiglia.
La forza della famiglia proviene dal fatto di essere un punto d’incontro fra qualcosa che sorge dal rapporto
padre-madre e da quella che Winnicott definisce tendenza all’integrazione.

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7. GLI EFFETTI SULLA FAMIGLIA DELLA MALATTIA DEPRESSIVA NEI GENITORI

Quando siamo chiamati a intervenire in situazioni in cui è chiaro che la dinamica familiare ha ceduto, noi ci
sforziamo di individuare i fattori che sono alla base delle difficoltà che dobbiamo affrontare.

QUALIFICAZIONE DEL DISORDINE PSICHICO


L’infermità psichica può essere distinta in due tipi: psiconeurosi e psicosi.
La psicosi ha a che fare con la pazzia e con un elemento di pazzia nascosto nella personalità. La
psiconeurosi prende forma dalle difese organizzate nell’integra personalità individuale, che si difende e
deve affrontare l’ansietà che sorge dalla fantasia o da reali rapporti interpersonali. Il disordine
psiconeurotico nel padre o nella madre complica la crescita del bambino, ma la psicosi in uno di essi
minaccia il suo sano sviluppo.
Con il termine psicosi, Winnicott si riferisce a quei cambiamenti che si verificano nella personalità
dell’individuo di fronte ad una tensione troppo forte perché egli possa affrontarla per mezzo degli ordinari
meccanismi di difesa.
La depressione è un disordine dell’affettività o dell’emotività. Winnicott ne indica due particolari stadi:
1. Uno è la personalità psicopatica, che riguarda principalmente i padri. Lo psicopatico è un adulto che
non è guarito dalla delinquenza infantile. Tale delinquenza fu in origine una tendenza antisociale del
bambino deprivato. La deprivazione riguardava la perdita di qualcosa di buono; la tendenza antisociale
significò allora una spinta compulsiva a far riparare alla realtà esterna il trauma originario. Nello
psicotico, questa compulsione a forzare la realtà esterna a pagare per il suo essere venuto meno
continua.
2. L’altro è la piega concernente manie di persecuzione o sospettosità. Questa tendenza è una
complicazione della depressione che va di pari passo col senso di colpa caratteristico del melanconico e
del depresso. Coloro che soffrono di tale infermità oscillano fra il sentirsi malvagi e il sentirsi
maltrattati in modo folle e insano.
In ambedue i casi lo psicoanalista può trovarsi nelle condizioni di non poter fare nulla per curarli. C’è
speranza maggiore quando la depressione non è complicata dalle manie di persecuzione, poiché in questi
casi l’individuo mostra qualche flessibilità.

DEPRESSIONE NELLA MADRE O NEL PADRE


Ad un estremo della scala troviamo la malinconia, all’altro la depressione. I melanconici si sentono
responsabili di tutti i mali del mondo, in modo particolare di quelli che non hanno palesemente alcun
rapporto con loro. I depressi sono uomini responsabili, che accettano le realtà del loro odio, delle loro
miserie, della loro crudeltà. Se la osserviamo da questo punto di vista, ci accorgiamo che sono gli uomini
veramente utili al mondo che cedono alla depressione, inclusi i padri e le madri di famiglia.
Winnicott ebbe l’opportunità di osservare la depressione di molti genitori. Migliaia di madri, i cui bambini
erano affetti da ogni specie di disordini, fisici o psichici, frequentavano la clinica dove egli lavorava. Si
accorse che spesso il bambino non è affatto malato, ma è la madre ad essere preoccupata per il figlio. È
importante per le madri poter portare i loro figli dal dottore quando esse si sentono depresse.
Naturalmente, potrebbero confessare apertamente la loro depressione. Nel trattare la depressione quindi,
Winnicott si riferisce non solo ad una grave infermità mentale, ma anche ad un fenomeno che è quasi
universale tra le persone sane e che è strettamente connesso alla loro capacità, quando non sono
depresse, di operare costruttivamente. In questo operare rientra la preservazione di una famiglia, la quale
può trovarsi in pericolo quando il marito o la moglie sono depressi.

I LIMITI DEI NOSTRI DOVERI NELL’AMBITO DELL’ASSISTENZA SOCIALE


In molti casi è possibile avere ragione della depressione di una madre prendendo in esame l’oggetto della
sua preoccupazione e occupandosi di questa.
È importante ricordare che quando si riscontra infermità psichiatrica nei genitori, se noi siamo considerati
come alleati della famiglia, dobbiamo essere pronti a porci “dalla parte della casa” contro l’autorità e
qualsiasi ente ostile per il padre e la madre.

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In genere le persone trovano il modo di aggirare le piccole difficoltà, ma è più che frequente il caso in cui un
insuccesso metta in azione una depressione latente.
È chiaro che il lavoro dello psicoanalista non si esaurisce in questo risolvere le difficoltà che si presentano.
Anche se il successo di un giorno significa speranza, basta una piccola avversità perché esse sentano
incombere di nuovo la minaccia di uno stato di completo caos, dal quale sembra non esserci alcuna
possibilità di recupero.

TERAPIA E ASSISTENZA SOCIALE


Nelle cliniche psichiatriche ciò che angustia l’infermiere psichiatrico è la difficoltà di conseguire dei risultati
positivi. Lo sforzo che l’infermiere psichiatrico deve compiere consiste nell’accettare l’insuccesso come
parte integrante del suo lavoro. A noi psicoterapeuti si offre spesso la possibilità di riuscire. Tuttavia, anche
noi dobbiamo rassegnarci, nel nostro lavoro, alla possibilità di trovarci di fronte a casi gravi ed accettare la
sconfitta, e naturalmente apprendere ad aspettare prima di poter essere certi di aver ottenuto un risultato.
Qual è la differenza tra il caso senza speranza da ospedale psichiatrico e la depressione in cui siamo in
grado di intervenire con probabilità di riuscita? La melanconica ricoverata in ospedale prova un illimitato
senso di colpa, soffre e continua a soffrire. I casi più promettenti sono invece quelli in cui la donna in stato
di depressione abbia a riguardo una qualche ragione. Ciò ci offre modo di intervenire.
Quando la depressione di una madre si manifesta nella forma di un’apprensione o di una confusione, ci è
offerto un modo di trattare la depressione affrontando questa apprensione o confusione. Con questi mezzi
di solito non risolviamo la depressione: dobbiamo essere consapevoli che il disturbo è rappresentato dalla
depressione e non dalla presente preoccupazione.

ESEMPI CLINICI
«Una ragazza venne da me per un trattamento analitico. Recentemente c’è stata una ricaduta. Tutto è
dipeso dal riscaldamento del suo nuovo appartamento. Essa aveva cercato di risparmiare facendo riparare
il vecchio impianto ed ora deve far fronte all’acquisto di uno nuovo. Come avrebbe potuto mai guadagnare
abbastanza per vivere? Essa singhiozzò durante tutta la seduta.
Quando tornò a casa qualcuno aveva risolto il problema e inoltre le aveva inviato del denaro. Per noi è
interessante il fatto che la sua depressione si attenuò durante il suo ritorno a casa, prima ancora che
trovasse la stufa avuta in dono e il denaro. Le era rimasto solo un lieve dubbio a proposito dell’essere in
grado di guadagnarsi di vivere: ed io avevo condiviso la sua fase di disperazione.»
Secondo Winnicott la nostra azione dà dei frutti se teniamo presente il grave peso di depressione che deve
risolversi nell’intimo della persona depressa, mentre noi cerchiamo di facilitare la risoluzione dei suoi
occasionali problemi immediati.

«Un’ottima famiglia con una salda tradizione familiare, circondata da ogni agio materiale, mi consulta
come medico, poiché i genitori si sono accorti che uno dei due ragazzi sta sviluppando in modo sbagliato.
Dopo aver visitato più volte ambedue i ragazzi, a poco a poco mi resi conto che era necessario affidarli ad
altra persona diversa dalla madre. Essa era alle prese con la propria depressione; stava sottoponendosi a
terapia, ma il mio trattamento di questi ragazzi la lasciò con una terribile sensazione di essere una persona
fallita. L’aver dovuto permettere che altri si prendessero cura dei suoi due ragazzi fu per lei un trauma.
Allora la sua apprensione si rivolse alla figlia che è assolutamente normale. Essa mi chiede di occuparmi di
lei. Qualsiasi dubbio avessi manifestato, sarebbe stato subito interpretato da questa madre come una
conferma delle sue ansietà di essere in realtà una persona inutile. Essa è invece un’ottima persona.»

«Un mio collega chirurgo un giorno mi chiede di visitare i suoi figli poiché gli sembrava che mostrassero
una quantità di sintomi. Trovai una sana vita familiare, con frequente tensione tra i genitori ma una
sufficiente stabilità. Fui sul punto di non afferrare l’elemento essenziale di questo caso, rappresentato dalla
depressione del padre che andava assumendo la forma di dubbio sulle sue capacità di marito e di padre. Gli
dissi che i bambini erano normali. Il suo sollievo fu eccezionale e duraturo. Avrei provocato un disastro se,
resomi conto delle ansietà e delle difficoltà che tormentavano la vita di quei bambini e i rapporti tra i
genitori, avessi cominciato col tentare di risolverle.»

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«Tale caso riguarda una donna particolarmente brillante in campo intellettuale che avrebbe potuto
occupare un posto di grande responsabilità nel settore dell’educazione. Essa preferì, tuttavia, maritarsi. Ha
cresciuto tre figli ed ha otto nipotini. Si può dire che la sua vita è riuscita in modo notevole specie per
quanto riguarda l’educazione dei figli e la formazione di una famiglia. Essa è stata capace di sopportare la
morte prematura del marito. Questa donna è colta ogni mattina da una gravissima forma di depressione,
cosa che è stata un tratto costante di tutta la sua vita. Dal momento in cui si sveglia finché non ha fatto
colazione e non si è data un aspetto accettabile per il mondo, si trova in uno stato di estrema depressione
che non solo la porta a piangere, ma talvolta le fa anche correre il rischio di un impulso suicida.
Tra la sveglia e la colazione, essa è tanto malata quanto molti malinconici ricoverati in ospedali psichiatrici.
Nondimeno, nel suo caso la depressione è stata un fenomeno controllato, sopportato principalmente da
lei.»

Queste persone alquanto più normali soggette a depressioni hanno di solito amici che conoscono il loro
stato, e sono quindi in grado di offrir loro il sostegno di cui hanno bisogno. Ma alcuni individui hanno
difficoltà a procurarsi amicizie, e quando sopravviene questa complicazione si rende necessario il nostro
intervento per dare, seppure in forma professionale, quello stesso genere di aiuto che darebbe un amico.
La medesima diffidenza che rende difficili le amicizie interferirà con la loro capacità di trarre profitto dal
nostro aiuto professionale; oppure ci può accadere di essere accettati come amici e idealizzati al punto che
per tutto il tempo ci toccherà sentire denigrare altre persone. Si tratta di un sistema paranoide nel quale
noi siamo capitati dalla parte giusta rispetto alla linea di separazione tra il buono e il cattivo.

PSICOLOGIA DELLA DEPRESSIONE


Esistono vari tipi di depressione:
 Grave melanconia
 Depressione che si alterna a mania
 Depressione che si manifesta come rifiuto della depressione (stato ipomaniacale)
 Depressione cronica, con maggiore o minore ansietà paranoide
 Fasi di depressione in persone normali
 Depressione reattiva, connessa al lutto (mourning)
Tutti questi stati clinici hanno caratteristiche comuni. Il fatto più importante è che la depressione indica
che l’individuo accetta gli elementi aggressivi e distruttivi insiti nella natura umana. Il che significa che la
persona depressa ha capacità di sopportare una determinata dose di colpa e quindi la possibilità di trovare
un’opportunità per un’attività costruttiva.
La depressione è prova di progresso e di salute nello sviluppo emotivo dell’individuo. Quando le primissime
tappe dello sviluppo emotivo non sono compiute in maniera soddisfacente, l’individuo non giunge al punto
di sentirsi depresso.
È essenziale ricordare che, essendoci della salute là dove c’è depressione, questa tende a curarsi da sé, e
che spesso un piccolo intervento dall’esterno può essere determinante a questo riguardo. La condizione di
questo aiuto è l’accettazione della depressione.

8. L’EFFETTO DELLA PSICOSI SULLA VITA DELLA FAMIGLIA

Pur avendo, in alcuni casi, un fondamento fisico, la psicosi è una malattia di natura psicologica, la quale
non va confusa con la psiconeurosi. Si tratta della malattia di persone che non sono abbastanza sane da
essere psiconeurotiche.
La parola psicosi può essere considerata come un termine di uso comune per indicare la schizofrenia, la
depressione maniacale e la melanconia, con maggiori o mino complicazioni paranoidi. Non c’è una linea
netta tra l’una e l’altra malattia, e si dà spesso il caso di un ossessivo che diviene depresso o confuso, per
tornare poi ad essere ossessivo.
Quale possa essere l’effetto della psicosi sulla vita della famiglia emerge con estrema chiarezza da una
trattazione di casi reali. Chi si occupa di questi problemi sa che molte famiglie si disgregano a causa della
tensione prodotta dalla psicosi di uno dei loro membri, e che la maggior parte di esse rimarrebbero

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probabilmente intatte se potessero essere liberate da tale tensione. Ciò investe un enorme problema
pratico e la necessità di misure preventive, specialmente per quanto riguarda l’organizzazione di
un’assistenza psichiatrica ospedaliera per i bambini.
I problemi presentati dalla psicosi si confondono spesso con quelli derivanti dall’insufficienza mentale
originaria, dai postumi dell’encefalite e dalle varie forme cliniche della tendenza antisociale. Tuttavia, in
questa trattazione la psicosi indicherà specificatamente una perturbazione dello sviluppo emotivo in uno
dei primi stadi.

«Un bimbo nacque da una donna di caratteristiche piuttosto mascoline. Il padre era in tutto e per tutto
dipendente dalla moglie e si assumeva soltanto modeste responsabilità. Nonostante ciò, era in grado di
guadagnarsi un’agiata esistenza col suo lavoro. Il ragazzo dette ben presto segni di essere uno psicotico. Il
disturbo non fu individuato in tempo dato che ogni manifestazione poteva essere interpretata come una
reviviscenza delle caratteristiche che erano state del padre nella sua fanciullezza.
Mentre le specializzazioni del padre erano risultate redditizie, quelle del ragazzo si rivelarono sterili. Ora
egli ha trent’anni. I genitori sono stati costretti ad adattare la loro esistenza ai problemi immediati e al
futuro, e non hanno osato mettere al mondo altri figli. Essi avrebbero potuto sviluppare se stessi e ad età
avanzata avrebbero potuto separarsi e iniziare ciascuno per suo conto una nuova e più matura esperienza
matrimoniale. Ma la presenza della psicosi serrò in una morsa queste due persone coscienziose.»

«Fui consultato a proposito di un ragazzo di 7 anni e mezzo, figlio unico, nato con manifesto danno
endocranico. Egli mostrò molti segni di intelligenza. Divenne capace di leggere a circa 8 anni solo perché
aveva una governante che ritenne di dover riuscire a farlo leggere a qualsiasi costo.
Il ragazzo cominciò a creare problemi ai genitori molto presto. Io suppongo che i suoi genitori non abbiano
mai avuto intenzione di avere un figlio, essi erano impreparati ad averlo. Essi erano completamente presi
dal lavoro e dalla vita sociale. Il loro concetto della vita era avere pochi giorni di intenso lavoro nel mezzo
della settimana, inseriti tra weekend trascorsi all’aria aperta. Ora introducete in una simile esistenza un
ragazzo psicotico che grida tutta la notte, che se la fa sotto, che non sa assolutamente che farsene della
campagna, ha paura dei cani e dei cavalli.
Queste persone dovettero adattarsi nel modo più innaturale a una vita che si addicesse al bambino.
Compirono grandissimi sacrifici per procurargli qualche cura, ma tutto ciò non servì. Il padre morì
prematuramente e la madre è rimasta sola con l’intera responsabilità del ragazzo. Una scuola è venuta in
aiuto e il ragazzo continua a viverci, benché incapace di diventare una persona matura.»

«Un bimbo, figlio di due genitori dotati di grande responsabilità, ad un certo momento, che sembrò
coincidere con la gravidanza della madre, cominciò a manifestare regressi nel suo sviluppo. Si rivelò una
decisa psicosi infantile.
Fu possibile organizzare un trattamento psicoterapico dimostratosi, entro certi limiti, riuscito. I genitori
hanno fatto tutto il possibile per collaborare a questa cura.»
In questo caso specifico, la famiglia fu appena in grado di sopportare la malattia del ragazzo. Il trattamento
coronato da successo di un figlio può risultare traumatico per uno o ambedue i genitori.

«Il direttore di una scuola pubblica aveva un figlio che fu sul punto di far naufragare la sua carriera. Il
ragazzo, l’ultimo di numerosi figli, manifestò uno stato confusionale che persistette rendendo impossibile
la sua ulteriore presenza nel collegio in cui era alloggiato. Egli era totalmente irrequieto e imprevedibile. La
madre sarebbe stata in grado di disciplinare un figlio normale, ma era troppo anziana per potersi occupare
di questo figlio più piccolo, il cui stato non concedeva tregua. Il padre continuò nella sua routine guardando
le cose da lontano.
La famiglia sarebbe andata in pezzi se non fosse stato per una scuola che prese il bambino accettandolo
quale egli era e senza attendersene alcun vantaggio. Questo bambino non era disadattato e non
manifestava alcuna tendenza antisociale, ma si trova spesso in uno stato di confusione o, nel migliore dei
casi, organizzato in più parti dissociate.»

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Casi come questo sono sfortunati perché non si presentano con quella caratteristica della tendenza
antisociale che costringe infine qualche autorità a provvedere. La malattia di un tale ragazzo continua solo
a logorare la struttura familiare. Gli altri figli, in tali famiglie, se ne vanno appena possono.

«Un professore inglese e sua moglie avevano messo su una solida famiglia, e tutto andò per il meglio
finché non sopravvenne una psicosi infantile sviluppatasi su un cretinismo non individuato. Essi non erano
in grado di far fronte a questa infermità della loro bambina. Sfruttando la mia amicizia con un funzionario
dell’assistenza per l’infanzia fu trovata per la bambina una casa putativa (istituzione propria del sistema
assistenziale inglese. Il bimbo negletto è accolto in una famiglia, sotto compenso, che lo custodisce e lo
educa come un figlio, pur senza adottarlo). In questa famiglia la bambina ritardata, che pur tuttavia si
sviluppava, poté essere accolta come convalescente da una malattia. Tale soluzione salvò la famiglia.»
È una cosa consueta che i genitori si sentano colpevoli per la condizione del figlio. Essi non possono fare a
meno di associare la sua condizione come una meritata punizione. I genitori putativi non hanno
preoccupazioni di questo genere, e sono perciò più liberi di accettare il bambino com’è. Comunque, non si
dovrebbe mai permettere che una famiglia si disgreghi a causa della psicosi di uno dei suoi membri.

«Mi fu condotta una bambina di tredici anni, inviata dall’autorità locale che aveva esaurito tutte le sue
risorse. M’incontrai nella sala d’aspetto con una bimba molto sospettosa, accompagnata da un padre
pronto ad assalirmi. Dissi al padre di aspettare fuori e m’intrattenni con la bambina per un’ora.
Mettendomi dalla sua parte, mi fu possibile stabilire con lei un profondo contatto durato per anni. Dovetti
colludere con le se allucinazioni paranoidi, rivestire di fatti riguardanti la famiglia, probabilmente
corrispondenti a verità.
Dopo un’ora mi permise di vedere suo padre, che aveva assunto un’aria di disdegno e si manteneva sulla
difensiva; essendo un’alta personalità nell’amministrazione locale, aveva visto la sua posizione gravemente
compromessa da ciò che la bambina andava dicendo. Era proprio tale posizione politica che rendeva
pressocché impossibile all’autorità locale di agire come avrebbe voluto.
La sola cosa che potei fare fu di dire che la bambina non doveva più tornare a casa. Essa trascorse un anno
o due in una casa diretta da una donna straordinaria. Tuttavia, fu la ragazza che cominciò a tornare a casa,
dove è probabile che esistesse un’inconscia connivenza con la madre, e ben presto i guai ricominciarono.
Più tardi essa si trovava in un riformatorio in compagnia di un bel numero di giovani prostitute, ma non
divenne una prostituta poiché non era una ragazza deprivata con tendenza antisociale. Ma era ancora
acutamente paranoide. Provocò situazioni di gelosia e fuggì. Fu infine mandata in un ricovero per
disadattati e più tardi divenne infermiera. La capo-reparto era soddisfatta del suo lavoro e i pazienti le
volevano bene, ma presto o tardi qualcosa di cui avrebbe dovuto rispondere sarebbe saltata fuori.
Essa sapeva che non avrei potuto far nulla, e alla fine toglieva la comunicazione.»

La malattia psicotica in un genitore spesso ci sconfigge proprio perché la persona malata è investita di
responsabilità. È molto facile che il genitore sano se ne vada per salvare la propria sanità di mente, anche a
costo di lasciare il figlio alla mercé della psicosi dell’altro.
«Tale caso riguarda un ragazzo e una ragazza, fra i quali intercorreva un solo anno di differenza di età.
Erano i due soli figli di due persone molto malate. La madre era assolutamente inadatta ad essere madre,
essendo una schizofrenica latente. A un certo momento, s’era sposata e aveva messo al mondo questi due
bambini allo scopo di socializzarsi nell’ambito della famiglia. Il marito era un maniaco-depressivo, quasi
psicopatico. La madre ebbe un amore contiguo e violento anche se, per quanto ne so, non fisico, per il
figlio, il quale subì nell’adolescenza un episodio schizofrenico. La bambina fu fortemente influenzata da un
profondo attaccamento per il padre, e ciò costituì per lei una scappatoia, sicché solo a quarant’anni e dopo
la morte dei genitori subì il collasso. Nel frattempo, divenne una fortunata donna d’affari, che disprezzava
gli uomini e dimostrava che nel suo lavoro non le mancava nulla.
Il fratello si sposò, ebbe una famiglia, si sbarazzò quindi della moglie. Quando tutto il passato fu cancellato,
questa persona molto malata con una riuscita falsa personalità, si presentò per sottoporsi a trattamento.
Venne per essere messa in grado di affrontare la propria schizofrenia. Essa venne internata e quindi in
breve riuscì a rimettere insieme i pezzi della propria personalità così da essere dichiarata guarita e dimessa.

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Si trattò, dunque, di una psicosi dei genitori che trovò faticosamente la sua via d’uscita attraverso due figli
molto intelligenti.
Il fatto essenziale è che non c’era alcuna possibilità di liberazione per la ragazza fino alla morte dei genitori
e finché non si fosse affermata come unità indipendente. Il prezzo dell’attesa fu tremendo: essa si sentiva
inutile e irreale. È terribile che a volte non ci sia speranza per i figli fino a che i genitori non siano morti. In
questi casi la psicosi è nel genitore, e la sua presa sul figlio è tale che il solo scampo sta nello sviluppo di una
falsa personalità.»
Talvolta, trovandoci di fronte a malattia grave, noi siamo costretti a lasciare le cose come stanno ed
attendere probabilmente fino a che la tensione non mandi in pezzi la famiglia; talvolta è nostro compito
porre fine violenta ad una situazione prima che si deteriori ulteriormente; in altri casi tentiamo di dare un
assestamento alla confusione esistenze. Ma anche troppo spesso non troviamo alcun appiglio alla
speranza, e dovremmo essere in grado allora di accettare questa realtà.

9. GLI EFFETTI DELLA PSICOSI DEI GENITORI SULLO SVILUPPO EMOTIVO DEL BAMBINO

LA STORIA DI ESTHER
Ester è la bambina affiliata da una intelligente coppia della classe media, che ha adottato un bambino e
che alleva ora un’altra bimba affiliata. Il padre ha sempre avuto molta cura di Esther e mostrato una gran
sensibilità nel comprenderla.
Sembra che la mamma biologica di Esther fosse una donna molto intelligente che conosceva parecchie
lingue. Il suo matrimonio fallì, dopo di che essa si unì ad un vagabondo, e da questa unione nacque Esther.
Nei suoi primi mesi di vita la bimba era rimasta con la madre, che aveva risposto pienamente ai suoi
compiti. Allevò personalmente la bambina fin dalla nascita ed è descritta, in un rapporto dall’assistente
sociale, come una donna che idolatrava la figlia. Tuttavia, quando Esther compì cinque mesi, la madre
cominciò ad apparire agitata e assente. Dopo una notte insonne prese a vagare presso un canale,
osservando un ex agente di polizia che stava vangando. Quindi si avvicinò al corso d’acqua e vi gettò la
bambina. Il poliziotto salvò la piccola rimasta incolume, mentre la madre fu detenuta e in seguito schedata
come schizofrenica con tendenze paranoidi. Così Esther fu presa in carico dall’autorità locale, e in seguito
dichiarata “difficile” nell’asilo dove rimase fino ai due anni e mezzo, quando venne accolta nella casa
putativa.
Nei primi mesi, Esther diede molto filo da torcere alla madre putativa. Era solita buttarsi per terra in mezzo
alla strada e mettersi a gridare. Gradualmente la situazione migliorò, però i sintomi riapparvero quando,
verso i tre anni di età, un altro bambino di sei mesi venne accolto in casa. Il bambino venne adottato
mentre lei non lo fu mai. Esther non permetteva che il bambino chiamasse “mamma” la madre sostitutiva
né permetteva ad altri di riferirsi a questa come la madre del bambino. Dapprima manifestò sintomi di
distruttività, poi cambiò atteggiamento e iniziò a proteggere il bambino. Questo cambiamento si verificò
quando la madre sostitutiva le permise di comportarsi come una bambina di sei mesi.
Tuttavia, tra lei e la madre vennero a svilupparsi continui contrasti, i quali si accrebbero dopo che uno
psichiatra consigliò che la bambina, che aveva in quel momento cinque anni, trascorresse un periodo fuori
casa. Il padre, sempre sensibile ai bisogni della figlia, fece in modo di farla tornare. Com’egli riferì, a quel
punto tutta la fiducia della bimba nella casa sostitutiva era morta. Sembrava che l’uomo fosse diventato la
madre della bambina; forse in questo va ricercata l’origine della paranoia che in seguito l’uomo manifestò.
Esther si sviluppò con regolarità, nonostante la grave tensione presente di continuo nei rapporti tra i
genitori putativi. Inoltre, è importante ricordare che la madre ha sempre apertamente preferito il bambino
adottato.

Una madre gravemente inferma com’era la madre biologica di Esther può aver dato alla bambina un inizio
eccezionalmente buono. Secondo Winnicott, Esther aveva goduto di una soddisfacente esperienza di
allattamento e anche di quel sostegno dell’Io di cui il bambino ha bisogno nei primi stadi di sviluppo.
Questa madre si era probabilmente fusa con la sua bambina ad un alto grado. Winnicott supponeva che
essa avesse voluto liberarsi della bambina con la quale si era fusa perché vedeva sorgere davanti a sé una
nuova fase, che si sentiva incapace di affrontare, in cui sarebbe stato inevitabile che la bimba si separasse

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da lei. Profondissime forze sono in azione in un momento come questo, e quando la donna gettò la bimba
nel canale (dopo aver scelto il tempo e il luogo in cui quasi certamente la bambina sarebbe stata salvata)
essa stava dibattendosi in qualche potente conflitto inconscio. Così stando le cose, com’è probabile, la
bimba di cinque mesi può aver perduto, al momento in cui veniva gettata nel canale, una madre ideale.
Al momento in cui la madre putativa comparve, non appena essa cominciò a significare qualcosa, Esther
cominciò a farne l’oggetto di tutto ciò che le era mancato. In questo momento la donna avrebbe avuto
bisogno di qualcuno che le avesse spiegato a cosa prepararsi. Essa si accollò una bambina che aveva
perduto una madre ideale e che aveva avuto una confusa esperienza dai cinque mesi ai due anni e mezzo, e
naturalmente tra lei e la bambina non c’erano quei fondamentali legami che si stabiliscono nel periodo
delle prime cure materne. Essa non riuscì infatti a instaurare un buon rapporto con Esther, benché sia stata
capace di accudire agevolmente il bambino adottato; e quando più tardi accolse in casa l’altra bambina
affiliata, essa era solita ripetere ad Esther: «Questa è la bambina che ho sempre desiderato».
Nella vita di Esther, finché la famiglia non si sfasciò, fu il padre a fungere da madre buona e idealizzata.
Esther non potrebbe essere considerata in alcun modo psicotica, tuttavia soffre di deprivazione poiché uno
dei suoi problemi è la tendenza compulsiva al furto. Presenta inoltre problemi di natura scolastica. Vive
con la madre putativa che è diventata molto possessiva nei suoi confronti e ha reso quasi impossibile ogni
contatto col padre. Contemporaneamente, il padre ha sviluppato una grave infermità psichiatrica di natura
paranoico-allucinatoria.
I genitori sostitutivi sapevano che la madre di Esther era stata dichiarata ufficialmente inferma di mente,
però non erano stato messi al corrente dell’intera storia perché l’assistente sociale aveva capito che essi
temevano che Esther potesse ereditarne la pazzia.

INFERMITÀ PSICOTICA
Per quelli di noi che sono inclini a considerare i pazienti psichiatrici non come altrettante malattie, ma
come persone vittime della lotta dell’uomo per lo sviluppo, l’adattamento, la vita, il compito diventa
infinitamente complesso. Quando visitiamo un paziente psicotico, pensiamo: è solo per caso che io non
sono come lui.
Possiamo provare a distinguere i vari tipi di infermità. Per primo, potremmo dividere i genitori psicotici in
padri e madri, poiché vi sono alcuni effetti che riguardano solo il rapporto madre-neonato o, se riguardano
il padre, lo riguardano solo nel ruolo di sostituto della madre. A questo proposito, potremmo rilevare
l’esistenza di un altro ruolo del padre, che è quello di rendere umano qualcosa nella madre e distogliere da
lei quell’elemento che altrimenti diventerebbe magico e potente e guasterebbe in lei la sua attitudine
materna. I padri hanno le loro proprie infermità. Tuttavia, queste non influiscono sulla vita del bambino
nella primissima infanzia e prima che questi non sia abbastanza grande da riconoscere nel padre un uomo.
Secondo Winnicott, le psicosi possono grosso modo essere divise in psicosi maniaco-depressive e in
disordini schizoidi, includendo in questi la stessa schizofrenia.
Osservando le caratteristiche di uno schizoide, la prima cosa che si riscontra è la debole demarcazione del
confine fra realtà interna ed esterna, fra ciò che è soggettivamente concepito e ciò che è oggettivamente
percepito. Si nota anche una relativa incapacità a costituirsi come entità io-corpo: la psiche non è
chiaramente legata all’anatomia e al funzionamento del corpo. Gli uomini e le donne schizoidi non
riescono a instaurare facilmente o a mantenere rapporti con oggetti esterni a loro stessi o reali nel comune
senso della parola.
I genitori con queste caratteristiche falliscono in molti impercettibili modi nel governo dei propri figli, a
meno che, consapevoli delle loro deficienze, non li affidino ad altri.

LA NECESSITÀ DI ALLONTANARE IL FIGLIO DAL GENITORE MALATO


«Una bimba aveva otto anni quando l’allontanai dalla madre, e non appena fu lontana si rivelò essere
assolutamente normale. La madre si trovava in uno stato di depressione dipendente dall’assenza del
marito che era in guerra. Ogni volta che la donna cadeva nella depressione, la bimba manifestava
l’anoressia. Più tardi essa ebbe un figlio, il quale a sua volta sviluppò gli stessi sintomi in difesa dell’insano
bisogno della madre di dimostrare la sua utilità col riempire di cibo i suoi bambini. Fu la bambina a
condurmi il fratellino per un trattamento. Mi fu impossibile toglierlo alla madre, ed egli non è stato in
grado di formarsi come individuo pienamente indipendente da essa.»

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Dobbiamo rassegnarsi al fatto che questo o quel bambino venga coinvolto senza scampo nell’infermità dei
genitori, specialmente della madre, e che non c’è nulla da fare per lui.
Queste caratteristiche psicotiche nei genitori possono influire in vario modo sullo sviluppo del bimbo e del
fanciullo. Bisogna tuttavia ricordare che l’infermità del bambino è propria del bambino, anche se nella
eziologia del caso è bene dare la massima importanza alle deficienze ambientali.

«LA MADRE CAOTICA»


La vita dei figli può essere gravemente perturbata dallo stato caotico della madre, che in realtà è uno stato
di caos organizzato. Questa è una difesa: una situazione caotica si è instaurata, e viene fermamente
mantenuta, per nascondere la perenne minaccia di una più grave disintegrazione.
«La madre di una donna, che aveva completato con me una lunga analisi, apparteneva a questo tipo.
All’apparenza la casa sembrava buona, con un padre solido e benevolo, e numerosi figli, che risentivano
tutti in un modo o nell’altro lo stato psichico della donna.
La madre provocava un continuo scompiglio nella vita dei figli. Con ogni mezzo, specialmente con le
parole, tutte le volte che ne aveva la possibilità non aveva fatto altro che creare confusione nella mia
paziente. Parlando con la sua bambina essa usava giochi di parole e rime senza senso, cantilene, mezze
verità e fatti rivestiti di immaginazione.»

GENITORI DEPRESSIVI
La depressione può essere un’infermità cronica che impoverisce la capacità d’affetto di un genitore, può
essere una grave turba che si manifesta a periodi con una rottura più o meno improvvisa dei rapporti.
Quando un bimbo ha bisogno che la madre si occupi interamente di lui, può essere gravemente disturbato
dal fatto di scoprire improvvisamente che la madre è preoccupata per qualcos’altro che riguarda
solamente la vita personale di lei.
«A sette anni, Tony aveva un’ossessione per i legacci. Era sul punto di diventare un pervertito con
pericolose attitudini avendo già provato, per gioco, a strangolare la sorella. Questa ossessione fu fermata
quando la madre, su mio consiglio, cominciò a discutere con lui a proposito della sensazione ch’egli aveva
di perdere la madre. Questo sentimento era sorto in seguito a numerose separazioni occorse nella prima
infanzia a causa della depressione della madre. Ogni ricaduta tendeva più d’ogni altra cosa a rinnovare
l’ossessione per i legacci. Per lui il legaccio è l’estrema risorsa, legare insieme le cose che sembrano doversi
separare.»
In questo caso, fu la fase melanconica nella depressione cronica di un’ottima madre di buona famiglia a
produrre la deprivazione che a sua volta suscitò il sintomo descritto.

Perfino i bambini piccoli possono indovinare l’umore dei genitori.


«Un ragazzo di quattro anni si trovava nella mia sala di consultazione, intento a giocare a terra, mentre la
madre e io stavamo parlando di lui. Improvvisamente mi chiese se fossi stanco. Gli chiesi cosa glielo
facesse suppore. “La sua faccia”, rispose. In realtà ero molto stanco. La madre mi disse che era tipico del
ragazzo indovinare come la gente si sentiva poiché il padre (un ottimo padre) era un uomo che andava ben
studiato prima di poter azzardare di giocare con lui. Egli era infatti spesso stanco e depresso.»
I bimbi possono quindi fronteggiare i cambiamenti d’umore dei genitori osservandoli bene, tuttavia
l’imprevedibilità di alcuni di questi può essere traumatizzante.

GENITORI MALATI IN VESTE DI TERAPISTI


La grave infermità psichica non impedisce certo alle madri e ai padri di cercare di aiutare i loro figli al
momento giusto.
«Percival venne da me a undici anni mentre stava affrontando un acuto episodio di psicosi. Era stato lo
psichiatra del padre, che aveva sofferto di schizofrenia, a mandarlo da me. Il padre aveva ora oltre
cinquant’anni ed era riuscito a fronteggiare la sua infermità cronica. Si era dimostrato molto affettuoso col
figlio quando questo si era ammalato. La madre stessa di Percival è una schizoide con scarsissimo senso
della realtà; tuttavia era stata capace di accudire il bambino finché egli fu in grado di essere assistito e

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curato fuori di casa. Ci vollero tre anni per venire a capo della malattia di Percival che era strettamente
connessa con quella di ambedue i genitori.
Mi fu possibile servirmi di ambedue i genitori, benché malati, per accudire il bimbo durante la prima fase
critica del suo male. La madre diventò un’eccellente assistente psichiatrica permettendo alla personalità di
Percival di fondersi con la sua nel modo necessario. Io sapevo ch’ella non sarebbe durata a lungo, tuttavia
quando dopo sei mesi ricevetti l’SOS che attendevo e allontanai Percival da casa, il lavoro maggiore era
stato compiuto.
Quando il ragazzo migliorò dovette essere messo al corrente del fatto che i genitori erano malati, cosa che
riuscì ad accettare senza sforzo.»

STADI DI SVILUPPO E PSICOSI DEI GENITORI


Nella teoria bisogna sempre tener presente lo stadio di sviluppo in cui si trova il bambino al momento in cui
il fattore traumatico viene ad operare. In rapporto a questi stadi è possibile considerare gli effetti causati
dalla psicosi dei genitori e classificare le infermità di questi nel seguente modo:
 Genitori gravemente malati. Altri si assumono la cura del bambino.
 Genitori meno malati. Altri si assumono la cura del bambino solo in alcuni periodi.
 Genitori sufficientemente sani da poter difendere il bambino dalla propria infermità e chiedere aiuto.
 Genitori la cui infermità coinvolge il bambino così che non c’è nulla da fare per questo senza violare i
diritti dei genitori sui propri figli.
Ogni singolo caso deve essere accuratamente esaminato o, in altre parole, ha bisogno di un dettagliato
casework.

10. ADOLESCENZA: IL DIBATTERSI NELLA BONACCIA

PREMESSA
Sono stati compiuti molti studi su questa fase dello sviluppo, ed è venuta a formarsi una nuova letteratura
composta sia di opere biografiche sia di romanzi che trattano della vita degli adolescenti.
C’è una cosa che coloro che esplorano quest’area della psicologia devono accettare fin dal principio, cioè il
fatto che i giovani non vogliono essere compresi.

CURARE L’ADOLESCENZA
Esiste solo una vera cura per l’adolescenza, che però non offre alcun aiuto. Consiste nel tempo che passa e
nel graduale processo di maturazione, che avranno come risultato finale l’emergere di una persona adulta.
Questo processo non può essere rallentato né affrettato, ma può essere spezzato e distrutto, può
cristallizzarsi in infermità psichiatrica.

ENUNCIATO TEORICO
I ragazzi in questa fase d’età sono a confronto con i cambiamenti della pubertà. Essi giungono allo sviluppo
della capacità sessuale e alle manifestazioni sessuali secondarie, con una storia personale che include
moduli personali nell’organizzare delle difese contro ansietà di vario tipo.
In condizioni di sanità, in ogni individuo c’è stata, prima del periodo di latenza, un’esperienza piena del
complesso edipico e l’organizzazione di modi per respingere l’angoscia o accettare i conflitti relativi a
queste condizioni complesse. Inoltre, derivanti dalle esperienze della prima e della seconda infanzia, ci
sono certe caratteristiche e tendenze personali, ereditate ed acquisite. Così i ragazzi giungono alla pubertà
con tutti i modelli precostituiti a causa delle esperienze della prima e primissima infanzia, e molte cose
sono inconsce.
Tuttavia, pur essendovi un’ampia varietà di casi individuali, il problema generale è lo stesso: come farà
questa organizzazione dell’Io ad affrontare la nuova avanzata dell’Id (Es)?

L’AMBIENTE

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La funzione assolta dall’ambiente in questo stadio è fondamentale. Molte delle difficoltà degli adolescenti
per le quali è richiesto il nostro intervento professionale derivano da fallimenti ambientali; questo basta a
sottolineare l’importanza vitale dell’ambiente e dell’organizzazione familiare.

SFIDA E DIPENDENZA
Una caratteristica dell’adolescenza è il rapido alternarsi di sprezzante indipendenza e di regressiva
dipendenza e perfino del coesistere, in un dato momento, di questi due estremi.

L’ISOLAMENTO DEL SINGOLO


L’adolescente è essenzialmente un isolato. È da una posizione di isolamento che prende inizio quel
processo che eventualmente sfocerà in un rapporto tra individui e nella socializzazione. A questo riguardo
l’adolescente ripete una fase essenziale della prima infanzia, poiché il bambino piccolo è un isolato almeno
fino al momento in cui non si è costituito come un individuo separato.
I giovani adolescenti sono un insieme di isolati, che in vari modi di sforzano di formare un aggregato,
adottando un’identità di gusti. Essi possono pervenire a raggrupparsi se attaccati in quanto gruppo, ma
dopo la persecuzione tornano al loro stato di aggregato di isolati.

IL SESSO PRIMA DI ESSERE PRONTI PER IL SESSO


Le esperienze sessuali degli adolescenti più giovani sono caratterizzate da questo fenomeno
dell’isolamento. In molti casi ci sarà un lungo periodo in cui l’adolescente sarà incerto se l’impulso sessuale
emergerà o no. Pressante masturbazione a questo stadio può significare un ripetuto tentativo di liberarsi
del sesso, così come compulsive attività eterosessuali o omosessuali possono servire a scaricare la
tensione, piuttosto che rappresentare una forma di unione fra esseri umani interi.
L’unione fra esseri umani interi è più probabile che appaia la prima volta in un gioco sessuale inibito nei
suoi scopi o in un comportamento affettivo che ha l’accento sul sentimento.

TEMPO PER L’ADOLESCENZA


Non è forse un segno di salute sociale che i giovani siano in grado di essere adolescenti al momento giusto,
cioè nell’età in cui avvengono i cambiamenti della pubertà?
Nella nostra società odierna, l’adulto si forma in virtù di processi naturali dall’adolescente che avanza sotto
la spinta di tendenze allo sviluppo. Naturalmente, ciò pretende il pagamento di un prezzo. Le numerose
crisi adolescenziali richiedono tolleranza e cure; inoltre questo nuovo sviluppo richiede uno sforzo della
società poiché può essere doloroso per gli adulti vedersi circondati da ragazzi in uno stato di florida
adolescenza.

TRE CAMBIAMENTI SOCIALI


Secondo Winnicott, tre sviluppi sociali hanno modificato l’intera atmosfera dell’adolescenza:
1. Le malattie veneree non spaventano più, non sono più considerati gli strumenti della punizione divina.
2. Lo sviluppo di tecniche antifecondative ha dato all’adolescente la libertà di sperimentare la sessualità
e la sensualità anche quando non è presente il desiderio di mettere al mondo un figlio. Comunque,
l’angoscia mentale connessa con la paura di un incidente rimane lo stesso, e secondo Winnicott deriva
dal senso di colpa innato del bambino.
3. La bomba atomica influisce sul rapporto fra la società adulta e le generazioni adolescenti. Noi teniamo
conto del fatto che non ci sarà un’altra guerra, per cui non c’è motivo perché i figli ricevano una rigida
disciplina militare. A questo riguardo interviene l’effetto della bomba atomica.
L’adolescente è autoassertivo. Nella vita immaginativa la potenza virile non è solo una questione di
rapporto sessuale, ma anche di vittoria di un uomo su un altro e di ammirazione della donna per il
vincitore. Tutto ciò oggi si traduce, ad esempio, nelle occasionali risse. Pertanto, oggi l’adolescenza
deve contenere se stessa molto di più di quanto non abbia dovuto fare in passato.
Questi tre cambiamenti stanno producendo un effetto sulla coscienza sociale, ciò si rivela chiaramente nel
modo in cui l’adolescenza sta acquistando preminenza come qualcosa che non può più essere spinta fuori
scena.

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L’INACCETTABILITÀ DELLA FALSA SOLUZIONE
La cura dell’adolescenza è il passare del tempo, cosa che per l’adolescente ha scarso significato. Esso è alla
ricerca di una cura immediata, e allo stesso tempo respinge una cura dopo l’altra perché in esse avverte un
qualcosa di falso.
Una volta che l’adolescente riesce ad accettare il compromesso, egli ha la possibilità di scoprire vari modi
per addolcire la verità assoluta. Per esempio, una soluzione è offerta dall’identificazione con la figura dei
genitori, o da una prematura maturità nei confronti del sesso, o dalle conquiste intellettuali. In generale, gli
adolescenti respingono questi palliativi e devono passare attraverso una zona di bonaccia (doldrums area),
ovvero una fase nella quale si sentono futili e non hanno ancora trovato se stessi. Un rigetto totale di questi
compromessi significa che ogni individuo deve cominciare da zero. Noi vediamo giovani alla ricerca di una
forma di identità che non li abbandoni durante la loro lotta per consistere (to feel real) la lotta per instaura
un’identità personale. Essi non sanno cosa diventeranno, cosa sono e cosa aspettano, e poiché ogni cosa è
in sospeso, essi si sentono inconsistenti (unreal).
Coloro che si prendono cura degli adolescenti sono colpiti da questo miscuglio di sfida e dipendenza: gli
adolescenti possono mostrarsi provocanti e nello stesso tempo dipendenti e perfino puerili.

ESIGENZE DELL’ADOLESCENTE
Possiamo riassumere le esigenze degli adolescenti nel seguente modo:
 Evitare la falsa soluzione.
 “Consistere” o sopportare di essere “indifferenti a tutto”.
 Sfidare, in un ambiente in cui si può contare che la dipendenza trovi accoglimento.
 Pungolare ripetutamente la società cosicché il suo antagonismo sia reso manifesto.

ADOLESCENZA SANA E MODELLI DI INFERMITÀ


Ciò che si manifesta nell’adolescente normale è in rapporto con ciò che si manifesta in vari tipi di persone
malate. Per esempio:
 L’esigenza di evitare la falsa soluzione corrisponde all’incapacità di compromesso propria dello
psicotico.
 L’esigenza di “consistere” o di “essere indifferenti a tutto” è in rapporto con la depressione psicotica.
 L’esigenza di sfidare corrisponde alla tendenza antisociale che si presenta nella delinquenza.
In un gruppo di adolescenti le varie tendenze tendono ad essere raggruppate dai membri più malati del
gruppo. In ognuno di questi casi l’aggregato di isolati si raggruppa dietro un individuo malato, il cui
sintomo estremo ha colpito la società.

LA BONACCIA
La società deve accogliere e tollerare il fenomeno della bonaccia dell’adolescenza, venirgli incontro ma
non curarlo. La nostra società è abbastanza sana da poterlo fare? Taluni individui sono troppo malati per
poter accedere a quello stadio dello sviluppo emotivo che può chiamarsi adolescenza, o ne sono capaci ma
in modo distorto.

ADOLESCENZA E TENDENZA ANTISOCIALE


È interessante esaminare il rapporto esistente tra le normali difficoltà dell’adolescenza e la tendenza
antisociale. La differenza non risiede tanto nel quando clinico, quanto nella dinamica e nella rispettiva
eziologia.
Alla radice della tendenza antisociale c’è sempre una deprivazione. Dietro questa tendenza c’è sempre
una qualche sanità seguita da un’interruzione, dopo la quale le cose non furono mai più come prima.
Alla radice dell’adolescenza in generale non è possibile dire che sia implicita la deprivazione, benché vi sia
qualcosa che ha le stesse caratteristiche. Nel gruppo con cui l’adolescente viene a identificarsi sono i
membri estremi del gruppo ad agire per il gruppo nel suo complesso. Tutti gli elementi della lotta
dell’adolescenza devono essere contenuti nella dinamica di questo gruppo. Se nel gruppo è presente un
membro antisociale, o due o tre, deliberati a compiere l’atto antisociale che suscita la reazione della

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società, ciò provoca la coesione degli altri e struttura temporaneamente il gruppo. In qualche modo, i
singoli membri del gruppo si servono degli estremi per aiutarsi a consistere nella loro lotta per cercare di
uscire fuori dalla bonaccia.
La sfida più grande da parte degli adolescenti è rivolta a quella parte di noi che non ha avuto la sua
adolescenza. Questa parte di noi ci fa risentire nei confronti di coloro che vivono la loro fase di bonaccia, e
ci sospinge a voler trovare una soluzione per loro. Esistono centinaia di false soluzioni: se diamo appoggio
sbagliato, se lo togliamo sbagliamo. Ma poi, col tempo, ci rendiamo conto che l’adolescente è emerso dalla
fase di bonaccia ed è ora in grado di identificarsi con la società, con i genitori o con gruppi più vasti, senza
sentire minacciata la propria individualità.

11. LA FAMIGLIA E LA MATURITÀ EMOTIVA

La psicologia di cui si occupa Winnicott considera la maturità come sinonimo di buona salute. Il ragazzo di
dieci anni che è sano è maturo come ragazzo di dieci anni. L’adulto sano è maturo come adulto, e con ciò
vuol dire che egli è passato attraverso tutti gli stati di immaturità e di maturità propri delle età anteriori.
Vi sono due modi di affrontare l’argomento dello sviluppo individuale.
Per primo c’è lo sviluppo della vita istintuale, le funzioni istintuali e le fantasie pregenitali che si evolvono
nella piena sessualità. Secondo questa linea di pensiero, si arriva all’idea di adolescenza quale momento in
cui i cambiamenti della pubertà dominano la scena e in cui le difese contro l’ansietà organizzate nei primi
anni tendono a riapparire.
Secondo l’altro modo di vedere le cose, invece, ogni individuo inizia nella quasi assoluta dipendenza,
raggiunge gradi di minore dipendenza e quindi comincia a conseguire l’autonomia. In questo secondo
modo non abbiamo bisogno di preoccuparci molto dell’età del bimbo, ma bensì delle condizioni ambientali
che sono appropriatamente adattate ai bisogni del singolo in ogni specifico momento. Ciò richiama il tema
dell’assistenza materna che cambia in rapporto all’età del bambino.
Cure materne diventano cure dei genitori, che si assumono insieme la cura del loro bambino e provvedono
ai rapporti fra il neonato e gli altri figli. Cure dei genitori evolvono in cure della famiglia e la famiglia prende
ad allargarsi ulteriormente fino a includere nonni e cugini. Osservando questo fenomeno non dovremmo
stupirci nel constatare che l’uomo ha bisogno per il suo sviluppo di cerchi sempre più ampi, in cui egli possa
dare il suo contributo.
Solo la famiglia del bambino è capace di continuare questo compito iniziato dalla madre, il compito di
venire incontro ai suoi bisogni sempre nuovi nel corso dello sviluppo. Esso implica anche l’accettazione
della sfida che eromperà durante l’adolescenza e del ritorno alla dipendenza che si alterna alla sfida. Nel
corso dello sviluppo emotivo l’individuo si muove dalla dipendenza verso l’indipendenza e in condizioni di
sanità conserva la capacità di spostarsi di qua e di là dall’una all’altra. Nella sfida l’individuo erompe al di là
di tutto ciò che si trova immediatamente attorno a lui a dare sicurezza. Affinché ciò porti frutto, egli ha
bisogno di trovare un cerchio più ampio pronto a succedere, e di conservare la capacità di ritornare alla
situazione che è stata rotta. Un bimbo scappa via di casa, ma in fondo al giardino la sua fuga è finita. Il
recinto del giardino è simbolo del più stretto cerchio che lo cingeva e dal quale è appena uscito, cioè la
casa. Più tardi, il bimbo elaborerà queste cose andando a scuola, in rapporto ad altri gruppi. Questi
rappresentano il distacco dalla casa e, allo stesso tempo, l’immagina simbolica della casa da cui ci si è
allontanati. Quando tutto ciò si svolge bene, il bambino è in grado di ritornare a casa, malgrado la sfida che
è implicita nell’atto di andarsene.
Per il bambino è molto difficile risolvere i conflitti di lealtà in questo muoversi dentro e fuori senza
un’appropriata guida della famiglia. Nella grande maggioranza dei casi ci sono una casa e una famiglia che
rimangono intatte e offrono all’individuo l’opportunità per lo sviluppo personale.
Nell’ambito della stessa cassa, quando ci sono altri figli, il bimbo fruisce di un aiuto incommensurabile
dall’avere l’opportunità di condividere dei problemi. Quando una famiglia è intatta e i fratelli e le sorelle
sono veri consanguinei, il singolo ha la migliore opportunità di iniziare a condurre una vita sociale.
Quando la famiglia non è intatta e minaccia di rompersi, ci accorgiamo di quanto essa sia importante.
Fintantoché la famiglia è intatta, tutto è legato al padre e alla madre reali. Nella sua fantasia inconscia è
sempre a loro che il figlio rivolge le sue pretese. Gradualmente, egli giunge a perdere molte o quasi tutte le
rivendicazioni sui genitori reali, ma ciò avviene nella fantasia conscia. La famiglia esiste come qualcosa che

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è cementato da questo fatto: per ogni singolo membro, il padre e la madre reali sono vivi nell’intima realtà
psichica. In tal modo constatiamo due tendenze:
 La prima è la tendenza ad allontanarsi dalla madre, dai genitori, dalla famiglia e ad ogni passo
acquistare una maggiore libertà di idee e funzionamento.
 La seconda è il bisogno di conservare o ricostituire il rapporto con il padre e la madre reali. È questa
seconda tendenza che fa della prima una parte dello sviluppo e non la disgregazione della personalità
dell’individuo.
Un caso tipico ci è fornito dallo sviluppo sessuale: nel matrimonio si riscontra contemporaneamente
l’abbandono e il distacco dai genitori reali, accompagnati dal fatto che si porta con sé l’idea di edificare una
famiglia.
In relazione a questo tema del ripetuto «erompere al di là» (break-through), caratteristico della vita
dell’individuo in fase di crescita, il complesso edipico giunge come una liberazione, poiché nella situazione
triangolare il fanciullo può conservare l’amore della madre con l’idea del padre in mezzo, e vicersa la
fanciulla, con la madre in mezzo, può conservare l’affetto per il padre.
Se si accetta l’idea di sanità come maturità secondo l’età, la maturità emotiva dell’individuo non può
essere conseguita se non all’interno di una struttura in cui la famiglia ha fornito il ponte che conduce dalle
cure dei genitori direttamente alle provvidenze sociali.
Sono due, dunque, le principali caratteristiche con cui la famiglia contribuisce alla maturità emotiva
dell’individuo: una è la continua opportunità di usufruire di un alto grado di dipendenza; l’altra
nell’opportunità offerta all’individuo di staccarsi dai genitori verso la famiglia, e da questo nucleo a un altro
e ad un altro ancora. Questi cerchi sempre più ampi, che in ultimo diventano raggruppamenti politici o
religiosi o culturali nell’ambito della società, rappresentano il prodotto finale di qualcosa che prende inizio
con le cure materne.

12. DEFINIZIONE TEORICA DEL CAMPO DELLA PSICHIATRIA INFANTILE

IL CAMPO PROFESSIONALE
La pediatria si fonda su una conoscenza a priori dello sviluppo fisico e dei disordini di crescita del corpo e
delle sue funzioni. La psichiatria è fondata sulla comprensione dello sviluppo emotivo del neonato
normale, del bimbo, dell’adolescente e dell’adulto, e dello sviluppo del rapporto che si instaura fra
l’individuo e la realtà esterna.
La psicologia accademica sta sul confine tra sviluppo fisico e sviluppo emotivo. Si occupa di quelle
manifestazioni che, benché psicologiche, appartengono in realtà alla crescita fisica.
Per chiarire meglio: lo psicologo accademico si preoccupa dell’età in cui il bimbo è capace di camminare; la
psicologia dinamica prende in considerazione il fatto che un bimbo può essere spinto a camminare prima
del tempo dall’ansietà, o può essere ritardato a farlo a causa di fattori emotivi.
A prima vista la psicologia accademica sembra essere più scientifica della psichiatria dinamica. È tuttavia
un fatto che gli esseri umani sono costituiti di sentimenti e di modalità di sentire e che conoscere la
struttura intellettiva non significa conoscere la psiche dell’individuo.

IL MEDICO COME CONSIGLIERE


Accade spesso che il medico venga a trovarsi in una posizione in cui si presume che la sua competenza
nella medicina fisica si estenda anche alla psicologia. Nel caso in cui riconosca un’infermità psichica, deve
rinviare il caso a un collega psichiatra.
Quando invece ci si aspetta da lui di conoscere lo sviluppo emotivo normale, egli non possiede la
preparazione adatta a dare consigli ai genitori a proposito dell’educazione di un figlio normale, se non
rifacendosi alla propria esperienza di padre. Sappiamo però, che la psicologia non può essere appresa
attraverso l’osservazione di se stessi e dei propri figli.
Potremmo aggiungere che coloro che hanno avuto successo come genitori sono inconsapevoli delle
circostanze che hanno reso possibile il risultato. Si potrebbe quasi affermare che sono meglio qualificati a
dar consigli sull’educazione dei figli se hanno fallito, poiché il fallimento può averli spinti a considerare in
modo obiettivo il problema di come allevare i figli.

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DICOTOMIA PSICOSOMATICA
In nessun altro campo è così evidente la necessità di capire tali questioni come in quello del trattamento di
disordini psicosomatici.
È molto difficile incontrare un pediatra orientato in senso fisico che cooperi su un piano di parità con lo
psicoterapeuta, che ha invece una formazione mentale psico-analitica.
Esistono ambulatori dove un bambino può essere tenuto in osservazione per un lungo periodo di tempo
senza essere schedato come un caso fisico o psichiatrico. Questi offrono il solo tipo di ambiente adatto per
esercitare la medicina psicosomatica.

PEDIATRIA E PSICHIATRIA INFANTILE


Il pediatra, in previsione di doversi interamente dedicare al trattamento di infermità fisiche, fonda la sua
preparazione sullo studio delle scienze fisiche. Dalla pediatria alla fine emerge lo studio del corpo sano.
Lo studio del bambino sano, tuttavia, costringe sempre più il pediatra a provvedere le condizioni adatte a
tale studio, le quali sono vicine a quelle naturali del bimbo e molto lontane da quelle artificiali del
laboratorio. Il clinico è costretto a interessarsi all’uso che il bimbo fa delle condizioni ambientali durante la
crescita e a tutti i problemi dell’allevamento. Così il pediatra devia verso la psichiatria e viene a trovarsi
nella posizione di dare consigli a proposito della cura del bimbo benché in realtà non possieda la specifica
preparazione per assolvere questa funzione.
La fine della seconda guerra mondiale in Inghilterra trovò la pediatria orientata in senso fisico. Alla stessa
epoca molto lavoro era stato compiuto anche nel campo dello sviluppo emotivo normale del neonato e del
bambino di varie età. Era stato Freud, molti anni prima, a mostrare che i disturbi neurotici negli adulti
hanno regolarmente a che fare con l’infanzia; ciò implicava che alla fine si sarebbe potuto operare in modo
preventivo direttamente sul bimbo stesso e perfino sul neonato.

LA PSICANALISI E IL BAMBINO
Anche nell’orientamento dello psicanalista nei confronti del bambino si è verificata un’evoluzione. Lo
psicanalista praticante ha sotto trattamento ogni sorta di pazienti adulti. In tutti i casi, rivolgendo la sua
attenzione anche ai problemi attuali del paziente, egli riscontra che il suo lavoro principale lo conduce allo
studio dell’infanzia e perfino della primissima età. Il secondo passo si compie con il trattamento di
adolescenti, bambini e bimbi molto piccoli, e con l’occuparsi della vita emotiva del bambino vero invece
che del bambino nell’adulto. Applicando la psicoterapia, lo psicanalista si trova in un’ottima posizione per
studiare il bimbo nella sua totalità. Disturbi di ordine fisico dovuti a disordini emotivi cadono presto sotto
la sua osservazione così come deformazioni emotive secondarie ad infermità fisiche. Questa, tuttavia,
richiede la competenza del pediatra.
Ma chi si occuperà del bambino nella sua interezza?

IL BIMBO COME PAZIENTE

ASPETTI DEL PROBLEMA PSICHIATRICO STUDIATI IN SEQUENZA


Consideriamo il problema che si presenta a chiunque si occupi di un bimbo in situazione terapeutica. Si
tratta di tre gruppi di fenomeni correlati, ma tuttavia distinti.
1. Le normali difficoltà di vita: normalità o sanità è questione di maturità, e non di libertà dai sintomi. A
certe età, un bambino normale può dispiegare l’intera gamma della sintomatologia (ansietà manifesta,
collera, fobie, disturbi fisici di ordine sintomatico, conflitti nella sfera emotiva), mentre un bambino
quasi immune da sintomi può essere seriamente malato. Agli occhi di un osservatore non esercitato, il
bambino malato può apparire come il più normale.
2. La neurosi (o psicosi) infantile manifesta: a tutte le età si può riscontrare l’infermità psichiatrica.
Organizzazioni di difesa contro intollerabili ansietà producono una sintomatologia che può essere

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riconosciuta, diagnosticata e spesso curata. In alcuni casi l’ambiente è abbastanza normale, in altri il
fattore esterno è eziologicamente rilevante.
3. Neurosi o psicosi latente: lo psichiatra apprende a individuare nel bimbo l’infermità potenziale, quella
che può manifestarsi più tardi in seguito alla pressione di un trauma. Questo terzo compito dello
psichiatra per bambini è molto difficile ma non impossibile. Come esempio possiamo prendere il
fenomeno abbastanza frequente dell’organizzazione di un falso Sé.

SANITÀ COME MATURITÀ EMOTIVA


In psichiatria, cattiva salute e immaturità sono quasi sinonimi. Il trattamento, dal punto di vista dello
psicanalista, ha lo scopo di permettere il conseguimento della maturità anche in età avanzata.
Lo sviluppo emotivo inizia quasi dal giorno della nascita e conduce all’adulto maturo, capace
d’identificarsi con l’ambiente che lo circonda e di partecipare alla costituzione, al mantenimento e
all’alterazione di tale ambiente.
Cosa precede la maturità adulta?
 Maturità adulta: tranne esempi isolati, l’adulto maturo gode della sanità in dipendenza dalla sua
appartenenza a un gruppo all’interno del gruppo totale, e più è limitata l’estensione del gruppo, meno
appropriato è l’epiteto di “maturo”. La cittadinanza universale rappresenta un’enorme conquista
nello sviluppo dell’individuo.
 Adolescenza: è caratterizzata soprattutto dalla limitata aspettativa che la società ripone
nell’adolescente, che si presume non abbia ancora raggiunto una completa socializzazione. Per questo
vengono predisposti diversi gruppi circoscritti per gli adolescenti, con la speranza che egli possa
diventare sempre più capace di assolvere agli obblighi che appartenere ad un gruppo comporta.
 Latenza: a cinque o sei anni l’impulso biologico della vita istintuale si modifica. In questo periodo la
scuola compie la sua opera principale. Esistono alcune caratteristiche proprie del periodo di latenza,
come ad esempio la tendenza dei bambini di raggrupparsi insieme ad altri coetanei sulla base di
interessi comuni.
 Prima maturità: nello stadio precedente al periodo di latenza, il bimbo in buona salute tocca la piena
capacità di sogno e di gioco, capacità che può essere raggiunta solo in un ambiente familiare
relativamente stabile. In questo periodo ci si aspetta che il bambino mostri delle peculiarità che,
persistendo, potremo chiamare sintomi: uno di questi è l’ansietà, che clinicamente si mostra
nell’incubo, e che riguarda il conflitto inconscio fra amore e odio. La nevrosi, un irrigidimento
dell’organizzazione di difesa contro l’ansietà, prende origine in questo periodo (dai due ai cinque anni).
 Infanzia: precedente allo stadio della prima maturità, in cui il bambino è partecipe di rapporti
triangolari, ne troviamo uno in cui egli è in rapporto solo con la madre. Le ansietà proprie di questo
periodo riguardano l’ambivalenza. La condizione psichiatrica relativa a questo stadio è della natura dei
disordini affettivi, depressione e paranoia.
 Primissima infanzia: in questo stadio il neonato si trova in uno stadio di completa dipendenza, tale che
i compiti relativi a questo periodo non possono essere assolti senza sufficienti cure materne.
L’infermità relativa a questa fase è della natura della psicosi.

13. IL CONTRIBUTO DELLA PSICANALISI NEL CAMPO DELL’OSTETRICIA

L’abilità professionale dell’ostetrica, fondata sulla conoscenza scientifica del fenomeno fisico, dà alle sue
pazienti quella fiducia in lei di cui esse hanno bisogno. Tuttavia, è indubbio che l’ostetrica accrescerà
grandemente il suo valore acquistando anche una comprensione della sua paziente in quanto essere
umano.

IL POSTO DELLA PSICANALISI


La psicanalisi interviene nel campo dell’ostetricia, in primo luogo, per mezzo dell’esame minuzioso dei
dettagli in lunghi e difficili trattamenti di singole persone. Essa getta luce su ogni specie di anormalità,
come gli aborti ripetuti, la menorragia, e molti altri stati fisici in parte causati da un conflitto nell’inconscio
della paziente.

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La psicanalisi ha già portato ad un grande cambiamento nell’atteggiamento delle ostetriche.

MODIFICAZIONE DELL’ATTEGGIAMENTO VERSO IL NEONATO


C’è stata un’evoluzione nell’atteggiamento nei confronti del neonato.
Recentemente, ci si è resi conto che il neonato è indubbiamente un essere umano anche se
appropriatamente infantile. La psicanalisi ha mostrato che perfino il processo del parto non va perduto nel
neonato: probabilmente ogni particolare della nascita resta registrato nella sua mente, e ciò si rivela nel
piacere che gli uomini trovano in giochi che simbolizzano i vari fenomeni sperimentati dal neonato, come
ad esempio il cadere o le sensazioni derivanti dal passaggio dall’essere immersi in un liquido all’essere
asciutto.

LA MADRE SANA
Una delle difficoltà che si incontrano a proposito dell’atteggiamento dell’ostetrica verso la madre riguarda
il problema della diagnosi di salute o infermità in senso psichiatrico.
In caso di sanità la paziente è una persona perfettamente sana e matura, più che capace di prendere le sue
decisioni sulle questioni principali. Essa si trova semplicemente in uno stato di dipendenza a causa delle
proprie condizioni; pertanto, si affida temporaneamente all’ostetrica, e il fatto stesso di essere capace di
ciò implica sanità e maturità.

RAPPORTO MADRE-DOTTORE-INFERMIERA
Winnicott ritiene che la madre sana, proprio in quanto matura e adulta, non può cedere il controllo ad una
infermiera e a un dottore che essa non conosce.
La madre, il dottore e l’infermiera devono conoscersi ed avere continuità di contatti, se possibile, lungo
tutta la gravidanza.
Una completa spiegazione di tutto il processo del travaglio e del parto deve essere data alla madre dalla
persona in cui essa ha riposto la sua fiducia, e ciò serve anche a dissipare tutte le informazioni inquietanti e
sbagliate che essa possa aver reperito altrove.

LA MADRE NON SANA


All’opposto della donna sana e matura che viene a trovarsi sotto le cure dell’ostetrica, c’è la donna
emotivamente immatura o disadattata, o forse depressa, ansiosa o confusa.
In questi casi, l’infermiera deve essere capace di fare una diagnosi, e questa costituisce un’altra ragione per
cui essa deve conoscere la sua paziente prima che questa entri nella fase finale della gestazione.
Naturalmente, la madre non sana ha bisogno di un aiuto speciale da parte della persona che si prende cura
di lei: ha bisogno di essere rassicurata e talvolta frenata se dovesse dare manifestazioni maniacali.

MODO DI TRATTARE LA MADRE COL SUO BIMBO


Il modo di trattare la madre dopo il parto, nei suoi primi rapporti col bambino appena nato, è di
fondamentale importanza.
Spesso ci si imbatte in infermiere che non lasciano abbastanza tempo col bambino, o che forzano in
maniera brusca l’esperienza dell’allattamento.

STATO SENSITIVO POST-NATALE


La madre, forse fisicamente esausta, e che dipende in molti e vari modi da specifiche cure da parte
dell’infermiera e del dottore, è allo stesso tempo la sola persona che può presentare il mondo al bambino
in una forma che per lui abbia significato. Essa sa come compiere ciò solo perché è la madre naturale.
Ma i suoi istinti naturali non possono evolversi se essa è impaurita, o se non gli è consentito di vedere il suo
bambino appena nato, o di vederlo solo ad ore stabilite. Basti pensare che il latte materno non fluisce
come un’escrezione, ma è una risposta a uno stimolo, cioè la vista e l’odore e la presenza del bambino, e il
suo pianto che indica che egli ha bisogno di lei.

DUE PROPRIETÀ OPPOSTE

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Dunque, la madre è contemporaneamente una persona in uno stato di grande dipendenza e anche
un’esperta di allattamento e cura del bambino. È difficile per alcune infermiere tenere conto di queste due
opposte proprietà della madre, con la conseguenza che esse si sforzano di intervenire nel rapporto
nutritivo. Moltissime inibizioni alimentari sono cominciate in questo modo: alcune infermiere non si
rendono conto che, nonostante la propria competenza nel lavoro, questo non comporta che esse
intervengano nello stabilire un rapporto tra il bambino e il seno materno.
C’è un altro fatto: generalmente, la madre sente in modo più o meno intenso di aver rubato il suo bimbo
alla propria madre. Questo deriva dall’aver giocato a mamma e papà e dai sogni di quando, da bambina,
scorgeva nel proprio padre il suo ideale. Cosicché essa può facilmente sentire che l’infermiera è una madre
vendicativa venuta per portarle via il bambino. L’infermiera non deve far nulla a riguardo, ma sarà di
grande aiuto se di fatto eviterà di portare via il bambino e di presentarlo alla madre solo all’ora della
poppata.

14. CONSIGLI AI GENITORI

Nel caso di infermità fisiche, dottori e infermiere probabilmente conosceranno la soluzione, data la loro
specifica preparazione.
Ma sotto la cura psicoterapeutica vengono a trovarsi molti bambini non affetti da malattie fisiche; ad
esempio, in casi in cui si tratta di assistere una madre e il suo bambino all’inizio del loro rapporto la nostra
opera non è curativa, poiché la madre e il bambino godono in genere di buona salute.
Le osservazioni di Winnicott a proposito del dare consigli appartengono a tre categorie:
1. La differenza fra il trattamento di un’infermità e il consiglio su problemi riguardanti la vita.
2. La necessità di tenere il problema per sé piuttosto che offrire una soluzione.
3. L’intervista professionale.

IL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA E IL CONSIGLIO SU PROBLEMI CHE RIGUARDANO LA VITA


Dato che oggi dottori e infermiere hanno sempre più a che fare con la psicologia e l’aspetto emotivo, è
necessario che essi apprendano di non essere degli esperti in psicologia.
«Un pediatra visita un bambino per un disturbo alle ghiandole del collo. Fa la sua diagnosi, ne mette al
corrente la madre e indica la terapia. Il medico, uomo aggiornato, ha dato la possibilità alla madre di
parlare un po’ di se stessa e della famiglia. Essa racconta che il bimbo non si trova bene a scuola poiché
soggetto alle prepotenze dei compagni, ed è incerta se fargli cambiare istituto. Il dottore, abituato a dare
pareri nel suo campo, dice alla madre che sarebbe bene fargli cambiare scuola.»
Egli ha consigliato ciò alla madre, che non ne è a conoscenza, solo perché recentemente si è trovato nella
stessa situazione con uno dei suoi figli. Una diversa esperienza personale lo avrebbe spinto a dare un
parere diverso. In realtà, il dottore non si trovava nella posizione di dare consigli.
Cose del genere accadono ogni giorno da parte dei medici e delle infermiere durante l’esercizio della loro
professione, e possono essere eliminate solo se essi comprenderanno di non essere tenuti a risolvere i
problemi della vita dei loro clienti.
«Due giovani genitori consultano il medico a proposito del loro secondo figlio di otto mesi che “non vuole
essere svezzato”. Il bimbo non è malato. Viene alla luce che è stata la madre della donna a mandarla dal
medico. La donna aveva avuto grande difficoltà a svezzare la figlia quando era bambina. All’emergere di
questi fatti, la donna fu meravigliata di accorgersi che stava piangendo.»
La risoluzione del problema venne col riconoscimento, da parte della madre stessa, che il problema
dipendeva dal suo rapporto con la propria madre, e con ciò essa fu capace di risolvere gli aspetti pratici
dello svezzamento che richiedevano di comportarsi con una certa durezza nei confronti del bimbo pur
continuando ad amarlo.

«In un altro caso i genitori avevano chiesto consiglio ad un pediatra a proposito di uno svezzamento
difficile. Fatta la visita e non avendo trovato nulla, il medico disse alla madre di completare
immediatamente lo svezzamento, cosa che ella fece.»

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Questo consiglio era semplicemente fuori luogo. Veniva a intromettersi nell’inconscio conflitto della
madre a proposito dello svezzamento del bimbo. Egli avrebbe dovuto attenersi al suo circoscritto
intervento e rinviare l’interpretazione della difficoltà di svezzamento a qualcuno capace di considerare
sotto i suoi veri aspetti questo più vasto problema di vita e di rapporti.

TENERE IL PROBLEMA PER SE STESSI


Coloro che hanno ricevuto una preparazione medica in senso fisico possiedono le loro competenze
specifiche. Secondo Winnicott, se essi sono capaci di accogliere e tenere in se stessi i problemi personali,
familiari e sociali nei quali si imbattono, in modo da permettere che la soluzione arrivi da sola, allora essi
potrebbero permettersi di sconfinare nel campo della psicologia.
Se, d’altro canto, sono portati per temperamento ad agire, consigliare o interferire, allora non dovrebbero
uscire dai limiti della propria specialità che riguarda il male fisico.

L’INTERVISTA PROFESSIONALE
La psicologia, se praticata, deve esserlo secondo uno schema. L’intervista deve essere tenuta in un
ambiente appropriato, fissando un limite di tempo. In questa cornice noi possiamo dare affidamento molto
più che nella vita quotidiana. Il limite di tempo è utile a noi stessi: la prospettiva della fine della seduta
affronta in precedenza il nostro proprio risentimento, che altrimenti si insinuerebbe a guastare la nostra
partecipazione.
Coloro che praticano in questo modo la psicologia, accettando i limiti e soffrendo - per delimitati periodi di
tempo - le pene del caso, non hanno bisogno di sapere molto. Essi apprenderanno dai loro pazienti.

15. «CASEWORK» DEL BAMBINO PSICHICAMENTE INFERMO

«CASEWORK» E PSICOTERAPIA
Il termine casework indica il processo che un ente particolare svolge per risolvere un problema.
Cosa ben diversa è la psicoterapia, che spesso viene applicata senza che si accompagni necessariamente al
casework, dal momento che il bimbo paziente è condotto da adulti che riconoscono il suo stato di
infermità. Comunque, questi due procedimenti spesso coesistono nella pratica e diventano
interdipendenti, anche se è importante puntualizzare che il casework non può essere impiegato per
riparare una terapia fallita, né lo si può immettere nel percorso psicoterapeutico senza provocare una
grande confusione.
Chi pratica il casework deve avere la massima conoscenza possibile dell’inconscio, ma egli non deve
cercare di alterare il corso degli eventi cercando di interpretarlo. Tutt’al più dovrà limitarsi a dare forma
verbale ai vari fenomeni del cliente non completamente compresi.
Al contrario, il lavoro dello psicoterapeuta è svolto principalmente per mezzo dell’interpretazione
dell’inconscio, del transfert e dei conflitti del paziente.
Winnicott espone numerosi casi come esempio.
«Rupert, ragazzo di 15, molto intelligente e gravemente depresso, è un brutto caso di anoressia nervosa.
Chiese di essere sottoposto a trattamento psicanalitico. Si tratta di un minimo di casework, avendo i
genitori messo l’analista al centro del caso. Le richieste dell’analista ricevono l’appoggio dei genitori. In
questo caso esiste un pericolo potenziale: se il ragazzo peggiorasse, i genitori potrebbero perdere la loro
fiducia nell’analista.»

Per contro, Winnicott riferisce uno dei suoi casi falliti:


«Jenny, dieci anni, è malata di colite. È stata curata per molti anni. Per un anno la ebbi sotto cura
applicando la psicoterapia. Il trattamento si svolgeva con successo, perciò i genitori avevano fiducia in me,
ignaro delle complicazioni che si celavano nell’ambiente. Se avessi saputo che la persona malata nella
famiglia era la madre e che l’infermità della bambina era in larga misura una proiezione di un grave
disturbo psichiatrico di questa, avrei svolto il casework insieme ad una limitata psicoterapia, o forse in
luogo di questa.

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Il trattamento della bambina venne interrotto dal riaffacciarsi dei sintomi in concomitanza del suo ritorno a
scuola. Non potevo supporre a quel tempo che fosse la madre ad impedire alla figlia di raggiungere
condizioni di salute tali da permetterle di andare normalmente a scuola. Avrei dovuto cercare di affrontare
i problemi della madre, ma venni fuorviato dal fatto che essa era assolutamente inconsapevole di avere dei
problemi personali e inoltre dal fatto che i sintomi nella bambina erano quasi scomparsi dall’inizio del
trattamento psicoterapico. Il collasso rivelò che la madre era una forza violentemente disintegrativa.
Scoprii che dottori ed altra gente erano intervenuti perfino durante il periodo in cui la bimba veniva
condotta da me. Alla fine fui estromesso dal caso.
In questo caso al centro c’era una madre che, senza saperlo, era spinta a disperdere tutte le persone
responsabili in modo da rendere impossibile a chiunque di prendere la direzione del caso.»

A prima vista sembrerebbe che si tratti semplicemente di due procedimenti, psicoterapia e casework.
Guardando un po’ più addentro, si vede che alla psicoterapia si accompagna sempre del casework. Si tratta
sempre di occuparsi dei genitori del bimbo, o di provvedere delle alternative alla famiglia nel caso che
questa si riveli insoddisfacente. A volte anche la scuola deve essere tenuta al corrente. Insomma, la parola
casework sembra riferirsi in senso ampio a tutto quanto viene compiuto nel governo di un caso quando
non rientra nella psicoterapia.
Tuttavia, Winnicott crede che non si arrivi all’idea di casework finché non si riconosce nel caso la presenza
di forze disintegrative e la necessità di contenerle con qualche processo integrativo. In questo senso, è
l’elemento distruttivo che mette in moto ed alimenta la dinamica del casework.
L’argomento dell’elemento disintegratore può essere ulteriormente osservato nel seguente esempio:
«Jeremy, otto anni, sano e robusto, non era capace di addormentarsi senza reggere l’orecchio della madre.
La famiglia era buona. I genitori, che avevano tutte le migliori intenzioni di conservarne il buon
andamento, vennero a chiedermi di risolvere il problema.
Affidai temporaneamente la direzione del caso a un’assistente sociale psichiatrica: diedi il mio appoggio
professionale senza richiedere rapporti ma solo di essere messo al corrente di tanto in tanto.
L’assistente sociale riuscì a far comprendere alla madre, che ne era ignara, la parte da lei svolta nel
provocare e alimentare i sintomi del bimbo. Si trattava di un bimbo sano prigioniero della sua ansietà a
causa della depressione della madre. Era figlio unico, e sentiva che gli era impossibile liberarsi dal bisogno
che la madre aveva di lui. Adesso il ragazzo è capace di andare a scuola. La mamma si sta adattando a
questa perdita, e credo si stia riavvicinando al marito. In questo modo il problema si sta risolvendo da sé.»
Il casework in questo caso consisteva nella comprensione del problema da parte dell’assistente sociale, nel
discuterlo con la madre e nel suo interessamento per un lungo periodo. Il caso era tenuto insieme dai
genitori.

Winnicott ritiene dunque di poter suddividere i casi in tre tipi:


1. Quelli integrati dall’interno: il lavoro svolto completa quello che viene o sarà compiuto dai genitori.
2. Quelli che contengono un elemento disintegratore: il casework deve sviluppare una dinamica che si
opponga all’elemento disintegratore.
3. Casi caratterizzati da una rottura nell’ambiente circostante che è diventata già un dato di fatto:
l’operatore organizza o riorganizza l’ambiente circostante
Il secondo gruppo solleva il problema più grave.
L’autore esprime un caso a questo proposito:
«James, otto anni, se la fa ancora addosso, non impara se non vuole farlo, si ritrae di fronte ad ogni nuova
situazione, alla gente, a qualsiasi realtà. La madre dice che il padre è un uomo irascibile, i cui umori creano
tensione nella casa. Inoltre, egli è incline a prendere le parti del ragazzo in ogni occasione in cui questa
deve mostrarsi decisa.
Procedendo nello studio del caso, il padre se n’è andato ed è occupato a formarsi una nuova famiglia; il
ragazzo ha cominciato a usare gli altri uomini della famiglia come sostituti del padre. Egli è palesemente
contento quando questi prendono le parti della madre invece di appoggiare lui contro di lei. Vuol bene a
questi uomini, ed è in generale più contento. Contemporaneamente, i sintomi cominciano a diminuire.
Quindi, decisi di non vedere il bambino. La madre sembrò sollevata quando potei mostrarle che stava
“tenendo” (holding) la situazione in cui il bimbo cominciava a riprendersi da alcuni dei cattivi effetti

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dell’atteggiamento del padre. Se avessi interferito, avrei sciupato la soddisfazione della madre. Se
intervenissi e intervistassi il bimbo, potrei fallire o diventare un sostituto del padre.»

Osserviamo ora il caso di Antonio:


«Fu visitato la prima volta nel mio ambulatorio d’ospedale a otto anni. Adesso è un uomo. Non so neppure
se questo lungo caso abbia avuto un risultato positivo. Non c’è stato nulla di continuo nella vita di questo
ragazzo oltre l’esistenza del mio ambulatorio. Nel corso di questa vicenda tutto il personale della clinica,
eccetto me, si è rinnovato più volte.
La madre lo portò via dal padre quand’era molto piccolo, ma avendo iniziato a condurre una vita per se
stessa, lo aveva rimandato al padre verso i tre anni. Il padre era molto instabile, con temperamento
maniaco-depressivo e un atteggiamento esasperante nei confronti della società. Al tempo in cui cominciai
ad interessarmi al caso si era risposato e aveva una figlia; Antonio veniva allevato da lui e dalla matrigna, la
quale appoggiava completamente il marito e sembrava condividere interamente il suo punto di vista, uno
strano miscuglio di antagonismo verso la società e di pretesa che fosse la società, e non lui, a dover
educare il ragazzo. Il Q.I. del ragazzo era estremamente alto, come riscontrammo quando lo
esaminammo. L’assistente sociale incaricato della psicoterapia mi fece notare che il ragazzo era
veramente simpatico trattandolo da solo a solo e dandogli la possibilità di manifestarsi.
Aveva una forte inclinazione al furto e a dire bugie, e mi fu condotto originariamente a causa di una
compulsione verso le proprie feci. Non era possibile alla matrigna tenerlo nell’appartamento in compagnia
della figlia, difficoltà accresciuta dal fatto che questi due genitori non avrebbero mai preso un
appartamento abbastanza grande da avere una camera per il ragazzo.
Il loro atteggiamento era quello di rimproverare noi e chiunque altro con cui potessero parlare a proposito
della situazione. Il padre non aveva mai cessato di rimproverarmi di aver inviato il figlio in un asilo per
bimbi disadattati. Prima di riuscire a farlo accettare, tuttavia, dovemmo trovare qualcuno che lo prendesse
capace di sopportare la sporcizia della sua compulsione. Per tutto questo periodo il London County Council
pagò le spese, ed egli ricevette un’ottima educazione. Anche il London County Council, tuttavia, dovette
venir sollecitato da lettere indirizzate ai suoi vari uffici da parte della mia clinica, che insistevano sul fatto
che al ragazzo non doveva essere negato tutto l’aiuto possibile solo perché il padre era una persona
esasperante e malata. Alla fine, la matrigna abbandonò l’uomo e diventò una persona molto diversa,
capace di darci un’opinione obiettiva sull’atteggiamento del padre e sulla posizione del ragazzo.
Questi era deciso ad ottenere una borsa di studio per una delle due università che eri riteneva degne di lui.
Tentò a Cambridge e fallì, quindi provò a Oxford, e credo non sia riuscito neppure lì, anche se non me lo
fece mai sapere. Egli sarebbe senza dubbio riuscito bene all’università, ma qualcosa derivante
dall’atteggiamento del padre lo aveva deciso per Oxford o Cambridge, per le quali egli non era adatto a
causa della sua storia e per alcuni sintomi residui che indubbiamente rivelavano un’omosessualità repressa
e un inconscio legame con la personalità del padre.»
Di tutti gli esempi fin qui citati, questo è quello che meglio illustra il casework. Il London City Council ha
speso una somma molto alta per mantenerlo in una scuola corrispondente alle sue capacità intellettuali.
Il fattore disintegrante era qui rappresentato dall’atteggiamento esasperato del padre nei confronti della
società.
Se un caso viene nelle nostre mani, è necessario affrontarne le esigenze come esse sorgono e fornire ciò
che manca nell’ambiente circostante. Non ci è possibile operare secondo le nostre previsioni di successo.

L’autore presenta il seguente caso per illustrare lo stretto legame fra le più blande forme di psicosi e i primi
stadi della tendenza antisociale:
«Un ragazzo era stato informato dal suo collegio che all’età di 16 anni avrebbe dovuto andarsene a causa
dei suoi ripetuti furti. In un colloquio col ragazzo questi fu in grado di descrivermi un periodo molto difficile
da lui trascorso verso l’età di cinque o sei anni in cui gli era sembrato che i genitori lo avessero trascurato.
Ne parlai con i genitori, i quali riconobbero che era perfettamente vero che a quell’età il bambino non era
stato trattato come dovuto. Il fatto era avvenuto proprio quando il ragazzo, che era stato fino allora il più
piccolo dei fratelli e perciò molto vezzeggiato, era diventato il mediano a causa della nascita di una sorella.
Si trattava di un’ottima famiglia, e i genitori erano profondamente addolorati nel constatare di aver creato
col loro comportamento le basi del fallimento del figlio al collegio. Essi erano più che disposti a riprenderlo

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a casa e a dedicarsi interamente a lui. Diedero al ragazzo un intero anno di completa libertà da ogni
responsabilità. Alla fine di quest’anno il fanciullo cominciò a desiderare veramente di tornare a scuola, ma
non prima di aver compiuto una grave regressione e di essere diventato estremamente dipendente come
un bambino piccolo. Alla fine prese a frequentare una scuola pubblica, e poi quella dove il padre era
preside. Il fatto di aver rubato fu presto dimenticato e in verità egli non lo aveva più fatto dal giorno del
nostro colloquio in cui si era ricordato del periodo in cui era stato trascurato.
Ritengo che il modo con cui trattai con i genitori sia stato un tipo di casework, facendo loro comprendere
in che modo fossero in grado di aiutare, e rimanendo in contatto con loro per affrontare le mutevoli
esigenze della situazione quando il ragazzo peggiorò. In questo caso tutto fu semplificato dal fatto che sia i
genitori che il direttore del collegio desideravano sinceramente che il ragazzo guarisse.»
In alcuni casi di psicosi infantile, specialmente nei casi gravi, c’è un anormale atteggiamento dei genitori
che è la vera causa dell’infermità e che continua ad agire come fattore che la conserva.

SOMMARIO
Di solito ci sono genitori che riconoscono l’infermità nel loro figlio e ne richiedono il trattamento.
Il casework diventa il tratto principale quando il bimbo è psichicamente malato e nello stesso tempo c’è
una deficienza ambientale che deve essere corretta. Nel caso più semplice è presente un’infermità psichica
in uno o ambedue i genitori, e il casework prende la sua forza dinamica e la sua propria integrazione come
reazione a questa infermità.
Il punto principale è che, in un modo o nell’altro, a causa di una tendenza disintegrativa presente nel caso,
deve svilupparsi un processo attivamente integrativo se si vuole che le esigenze del caso vengano
affrontate.

16. IL BIMBO DEPRIVATO E COME PUÒ ESSERE COMPENSATO DELLA PERDITA DELLA VITA FAMILIARE

Una comunità deve interessarsi prima di tutto ai suoi membri sani. È al normale andamento della buona
famiglia che bisogna dare precedenza. Si deve cercare di non interferire mai nella vita di una famiglia ben
governata, neppure per il suo proprio bene. I medici sono specialmente inclini, sia pur sempre con buone
intenzioni, a interferire fra la madre e il neonato o fra i genitori e i figli.
Winnicott espone un esempio:
«Una madre divorziata aveva una figlia di sei anni. Un’organizzazione religiosa, cui il padre della bambina
apparteneva, aveva intenzione di togliergliela e di metterla in collegio perché non ammetteva il divorzio. Il
fatto che la figlia fosse ben sistemata e sicura con la madre e il suo nuovo marito veniva ignorato, e si
sarebbe preteso di creare uno stato di deprivazione a causa del principio che un figlio non deve vivere con
la madre divorziata.»
In realtà un gran numero di bambini deprivati viene “fabbricato” in un modo o in un altro, e il rimedio sta
nell’evitare un errato governo.
Chiunque lavori in questo campo conosce il tipo di caso in cui, per una ragione o per un’altra, si è venuto a
creare uno stato tale che – se si vuole evitare che la famiglia si sfasci e il bimbo venga affidato al tribunale –
il solo rimedio è allontanarlo dalla casa. Molti casi disperati si riaggiustano da soli se si ha la possibilità di
attuare tempestivamente queste separazioni.
Quando la famiglia è sufficientemente buona essa è il posto più adatto per il bambino per crescervi. La
grande maggioranza dei bambini che hanno bisogno di aiuto psicologico soffrono per perturbazioni
connesse a fattori interni, inerenti in larga misura al fatto che la vita è di per sé difficile. Questi disturbi
possono essere curati lasciando il bimbo nella propria casa.

VALUTAZIONE DELLA DEPRIVAZIONE


Per individuare il modo migliore di aiutare il bambino deprivato, dobbiamo per prima cosa stabilire in che
misura un normale sviluppo emotivo è stato reso possibile da un eventuale ambiente adatto. La storia del
caso è quindi essenziale.
Possiamo classificare i vari casi di disgregazione della famiglia nelle seguenti sei categorie:
1. Comune buona famiglia disgregatasi a causa di un accidente occorso a uno o ambedue i genitori.

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2. Famiglia disgregatasi per la separazione dei genitori, buoni come genitori.
3. Famiglia disgregatasi per la separazione dei genitori, non buoni come genitori.
4. Famiglia incompleta, perché non c’è padre. La madre è buona.
5. Famiglia incompleta, per mancanza di padre. La madre non è buona.
6. Non c’è mai stata una famiglia.

In aggiunta dovremo tener conto:


 Dell’età del bambino e dell’età in cui l’ambiente appropriato è cessato.
 Della natura e dell’intelligenza del bambino.
 Della diagnosi psichiatrica del bambino.

Evitiamo di dare qualsiasi valutazione del problema in base ai sintomi del bambino, o ai sentimenti che le
sue sventure suscitano in noi. Inoltre, alla prova dei fatti, spesso la sola maniera di determinare l’esistenza
di un soddisfacente ambiente iniziale sta nel provvedere un ambiente buono e vedere in che modo il
bambino può approfittarne. Un bambino deprivato è malato, e non è mai così semplice che un
riadattamento ambientale provochi il rovesciamento dalla malattia alla salute. Nel migliore dei casi, il
bambino comincerà a migliorare e non appena comincerà a manifestarsi un mutamento dell’infermità a
uno stato di minore infermità, egli diventerà sempre più capace di odiare la trascorsa deprivazione.
La salute non giunge fintantoché quest’odio non sia stato sentito. Tuttavia questo risultato sopraggiunge
solo se ogni cosa è relativamente a disposizione del Sé cosciente del bambino, e questo è un caso raro.
Dove si determina una deprivazione sopra una soddisfacente esperienza iniziale, l’odio appropriato alla
deprivazione può essere raggiunto.
Winnicott espone un caso clinico come esempio:
«Si tratta di una bimba di sette anni. Il padre morì quando ella aveva tre anni, ma essa riuscì a superare
questa difficoltà molto bene. La madre si prese cura di lei in modo eccellente e si risposò. Il patrigno si
affezionò molto alla bimba. Tutto andò per il meglio fino al momento in cui la madre rimase incinta. A
questo punto il padre cambiò completamente atteggiamento verso la figliastra. Egli ritirò il suo affetto
dalla bambina. Dopo la nascita del figlio le cose peggiorarono e la madre si trovò ad avere affetti divisi. La
bimba non può fiorire in questa atmosfera ma, inviata in un collegio, potrebbe perfino comprendere le
difficoltà sopraggiunte nella famiglia.»

D’altro canto, il caso seguente mostra gli effetti di un’insoddisfacente prima esperienza:
«Una madre mi conduce il suo bambino di due anni e mezzo. Egli ha una buona famiglia, ma è contento
solo quando riceve le attenzioni personali della madre o del padre. Non riesce a staccarsi dalla madre e a
giocare da solo, e l’avvicinarsi di un estraneo lo terrorizza. Venne adottato quando aveva cinque settimane,
e già a quel tempo era malato. La governante della casa in cui era nato ne aveva fatto il suo prediletto e
aveva anche provato a nasconderlo quando la coppia si era presentata per avere un bambino da adottare. Il
trasferimento a cinque settimane aveva causato un grave perturbamento nello sviluppo emotivo del
neonato.»

È necessario sapere cosa accade nel bambino quando una buona struttura ambientale si rompe o quando
non è mai esistita, e ciò comporta lo studio dell’intero problema dello sviluppo emotivo dell’individuo.
Benché sia difficile dare una chiara e semplice formulazione di questi fenomeni, è necessario comprenderli
se vogliamo riconoscere quali siano i segni favorevoli in un bimbo deprivato.
Consideriamo il significato dell’atto antisociale, per esempio il rubare. Quando un bimbo ruba, ciò che egli
cerca non è l’oggetto rubato, ma la persona, la madre dalla quale il bimbo ha diritto di rubare perché essa è
la madre. Infatti, ogni neonato può realmente affermare il diritto di rubare alla madre, perché il neonato
inventa la madre, la pensa, la crea. Col suo essere lì, la madre dà al bambino la sua stessa persona come
materiale con cui egli possa creare, cosicché alla fine la madre soggettivamente autocreata viene a
coincidere in larga misura con quella della realtà.
I sintomi antisociali rappresentano una brancolante ricerca di recupero ambientale, e indicano speranza. Il
bambino antisociale ha dunque bisogno di un ambiente specializzato che abbia finalità terapeutiche e che
possa dare una risposta di realtà alla speranza espressa dai sintomi. Ciò deve protrarsi per un lungo periodo

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per diventare efficace in senso terapeutico, e inoltre il bambino deve acquistare molta fiducia nel nuovo
ambiente.

PROVVEDERE AL BAMBINO DEPRIVATO


La pubblica opinione richiede che si debba fare tutto ciò che è possibile per i bambini che mancano di una
propria vita familiare. Non si può fare tutto ciò che è necessario per un bambino semplicemente
promulgando una legge o impostando un meccanismo amministrativo. Ciò che serve per occuparsi in
modo appropriato di un bambino sono degli esseri umani del tipo giusto, e coloro immediatamente
disponibili sono davvero pochi.
È necessario tenere presente la diagnosi psichiatrica di ogni bambino a cui provvediamo, e questa può
essere effettuata solo dopo aver redatto una storia accurata o dopo un periodo di osservazione.
Compiuta la diagnosi del bambino allo scopo di stabilire la presenza o l’assenza di elementi positivi nel
primissimo ambiente e il rapporto del bimbo con questo, il punto successivo consiste nel considerare il
trattamento da attuare. Tali misure possono essere così classificate:
 Genitori sostitutivi (foster parents): questi si propongono di dare al bimbo una vita familiare uguale a
quella che avrebbe dovuto essergli offerta dai genitori naturali. Questa misura solitamente è l’ideale,
ma per essere attuata è necessario che il bambino abbia avuto una vita familiare sufficientemente
buona nel suo passato, tale da renderlo capace di rispondere ad un ambiente così buono.
 Piccoli asili (small homes): affidati alle cure, se possibile, di tutori sposati: ogni asilo ospita bambini in
vari gruppi di età. Questi piccoli asili possono anche essere raggruppati insieme, con vantaggi sia dal
punto di vista amministrativo sia per i bambini stessi, i quali acquisiscono così dei “cugini”, per così
dire. Anche qui è necessario che i bambini che non possono trarre beneficio da un’opportunità simile
non vengano ammessi, in quanto un solo bambino non adatto potrebbe guastare il lavoro di un intero
gruppo.
 Ostello (hostel): ospita all’incirca 18 bambini. I tutori possono tenersi in contatto personale con tutti i
bambini, ma godono dell’aiuto di assistenti. Le responsabilità sono divise e i bambini hanno
l’opportunità di mettere gli adulti gli uni contro gli altri e sfruttare le gelosie latenti. Ci avviamo qui
verso un tipo di assistenza meno buono, ma più adatto a un tipo meno soddisfacente di bimbo
deprivato: in questi asili, infatti, è minore la necessità che ci sia una buona esperienza precedente.
 Ostello più grande: il direttore è qui solitamente impegnato nella guida del personale e si occupa solo
indirettamente dell’assistenza dei bambini. In questi ostelli si può ospitare un numero maggiore di
bambini: un personale più numeroso comporta maggiori scambi di vedute fra i membri, e anche i
bambini formano squadre in competizione fra loro. Questo genere di ostello si avvicina ancora di più al
tipo di assistenza adatta ai bisogni dei bambini più gravi. Il direttore, restando nello sfondo, può
rappresentare l’autorità di cui tali bambini abbisognano.
 Più in là troviamo l’istituzione ancora più grande, che si occupa dei bambini senza speranze. Esse sono
dirette con metodi molto autoritari. Qui i bambini difficili possono essere disciplinati in modo tale da
impedire loro, per lunghi periodi, di mettersi nei guai con la società. Bambini fortemente deprivati
possono trovarsi molto meglio in luoghi simili piuttosto che in case migliori.

TERAPIA E TRATTAMENTO AMBIENTALE


L’autore mette a confronto i due tipi estremi di trattamento: i genitori sostitutivi e la grande istituzione.
 Nel primo caso, i genitori sostitutivi, lo scopo è terapeutico. Si spera che, col tempo, il bambino si
riprenda dalla deprivazione. Perché ciò accada, è necessario molto di più della semplice risposta del
bambino all’ambiente. All’inizio il bambino è in grado di dare una pronta risposta, ciò può indurre a
credere che le difficoltà siano terminate. Tuttavia, col guadagnare fiducia, il bambino diventerà sempre
più capace di odiare il precedente ambiente mancante verso di lui. I genitori adottivi si accorgeranno
allora di essere diventati periodicamente il bersaglio del suo odio; essi dovranno prendere su di loro la
collera derivante dal fallimento della famiglia naturale. È molto importante che essi comprendano ciò
e che ne informino il funzionario incaricato della sorveglianza dei bambini, che altrimenti potrebbe
dare credito alle storie del bambino a proposito di presunti maltrattamenti. A volte il bambino riesce
addirittura a provocare un effettivo maltrattamento nel tentativo di portare nella realtà una malvagità

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che abbia ragione di essere corrisposta con tale odio; il crudele genitore adottivo è allora veramente
amato.
 Per contro, il bambino nella grande istituzione non è governato al fine di curarlo della sua infermità. Gli
scopi qui sono provvedere alloggio, nutrimento e vestiti ai bambini negletti; dare un tipo di
trattamento in cui i bambini vivano nell’ordine; e infine tenere il maggior numero di bambini lontani da
scontri con la società. Un trattamento severo in questi casi è essenziale. A tal proposito è importante
puntualizzare che anche in comunità molto severe, finché c’è coerenza e imparzialità, i bambini
possono scoprire tra loro dell’umanità e anche giungere ad apprezzare la severità per il fatto che
questa implica stabilità.
Nelle istituzioni di questo tipo i metodi di trattamento sono a profitto della società. I bambini saranno
costretti a perdere la loro propria identità in misura più o meno ampia. Comunque, ci saranno sempre
bambini che rappresenteranno una sconfitta, per i quali dovrebbe esistere un equivalente dell’ospedale
psichiatrico per adulti.

IMPORTANZA DELLA PRIMA STORIA DEL BAMBINO


Sappiamo che, a volte, prima di andare a letto, i bambini normali chiedono: «cosa ho fatto oggi?» e la
madre risponde, raccontando la giornata, finché l’intero diagramma della giornata non viene integrato
dall’esterno. Il bambino possiede tali notizie, ma desidera essere aiutato a divenirne consapevole. Ciò lo
aiuta a distinguere la realtà dal sogno e dall’immaginazione. La stessa cosa, in scala più grande, è
rappresentata dall’abitudine dei normali genitori di ritornare sulla vita trascorsa del bimbo, includendo sia
ciò che egli ricorda, sia ciò che non conosce affatto.
La mancanza di questo atto così semplice è una grave perdita per il bambino deprivato. Deve esserci
qualcuno che abbia raccolto quanto è disponibile. Nel migliore dei casi, l’assistente sociale potrà avere un
lungo colloquio con la madre naturale; spesso, tuttavia, dovrà andare qua e là a raccogliere informazioni.
A ciò seguirà il compito di stabilire un contatto col bambino quando ne avrà guadagnato la fiducia. Bisogna
trovare un modo di far capire il bambino che conserviamo la saga della sua vita trascorsa. Egli potrebbe
anche desiderare di non conoscerne nulla, ma più tardi potrebbe cambiare idea. In particolare, sono spesso
i bambini illegittimi o quelli la cui famiglia s’è sfasciata che, per acquistare la piena salute, devono avere la
possibilità di conoscere la propria storia.

FENOMENI TRANSIZIONALI
Com’è che il bambino comune può essere privato della casa e di ciò che gli è familiare senza ammalarsi? Ci
basti pensare ad un qualunque bambino e domandarci cosa egli si porta a letto come aiuto per
addormentarsi. Può anche darsi, in alcuni casi, che non ci sia stato un vero oggetto ma che il bambino si sia
succhiato il pollice, o abbia condotto un’attività genitale attribuibile alla masturbazione. In alcuni casi, nei
primi mesi il bambino avrà preteso niente meno che la presenza di un essere umano, probabilmente la
madre.
Winnicott chiama questa cosa oggetto transizionale. Dalla veglia al sonno il bambino passa bruscamente
da un mondo percepito ad uno da lui creato. Fra i due c’è bisogno di fenomeni di transizione di ogni
genere, che fungano da territorio neutro.
La maggior parte dei bambini compresi nella categoria dei disadattati non ha avuto questo oggetto,
ovvero lo ha perduto. Deve esserci qualcuno che l’oggetto rappresenta; il che significa che il loro stato non
può essere curato semplicemente dando loro un nuovo oggetto.
Questi fenomeni transizionali rendono il bambino capace di affrontare frustrazioni e deprivazioni e il
presentarsi di situazioni nuove. Se da questo punto di vista osserviamo l’uso dei giochi, delle attività auto-
erotiche, delle nenie serali, scopriremo che per mezzo di queste cose il bambino ha acquistato la capacità –
entro certi limiti – di fare a meno di ciò cui era abituato e di ciò di cui ha bisogno.
Un neonato o un bambino piccolo che vengono mossi da un posto all’altro affrontano lo stesso problema.
Se priviamo il bambino degli oggetti di transizione e disturbiamo i fenomeni transizionali formatisi, egli ha
una sola scappatoia: la scissione della personalità. Quando questa si è determinata, e i ponti fra il
soggettivo e l’oggettivo si sono rotti, il bimbo diventa incapace di agire come persona umana completa.

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17. INFLUENZE DI GRUPPO E IL BAMBINO DISADATTATO. L’ASPETTO SCOLASTICO

Il bambino normale, che vive in una casa normale, sviluppa degli scopi: egli va a scuola e ha realmente
interesse che questa gli insegni qualcosa. Egli trova il suo proprio ambiente e anzi contribuisce a
conservarlo, svilupparlo e modificarlo.
Al contrario, il bambino disadattato abbisogna di un ambiente che dia maggiore importanza al
trattamento che non all’insegnamento: in questi casi, “scuola” significa “ostello”. Per queste ragioni, coloro
che si occupano di bambini disadattati non sono insegnanti con un pizzico di comprensione umana, ma
psicoterapeuti di gruppo che aggiungono un pizzico di insegnamento. In tal senso, la conoscenza della
formazione dei gruppi è di fondamentale importanza per il loro lavoro.

SVILUPPO EMOTIVO INDIVIDUALE


Quanto più esaminiamo il processo della crescita emotiva, tanto più importante si rivela il fattore
ambientale. In condizioni di salute, ci aspettiamo che l’individuo diventi sempre più capace di identificarsi
con gruppi sempre più ampi, e ciò senza perdere il senso della propria individualità.
Noi ci prendiamo molta cura di offrire graduali estensioni del significato della parola gruppo attraverso
clubs o organizzazioni destinate agli adolescenti, e giudichiamo il risultato di un adolescente dal modo in
cui riesce ad identificarsi con gruppi successivi senza un’eccessiva perdita di individualità.
Nella prima età scolastica, la scuola offre un’estensione e un ampliamento della casa. A due o tre anni, essa
è integrata alla casa e non dà molta importanza al vero insegnamento. Il vero gruppo di questo bambino è
la sua propria casa. Alle prime tappe di questo processo constatiamo che il bambino è molto dipendente
dalle cure della madre, la quale deve compiere un adattamento ai bisogni del bambino. Ancora prima, il
bimbo “è retto” dalla madre, e comprende solo l’amore che si manifesta in termini fisici. In questo
primissimo stadio la dipendenza è assoluta.
Cosa riscontriamo nel processo della crescita emotiva individuale quando questo reggere e l’assistenza
generale sono rispondenti? Ciò che principalmente ci interessa a riguardo è il processo dell’integrazione.
Prima di questa, l’individuo è inorganizzato, è un insieme di fenomeni sensorio-motori tenuti insieme
dall’ambiente che regge. Dopo l’integrazione, l’individuo è, cioè ha raggiunto lo stato di unità (IO SONO).
Non c’è dubbio che le esperienze istintuali contribuiscano ampiamente al processo di integrazione, ma
bisogna anche tener conto della presenza dell’ambiente appropriato, di qualcuno che regge il bimbo,
adattandosi alle sue mutevoli esigenze. Questo qualcuno non può svolgere tale funzione se non tramite
quel genere di amore appropriato a questo stadio.
Prima dell’integrazione vi è uno stadio in cui il bambino esiste solo per chi lo osserva. Per il bambino il
mondo esterno non si è ancora differenziato dal mondo interno. Inoltre, in questo periodo c’è un’area che è
insieme madre e bambino. Se tutto va bene, gradualmente si scinde in due elementi. Tuttavia dobbiamo
aspettarsi il persistere di residui di quest’area intermedia, come si riscontrerà più tardi nel primo oggetto
cui egli si affezionerà: l’oggetto transizionale, la cui importanza sta nel fatto di essere
contemporaneamente una parte del bimbo e una parte della realtà esterna. Il bimbo che perde l’oggetto
transizionale perde nello stesso tempo la bocca e il seno, la mano e la pelle della madre.
Dopo l’integrazione il bambino comincia a costruire il suo proprio Sé. Una volta integrato, entra per la
prima volta a far parte di un gruppo. Prima di questo stadio vi è solo una primitiva formazione pre-gruppo
in cui gli elementi inintegrati sono tenuti insieme da un ambiente dal quale essi non sono ancora
differenziati. Questo ambiente è “la madre che regge”.

IL FORMARSI DEI GRUPPO


I gruppi possono avere origine in uno o l’altro degli estremi espressi dai seguenti termini: unità
sovrapposte e protezione.
1. Il fondamento della matura formazione del gruppo è la moltiplicazione delle unità individuali.
L’organizzazione che ogni singolo individuo apporta in termini di integrazione personale tenere a
mantenere l’entità del gruppo dall’interno. Ciò significa che il gruppo usufruisce dell’esperienza
personale degli individui, ognuno dei quali è stato sostenuto durante il momento integrativo.
L’integrazione del gruppo implica, in un primo momento, un’attesa di persecuzione che può
artificialmente provocare il formarsi in un gruppo, ma non di uno stabile.

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2. All’altro estremo, a un certo numero di persone relativamente inintegrate può essere data protezione
così da permettere il formarsi di un gruppo. In questo caso la dinamica non proviene dagli individui ma
dalla copertura. Gli individui di questo gruppo passano per tre stadi:
a) Sono contenti di essere protetti e acquistano fiducia;
b) Cominciano a trarre profitto dalla situazione, diventando dipendenti e regredendo verso
l’inintegrazione;
c) Cominciano, ognuno per proprio conto, a conseguire una qualche integrazione servendosi della
copertura offerta dal gruppo di cui hanno bisogno a causa della loro attesa di persecuzione.

La parola democrazia è usata per designare il raggruppamento più maturo, e si riferisce a un insieme di
persone adulte la maggioranza delle quali ha raggiunto l’integrazione personale così come la maturità
sotto altri aspetti.

DINAMICA DI GRUPPO E BAMBINO DISADATTATO


Lo studio della formazione dei gruppi composti di adulti, di adolescenti o bambini sani getta luce sul
problema del trattamento del gruppo in caso di bambini disadattati.
La parola disadattamento indica che in uno dei primi stadi l’ambiente ha mandato di adattarsi in modo
appropriato al bambino.
Come possiamo provvedere a questi bambini in modo da essere certi che quanto offriamo loro sarà adatto
ai loro bisogni che mutano man mano che essi progrediscono verso la salute? Possiamo scegliere fra due
metodi:
1. Uno stesso ostello accoglie lo stesso gruppo di bambini e si occupa di loro fino in fondo. All’inizio il
personale dà la copertura e il gruppo è un gruppo-copertura. In questo gruppo-copertura i bambini
peggiorano, e se le cose vanno bene raggiungono il fondo dell’integrazione. Gradualmente, uno per
volta, i bambini cominciano a raggiungere l’integrazione personale e in un periodo che va dai 5 ai 10
anni essi saranno sì gli stessi bambini, ma saranno diventati un nuovo tipo di gruppo.
2. Un gruppo di ostelli lavora insieme. Ciascuno di essi è classificato secondo il genere di lavoro che è
chiamato a svolgere e conserva il suo tipo. Per esempio:
A. Ostello con 100% di copertura
B. Ostello con 90% di copertura
C. Ostello con 65% di copertura
D. Ostello con 50% di copertura
E. Ostello con 40% di copertura
Con visite programmate i bambini conoscono i vari ostelli del gruppo, i quali si scambiano gli assistenti.
Quando un bimbo di un ostello A raggiunge una qualche integrazione personale, passa al successivo.
Così i bimbi che progrediscono avanzano verso gli ostelli E, che sono in grado di preparare
l’adolescente che affronta il mondo.
Il lato negativo di questo secondo metodo è che il personale dei vari ostelli corre il rischio di non
intendersi a meno che non abbia opportunità di incontrarsi o venga tenuto informato dei metodi
impiegati nei vari ostelli e della loro riuscita.

CLASSIFICAZIONE DEI CASI


L’autore conclude con una classificazione approssimativa dei casi:
1. Bambini malati nel senso che non si sono integrati in una unità e quindi non possono contribuire al
gruppo.
2. Bambini che hanno sviluppato un falso Sé che ha funzione di stabilire e mantenere il contatto con
l’ambiente e proteggere e nascondere il vero Sé. Vi è un’ingannevole integrazione che si dissolve non
appena è presa per scontata e le si richiede di contribuire.
3. Bambini malati nel senso che si sono ritratti. L’integrazione è stata raggiunta e la difesa si attua nella
forma di un riaggiustamento di forze benigne e maligne. Questi bambini vivono nel loro mondo
interno, artificialmente benigno.

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4. Bambini che mantengono sia un’integrazione personale sia la difesa dalla minaccia di disintegrazione
che si concretizza nella costituzione di una forte personalità.
5. Bambini che hanno conosciuto una appropriata assistenza agli inizi. La continuità del loro allevamento
ha tuttavia sofferto di una interruzione che ha impedito l’ulteriore uso degli oggetti intermedi. Questi
sono i comuni bambini con il “complesso della deprivazione”, il cui comportamento sviluppa
caratteristiche antisociali ogni volta che essi cominciano di nuovo a sperare. Nel migliore dei casi essi
regrediscono in senso generale, o in modo localizzato (come nell’orinare a letto). Nel peggiore dei casi
la società è costretta a tollerare i loro sintomi di speranza.
6. Bambini che hanno avuto un inizio abbastanza buono ma che hanno sofferto degli effetti di una figura
paterna o materna cui non si confà loro identificarsi.
7. Bambini con tendenze maniaco-depressive, con o senza elemento ereditario o genetico.
8. Bambini normali eccetto che in fasi depressive.
9. Bambini con attesa di persecuzione e con tendenza a subire o fare prepotenze. Nei maschi ciò può
formare la base di pratiche omosessuali.
10. Bambini ipomaniaci, con depressione latente o nascosta dietro disordini psicosomatici.
11. Bambini sufficientemente integrafi e socializzati da soffrire delle inibizioni e delle tendenze compulsive
e organizzazioni difensive contro l’ansietà.
12. Bambini normali che, trovandosi di fronte ad anormalità d’ambiente o in situazioni di pericolo,
possono usare ogni meccanismo di difesa senza essere condizionati ad un solo tipo da deformazioni
dello sviluppo emotivo.

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