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3/2019 Psicologia dello Sviluppo e Psicologia dell’Educazione Andrea Failla

Nature culturali – Graham Music


1. I Ciechi e l’elefante
In passato si pensava che gli esseri umani fossero pagine bianche da riempire sotto l’influenza dei
genitori o di altre figure. Un altro filone di pensiero affermava che i genitori non influenzano poi
così tanto lo sviluppo dei bambini. In realtà, entrambe le visioni sono estremamente
semplicistiche. Oggi sappiamo che i bambini nascono con caratteristiche temperamentali, e se
sottoponiamo tanti bambini a influenze simili, ognuno di loro reagirà in maniera diversa, seppur
con pattern comuni.
Winnicott (1996) afferma che “non esiste una cosa come un bambino”, intendendo che possiamo
capire un bambino solo in relazione alla mente e al comportamento di chi lo circonda.
Lo sviluppo dell’individuo inizia già dal concepimento, quando riceve l’eredità genetica dei
genitori. A seconda della cultura di appartenenza, il feto sarà esposto a una serie di stimoli (suoni,
odori, ritmi) diversi. Altri fattori che giocano un ruolo importante sono la presenza di un gemello, e
lo stato mentale della madre (ad es. se è ansiosa).

Fiaba indiana dei ciechi e dell’elefante: dei ciechi toccano ognuno una parte diversa del corpo
dell’elefante e formula un’ipotesi differente, la stessa cosa avviene in psicologia dello sviluppo.
Non ci si può limitare ad osservare assumendo una sola prospettiva, ma bisogna considerarle tutte
nel loro insieme.
Nb. A volte si farà riferimento ad alcune ricerche condotte sugli animali, ma è necessario tenere
presente che ciò che vale per gli altri animali non sempre vale anche per l’uomo.
Distinguiamo:
- Ricerche qualitative, che analizzano le esperienze infantili in ogni minimo dettaglio e ne
interpretano i significati.
- Ricerche quantitative, che studiano campioni di dati molto ampi.

Come già detto, l’essere umano è influenzato dall’ambiente che lo circonda, e lo influenza a sua
volta. Il cervello in fase di sviluppo crescerà in maniera diversa in ambienti diversi. Questa
circostanza è definita ​dipendenza dall’esperienza​. Esiste anche la cd. ​aspettativa dell’esperienza​,
ovvero gli stimoli che gli esseri umani sono predisposti ad aspettarsi, e senza i quali non crescono,
ad es. cibo, acqua, luce. Ciò suggerisce che per rendere le persone adeguatamente umane sono
necessarie esperienze precise, e mette in discussione il mito del buon selvaggio (Rousseau), che
cresce non contaminato dalla civilizzazione. L’assenza dell’atteso contatto umano può avere effetti
devastanti, perché questi bambini “selvaggi” non hanno ricevuto le cure primarie.
Diventare una persona (=acquisire il senso di sé) richiede la ricezione di una serie di stimoli da altre
persone sin da quando veniamo al mondo, e anche che facciamo esperienza del mondo.

2. Inizio della vita: dal concepimento alla nascita


Dopo il concepimento, l’ovulo fecondato, adesso ​embrione​, scende verso le tube di Falloppio, e si
impianta nelle pareti dell’utero. A otto settimane si parla di ​feto​. Attraverso la placenta, le
sostanze nutritive e l’ossigeno (ma anche droga, alcol, ormoni) passano nel flusso sanguigno del
feto per mezzo del cordone ombelicale.
Il feto stabilisce la posizione che avrà durante la gravidanza, ha sentimenti, risponde agli stimoli
dolorosi. È fortemente influenzato anche dagli stimoli ambientali: risponde ai segnali musicali, si
muove in sincronia col loro ritmo, il battito cardiaco accelera se la madre fuma una sigaretta.
È già evidente l’interazione tra natura e cultura: il feto è un essere di per sé, ma è anche un essere
sociale.

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Lo stato mentale della madre influenza l’ambiente prenatale attraverso il rilascio di ormoni. Ad es.
i feti di madri depresse reagiscono in maniera diversa agli stimoli luminosi e acustici, e si muovono
di più.

Con la tecnologia ad ultrasuoni è possibile osservare i movimenti del feto. È stato mostrato che i
feti sbadigliano, si muovono per trovare posizioni più comode, fanno smorfie di dolore, e quelli di
sesso maschile hanno erezioni. Quanto ai gemelli, si è visto come questi mostrino tratti di
personalità simili a quelli della vita post-natale, e che spesso uno dei due occupa più spazio uterino
dell’altro.

Nel 1991, Howard e Miriam Steele sottopongono le madri a un test, l’​Adult Attachment Interview​,
che indaga i ricordi d’infanzia del genitore. Attraverso queste interviste è stato possibile prevedere
in modo piuttosto accurato il tipo di attaccamento del bambino che sarebbe nato. Quindi c’è una
relazione tra il vissuto del genitore e lo sviluppo del figlio. Un altro esempio di come le esperienze
del genitore influenzino il nascituro è quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale in
Olanda, quando un gruppo di madri che rischiavano di morire per fame arrivarono a cibarsi di
tulipani. I loro figli hanno poi sviluppato un tipo di metabolismo parsimonioso.

Ansia e stress materno non solo influenzano il peso alla nascita, ma sono le principali cause di
complicanze alla nascita e nei periodi successivi. Ad es. bambini con basso peso alla nascita e con
madri ansiose sono maggiormente soggetti a produrre alti livelli di cortisolo. Lo stress prenatale
influenza i livelli degli ormoni regolatori dell’umore, quali ​dopamina ​e ​serotonina​, e in alcuni casi
portano ad ADHD.

Il processo della nascita è altrettanto fondamentale per lo sviluppo. Durante la nascita si


registrano alti livelli di ossitocina, che rafforzano le difese immunitarie. La qualità dell’esperienza
del parto può influenzare la relazione madre-bambino, ad es. madri traumatizzate si sentono
spesso rifiutate dal proprio bambino.

3. Nati per essere in relazione


Il neonato ha bisogno di cure costanti sia sul piano fisico che emotivo. È in grado di suscitare negli
altri le risposte di cui ha bisogno, ed ha una capacità straordinaria di rispondere all’ambiente
sociale. Klaus (1998) ha descritto le capacità innate del neonato, che già pochi minuti dopo la
nascita si dirige verso il seno materno e ne cerca il capezzolo. In ciò ha un ruolo fondamentale
l’odore: se i seni vengono lavati, il bambino incontra maggiori difficoltà. I bambini nascono
predisposti a riconoscere l’odore materno.
Durante l’allattamento, la madre produce ossitocina, l’ormone del benessere, che aiuta la
formazione del legame e innalza la soglia del dolore.
Per certi genitori il bonding non è immediato, ma una sollecitazione del legame può fare una
notevole differenza. Ad es. aumentare di qualche ora al giorno il tempo trascorso col bambino
riduce drasticamente il rischio di abbandono.

C’è chi pensa che il bonding madre-bambino vada creato immediatamente, un’idea divulgata
grazie a studi etologici sugli animali. Le papere, ad es. si legano e seguono la prima creatura che
vedono, di qualunque specie essa sia. Tuttavia, gli esseri umani sono diversi, e non hanno un
tempo limite entro il quale deve necessariamente svilupparsi il bonding. Gli esseri umani
potrebbero legarsi con qualsiasi bambino, non solo il proprio, e non necessariamente subito.
Bowlby, il padre della teoria dell’attaccamento, ha dimostrato che i ​legami affettivi​ si sviluppano in
seguito a cure costanti e alla vicinanza che dura nel tempo.
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Il bonding umano si sviluppa già durante la gravidanza, ad es. quando la madre visiona le immagini
ecografiche e particolarmente quando riceve la conferma che il bambino sia in salute. Dal canto
loro, i bambini facilitano l’instaurazione del legame grazie ai loro tratti fisici, che – analogamente a
quelli dei cagnolini, gattini, e cuccioli di foca – trasmettono tenerezza.
Particolare importanza, come già ribadito, assume l’allattamento, che rilascia ormoni utili, quali la
prolattina​, che fa aumentare il senso di protezione e sollecitudine. Il livello di prolattina aumenta
perfino nel padre, prima e dopo la nascita. Anche l’ossitocina, ormone del benessere, viene
prodotta in questa situazione.
È stato dimostrato (Leckman) che quel tipo di amore quasi ossessivo provato dalla madre verso il
figlio ha caratteristiche molto simili ai sintomi ossessivo-compulsivi. Infatti, sia nei pazienti con
OCD, sia nelle neomamme particolarmente ansiose, si sono registrati alti livelli di ossitocina.

Fino a poco tempo fa si credeva che i bambini nascessero ciechi, ma in realtà sono in grado di
cogliere colori e forme, e sono quindi predisposti all’interazione sociale. Si relazionano in maniera
diversa con gli oggetti e con le persone; dalle ultime si aspettano una reazione, un’interazione,
mentre reagiscono ai primi come con qualcosa da esplorare. In genere, preferiscono i visi (meglio
se ad occhi aperti) agli oggetti inanimati, e manifestano preferenza per quello della madre.
Preferiscono la voce della madre rispetto a quella di un estraneo, e anche rispetto a quelle di altre
donne. È stato dimostrato come i ritmi di suzione rallentino se il bambino sente la voce materna;
questo comportamento si affievolisce nel caso di madri ansiose.
I bambini di poche settimane hanno una capacità di apprendimento sviluppatissima, e sanno
tradurre esperienze vissute da una modalità sensoriale in un’altra.

I bambini nascono con capacità sociali potenziali, che devono essere accuratamente stimolate per
permetterne lo sviluppo. Sono in grado di imitare già venti minuti dopo la nascita (es. genitore tira
fuori la lingua, bambino imita e, dopo qualche tentativo, riesce). Imparano presto ad imitare suoni
e gesti, e non imitano atti involontari, es. starnuti. Il processo di imitazione porta a una
sintonizzazione tra le parti. Ovviamente, non tutti i genitori sono in grado di instaurare una
sintonizzazione affettiva coi figli, ma questi ultimi imparano presto cosa aspettarsi.
I neonati producono più suoni simili al linguaggio quando le madri sorridono, specie se il sorriso è
sincero (cd. ​sorriso Duchenne)​ .
Attraverso l’imitazione e le risposte ricevute, imparano che possono produrre effetti sugli altri,
nonché il senso di una loro capacità di agire (cd. ​agency​) e provano piacere per le reazioni che
riescono ad innescare. i bambini di due mesi scalciano di più se, facendolo, fanno muovere una
giostrina (cd. ​contingenza​), ma non scalciano con lo stesso vigore se lo stesso oggetto si muove da
sé. Mostrano, inoltre, segni di protesta se la reazione contingente si interrompe.
Appena nati preferiscono una contingenza quasi perfetta, ma, crescendo, tollerano anche livelli
più bassi.

I genitori tendono a interpretare i segnali del bambino e a rispondere, spesso verbalmente. Se


rispondono prontamente e senza ansia, il bambino tenderà a fidarsi di più e a credere che il
mondo sia un posto sicuro.
Quando il bambino è arrabbiato, il ​caregiver​ mostra che lo comprende, spesso riproducendone i
suoni e le espressioni (cd. ​marking, o​ ​marcatura​). Il marking consiste nel riflettere, amplificandoli
leggermente, i sentimenti del bambino, ma senza fare i buffoni. Ciò consente di comunicare al
piccolo che l’emozione negativa provata non ha sconvolto l’adulto, e che può comunque contare
su di lui, cd. ​contenimento emotivo​.

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Non si tratta di semplice ​rispecchiamento (=r​ iflettere a qualcuno il suo stato mentale o emotivo),
perché il bambino si sentirebbe peggio se gli riflettessimo il suo disagio; quando questo è
compreso e tollerato da un altro, fa meno paura.

Il pianto è un’area in cui il biologico e il sociale sono legati indissolubilmente; è uno strumento di
segnalazione innato, ma i bambini piangono solo se hanno un ascoltatore sensibile. I genitori
imparano a comprendere il bambino, e questo, a sua volta, impara ad adattarsi ai genitori. Se il
bambino riceve un accudimento sensibile, si fiderà maggiormente del caregiver, e si calmerà più in
fretta. Nel caso di un accudimento non sensibile, il bambino impara a non piangere – perché sa
che la sua segnalazione non riceverebbe risposta – anche se si registrano comunque alti livelli di
cortisolo.

4. Meccanismi infantili di ​coping​, mancanze di sintonizzazione e modalità riparative


I neonati sono molto sensibili all’umore e alle intenzioni delle persone con cui interagiscono. Una
ricerca ha dimostrato che una madre impiega un secondo a rispondere al gesto di un neonato,
mentre quest’ultimo risponde in 1/3 di secondo.
Il repertorio dell’autoregolazione del neonato è limitato. Per osservare le strategie di​ coping
(=strategie d’adattamento) si ricorre all’esperimento ​Still Face.​ (cfr. Lynne Murray, cfr. appunti)
alcuni bambini rispondono all’esperimento tentando di reinstaurare l’interazione, altri facendo
smorfie, altri ancora distogliendo lo sguardo. Quando la situazione diventa particolarmente
stressante, attuano pratiche di autoconsolazione, ad es. carezzandosi o serrando i pugni.

Se un rapporto è difficile o accade di non incontrarsi nell’interazione, questo non è dovuto


esclusivamente alla mancanza di sensibilità della madre. I bambini non sono tutti uguali, e i
genitori non sempre sanno interpretarne i segnali. Un esempio è la ricerca svolta da Fraiberg
(1974) sui figli non vedenti di madri vedenti. Alcuni di loro si sviluppavano normalmente, mentre
altri apparivano isolati e antisociali. Ciò, come dimostrò la Fraiberg, era dovuto al fatto che le
madri di questi ultimi, non ricevendo reazioni ai loro sorrisi, si erano sentite respinte dai figli e
hanno dunque cominciato a interagire di meno, e questo ha portato allo sviluppo di meccanismi di
coping n​ ei bambini (in questo caso, isolamento). Le madri che interagivano principalmente con
vocalizzi, invece, hanno permesso uno sviluppo normale delle abilità sociali dei figli.
Questo esperimento fornisce un’ulteriore lezione: i genitori devono adattarsi al bambino per
quello che è e viceversa, poiché ci sono tipologie di bambini differenti e madri con inclinazioni
diverse.
Lynne Murray (et al.) ha condotto uno studio sulle madri a rischio di depressione; si è visto che se i
loro figli erano particolarmente irritabili (“bambini difficili”), le madri avevano il triplo delle
possibilità di cadere in depressione. Questo è un esempio del carattere bidirezionale della
relazione madre-figlio, e di come le due parti possono influenzarsi reciprocamente.
Anche i bambini prematuri vanno spesso incontro a interazioni difficili. Aumenta la probabilità –
rispetto ai bambini normali – di mostrare problemi comportamentali, QI più bassi, e – in
adolescenza – disturbi emozionali, dell’attenzione, e problemi nel rapporto fra pari. Le loro madri
sono spesso insicure e angosciate, il che è dovuto/aggravato dal lungo periodo di separazione dal
bambino alla nascita.
I bambini con disabilità sono anch’essi a rischio, perché i genitori, pur non volendolo, trovano a
volte difficile instaurare una relazione amorevole con un bambino che non si aspettavano, senza
contare che neonati e bambini con disabilità richiedono maggiori risorse emozionali, sociali ed
economiche.

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La Fraiberg ha dimostrato anche che in situazioni di stress, i bambini sviluppano meccanismi di


coping esagerato, che possono trasformarsi in pattern di comportamento radicati e abituali,
utilizzati anche quando non sono apparentemente necessari. I bambini da lei studiati avevano un
passato di trascuratezza e abusi; il loro meccanismo di difesa era ​l’evitamento:​ di rado cercavano
lo sguardo della madre, non gattonavano verso di lei, si voltavano da un’altra parte, ma ciò non
accadeva con altri adulti.
Un’altra risposta comune alla paura è ​il congelamento​, immobilizzazione totale, irrigidimento della
postura e blocco delle articolazioni. I bambini che hanno assistito a violenze tendono ad attivare il
congelamento per difendersi e come strategia di coping.
In caso di alta deprivazione e mancanza di cure primarie, una possibilità di difesa è offerta
dall’​aggressività​, che può essere indirizzata verso di sé o verso gli altri.
Tra le altre difese vi è il modo in cui i neonati riescono a gestire gli affetti dolorosi trasformandoli
in qualcosa di positivo. Ad es. bambino ha fame, madre scherza e allontana da lui il biberon. Il
bambino si adatta e comincia a ridere e scalciare, quasi fosse contento nonostante la situazione
straziante, mostrando di fatto un comportamento quasi sadomasochistico.

Anche quando le cose vanno per il meglio, la sincronia e la sintonizzazione affettiva reciproche
sono ben lungi dall’essere perfette. I genitori devono quindi puntare ad essere ​abbastanza buoni​,
e non ​perfetti.​ Non è quindi necessario rispondere immediatamente ai segnali del bambino – può
capitare che il genitore sia preso da altro o che interpreti male un segnale; è possibile ​riparare​ la
mancanza di sintonizzazione.

Lo sviluppo mentale dei genitori influisce sullo sviluppo psicologico dei neonati anche di pochi
giorni. Murray ha dimostrato che adottare un adeguato sostegno terapeutico ha cambiato di
molto gli effetti della relazione madre-bambino.
Trascorrere molte ore al giorno con una persona con depressione (piatta, isolata, che non
comunica) è molto diverso dallo stare in compagnia di una persona sensibile. I figli di madri
depresse hanno totalizzato punteggi peggiori rispetto alla media in alcuni test, e mostrano un
rischio maggiore di sviluppare un attaccamento insicuro.
Gli effetti cambiano a seconda del tipo di depressione materna: depressione più intrusiva o più
ritirata.
Oltre alla depressione, altre patologie che producono effetti negativi sui bambini sono: disturbi
d’ansia, disturbi di personalità borderline, disturbi alimentari, che hanno tutti in comune il fatto
che i genitori sono meno in sintonia rispetto ai ritmi e ai desideri del neonato.

5. Empatia, prime organizzazioni del sé, altre menti


Quando un bambino compie un gesto, come un gemito improvviso, o un gridolino triste, se il
genitore risponde sottolineando tale gesto, non solo si regola il suo affetto, ma il bambino è anche
tirato dentro un mondo di significati da un’altra persona. Questo processo è stato definito
mind-mindedness​ (propensione del caregiver a considerare il bambino un agente mentale di
pensieri, stati d’animo ed emozioni).
I figli di genitori mind-minded, che hanno cioè una sorta di sensibilità mentale, sviluppano le
competenze necessarie per empatizzare e comprendere altre menti prima degli altri. Anche avere
fratelli o sorelle aumenta tali competenze.
La mind-mindedness è connessa al sistema di regolazione dell’affetto, che descrive in che modo un
adulto riesca a regolare gli stati emozionali e fisiologici del bambino se è in sintonia con essi. La
regolazione privilegia le emozioni difficili e sottovaluta le interazioni sociali positive.
La sintonizzazione affettiva descrive un soggetto in contatto con entrambi gli stati mentali di
qualcun altro (sia positivi che negativi) e porta anche ad aver fiducia che i propri pensieri e
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sentimenti saranno accettati e compresi. Se un bambino piange, qualcuno comprende il suo stato
mentale e lo calma dopo aver inviato stimoli tranquillizzanti, allora si può desumere che il suo
stato d’affetto è stato regolato. Il risultato più importante è che il bambino impara a comprendere,
tramite gli occhi dell’altro, quali sentimenti quegli occhi esprimono, in modo tale che anche i suoi
stati di sofferenza possano trovare significato attraverso le espressioni dell’altro.
Il bambino vede e interpreta le emozioni e reazioni dell’altro come attraverso uno specchio
deformante; percepiscono, cioè, immagini e suoni che potrebbero accrescere i sentimenti che li
mettono in difficoltà. Ad es. bambino sente rumore e si spaventa, genitore dice “non essere fifone,
controllati!”, probabilmente potrebbe sentirsi attaccato e pensare di non avere vie d’uscita.
L’esperienza empatica è qualcosa di più che un semplice restituire gli stessi sentimenti. Se fosse
così, una madre empatica restituirebbe un’espressione di terrore al figlio spaventato. <- eccessiva
empatia. In realtà, una madre empatica percepisce le emozioni del bambino, le rielabora, le
modula, e le restituisce “digerite”. In questo modo, le emozioni non sono più pericolos.
A due mesi si osservano le prime ​protoconversazioni​ tra il neonato e il genitore, conversazioni
fatte di sguardi reciproci. Già dai primi mesi di vita, i bambini sono consapevoli di essere oggetto
delle attenzioni altrui.
Cfr. Murray cap. I
Cfr. ​esperimento del precipizio visivo​.

Teoria della mente​ è il termine che alcuni ricercatori hanno utilizzato per descrivere la capacità di
assumere il punto di vista altrui. Avere questa capacità significa saper uscire da se stessi, capire le
intenzioni, le convinzioni e i sentimenti degli altri, e distinguerli dai propri. Alcune persone
sviluppano questa capacità in maniera più completa, altre meno. Ad es. madri con disturbo della
personalità borderline tendono a confondere gli stati emozionali del bambino coi propri.
Nel 1976 Piaget sosteneva che i bambini sono egocentrici e presuppongono che tutti vedano il
mondo come lo vedono loro.
Un esperimento classico che misura il livello di padronanza di una teoria della mente è il cd. ​test
della falsa credenza.​
1. Si dice al bambino che Sally ha messo una biglia in un cestino ed è andata via
2. Anne prende la biglia e la sposta in una scatola
3. Si chiede al bambino: quando sally tornerà, dove cercherà la biglia?
Fino a 4-5 anni, il bambino tenderà a dare la risposta sbagliata, poiché non è in grado di assumere
il punto di vista di un’altra persona.

Per i bambini e gli adulti autistici risulta spesso difficile comprendere il mondo assumendo un’altra
prospettiva, ed è molto probabile che non riescano a superare un test della falsa credenza. Non
comprendono le emozioni degli altri, e nemmeno le loro. Tre gruppi di sintomi:
- Grave disturbo dell’interazione sociale, che implica: non cercare conforto, giocare da soli,
non capire sentimenti e regole.
- Problemi nella comunicazione verbale e non verbale.
- Assenza di gioco creativo, uso frequente di rituali ripetitivi.

Cfr. pedagogia: Neuroni specchio, Rizzolatti.


6. Attaccamento
Il termine ​attaccamento​ si usa, nel linguaggio comune, per descrivere il tipo di legame forte o
debole di una persona. In psicologia, invece, con ​teoria dell’attaccamento​ ci si riferisce alle
ricerche compiute da John Bowlby, ampliate poi da molti suoi successori.
Alle radici della TdA ci sono la psicoanalisi, la psichiatria, la teoria evolutiva e l’etologia (=studio dei
comportamenti animali nel loro ambiente). L’intuizione di Bowlby era incentrata su come la
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mancanza di cure materne durante la crescita lasciasse profonde cicatrici sui piccoli di molte
specie (parte da studi sui primati di Harlow e Hinde). Studiò anche i giovani criminali e scoprì che
molti di loro erano stati separati dai genitori o avevano ricevuto cure genitoriali incostanti.
A questo punto, la TdA era una sorta di ​teoria spaziale​: più è forte la vicinanza con la figura di
attaccamento, più il bambino era felice e rilassato.

Nella fase successiva, la TdA ampliò la sua portata e complessità: si aggiunse la consapevolezza che
non tutti i genitori garantivano lo stesso tipo di base sicura, e che differenti stili genitoriali
portavano i bambini ad avere differenti stili relazionali. Caratteristico di questa fase è il test della
Strange Situation​ (Ainsworth):
- Madre e bambino di 1 anno ca. entrano in una stanza con giocattoli.
- Sconosciuto entra nella stanza e parla con la madre, poi prova ad interagire col bambino
- Genitore lascia la stanza senza farsi notare, sconosciuto cerca di interagire col bambino
- Madre torna e consola il bambino, poi lascia la stanza insieme allo sconosciuto, lasciando il
bambino da solo.
- La mamma torna e cerca di consolare il bambino.
Tutto avviene in 20 min ca.
Sorprende la variabilità di reazioni del bambino. Ainsworth raggruppa i comportamenti registrati in
tre categorie, una di ​attaccamento sicuro​ e due di ​attaccamento insicuro (​ evitante e ambivalente).
Cfr. Murray cap. II
A queste due categorie di attaccamento insicuro se ne aggiunse una terza (disorganizzato), che
comprende i bambini che reagiscono in maniera imprevedibile. (si avvicinano al genitore, poi se ne
allontanano, sbattono la testa contro il muro, poi si congelano). Cfr. Murray cap. II

Il successivo balzo in avanti della TdA è si è compiuto grazie all’elaborazione di uno strumento
chiamato ​Adult Attachment Interview,​ che ha mostrato legami tra lo stato mentale degli adulti e il
tipo di attaccamento dei bambini. L’AAI è un’intervista semistrutturata che richiede circa un’ora ed
ha l’obiettivo di sorprendere l’inconscio. In base a questo test si distinguono quattro gruppi di
genitori:
- Sicuri-autonomi -> attaccamento sicuro
- Preoccupati -> attaccamento insicuro ambivalente
- Distanzianti -> A. I. evitante
- Disorganizzati -> A. I. disorganizzato.
Cfr. Murray cap. II, in part. “Fattori che condizionano la capacità dei genitori di fornire un
accudimento sensibile”
NB. Non è l’infanzia dei genitori ad essere predittiva, quanto la loro capacità di rifletterci su, cd.
funzione auto-riflessiva.​

Un concetto che si lega a quello di ​mind-mindedness ​è quello sviluppato da Fonagy e Target, la cd.
mentalizzazione.​ È la capacità di descrivere gli stati mentali propri e altrui, di riflettervi su, e di
capire che il comportamento delle persone è influenzato da fattori psicologici ed emozionali.
Nasce una contraddizione; la ​mentalizzazione​ è un fattore fondamentale per l’instaurazione di un
attaccamento sicuro. Tuttavia, una parte di questa capacità rimane sospesa nella relazione con
l’altro, perché la figura di attaccamento implica che ci si fidi di lei.
Quanto all’AAI, la predizione dello stile di attaccamento è valida solo per i primogeniti: non è detto
che altri figli sviluppino lo stesso stile di attaccamento.
Per quanto concerne attaccamento e biologia, non sembra esserci alcun collegamento tra il
temperamento del bambino e lo stile di attaccamento sviluppato.

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Una domanda importante è se la teoria dell’attaccamento possa essere estesa ad altre culture
oppure se nella ricerca è insito un pregiudizio nei confronti degli stili genitoriali che sono
considerati migliori in Occidente.
È possibile estendere la teoria ad altre culture, e ciò ha permesso di dimostrare che l’attaccamento
sicuro è lo stile più diffuso, sebbene presenti alcune varianti culturali. (ad es. in Giappone i
bambini con attaccamento sicuro piangono meno, ma ciò non li caratterizza come evitanti)
Inoltre, è opportuno chiedersi se i concetti relativi all’attaccamento contengano pregiudizi
culturali. Ad es. autonomia, esplorazione e indipendenza sono fortemente apprezzati in Occidente,
mentre a Puerto Rico si preferisce un’attenzione calma e rispettosa.
Nonostante le differenze culturali, di cui è necessario comunque tener conto negli. Studi
sull’attaccamento, si può affermare che l’attaccamento presenti un alto grado di applicabilità tra
culture diverse.

Non tutti i bambini con attaccamento insicuro svilupperanno disturbi del comportamento,
sebbene l’attaccamento disorganizzato ad un anno – ipotesi più preoccupante – sia un buon
predittore di patologie psicologiche a diciassette.
L’A.I. disorganizzato si presenta spesso associato ad altri fattori di rischio, come povertà, famiglia
monoparentale, violenza, uso di alcol e sostanze, etc.
I bambini con A I D si mostrano spesso ipervigili e risentono di elevati livelli di stress; non riescono
a trovare un’adeguata strategia di coping, perché sia l’approccio che il ritiro incutono loro paura.
Hanno spesso dovuto disattivare i comportamenti di attaccamento per sopravvivere, isolandosi da
ciò che succedeva dentro di loro, usando difese estreme come attacco, fuga o dissociazione
(=scissione della mente grazie alla quale ci si isola da alcune esperienze, spesso presente in caso di
trauma). Finiscono per presentare deficit dell’attenzione, di capacità emotive e cognitive, e
difficoltà nello sviluppare strategie interpersonali coerenti.
Si parla spesso di ​disturbi dell’attaccamento​. È necessario chiarire che l’attaccamento
disorganizzato è uno ​stile ​di attaccamento, non un ​disturbo.​ Il ​Disturbo Reattivo
dell’Attaccamento​, invece, è una classificazione psichiatrica che descrive bambini trascurati in
modo cronico o che hanno subito abusi massicci, mancanza di cura e non hanno mai sviluppato
attaccamento per una figura in particolare. In ogni caso, AID e DRA non sono in alcun modo
collegati.

7. L’importanza della cultura


Ogni cultura ha un modo diverso di allevare i bambini e convinzioni più o meno radicate su come
farli crescere. Ci sono, quindi, aspetti dello sviluppo universali e culturali.
​ ella popolazione Bimin-Kuskusmin (Oceania), che potremmo
Ad es. il concetto di ​finiik n
considerare ​spirito​ o ​forza vitale​ (cfr. p.86).
Anche il pianto è influenzato da componenti culturali, ad es. i bambini francesi piangono seguendo
una melodia crescente, quelli tedeschi secondo una decrescente.
In quasi tutte le culture si ha l’idea che il proprio stile di vita sia superiore a quello delle altre. Ad
es. quando alle mamme del Camerun sono stati mostrati video di madri europee che lasciavano
piangere i bambini, hanno chiesto di venire per poter insegnare loro un modo migliore di accudirli.
È importante fare una distinzione tra:
- Società sociocentriche​. Improntate all’interdipendenza tra i membri;
- Società egocentriche.​ Valorizzano l’individualismo e l’autonomia.

La concezione di cosa sia un bambino cambia a seconda delle culture. In alcune, il bambino nasce
segnato dal peccato e deve essere purificato, in altre è considerato reincarnazione di un antenato.

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Molte donne europee non comunicano la gravidanza prima del terzo mese per non “sfidare il
destino”, laddove presso altre culture la notizia viene data immediatamente.
Un europeo, abituato ad allontanare i bambini da coltelli e oggetti che ritiene potenzialmente
pericolosi, rimarrebbe sbigottito alla vista di bambini congolesi che usano tranquillamente il
machete, o di bambini della Nuova Guinea che usano il fuoco già prima di iniziare a camminare.
(cfr. Antropologia Culturale, testo ​Genere/Sessi​ di Mathieu)
“Siamo tutti in una certa misura prigionieri del nostro sistema culturale di valori” (Music)

(v. pp. 89-91, “sociocentrismo ed egocentrismo, coppie e gruppi”) <- ribadisce quanto già detto

Dunque, cosa è universale e biologicamente naturale? Principalmente:


- Allattamento al seno.​ È sicuramente una pratica naturale ed universale per ovvie ragioni. In
alcune culture si ha timore di allattare troppo, troppo a lungo, o troppo spesso.
Sostenendo che l’allattamento al seno sia naturale si rischia, tuttavia, di scivolare nella
convinzione morale per cui non allattare al seno sia innaturale. C’è anche il pericolo
opposto: certe madri in Europa sono scoraggiate dall’allattare a lungo o in pubblico, perché
considerato “sgradevole”.
- Le emozioni.​ È stato dimostrato da Ekman e colleghi che anch’esse sono universali. A tribù
della Nuova Guinea sono state mostrate delle immagini di uomini bianchi che esprimevano
diverse emozioni, che venivano correttamente identificate. È interessante notare che i
bambini non vedenti esprimano le emozioni con gli stessi movimenti muscolari dei
normovedenti, pur non avendoli mai visti, il che fa pensare a una sorta di eredità evolutiva.

La cultura influenza l’età di raggiungimento delle tappe evolutive (ad es. variazioni nell’età in cui i
bambini si riconoscono allo specchio) e il modo in cui disturbi e problemi sono concettualizzati. (v.
pp. 94-95 “Variazioni culturali in età evolutiva”)

Culture diverse -> esperienze diverse -> sviluppo diverso del cervello. (v. pp. 95-96)

8. Biologia e cervello
Le neuroscienze hanno confermato l’opinione di Freud, che riteneva che gran parte
dell’elaborazione mentale avvenisse in modo non conscio. Allo stesso modo, modelli di abitudini e
schemi di relazione si instaurano inconsciamente quando siamo giovani, e raramente siamo
consapevoli della loro presenza. È in questo modo che si costruisce la cd. ​memoria procedurale​,
che è quella che ci fa andare in bicicletta, suonare uno strumento, allacciare le scarpe, ma anche
che ci fa formare delle aspettative su nuove situazioni sociali basandosi su esperienze pregresse.
Gran parte dell’apprendimento emozionale del primo anno di vita è di tipo procedurale.
L’amigdala è una piccola parte del cervello già ben sviluppata alla nascita, e fondamentale
nell’apprendimento emozionale, in particolare per quanto concerne la paura. È proprio perché
l’amigdala è sin da subito ben sviluppata che certe paure permangono nell’età adulta. È come se
venissero “scritte” nell’amigdala, già da prima che sia possibile averne un ricordo conscio.

Le unità fondamentali del cervello sono i neuroni, lunghe entità con un nucleo centrale, che si
collegano tra loro mediante le sinapsi. Un neurone è connesso in media ad altri 10K neuroni, e un
cervello ne contiene circa 100 miliardi.

Le neuroscienze hanno confermato che lo sviluppo del cervello è anche dipendente


dall’esperienza, e che particolari esperienze danno luogo a percorsi di sviluppo specifici. Quando
nasciamo, il cervello possiede un’enorme quantità di cellule, ma pochissime connessioni tra di
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esse. Se non vengono accuratamente stimolate, semplicemente muoiono (cd. ​potatura


neuronale​). Dall’infanzia all’adolescenza vengono potati quotidianamente circa 20 miliardi di
sinapsi. Una volta che una connessione neuronale viene stabilita, rimane attiva.
Regola di Hebb: ​le cellule che si attivano insieme si connettono (e sopravvivono) insieme​.
All’inizio del concepimento il cervello umano è malleabile, presenta, cioè, elevata ​neuroplasticità​.
È allora che comincia l’apprendimento emozionale. La neuroplasticità diminuisce col tempo, ma ci
sono comunque dei periodi di particolare sensibilità, specie intorno ai cinque anni e
nell’adolescenza. Un po’ di plasticità rimane per tutta la vita.

L’esperienza agisce non solo sullo sviluppo del cervello, ma anche sulla produzione delle sostanze
chimiche nel corpo umano. Abbiamo visto, ad es. come il cortisolo prodotto in seguito ad alti livelli
di stress in gravidanza possa influire sullo sviluppo del feto. Un accudimento amorevole, invece,
porta alla produzione di ormoni diversi, come l’ossitocina (ormone del benessere). Le specie
animali che creano ​legami di coppia,​ come gli uomini, hanno più recettori di ossitocina rispetto a
quelle che non li creano. Inoltre, l’ossitocina è collegata a una maggiore tendenza alla fiducia e a
una minore paura sociale.
Molti farmaci e droghe imitano gli effetti chimici che il nostro corpo produce naturalmente
quando ci sentiamo bene.

È molto diffusa un’erronea convinzione secondo la quale gli emisferi destro e sinistro del cervello
si “dividano i compiti” e siano quindi deputati ognuno a funzioni specifiche. Ad ogni modo, delle
differenze esistono. L’emisfero sinistro si occupa maggiormente delle competenze linguistiche,
strumentali e logiche, mentre quello destro è maggiormente orientato verso intuizione,
elaborazione delle emozioni e creatività.
Ci possono essere delle incongruenze tra le nostre convinzioni non coscienti e le storie che
l’emisfero sinistro racconta a noi stessi e agli altri, come quando facciamo finta di non essere
gelosi quando la persona che amiamo sta con qualcun altro. Durante un esperimento, ad uomini
chiaramente omofobici sono stati fatti vedere film con molte scene di sesso omosessuale; il
gruppo più dichiaratamente omofobico era anche quello che mostrava maggiore eccitazione

Lo psicologo e neuroscienziato Bruce Perry ha ampliato la nostra conoscenza in merito agli effetti
del trauma sullo sviluppo del cervello, e ha dimostrato come bambini traumatizzati non si rilassino
quasi mai, si muovano di continuo, e siano in un costante stato di ipervigilanza e di angoscia
disperata. Queste risposte esagerate sono indice di un’alta attivazione del ​sistema nervoso
simpatico​. Quando invece ci si chiude in se stessi, o ci si congela, ad essere particolarmente attivo
è il ​sistema nervoso parasimpatico​. A seguito di un trauma le aree del cervello deputate al
ragionamento si spengono, ed emergono invece meccanismi primitivi deputati alla sopravvivenza.
Uno stato di grave trascuratezza (che è diverso dal trauma) può provocare atrofia di alcune parti
del cervello e ritardi evolutivi, oltre a deficit di empatia, regolazione delle emozioni e problemi
nella gestione di relazioni sociali e intime.

9. Linguaggio, parole e simboli


Per gran parte della storia della psicologia il linguaggio è stato esaminato in relazione allo sviluppo
delle capacità cognitive, e le parole sono state considerate essenzialmente ​scaffolding​ (=
un’impalcatura in continua evoluzione a supporto del pensiero, cfr. pedagogia(?)
Il rapporto tra bambini e linguaggio inizia nell’utero, e il bambino riesce a riconoscere i suoni sin
dai primi mesi di vita. A nove mesi circa iniziano a comprendere i significati delle parole.
Solitamente, appena prima del primo anno cominciano a produrre le prime parole, e alla fine del
secondo sono in grado di utilizzare dai 20 ai 50 vocaboli, anche in combinazione tra loro. Nell’anno
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successivo apprendono i rudimenti della grammatica, e sono in grado di formare frasi


relativamente più complesse. Intorno ai cinque anni hanno già acquisito le competenze necessarie
per raccontare storie. (indicazioni temporali sono indicative, alcuni bambini raggiungono prima,
altri dopo).
Il mondo non è più lo stesso dopo l’acquisizione del linguaggio, poiché le parole hanno la capacità
di determinare il mondo e la visione che ne abbiamo. Tuttavia, come ha dimostrato Stern, il
linguaggio può essere anche considerata una perdita. Un bambino, osservando la luce del sole che
illumina un muro, sperimenta il calore, la forma, l’intensità, la brillantezza; questa “sensazione
totale” viene distrutta nel momento in cui qualcuno dice al bambino “Guarda che bella macchia
gialla​ di luce”. Mettere le esperienze dentro scatole verbali (la luce del sole gialla) riduce
inevitabilmente la complessità dell’esperienza.

I precursori del linguaggio si trovano nelle prime interazioni tra genitore e bambino. Mary Bateson
chiama ​maternese​ il modo in cui in molte culture del mondo gli adulti comunicano coi bambini.
Oggi, invece, si predilige il termine ​parentese​, per non dare per scontato che solo le madri
utilizzino questo stile comunicativo, mentre in ambito accademico si predilige la sigla IDS.
Caratteristiche del parentese sono:
- Tono della voce più elevato
- Vocali più lunghe e più articolate
- Pause più brevi
- Molte ripetizioni
Il parentese è usato anche con gli animali domestici.
Degli studi dimostrano che questo stile comunicativo risulta più efficace di quello normale nelle
interazioni coi bambini.
La musicalità è un elemento fondamentale per lo sviluppo del linguaggio. È stato dimostrato che a
sei mesi i bambini preferiscono il canto della madre al suo linguaggio normale (evidente dalla
misurazione dei livelli di cortisolo)

Il rapporto tra cultura e linguaggio è complesso. Non si può capire la cultura senza il linguaggio e
viceversa. Il linguaggio fornisce gli strumenti di base per sviluppare il pensiero e per assorbire la
cultura di appartenenza.
Birdwhistell mostrò che i membri bilingui della tribù Kutenai si comportavano e muovevano in
maniera diversa a seconda che parlassero Kutenai o inglese.

Lo psicologo russo Vygotskij ha esaminato l’influenza dei fattori sociali sullo sviluppo
dell’individuo, e in particolare i legami tra apprendimento sociale e linguaggio., spiegando che i
bambini interiorizzano la cultura, la capacità di pensiero e i modi di essere dalle figure genitoriali e
dagli altri adulti.
Si ritiene che i bambini imparino le parole che descrivono gli oggetti perché qualcuno glieli indica
(“questo è un cagnolino”). In altre culture, questo tipo di interazione manca, e i bambini
apprendono il linguaggio durante i normali scambi comunicativi, quindi comprendendo le
intenzioni dell’interlocutore. Non è un caso che i neuroni specchio siano situati nella regione di
Broca, che è deputata anche all’uso del linguaggio. Questi neuroni ci permettono di leggere le
intenzioni degli altri, passaggio necessario per usare il linguaggio in modo efficace. Per questo i
bambini con disturbi dello spettro autistico, cui manca la capacità di leggere la mente altrui, non
riescono a cogliere le sfumature di significato che una parola può assumere. Non è un caso che i
bambini imparino a parlare più o meno quando raggiungono la consapevolezza che le menti degli
altri sono separate dalla propria.

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Dunque, il linguaggio è un processo intrinsecamente intersoggettivo che gli esseri umani hanno
inventato collaborando tra loro per stabilire, regolare e mantenere l’interazione intersoggettiva
con gli altri esseri umani (Tomasello 1998)

Si ritiene che il linguaggio si produca soprattutto per mezzo dell’emisfero sinistro del cervello. Cioè
è confermato dal fatto che i bambini, quando parlano, aprono la bocca per lo più verso destra. Due
regioni del cervello sono particolarmente importanti per il linguaggio:
- L’area di Broca. Nel caso di danni in quest’area, si perde la capacità di produrre parole,
anche se, generalmente, si è ancora in grado di comprendere quelle degli altri.
- L’area di Wernicke. Nel caso di danni in quest’area, si è ancora in grado di produrre parole,
ma la comprensione è limitata.
L’uso del linguaggio non dipende dalla ​memoria dichiarativa​ (=memoria a lungo termine che
riguarda i fatti, anche detta ​esplicita​), ma da quella procedurale. Ciò è confermato dal fatto che chi
perde la memoria riesce comunque ad usare il linguaggio usufruendo delle strutture grammaticali
(perché le strutture sono immagazzinate nella procedurale)
Per imparare una seconda lingua dopo i primissimi anni di vita si utilizza un’area del cervello
diversa da quella che si attiva durante l’apprendimento della prima.
Le aree del linguaggio, se non stimolate fin dai primi anni, possono atrofizzarsi (es. Genie, bambina
imprigionata dal padre a 18 mesi e liberata a 13 anni non riusciva a produrre frasi complesse)

Abbiamo già detto che genitori ​sicuri-autonomi​ hanno con più probabilità figli con attaccamento
sicuro. Questi genitori sanno usare il linguaggio per capire le esperienze emozionali, creando
narrazioni coerenti. Chiamare con il loro nome le emozioni negative, quali rabbia o paura, riduce il
flusso sanguigno verso l’amigdala, aiutando la regolazione emozionale. Si è visto che parlare o
scrivere di esperienze difficili aiuta sia la salute emotiva che quella fisica.
Usare il linguaggio per tradurre pensieri e sensazioni in parole sviluppa l’intelligenza emotiva (cfr.
Goleman, intelligenza emotiva)

Possedere competenze linguistiche, specie in Occidente, conferisce notevoli vantaggi a bambini e


adulti. Inoltre, sembra esserci un rapporto tra vocabolario e QI.

10. Ricordi: capire chi siamo e cosa ci aspetta


L’uomo cerca di prevedere il futuro analizzando il presente e basandosi sulle esperienze passate:
se mio padre mi sorride ogni volta che mi vede, mi aspetterò che non solo lui, ma anche tutti gli
altri lo facciano.
Il cervello è predittivo, ma non nel senso della previsione dei numeri vincenti al lotto, bensì nel
senso di una capacità anticipatoria degli eventi successivi. Queste predizioni avvengono quasi
sempre al di fuori della coscienza e richiedono frazioni di secondo.
Prevedere ciò che accadrà può effettivamente modificare lo svolgimento degli eventi. Ovviamente
le previsioni metereologiche non modificano il tempo atmosferico, però, se mi aspetto che gli altri
non mi troveranno interessante attiverò dei comportamenti di chiusura che finiranno col rendermi
poco interessante.
Noi riportiamo le aspettative passate nel presente, sotto forma di una struttura di relazione, di cui
i pattern di attaccamento sono un esempio tipico e, in generale, se una strategia ha funzionato da
bambini tendiamo a riproporla in modo identico. Questo approccio produce ottimi risultati nella
maggior parte dei casi, ma è comunque possibile incorrere in quello che gli psicologi chiamano
errore fondamentale di attribuzione,​ cioè l’aspettativa che l’altro sia coerente nel tempo.
Le persone assegnano agli altri delle caratteristiche che restano stabili, anche dopo averle
osservate solo fugacemente. Se si mostra un volto neutro e si dice che è quello di un nazista,
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automaticamente si scorgeranno tratti di crudeltà; se si mostra lo stesso volto con accanto


un’equazione matematica, emergerà il volto di uno studioso.
Inoltre, le caratteristiche attribuite a una persona dipendono anche dal nostro umore. Queste
caratteristiche riflettono, però, il ​nostro​ stato mentale, non quello della persona che dovremmo
descrivere (cd. ​proiezione​). Altri fattori che influenzano il nostro giudizio sono “superficiali”, come
il tempo atmosferico (dimostrato che tendiamo a valutare la nostra vita più positivamente in una
giornata di sole che quando piove).
Le predizioni modificano le esperienze: se vengo avvisato che riceverò una scarica elettrica, le aree
del cervello interessate si attiveranno molto prima, e il dolore percepito sarà più intenso. Le
persone depresse tendono a percepire il dolore come più acuto, perché si aspettano esperienze di
vita per lo più spiacevoli.

Quando eventi simili si ripetono, i bambini sono portati ad aspettarsi esiti simili, sviluppano, cioè,
quelle che Stern chiama ​rappresentazioni di interazioni generalizzate​ (RIGS). Le RIGS consistono
nel trovare una media generale da eventi del passato, che permette di elaborare un valore di
probabilità rispetto al presentarsi di un evento futuro.
Visto che la memoria nei primi anni di vita è principalmente procedurale (anche detta implicita) e
non dichiarativa (anche detta esplicita), è molto poco comune che gli adulti ricordino gli eventi
accaduti prima dei loro tre o quattro anni di età (cd. ​amnesia infantile)​ . Gli psicologi hanno ancora
molte domande sul perché avviene l’amnesia infantile. Bauer ritiene che sia dovuta all’immaturità
neurologica dei bambini.
Inoltre, non è raro che gli eventi traumatici non vengano colpiti dall’amnesia infantile. Bambini
particolarmente stressati da procedure mediche ne hanno conservato il ricordo fino a molti anni
più tardi, e spesso rappresentavano l’evento in questione tramite il gioco o il disegno.
La nostra capacità di ricordare è influenzata da altri fattori, ad es. dal sentirsi al sicuro; quando non
ci sentiamo al sicuro o siamo sotto forte stress, tendiamo a ricordare meno e con meno precisione.
Tuttavia, piccole quantità di stress aiutano la memoria.

Quando un bambino riesce a tradurre gli eventi in parole, allora i ricordi assumono una nuova
forma. La versione più completa della memoria autobiografica non compare fino ai quattro-cinque
anni, quando le capacità legate alla teoria della mente diventano evidenti. A questa età, i bambini
cominciano a percepirsi collocati nel tempo, e riescono a collegare storie ed eventi che li
riguardano. Sviluppano, dunque, un senso del Sé in evoluzione.
Avere un sé autobiografico dipende dalla disponibilità di ricordi di situazioni specifiche della nostra
vita, ad es. chi sono i nostri genitori, dove e quando siamo nati, cosa ci piace e cosa non ci piace.
Damasio chiama questo senso d’identità ​sé nucleare sentito​, che utilizza sia l’esperienza non
cosciente che i ricordi. Questa viene definita ​memoria episodica.​
Particolare importanza va data al termine ​sentito​, perché i ricordi episodici non sono solo
memorizzati, ma ​vissuti​. Damasio dice che il senso autobiografico e la certezza che abbiamo della
nostra identità in evoluzione dipendono da un senso del Sé in cui noi siamo i cantastorie delle
nostre storie.

Argomento molto controverso nel campo della psicologia è quello dei ricordi traumatici, se sono o
meno affidabili e accurati, e se possono essere rimossi e ricordati solo più tardi. I ricordi sono, in
quanto tali, inaccurati e inaffidabili. Il cervello non registra foto e video degli eventi, ma tracce,
sulle quali poi costruisce i ricordi. Questa questione diventa più controversa nel caso dei ricordi
legati a un trauma. Non solo i ricordi sono vulnerabili alle suggestioni, ma i ricordi che riaffiorano
in un particolare momento assorbono l’atmosfera del contesto in cui ci si trova in quel momento.

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Accade comunemente di dimenticare eventi traumatici. Il meccanismo che porta a dimenticare


non è necessariamente quello della rimozione freudiana, ma a volte si sviluppano solo
dimenticanze parziali. Visto che i ricordi procedurali sono generalmente privi di contenuto, sono
meno suscettibili ad essere dimenticati rispetto a quelli dichiarativi.
Di contro, i bambini che hanno vissuto orrori quali la violenza o la tortura, non riescono a fermare i
ricordi di tali eventi, che si ripresentano in maniera casuale e intrusiva. Pare che i ricordi traumatici
siano principalmente relativi all’esperienza emotiva piuttosto che fotografica, e i dettagli non sono
necessariamente precisi.
Dopo un trauma si può assistere alla compromissione della capacità di rievocare dettagli
autobiografici.

11. Il gioco: un modo per divertirsi, simbolizzare, esercitarsi e scherzare


Nell’infanzia, il gioco è un’attività importante e propedeutica allo sviluppo di molte capacità.
Il gioco prepara all’imprevisto, quindi, in quanto tale, non può essere rigido o pianificato, ma in
genere spontaneo e presenta elementi di incertezza e sorpresa (ad es. il gioco del cucù, anche se è
strutturato, cioè avviene sempre nella stessa maniera, si basa su un elemento di incertezza; si
impara a rispettare il turno e a comprendere e prevedere le intenzioni dell’altro).
I neonati sono partner attivi nell’interazione, e nel partecipare usano l’imitazione e la
protoconversazione. A cinque mesi sono in grado di scherzare imitando postura, gesti e smorfie. A
quest’età i giochi tra bambino e madre durano di più, e hanno una struttura, una sequenza e un
crescendo.
Stern dice che il gioco si sviluppa solo laddove è presente un’atmosfera tranquilla e sicura, se non
si è costretti a rimanere in stato di vigilanza e sotto l’urgenza di altre necessità.

Anche le altre specie animali giocano. Ad es. i cani si mettono su due zampe, gli scimpanzè
assumono una specifica “faccia da gioco”. Non è chiaro perché le specie animali, e quindi anche
l’uomo, giochino. L’ipotesi più accreditata è che nel gioco si acquisiscono e migliorano abilità che
saranno sfruttate più avanti nella vita.

Secondo Pellegrini, il ​gioco fisico,​ che simula le risse, ha le seguenti caratteristiche: movimenti
esagerati, colpi a mano aperta o calci leggeri, affetto positivo e – soprattutto – l’espressione
giocosa sul volto dei partecipanti. Questo tipo di gioco si trova in molti mammiferi e di solito
scompare con la maturità sessuale. Favorisce lo sviluppo muscolare e cerebrale. Il gioco fisico non
ha niente a che vedere con le zuffe: non inizia a seguito di una discussione e, alla fine, non viene
alterato il vincolo affettivo. La zuffa ha a che fare col predominio e con il guadagnare posizioni in
una gerarchia. Tuttavia, è stata scoperta una correlazione tra la capacità dei bambini di lottare a
dodici anni e il loro futuro status sociale.

I bambini giocano in modo diverso, a seconda della cultura di appartenenza, ad es. gli americani
prediligono giochi che favoriscono l’autonomia e l’indipendenza, i giapponesi giochi sociocentrici,
in Taiwan – sotto l’influenza del Confucianesimo – giochi che rispettano le buone maniere.
Uno dei giochi più comuni in tutte le culture è l’imitazione degli adulti in situazioni specifiche.
Sylva ha dimostrato che i bambini imparano di più quando il gioco non è né eccessivamente
strutturato, né totalmente libero, bensì quando è organizzato in una sorta di impalcatura, lo
scaffolding​ (Bruner), che aiuta i bambini a passare allo stadio di difficoltà successivo. Lo scaffolding
tiene conto di quella che Vygotsky chiama ​zona di sviluppo prossimale​ (=zona in cui il bambino sa,
ma non sa fare).

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Il modo di giocare dei bambini rivela molto su cosa li preoccupa o sul loro stato mentale. Gli
psicoterapeuti infantili (tra cui Anna Freud) hanno usato il gioco in modo terapeutico,
considerandolo l’equivalente delle associazioni degli adulti. S. Freud è stato probabilmente il
primo ad analizzare il significato del gioco di un bambino. Suo nipote lanciava un rocchetto di
cotone dentro la culla, fino a farlo scomparire; Freud capì che il bambino, non essendo stato
capace di gestire la morte della madre, si divertiva a creare un gioco di scomparsa ​che poteva
controllare​.
Dovremmo preoccuparci se il gioco di un bambino ha costanti rimandi alla morte e alla
distruzione, se presenta scene di violenza ripetuta, o se presenta atti sessualizzanti tra adulti e
bambini.
Esistono modalità standardizzate di analisi e comprensione del gioco dei bambini. Prima tra queste
è la ​story stem (​ ​storie tematiche)​ . Questa tecnica propone ai bambini scenari della vita quotidiana
utilizzando pupazzi; in genere si dà l’incipit della vicenda e si chiede al bambino di continuarla. Ciò
offre una descrizione abbastanza lineare di come il bambino si aspetta di essere trattato dalle altre
persone.
I bambini giocano per moltissime ragioni. Molto spesso si usa il gioco per scaricare esperienze
negative. Un bambino vittima di bullismo potrebbe proiettare i sentimenti negativi sul fratello e
giocare a fare il bullo con lui. Quando si riceve un colpo duro alla propria autostima, si tende ad
essere più cattivi verso gli altri, a nutrire più pregiudizi e si prova molto piacere a umiliare gli altri,
tentando, in questo modo, di convincersi del proprio valore. Allo stesso modo si trasmettono i
vissuti positivi.
L’esperienza del gioco, quindi, è terapeutica di per sé, se vissuta alla presenza di un adulto ben
disposto.

12. Maschi, femmine, genere


Due filoni di pensiero:
- C’è chi ritiene che maschi e femmine si comportino diversamente a causa di differenze
fisiologiche, quindi diverso sviluppo ormonale e cerebrale.
- Altri, invece, ritengono che le differenze di genere derivino da influenze culturali, quindi le
cause sono da ricercarsi negli stili parentali, nei modelli di ruolo e nelle strutture sociali di
riferimento.
Inoltre, è importante distinguere tra:
- Sesso (sex) riguarda le differenze biologiche ed anatomiche tra maschio e femmina, il
corredo cromosomico, la forma dell’apparato sessuale.
- Il genere (gender) è il processo di costruzione sociale e culturale ed indica la
rappresentazione, la definizione e l’incentivazione di quei comportamenti che danno vita
allo status di uomo/donna. Il genere dunque è appreso e non innato.
Nel sentire comune il sesso e il genere costituiscono un tutt’uno.

Le differenze biologiche sono evidenti (cfr. p. 149).


È interessante notare come fino alla sesta settimana di gravidanza non vi siano differenze tra gli
apparati sessuali maschili e femminili. A partire da quel momento, le gonadi, in presenza di
testosterone, diventano pene e scroto; in assenza di questo ormone, invece, si trasformano in
clitoride e labbra. Cioè ha portato molti studiosi a pensare che l’essere umano sia donna ​di default,​
e che invece l’uomo abbia bisogno di essere ​formato​.

I maschi godono di vantaggi ingiusti in svariate situazioni. Ricoprono la maggior parte delle cariche
più rilevanti, in media vengono pagati di più, etc.

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Una ricerca mostra, invece, che sono vulnerabili per altri aspetti. Hanno meno probabilità di
arrivare alla nascita (concepiti 140m ogni 100f, ma nati 105m ogni 100f), più probabilità di
soccombere a malattie genetiche, parti prematuri (inoltre, i maschi prematuri sono anche più
vulnerabili alle malattie infantili rispetto alle femmine), sono maggiormente soggetti ad autismo e
sindrome di Tourette, e, in generale, sono maggiormente predisposti a malattie e morte precoce.
Una spiegazione è che i maschi devono arrangiarsi con il materiale genetico disponibile nel loro
unico cromosoma X (i maschi hanno cromosomi X e Y), laddove le femmine hanno il doppio dei
cromosomi X disponibili (le femmine hanno solo cromosomi X).
In generale, le femmine reagiscono meglio agli stimoli sociali e mantengono l’attenzione per tempi
più lunghi.
Uno studio fa luce su come, nei maschi, la debolezza appaia come forza. È stato fatta ascoltare la
registrazione di un pianto a bambini e bambine. Mentre queste ultime mostravano compassione, i
primi giravano la testa altrove o cercavano di spegnere il registratore. Tuttavia, a una misurazione
del battito cardiaco, emerge che i maschi risultavano più ansiosi delle femmine, e proprio perché
non riuscivano a tollerare la sofferenza assumevano i comportamenti appena descritti (è anche un
classico esempio di fragilità maschile mascherata come forza).
I maschi mostrano più frequentemente disturbi esternalizzanti e scarsa autoregolazione. Sono più
sensibili ad accudimenti carenti e all’allontanamento della madre. Sono più vulnerabili allo stress
(De Bellis afferma che il solo fatto di essere maschi costituisce un elemento di rischio
neurobiologico alla vulnerabilità a stress).

Alcune culture accrescono la differenza di genere. Ad es. le donne Gapun della Papua Nuova
Guinea sono le uniche socialmente autorizzate a rivolgersi al sesso opposto utilizzando un
linguaggio diretto, violento e aggressivo, mentre gli uomini utilizzano un linguaggio indiretto e
prudente.
Cfr. altri esempi pp. 153-4-5

In occidente, le donne sviluppano una maggiore competenza verbale rispetto agli uomini, sebbene
non sia chiaro se questo sia relativo a questioni naturali o culturali. Quando si sentono sotto
pressione, gli uomini preferiscono ritirarsi o ricorrere alla fisicità, mentre le donne preferiscono
parlare. In genere, le donne preferiscono un linguaggio sofisticato rispetto agli uomini, che sono
più inclini all’uso di slang e parolacce.
In molte culture, i genitori preferiscono figli maschi. Ciò si nota principalmente nelle aree rurali,
dove il lavoro maschile vale oro. In India addirittura le famiglie pregano per un figlio maschio, e in
una clinica, su 8000 aborti, 7997 riguardavano feti femmina.
In Europa e in America le preferenze sono generalmente meno marcate, e le famiglie preferiscono
avere un figlio per ciascun sesso.

Nei maschi, alti livelli di testosterone, così come bassi livelli di serotonina, sono collegati a una
maggiore tendenza all’aggressività. Nelle femmine, bassi livelli di serotonina portano a più alti
livelli di ansia.

La maggior parte dei bambini riesce ad identificare il proprio genere entro i tre anni circa. Tra i
quattro e i sei anni, i bambini attribuiscono il genere in base a seconda di caratteristiche
superficiali, quali il taglio di capelli o gli abiti. A sei o sette si rendono conto che il genere è
stabilito.
I bambini identificano i giochi come appropriati o meno al proprio genere. Es. si chiedeva a dei
bambini di far passare un filo attraverso uno spazio ristretto. Se veniva descritto come un compito

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di elettronica o di cucito, bambini e bambine lo portavano a termine con maggiore entusiasmo se


questo risultava congruo alla loro identità di genere.

13. Accudimento non materno e assistenza nell’infanzia


Principalmente:
- Adozione.​ Pratica comune in molte società. È più diffusa di quanto non si creda, e la
convinzione che i bambini dovrebbero essere allevati dai genitori naturali non è affatto
universale. L’affidamento non ha sempre valore negativo: talvolta avviene per cercare di
dare al figlio una vita migliore. Noi usiamo i termini “veri” e “naturali” per descrivere i
genitori biologici, ma ciò non avviene in tutte le culture; in alcune società, i figli
appartengono a intere tribù, e il legame biologico non ha importanza.
- Asilo nido.​ Il numero di bambini affidati a cure allogenitoriali a pagamento è in crescita.
Spesso ci si chiede se questo tipo di accudimento sia positivo o meno per il bambino. Una
ricerca sull’attaccamento precoce ha evidenziato che una prolungata separazione dalle
figure di attaccamento possa essere nociva. Tuttavia, i bambini possono intessere relazioni
di attaccamento anche con le figure del nido, se la loro presenza è costante. Molte ricerche
mostrano che sono i fattori familiari (es. la presenza di una casa stabile, di genitori sensibili
e responsivi, etc.) a lasciar presagire meglio quali saranno gli effetti di un accudimento al
nido, e non la qualità della struttura. (cfr. Murray, cap II, “cure non genitoriali in tenera età:
il nido”)
- Tate, nonne e baby-s​ itter. Le interazioni con queste figure sono, in genere, più positive che
con quelle del nido. Spesso ciò è dovuto al fatto che gli educatori nelle strutture devono
occuparsi dei bambini nell’insieme, mentre tate, nonni e baby-sitter possono concentrare
le proprie energie sul singolo.

14. Fratelli, coetanei, vita di gruppo e seconda infanzia


Lo sviluppo dei bambini non è legato solo all’influenza dei genitori. Altre figure, come coetanei e
fratelli, svolgono un ruolo importante in questo senso, specie nella seconda infanzia (che l’autore
definisce come il periodo tra i 6-12 anni). A questa età i rapporti sociali aumentano e si
intensificano, il bambino si inserisce (o è inserito) in contesti di gruppo, anche diversi da quello
familiare. Riescono a paragonarsi agli altri, a dire “sono più bravo di x in matematica, e x è più
bravo di me a calcio”, e a capire che piacciono ad alcuni ma non ad altri. Non tutti i bambini
riescono bene ad inserirsi in contesti di gruppo, alcuni incontrano parecchie difficoltà, più o meno
complesse.

Le prime relazioni con gli altri bambini avvengono in genere coi fratelli. Avere un fratello maggiore
rafforza le competenze relative alla teoria della mente e del funzionamento esecutivo. Dunn ha
evidenziato il ruolo fondamentale dei fratelli nello sviluppo emozionale. I bambini che giocano a
far finta​ coi fratelli, una volta cresciuti, avranno una comprensione più accurata dei meccanismi
sociali. Il fatto che questa relazione sia vantaggiosa per il bambino non significa che non sia
attraversata da tensioni, rivalità e aggressività. Anzi, quello tra fratelli è la forma di conflitto
familiare più diffusa.

Per quanto riguarda il gruppo di pari, la particolarità di questo contesto è che, per la prima volta
nella storia sociale del bambino, non c’è un rapporto di cura. Le relazioni sociali tra pari sono
complesse già prima di quanto si pensi; Selby e Bradley hanno studiato le interazioni sociali nei
gruppi di tre neonati, e hanno assistito a vere e proprie protoconversazioni basate su vocalizzi.
Ricerche recenti hanno dimostrato che i bambini ​vogliono a​ ppartenere ai gruppi. Gli umani
tendono a dividersi tra ​appartenenti e​ ​non appartenenti,​ tra chi è ​dentro e​ chi è ​fuori​, tra ​noi​ e
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loro.​ Fin da piccoli, i bambini imparano le regole per ​appartenere​ (che linguaggio usare, quali
giochi fare, etc.), e già a un anno riconoscono quelle della propria cultura. I pregiudizi tra gruppi e
il credere nella coerenza del proprio gruppo accrescono l’autostima e alimentano il senso di
appartenenza. I pregiudizi sono inconsci e impliciti, e spesso si radicano in noi sin dalla prima
infanzia.
Imparare a trovare il proprio posto in un gruppo di pari ha delle conseguenze sociali profonde per i
bambini. Dal fatto che siano accettati o rifiutati da un gruppo è possibile prevedere l’adattamento
sociale che svilupperanno nell’età adulta.

Buona parte dell’apprendimento sociale nella seconda infanzia si origina dai pari. Per questo
motivo, gli interventi sui giovani a rischio di comportamento criminale dovrebbero essere estesi a
tutto il gruppo di appartenenza dell’individuo interessato. Quando i bambini vengono allontanati
da coetanei che mostrano comportamenti criminali, allora diminuiscono i crimini e i problemi
comportamentali.
Gli effetti delle esperienze fatte col gruppo dei pari durano fino all’età adulta.

Il modo in cui i bambini si relazionano con gli altri coetanei è influenzato dalle relazioni precedenti.
I bambini che hanno ricevuto attenzioni nutrienti in casa si mostrano più compassionevoli dinanzi
ad altri bambini che soffrono; i bambini vittime di abusi, invece, mostrano un’espressione feroce.
Abbiamo già detto che l’attaccamento sicuro porta con maggiori probabilità a un buono sviluppo
delle competenze sociali, mentre l’attaccamento insicuro disorganizzato è predittivo di
comportamenti violenti (già in età scolare) e scarse competenze sociali.

L’indole di un bambino è un altro fattore da considerare quando si osserva il modo in cui


interagisce con gli altri. I bambini positivi e dal temperamento mite vanno più d’accordo coi loro
pari, mentre quelli più instabili dal punto di vista emozionale incontrano maggiori difficoltà.

15. Il posto dei padri


Non è possibile definire quale sia il ruolo del padre, né quale dovrebbe essere. È però possibile
osservare gli effetti dei diversi modi di interpretare il ruolo paterno.
È molto diffusa l’idea per la quale per le madri sia ​naturale ​occuparsi dei figli. in quasi tutte le
culture sono le madri ad occuparsi maggiormente della prole, e nella maggior parte delle specie le
femmine sono maggiormente predisposte a soddisfare i bisogni dei neonati (sia in termini di
circuiti nervosi che di corredo ormonale).
Secondo la Hrdy, in nessuna specie le differenze biologiche si avvicinano anche solo lontanamente
al solco che si è creato tra i generi della specie umana nella cura del bambino.
In realtà, gli studi dimostrano che i padri non sono meno sensibili delle madri ai segnali dei
bambini, e non vi è differenza significativa tra i legami di attaccamento che questi creano con uno
o con l’altro genitore.
I modelli culturali influenzano enormemente le pratiche paterne. Ad es. nella tribù dei Kipsigi, i
padri non danno cibo, né vestono, né trasportano i propri figli fino ai quattro anni, e temono che il
proprio sguardo virile possa arrecare loro danno.
In molte specie i maschi tendono ad essere meno accuditivi, ma conservano la predisposizione a
farlo se ricevono gli stimoli adeguati. Molti uomini, in apparenza riluttanti all’idea di diventare
genitori, diventano poi padri amorevoli. Ciò è dovuto a un aumento dei livelli di prolattina, che
stimola sentimenti di protezione.
Fino all’avvento del test genetico non era possibile stabilire con certezza la paternità, e questo ha
probabilmente scoraggiato i padri ad avere un ruolo attivo nell’accudimento. Hrdy dimostra che in

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tutte le specie i padri si prendono cura dei figli in maniera proporzionale alla certezza della
paternità. Ad es. il babbuino si mostra più accuditivo con i piccoli se pensa di esserne il padre.
Dagli studi effettuati emerge che in genere i neonati stanno molto meglio se ricevono il sostegno
paterno.

Gli studi di Flouri hanno mostrato che, quanto più funziona la relazione di coppia tra i genitori,
tanto più i padri sono presenti e attivi nell’accudimento. Sempre una ricerca di Flouri ha mostrato
che i bambini traggono un vantaggio maggiore se i genitori lavorano in terapia sul loro rapporto,
piuttosto che seguendo corsi che forniscono strumenti per la genitorialità (quindi +terapia –“corsi
per essere buoni genitori”).
Va detto che una maggiore presenza del padre non è sempre un fattore positivo, perché padri
diversi producono effetti diversi. Anche i padri possono soffrire di depressione postnatale. I figli di
padri depressi mostrano problemi comportamentali ed emozionali. I figli di padri con
comportamenti antisociali hanno più probabilità di mostrare disturbi comportamentali rispetto ai
figli di padri assenti.
Pare che i bambini traggano molto vantaggio da uno stile genitoriale autoritario che, pur
includendo l’accudimento, mostra disciplina quando necessario e incoraggia l’autonomia. Sebbene
spesso si dividano questi aspetti (disciplina e soddisfazione dei bisogni) seguendo gli stereotipi
prevalenti (i padri dispensano disciplina, le madri soddisfano i bisogni), la ricerca non dimostra che
questo non si possa evitare, o che i padri debbano essere necessariamente gli unici a svolgere un
compito che le madri non sanno svolgere.

Un modo per comprendere l’importanza del padre biologico è studiare cosa accade quando non è
presente nella vita del bambino, come avviene nel caso di bambini allevati da madri single, da
coppie lesbiche o da patrigni. Secondo la maggior parte dei dati, i bambini allevati da un solo
genitore acquisiscono generalmente meno competenze, e hanno più probabilità di mostrare
problemi comportamentali o emozionali. Non bisogna però interpretare male i dati. È probabile
che i problemi che questi bambini presentano non siano relativi all’assenza del padre, bensì alle
condizioni socioeconomiche svantaggiose tipiche di molti casi di genitorialità singola.
Quanto alle coppie lesbiche, uno studio che ha messo a confronto bambini di famiglie a
conduzione femminile (quindi anche le madri single) con altri allevati da coppie eterosessuali ha
rilevato che una volta raggiunta l’età adulta, i bambini del primo gruppo funzionavano allo stesso
modo – se non meglio – degli altri dal punto di vista emozionale. Il dato che emerge da questo
studio è che a vent’anni, sia per i maschi che per le femmine, né l’orientamento sessuale, né
l’assenza del padre avevano influenzato negativamente lo sviluppo del bambino. I figli di coppie
lesbiche e quelli di coppie eterosessuali hanno più similitudini che differenze.
Allo stesso tempo, però, si è visto che quando si mettono a confronto i bambini che vivono con
padre acquisito + madre biologica con quelli che vivono col padre biologico, i primi hanno in media
risultati peggiori in termini accademici, sviluppano più facilmente comportamenti criminali ed
aumenta la frequenza di assunzione di sostanze e di gravidanza adolescenziale. Ciò si potrebbe
spiegare con il fatto che è molto probabile che i bambini che vivono in famiglie ricostituite abbiano
sofferto per lo spostamento da una situazione all’altra. È anche vero che i genitori acquisiti sono
mediamente meno accuditivi e calorosi.
Riassumendo, l’assenza del padre biologico può rappresentare uno svantaggio in alcuni casi, ma
non in tutti. I figli di coppie lesbiche hanno prodotto risultati altrettanto buoni, mentre quelli di
madri single sono generalmente svantaggiati dalla condizione socioeconomica. I figli allevati in
famiglie miste, con padri acquisiti, in genere si sviluppano normalmente, ma questo dipende dalle
caratteristiche del padre acquisito e dallo stato della relazione tra gli adulti.

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16. Verso l’età adulta


L’adolescenza è spesso considerata un periodo di passaggio, un ponte tra l’infanzia e l’età adulta,
una concezione che forse non le riconosce l’importanza che merita.
Durante l’adolescenza si assiste al superamento di molti bisogni di attaccamento e dipendenza,
sebbene questi continuino a esercitare un’influenza maggiore di quanto gli adolescenti siano
disposti ad ammettere. Si verificano cambiamenti che gli adulti – e i genitori in particolare – fanno
difficoltà a riconoscere, come enormi balzi avanti in termini di capacità cognitive, emotive e sociali.
Alcuni studiosi dividono l’adolescenza in:
- Prima adolescenza, 11-14 anni, il compito primario è guadagnarsi l’indipendenza dai
genitori.
- Media, 14-17 anni, gli adolescenti in questa fase hanno acquisito competenze nel condurre
le proprie battaglie.
- Tarda, 17 anni e oltre, gli adolescenti in questa fase sono alle prese con le questioni relative
a intimità e vicinanza.
Non vi è un’età definita per l’inizio e la fine dell’adolescenza, la pubertà può manifestarsi prima o
dopo, e questo ha cause ed effetti diversi.

L’adolescenza è segnata da uno sviluppo massiccio del cervello e da sconvolgimenti ormonali. Si


registrano: una potatura consistente, perdita di materia grigia e un aumento della mielinizzazione
(che permette agli impulsi cerebrali di viaggiare cento volte più velocemente).
Spesso gli adolescenti leggono i segnali sociali in modo diverso. Grazia alla TAC si è scoperto che
quando gli adulti notano espressioni facciali nette (ad es. segnali di paura) si attiva la corteccia
prefrontale, mentre negli adolescenti si attiva l’amigdala, che è responsabile dei meccanismi
primitivi di attacco-fuga. Ciò spiegherebbe le reazioni talvolta esagerate degli adolescenti.
Se è vero che in questa fase il cervello si sviluppa in maniera esponenziale, è altrettanto vero che
questo è particolarmente vulnerabile, infatti, in questa fase, l’assunzione abituale di droghe e alcol
ha effetti più incidenti.
Caratteristica dell’adolescenza è la ricerca del brivido e del nuovo. Ciò è legato al sistema
dopaminergico, che negli adolescenti è particolarmente attivo. La dopamina spinge alla ricerca
della novità, cosa che dà un impulso allo sviluppo. Le droghe ricreative (cocaina, eroina, marijuana,
alcol etc.) aumentano i livelli di dopamina – che negli adolescenti sono già particolarmente alti.
I cambiamenti ormonali e chimici dell’adolescenza possono causare un aumento del malumore e
maggiore aggressività.
Un ultimo cambiamento biologico è la tendenza a dormire di più e l’alterazione dei ritmi di
sonno/veglia. Gli adolescenti hanno bisogno di dormire di più e soffrono particolarmente quando
non possono farlo. Il loro orologio corporeo potrebbe far slittare i tempi di rilascio della
melatonina, il che significa che dormono di più ​per natura​, fino a due ore in più degli adulti.
(=probabile spiegazione biologica della sensazione di molti genitori che i loro figli siano pigri)

L’adolescenza è caratterizzata dalla tendenza dei giovani a identificarsi sempre più col gruppo dei
pari e a dipendere meno dalla famiglia. La conquista dell’indipendenza non deve necessariamente
avvenire a spese delle relazioni di attaccamento, anzi, spesso queste costituiscono una base sicura
dalla quale partire. Poiché gli adolescenti hanno un atteggiamento più distaccato, risulta più
difficile per i genitori credere di essere ancora importanti per i figli; in realtà lo sono, e lo
dimostrano molte ricerche, i cui risultati evidenziano che un’eccessiva lontananza dai genitori
aumenta il rischio di depressione e problemi con i coetanei.

Con l’esplosione ormonale, la maturità sessuale e i cambiamenti corporei si assiste spesso a


repentine e potenti tempeste emozionali. Tra i cambiamenti della pubertà, uno riguarda i maschi,
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che cominciano a rilasciare feromoni, fondamentali per il corteggiamento. Ad es. alcuni ormoni
(ed odori) maschili riescono a stimolare l’ovulazione. Anche gli uomini sono più attratti dalle
donne in fase di ovulazione (da una ricerca è emerso che le ballerine di lap-dance guadagnano di
più se in ovulazione. Gli omosessuali rispondono ai feromoni in maniera diversa, ma ugualmente
potente.
La qualità dell’accudimento nei primi 42 mesi (3 anni e mezzo) è un fattore predittivo della qualità
delle relazioni amorose nei primi anni dell’età adulta.

La rottura delle relazioni interpersonali è la causa principale del manifestarsi precoce di


depressione adolescenziale e tentativi di suicidio, molti dei quali vanno, purtroppo, a buon fine. Gli
adolescenti maschi mostrano più frequentemente problemi di esternalizzazione (disordini della
condotta, autismo, sindrome di Tourette, etc.), le femmine di internalizzazione (disturbi
alimentari, ansia, depressione, etc.)

17. Trauma, trascuratezza e loro effetti


Comunemente la trascuratezza viene considerata una forma di abuso. Music, invece, considera
questi due elementi come distinti e separati:
- Trascuratezza: assenza delle esperienze che un bambino è predisposto a vivere, come cure
costanti o la presenza di una figura di attaccamento sicura. I bambini trascurati tendono a
contare ssulle loro risorse emozionali, che sono limitate, piuttosto che sugli adulti.
- Abuso: condizione per la quale il bambino vive in un mondo percepito come
massimamente terrificante, pieno di incertezze e paure per quanto potrà accadere in
futuro.
Trascuratezza e abuso sono esperienze assimilabili al trauma.
Il trauma è un’esperienza dalla quale i nostri meccanismi di difesa non riescono a proteggerci, è
schiacciante. Se in medicina il trauma è “lacerazione della pelle”, in psicologia è “lacerazione della
pelle psichica”. Alcuni eventi lascerebbero cicatrici profonde su qualsiasi bambino, altri possono
essere traumatici per qualcuno e non per qualcun altro. C’è chi, a seguito di un trauma, sviluppa il
disturbo post-traumatico da stress​ (PTSD) e chi si riprende in breve tempo.

Spesso è difficile identificare la trascuratezza. Ovviamente è ben più facile individuare un bambino
pieno di lividi e con le ossa rotte che un bambino trascurato. Non è nemmeno ben chiaro quando
un comportamento è trascurante, visto che la trascuratezza è l’assenza, piuttosto che la presenza,
di qualcosa. Inoltre, i bambini più piccoli necessitano di essere accuditi, toccati e rassicurati in
maniera diversa rispetto agli adolescenti o agli adulti, quindi ciò che è trascuratezza a un’età può
non esserlo a un’altra. La mancanza dell’accudimento essenziale può condurre a un grave ritardo
psicologico, emozionale e fisico, e addirittura alla morte. Perry scoprì che la circonferenza cranica
dei bambini estremamente trascurati è inferiore rispetto alla media. In particolare, la
trascuratezza precoce conduce a un grave deficit del QI. Un esperimento comparativo del 1951
confrontava i bambini di due orfanotrofi in Germania. Durante la prima fase dell’esperimento,
tutti i bambini ricevevano quantità razionate di cibo per sei mesi. Si osservò che i bambini
dell’orfanotrofio con la direttrice più gentile – che giocava e rideva con loro - crescevano meglio.
Quelli dell’altro, invece, subivano le influenze negative di una direttrice inflessibile, che distribuiva
poco calore e accudimento emotivo, e solo il gruppo dei suoi preferiti cresceva florido. Durante la
seconda fase, al primo orfanotrofio vennero forniti degli integratori alimentari e la direttrice
amorevole venne sostituita da quella inflessibile, che aveva portato con sé il gruppo dei suoi
preferiti. Nonostante gli integratori, il tasso di crescita nell’orfanotrofio crollò, tranne per il gruppo
della direttrice. In sostanza, un accudimento sensibile e nutriente porta ad esiti migliori. Casi di
questo tipo sono definiti ​ritardo della crescita di origine non organica​.
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La trascuratezza ha conseguenze sullo sviluppo cerebrale e cognitivo del bambino. In molti


bambini adottati da orfanotrofi si registrano livelli di attività inferiori della corteccia prefrontale e
dei lobi temporali, disabilità cognitive ed emozionali, oltre a deficit neurologici.
Un gran numero di bambini allontanati presto da orfanotrofi particolarmente deprivanti si sono
ripresi subito, seppur mantenendo segnali di un attaccamento disturbato.

L’esperienza e i vissuti dell’abuso e del maltrattamento sono profondi in molti modi. Il più delle
volte danno luogo ad alti livelli di stress, difficoltà a concentrarsi e a rimanere focalizzati, problemi
nella regolazione emozionale ee nel funzionamento esecutivo e molti problemi nelle relazioni
interpersonali. I bambini vittime di abuso fanno ricorso a strategie di sopravvivenza disperate:
alcuni si identificano col genitore abusante e diventano violenti, altri sopravvivono dissociandosi,
una forma estrema di stordimento psichico spesso riscontrata nelle vittime di traumi.
Le persone traumatizzate, di fronte a immagini che suscitano paura, mostrano un’eccessiva
attivazione dell’amigdala, una disattivazione delle aree deputate al pensiero e scarsa capacità di
tradurre i sentimenti in parole. Il sistema nervoso simpatico prepara il corpo all’azione,
generalmente attacco-fuga, vengono rilasciati adrenalina e cortisolo, e il battito cardiaco accelera.
Contemporaneamente, il sistema immunitario e l’apparato digerente sospendono la propria
attività. In alcuni casi interviene il sistema nervoso parasimpatico, responsabile delle risposte di
congelamento, e il battito cardiaco rallenta. Può accadere che nella stessa persona, e allo stesso
momento, si manifestino entrambe queste risposte di emergenza, seppure all’apparenza sembrino
opposte. Chi soffre di PTSD, ad esempio, mostra uno stato di iperattività, ma battito cardiaco
rallentato.
Le pratiche terapeutiche sono spesso utili in questo frangente. Sarah Lazar ha scoperto che la
meditazione ​mindfulness​ (=meditazione che sviluppa la capacità di essere consapevoli degli stati
mentali propri e altrui) può portare a una maggiore consapevolezza psicologica ed emozionale,
nonché indurre sensazioni fisiche e indurre un ispessimento della corteccia. Anche se il trauma
danneggia strutture fondamentali del nostro cervello, questo può accedere a strutture più sane
grazie a esperienze migliori, anche tardive.
Molte vittime di trauma soffrono di PTSD, i cui sintomi più comuni sono flashback emotivi e
pensieri intrusivi. La forma peggiore di trauma è quella che si realizza nella relazione, che ha
maggiore frequenza di sintomi post-traumatici rispetto ad altri traumi. La forma più grave di
trauma interpersonale è quella nella relazione caregiver-bambino. Quando la figura di
accudimento si trasforma in abusante, il mondo diventa pericoloso e imprevedibile. Si vive nella
paura, ci si sente impotenti, e si provano vergogna, rabbia, senso di tradimento e rassegnazione.
Non sorprende, dunque, che bambini traumatizzati diventino “un problema” a scuola e altrove.
Essi si attivano con facilità e in modo eccessivo, e possono apparire più di altri inadatti a un
ambiente di apprendimento organizzato quale la classe.

Vi sono sempre più prove che gli effetti di traumi e trascuratezza precoce durano per tutta la vita.
I bambini traumatizzati, da adulti, hanno più problemi fisici e psicologici degli altri, maggiore
probabilità di assumere alcol e droghe, di finire in prigione o in un ospedale psichiatrico, hanno
poche probabilità di gestire relazioni durature., di ottenere buoni risultati accademici o di
conservare un’occupazione stabile. Uno studio di Shea ha mostrato che una percentuale molto
alta di persone che soffrono di disturbi della personalità hanno subito gravi traumi sessuali da
bambini.
La forma meglio nota di abuso sui bambini è probabilmente quella sessuale, che ha molte
conseguenze a lungo termine, compresa una maggiore probabilità di avere numerosi partner
sessuali, di contrarre malattie sessualmente trasmissibili e di avere gravidanze precoci, insieme ad
altre cicatrici psicologiche durature.
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Uno degli studi più vasti è americano e si chiama ACE, ​Adverse Childhood Experiences.​ Ha
analizzato non un singolo trauma, ma gli effetti di combinazioni di esperienze negative. È emerso
che più era alto il numero di esperienze negative, peggiore era lo stato fisico e psicologico del
bambino.

Secondo Mary Main (cfr. attaccamento, AAI, Strange situation) i bambini con attaccamento
disorganizzato sono quelli che sono stati maltrattati ed abusati da adulti sui quali contavano. Essi
non sviluppano una strategia logica per stare in quella situazione, e mostrano molti
comportamenti strani e insoliti. Ad es. nella Strange Situation si osserva che mostrano
un’espressione stupita, come se non sapessero se avvicinarsi o meno alla madre. I loro movimenti
sono spesso incoerenti, con molte azioni compiute nel momento sbagliato e goffe, cadono spesso
e appaiono disorientati. Conseguentemente, avendo avuto vite molto imprevedibili, sviluppano
strategie di controllo, un tentativo disperato di prevedere un mondo imprevedibile. Dai loro giochi
traspare un sé potente e pericoloso, oppure uno impotente e disperato.
Molti bambini che hanno subito un trauma dai genitori adottano una strategia chiamata ​tend and
befriend.​ Questi bambini (cd. ​parentified,​ parentalizzati) si mantengono al sicuro diventando
estremamente consapevoli dello stato mentale dei propri genitori, per cercare di garantire che
essi stessi siano del miglior umore possibile, e tendono ad essere estremamente sensibili ad ogni
cambiamento della temperatura emozionale.
All’interno dell’attaccamento disorganizzato sono distinguibili:
- Attaccamento disorganizzato sicuro. i​ bambini con questo attaccamento tenderanno con
maggiore probabilità a ritirarsi.
- Attaccamento disorganizzato insicuro​. I bambini con questo attaccamento tenderanno con
maggiore probabilità ad assumere comportamenti aggressivi ed ostili.
In entrambe le categorie si riscontra consapevolezza vigile rispetto alle figure di accudimento.

18. Resilienza e buoni sentimenti


Essere felici​ non equivale a ​non essere infelici​ e, allo stesso modo, l’assenza di felicita è diversa
dalla presenza di infelicità.
I sistemi che ci fanno vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto sono diversi:
- Sistema di difesa.​ Ha a che fare con le emozioni negative, e si occupa di evitare il pericolo.
La sua attivazione conduce ad essere più pessimisti e a preoccuparsi di più.
- Sistema appetitivo​. Ha a che fare con le emozioni positive, e porta a provare piacere,
interesse, speranza.
Questi sistemi presuppongono attività neuronali e ormonali molto diverse; possono funzionare
separatamente e le persone possono essere forti in uno e deboli nell’altro, forti su entrambi, o
deboli su entrambi.

La distinzione tra affetto positivo e affetto negativo non è meramente accademica, ma ha


conseguenze vitali. Ad es. più è negativa l’emozione che sperimentiamo, più basse saranno le
nostre difese immunitarie (dimostrato da un esperimento di Davidson).
Uno studio ha analizzato i diari di più di 300 suore di un convento americano. Si è notato come la
durata della loro vita fosse in qualche modo collegata alla quantità di termini positivi presenti nei
loro scritti. Le suore più ottimiste vissero in media 9 anni in più di quelle meno ottimiste. Nb. È la
quantità di segni positivi a lasciar prevedere la longevità, e non la minore presenza di segni
negativi. Collegamento significativo tra positività ed abbassamento del tasso di mortalità.
I sistemi delle emozioni positive e negative sono complementari, e perché ci sia salute mentale è
necessario saperli usare entrambi. La ​resilienza​ è la capacità di rimanere positivi di fronte alle
avversità, e non la capacità di negare il dolore o di non provarlo. Le ricerche mostrano che chi ha
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una maggiore resilienza ha anche uno sguardo pieno di speranza e ha maggiore capacità di
significare​ le esperienze, anche se non ha provato meno dolore di quelli che se la sono cavata
peggio. Il perché alcune persone siano più resilienti di altre è diventato oggetto di dibattiti
importanti. I primi studi sulla resilienza si concentravano su fattori interni (ad es. capacità di
autoregolazione), ma ben presto ci si accorse che le cause andavano cercate nelle circostanze della
vita che portavano alcune persone a svilupparsi in modo sano nonostante le avversità. Il concetto
contemporaneo di resilienza si basa su un incrocio di fattori individuali, familiari, sociali e sulle
relazioni tra questi fattori. Ad es. far parte di gruppi sociali rende più facile conquistare la
resilienza.

Bjorklund ha dimostrato che è utile per i bambini avere un’immagine di sé un po’ gonfiata. I
bambini piccoli tendono a pensare di poter scalare montagne più alte, tenere in equilibrio più
palline, etc. arrivando addirittura a negare le evidenze.
Bjorklund descrive questo meccanismo come una sorta di ​ottimismo protettivo.​ Egli ritiene che ciò
aiuta i bambini ad affrontare le nuove esperienze con un approccio fiducioso. L’ottimismo aiuta a
sviluppare la resilienza, e – sebbene sia valida l’affermazione di Freud che prima o poi bisogna fare
i conti con la realtà – troppa realtà, troppo presto, non è necessariamente il meglio per un
bambino.

Trovarsi continuamente a fronteggiare eventi imprevedibili è causa di stress e angoscia, e gli


esperimenti hanno dimostrato la presenza di uno stress indotto dalla cd. ​impotenza appresa.​ Nei
bambini con vissuto di abusi e trascuratezza, si osserva una versione esagerata di impotenza
appresa. Una volta che il bambino ha appreso che non può far nulla per cambiare la situazione,
allora smette di cercare e di vedere possibilità che sono di fatto sotto ai suoi occhi.

Guardare in faccia le proprie paure, utilizzare l’umorismo e adottare un approccio fattivo sono tre
fattori che incrementano la resilienza. Cosa hanno in comune? La capacità di ​guardare avanti,​ di
andare incontro al mondo ​a viso aperto​.
La tendenza a vivere stati emozionali negativi (rabbia, colpa, angoscia, etc.) è detta ​nevroticismo​.
Queste persone sono meno resilienti e sono più danneggiate dai traumi. Ci sono prove di un nesso
tra nevroticismo e attaccamento insicuro.

(leggi pp. 234-6)

Sebbene lo stress sia negativo, una vita senza stress non è auspicabile. I bambini che hanno
affrontato ​stressor​ (=ciò che causa lo stress) leggeri hanno migliori possibilità di gestire stressor
più intensi più avanti. Quindi stress come vaccino.

19. Geni, natura e cultura


In alcune aree culturali si guarda con sospetto alla ricerca genetica, anche perché spesso utilizzata,
in passato, per scopi discutibili. Rutter cita un esempio: si è attribuita ai geni la causa del fatto che
la popolazione di discendenza caraibica nel Regno Unito avesse un tasso di schizofrenia più alto
degli autoctoni. Nonostante ciò, negli ultimi anni si sono fatte scoperte importanti e inaspettate,
che hanno evidenziato l’importanza delle influenze genetiche. Ad es. uno studio svedese ha isolato
un allele (allele 334) che sembra avere peso nella possibilità di avere relazione a lieto fine.
Tuttavia, l’idea che le esperienze precoci abbiano effetti profondi non regge se si riesce a
dimostrare che le persone sono più influenzate dal corredo genetico che dalle esperienze.
I geni sono importanti, ma le esperienze possono accenderli o spegnerli, ad es. esperienze
stressanti possono inibire i geni che proteggono dall’asma.
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I geni riescono anche a produrre effetti sugli stili di ​parenting.​ Ad es. avere l’allele corto del gene
5HT può dare origine a uno stile di accudimento genitoriale meno sensibile. Grazie a degli studi su
gemelli identici (100% dei geni in comune), tuttavia, ancora una volta si arriva alla conclusione che
esperienze diverse formano persone diverse.

Anche i risultati di studi non genetici può aiutarci a capire cosa è genetico. Ad es. la maggior parte
delle prove suggerisce che il QI è ereditario fino a un certo punto, e che è enormemente
influenzato da fattori ambientali.

20. Conclusioni: esperienze precoci e conseguenze a lungo termine


v. pp. 248-257

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