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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

DI CHI È IL MERITO, DI CHI È LA COLPA


Lo sviluppo psicologico umano è frutto di una mescolanza tra natura e cultura

A tal proposito, si ricorda che per decenni si sono scontrate due correnti diverse:
- l´una cercava di dimostrare il fondamento innato
- l´altra cercava di dimostrare il carattere acquisito di ogni competenza umana

Si è giunti però alla conclusione che NESSUNA DELLE DUE HA RAGIONE:


basti pensare al linguaggio, il quale non è altro che un intreccio tra predisposizioni innate e ambiente

Grande importanza assume a tal proposito la GENETICA DEL COMPORTAMENTO


disciplina che cerca di stabilire quanto, di un tratto psicologico, dipenda dai geni o dall´ambiente.
Questa disciplina adotta una strategia indiretta  quanto maggiore è la condivisione genetica
tra due persone, tanto più esse dovranno somigliarsi

MARA BRENDGEN individua vari modelli:


- MODELLO A: relazione tra geni – ambiente di tipo passivo:
il genotipo del bambino è visto come frutto della trasmissione genetica diretta e dell´influsso
dell´ambiente
- MODELLO B: relazione tra geni – ambiente di tipo selettivo:
il bambino seleziona il proprio ambiente in accordo con le proprie caratteristiche,
espresse anche dal patrimonio genetico
- MODELLO C: relazione tra geni- ambiente di tipo evocativo:
le caratteristiche del bambino, geneticamente influenzare, determina una reazione da parte dell´ambiente

Si ricorda poi LEWIN e la cosiddetta TEORIA DI CAMPO,


secondo cui tra comportamento/individuo/ambiente intercorrono una serie di azioni e retroazioni,
sintetizzate dalla relazione secondo cui
- il comportamento è funzione sia dell´ambiente che della persona C = f (A,P).
- allo stesso tempo però, la persona è funzione del comportamento e dell´ambiente P = f (C,A)
- e l´ambiente è funzione del comportamento e della persona A = f (C,P):
si parla quindi di DETERMINISMO RECIPROCO TRIADICO

Lewin afferma poi che l´ambiente psicologico non è qualcosa che sta fuori dall´individuo;
tuttavia gli eventi di natura fisica/biologica/sociale, influenzano in vario modo l´ambiente che l´individuo
percepisce, creando nel tempo delle nicchie ecologiche più o meno favorevoli allo sviluppo

Si ricorda poi che il determinismo reciproco triadico sta alla base della TEORIA DEI SISTEMI ECOLOGICI di
BRONFEN-BRENNER: ha elaborato una concezione più elaborata rispetto a quella di Lewin.
Egli sosteneva che, al fine di comprendere lo sviluppo umano, bisognasse prendere in considerazione
l’intero sistema ecologico in cui la crescita si verifica.
Distingue così 5 tipi di sistemi ambientali:
1. Microsistema. Attori che partecipano regolarmente a uno scenario comune. Es. famiglia, classe
2. Mesosistema. Due o più contesti in cui il soggetto partecipa direttamente. Es. relazione tra genitori e
scuola
3. Esosistema. Due o più contesti sociali in cui uno è esterno all’azione diretta del soggetto. Es. lavoro
genitori
4. Macrosistema. Istituzioni politiche ed economiche, valori della società, cultura
5. Cronosistema. Momento della vita in cui una persona vive determinate esperienze. Es. morte persona
cara

NASCERE
Grande importanza ha la gestione del parto,
il quale ha subito delle modifiche nel corso della storia e che, inoltre, cambia da cultura a cultura:
una pratica molto diffusa è quella di consentire alla madre un contatto immediato e prolungato con il
neonato, a meno che il parto non avvenga prima del termine o in condizioni di rischio, per cui il bambino
deve essere assistito o posto in incubatrice

La nascita comporta un cambiamento della relazione di coppia,


che un tempo influiva soprattutto per le donne, mentre agli uomini gli si chiedeva più semplicemente un
rinnovato impegno sul versante economico.
Oggi le distinzioni sono meno rigide, tanto che il padre riveste infatti un ruolo molto importante, che però
molto spesso viene lascito sullo sfondo.
Alcuni studi italiani ci forniscono qualche dettaglio sul punto di vista paterno:
88% ha assistito al parto, quasi tutti si attendevano dei cambiamenti radicali nel proprio stile di vita, 1/3 di
dichiarava preoccupato delle proprie capacità, riferendo anche di non riuscire e condividere con altri
uomini questi pensieri, stati d´animo, emozioni

Si ricorda poi che, il lattante è strutturalmente predisposto a favorire l´interazione con chi si prende cura
di lui.
È però necessario che chi si prende cura del bambino si accorga dei segnali che egli invia:
nel caso in cui non venissero interpretati correttamente o venissero ignorati, il bimbo può vivere sentimenti
di impotenza e abbandono

Numerose ricerche dimostrano che il bimbo è un organismo attivo: vede, sente, prova gradimento o
disgusto per alcuni sapori, prova dolore, odora. Il bambino quindi è dotato di molte risorse. È un essere
senziente e pensante e come tale va trattato
SENTIRE
Le emozioni vanno considerate come una risorsa e non come un rischio:
è infatti proprio grazie ad esse che il mondo intorno a noi prende significato in modo istantaneo.

Esse hanno un ruolo fondamentale fin da subito:


infatti fino ai 12 mesi di vita i bambini utilizzano le emozioni degli adulti come informazione sul mondo
(es. prima di avvicinarsi ad un cagnolino, il bambino guarda lo sguardo della madre):
si parla quindi di riferimento sociale

Le emozioni infatti non rappresentano semplicemente un fenomeno interiore, che orienta il nostro
comportamento, ma sono considerate anche come dei potenti mezzi di comunicazione

Per quanto riguarda lo sviluppo delle emozioni,


gli studiosi si interrogano se le emozioni sono acquisite o innate
(un approccio che tiene conto di entrambi è quello funzionale)
- Verso 3 mesi si delineano risposte emotive vere e proprie, come sorridere per gioia, piangere per rabbia
- Tra la fine 1° anno e nel 2° si hanno manifestazioni più simili a quelle adulte, in parallelo allo sviluppo
cognitivo e sociale
- Nel corso dello sviluppo aumenta la gamma delle emozioni: si passa da emozioni primarie a emozioni
secondarie come invidia, imbarazzo, vergogna, empatia

Un aspetto fondamentale nello sviluppo delle emozioni, è la capacità di saper fronteggiare le emozioni
negative.
In particolare, la regolazione emotiva include anche la capacità di mostrare sentimenti appropriati alla
circostanza, e non quelli inappropriati.
La crescente capacità di regolazione emotiva, non implica che il ruolo del genitore diventi marginale dopo l
´infanzia: si parla a tal proposito di socializzazione emotiva, ossia il contributo che le famiglie danno per lo
sviluppo delle emozioni

Tra le emozioni più rilevanti si ricorda la PAURA,


che presenta una sua evoluzione nel corso del tempo:
- seconda metà 1° anno fino 24 mesi: avversione per la solitudine, estranei, situazioni ignote
- 2° anno con picco a 5 anni: paura per gli animali, buio, temporali, mostri, vampiri, fantasmi.
- adolescenza: timore del rifiuto sociale, preoccupazioni per l´aspetto fisico
- nel corso dell´intera vita: paura del dolore, morte
Quando una persona non riesce ad affrontare le proprie paure in modo costruttivo, si parla di fobie.
Inoltre è possibile che vi siano delle regressioni, ossia che il bambino riacutizzi paure che aveva già
superato.
In ogni caso, il contenuto e l´intensità delle emozioni può cambiare a seconda delle circostanze

Per la valutazione delle emozioni sono stati previsti degli strumenti ad hoc,
come esempio l’Emotional Reaction Instrument = questionario di 5-10 min, per bimbi 7-12 anni, che
permette di rilevare 4 aspetti delle relazioni emotive dell´ospedalizzazione (paura, ansia, percezione o
anticipazione di un danno fisico, solitudine)
DAL CAMPO BASE ALL´ESPLORAZIONE DEL MONDO
Secondo BOWBLY il passaggio dalla condizione neonatale a quello di cittadino del mondo è dovuto al
dispiegarsi di 2 sistemi comportamentali complementari:
- l’esplorazione
- l’attaccamento

Crescendo ogni bimbo diventa sempre più curioso e autonomo,


fino a diventare adulto e totalmente indipendente;
nonostante ciò, c´è una forza centripeta che mantiene uniti figlio e madre,
nonché la tendenza all´attaccamento

Quest’ ultima consente di giungere, nell’infanzia, alla formazione di 1 o più legami di attaccamento
 tra cui, quello più essenziale, è con la figura che più stabilmente di prende cura di lui

Vi sono inoltre varie tappe dell´attaccamento:


- Dalla nascita a 3 mesi → l'infante sembra interessato agli esseri umani,
volgendo lo sguardo verso il luogo da cui proviene il suono di una voce;
Sono però i caregiver (figura di riferimento che si prende cura del bambino)
a mantenere il contatto con il piccolo, confortandolo quando piange e
reagendo con piacere ai segni di gioia
- Da 3 a 8 mesi → l'infante mostra segni di familiarità verso chi si prende cura di lui regolarmente
Non protesta e non piange se la madre si allontana.
- Dopo gli 8 mesi → sia l'esplorazione che l'attaccamento si sviluppano rapidamente e
diventano fondamentali.
Grazie allo sviluppo motorio e cognitivo, i bambini cominciano a interessarsi sempre di
più all'ambiente esterno;
al tempo stesso vigilano sulla presenza della madre, seguendola con lo sguardo e
tornando di tanto in tanto accanto ad essa come chi torna alla base sicura.
Se la madre non e in vista, il bambino la chiama, la cerca, o scoppia a piangere:
questa viene definita come ansia da separazione.
Gli estranei non sono piu ben accetti → angoscia o paura dell'estraneo
- Dopo i 12 mesi → il bambino si rende conto del fatto che la madre esiste anche quando
non e fisicamente presente.
In questa fase si ha un particolare attaccamento paterno
- Età prescolare e scolare → il bambino si affranca sempre di più al bisogno di contatto fisico
come base sicura, è meno impaurito dagli estranei, e riesce a sopportare
sempre meglio le temporanee lontananze dalla madre e dal padre.
Capire i motivi dell'allontanamento e poterne prevedere il termine
rende la separazione più accettabile.
In questa fase, sono di fondamentale importanza:
nonni, baby sitter, insegnanti che divengono ulteriori punti di ancoraggio
MARY AINSWIRTH ha messo a punto una situazione sperimentale utile a delineare gradi diversi di
attaccamento: la procedura usata prende il nome di Strange Situation e
prevede che mamma e figlio siano osservati in 8 episodi di 3 min circa ciascuno, ognuno dei quali
getta luce su un aspetto specifico della relazione.
- Attaccamento di tipo A: ansioso-evitante. (20% secondo alcuni studi):
i bambini si concentrano più sull´ambiente piuttosto che sullo spostamento della mamma
- Attaccamento di tipo B: attaccamento sicuro. (65%).
la ricerca di prossimità e l´esplorazione del mondo sono armoniosamente bilanciati
- Attaccamento di tipo C: ansioso-resistente. (15%).
vi è un eccesso di prossimità alla mamma, da cui il bimbo non si allontana per esplorare l’ambiente
- Attaccamento disorganizzato:
si manifesta con comportamenti incoerenti o di forte evitamento o tristezza.
È stato riscontrata in casi gravi di maltrattamento

Fondamentale è quindi il legame che si instaura con la figura di attaccamento, il quale ha ripercussioni sulla
propria indipendenza e sui legami dopo la prima infanzia.
Si ricordano a tal proposito i modelli operativi interni,
ossia rappresentazioni mentali della figura di attaccamento, di sé stessi e della reciproca relazione,
che si formano in base alle interazioni tra il bambino e la principale figura che lo accudisce
(se mamma pronta ed efficace a rispondere ai bisogni, bimbo vivrà se stesso come degno di amore e
svilupperà atteggiamenti fiduciosi circa le relazioni interpersonali)

La crescente autonomia del bimbo può essere messa in pericolo dalle situazioni di stress.
Secondo uno studio condotto su piccoli da 10 mesi a 4 anni, ricoverati per malattie acute,
la presenza materna va di pari passo con la qualità dell’attaccamento.
Dividendo i bimbi in 2 gruppi, con attaccamento sicuro e insicuro,
è emerso che i primi con le madri avevano passato il 69% del tempo, mentre con i secondi il 56%.
La malattia è un fattore di rischio nella qualità delle relazioni tra bimbi e figure di attaccamento
DIVENTARE SÉ STESSI
La ricerca degli ultimi 40 anni ha dimostrato con chiarezza che ogni bimbo è dotato, sin dalla nascita, di un
proprio temperamento, ossia di un suo stile comportamentale caratterizzato principalmente dal tipo di
emozionalità positiva o negativa verso cui è incline, e dalla maggiore o minore capacità di controllo
volontario.

STELLA CHESS e ALEXANDER THOMAS hanno identificato nei bimbi una serie di caratteristiche dalla cui
combinazione emergono 3 profili applicabili alla maggioranza dei bimbi:
- Facile 40%
sono in genere di buon umore e tranquilli, regolari nelle funzioni biologiche e ben disposti verso le novità
- Difficile 10%
spesso di cattivo umore, irregolari nelle funzioni biologiche, mal disposti verso nuove persone
- Lento a scaldarsi 5%
somigliano a quelli facili per regolarità biologiche e intensità di relazione, ma tendono a ritirarsi di fronte a

persone nuove e si adattano lentamente ai cambiamenti

Il temperamento dell´infante può essere considerato come il nucleo della sua personalità;
quest´ultima include i processi, abitudini, competenze, modi di pensare e valori

Si ricorda poi che le caratteristiche temperamentali suscitano negli atri relazionali;


risulta quindi fondamentale il concetto di compatibilità, secondo cui il temperamento di un bambino non è
facile o difficile in assoluto, ma lo è soprattutto per le reazioni che provoca

La crescita e le sempre maggiori abilità motorie


promuovono in parallelo lo sviluppo di un Sé corporeo e di un Sé agente.
Inoltre, la presenza di una figura materna che assicura continuità alle esperienze del bambino,
permette la nascita di un Sé interpersonale.
Intorno ai 3 anni apparirà anche il Sé categorico

Questi progressi della struttura di sé,


si associano anche alla possibilità si auto-valutarsi:
si ricorda quindi che l’autostima è il giudizio che una persona dà su di sé e sul proprio valore, e i sentimenti
che si associano a questo giudizio.
 Dall’inizio della scuola primaria, l’autostima dei bimbi si basa in genere su 4 componenti:
risultati scolastici, competenza sociale, abilità fisica e sportiva, aspetto esteriore.
L´autostima non va confusa con l’autoefficacia, ossia la convinzione di poter agire sull’ambiente e di
influenzare gli eventi. Questo tipo di certezza alimenta positivamente l’autostima

Una caratteristica di sé che compare solitamente tra le prime è il sesso biologico.


Si ricorda che la tipizzazione di genere comincia molto presto, e si accentua grazie al fenomeno della
segregazione di genere, ossia la tendenza dei bimbi e bimbe a formare gruppi separati.
Nei gruppi di coetanei, i bimbi fanno propri gli stereotipi di genere, e danno corpo a un’identità di
genere che troverà il suo completamento con la maturazione sessuale.

Nella realtà, le differenze intellettuali ed emotive tra maschi e femmine, che si riesce a documentare
quando si adottano metodologie accurate, sono meno del previsto, sono di modesta entità e riguardano
solo valori medi.
Molto più resistenti sono invece le differenze di ruolo, poiché su di esse pesa anche la divisione dei compiti
nella società reale.
 Benchè le leggi del nostro paese proclamino le pari opportunità di uomini e donne, l’impianto
tradizionale della famiglia e la mancanza di servizi sociali limitano ancora fortemente la mobilità dei ruoli
femminili.
CRESCERE
Durante il primo anno di vita, e in una certa misura anche nel secondo,
il nostro accesso al mondo interiore del bambino è limitato dall´assenza del linguaggio verbale:
una pietra militare in questa direzione è costituita dagli studi di PIAGET sull´intelligenza sensomotoria,
la cui idea di fondo è che il bambino, crescendo, organizzi sempre meglio le relazioni tra il suo corpo –
ambiente, costruendo così le nozioni di oggetto, spazio, tempo, causalità

L´intelligenza è la capacità di agire sul mondo in modo adattivo, e secondo Piaget, non vi è in essa nulla di
innato: l´intelligenza si costruisce infatti attraverso azioni e, poiché l´infante non possiede alcuna forma di
rappresentazione mentale, si tratta proprio di azioni eseguite con il corpo.
Queste azioni sono organizzate in schemi sensomotori, i quali diventano sempre più complessi fino a
sfociare nel pensiero.
Le tappe di questo progresso sono concepite da Piaget come stadi,
ossia fasi che si susseguono secondo un ordine logico e che comportano delle riorganizzazioni nel modo di
interagire con l´ambiente:

Si ricorda poi che l´alimentazione è un aspetto cruciale nella crescita.


Le preferenze alimentari sono un mix tra natura e cultura, infatti il gusto si sviluppa già nella vita prenatale:
il feto deglutisce il liquido amniotico e, nel fare questo, sperimenta i sapori dei cibi ingeriti dalla madre.
I neonati hanno una preferenza innata verso il dolce, mentre l’aspro o l’amaro vengono rifiutati.
È stata dimostrata anche un’interconnessione tra la preferenza o l’avversione per un cibo e la qualità della
situazione in cui solitamente viene consumato.
È nota poi la riluttanza di molti bimbi ad accettare cibi nuovi, detta neofobia alimentare.
Intorno ai 6 mesi questa è solitamente assente, mentre più diffusa tra 18 e 24 mesi.
Fino ai 5 anni i bimbi accettano tipicamente un sapore nuovo dopo averlo sperimentato 5-10 volte.
Successivamente la neofobia viene superata confrontando sapori e alimenti nuovi con quelli già conosciuti
e aggiungendoli nel repertorio dei sapori noti.
Sono state osservate differenze di genere, in quanto le femmine sembrerebbero soffrire di neofobia meno
dei maschi.
Le neofobie infantili possono essere superate attraverso l’esposizione a modelli più avventurosi in fatto di
cibo, o anche personaggi di fantasia amati dai bimbi, che mangiano proprio ciò che a essi non piace.

Nell’infanzia le capacità motorie sono cruciali per le relazioni con l’ambiente circostante.
Anche da questo punto di vista le conquiste più importanti avvengono nel corso dei primi due anni di vita,
quando il bimbo passa da uno stato di totale dipendenza dalla volontà dell’adulto alla possibilità di variare
la sua posizione e la sua prospettiva sul mondo.

Per di più la maggiore o minore gradevolezza estetica influenza il modo in cui gli altri ci percepiscono e si
rapportano a noi, e questo, a sua volta, incide sulla nostra immagine interiore e sul nostro funzionamento
psicosociale:
questo fenomeno inizia già nella scuola dell’infanzia, e diviene sempre più saliente nelle età successive.
Tra i 2 componenti più salienti dell’aspetto fisico, si ricordano il peso e l’altezza
 X quanto riguarda i bimbi in sovrappeso, essi sono vittime di stereotipi negativi e sono meno
accettati dai coetanei: sia in età prescolare che in età adulta queste persone sono infatti oggetto di
vittimizzazione e di mobbing.
È stato poi riscontrato che i bimbi obesi manifestano comportamenti più aggressivi dei loro coetanei magri
o normopeso.
Le insegnanti descrivono i bimbi obesi come più prosociali dei coetanei, unica nota positiva in un quadro
per altri versi sconfortante anche dal punto di vista scolastico: i bimbi sovrappeso hanno infatti un
rendimento inferiore rispetto ai normopeso, e spesso ottengono risultati inferiori alla media anche in prove
di intelligenza

Si ricorda poi che nei paesi industrializzati, lo sviluppo puberale tende da decenni ad anticiparsi rispetto al
passato; al contrario, l’accesso dei giovani al mondo degli adulti tende ad allontanarsi nel tempo:
questo fa sì che l’adolescenza sia un tempo molto lungo in cui si vive in un corpo adulto,
senza che sia richiesto, né possibile, assumere un pieno controllo sulla propria vita.
La complessità del mondo d´oggi richiede una più lunga preparazione ai compiti di maturità e,
l´allungamento della vita non spinge ad accelerare il passo verso le responsabilità adulte.
Alla maturazione fisica si accompagnano anche nuovi interessi e preoccupazioni.
Va però ricordato che allo sviluppo fisico non si accompagna sempre una precoce maturità emotiva

Durante la crescita aumentano i comportamenti rischiosi,


che rispondono ad un accentuato bisogno di sensazioni forti.
Vi può inoltre essere l´illusoria certezza di essere invulnerabili e ciò può avere a che fare con quella che è
stata definita fiaba personale, ossia l´idea di essere unici e quindi non sottoponibili ai pericoli dei comuni
morali

Si ricorda poi che è durante l´adolescenza che si inizia a fare una valutazione realistica di ciò che ci attende
in un futuro (anche lontano), collegandolo al presente e al passato.
L´ampiezza/ chiarezza/ qualità di questa prospettiva temporale costituisce un importante indicatore di
adattamento per ragazzi e giovani.
Si ricordano a tal proposito ANDRETTA, WORRELL, MELLO, i quali, utilizzando uno strumento di valutazione
del grado di positività o negatività associato al passato-presente-futuro, hanno identificato 5 profili:
negativo, pessimista, bilanciato, scottato ma speranzoso e positivo
PENSARE
La mente degli infanti rimane sempre in qualche misura imperscrutabile.
Invece, dal momento in cui i bimbi iniziano a parlare, la nostra capacità di comprendere i pensieri cresce
rapidamente

Tra 24 e 30 mesi, quando si assiste alla cosiddetta esplosione della grammatica,


in cui i bimbi cominciano a formare delle frasi abbastanza complete e si inizia davvero a scoprire un mondo
di pensieri nascosti

I bimbi in età prescolare sono attenti osservatori della realtà, e su molte cose elaborano delle vere e proprie
teorie, al punto che alcuni studiosi hanno pensato di definirli teorici in erba:
ovviamente non sempre sono teorie corrette, ma le loro teorie ingenue testimoniano il costante lavorìo
della mente infantile

Le concezioni infantili di gran lunga più studiate sono quelle relative alla teoria della mente,
ossia tutte le idee che i bimbi sviluppano sulla capacità umana di percepire, pensare, provare emozioni.
Anche in questo campo, le ricerche sono state stimolate dalla critica a Piaget e dalla difficoltà ad accettare
la sua nozione di egocentrismo individuale, secondo cui i bambini in età prescolare non sarebbero in grado
di cogliere la differenza tra la propria prospettiva e quella altrui.
Se si osserva attentamente, il bambino prima di avvicinarsi al cagnolino osserva sempre la faccia della
madre: ciò testimonia le prime forme di mentalismo, ossia di attribuzione di una mente dotata di pensieri
propri ad altri da sé.
Una nozione mentalistica più elaborata consiste nel capire che, se una cosa ci è ben nota, non è detto che
tutti gli altri la sappiano. (falsa credenza; Ann, Sally e la cioccolata):
un bimbo che riconosce la falsa credenza è da un lato in grado di usarla per dire bugie, dall’altro
pienamente capace di attenersi alla verità

Secondo Piaget, la capacità di fare ragionamenti coerenti viene acquisita solo nella media fanciullezza;
in realtà, i bimbi affrontano alcuni problemi logici con un certo successo già in età prescolare
(es. pesciolini di misure diverse-cibo).
Nei ragionamenti dei bimbi non entra però in gioco solo la logica, ma hanno una loro importanza anche gli
stereotipi nei giudizi dei bimbi. (maschi macchinine, femmine bambole).
Al crescere dell’età il nostro modo di ragionare si avvale sempre più di strategie euristiche, ossia scorciatoie
basate sulla conoscenza del mondo, e questo ci espone a maggiori rischi quando la situazione da valutare è
complessa

Si può facilmente sostenere che i problemi più importanti per un bimbo sono quelli che sorgono nelle
interazioni sociali, soprattutto con i coetanei: la capacità di risolvere questo tipo di questioni è un aspetto
cruciale della competenza sociale.
È un compito molto complesso, che richiede molti passaggi studiati nel cosiddetto modello SIP
(stimolo-elaborazione-comportamento concreto-elaborazione e giudizio-comportamento sociale).
Con questo approccio analitico si è inoltre potuta dimostrare l’importanza dell’interpretazione delle
intenzioni altrui
- I giochi dell’infanzia sono inizialmente sensomotori e Piaget ha osservato come essi permettano al bimbo
di esercitare le abilità via via acquisite.
- Dalla fanciullezza in poi, questo tipo di divertimento si combina con la competizione e con le regole,
soprattutto nelle attività di squadra, che sono importanti per socializzazione e sviluppo morale.
- Dall’età dei primi passi e in parallelo con lo sviluppo linguistico, compare il gioco simbolico,
che implica 3 importanti processi di sviluppo: la decontestualizzazione (uso fantasioso di oggetti), il
progressivo decentramento (agiscono nel gioco bambole ecc come se fossero veri), e infine l’integrazione di
più attività simboliche (allestire un luogo e giocare a combattere gli indiani).

Quando la capacità di decentramento e integrazione viene sfruttata per organizzare un gioco in cui più
bimbi interpretano personaggi diversi, spesso realizzando piccoli copioni di vita quotidiana, si assiste al
cosiddetto gioco socio-drammatico

Il gioco è anche una fonte di rifornimento emotivo (: fa da compensazione, liquidazione di un’esperienza


spiacevole, anticipazione di una visita ecc).
Giocare è quindi un modo sofisticato e ricco per pensare
VIVERE IN FAMIGLIA
La famiglia è l’organizzazione sociale di base che permette al bimbo di nascere, crescere,
svolgendo sia funzioni di accudimento materiale, sia funzioni psicologiche, affettive, educative

Molte persone hanno in mente un’immagine idealizzata della famiglia con cui ogni confronto risulta
deludente:
per comprendere la famiglia su basi più realistiche occorre in primo luogo ricordare che si tratta di un
gruppo e che, come tale, ha un funzionamento psicologico molto complesso.
Per di più il gruppo familiare unisce relazioni di tipo diverso, poiché in esso vivono maschi e femmine di
almeno due generazioni, con ruoli e responsabilità differenti.
È fisiologico che le prospettive dei vari membri non coincidano sempre e che, in qualche misura, il conflitto
sia parte integrante del suo funzionamento;
 possiamo parlare di buona famiglia quando divergenze e scontri sono gestiti bene e approdano a
soluzioni equilibrate

Si ricorda poi che l´insieme di azioni con cui madre e padre provvedo all’accudimento e all´educazione dei
propri figli, dalla nascita fino all´età adulta, viene definito genitorialità:
si tratta di un processo mentale e psicologico, basato sia sulle componenti biologiche delle relazioni con la
prole, sia sulle prescrizioni sociali dei rispettivi ruoli, attraverso cui dovrebbero essere soddisfatti i bisogni
fondamentali delle nuove generazioni

La studiosa statunitense DIANA BAUMRIND ha suggerito che la genitorialità assume uno stile complessivo
in base al bilancio tra richieste e risposte, ossia tra la pressione verso comportamenti corretti e responsabili
da parte del bambino e la capacità di ascoltarli, comprenderli sostenerli.
La combinazione di queste 2 dimensioni psicologiche dà origine a diversi stili:
- autorevole: prevede capacità di mantenere alta l'asticella degli obiettivi educativi, facendo capire ai figli
che ci si attende molto da loro;
nel contempo, i genitori devono essere responsivi verso i figli, colmando il loro bisogno di affetto, stima e
considerazione;
gli errori sono tollerati anche in funzione delle circostanze
- autoritario: impone regole rigide e inflessibili senza dare motivazioni, dando l'impressione di avere come
obiettivo principale l'obbedienza del figlio più che la sua crescita;
manca la capacità di ascolto
- permissivo: è caratterizzato da affetto per i figli, mentre manca lo sforzo di mantenere il controllo del loro
comportamento.
In questa apparente libertà di movimento, i bambini di fatto impigriscono.
Ne soffre la fiducia in sè stessi e può risultare difficile confrontarsi con altre persone meno indulgenti di
mamma e papà
- negligente: mancano sia richieste che risposte.
I genitori in questo caso mettono poche regole per comodità più che per affetto, e
sono complessivamente non coinvolti con i figli, cui dedicano poco tempo e scarsa attenzione,
concentrandosi piuttosto sulla soddisfazione dei propri bisogni e dei propri interessi

Negli anni è aumentato il numero di bambini che vivono in famiglie diverse dalla famiglia tradizionale:
sempre più frequenti sono i bambini con un solo genitore, che vivono in famiglie ricostruite con il nuovo
patner della madre o del padre, i figli con genitori adottivi o le famiglie omogenitoriali
Le famiglie sono caratterizzate da diverse regole morali e regole della casa.
I bambini assimilano anche i comportamenti al di fuori del nucleo familiare (es. quali persone bisogna
rispettare, di chi ci si può fidare, se e come aiutare qualcuno in caso di difficoltà ecc):
queste regole vengono trasmesse verbalmente mediante direttive fornite in anticipo o mediante commenti
a posteriori che approvano o scoraggiano il comportamento del bambino.
Nell´incontro con un estraneo, però, le regole familiari possono essere disattese:
per noi adulti questo può creare un limitato senso di fastidio ed imbarazzo,
mentre per il bambino crea un forte senso di spiazzamento

Il mantenimento delle regole è affidato a una grande varietà di pratiche genitoriali;


Vi sono tuttavia alcune pratiche in grado di alterare il clima complessivo (es. punizione fisica).
Le punizioni corporali non sono però positive, in primo luogo perché creano paura o rabbia,
in secondo luogo possono sfociare in gravi forme di maltrattamento fisico.
L’unico elemento che minimizza l’impatto è la normalità culturale, ossia il fatto che il bambino possa
attendersi questo tipo di castigo come normale nell´ambiente in cui vive e non come una manifestazione di
rifiuto o di perdita di controllo dei genitori
La violenza può essere non solo fisica ma anche psicologica (minacce, insulti, umiliazioni):
quando è elevata, la violenza psicologica sfocia in disturbi come ansia, depressione e bassa autostima.

Ancora oggi la madre riveste un ruolo prevalente: ciò non significa però che i padri siano assenti dalla
scena.
Il sostegno del coniuge, importantissimo quando la madre deve affrontare situazioni di salute gravi, non è
tuttavia insostituibile.
Uno studio ha dimostrato che non c’è differenza nel funzionamento materno tra donne sostenute dal
marito, o da altri membri familiari, o da amici.
Solo le madri lasciate sole di fronte la malattia del figlio dimostravano di non riuscire a farcela

Il rapporto fraterno è un’esperienza diffusa, anche se non universale.


Pur imitandosi l’un l’altro, i fratelli in genere hanno più differenze che somiglianze,
perché i genitori tendono a rispondere in modo differenziato alla peculiarità temperamentali di ciascun
figlio, e ad avanzare richieste educative diverse in relazione all´età e al genere. Sono differenze per lo più
ragionevoli, ma non sempre ben accettate, che alimentano tra fratello un coinvolgimento ambivalente,
caratterizzato da condivisione emotiva ma anche da liti e conflitti.
I rapporti tra fratelli sono importanti perché sono fatti di luci ed ombre, e quindi insegnano ai bimbi come
imporsi e come tollerare, come discutere e come fare la pace.
DONALD SHARPE e LUCILLE ROSSITER hanno condotto studi i cui dati indicano che una malattia cronica si
ripercuote negativamente sui fratelli, con sentimenti di ansia e depressione

Una proposta interessante per coloro che hanno a che fare con bimbi in difficoltà è quella elaborata da
DUNST e TRIVELLE che prevedono uno spostamento del focus di intervento dal bimbo alla famiglia e alla
rete sociale più ampia in cui essa è inserita
ANDARE A SCUOLA
L’esperienza della scuola è cruciale per i bimbi:
grazie ai nidi i bimbi imparano a relazionarsi con i coetanei fin dai primi passi.
La scuola dell’infanzia procede con questa socializzazione.
Entrare poi nella scuola primaria prevede un cambio di passo, che chiede al bimbo di inserirsi in un sistema
di regole più strutturate e di portare a termine compiti decisamente più impegnativi (sia per qualità che per
quantità). Anche le esperienze relazionali cambiano registro

Il rapporto dei bimbi con gli insegnanti è inoltre un rapporto speciale:


soprattutto nella scuola dell’infanzia e primaria, l’insegnante è la figura di supporto per affrontare i piccoli
guai, per i quali a casa ci si rivolgerebbe a mamma o papà, ed è la persona a cui raccontare gioie o successi.
Quando la relazione funziona bene, il bimbo affronta meglio le difficoltà di apprendimento, si integra
meglio nel gruppo-classe, ama di più la scuola nel suo complesso.
L´insegnante dovrebbe quindi riuscire a mantenere una relazione calda ed affettuosa

La maggioranza delle conoscenze e delle amicizie dei bimbi di oggi si creano a scuola.
La sociometria, tecnica inventata negli anni ’30 da JACOB MORENO, è una modalità molto comune di
raccogliere info sociometriche, e consiste nella nomina dei pari:
ciascun bimbo indica il nome di 1 o più compagni con i quali vorrebbe condividere un’attività, e quelli che
non vorrebbero accanto.
Tre tipi di situazione: molte nomine positive, molte nomine negative, situazione controversa.
Infine ci sono bimbi marginali

La malattia contribuisce ad impoverire l’esperienza scolastica, ostacolando in varia misura la


partecipazione alle attività anche quando il bimbo può recarsi in classe.
A fronte di questi rischi, sempre più si cerca di consentire una continuità scolastica ai bimbi malati, tramite
organizzazione di attività scolastiche negli ospedali o a casa

Non sono da sottovalutare le difficoltà emotive e di relazione con i compagni che la malattia provoca:
si ricorda a tal proposito che alcuni bimbi possono rifugiarsi nella compagnia di un compagno immaginario
 secondo le statistiche 7 bimbi su 10 hanno per qualche tempo un amico immaginario

I ragazzi con malattia cronica, sono simili ai loro coetanei sani quando l´autostima è alta;
quando l’autostima è bassa, lasciano intravedere un effetto negativo della malattia sull’immagine di sé,
la prosocialità diminuisce, mentre aumentano le forme di aggressione.
Un aiuto ai bimbi malati quindi sembra essere un sostegno alla loro autostima

Gli insegnanti per dare supporto a questi alunni hanno bisogno di coordinarsi con il personale sanitario
che li assiste dal punto di vista medico.
Una proposta realistica di collaborazione può essere il modello bio-psico-educativo,
il cui obiettivo caratterizzante è quello di integrare le relazioni famiglia-scuola e famiglia-sistema sanitario
IN SALUTE E IN MALATTIA
Sono stati svolti degli studi sull´immagine che i bambini hanno di sé in salute ed in malattia:
si è chiesto a bambini dai 6-11 anni di disegnare le due situazioni ed è emerso che con il crescere dell´età
aumenta la capacità di differenziare le due situazioni da più punti di vista
(emozioni quasi sempre positive x il sé sano, che di solito è impegnato in qualche attività e collocato in un
ambiente esterno – emozioni negative o neutre per il sé malato, raffigurato a casa o a letto e quasi sempre
inattivo)

È stato poi con condotto un altro studio con bambini tra i 5-9 anni, a cui è stato chiesto di ripensare a
situazioni in cui si erano senti bene e situazioni in cui si erano sentiti male (sia dal punto di vista corporeo
che interiore): è emerso che i bambini più piccoli avessero difficoltà a rievocare situazioni di malessere,
soprattutto interiore

Uno dei primi studi sulle spiegazioni infantili della malattia risale agli inizi degli anni 80.
Le autrici PERRIN e GERRITY hanno proposto a bimbi sani da 5 a 13 anni di spiegare perché ci si ammala,
e hanno individuato una progressione di sviluppo che va da idee prelogiche (età prescolare), alla
comprensione di nessi causali semplici (fanciullezza), fino al riconoscimento della
complessità delle cause (adolescenza).
È stato inoltre notato come i bambini associno molto spesso la malattia alla trasgressione di regole e come
vedano in essa una sorta di punizione. Altri invece considerano la malattia come la conseguenza di
comportamenti non salutari

Molto spesso i bambini si basano su teorie ingenue = idee e spiegazioni che i bimbi si formano attraversi
l’esposizione a stimoli ambientali su vari fenomeni e oggetti del mondo, ancor prima che tali conoscenze
diventino oggetto di specifici apprendimenti scolastici

Delle info rilevanti per l’educazione alla salute sono quelle fornite da due studiosi sulle conoscenze e gli
atteggiamenti di bimbi e ragazzi sani a proposito delle medicine.
Le autrici hanno preso in considerazione studi condotti in 17 paesi diversi, e hanno trovato molte
somiglianze tra un paese e l’altro nel grado di conoscenza su come le medicine agiscono.
In realtà, anche i bimbi più piccoli intervistati sanno che le medicine vanno prese con cautela;
ma a queste idee si affiancano altre meno corrette, come il fatto che una medicina agisca in base al colore o
al sapore, o che quelle più costose sono più efficaci delle altre.
Le autrici concludono con il desiderio espresso da molti partecipanti di ricevere migliori info sui farmaci

I bimbi affetti da malattie in fase terminale sembrano possedere una naturale consapevolezza della morte,
Il concetti di morte è caratterizzato da 5 proprietà:
- Non funzionalità. Cessazione funzioni vitali
- Irreversibilità. La morte è la fine della vita e non è più possibile tornare in vita
- Universalità. Tutti muoiono
- Causalità. È provocata da un evento
- Mortalità personale. Anche noi moriremo

- Nei primi 3 anni i bimbi riconoscono il fenomeno della morte, ma non hanno ancora consapevolezza del
processo e delle caratteristiche
- A 4-5 anni sanno in genere che è universale e irreversibile
Ciò si consolida maggiormente nei 6 anni, assieme alla consapevolezza della cessione delle funzioni vitali
- Intorno ai 10 anni hanno un concetto di morte piuttosto completo
- In adolescenza, sentimento di onnipotenza che potrebbe spingere alcuni di loro a considerare la morte
come un nemico da sfidare. Con questi ragazzi è necessario dialogo chiaro, diretto e realistico sulla morte
PER CONOSCERE I BAMBINI
La psicologia dello sviluppo fornisce molte indicazioni per aiutarci a comprendere meglio i bambini.
Esempi di 3 strumenti conoscitivi:

1. Osservazione
Guardare con attenzione e con la mente libera da pregiudizi ciò che fa un bimbo è il modo
meno intrusivo per conoscerlo e comprenderne i bisogni, prendendo nota delle variazioni e degli elementi
di stabilità del suo modo di agire e di esprimersi, e tenendo conto delle circostanze in cui un’azione si
manifesta.
L’osservazione può essere informale (medico dà occhiata a cosa fa il bimbo prima della visita) o
sistematica (spazio e tempo definito).
In ogni caso, un’osservazione non può essere utile senza una scelta attenta di come e cosa si guarda.
Vi sono poi dei meccanismi di filtro che possono limitare l´oggettività dell´osservazione,
e sono costituiti sia da elementi stabili della nostra personalità, sia da fattori transitori, come il nostro stato
d´animo.
È quindi fondamentale avere sempre una guida che indirizza la nostra attenzione su determinati elementi.

2. Disegno
Fin dagli albori della psicologia scientifica, il disegno infantile è stato oggetto di interesse e di studio.
Usare i disegni per farsi dire qualcosa dai bimbi è piuttosto semplice, accattivante, economico, e anche
rivelatore, in quanto è attraverso esso che si può giungere ad informazioni difficili da esprimere a parole
Inoltre per i bimbi disegnare è solitamente un’attività giocosa.
Il disegno viene spesso utilizzato in ambito sanitario come mezzo di informazione e comunicazione
 Limiti: occorre essere molto prudenti nell’uso del disegno come strumento conoscitivo.
Esso risulta utile quando il bambino disegna in modo spontaneo una determinata situazione e non quando
gli viene richiesto in modo esplicito di disegnare una particolare situazione.
Anche tra coloro che agiscono con le migliori intenzioni, si è purtroppo diffusa un’eccessiva disinvoltura
nell’uso di test pittorici basati sul meccanismo psicologico della proiezione.
Chi pretende di leggere direttamente un disegno, senza la dovuta formazione psicologica, di fatto adatta
inevitabilmente il messaggio pittorico alla propria mentalità e ai propri schemi di riferimento, con poco
riguardo per quello che il bimbo voleva effettivamente esprimere. È quindi necessario fare attenzione a
dare l´interpretazione di chi disegna e non la nostra.
Uso clinico del disegno  esso serve x riordinare i propri pensieri, esprimere le proprie emozioni

3. Aspetto verbale
Parlare con i bimbi non è una questione semplice:
la difficoltà risiede nel fatto che il nostro piccolo interlocutore spesso non ha ancora completato lo sviluppo
linguistico, cognitivo e pragmatico adeguato
Si ricorda che lo scambio conversazionale tra adulto-bimbo è fortemente saturato da un’asimmetria
relazionale  quest’ultima è ancora più marcata quando l’adulto indossa una divisa, e pone domande in un
contesto non familiare, allo scopo di ottenere info precise e veritiere sui suoi sintomi.
Lo scambio conversazionale tra medico e paziente può assumere la forma di un’intervista (più o meno
strutturata, domande precise) o di un colloquio (meno strutturato).
In ogni caso le domande possono essere di vari tipi, in particolar modo aperte e chiuse.
Un altro aspetto del dialogo adulto-bimbo è quello delle riformulazioni,
ossia si tende a rielaborare ciò che essi dicono, sostituendo alle loro parole, termini che ci sembrano più
corretti, riassumendo discorsi eccessivamente lunghi o esplicitando nessi che ci sembrano mancanti:
nel fare questo, l’intervistatore può modificare, più o meno intenzionalmente, il contenuto che il bimbo gli
ha raccontato il bimbo, il quale può accorgersi di questa modifica e può incorporare la modifica, correggere,
continuare come se niente fosse.
TAPPE DELLA VITA
Quando si parla di cambiamento si può sentir parlare di:
- fasi  denota semplicemente un arco di tempo, più o meno lungo,
distinguibile per qualche aspetto dai precedenti e dai successivi
- livelli  viene introdotta un’idea di altezza, che suggerisce l´idea che nel passaggio da una fase all´altra
vi è un processo
- stadi  termine più specifico, legato all´approccio piagetiano e alle teorie dello sviluppo che a esso
si sono ispirate, anche se in realtà il termine viene usato spesso in modo inappropriato
per denotare genericamente una fase evolutiva;
ci si riferisce in particolare a transizioni evolutive di ampia portata, olistiche,
ossia corrispondenti a caratteristiche mentali generali.
Piaget pensava che il passaggio da uno stadio a quello successivo
fosse marcato da una discontinuità qualitativa, e non solo da una diversità quantitativa
di competenze

Stadi di Piaget
Secondo PIAGET a ogni stadio successivo corrisponde un radicale cambiamento delle strutture mentali,
che si rispecchia in tutte le condotte dle bambino, non solo in un ambito.
- Così nel passaggio dall´infanzia alla prima fanciullezza (intorno ai 18 mesi)
la mente del bambino si riorganizza passando da un´intelligenza puramente motoria, ossia basata su azioni
concrete e guidate esclusivamente dall´esperienza qui ed ora, ad un´intelligenza rappresentativa, che fa
uso del pensiero per rievocare esperienze precedenti, per collegare nomi-oggetti, per organizzare
mentalmente l´azione prima di eseguirla.
Le prime forme di intelligenza rappresentativa, presenti dal secondo anno di vita fini all´inizio della scuola
primaria, sono poi soppiantate dal pensiero operatorio, che consente al bambino un uso più duttile del
ragionamento
- dai 6 anni fino alla soglia dell´adolescenza, i bambini sono in grado di classificare fatti e oggetti,
di individuare relazioni come ‘’più grande di..più piccolo di..’’, di stabilire nessi causali temporali
- con l´inizio dell´adolescenza si ha l´inizio dello stadio operatorio formale, caratterizzato dal pensiero
maturo, grazie al quale si possono dominare relazioni logiche complesse e astratte

Critiche a Piaget
Le idee di Piaget sul il carattere olistico e discontinuo degli stati sono state in larga parte smentite dalla
ricerca degli ultimi decenni.
I progressi dei bambini appaiono per lo più molto graduali, con avanzamenti e regressioni, fino a che le
competenze si stabilizzano.
Spesso si assiste a una padronanza imperfetta, di cui e un esempio l'acquisizione della reiterazione,
la ben nota strategia mnemonica consistente nel ripete a sè stessi ciò che vogliamo ricordare.
I bambini piccoli non usano spontaneamente questa strategia e quindi, alla richiesta di memorizzare,
ottengono risultati piuttosto scadenti.
Accanto ai fattori esperenziali, gli autori di impostazione neo-piagentiana hanno sottolineato il ruolo della
crescente ampiezza della memoria di lavoro, ossia il numero massimo di schemi indipendenti che un
bambino può attivare in ogni singolo momento, a sua volta legato alla maturazione del sistema nervoso
centrale.
Oggi si ritiene che apprendimento e maturazione concorrano a promuovere uno sviluppo cognitivo
graduale.

Piaget riteneva che la sequenza di stadi da lui descritta fosse universale, ossia valida per
tutti gli individui normali, indipendentemente dall'ambiente di vita e dal momento storico; le
uniche variazioni potevano riguardare la velocita maggiore o minore con cui gli stadi vengono
attraversati. Così però non è.

Si ricorda poi GARDNER, il quale ha introdotto la nozione di intelligenze multiple:


si possono individuare dei gruppi di operazioni mentali separate, fondati su
basi biologiche distinte, che rendono piu facile apprendere e avere successo in alcuni campi
piuttosto che in altri.

Compiti di sviluppo
Sono adattamenti richiesti dagli eventi che si verificano nel corso della vita, e dai cambiamenti di stati a essi
associati

Essi possono essere associati a:


- eventi normativi: sono dettati da fattori comuni a tutti (o quasi) gli individui
- eventi quasi normativi: non inevitabili, ma diffusi nella popolazione
- eventi non normativi: riguardano poche persone

Le 8 età della vita secondo Erikson


ERIKSON identifica 8 stadi di sviluppo ognuna delle quali caratterizzata da un dilemma da superare. Va
specificato che alla base di ogni dilemma entra in gioco un conflitto tra le richieste della specie, dovute
anche alle mutate caratteristiche della maturazione biologica e le richieste della società

1. La fase della fiducia e sfiducia (O-1)


Se le persone che accudiscono il bambino sono premurose e riescono a soddisfare i suoi bisogni, egli
svilupperà nei loro confronti sentimenti di fiducia che tenderà ad estendere agli altri.
Al contrario, se le cure sono carenti, il bambino svilupperà un senso di sfiducia che investirà il resto delle
persone. Questo senso di sfiducia caratterizzerà anche l’autostima del bambino, che avvertirà
l’inadeguatezza di sè stesso nei confronti di un ambiente su cui non riesce a incidere.
Va precisato che la fiducia deve essere il sentimento prevalente e che la presenza di piccole dosi di sfiducia
alimenta una personalità equilibrata, pronta ad accettare gli eventuali fallimenti che si presenteranno nella
vita.

2. La fase dell’autonomia, vergogna e dubbio (2-3)


Il secondo e terzo anno di vita vedono il bambino crescere tra l’esigenza di essere autonomo, la
sperimentazione dei primi insuccessi che alimenteranno il sentimento di vergogna e il dubbio di non
riuscire a portare a termine le sfide che lo sviluppo motorio prevede.
Sono gli anni in cui il bambino impara a controllare gli sfinteri. Infatti, quando il bambino riesce per le prime
volte a controllarsi, non è raro che porti come un trofeo a mamma e papà le proprie feci, avendo la
gratificazione di vedersi vincente al cospetto dei genitori.
E’ consigliabile non cercare di anticipare la capacità di controllo sfinterico, né di farlo pesare ai bambini che
non riescono a realizzarla nei tempi medi. Ciò provocherebbe inutili frustrazioni e probabili problemi di
insicurezza in futuro.

3. La fase dello spirito di iniziativa e del senso di colpa (4-5)


In questa fase (4-5 anni) il bambino deve superare il dilemma tra l’esigenza di coperta e di esplorazione e il
senso di colpa dovuto a questa sua esuberanza. In altre parole, il bambino in questo periodo cerca di
sperimentare e scoprire, magari anche rompendo i giocattoli per vedere come sono fatti. Questa sua
esuberanza alimenta un certo conflitto con i genitori e con gli adulti in generale, che premono per
contenere il comportamento a volte un po’ aggressivo del bambino.
Sono anche gli anni dell’identificazione con il genitore dello stesso sesso e quindi dello sviluppo morale.
Nascono le prime amicizie e il bambino svilupperà il senso dell’altro. L’identificazione col genitore, gli
interventi dell’adulto per contenere l’esuberanza, porteranno il bambino a sviluppare il senso di colpa, che
se presente in modo eccessivo potrà causare problemi al regolare sviluppo e al passaggio alla fase
successiva. Il bambino in questo stadio deve imparare ad agire in modo responsabile preservando la propria
spontaneità.

4. La fase dell’industriosità e del senso di inferiorità (6-11)


Il dilemma presentato nella fase dell’industriosità e del senso di inferiorità (6-42 anni) è tipica di un
bambino chiamato a realizzare alcune conquiste. A scuola deve imparare a leggere, scrivere e a far di conto.
Il mancato sviluppo di queste nuove abilità complesse e il confronto con i coetanei può causare un senso di
inferiorità che si ripercuoterà nello sviluppo successivo.
L’adulto che ha vissuto male questo periodo presenterà una bassa autostima e un senso di inferiorità nei
confronti degli altri. Ciò può costituire la base per l’insorgere di disturbi depressivi. Gli adulti devono
prestare attenzione a non enfatizzare o far pesare troppo eventuali insuccessi scolastici, ma sostenere i
bambini con interventi mirati (aiuti a casa, affiancamento nello svolgimento dei compiti scolastici, ecc.).

5. La fase dell’identità e dispersione (12-18)


Nella fase dell’identità e della dispersione (13-18 anni) il ragazzo deve fare i conti con la conquista della
propria identità sia di genere che di collocazione nel mondo sociale e professionale.
In questo processo di ricerca il ragazzo è costretto a sperimentare più ruoli. Se la confusione nell’assumere
ruoli perdura e il ragazzo non riesce a formulare delle scelte chiare avremo un individuo “disperso” che
avvertirà una scarsa continuità nel proprio Io.

6. La fase dell’intimità e isolamento (19-25 - età giovanile)


Erikson descrive la dialettica tra due tendenze contrapposte: l’esigenza di fondersi con gli altri e quella di
preservare la propria identità isolandosi. Il ragazzo riesce a uscire da questo dilemma quando consolida un
legame di coppia che può sfociare nella convivenza o nel matrimonio. In questo caso, si consolidano le
amicizie e ci si dedica alla vita professionale in maniera produttiva. Se questo non avviene, l’individuò si
chiuderà in se stesso avvertendo negli altri una minaccia alla propria identità e alla vita di coppia.

7. La fase della generatività e stagnazione (26-40 - età matura)


L’individuo avverte l’esigenza che gli altri abbiano bisogno di lui perciò cerca di realizzare qualcosa avvertito
come positivo sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista familiare, magari mettendo al
mondo dei figli.

8. La fase dell’integrità dell’Io e disperazione (dai 40 in poi)


L’individuo tenta un bilancio di quanto è riuscito a realizzare nella vita. Deve accettarsi così com’è. Se
avverte che ha realizzato molte cose avrà un’Io integro, diversamente sopraggiungerà la disperazione.
Con le opportune differenze, dettate dalle mutate condizioni sociali e culturali, la teoria delle otto fasi di
sviluppo di Erikson è ancora accoglibile.

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