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LINGUISTICA ITALIANA E EDUCAZIONE LINGUISTICA

NASCITA DI UNA DISCIPLINA

L’educazione linguistica si deve a un’idea di Tullio de Mauro, dobbiamo aspettare i primi anni 70 del XX
secolo per registrare un interesse diffuso per i temi dell’educazione linguistica. Per illustrare la situazione
linguistica degli anni 70 dovremmo ricordare come fin dalla nascita del volgare le popolazioni abbiano usato
dialetti. L’idioma chiamato a partire dal 500 italiano è rimasto esclusivo dell’agente di lettere per secoli.
L’italiano era una lingua straniera in patria. Dopo l’unificazione politica (1821) le cose cominciarono
lentamente a cambiare: era richiesta una lingua unitaria che consentisse cittadini di uno stesso Stato di
comunicare ed intendersi, i fattori di unificazione linguistica furono: l’industrializzazione, urbanizzazione, la
diffusione della scolarità e i mezzi di comunicazione. E la scuola? Si scontrano sulla questione due posizioni:
i manzoniani avevano sperato di poter condurre attraverso la scuola una duplice lotta, Sradicare il dialetto e
imporre il fiorentino altri come il De Sanctis erano sfavorevoli ad una lotta contro i dialetti. L’atteggiamento
dell’autorità fu vicino alle posizioni manzoniani fatto sta che agli inizi del nuovo secolo nonostante gli sforzi
per insegnare l’italiano a tutti i bambini continuavano a rivelare gravi carenze linguistiche e questo perché i
maestri tendevano ad usare in classe il dialetto, dunque la dialettofonia E l’imposizione di un modello di
italiano sono secondo Corradi le principali cause del fallimento scolastico nella diffusione di una lingua
unitaria. Il processo di unificazione linguistica andò comunque avanti nel primo dopo guerra su questo
processo si innestò la politica linguistica del fascismo, uno dei suoi principali punti di forza. Nelle scuole
furono promossi i programmi di espulsione del dialetto nel secondo dopo guerra il boom economico fu un
potente fattore di incontro di lingue di culture e parallelamente di crisi delle parlate locali. Aumenta
l’incidenza della scuola nel 1962 ce l’obbligo scolastico a 14 anni e i figli delle classi operaie e contadine si
affacciarono per la prima volta la scuola superiore. Si era imposto in classe un modello di italiano para
paludato che fu definito italiano scolastico.

I maestri

nel 1967 la denuncia di un prete Don Lorenzo Milani con la lettera a una professoressa verso le scelte e le
modalità dell’insegnamento linguistico, scritto dai ragazzi che frequentavano la scuola di Barbiano con
l’intento di fornire l’istruzione obbligatoria ai bambini ai ragazzi di un isolato villaggio in montagna. A lei
raccontano di aver capito la centralità dello strumento linguistico nella formazione dell’uomo e del
cittadino. Don Milani scriveva in una lettera del 1956 al giornale del mattino che ciò che manca è il dominio
sulla parola aveva la convinzione che i poveri sono vittime di un deficit linguistico che li priva della
possibilità di partecipare in modo attivo e costruttivo alla vita social. La scarsa considerazione per la lingua
dei poveri ha come conseguenza l’emarginazione dei figli dei contadini e degli operai. La soluzione al
problema non è però l’assunzione della lingua dei poveri come strumento di comunicazione scolastica e
modello linguistico bisogna insegnare a tutti l’uso di uno strumento linguistico più ricco e potente. Milani
riassume: il modello di lingua proposto dalla scuola e non solo diverso e lontano dalle classi povere ma è
ancora troppo condizionato da modelli letterari superati. La lingua proposta è non solo vecchia ma ipocrita
e ambigua chiama le cose non con i loro nomi. I richiami culturali proposti dalla scuola sono esclusivi della
borghesia da cui poveri sono esclusi. A queste accuse generali si aggiunge che la scuola non insegna
scrivere. Ritroviamo espresse con il linguaggio semplice e diretto della lettera tante delle idee e delle ipotesi
di lavoro che saranno messi appunto dai ricercatori: l’idea, innanzitutto che il processo di scrittura sia
compito complesso, scomponibile in vari sotto processi, l’idea che prima di scrivere sia necessario
raccogliere le idee vale a dire tutte le informazioni utili, l’idea che una volta raccolte le informazioni vanno
riesaminate, filtrate e selezionate, l’idea che scrivere comporta la scelta di una scansione che si articolano
in paragrafi i quali devono avere un titolo. Infine, la lettera contiene indicazioni sullo stile: sintassi breve e
asciutta, lessico comune, chiarezza e comprensibilità come obiettivi irrinunciabili. La lettera ebbe un
impatto enorme suscitando simpatie e opposizioni. La vicenda di Don Lorenzo Milani va collegata ad altre
esperienze educative ed altre figure di maestri che provarono a rinnovare l’insegnamento linguistico. Bruno
Ciari fedele del pensiero educativo e delle tecniche didattiche messi appunto da Celestin Freinet. La
pedagogia cooperativa di Freinet ebbe largo seguito in Europa, nel 1951 si era costituita la cooperativa della
tipografia scuola o CTS un’associazione. Bruno Ciari fu uno degli animatori dell’associazione il cui nome si
trasformò il movimento di cooperazione educativa MCE (Prime associazioni di insegnanti). Una delle idee
più innovative fu la Riconosciuta supremazia del linguaggio parlato sullo scritto.ogni giorno sarà bene
riunirsi e discutere, comunicarci reciprocamente le Esperienze, tecnica preziosa come stimolo all’uso orale
e incentivo all’uso scritto. Ciari rifiuta l’idea di una scrittura scolastica artificiosa, finalizzata alla valutazione
e pensa già alla scrittura come esercizio di pensiero. Il maestro Ciari insiste molto sulla valenza educativa
della corrispondenza Inter scolastica, la corrispondenza stimolerà quella che gia Ciari chiamava ricerca
d’ambiente, un modo nuovo di imparare e basato sulla curiosità, sullo spirito di iniziativa, sulla raccolta e
osservazione dei dati, sulla partecipazione attiva degli allievi. All’esperienza della corrispondenza si farà poi
seguire la pratica della tipografia scolastica. Dunque dobbiamo a Bruno Ciari anche la nascita dei giornalini
scolastici esempio due giornalini scolastici: piccolo foglio, ragazzi allegri. Ritroviamo nelle pagine di ragazzi
allegri la tecnica del testo libero orale vale a dire pagine di discussione tra bambini. Di questa tecnica fu
maestro Mario Lodi. Lodi presenta ai suoi bambini le riproduzioni di alcuni dei massimi capolavori della
pittura italiana. Ma non sovraccarica agli allievi di informazioni, lascia che sia il quadro a parlare e lascia
parlare i bambini. Altri di loro sono il maestro Orlando Spigarelli e Maria Maltoni. Con Orlando i bambini
oltre a raccontare storie del proprio ambiente riportano i risultati di piccole deliziose inchieste da cui
traspare chiaramente il metodo del maestro, Spigarelli non reprime il dialetto dei suoi allievi ma li
incoraggia a produrre pezzi misti lingue. I ragazzi di Maria Maltoni scrivono dei diari I quaderni di San
Gersolè in cui raccontano di sé e descrivono la natura usando un italiano semplice, la scrittura è sempre
funzionale al contenuto. Se confrontiamo questi maestri con le produzioni scritte della scuola ufficiale
possiamo forse capire lo scandalo che questi maestri rappresentarono nella scuola del tempo. Infine c’è il
ricordo di un’altra figura eccezionale Don Roberto Sardelli che svolse la sua opera educativa nelle borgate
romane, ricorda un po’ lettera a una prof. I ragazzi di sardelli Vivono una realtà linguistica e culturale
dissociata, non sono più dialettofoni, non sono ancora italofoni conoscono della nuova lingua poche parole.
Ci sono gruppi sempre più folti di ragazzini che non sanno più l’idioma nativo e non hanno avuto i mezzi per
acquisire un idioma nuovo.

I linguisti

cominciarono ad osservare le gravi carenze scolastiche in fatto di educazione linguistica. Nasce la società di
linguistica italiana SLI 1967. L’interesse di questa per l’educazione linguistica si rivelò subito molto forte
dedicò il suo quarto convegno annuale a temi di educazione linguistica: gli atti del convegno hanno come
titolo l’insegnamento dell’italiano in Italia e all’estero.

La storia linguistica dell’Italia unita: è il titolo di un libro importante per la storia della nostra disciplina,
l’autore Tullio de Mauro lo pubblicò nel 1963 e lo ripropose in versione ampliata nel 1970 in quest’opera si
traccia il quadro della situazione linguistica italiana a partire dall’unificazione politica e fino agli anni del
secondo dopo guerra. De Mauro ricorda come la linguistica di un paese sia connessa con le sue vicende
economiche, sociali, politiche e culturali. Dunque nella storia accanto a questioni linguistiche compaiono
tabelle e liste di dati, numeri relativi a fenomeni, l’urbanesimo, le migrazioni, le comunicazioni di massa con
l’occhio del linguista, Attento Ai riflessi che questi fatti hanno avuto sulla lingua. Quest’opera incontrò
l’interesse degli insegnanti. L’obiettivo era dare alla scuola e ai docenti di italiano alcuni strumenti di lavoro
ritenuti assolutamente necessari.
Il dibattito sulla deprivazione verbale: dobbiamo presentare la posizione di alcuni linguisti di era
anglosassone i quali influirono su quel dibattito, Basil Bernstein e William Labov. Bedi Introduce la teoria
della deprivazione verbale secondo questa la differenza socio economica influisce sul linguaggio e quindi sul
rendimento scolastico. Nella famiglia di classe media è una famiglia orientata sulla persona i rapporti sono
mediati attraverso il linguaggio, il bambino è esposto ad una vasta gamma di possibilità questo tipo di
Linguaggio viene da Bernstein definito “linguaggio formale” e successivamente “codice elaborato”, un
linguaggio di questo tipo è funzionale alla scuola. La lingua delle classi basse a famiglia orientata sulle parti,
sui ruoli, l’individuo è legato ad un ruolo fisso e a poco da inventari comporterà quindi una lingua
elementare, poco elaborata che Bernstein chiamò “linguaggio pubblico“ e poi “codice ristretto“. Bernstein
era per il codice elaborato anche se riconosce il codice ristretto alcune caratteristiche positive quali la
semplicità, l’immediatezza e il vigore espressivo. La sua teoria fu fatta oggetto di critiche, fu criticata la
relazione tra codice ristretto-elaborato e classe sociale, introdusse poi un nuovo criterio di differenziazione
tra i due codici basato sul grado di dipendenza dal contesto comunicativo: il codice ristretto può
permettersi di essere più rapido, il parlante che adotta da vestire presuppone nell’interlocutore le sue
stesse conoscenze. Al contrario un codice elaborato comporta uno sforzo di esplicitezza e di completezza.
Così riformulata la teoria fa riferimento non più classi sociali ma a stili familiari e sociali. Furono messi
appunto negli Stati Uniti dei programmi di educazione compensatoria con lo scopo di fornire agli allievi
svantaggiati quegli stimoli linguistici e culturali di cui erano stati privati dall’educazione familiare, Bernstein
e prese le distanze da questi programmi che agivano in senso autoritario. I programmi non riuscirono a
raggiungere lo scopo e il loro fallimento fu interpretato come indisciplina e deficienze ormai insanabili dei
bambini delle classi inferiori. William Laov Studiando “non standard English “, Varietà di inglese parlato in
un ghetto di New York arrivo a individuare le differenze tra codice ristretto e codice elaborato. Per prima
cosa mostro come con una diversa impostazione dell’intervista anche i bambini dei ghetti superata
l’atmosfera di diffidenza e di imbarazzo mostravano una verbalizzazione per esprimersi, non sono quindi
privi di lingua. Tra l’inglese non standard l’inglese standard ci sono differenze formali per William si tratta
infatti di varietà stilistiche legate non tanto alla classe sociale quanto alle diverse situazioni in cui avviene la
comunicazione. Ciò che caratterizza il codice elaborato e la sua maggiore esplicitezza, il codice ristretto è
per William linguaggio usato quando la comunicazione avviene in circostanze in cui esiste uno sfondo di
esperienze comuni ed informazioni già date. In conclusione, William fa un forte richiamo a coloro che si
occupano di educazione perché vedono nella lingua e nella cultura dei bambini delle classi inferiori non
inferiorità.

Il dibattito interno: il Giscel e le 10 tesi per l’educazione linguistica democratica: Al modello di lingua, Al
rapporto che si instaura in classe tra lingua e dialetto, al concetto di norme di errore e all’insegnamento
grammaticale sono dedicati moltissimi saggi. Contemporaneamente si muoveva anche l’editoria scolastica
con Tullio de Mauro con il suo parlare italiano, un’antologia 1972 allo scopo di documentare le origini del
parlato. In questo quadro c’è poi la nascita del GISCEL Ebbe due anime essendo i suoi aderenti interessati
da una parte a seguire l’evoluzione della teoria linguistica dall’altra mettere in atto iniziative di ricerca e di
sperimentazione nel campo dell’educazione linguistica. Il gruppo elaborò un documento, l’atto di nascita di
un nuovo modo di intendere l’insegnamento della lingua madre che prese il nome di 10 tesi per
l’educazione linguistica democratica. Pubblicato la prima volta nel 1975 è stato poi riprodotto in varie sedi,
si presenta come una specie di manifesto scandito in 10 punti. Le prime quattro tesi enunciano alcuni
principi generali, nella prima si ricorda la centralità del linguaggio verbale si ricorda come linguaggio verbale
sia influenzato da più contesti e circostanze a livello emozionale, intellettuale e sociale (tesi seconda). Si
ricorda poi (terza tesi) come il linguaggio verbale sia fatto di molteplici capacità visibili e altre meno visibili.
La quarta tesi è la più politica instaura una connessione tra un corretto insegnamento linguistico e
l’attuazione dei principi costituzionali. La scuola ha il compito di un’educazione linguistica efficacemente
democratica. Il traguardo principale da perseguire è il rispetto la tutela di tutte le varietà linguistiche.
Seguono le tesi dedicate all’analisi della pedagogia linguistica tradizionale e chiudono infine il documento
due tesi politiche incentrate sulla formazione degli insegnanti. Il fine ultimo che le 10 tesi indicano gli
insegnanti e l’insegnamento a tutti dell’italiano comune, le 10 tesi non hanno modalità o strumenti puntano
a una lingua comune e al rispetto dei diversi retroterra linguistici degli allievi.

Dopo le 10 tesi: subito dopo la pubblicazione del documento fiorentino ci sono iniziative di aggiornamento
e gruppi di studio che a partire dalle 10 tesi si ponevano la questione del rinnovamento dell’insegnamento
linguistico. Gli obiettivi tradizionali dell’insegnamento vennero sottoposti a critica serrata. Io GISCEL si
articolò in gruppi regionali dove furono tenuti corsi di aggiornamento con l’intento di spiegare le 10 tesi, le
informazioni erano insufficienti c’era il bisogno di conoscere che favorì la pratica del trovarsi insieme.
Iniziano iniziative di giornate di studio su temi di educazione linguistica, incontri. In Veneto fu organizzata
una giornata di studio col titolo l’educazione linguistica il punto di riferimento comune erano le 10 tesi. Le
10 tesi sono un comune terreno di interesse tra linguisti insegnanti che si cimentano sui temi più vari: dalla
crisi della pedagogia linguistica tradizionale al rapporto tra educazione linguistica e linguaggio, al ruolo della
grammatica eccetera. Merita menzione l’attività di Monica berretta che il merito sta nell’aver coniugato
una preparazione linguistica con una costante didattica. In questo quadro si inscrivono molti lavori come
libretti preziosi ricchissimi di suggerimenti tra questi ricordiamo i tre fascicoli dedicati all’insegnamento
dell’italiano nelle tre classi della scuola media. Negli stessi anni vedeva la luce linguistica educazione
linguistica di Beretta 1977 a contribuito a fornire strumenti teorici e opzioni metodologiche per operare.
Nel 1982 il GISCEL decise di organizzare autonomamente il suo primo convegno nazionale da allora ogni
due anni un gruppo regionale organizza turno un convegno nazionale su uno specifico tema di educazione
linguistica. Tuttavia dobbiamo riconoscere che tutto questo non ha mai riguardato la totalità della scuola
italiana, molti insegnanti hanno perfino ignorato l’esistenza delle 10 tesi e il programma Talmente esigente
appariva addirittura in realizzabile.

CAP. 2 LA VARIABILITÀ LINGUISTICA

La scoperta del plurilinguismo

Uno dei temi ricorrenti della nuova educazione linguistica fu la scoperta del plurilinguismo tema che de
Mauro aveva già abbondantemente introdotto nella sua storia linguistica dell’Italia unita e riprese in “Idro
linguisti mo nella società e nella scuola italiana“ affermando: con plurilinguismo intendiamo qui la
compresenza sia di linguaggi di tipo diverso(verbale, gestuale, iconico) sia di idiomi diversi, sia di diverse
norme. Esso pare una condizione permanente di ogni società. Nessuna comunità linguistica è omogenea e
ciascun parlante è in grado di padroneggiare più linguaggi, nella scuola dominava una vocazione al
monolinguismo che già le 10 tesi e prima ancora lettera a una professoressa avevano denunciato. La
scoperta della diversità dei retroterra linguistici individuali tra gli allievi è il punto di partenza di esperienze
ed esplorazioni del patrimonio linguistico, bisogna educare i giovani al rispetto della varietà linguistica.

Il repertorio linguistico degli italiani: lingua unitaria e dialetto: è merito della sociolinguistica italiana una
descrizione del plurilinguismo che l’insegnante deve conoscere almeno in generale. Il fine ultimo sarà
individuare quale norma linguistica prendere a base dell’insegnamento e che cosa sia la lingua comune da
far apprendere. Quando si parla di repertorio linguistico italiano ci si riferisce ad una sorta di entità
ipotetica, un repertorio medio costituito da una griglia in cui trovano posto le diverse varietà. I due sistemi
fondamentali del repertorio linguistico italiano sono la lingua nazionale da una parte, il dialetto dall’altra. La
differenza tra i due sistemi di ordine funzionale e da origine nelle vicende storiche di una comunità. Una
lingua gode di un’estensione verso tutti i dialetti invece sono impiegati in aree geografiche circoscritte. La
contemporanea presenza della lingua nazionale dei dialetti porta a diglossia. La diglossia comporta infatti la
compresenza della stessa comunità di una varietà linguistica alta per gli usi scritti e formali è una varietà
linguistica bassa per gli usi parlati informali. La situazione italiana è diversa, lingua nazionale dialetto non
sono due varietà rispettivamente alta e bassa. I dialetti italiani vanno considerate varietà linguistica a
sestanti non solo: c’è un altro aspetto che differenzia la situazione italiana dalle situazioni classiche di
Diglossia. In Italia non c’è una corrispondenza regolare tra uso del dialetto e parlato conversazione anale
non è sempre e solo il dialetto la lingua della socializzazione primaria. Berruto propone di definire Il
repertorio linguistico degli italiani come una forma di bilinguismo bassa distanza strutturale, in cui il
rapporto tra varietà alta e varietà bassa è meglio definito dal termine dilalia Entrambe impiegabili nella
conversazione quotidiana. Anche il dialetto va considerato come un insieme di varietà più basse e più alte,
l’esempio di Koinè Dialettale è quello del Veneto, varietà di prestigio. E la consistenza numerica dei parlanti
dialettofoni nella comunità nazionale? È nei dati raccolti dall’Istituto nazionale di statistica ISTAT. Questo
afferma che dal 1987 al 2006 diminuisce il numero di persone che parla solo dialetto e aumenta quello di
chi parla sia italiano che dialetto. Questo comportamento misti lingue italiano dialetto è diffuso soprattutto
nella conversazione ordinaria il dialetto perde il valore negativo di collocazione sociale bassa svantaggiata,
oggi si innestano elementi dialettali con funzione di appoggio alla lingua nazionale consentendo di dare
maggior sapore o fornire sfumature semantiche particolari. Non è proprio il caso quindi di parlare di morte
dei dialetti ma piuttosto di un complicato processo di decadenza, sapere un dialetto è un valore positivo. Si
registra una situazione di pacifica convivenza fra italiano e dialetto con una possibilità di sovrapposizione
non ci appaiono più come idiomi contrapposti ma come un continuum unitario.

Dialetto scuola: negli anni 70 i dialetti erano ancora una realtà molto diffusa e l’italiano una lingua da
prendere a scuola quindi quale posto riconoscere i dialetti nell’insegnamento? Paola Benincà Non ha dubbi:
Uno dei fini della scuola è quello di insegnare la lingua italiana non è il caso di insegnare un dialetto a
scuola, comporterebbe problemi per la scelta della varietà da insegnare, il dialetto deve essere usato
semmai come oggetto di riflessione linguistica, proprio nel passaggio all’italiano. L’esigenza di
un’educazione plurilingue si è concretamente realizzata nella scuola seguendo tre diverse direzioni: uso del
dialetto per la narrazione di fatti aneddoti di vita locale, ricerca d’ambiente il recupero del dialetto
soprattutto attraverso interviste a parlanti anziani; riflessione contra stiva italiano-dialetto anche in
direzione storico comparativa. I risultati dell’indagine IEA condotta negli anni 1990-92 dimostrano che solo i
dialettofoni esclusi o almeno quelli che dichiaravano di non parlare mai in casa in italiano risultarono
penalizzati nelle prove. Ne consegue che la presenza di più idiomi sembra incidere positivamente sul
profitto. Risultano ancora realtà dialettofone compatte ed esclusive: Palermo, Napoli qui dialettofonia vuol
dire ancora svantaggio linguistico. La scuola dovrebbe dunque impegnarsi il più possibile per assecondare la
tendenza un bilinguismo accompagnato da diglossia in cui i membri della comunità posseggano la lingua
nazionale il dialetto locale e li sappiano usare pure senza dimenticare l’urgenza di un possesso anzitutto
della lingua comune.

Le parlate alloglotte: oltre ai dialetti sussistono sul territorio nazionale le cosiddette parlate alloglotte,
secondo Giuseppe Francescato sono una quindicina. I parlanti alloglotti hanno come prima lingua o lingua
materna una lingua diversa da quella nazionale, tali parlanti non possono esimersi dalla prendere anche la
lingua della nazione si instaura un bilinguismo. Ci sono punti geografici dove è presente il fenomeno del
bilinguismo il francoprovenzale del Piemonte, le minoranze tedesche in alto Adige, minoranza slovena,
minoranza croata, le parlate greche, il latino del Friuliano. Sul piano della tutela e della vitalità delle lingue
minoritarie bisogna operare una distinzione netta tra le lingue delle aree di confine e le altre minoranze
linguistiche le cosiddette “isole“. Con la legge numero 482 del 15 dicembre 1999 lo Stato italiano ha
riconosciuto le realtà alloglotte stanziando fondi per promuovere la protezione delle lingue delle culture
locali. Nella scuola materna le attività educative si possono svolgere in italiano oltre che nella lingua di
minoranza. Nelle scuole elementari e medie la lingua di minoranza può essere usata come strumento di
insegnamento. La legge ha fatto discutere visto che anche nelle comunità interessate al fenomeno del
bilinguismo l’uso dell’italiano si è ormai notevolmente affermato. Antonietta Marra scrive: sembra che
nonostante i programmi di rivalutazione e promozione delle lingue minoritarie non ci siano effetti
significativi nell’uso che ne fanno le più giovani generazioni. Ultimo punto: la legge riguarda le minoranze
linguistiche storiche dunque ignora da una parte le minoranze linguistiche di immigrazione recente
(Albanesi, romeni, filippini, zingari)

Le varietà dell’italiano: il repertorio degli italiani non si esaurisce nel riconoscimento dell’esistenza di una
lingua nazionale, molti dialetti e alcune parlate alloglotte. In realtà ognuna di queste parlate può avere al
suo interno una discreta varietà, ci sono cinque diverse dimensione della variazione:

-Una lingua cambia lungo l’asse del tempo, e perciò parliamo di varietà diacroniche.

-Una lingua cambia a seconda dello strato o gruppo sociale, varietà diastratiche.

-Una lingua cambia seconda della situazione comunicativa, varietà diafasiche.

-Infine una lingua cambia a seconda del mezzo fisico, del canale attraverso cui viene usata, varietà
diamesiche.

Ciascuna dimensione di variazione va immaginata come una specie di continuum, ciascuna sfuma nell’altra.

La variazione diacronica: ogni lingua viva cambia nel tempo nel processo di mutamento quello che è
difficile da osservare il cambiamento del breve periodo. In quest’ottica a breve termine colpisce di solito il
cambiamento del lessico. Meno evidenti perché molto più lenti sono i mutamenti che interessano gli altri
livelli della lingua: il livello fonologico, o quello morfosintattico. Normalmente accade che la vecchia forma
resista nei registri più formali, nello scritto, mentre la nuova si affermi e si consolidi nei registri meno
formali. Dopo questo periodo di convivenza un ruolo non secondario lo hanno anche gli insegnanti. Può
accadere che la forma più vecchia riesca a vincere il confronto o al contrario. Accade anche che il sistema
sia riaggiusti.

La variazione diatopica: Questa variazione riguarda soprattutto le realizzazioni orali della lingua. Sulla
nascita delle varietà regionali dell’italiano leggiamo quanto scrive Tullio de Mauro: le varietà regionali di
italiano possono considerarsi una rappresentazione sintetica del fenomeno di Comprensione tra la
tradizione linguistica italiana con le molteplici tradizioni linguistiche dialettali: il dialettofoni vi hanno
inserito elementi lessicali del loro dialetto d’origine, elementi lessicali dialettali si sono italianizzatati.
Tuttavia non tutti gli studiosi sono concordi nell’esatta individuazione e definizione di queste varietà. Ogni
regione linguistica presenta al suo interno una ricca gamma di variazioni che sfumano in un continuum.
All’interno di questo continuum si distinguono due livelli una varietà regionale bassa, più ricca di forme
dialettali e una varietà regionali alta più vicina l’italiano standard. Come ampiamente noto, e soprattutto a
livello di pronuncia che le diversità regionali si fanno notare ricordiamo alcuni dei tratti fonetici più
riconoscibili:

-Riduzione delle consonanti doppie (tratto settentrionale)

-Consonanti occlusive sorde imposizione intervocalica la hasa al posto di la kasa (tratto Toscana).

-Vocali aperta e chiusa (tratto toscani romano

-Rafforzamento sintattico della consonante iniziale di parola sa ttutto (tratto centro meridionale)

Per quanto riguarda i tratti morfo sintattici, Telmon raggruppa tre grandi gruppi:

1 Varietà settentrionali:

-uso quasi esclusivo del passato prossimo, rispetto al passato remoto.-assenza dell’articolo determinativo
davanti a pronomi: mia mamma.-Nomi propri di persona femminili preceduti dall’articolo determinativo: la
Lucia. -Rafforzamento per mezzo di che.
2 Varietà centrali:

-Che enfatico con funzione interrogativa

-Sistema tripartito dei dimostrativi: codesto, costi, costa, costassú

3 Varietà meridionali:

-Alta frequenza dei verbi pronominali intensivi: mi sono mangiato un…

-Allocuzione inversa, soprattutto con i nomi di parentela: hai mangiato mamma? (Detto dalla madre al
proprio figlio)

-Sostituzione dell’interrogativo perché con la locuzione che è più verbo più a fare: che ridi a fare?

Il contatto tra l’italiano standard e i dialetti nella bocca di parlanti istruiti ha portato alla formazione di un
tipo di italiano notevolmente innovativo.

La variazione diastratica: È correlata con la collocazione del parlante nella società o classe sociale di
appartenenza, dal reddito, dal grado di istruzione e al sesso. I parlanti di classe sociale alta sono cresciuti in
ambiente italofono, hanno accesso privilegiato allo standard, vale il contrario per i parlanti di classe bassa
che costituiscono il cosiddetto italiano popolare. Per italiano popolare si intende persone non istruite che
usano il dialetto si tratta di un italiano in un certo senso sgangherato sul piano dell’ortografia, della
punteggiatura e dell’amorfa sintassi. C’è inoltre una scarsa presenza di subordinazione e uso esclusivo dei
verbi all’indicativo. L’italiano popolare nato nei primi decenni del 900 tra le classi non raggiunte dalla scuola
(popolari). Ma nel panorama contemporaneo a seguito della scolarizzazione questa varietà sembrerebbe
scomparsa o solo presente nella popolazione anziana, a meno che non la si voglia vedere come una varietà
dell’italiano comune di oggi in cui si sarebbe gradualmente trasformato. L’italiano popolare sarebbe ancora
ben vivo e presente nel repertorio come varietà diastratica bassa. La variazione sociale si manifesta anche
nelle differenze legate al sesso e all’età, per l’italiano non sono comunque emerse tra i sessi differenze
linguistiche tali da autorizzare l’esistenza di vere proprie varietà linguistiche piuttosto qualche
differenziazione negli atteggiamenti ad esempio lo stile di interazione femminile sembra più orientato sugli
aspetti interpersonali e sulle relazioni(marche di cortesia) poi le donne sembrano più propense degli uomini
ad adottare le varianti normative o dotate di maggior prestigio. La percentuale di coloro che parlano
prevalentemente in dialetto è più alta presso gli uomini. Quanto alla variazione legata all’età bisogna
riconoscere che questa variazione è stata studiata nei giovani il che è comprensibile visto che in età più
adulta entrano in gioco altre variabili “forti” (La professione, l’istruzione) questo non significa però che
anche il linguaggio dei giovani non si differenzi al suo interno in relazione all’età, alla classe sociale, al luogo
frequentato. Tuttavia, è linguaggio giovanile alcune caratteristiche ricorrenti: la ricerca dell’espressività e
dell’informalità con l’uso di intercalari frequenti (boh, niente, cioè), parole interdette (figo, che figata!). Un
motore importante del linguaggio giovanile all’innovazione lessicale, e soprattutto l’inglese a dominare
(pop Music, trip, floppy). I giovani abbandonano le forme più arcaiche in favore del costrutto più agile. La
televisione, Internet e i nuovi media amplificano l’innovazione anche nella lingua scritta.

La variazione diafasica: Questa dimensione di variazione ha che fare con il Con il mutare delle situazioni
comunicative. Rientrano in questa dimensione i cosiddetti registri (Stili contestuali), ed i sottocodici (lingue
speciali). Le scelte di registro dipendono dal grado di formalità o informalità della situazione, le situazioni
molto formali che richiedono un registro altrettanto formale e dall’altra si pongono le situazioni molto
informali che richiedono registro informale. C’è però una gradualità continua. I tratti che caratterizzano i
due estremi della scala sono il primo che coincide quasi del tutto con l’italiano scritto formale e il secondo
che è in quasi totale sovrapposizione con l’italiano parlato informale.

I tratti linguistici tipici dei registri alti sono:


-a livello fonologico: maggiore accuratezza della pronuncia.

-a livello morfosintattico e testuale: massima esplicitezza, pianificazione accurata, uso frequente di


connettivi, sintassi elaborata con uso frequente della subordinazione.

-A livello lessicale: variazione e tendenza alla verbosità, ripetizione, termini specifici.

L’esplicitezza non equivale a comprensibilità.

I tratti caratteristici dei registri informali sono:

-A livello fonologico: scarsa accuratezza nella pronuncia, semplificazione di nessi difficili, fusione di
segmenti.

-A livello morfosintattico: ricorso all’implicito, scarsa pianificazione, scarso uso di connettivi.

-A livello lessicale: scarsa variazione lessicale, ripetizioni, parole abbreviate.

Il tipo di relazione condiziona in maniera forte l’adozione di un registro più o meno formale.

Rientrano nell’ambito della variazione diafasica Anche i sotto codici, i sotto codici servono per comunicare
in settori circoscritti. Sono legati a particolari attività lavorative e professionali si parla di linguaggio della
medicina, della filosofia, della musica, del diritto, dello sport eccetera, e attraverso il lessico che è una
lingua specialistica riesce a denominare i concetti, oggetti, attività. E attestato un largo uso dello stile
nominale, delle forme impersonali hanno tali caratteristiche: rispondono a due esigenze di molte lingue
speciali: la Deagentivizazione E la condensazione. Il primo aspetto è strettamente legato all’orientamento
delle lingue speciali sugli oggetti, sugli eventi eccetera, il secondo è espressione di quella tendenza
all’economia.

Anche sul piano testuale hanno un piano composito ben organizzato e una struttura riconoscibile e fanno
abbondante ricorso i connettivi. La fenomenologia e varia. Si va infatti dalle lingue speciali ai linguaggi
settoriali tipici di certi argomenti ambienti comunicativi. Il notiziario radio televisivo, genere testuale
particolarmente complesso: è un testo scritto ma per essere detto adotta un registro formale un
sottocodice burocratico. Sono sempre possibili intrusioni di parlato informale oppure di tecnicismi.

La variazione diamesica: Riguarda il mezzo canale di trasmissione del messaggio: che può essere affidato
all’oralità o alla scrittura. La possibilità di pianificare il discorso e massima nello scritto minima nel parlato. Il
testo scritto può essere ritoccato, corretto al contrario il parlato Enrico di auto correzioni, di Esitazioni, di
interruzioni, ne consegue che il parlato sarà meno elaborato. Inoltre, nello scritto È impossibile trasferire
certe caratteristiche del parlato (intonazione, velocità, esitazioni, enfasi, silenzi) come è altrettanto
impossibile trasferire nel parlato tutti i fatti grafici della scrittura. Anche in questo caso dobbiamo pensare
al parlato e allo scritto come i due estremi di una ipotetica scala in cui ci sono varietà intermedie, ciascuna
attraversata da variazioni. I tratti tipici del parlato sono la conversazione faccia a faccia, possibilità di verifica
del passaggio dell’informazione, possibilità di veicolare parte del contenuto informativo attraverso mezzi
para linguistici. In questo tipo di parlato la compresenza di parlante destinatario nello stesso contesto
consente di non dire ciò che può essere facilmente recuperato dalla situazione questo parlato e ellittico
meno esplicito dello scritto si chiama parlato-parlato. Il parlato è sempre rispetto allo scritto meno
pianificato in anticipo. Da questo parlato-parlato si passa allo scritto che all’altro estremo della scala,
attraverso una serie di gradini intermedi, Si va dal parlato sorvegliato di una lezione e poi i contenuti sono
più o meno attentamente pianificati a forme di parlato-scritto di una conferenza o di una lezione
accademica che si appoggia ad uno scritto, al parlato-recitato. La descrizione dello scritto coincide del tutto
con la descrizione della grammatica dell’italiano Tout court. La situazione è mutata negli ultimi decenni ci si
è accorti che anche il parlato possiede una sua organizzazione interna paragonabile quanto a complessità a
quella della lingua scritta. Il che ha portato qualcuno addirittura a postulare l’esistenza di un’altra
grammatica.

Tratti del parlato, testualità: la conseguenza più vistosa della scarsa o nulla pianificazione del testo parlato
e la frammentarietà sintattica ne consegue che i frammenti di parlato spesso non sono analizzabile in
termini di frasi semplici o frasi complesse. Da questo difetto derivano pause di esitazioni, false partenze,
auto interruzioni, cambiamenti di programma. Frequente il ricorso all’implicito reso possibile dalla
condivisione di conoscenze e di situazioni.

Tratti del parlato, sintassi: la paratassi (giusta posizione e coordinazione) è preferita rispetto all’ipotassi
(subordinazione). La subordinazione esplicita è preferita alla subordinazione implicita. Sia nella
coordinazione che nella subordinazione si usa una gamma ristretta di forme. Il che viene utilizzato come
connettivo generico: è la cosiddetta funzione del che polivalente, il così è usato spesso come introduttore di
frasi eccetera…

Tratti del parlato, morfologia: il sistema verbale si presenta semplificato e ridotto, il presente veicola anche
il passato (il cosiddetto presente narrativo) e il futuro il passato prossimo si espande a spese del passato
remoto e del futuro anteriore. Il futuro è l’imperfetto indicativo acquistano valore i cosiddetti modali cioè
tendono a funzionare come modi: l’imperfetto esprimendo una modalità Controfattuale, o un
atteggiamento di cortesia, i pronomi personali soggetto sono usati con più frequenza rispetto allo scritto,
allo scopo di dare più enfasi al discorso. Le forme lui, lei, loro sono usate in posizione di soggetto. Da
segnalare sono anche i fenomeni connessi con la velocità e la trascuratezza si pronuncia tipica del parlato.

Tratti del parlato, lessico: la mancanza di pianificazione e la velocità di eloquio portano ad una minore
diversificazione nella scelta delle parole, cui si accompagna da una parte la frequente ripetizione dall’altra il
fenomeno della utilizzazione di parole dal significato generico. L’esigenza espressiva si manifesta in vari
modi: i superlativi e formule di accrescimento-enfasi, diminutivi e formule di attenuazione.

CAP 3 MODELLO (o modelli)? DI LINGUA E NORMA

L’italiano standard e neo-standard: partiremo da una concezione ingenua di lingua standard secondo
questa teoria ingenua una lingua assumerebbe la posizione funzione di standard in una comunità perché sei
all’origine diversa o dotata di caratteristiche che le altre forme di lingua non hanno.una di queste
caratteristiche intrinseche sarebbe la centralità o neutralità rispetto ad altre varietà: centralità geografica
una forma di lingua non diventerebbe standard se non fosse in sé adatta ad esserlo, logica maggiormente in
grado di essere usata per la comunicazione. Le ragioni, dunque, che fanno di una lingua una lingua standard
non sono legati ad una superiorità sono piuttosto ragioni storiche. Per quanto riguarda l’italiano la sua
storia e nota il toscano del Trecento delle classi colte e diventato lingua nazionale per adesione volontaria
al toscano da parte dell’Élite intellettuali ciò è accaduto perché il toscano è stato apprezzato nella
commedia di Dante, nel Decameron di Boccaccio e nel canzoniere di Petrarca. Nella sua espansione il
toscano ha incontrato le parlate locali, l’italiano standard è il frutto di un’opera secolare di contaminazione
del toscano da parte delle parlate locali, una sorta di fiorentino inventato che non è il fiorentino che si parla
Firenze. Alberto Sobrero distingue uno standard alto, di base letteraria, diffuso nelle classi colte è uno
standard e basso, ovvero il cosiddetto italiano dell’uso medio per quanto riguarda la prima varietà non vuol
dire tout court delle opere letterarie ma piuttosto lingua di livello letterario appoggiata alla tradizione
letteraria. È dunque la lingua generalmente scritta. Al di sotto di questa varietà alta c’è una varietà bassa
che chiamano neo-standard il cosiddetto italiano dell’uso medio non va inteso come una varietà che si
oppone allo standard è piuttosto il frutto di una ristrutturazione dello standard. il neo- standard potrebbe a
prima vista sembrare del tutto coincidente con l’italiano parlato. Francesco Sabatini elenca 14 tratti:
-Lui, lei, loro in posizione di soggetto

-Uso della forma dativale gli al posto di le

-Le dislocazioni a sinistra, a destra

-Che polivalente

-Per cui con valore di connettivo frasale

-Cosa? Al posto di che cosa?

-E, ma, ho, allora, comunque in posizione iniziale di frasi

-L’indicativo al posto del congiuntivo

-Il soggetto post verbale

-La frase scissa

-Il ci attualizzante eccetera.

Questo italiano dell’uso medio è comune a tutti gli italiani, parlata e scritta. La varietà in questione in
quanto nazionale e rispondente ad esigenze fortemente sentite dalla società presente si candida ad
occupare il baricentro dell’intero sistema linguistico italiano. A sua volta l’italiano standard viene più avanti
definito come fissato e riconosciuto al più alto livello di istituzionalità. Sabatini indica l’italiano standard e
l’italiano dell’uso medio come le uniche due varietà nazionali dell’italiano contemporaneo. Lorenzo Renzi
tenta di fissare una serie di cambiamenti in corso nella lingua italiana divide le innovazioni in due gruppi: i
fenomeni di ordine linguistico superiore e i fenomeni di ordine più basso quindi fatti più marginali tenta poi
anche di provare a prevedere se tali innovazioni siano destinate a stabilizzarsi dividendo i cambiamenti dal
basso che hanno la possibilità di diventare Forme future e cambiamenti dall’alto forme destinate a cadere.
Non sembra almeno finora che i fenomeni nuovi siano tali da cambiare l’assetto di fondo della lingua. Esiste
un modello riconosciuto di realizzazione dei suoni dell’italiano una norma a cui attenersi. L’italiano è noto è
stata una lingua quasi solo scritta per molti secoli: quando dovevano parlare, gli abitanti usavano il dialetto,
risulta molto difficile definire una sola fonologia dell’italiano ci troviamo di fronte a tanta varietà, nessuna
pronuncia regionale riuscita a diventare effettivo modello nazionale, i manuali di ortoepia, I dizionari e le
scuole di dizione prendono come sistema di riferimento il toscano, depurandolo dalle particolarità locali
tentano di espugnare, nella pronuncia qualsiasi inflessione dialettale allo scopo di rendere il riconoscibile la
provenienza regionale del parlante. Questo modello a via via preso il sopravvento soprattutto al Nord. A
questi movimenti si sono accompagnati movimenti di segno posto. Parallelamente alla diminuzione del
raggio di uso e dei dialetti si assiste ad un movimento verso la standardizzazione con la spontanea
eliminazione dei tratti più locali dialettali. Secondo Nora Galli Esiste un modello di pronuncia che si è
storicamente imposto in Italia modello toscano hai mandato dei tratti più tipicamente fiorentini e assunto
in reinterpretato al nord ovest (Milano). Questa tesi è stata molto discussa. Berruto Afferma che la
pronuncia dei ceti colti settentrionali gode oggi di un prestigio maggiore rispetto ad altre varietà e per
concludere nel caso della pronuncia è difficile parlare di standard.

Quale italiano nelle grammatiche italiane?: Opere grammaticali sull’italiano si possono definire
grammatica di riferimento per tutte le opere ci porremo la stessa domanda quale italiano descrivono? Si
tratta in tutti i casi di grammatiche descrittive, no normative: l’intento comune non è quello di prescrivere
la buona lingua e dunque individuare un sistema di regole l’intento è quello di descrivere l’italiano così
come effettivamente viene usato dalla comunità. La domanda è quali siano le varietà prescelte. Il modello
di italiano che alla base della nostra trattazione è l’italiano comune quello che chiunque scrive e che non è
solo scritto ma anche parlato dalle persone colte e in circostanze non troppo informali. La primissima
edizione dell’opera del 1988 aveva come titolo grammatica italiana e come sottotitolo lingua comune lingua
letteraria. Trova lo spazio in questa grammatica sia i fenomeni dell’italiano standard sia i fenomeni
dell’italiano neo-standard. L’attenzione ai tratti del neo-standard è ancora più accentuata nell’ultima parte
dell’opera “glossario e dubbi linguistici” in un’altra grande grammatica di riferimento dell’italiano curata da
Renzi, salvi e Cardinaletti, la scelta del tipo di italiano che si intende descrivere è determinata dal paradigma
scientifico, la grammatica generativa: è l’italiano che il parlante nativo conosce e usa nella molteplicità delle
situazioni. Renzi nella “presentazione“conclude: questa grammatica accoglie e valorizza l’idea tante volte
ripetuta in questi anni della pluralità interna dell’italiano se non proprio dei molti italiani. L’opera curata di
Sobrero assume questa prospettiva in modo ancora più netto essa si pone l’obiettivo di presentare
un’istantanea della lingua italiana contemporanea articolata in due pose. La foto statica che corrisponde al
primo volume descrive i livelli di analisi fondamentali della lingua, la foto dinamica riprende come oggetto
proprio le varietà e gli usi particolari. In entrambe le foto l’attenzione puntata sui fenomeni più rilevanti
della lingua italiana contemporanea. Siamo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva rispetto alle
opere grammaticali e tradizionali: lungi da guardare al passato, si guarda il presente. La nuova grammatica
di Michele Prandi e Cristina De Santis: una lingua contiene un nucleo di strutture rigide non negoziabili
circondato da un ampio repertorio di opzioni a disposizione del parlante. Ci sarà posto in questa
grammatica sia per i fatti strutturali governati da regole. Sia per una pluralità di opzioni diverse, delle scelte
del parlante (questa grammatica si chiama infatti le regole le scelte). Nessuna delle grammatiche
considerate esclude dalla trattazione i fenomeni del cosiddetto italiano neo-standard.

Norma tradizionale italiano scolastico: l’insegnante medio è ancora assillato da quesiti. il tema dell’errore
di lingua è strettamente connesso alla scelta della norma di riferimento. Quale modello di lingua assumono
in generale le grammatiche scolastiche, quali italiano descrivono? Partiremo da Monica berretta che
affronta questo tema, l’autrice ricorda uno degli obiettivi fondamentali portare gli allievi ad esprimersi in
buon italiano. Nella scuola descritta dalla berretta la lingua scritta il punto di riferimento basilare
dell’insegnamento tradizionale, dunque, di fronte a certi usi tipici del parlato la posizione della pedagogia
linguistica tradizionale era di tipo turistico. Le strutture fondamentali del linguaggio saranno universali e
basate sulla ragione se dunque ciò che è essenziale nel linguaggio è la sua struttura universale i fatti
particolari saranno corruzioni che offuscano e modificano la regolarità razionale del linguaggio. I
cambiamenti che nel corso del tempo le lingue subiscono sono dunque elementi inevitabilmente negativi il
compito dell’istruzione sarà quello di reprimerli o almeno frenarli. Non esistendo ancora in Italia una norma
di fatto parlare scritta l’operazione messa in atto fu quella di scegliere a priori una forma e imporla, le
conseguenze furono importanti e di una lunga durata perché La norma non è sociale non è già acquisita. Il
concetto di norma è un concetto valutativo che discrimina ciò che è buono e giusto da ciò che non lo è. De
Mauro aveva individuato l’antiparlamentarismo, modello nella scuola italiana. Date le condizioni vincere la
battaglia contro l’uso esclusivo del dialetto parve possibile soltanto un prezzo: quello di imporre agli allievi
di Rifuggire da ogni elemento lessicale. L’antiparlamentare meglio il parlare come un libro stampato è stato
così l’ideale linguistico più diffuso nella scuola media. L’ antiparlato di cui parla de Mauro si identifica con
l’italiano scolastico adottato a scuola di cui ad esempio si documenta l’esistenza in una ricerca Dove quattro
insegnanti ricercatori veneti sottoposero ad analisi le correzioni di quattro loro colleghi. Ci sono qui molti
esempi di interventi correttivi discutibili, alcuni dei quali producono un vero e proprio cambiamento. Gli
insegnanti si affidano oggi a una specie di tradizione scolastica che spinge ad adottare atteggiamenti
pedantesche e impedisce agli alunni di sviluppare le loro potenzialità espressive. Il rifiuto dei linguisti nei
confronti di questa norma scolastica è stato dunque netto. È Tornato ad occuparsi di italiano scolastico
Michele Cortelazzo Che avanzava l’ipotesi che tale varietà sia già scomparso agli inizi degli anni 80. Alcuni
studi recenti dimostrano che forse sono aumentati i casi di accettazione degli usi più quotidiani della lingua
ma c’è ancora chi corregge andare con recarsi.
Norma linguistica ed uso: le discussioni sull’italiano scolastico ci riportano al problema dal quale siamo
partiti: la definizione della norma, del modello di riferimento dal dottore in classe. Serianni nel “la lingua
italiana tra norma e uso“ sostiene che è difficile parlare di norma prescindendo dalla reazione linguistica
che in una certa comunità di parlanti e in un dato momento storico e lecito aspettarsi e per chiarire il suo
pensiero fa un paragone tra lingua e diritto: ci sono dei comportamenti linguistici devianti che violano un
comune sentimento della lingua: la massa dei parlanti reagirebbe non ammetterebbe determinate forme o
costrutti avvertendole come offensive del proprio senso linguistico. La norma coincide con l’uso
statisticamente prevalente(berretta) quell’uso che non offende ma al contrario si adegua al comune
sentimento della lingua dei parlanti (serieanni). De Saussure Parlava di netta separazione fra sincronia e
diacronia: si intende per sincronia il complesso delle caratteristiche strutturali di una lingua considerata in
un determinato momento storico, per diacronia la dimensione temporale in cui si collocano i fatti linguistici.
Il metodo della linguistica sincronica consiste nel raccogliere le testimonianze dei parlanti per ricavare
informazioni sui comportamenti linguistici diffusi e prevalenti nella collettività. È questo uno dei compiti
essenziali di ogni grammatico che dovrà certo descrivere la norma va bene sapendo che essa coincide con
l’uso, distinguendo però tra processi importanti e duraturi e mode passeggere. La lingua esaminata in
sincronia è governata da leggi le quali sono sì generali ma non imperative. Nella lingua nessuna forza
garantisce la conservazione della regolarità l’ordine precario proprio perché non è imperativo. Questo
significa che i cambiamenti e trasformazioni sono sempre possibili e naturali possono passare decenni
prima che una nuova forma nuova funzione si consolidano e si impongano all’uso superando quella che
Saussure chiama la resistenza dell’inerzia collettiva. Sono i fenomeni di transizione che porranno al
drammatico e all’insegnanti maggiori problemi. Serianni Segnala agli insegnanti di italiano due poli estremi
uno che definisce di massima stabilità rappresentato dall’ortografia uno che definisce di Massima
Oscillazione rappresentato dalla pronuncia. Tuttavia questo non significa che tutto sia assodato e lo stesso
Serianni Elenca una serie di casi sui quali si registrano ancora dubbi oscillazioni. La sua previsione però è
che la videoscrittura a girata gente normalizzatori.al contrario dell’ortografia pensa che al polo opposto va
collocata la pronuncia. Rimane il settore della pronuncia quello meno normalizzato o se si vuole
differenziato ed è il settore in cui l’interventi correttivi sono meno sicuri e meno frequenti. Per aiutare gli
insegnanti Serianni discutere alcuni criteri di giudizio.

Criteri normativi: un primo criterio di giudizio è quello razionalistico logicizzante. Secondo tale criterio una
forma come suicidarsi sarebbe logica perché contenente un doppio riflessivo (sui e sì) dovremmo giudicare
scorretta anche la doppia negazione. Castellani introduce anche l’abuso dell’aggettivo possessivo
“trascorrete le vostre vacanze“ un tempo si sarebbe detto: trascorrete le vacanze non essendo possibile che
qualcuno possa trascorrere le vacanze di un altro. Anche se il possessivo può essere talvolta logicamente
ridondante non è certo questo il criterio per decidere la sua accettabilità. Riportiamo altri due quesiti
interessanti: il primo quesito, dicendo in casa di X ci sono dei bei quadri, raddoppia l’indicazione del luogo,
poiché ci significa lì? Secondo quesito, dire “un gruppo di scolari uscivano dalla scuola” non è più logico che
dire “un gruppo di scolari usciva dalla scuola” attribuendo un’azione a un’entità astratta? La risposta di
Nencioni: Spiega la legittimità degli usi Attestati dal lettore e mette in guardia dalle preoccupazioni
etimologiche. Né il criterio razionalistico logicizzante né il criterio etimologico sono da considerarsi
attendibili nella definizione della norma linguistica. Per Castellani il modello di lingua cui attenersi è di tipo
letterario diversamente da Castellani, Serianni Esprime molte perplessità sulla validità del criterio letterario
come fonte normativa non gli pare privo di rischi e riporta alcuni esempi di scrittori importanti dove nei loro
testi ci sono una serie di oscillazioni. Questo si affida a quella che chiama la personale sensibilità
dell’insegnante che saprà addestrare i suoi allievi ai diversi registri richiesti dalle diverse situazioni
comunicative. Come considerare questi usi, come li dovrà considerare l’insegnante di italiano? La risposta
di Serianni e sempre in relazione alle situazioni d’uso alla percezione dei parlanti in genere hanno di queste
forme. Sono per lui da considerare errori quei fenomeni che contrassegnano un tipo di italiano colloquiale
connotato geograficamente e possono suscitare reazioni sfavorevoli in altre regioni. Per comunicare con gli
altri in modo efficace dobbiamo essere capiti e non essere giudicati. Altro linguista che si è posto il
problema della norma e Alberto Sobrero, dopo aver affermato che non è possibile indicare una sola norma
da applicare in ogni circostanza ricorda che ci sono realizzazioni normali di diverse varietà di lingua. E c’è
una specie di super norma che impone di volta in volta la scelta di una varietà o di un’altra relazione alle
diverse variabili in gioco. Le 10 tesi affermavano che la nuova educazione linguistica ha Una regola è una
bussola: la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato scritto. Serianni Pensa che la scuola
non deve insegnar loro l’italiano informale deve educare il ragazzo ha un importante varietà di italiano
educare alla variabilità non significa accettare tutte le manifestazioni linguistiche e considerarle tutte
ugualmente legittime. Purtroppo, questo lavoro non ha interessato la grande massa degli insegnanti.

Norme grammatiche scolastiche: qual è l’atteggiamento prevalente nei manuali scolastici relativamente al
problema della norma? La domanda che si posero ad esempio Simone Cardona presentando la loro ricerca.
Ritroviamo la stessa domanda in una ricerca del 1997 condotta da Giuliana fiorentino. Entrambe le ricerche
si pongono tra l’altro l’obiettivo di individuare la nozione di lingua sottostante e la varietà di italiano che tali
grammatiche mirano a descrivere e ad insegnare, l’obiettivo è quello di verificare quale sia lo standard di
riferimento. Simone e Cardona scrivono che Nelle grammatiche la lingua essenzialmente una è unica non
vengono infatti riconosciute varietà dialettali o regionali. Le grammatiche studiate da fiorentino danno un
certo spazio al tema delle varietà di lingua, c’è una lingua e Ci sono delle varietà, e le grammatiche
descrivono in modo separato l’una e le altre. Manca però chiarezza e unanimità. Serianni Esamina manuali
in uso nella scuola secondaria, nonostante la qualità sia migliorata permane il difetto quando la lingua varia
a seconda di variabili, il libro dovrebbe diventare una bussola utile a mettersi nella giusta rotta. Molti testi
ignorano i fenomeni tipici degli usi parlati. In generale l’indifferenza al contesto comunicativo ha una
conseguenza, il confine essenziale tra forme inaccettabili se non grammaticali e forme di registro
colloquiale appare poco chiaro. Dunque, le grammatiche scolastiche continuano a descrivere un modello di
lingua che corrisponde solo in parte all’italiano comune.

CAP 4 LA GRAMMATICA NELLE’EDUCAZIONE LINGUISTICA

La grammatica sotto accusa: Cominciarono Raffaele Simone e Giorgio Cardona nel 1971 Con un saggio che
suonava come critica severa alle grammatiche scolastiche in circolazione in Italia negli ultimi anni 60. Dopo
di loro molti ritornarono sull’argomento furono soprattutto due le accuse mosse al modo in cui si era soliti
fare grammatica in classe: l’inaffidabilità scientifica dei contenuti proposti e l’inefficacia rispetto agli
obiettivi che si credeva di poter raggiungere. I primi a cadere sotto la critica furono i contenuti grammaticali
in senso stretto definizioni, le classificazioni. l’italiano è un sistema Unitario, italiano è basato sul toscano. I
dialetti italiani non sono che rozze degenerazioni della lingua italiana e vanno banditi, l’italiano popolare e
le pronunce regionali vanno estirpati data questa impostazione generale era completamente assente un
confronto tra sistemi linguistici con le lingue straniere. La conseguenza a un’assenza di attenzione circa lo
spessore sociale dei fenomeni linguistici non può essere che il carattere prescrittivo. Tra le scelte più
insistite della sistemazione grammaticale scolastica rientravano certamente la morfologia e la sintassi.
L’addestramento grammaticale degli allievi aveva infatti il suo fulcro proprio nel riconoscimento delle
diverse categorie e sottocategorie di cui si compone la lingua. E a questi insieme di pratiche grammaticali
tradizionali, analisi grammaticale, logica, del periodo che ci si riferisce quando si usa l’espressione di
modello tradizionale. Nell’identificazione delle categorie sia morfologiche e sintattiche vengono proposti
criteri diversi, tra loro non coerenti: il criterio formale che divide le categorie sulla base della loro variabilità
o in variabilità morfologica, il criterio nazionale semantico che si sforza di trovare un contenuto semantico
comune a tutte le parole appartenenti ad una stessa categoria, il criterio distribuzionale che indica il posto
occupato da una certa categoria rispetto alle altre, il criterio funzionale che indica ciò a cui serve una certa
categoria. È stata più riprese polemicamente notata l’assenza di un’universalità delle categorie proposte. Ci
si è chiesto quale fosse l’utilità didattica di queste complicate tassonomie, le quali consistono in un chiaro
esempio di proliferazione di nozioni non giustificate a livello operativo. Il tenace attaccamento al modello
tradizionale è stato in buona parte determinato dalla presenza del latino. L’analisi grammaticale analisi
logica servono soprattutto a passare dall’italiano al latino. Tra i buchi più vistosi del modello tradizionale
sono stati notati; l’assenza di speciali considerazioni per il lessico, l’assenza della distinzione tra
complementi necessari e complementi facoltativi. Le basi teoriche della grammatica tradizionale sono
estremamente fragili e pure tutta questa complicatissima costruzione viene insegnata. La seconda accusa
mossa alla grammatica tradizionale fu la sua incapacità di garantire a tutti gli allievi soprattutto a quelli delle
classi sociali inferiori il possesso della lingua italiana, il suo uso corretto. Monica berretta Afferma Che nulla
conferma che lo studio della grammatica tradizionale abbia un influsso positivo sulla competenza linguistica
per parlare scrivere leggere l’insegnamento della grammatica non è il mezzo più appropriato. Maria Luisa
Altieri Biagi afferma che a comunicare si impara comunicando. L’importanza che la riflessione linguistica
risiede nella sua capacità di attivare processi di pensiero, Monica berretta suggerisce alcuni ambiti in cui è
possibile intervenire attraverso la grammatica per migliorare le prestazioni linguistiche a condizione di
calibrare gli interventi sulla base dell’età degli studenti.

Le risposte, del rifiuto della grammatica e la ricerca di altre grammatiche: le risposte a questa pioggia di
critiche furono diverse. Molti insegnanti disorientati preferirono rinunciare, questo processo di parziale
messa in soffitta della grammatica si accompagnò con la ricerca di un qualche nuovo modello da adottare
per la grammatica. Raffaele Simone si pose il problema di un modello da contrapporre al modello analitico
della grammatica tradizionale. Simone preferisce un modello sintetico e generativo per introdurre tecniche
generativa e nella didattica delle lingue in modo da arricchire la competenza linguistica secondo un
percorso naturale. Purtroppo, però aggiunge che nessuno pare ancora in grado di dire quali dovrebbero
essere queste tecniche ed in che modo presentarli. Simone, quindi, approda alla soluzione più coerente:
passare da un orientamento esplicito o implicito rinunciando a tutto l’apparato nazionale terminologico
usuale significa mirare ad insegnare non lingua più grammatica ma soltanto lingua. Simone preferiva che si
rinunciasse alla grammatica a favore di un’esposizione ricca. Ma prima di presentare i frutti di questa sua
lunga ricerca vorremmo segnalare due equivoci. Un primo equivoco nasce dalla convinzione che esiste un
modello grammaticale, il modello generativo che poteva aspirare a prendere il posto del modello
tradizionale secondo Simone più adatto a incoraggiare le possibilità produttive e creative della prendente.
In realtà tale modello ha intenti teorici poco compatibili con Simone. A questo primo equivoco se ne
accompagna un secondo: l’idea che possa esistere un modello grammaticale più adatto di altri. Traspare
chiara l’idea che l’insegnamento grammaticale e non ad altro debba mirare che a sviluppare la lingua.
Simone provo a tradurre le sue idee in un libro il libro di italiano. Il tentativo di Simone fu quello di cercare
dei contenuti è un metodo, di ampliare il repertorio dei significati e delle forme disponibili. Affermava che il
suo libro di italiano aveva un difetto, faceva troppo appello a istanze generali e poco al sapere tecnico. Chi
invece non ebbe mai dubbi sulla necessità di fare grammatica scuola fu Monica berretta voleva cercare
un’alternativa plausibile al modello tradizionale. Berretta studia le possibili applicazioni in sede didattica,
ognuno dei modelli presenta pregi e difetti le conclusioni sono improntatele alla massima prudenza. Alcune
delle idee della berretta influenzarono fortemente il dibattito successivo, ad esempio, l’idea di una
grammatica didattica debba essere essenzialmente di superficie nel senso che debba spiegare direttamente
le frasi della lingua così come appaiono. Questa convinzione la porta a rifiutare la proposta di Domenico
Parisi e dei suoi collaboratori di Roma che puntavano a soddisfare entrambe le condizioni necessarie e a
rinnovare l’insegnamento linguistico in Italia. La prima condizione è che vi sia una ricerca scientifica
adeguata che lavori modelli coerenti. La seconda è che questa ricerca si misuri con i problemi reali. Solo se
questi due condizioni saranno soddisfatte sarà possibile realizzare una pedagogia linguistica razionale. Il
programma si basa sull’assunto che il linguaggio verbale è un’attività guidata da scopi per cui parlare e
costruire gerarchie di scopi e poi realizzarle mentre capire e ricostruire la gerarchia di scopi. Queste
riflessioni vengono accompagnate spesso da indicazioni didattiche molto articolate aventi una finalità
comune: condurre gli allievi a scoprire la natura del linguaggio. La proposta di Parisi e collaboratori si
distingue dunque per il suo carattere organico di un modello teorico che aspira a sostituire il modello
tradizionale.si muove su tutto altre posizioni il linguista padovano Lorenzo Renzi che afferma questa nuova
grammatica finora non esiste. Renzi suggerisce tuttavia una soluzione lanciando una proposta cui diede il
nome di grammatica ragionevole per l’insegnamento, ebbe un ruolo chiarificatore e almeno rassicurante
per molti degli insegnanti impegnati su questo fronte vediamo di cosa si tratta. La grammatica non insegna
la lingua ma la descrive e pur ribadendo le critiche all’impalcatura grammaticale tradizionale Renzi, tuttavia,
afferma che la miglior base di un insegnamento grammaticale sia ancora la grammatica tradizionale purché
liberata dalle sue contraddizioni nonché aperta fornisce praticamente le basi. Segue una rassegna di alcuni
nodi della grammatica tradizionale. Per ogni categoria Renzi discute modalità tradizionali e ne individua i
punti deboli e suggerisce nuove formulazioni e prospettive ridimensionando l’impalcatura tradizionale
senza distruggerla. Chi tra gli insegnanti le segue il saggio trova conforto nella scoperta che dunque non
tutto quello che si era studiato andava buttato a mare e che in fondo bastava solo continuare a studiare la
proposta di Renzi si imporrà fino a diventare condivisa, questo pur assumendo il modello tradizionale non
disdegna l’integrazione con altri modelli. Una proposta alternativa molto forte e insidiosa venne da Raffaele
Simone si convinse della necessità di adottare nell’insegnamento la grammatica nozionale è un percorso
esattamente inverso rispetto a quello compiuto dalle grammatiche formali le quali partono dalla superficie
della lingua da ciò che si vede, dai significanti, una grammatica formale identifica le forme regolari e
irregolari e i vari significati. Il modello nozionale si presta meno di un modello formale favorisce il confronto
fra le lingue. È probabilmente proprio per questa sua facile adattabilità a lingue diverse che il modello
nazionale avuto grande successo nell’insegnamento delle lingue seconde, non si può dire però che il
modello nozionale abbia avuto lo stesso successo per quanto riguarda l’insegnamento della lingua materna
per varie ragioni. La prima perché una grammatica per la scuola deve essere di superficie e concreta sarà
poi possibile far seguire la considerazione di fatti più profondi una ragione ancora più forte va cercata nella
impalcatura teorica quasi sempre di tipo formale. Bisogna tuttavia aggiungere che negli ultimi Simi anni la
situazione almeno in parte mutata grazie all’uscita di due nuove sistemazioni grammaticali si tratta di
grammatica che pur non rinunciando all’apparato formale accolgono con convinzione la tematica
funzionale. infine un altro modello grammaticale è il cosiddetto modello Valenzia Ale se ne fatto paladino in
Italia Francesco Sabatini. Tale modello ha un suo punto di forza nella definizione della struttura della frase
semplice, vista non già come l’unione di un soggetto e di un predicato ma come la proiezione linguistica di
un predicato verbo ogni verbo possiede delle valenze che devono essere saturate nelle frasi attraverso degli
elementi necessari, ad esempio i verbi russare, a dormire richiedono un solo argomento obbligatorio il
soggetto sono monovalenti. Altri verbi richiedono più elementi obbligatori che possono essere due
(bivalenti), tre (verbi trivalenti) o addirittura quattro. Ne mancano i verbi zero valenti sistematicamente
privi del soggetto (piovere, grandinare). Il modello Valenziale è il miglior candidato da un’assunzione
generalizzata nell’insegnamento esso si presta ad integrare il modello tradizionale intervenendo solo su un
livello di analisi, quello della frase di cui riesci a fare una descrizione semplice senza stravolgerla del tutto, si
riesce a capire perché non tutte le frasi semplici hanno la stessa struttura, questo modello elimina molte
inutili tassonomie prima fra tutte è proprio quella di complimenti. In secondo luogo, il modello Valenziale
pure identificando la struttura richiesta da un verbo con un ragionamento di tipo semantico profondo
lavora poi in superficie e trova un suo spazio importante in molte nuove grammatiche di riferimento
dell’italiano.

Le nuove frontiere della grammatica nell’insegnamento: spesso questi sforzi di rinnovamento si arrestano
a metà in alcuni casi il nuovo è stato posto polemicamente al vecchio ma poi nella realtà si è affastellato il
vecchio e il nuovo dando origine a costruzioni complesse poco adatte agli allievi. Molti linguisti si accinsero
a scrivere delle grammatiche destinati alla scuola insomma possiamo dire che è stato proprio da quella
iniziale confusione teorica che sono emerse le idee vincenti.
Grammatica tradizionale e altre grammatiche: si è col tempo fatta strada l’idea che molte delle categorie
del modello tradizionale vadano proposte nella scuola accanto ad altre categorie poco praticati ma non in
conflitto con le prime allo scopo di sviluppare una serie di sotto competenze: la competenza lessicale, la
competenza semantica frasale e testuale, la competenza sintattica superiore (riconoscimento e uso di
anafore, connettivi), la competenza delle varietà della lingua. Se si vuole intervenire in tutti questi settori
non si può prescindere dall’attivare attività metalinguistica non formale agganciata alla curiosità non
appesantita da nozioni. Il saggio della berretta riguarda la competenza metalinguistica nella scuola di base,
ciò che Monica berretta chiama competenza meta linguistica altri chiamano riflessione sulla lingua.
Francesco Sabatini fa chiarezza sul significato riflessione sulla lingua: le conoscenze relative alla pronuncia,
l’ortografia e la punteggiatura, le conoscenze relative della comunicazione, della struttura generale della
lingua e dei rapporti tra le vicende storiche, sociali, culturali. L’insieme dei fenomeni linguistici è un oggetto
di studio troppo complesso per essere esaurito da un solo approccio descrittivo (modello teorico). In questa
prospettiva la ricerca di un unico modello descrittivo ed esplicativo da adottare per l’insegnamento non ho
più molto senso. Raffaele Simone nel 1991 scrive assieme ad altri un nuovo manuale, una grammatica per il
biennio 655 pagine di testo e troviamo oltre agli argomenti più ovvi tutta una serie di capitoli dedicati ai
rapporti tra lingua e altri sistemi di segni, alle varietà e al testo. I contenuti di questi manuali potrebbero
essere definiti come la realizzazione del programma di Renzi e delle 10 tesi contemporaneamente: una
rivisitazione è un ampiamento cui si aggiungono i temi della variabilità, della considerazione sociale, storica,
della lingua. Mutano anche gli obiettivi di Francesco Sabatini individua tre ordini di obiettivi: lo sviluppo
delle capacità linguistiche, il potenziamento della formazione culturale, lo sviluppo cognitivo. Sul primo
obiettivo Sabatini continua mostrare molte riserve e perplessità, sul secondo quello della formazione
culturale le varietà linguistiche sono il risultato della molteplicità delle relazioni umane dell’oggi, diventano
utili e interessanti le esplorazioni nei dialetti o nelle lingue locali. Quanto al terzo obiettivo quello di una
crescita cognitiva la sua idea è che la riflessione sulla lingua possa svolgere un ruolo importante nel
migliorare le abilità cognitive di base attivando alcune capacità mentali che sono alla base dei processi di
pensiero più maturi. L’addestramento dei meccanismi cognitivi basterebbe da sola giustificare la riflessione
grammaticale sull’oggetto lingua: tale riflessione aiuta ad esercitare la mente perché questa possa essere
messa in grado di sfruttare al meglio le sue straordinarie potenzialità. Raffaele Simone insiste proprio sulla
necessità di aiutare i ragazzi a pensare queste cose dovrebbero essere la preoccupazione costante della
scuola “educare la tua mente“. Il fine da perseguire e adesso per lui quello di educare i ragazzi non ad usare
meglio la lingua ma ad usare meglio la testa. Ai tre obiettivi indicati da Sabatini ne va forse aggiunto un
quarto un’analisi in profondità della lingua madre, è un punto di partenza per l’apprendimento di altre
lingue.

Il dibattito attuale: punti fermi e nodi risolti: Adriano colombo scrive il vero punto debole resta la
riflessione sulla lingua e ricorda “l’ambiente dell’amorfo sintassi e del lessico resta ancorato in gran parte
dei manuali alla ripetizione acritica di vecchi stereotipi”. Ha certamente pesato il ritardo con cui sono uscite
le grandi grammatiche una volta uscita un’opera grammaticale ha bisogno di molto tempo per entrare in
circolo. Quale meraviglia se i contenuti di queste opere faticano ancora a raggiungere la generalità del
mondo della scuola? Raggiungeranno forse ma solo dopo che i giovani, futuri insegnanti, li avranno studiati
nelle aule universitarie. Nel frattempo, conviene occuparsi anche di altre questioni, ad esempio, c’è il
problema del curricolo, fanno le stesse cose ma con approcci incomunicanti, le conoscenze acquisite a un
livello sono utilizzate poco e male nei successivi. Lo studioso suggerisce un curricolo che punta ad evitare la
ripetizione ciclica degli stessi argomenti, in ogni ciclo si fa più o meno tutto e si ricomincia da capo nel ciclo
successivo il risultato è l’ignoranza grammaticale. Deve essere un curricolo ben motivato alla cui definizione
concorrono due operazioni imprescindibili: la scelta, o selezione dei contenuti e la loro progressione nel
tempo non si può insegnare tutta la grammatica dell’italiano, la progressione significa decidere cosa
presentare prima, cosa dopo. Simone suggerisce un primo criterio: non insegnare ciò che il ragazzo già sa.
Secondo Altieri Biagi invece non dovrebbe insegnare nulla che il ragazzo già non sappia questa seconda tesi
trova oggi il maggior consenso. Già al momento del suo ingresso a scuola il bambino possiede una
complessa e articolata competenza linguistica sulla quale poter lavorare per anni.lo sviluppo linguistico del
bambino è strettamente correlato al suo sviluppo cognitivo: questo significa che l’attività scolastica può
anticipare di poco. Se il bambino non è pronto a recepire una certa forma individuarne la relativa funzione
non c’è strategia didattica che possa aggirare questo ostacolo. Un’altra questione riguarda la maggiore o
minore separatezza delle ore di grammatica, il rapporto fra la riflessione e la pratica concreta dei testi. Non
ha dubbi Francesco Sabatini sul fatto che la riflessione vada fatta in momenti appositamente programmati e
condotta su modelli costruiti ad hoc che consentono di isolare bene e dunque vedere i fenomeni che
interessano. Maria Luisa Altieri Biagi insiste invece sull’importanza di una riflessione che Parta dai testi, la
riflessione sui testi avrebbe il vantaggio di essere più redditizia e più coinvolgente perché reimmette lo
studio grammaticale nel circuito dell’esperienza comunicativa. Una pratica di riflessione grammaticale
legata al testo è connessa ad una pratica di manipolazione di uso del testo. Viceversa, una riflessione su
modelli scinde i due momenti. Forse il meglio sarebbe riuscire a integrare le due diverse prospettive.
Un’altra questione riguarda il quando iniziare il quando finire un programma di riflessione sulla lingua,
colombo parte dagli ultimi anni del livello elementare età più adatta a cominciare una riflessione
grammaticale. Roberto Morgese parte fin dal primo anno di scuola elementare. Monica berretta segnalava
la comparsa di capacità di riflettere sulla lingua nel bambino già partire dei due anni di età rivelandosi nelle
molte domande che il bambino fa. L’attività metalinguistica è dunque un fatto del tutto naturale spontaneo.
La berretta vorrebbe ridurre al massimo il peso di nozioni formali. Il programma di riflessione sulla lingua
deve coinvolgere in modo stabile forte tutte le fasce scolari anche nel triennio delle superiori le ragioni di
questo allungamento sono almeno due la prima ragione va ricercata nel fatto che certi fenomeni linguistici
non sono disponibili alla comprensione degli allievi più piccoli esempio: le forme più complesse di anafora,
fenomeni della concordanza verbale, i saggi espositivi, i mezzi tecnici. C’è infine una seconda ottima ragione
per fare grammatica anche nel triennio superiore: pare che questa fascia scolare costituisca il momento
ideale per procedere ad un’opera di attenta revisione di tutto il sapere grammaticale accumulato dagli
allievi nel corso degli anni per fondersi in una visione organica. All’uscita dalla scuola superiore e allievi
dovrebbero avere sviluppato un’idea chiara della struttura della nostra lingua.

CAP 5 LA DIMENSIONE TESTUALE

Introduzione: la linguistica del testo nasce negli anni 70 in Germania il primo contributo della linguistica del
testo alla didattica delle lingue: l’ampiamento del concetto di testo a qualunque messaggio dotato di senso
compiuto, formale o informale. Uno dei campi di studio preferiti della linguistica del testo è stato proprio il
ritrovamento e la classificazione dei diversi tipi e generi testuali. La linguistica testuale parte dall’assunto
che sia il testo a costituire il dominio della grammatica e non la frase.

Coesione e grammatica: Stretta correlazione tra il concetto di coesione e la grammatica.si intende infatti
per questione è l’insieme dei meccanismi grammaticali dei quali ci serviamo per collegare assieme le varie
parti di cui un testo si compone. Tali meccanismi sono superficiali cioè realizzati linguisticamente.

L’anafora: è uno dei principali mezzi che le lingue hanno a disposizione per legare assieme porzioni più o
meno ampie di testo possono essere sintagmi, pronomi che si riferiscono alla stessa entità in un testo,
quindi è l’omissione del soggetto. La grammatica del testo chiama antecedente la prima menzione di un
individuo od oggetto in un testo e ripresa anaforica la seconda menzione.si intende quindi per anafora quel
meccanismo che instaura una relazione fra due o più elementi del testo.se gli elementi di richiamo sono più
di uno si può anche parlare di catena anaforica. Nel caso delle ellissi però l’assenza è solo apparente perché
la marca del verbo funziona da segnale anaforico, L’entità prende il nome di coreferenza. Le forme possibili
di ripresa anaforica in italiano sono: -il sintagma nominale: semplice ripetizione dell’antecedente
-Sintagma nominale definito espresso da un sinonimo, non sovraordinato, una perifrasi, un sinonimo
testuale.

-Pronomi tonici

-Ellissi

L’antecedente spesso introdotto dall’articolo indefinito, l’articolo indeterminativo è un segnalatore di


presunta novità. Tuttavia una volta introdotto nel testo il nuovo esempio il “gatto“ diventa noto, per
continuare a parlare di lui bisognerà passare all’articolo determinativo. Tra antecedente e ripresa anaforica
si instaura un rapporto di coreferenza. Capire l’esistenza di tale rapporto è fondamentale per l’esatta
decodificazione del messaggio. Sono state descritte dalla letteratura anche altre forme di anafora in cui tra
antecedente e ripresa non si instaura un rapporto di coreferenza: -il cosiddetto incapsulatore anaforico in
cui la ripresa è una specie di capsula, un nome astratto che spesso è accompagnato da aggettivi valutativi

-L’anafora associativa in cui le diverse riprese anaforiche non rimandano allo stesso referente
dell’antecedente ma introducono nel testo nuovi referenti, suggeriti dallo scenario evocato
dall’antecedente.

Bisognerà richiamare con una ripresa ben esplicita e trasparente un antecedente difficile da recuperare.
Svolgono una parte importante nel determinare il tipo di ripresa anaforica anche il ruolo sintattico
dell’antecedente (soggetto, altro) e il suo statuto semantico (umano non umano). Un’attenta
considerazione delle diverse Possibilità di ripresa consentirà all’insegnante di valutare il grado di difficoltà
dei testi proposti uno dei motivi di difficoltà dei testi giornalistici sta proprio nel fatto che essi contengono
molte riprese costituite da perifrasi poco trasparenti. Simile all’anafora è la catafora definibile come quel
meccanismo relazionale che richiama, anticipandolo quanto verrà introdotto più avanti nel testo (se lo vedi,
invita anche Gianni alla festa) anche la carta foravo a presentarsi sotto varie forme. Se correttamente usata
la cataforesi può provocare un interessante effetto psicologico: quello di sollecitare la curiosità del
destinatario che sarà invogliato a proseguire nella lettura per identificare ciò di cui si sta parlando.

I connettivi: i connettivi sono elementi di connessione di parti di testo. I connettivi semantici istituiscono
relazioni fra i fatti e i connettivi testuali collegano parti di testo. Tra i primi si potrebbero far rientrare i
connettivi temporali, i quali mettono in relazione due eventi, la contemporaneità dei due eventi,
l’anteriorità. i connettivi testuali servono a scandire il testo in parti (L’apertura o la chiusura dell’intero
testo) questi mostrano la distinzione tra connettivi semantici e connettivi testuali. Ci sono davvero troppi
sottogruppi di connettivi che non sapremmo sia scrivere al primo al secondo gruppo la difficoltà è
aumentata dal fatto che la diversità della funzione non si accompagna necessariamente ad una diversità di
forme. Alcune funzioni di connessione svolte dai connettivi:

-Funzione additiva (l’aggiunta): anche, inoltre

-Funzione avversativa, quando segnalano una contrapposizione: al contrario.

-Funzione esplicativa e riassuntiva, quando spiegano, esemplificano e dimostrano: per esempio, addirittura

-Funzione consecutiva, quando esprimono la conseguenza: allora, così, dunque, perciò.

-Funzione comparativa, quando instaurano dei paragoni: allo stesso modo

-Funzione pragmatica, quando segnalano l’inizio la fine di uno scambio: allora, Berio, ok.

I connettivi che servono solo a puntellare il testo o riempire spazi vuoti si dicono riempitivi: cioè, ecco,
davvero, insomma. I connettivi pragmatici sono polifunzionali la loro funzione può variare in base
all’intonazione ed al contesto. L’identificazione dei connettivi è affidata ai criteri funzionali, sono una classe
aperta una stessa forma può svolgere più funzioni. Sono questi motivi che ne fanno una categoria difficile
questa difficoltà è confermata dallo scarso uso che generalmente gli adolescenti fanno dei connettivi.
Sabatini e Coletti nel loro dizionario introducono la categoria dei connettivi testuali all’interno della quale si
distingue tra le congiunzioni testuali quelle che non svolgono una funzione all’interno di una struttura
frasale e gli elementi che possono essere riconosciuti come congiunzione: comunque, cosicché, sebbene o
avverbi: allora, anzi, davvero.

Coerenza e significato: un testo povero di legami coesivi è un testo poco coeso questa conclusione però è
contraddetta da molti esempi, hai visto che pioggia? Da stamattina… Non se ne può più. Io francamente
non ho tanta voglia di uscire. Maria Elisabeth Conte annotato che è un testo per funzionare oltre che
questo deve essere coerente. La coerenza interna del testo è data dalla combinazione di tre proprietà
semantiche che devono essere contemporaneamente presenti: l’unitarietà, la continuità e la progressione.
Si ha unitarietà quando il contenuto del testo è riconducibile a nuclei generali, si ha continuità se ogni
enunciato ripropone una componente Semantica già presente nel co-testo, sia progressione se ogni
enunciato contribuisce a modificare o accrescere l’informazione veicolato dal cotesto. Queste tre proprietà
costituiscono dunque le fondamenta del testo, la sua struttura portante ma non funzionerebbero se non ci
fosse la cooperazione del destinatario. Il testo può essere visto come una sequenza di istruzioni per
l’interprete, il ricevente deve rivedere la sua precedente interpretazione alla ricerca di un senso coerente
nel quale integrare l’interpretazione del segmento incompatibile. A volte il processo inferenziale è
innestato dalle conoscenze che il ricevente ha. Si tratta di casi in cui l’informazione rimane implicita perché
le parole utilizzate bastano da soli. Chi non sarà in grado di attivare questi processi inferenziale non capirà
la frase in altri casi il processo inferenziale è attivato dal contesto situazionale in cui viene prodotto il testo
o dalle conoscenze del mondo, questo bagaglio comune è organizzato nella nostra mente secondo degli
schemi ricorrenti divisi in tipi diversi: il frame o rappresentazione statica dei caratteri di singoli oggetti o
situazioni; lo schema, che individua anche le relazioni; gli script o copioni che sono una sorta di sequenza di
azioni; i Plans rappresentazioni mentali di piani strategici. il testo è un oggetto funzionale capace di
rispondere ai bisogni comunicativi di cui utilizza gli schemi ricorrenti.quello che è un insegnante non
dovrebbe mai dimenticare che l’interpretazione di certi testi non è accessibile ai riceventi che non
posseggono una conoscenza del mondo pari a quella assunta dal parlante o dall’autore.

Tipologie testuali: la tipologia testuale e la classificazione dei diversi tipi di testo. La linguistica del testo si
apre alla pragmatica, la Psico linguistica, la sociolinguistica. Un testo rappresenta un evento complesso
costituito da più fattori. Per il canale di trasmissione si classificheranno i testi in parlati e scritti, a loro volta i
testi parlati sono stati suddivisi in monologici e dialogici. Se invece si assumono come criteri distintivi
destinatari e il contesto si parlerà di testi personali, testi pubblici e testi istituzionali. Sabatini propone una
tipologia fondata su ciò che Egli chiama il patto comunicativo che lega emittente e destinatario, in questo
modello si distinguono testi molto vincolanti (scientifici e normativi) e testi mediamente e poco vincolanti
(espositivi o informativi). Le proposte di Beaugrande, Dessler Entrambe distinguono i testi in base alla
funzione qual è lo scopo del testo? E in base al modo in cui ne trattano individuano una tipologia tripartita:
testi descrittivi, narrativi e argomentative a questi Werlich aggiunge l’espositivo e quello regolativo. Il tipo
testuale descrittivo è consentito dalla capacità cognitiva di cogliere le differenze in un contesto spaziale. Il
tipo testuale Narrativo è consentito dalla capacità cognitiva di cogliere le differenze e le percezioni in un
contesto temporale. Il tipo testuale argomentativo comporta la capacità cognitiva di selezionare-giudicare i
concetti. L’espositivo comporta la comprensione degli elementi costitutivi di concetti e il regolativo la
pianificazione del comportamento. Tutti i poi si realizzano in più generi a sua volta ogni genere si articolano
sottogeneri differenziati per contenuto per mezzo di trasmissione: tutte le tipologie dei testi corrono il
rischio di sfiancarsi. Inoltre, bisogna tener conto che i testi reali non si lasciano incasellare tanto facilmente
contengono frammenti anomali non in sintonia con l’impianto generale del testo stesso sono detti misti.

Il tipo narrativo: la centralità del narrare merita un’attenta considerazione da parte del mondo della scuola
terremo conto di due tradizioni di studio: il modello di Weinrich e la sistemazione di Bertinetto. Definizione
di narratività: un qualsiasi testo narrativo deve contenere almeno un narrativo minimo (qualsiasi testo che
presenti la trasformazione da uno stato ad uno Stato B). Questa trasformazione operata dal tempo e
l’autore. Il testo narrativo è un testo dinamico al contrario del testo descrittivo, testo statico per eccellenza.
Partiamo dal ruolo quindi del tempo rappresenteremo il tempo come una retta orizzontale che va da
sinistra a destra segnaleremo i punti per localizzare un evento. Sull’asse del tempo sono evidenziati due
momenti: MA che indica il momento dell’avvenimento e ME che indica il momento dell’enunciazione in cui
il N produce il suo testo. Si vede spesso l’alternanza dei due tempi tipico dei testi scritti di genere narrativo.
Attraverso l’IMP (imperfetto) Si danno informazioni sulle caratteristiche dei personaggi e degli ambienti, la
funzione del PR è invece quella di far avanzare la storia, rappresenta il centro dell’azione. L’IMP È un tempo
imperfetti Ivo rappresenta il processo in modo indeterminato, il PR invece è un tempo per festivo
rappresenta un processo che si dà per compiuto, svolge in italiano analoga funzione il passato prossimo PP.
Altri due tempi che servono a spostarsi lungo l’asse del tempo: il trapassato prossimo TP per segnalare
eventi che precedono il MA, E il condizionale composto CC per segnalare eventi che lo seguono: Quindi
l’anteriorità e la posteriorità relativa all’evento centrale. Il tempo linguistico è l’insieme delle relazioni
temporali presenti in un testo, tali relazioni determinate dal tempo fisico, cioè dal modo in cui gli eventi si
sono avvicendati dipendono dalle scelte del N. I testi narrativi che seguono un ordine artificiale presentano
per il ricevente una doppia difficoltà, cognitiva e linguistica. Nel modello di Weinrich I tempi dell’italiano
sono suddivisi in tempi narrativi, tipici del mondo narrato i tempi commentati, tipici dei testi a carattere
commentativo. Tra i primi l’autore fa rientrare l’IMP, il PR, il TP e il CC oltre al trapassato remoto e
condizionale presente, tra i secondi rientrerebbero senz’altro il P e il PP oltre al futuro. Un tempo
generalmente usato per esprimere eventi passati può essere impiegato talvolta anche per esprimere eventi
futuri e il presente può spostarsi sia in avanti che indietro lungo l’asse temporale di fronte ad un P inserito
in un testo narrativo dovremmo ogni volta chiederci di che tipo di P si tratta: narrativo, storico, isola ho
deittico. Riconoscere questi vari tipi di P non è sempre facile. Dunque, la selezione dei tempi in questi
generi testuali sarebbe determinata da quello che Weinrich chiama l’atteggiamento linguistico del
produttore del testo. Negli esercizi scolastici però la consegna è spesso ambigua quando si chiede un
riassunto una parafrasi di un testo narrativo o se si chiede che riproducano in formato più ridotto il testo
originario o in una diversa varietà di italiano. L’atteggiamento Degli studenti dovrà essere coerente non ci
dovranno essere contaminazioni, ci si aspetta di ritrovare gli stessi profili verbali. Non è così se si chiede
loro un commento o una recensione in questo tipo di consegna la selezione dei tempi verbali è orientata in
massima parte sul P. Si deve tenere conto dell’intenzione del Riformulatore. Ne consegue la necessità, per
l’insegnante di selezionare con attenzione il tipo di compito e esplicitare con chiarezza l’intenzione
(narrativa ho commentativa). Un’altra difficoltà e posta dei testi letterari narrativi per i quali non è così
ovvio parlare di passato. Bertinetto Sostiene che i tempi passati usati in un testo letterario non implicano
mai un autentico riferimento al passato, ma sono piuttosto da interpretarsi come segnali di tipo discorsivo i
tempi verbali dei racconti e romanzi di fantascienza allorquando, nonostante gli eventi narrati si proiettino
in un futuro lontano, i tempi utilizzati sono sempre al passato.

Tipologie testuali e abilità: non c’è oggi ricerca sullo sviluppo delle abilità che pensi di poter fare a meno di
misurarsi con i tipi e i generi testuali dobbiamo per un attimo ricordare la pedagogia del testo letterario
scritto che trascurava del tutto la dimensione dell’oralità e la dimensione della varietà dei prodotti testuali
come visto ed enunciato dalle 10 tesi. Dovevano tuttavia passare ancora molti anni perché certe pratiche si
facessero strada e perché ad esempio si superasse l’idea che le abilità orali non solo del parlare ma anche
quella dell’ascoltare non avevano bisogno di addestramento e cure specifiche. Parlare può comprendere
anche la cura del parlare, esiste anche un’arte del parlare differenziata da occasione a occasione, quella va
curata. Ci sono particolari testi con delle regole. La capacità di produrre testi di questo tipo ha bisogno di un
addestramento ad hoc, una formazione guidata e è la scuola che deve assumersi questo impegno di
educazione alle forme più elaborate di linguaggio. Sono state approntate esperienze in cui il tema della
diversificazione gestuale si intreccia strettamente con quello dello sviluppo delle abilità. Per quanto
riguarda la lettura sono parsi subito evidenti limiti delle pratiche tradizionali, concentrate soprattutto sulla
lettura ad alta voce, poco attenti alla diversificazione testuale. Come sono diversi i prodotti testuali sono
diversi gli scopi per cui si legge le strategie di lettura Attivate nelle diverse situazioni. Leggere può vuol dire
tante cose e la scuola deve farsi carico di tanta complessità. Questa tematica è entrata con forza nelle classi
attraverso le prove invalsi. La tematica testuale si è lentamente imposta anche nell’editoria scolastica ma
non piace a tutti, ad esempio, Raffaele Simone definisce eccessiva la preoccupazione testuale che si è
insinuata, a scuola spesso si dimentica che esistono molte e diverse modalità di lettura e che non esiste una
da privilegiare, si deve porre l’obiettivo di conquistare i giovani al piacere di leggere questo è l’obiettivo
irrinunciabile. È vero anche che per raggiungere questo obiettivo le schede di lettura non sono il mezzo più
idoneo è importante che l’insegnante sappia scegliere i libri da proporre per capire se quel testo funzionerà
in quella classe. Il criterio che deve guidare nella scelta è quello della piacevolezza. Ma esiste un sapere
tecnico che ha fatto della capacità di capire le parole e di connetterne i significati, di stabilirne i
collegamenti logici E di inferire informazioni non esplicitate. Dietro ogni lettura c’è questo lavoro che ci
consente di capire. La riflessione grammaticale va fatta nei dovuti momenti e non su tutto ciò che si legge,
si tratta non di rinunciare all’apparato testuale ma di farne un uso corretto. Il rischio che le nuove pratiche
dell’educazione linguistica diventino meccaniche proposti ai giovani per abitudine e pigrizia. Sulla scrittura
Michele Cortellazzo afferma che c’è la necessità di acquisire la consapevolezza che i diversi tipi di testo
implicano modi diversi di pianificazione di organizzazione testuale. Il lavoro degli ultimi anni e soprattutto
consistito nell’individuazione di percorsi finalizzati all’acquisizione di tecniche differenziate e strategie per
diversi tipi di scrittura e diversi generi. La tematica tipologica si scontra con il prodotto principe della
scrittura scolastica il tema di italiano: il quale è stato parzialmente sostituito dall’analisi di un testo, saggio
breve articolo di giornale. Negli anni 70 la nuova educazione linguistica dichiarò guerra al tema, le critiche
hanno sempre riguardato l’artificialità di questo genere privo di qualsiasi parametro comunicativo privo di
un destinatario, Privo persino di uno scopo. È certo, comunque, che il tema non è mai scomparso dalla
scuola come ci conferma la ricerca di Serianni e benedetti, la crociata contro il tema tradizionale a prodotto
qualche effetto positivo come l’aumentata di indisponibilità di studenti e docenti ad adagiarsi su chiacchiere
a vuoto. Cristina Lavinio sottolinea la rilevanza del tipo espositivo nella comune attività scolastica, è forse il
tipo più praticato a scuola. I generi attraverso i quali più frequentemente il tipo espositivo viene praticato in
classe sono di tipo analitico (manuali scolastici, dizionari) o sintetico (riassunti). altri ricercatori si sono
mossi in una direzione più applicativa tentando di individuare dei percorsi finalizzati alla ricezione e
produzione di alcuni particolari generi espositivi. Si tratta di esempio di insegnare a cercare le informazioni
nei testi che le contengono, dunque nel dizionario (deluso o enciclopedico), nel manuale, in un saggio. Si
tratta anche di insegnare a trasferire queste informazioni nel formato più utile ai nostri scopi: in un
riassunto ad esempio.

Dimensione testuale e grammatica: è rimasta in sospeso la domanda se la riflessione sui meccanismi


testuali, sulla strutturazione dei tipi e dei generi migliori la capacità generale di leggere. Francesco Sabatini
in un intervento dai programmi per la scuola media del 1979 scrive che la distinzione netta tra l’uso della
lingua e la riflessione sulla lingua; quindi, fra la pratica delle abilità e lo studio della grammatica è un falso
problema limitarsi alla pura pratica può avere conseguenze proprio sugli sviluppi delle abilità e dunque non
ha dubbi Sabatini che la coscienza delle funzioni della scrittura, delle regole abbia conseguenze benefiche
nel migliorare le prestazioni scritte. È un campo quello testuale in cui effettivamente la riflessione sulla
forma potrebbe avere delle ricadute positive sull’uso della lingua secondo te con le giuste modalità. E
rispondiamo con qualche situazione a questa domanda perché in Italia non sono stati fatti studi scientifici
magari con classi parallele ma solo generali.
CAP 6 L’ITALIANO LINGUA SECONDA

Le ragioni sociali vecchi e nuovi migranti: il nostro paese è interessato dalla presenza di nuove minoranze
linguistiche nei confronti dei quali la scuola e gli enti pubblici si muovono con difficoltà evidente. La
terminologia considera autoctoni gli allievi nati in Italia da genitori nati in Italia, studenti immigrati di prima
generazione allievi nati all’estero da genitori nati anche se all’estero, infine, studenti immigrati di seconda
generazione allievi nati in Italia da genitori nati all’estero. Nel rapporto del 2010 11 si evidenzia la non è qua
distribuzione della popolazione immigrata nelle diverse aree del paese, la diversa presenza di alunni
immigrati nelle diverse fasce di scolarità soprattutto il ciclo d’obbligo, la maggiore incidenza tra i più piccoli
dei nati in Italia da famiglie immigrate. Comunque la presenza di allievi immigrati è in continua crescita
bisogna insegnare l’italiano anche i minori stranieri per garantire l’inserimento e la partecipazione nel
rispetto delle lingue delle culture di provenienza degli allievi, educando gli altri, i bambini italiani a tale
rispetto. È un compito nuovo per l’insegnante di italiano un compito difficile, la difficoltà è aggravata dal
fatto che i bambini gli adolescenti immigrati provengono da aree linguistiche spesso molto distanti
dall’italiano. Non esiste nel nostro ordinamento il riconoscimento di una specifica professionalità docente
per la preparazione degli insegnanti di italiano L2. In qualche caso si sono mosse le istituzioni locali che
hanno messo a disposizione dei mediatori facilitatori linguistici che affiancano gli insegnanti curricolari ma
questi interventi sono molto contenuti e insufficienti. A questo primo gruppo di apprendenti dobbiamo
aggiungere un secondo tipo di pubblico adulto e scolarizzata è rappresentato dagli studenti che passano in
Italia una parte del loro percorso formativo grazie ai programmi di scambio (Erasmus) studenti che seguono
i molti corsi di italiano. E infine non possiamo non ricordare un terzo tipo di pubblico rappresentato dagli
italiani, e migranti di un recente passato, residenti all’estero. L’insegnamento dell’italiano all’estero deve
fare i conti con una situazione complessa, per questi apprendenti l’impatto scolastico con l’italiano si rivela
spesso traumatico. Non mancano altri tipi di pubblico: ad esempio quel pubblico colto, connotato da forti
interessi intellettuali l’italiano è stato e forse continua ad essere per molti la lingua della musica e delle arti
figurative. Ci sono particolari motivazioni che spingono oggi allo studio dell’italiano culturali, studio, lavoro,
familiari. Rispetto all’indagine del 2000 i dati del 2010 dimostrano una crescita di oltre 20 punti percentuali
delle motivazioni di tipo culturale.

Suggerimenti della ricerca la linguistica acquisizionale: La linguistica acquisizionale tenta di capire come
procede l’acquisizione di una lingua prima o seconda. È un campo di studi che può rilevarsi del massimo
interesse per l’insegnante di lingua, vi troverà un quadro teorico su come procede la mente umana
nell’elaborare i dati linguistici, informazioni di questo tipo possono fornire i criteri esempio per scegliere un
manuale.

Il concetto di Interlingua: Il termine Interlingua viene utilizzato per parlare della lingua posseduta da un
discente alle prese con il difficile compito di imparare una L2, qualunque sia lo stadio di apprendimento in
cui si trova. Il termine viene proposto da Larry Selinker nel 1972. La lingua dell’apprendente cambia
frequentemente. Dunque, l’Interlingua è un sistema dinamico provvisorio, Chomsky proponeva una teoria
dell’apprendimento linguistico che si opponeva alle teorie comportamentisti. Secondo i comportamentisti
l’apprendimento della lingua madre è il risultato della formazione di abitudini a differenza dei
comportamentisti Chomsky non credo affatto che il bambino che sta imparando la sua prima lingua stia
imitando dei modelli acquisendo delle abitudini automatiche. Chomsky crede che egli stia scoprendo delle
regole. Il processo di acquisizione non può essere immaginato come una semplice scoperta delle regole,
Chomsky interpreta dunque il processo di acquisizione della lingua madre come il frutto dell’interazione di
due componenti distinte: da una parte i dati linguistici primari a cui il bambino è esposto nella prima
infanzia e dall’altra un sistema di aspettative sulla forma e l’organizzazione che è un sistema grammaticale
può prendere. Questo complesso di principi organizzativi fornisce dunque al bambino ipotesi sulle regole
grammaticali della lingua che sta apprendendo va ricordato l’apporto della psicologia cognitiva. Mentre il
comportamentismo l’apprendente viene visto come una tabula rasa, nella psicologia cognitiva è concepito
come un agente attivo. Sul piano dell’apprendimento linguistico questi studiosi pongono l’accento proprio
sulle strategie messe in opera dall’apprendente. Ogni apprendimento linguistico si basa dunque su la
ricostruzione delle regole che governano il sistema della lingua.

La ricerca sull’Interlingua: tappe e Sequenze di apprendimento: Vengono fatti molti studi su apprendenti.
L’idea è che bisognasse eliminare le possibili interferenze provocate ad esempio sull’insegnamento
scolastico. Per questo motivo gli studi sull’Interlingua hanno preferito studiare soggetti che acquisiscono
una L2 in contesti naturali immigrati adulti che si inseriscono per motivi di lavoro. La ricerca europea
sull’acquisizione di lingue seconde nata in Germania con il cosiddetto progetto di Heidelberg in Italia si è
costituito un gruppo di ricerca dal 1986 con lavoratori adulti immigrati in Italia. Gli studi hanno evidenziato
che il processo acquisizione Ale procede secondo tappe precise che si ripetono negli apprendenti in modo
indipendente dalle lingue materne dei soggetti studiati. Una prima tappa è pre-basica caratterizzata dalla
preferenza per mezzi pragmatici di comunicazione, il cosiddetto pragmatic mode Che fa ricorso a varie
strategie: uso della gestualità e chiamata in causa del contesto, Richiesta di cooperazione attiva (quando si
segnala all’interlocutore il bisogno di aiuto). E tipica di questa prima fase la memorizzazione di sintagmi e
frasi appresi per imitazione che potrebbero trarci in inganno sull’effettivo livello della sua competenza
perché sono moduli prefabbricati di linguaggio quindi non è in grado in realtà di capire la logica
grammaticale. Segue un secondo momento designato con varietà di base in cui il pragmatic mode viene
gradualmente sostituito dal syntatic mode, Le frasi cominciano ad organizzarsi attorno ad un verbo. Infine,
le varietà post basiche sono caratterizzate da un ricorso sempre maggiore strategie grammaticali. La ricerca
ha descritto anche alcune sequenze di apprendimento relative a particolari fatti morfo sintattici. Tali
sequenze sono spesso implicazionali. Nell’acquisizione spontanea della morfologia verbale dell’italiano le
ricerche hanno dimostrato che l’ordine di comparsa delle diverse forme è il seguente: presente indicativo
“forma basica” che è rappresentata dall’infinito. Participio passato la forma in -to. Imperfetto la cui
funzione è quella di esprimere il passato imperfettivo. Futuro, condizionale, congiuntivo. Con le Sequenze
acquisizionali fin qui individuate e studiate in varie lingue con regolarità, in molti casi c’è somiglianza con la
lingua nei bambini che hanno la stessa lingua come lingua materna.

Strategie di apprendimento: la mente umana nel processare i dati linguistici ricorrerebbe a strategie
generali. Altri studi pongono invece l’accento sull’aspetto sociale comunicativo delle strategie definite come
i tentativi di esprimere il significato delle espressioni in situazioni di interazione con i parlanti nativi. La
ricerca sulle strategie può avere dunque un orientamento Psicolinguistico quando tenta di identificare le
cause di certi errori; o interazionale quando le strategie comunicative sono considerate come uno sforzo
congiunto di entrambi i partecipanti. Le strategie più elementari sono quelle para linguistiche o contestuali,
la prendente sfrutta al massimo la mimica e la gestualità. Rientrano in queste strategie anche i commenti e
i segnali vocali o anche i disegni estemporanei. Una strategia molto nota è molto studiata e il transfer che
consiste nel trasferire in L2 forme o strutture della L1. Questa strategia di trasferimento in L2 di modalità
proprie della L1 veniva considerata centrale nella teoria comportamentista per interferenza della L1. Il peso
specifico della L1 varia sulla base di molte variabili. Anche la commutazione di codice vale a dire il passaggio
saltuario dalla L2 alla L1 potrebbe essere interpretato come l’effetto di un’operazione di interferenza della
L1. Molto frequenti sono le strategie analitiche che descrivono con giri di parole significati grammaticali o
lessicali per supplire alla mancanza di marche di tempo è ampiamente attestato l’uso di materiali lessicali
vari tipicamente avverbiali di tempo. La strategia analitica opera anche a livello lessicale (fare fidanzato per
fidanzarsi) (una cosa che ci aveva l’acqua per vasca). L’estensione analogica è un’altra strategia di
apprendimento, ad esempio, se estratto la regola del participio passato volere-voluto facilmente arriverà a
produrre aprire -aprito. Ugualmente interpreterà come maschili tutte le parole terminanti in o e come
Femminili le parole terminanti in -a, nascono da qui errori quali mamma Felicia. L’apprendente è come se
arriva a focalizzare un solo procedimento alla volta e di questo si serva per colmare i buchi. Un’altra
strategia molto usata dagli apprendenti è quella detta di semplificazione e consiste di solito nell’omissione
di alcune forme previste dalla norma. L’uso di un sistema verbale semplificato è una costante, dal punto di
vista dell’apprendente sarebbe forse più giusto parlare di strategia di complessificazione e se il processo si
ferma e l’apprendente non migliora si parla di fossilizzazione. Altri tipi di strategie sono basate sulla
cooperazione con l’interlocutore, si segnala il bisogno di aiuto. Alcune strategie di apprendimento sono più
orientate sulla L1 (Commutazione di codice, transfer), altre sulla L2 (semplificazione, generalizzazione),
altre sfruttano modalità indipendenti dalla L1 e dalla L2. Alcune rivelano il tentativo di aggirare il problema
sono definite strategie di riduzione, altre rivelano lo sforzo della prendente che non si lascia scoraggiare pur
di trasmettere un certo messaggio strategie di conseguimento. La capacità di utilizzazione delle strategie
contribuisce all’acquisizione della L2.

Universalità e variabilità dei percorsi acquisizionali: accanto alle strategie cognitive vanno riconosciute
delle differenze nel percorso di apprendimento spontaneo e tali differenze sono dovute alla distanza
tipologica tra la L1 e la L2, Hanno un peso le caratteristiche delle lingue di partenza ma anche le
caratteristiche delle lingue d’arrivo vanno poi aggiunte le strategie di apprendimento attivate dal singolo
apprendente che possono variare. Gli apprendenti che imparano la L2 diversamente cambiano la velocità
con cui si impara e l’esito finale.

Dagli studi acquisizionali alla didattica della L2: la linguistica acquisizionale non si è posta all’inizio il
problema di tradurre i risultati delle ricerche in suggerimenti didattici: il suo scopo è quello di scoprire le
tappe di acquisizione nell’apprendimento spontaneo di una L2 e arrivare a capire come la mente costruisce
un sistema linguistico. Una tale conoscenza ha delle importanti ricadute didattiche. È infatti in corso un
avvicinamento tra la lingua acquisizionale e l’insegnamento delle lingue seconde chi ha dato vita alla
didattica acquisizioneale. Siamo lontani dall’avere una descrizione completa di tutte le fasi di lavoro da fare
ancora enorme. Manfred Pienemann, introduce la teoria della processabilità tenta di spiegare lo sviluppo
delle seguenze acquisizionali. L’insegnamento di una qualunque L2 avrà successo solo se si uniforma
all’ordine di acquisizione che non può essere modificato. La teoria della processabilità elabora quindi una
gerarchia di elaborabilità. L’insegnamento deve uniformarsi all’ordine naturale di acquisizione e non può
dunque saltare delle fasi solo a questa condizione l’intervento didattico avrà la possibilità di successo. Gli
insegnanti e i materiali devono adattarsi allo studente e non viceversa.

L’errore di lingua: una importante conseguenza didattica degli studi acquisizionali è la mutata
considerazione dell’errore di lingua bisogna lasciare passare per l’errore perché commettere errori è una
parte inevitabile anzi necessaria per comunicare in una L2, hanno bisogno di sbagliare. Altro problema
invece è se anche i passaggi errati debbano diventare oggetto di insegnamento insegnare una forma errata
Come ponte per la forma corretta? È di fatto discutibile da un punto di vista pedagogico generale ed anche
etico, l’idea che si possa volontariamente insegnare qualcosa di errato a qualcuno. John Truscott sostiene
appunto che correggere è sempre inutile gli interventi correttivi troppo superficiali: questo non si dice, non
si scrive così non incidono sulle prestazioni linguistiche. La linguistica acquisizionale è l’unica che potrebbe
dirci se l’allievo è in grado di capire perché è una certa forma è scorretta. Sono stati indagati solo Alcuni
frammenti delle grammatiche degli apprendenti. Dunque, non è realistico che l’insegnante possa
intervenire sugli errori con piena cognizione di causa. Questa posizione è di contrasto con i risultati di molte
ricerche, risulta infatti da molti studi sperimentali che un feedback di qualunque tipo sui propri errori
migliora le prestazioni dei soggetti. Forse il meglio sarebbe adottare una pluralità di strategie correttive la
cosiddetta correzione selettiva, che non rifiuta nessuna possibilità. Ad esempio, la strategia proposta da
Truscotte può diventare utile e necessaria in almeno due casi: quando l’errore sia in una zona considerata
dall’insegnante ancora inaccessibile e quando l’interruzione dell’intervento correttivo verrebbe sentita
come inopportuna. Si potrebbero suggerire alcune strategie di esplicitezza. Una strategia esplicita potrebbe
limitarsi ad una riformulazione corretta dell’enunciato della prendente, dovrebbero favorire un’operazione
di raffronto con la formulazione precedente e di registrazione della forma corretta da parte
dell’apprendente. La strategia più pesante enfatizza l’errore. Se correttamente impostata una strategia che
punta alla presa di coscienza dei motivi che lo hanno indotto in errore può essere formativa.
Gli apporti del consiglio d’Europa: uno degli obiettivi prioritari del consiglio d’Europa è stato quello di
favorire la conoscenza reciproca tra i popoli europei, questo afferma che solo una migliore conoscenza
delle lingue europee riuscirà a facilitare la comunicazione. Per realizzare questo obiettivo c’è il progetto
“lingue moderne “. Nel progetto sono stati messi a punto una serie di Sillabi o opere in lingue diverse che
garantiscono il cosiddetto livello soglia. L’impegno del consiglio d’Europa in questo campo non si è fermato
con l’elaborazione dei livelli soglia. Più recentemente i principi formulati sono stati illustrati in un
importante documento dal titolo: Quadro Comune europeo 2002, questo documento elabora l’impianto
originale già espresso nei livelli soglia secondo cui l’obiettivo primo e lo sviluppo della competenza
linguistico comunicativa. Il Sillabo Mette in sequenza i contenuti ritenuti di volta in volta più idonei al
raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. Questi sono stati scanditi in sei diverse fasce indicate con
le sigle A1, A2, B1, B2, C1, C2. Il quadro Comune europeo si limita a suggerire una cornice comune, un
quadro teorico di riferimento si spirano al quadro comune alcuni Sillabi di italiano L2. Il primo Sillabo in
ordine di tempo ad essere pubblicato e Barki 2003. Lo duca è un sillabo nato e sperimentato nel centro
linguistico dell’Università di Padova dedicato agli studenti universitari costituisce il primo tentativo di
delineare per l’italiano i sei livelli previsti dal quadro comune secondo tre diverse prospettive: La
competenza pragmatica, la competenza sociolinguistica e la competenza linguistica. L’ultimo è il sillabo è di
spinelli e Parizzi elaborato all’interno del centro per la valutazione e la certificazione dell’università per
stranieri di Perugia per i livelli di competenza da A1 a B2 non è un Sillabo coeso e coerente.

Insegnare l’italiano come L2, suggerimenti della Glottodidattica: Paolo Balboni scriveva che la
glottodidattica italiana ha compiuto approfondimenti meno sistematici e limitati all’attività delle università
per stranieri. Questo ritardo non sorprende: l’esigenza di insegnare l’italiano come L2 si è imposta da non
moltissimi anni. Tuttavia, negli anni che ci separano dal 1994 gli insegnanti, in primo luogo, si sono trovati a
sostenere l’impatto della richiesta di formazione linguistica. Le università hanno da una parte dovuto
provvedere in tempi rapidissimi alla richiesta di corsi di italiano molti sedi si sono dotate di nuove strutture i
centri linguistici. Le università per stranieri di Perugia e Siena sono da anni impegnate nell’insegnamento
dell’italiano L2. Queste iniziative hanno suscitato l’interesse dell’industria editoriale in molti progetti come
quello argentina, il Milia, la collana diretta da Carla Marello dal titolo italiano lingua straniera-formazione
degli insegnanti, le lingue di babele diretta da Paolo Balboni, la collana materiali linguistici a cura
dell’università di Pavia ed edita da Franco angeli. L’abbondanza delle proposte non riguarda solo la carta
stampata ma anche gruppi di volontariato che organizzano corsi di aggiornamento, seminari e convegni e
corsi di italiano. È possibile a questo punto forse imprescindibile fare di più: prima di tutto incrementando
la ricerca di base per le ricadute didattiche e per le scelte didattiche, scoprire i punti di crisi per uno
straniero. C’è ancora molto da fare per sanare quella frattura tra la ricerca e la classe.

CONCLUSIONI: Che cosa hanno significato le 10 tesi? Raffaele Simone ha parlato di Scacco, altri le
segnalano come una delle sconfitte più clamorose della grammatica. Le poche ricerche mirate che hanno
tentato di misurare la qualità dell’insegnamento ci dicono che tanti degli obiettivi sono ben lungi dall’essere
raggiunti. Nel 1991 de Mauro ipotizzava che il tasso di accoglimento effettivo delle idee e non siate nelle 10
tesi fosse inferiore al 25% del corpo insegnante, sembrerebbe però che moltissimi insegnanti siano stati
raggiunti dai principi dell’educazione linguistica e questo grazie anche all’accoglienza di questi principi nei
programmi e nelle indicazioni ministeriali allora come mai non si sono tradotte in buone pratiche buoni
risultati? C’è anche chi denuncia un drammatico scollamento tra le offerte formative della scuola nel suo
complesso e le esigenze giovanili: l’aula dove i ragazzi imparano le cose si è spostata altrove. Il divario tra
questa cultura mediatica e la cultura offerta dalla scuola è già diventato incolmabile. L’analisi delle
modificazioni avvenute nella cultura giovanile ha portato qualcuno a ridefinire in senso minimalista i
traguardi dell’educazione linguistica del futuro.ad esempio la tesi di Raffaele Simone e che sia caduto il
presupposto della desiderabilità dell’apprendimento. Dobbiamo forse rassegnarci all’idea che la quasi
cultura-istruzione per i giovani di oggi è sufficiente. Questo è forse una conseguenza della percezione che il
cambiamento generale dei mezzi di comunicazione rende oggi inutile un sapere troppo evoluto nella scuola
di base. Si invita ad una progressione chiara ad un’articolazione sistematica degli apprendimenti, ad una
scelta significativa delle pratiche didattiche e la formazione di base della classe docente. A questo punto è
stato fatto poco e male sia nel campo della formazione di base sia nella formazione professionale le lauree
lettere, ad esempio, non danno quella formazione disciplinare di base per insegnare. La stragrande
maggioranza degli insegnanti identifica la riflessione grammaticale con l’analisi logica e l’analisi
grammaticale.

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