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la gestione dell'impresa

riassunti dal capitolo 11 fino


al 14
Economia e Gestione Delle Imprese
Università degli Studi di Cagliari
32 pag.

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11. La funzione di direzione delle risorse umane e la leadership.
1. La gestione delle risorse umane: i problemi della motivazione.
La gestione del personale ha sempre rappresentato uno dei problemi centrali del governo
dell’impresa.
La gestione delle risorse umane rappresenta, il pilastro fondamentale dell’intera gestione
aziendale e si configura come una delle responsabilità più delicate per chi dirige un’impresa. Si
tratta, infatti, di dotare l’organismo aziendale delle professionalità necessarie e di assicurarsi, poi,
che gli individui inseriti nell’organizzazione siano motivati al raggiungimento degli obiettivi
gestionali.
Nel rapporto di scambio tra il lavoratore e l’impresa, è incomprensibile come si creino interessi
diversi e per certi versi in potenziale conflitto: sotto il profilo esclusivamente economico, l’impresa
o meglio l’imprenditore è interessato al massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene, e il
lavoratore desidera il massimo risultato rispetto alla quantità ed alle condizioni delle prestazioni
che deve rendere.
Questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello contrattuale, nel quale le parti
debbono disciplinare il rapporto sul piano normativo; e quello successivo di carattere operativo, in
cui il rapporto dev’essere gestito.
Dalla storia delle teorie organizzative, si sa che le tre fasi classiche di sviluppo della disciplina
hanno rappresentato, successive evoluzioni del concetto di uomo, assunto a base della costruzione
dell’organizzazione: l’organizzazione scientifica del lavoro è partita da una visione meccanicistica
del ruolo dell’uomo, che è stato visto più come strumento o meccanismo da inserire all’interno
della macchina aziendale, che come individuo da motivare o far partecipare alle scelte. Altre due
teorie organizzative sono la scuola delle relazioni umane e, successivamente, quella sistemica.

Una differente visione del fattore umano implica una diversa impostazione della funzione di
conduzione. In questo caso si può passare da una direzione tradizionale di tipo autocratico,
fondata sul principio dell’autorità, ad una direzione partecipativa, basata sul consenso: la prima
attuata prevalentemente mediante la gerarchia del comando, la seconda mediante la creazione
della motivazione.
Il funzionamento di qualsiasi organizzazione richiede, comunque, l’esistenza di una gerarchia
intorno a cui costruire, mediante la motivazione, dei rapporti di consenso e di collaborazione.
Questo processo motivazionale si realizza quando alcuni degli obiettivi aziendali divengono anche
obiettivi del lavoratore, che si sente in tal modo integrato nell’organizzazione.

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Il problema motivazionale può essere scomposto in due parti: nella motivazione a partecipare, che
induce l’individuo ad accettare l’inserimento in azienda, e nella motivazione a produrre, che spinge
ad assicurare la produttività richiesta dall’organizzazione stessa.
La prima dipende dall’attrattività dell’azienda in termini economici e di carriera, mentre la seconda
si lega all’incentivazione creata nell’organizzazione.
I problemi della motivazione presentano aspetti soprattutto psico-sociologici, perché riguardano
l’indirizzo del comportamento organizzativo sia sotto il profilo individuale sia sotto quello dei
gruppi che si formano all’interno della struttura.
Secondo questa teoria, l’individuo punterebbe alla soddisfazione di una serie di bisogni, ordinati
lungo una scala crescente di desiderabilità. I tipi di bisogni individuati e posizionati sui vari gradini
della scala maslowiana sono:
1. Bisogni primari o bisogni di sussistenza, rappresentati dalle necessità fondamentali da
soddisfare per sopravvivere;
2. Bisogni di sicurezza, costituiti dalle esigenze di protezione della persona, del patrimonio,
della posizione lavorativa;
3. Bisogni di socialità, rappresentati dalla necessità si sentirsi parte di un gruppo, legati cioè
ad altri individui da interesse, sentimenti, credenze comuni;
4. Bisogni di stima, costituiti dall’aspirazione a riscuotere il consenso di altri e a collocarsi in
posizioni di preminenza nella classe sociale di appartenenza;
5. Bisogni di auto-realizzazione, rappresentati dalla convinzione di avere realizzato appieno le
proprie capacità professionali e morali, ossia di aver raggiunto il migliore risultato possibile
sulla base dei requisiti personali posseduti.
Ogni individuo aspirerebbe dunque a salire la scalinata dei bisogni, soddisfacendo dapprima la
necessità più elementari di sopravvivenza e poi, via via, mirando a situazioni di tranquillità
personali e familiari, creando vincoli affettivi all’interno dei gruppi di appartenenza.

Sulla teoria di Maslow si possono individuare dei punti critici:


1) La scalata verso i bisogni superiori non presuppone obbligatoriamente il soddisfacimento al
100% del bisogno inferiore;

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2) La separazione tra le varie categorie di bisogni è un fatto teorico perché nella realtà tra di
essi vi sono rapporti di interdipendenza e ciò significa che scelte diverse dell’individuo
possono riflettersi contemporaneamente su più tipi di bisogni;
3) L’ordinamento dei bisogni lungo la scala non può essere sempre lo stesso per tutti gli
individui;
4) La scala dei bisogni risente anche delle condizioni ambientali.
L’autore Herzberg ha distinto in due grandi categorie i bisogni di un lavoratore: i bisogni
soddisfattivi, cioè quelli che una volta appagati producono gratificazione e, quindi stimolano
all’azione; e i bisogni insoddisfattivi, cioè quelli che se non soddisfatti generano frustrazione e
determinano l’inazione. Tra i primi ha incluso tutti i fattori motivazionali, quali il successo e il suo
riconoscimento, l’interesse verso il lavoro svolto e le responsabilità assunte, le occasioni di crescita
professionale presenti nei compiti assegnati, la possibilità di promozione e di avanzamento; tra i
secondi ha compreso i cosiddetti fattori igienici, legati alla politica aziendale e alla sua
organizzazione, alla supervisione, alle relazioni interpersonali, alle condizioni di lavoro, alla
retribuzione, allo status e alla sicurezza.
L’incentivazione può assumere differenti forme e produrre diversi effetti in funzione sia
dell’orientamento all’individuo o al gruppo sia della proiezione nel breve e nel lungo periodo. In
base a questi due elementi si può costruire una matrice, i cui quadranti dono rappresentati da
aumenti salariali, gratifiche, piano di incentivi e stock option.

Quest’ultima tecnica di concedere l’opzione ad acquistare in futuro a un prezzo predeterminato


azioni della società per cui si lavora è in fase di crescente adozione e risponde al principio di
imprenditorializzazione diffusa del rischio. Con le più moderne tecniche motivazionali si tende,
cioè, a sviluppare l’imprenditorialità collettiva, che consente all’impresa di rinnovarsi
continuamente attraverso le innovazioni, le decisioni e la capacità di adattamento di tutti i membri
dell’organizzazione che operano in collaborazione.

2. Gli stili di direzione e il sistema preminente.


Lo stile di direzione può essere definito come il modello di governo dei rapporti di lavoro
nell’organizzazione. Nella realtà, gli stili di direzione si ordinano lungo un continuum, che prevede
ad un estremo l’uso predominante dell’autorità da parte del capo e, all’altro, la richiesta e
l’esercizio di consenso da parte dei subordinati. L’adozione di un modello, anziché di un altro, è

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legata al sistema dei valori posseduto da chi dirige, alle capacità dei subordinati e alle
caratteristiche della situazione entro cui deve esercitarsi il processo di direzione.
Si distinguono, due casi limite della direzione autocratica e di quella partecipativa.
Lo stile autoritario di direzione è frutto di una struttura fortemente accentrata del processo
decisorio, che si esercita mediante il comando ed il controllo. Il principio di fondo è l’esistenza di
un rapporto gerarchico, in base al quale il superiore può imporre al subordinato le sue decisioni;
decisioni il cui rispetto sarà assicurato mediante il controllo e la minaccia di sanzioni.
All’altro estremo si pone lo stile partecipativo o democratico, che si accompagna ad una struttura
decentrata del processo decisorio, al cui interno sono applicati i principi della delega e
dell’autocontrollo. Secondo questo modello, lo schema di direzione prevede cioè il coinvolgimento
dei subordinati nel processo di decisione, l’assunzione da parte di questi di precise responsabilità
ed il controllo diretto dei risultati prodotti. Il capo esercita, in tal modo, un ruolo d’impulso e di
coordinamento piuttosto che di controllo, assumendo la figura del leader nei confronti del gruppo
diretto.
La teoria della direzione mediante il comando ed il controllo (teoria X) parte, infatti, da tre
premesse essenziali:
a) L’uomo in generale non ama il lavoro, che quindi svolge con sacrificio;
b) Gli unici mezzi per ottenere ch’egli lavori sono i controlli e la minaccia di punizioni;
c) L’obiettivo primario che si pone è quello della sicurezza, per cui evita il rischio di accollarsi
responsabilità e preferisce essere diretto piuttosto che assumere ruoli di leadership.
La teoria della direzione mediante l’integrazione fra obiettivi individuali e organizzativi (teoria Y), si
fonda sulle seguenti premesse:
a) Il lavoro è accettato dall’uomo come un fatto naturale, necessario e utile quanto lo svago e
il riposo;
b) Il lavoratore può dunque esercitare l’autodisciplina e non deve essere né controllato né
minacciato di sanzioni;
c) Chi lavora è disposto ad accettare le responsabilità per salire nella scala dei bisogni fino agli
ultimi gradini;
d) La capacità innovativa, l’immaginazione e la fantasia creativa sono ampiamente diffuse tra i
lavoratori e possono essere utilmente sfruttate per risolvere i problemi organizzativi;
e) Le potenzialità dei lavoratori possono essere sviluppate da un efficace stile di direzione.
Quello che può essere definito come principio del clan rappresenta un’alternativa molto valida
verso quello della gerarchia. Questo perché se tra i componenti del gruppo (clan) nascono valori
comuni d’impegno nei confronti degli obiettivi assegnati al gruppo stesso dal superiore gerarchico,
diventa superflua e spesso controproducente l’attivazione del rapporto gerarchico per ottenere il
rispetto degli obiettivi. In altre parole, il principio del clan consente di far leva sui valori condivisi di
lealtà verso l’azienda, con la conseguenza che la supervisione del comportamento e delle
prestazioni finisce per essere assicurata da forme interne di controllo di gruppo.
Un ruolo fondamentale è rivestito dal sistema premiante attuato dalla dirigenza, vale a dire la
pratica del riconoscimento dei meriti a chi dimostra di avere più capacità professionale e maggiore
volontà d’impegnarsi.

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Naturalmente, l’adozione con successo di uno stile di direzione partecipativo è legato
all’accettazione della leadership del capo, a prescindere a volte dal grado da questo rivestito
nell’organizzazione. La leadership consente, di indurre modificazioni nel comportamento di altri
individui, senza far necessariamente ricorso ai meccanismi dell’autorità formale, ma sfruttando
l’autorevolezza per ottenere dagli altri l’adesione a progetti e programmi organizzativi.
Solo un’adeguata motivazione ed un costruttivo esercizio della leadership possono contribuire a
tenere elevate le performance dei singoli e dell’organizzazione nel suo complesso.
La leadership si basa su valori innati nella persona ovvero sulle sue doti carismatiche, anche se può
essere rafforzata dalla formazione e dall’esperienza manageriale. Essere un leader significa sapere
creare spirito di corpo, ottenere il consenso e la collaborazione volontaria delle persone, fare
chiaramente comprendere i valori di fondo da porre a base dell’azione collettiva.
In poche parole, la leadership comporta requisiti di stile, di educazione, di equilibrio, di
disponibilità, di apertura, ovvero il possesso di grandi valori umani. Per essere o diventare un buon
leader bisogna avere la capacità di trasmettere non solo problemi da risolvere, ma sentimenti,
sfide, voglia di competere e di affermarsi, tensione continua verso i risultati. Il leader si misura
costantemente con i problemi della traduzione di decisioni in operatività: la sua abilità riposa sulla
velocità del processo di realizzazione delle scelte e sul mantenimento della coesione del gruppo di
persone dirette.

3. La motivazione del personale mediante l’analisi e l’arricchimento delle mansioni.


La motivazione del personale si basa non solo sull’incentivazione e sulla bontà della leadership, ma
anche sull’efficace gestione delle mansioni.
Il ruolo di chi dirige, dev’essere non solo quello di creare la massima armonia e il più elevato
spirito di corpo nei gruppi di lavoro, ma anche di valorizzare al meglio le caratteristiche delle
risorse umane a disposizioni. Nell’impresa i problemi legati alla leadership, de lavoro di gruppo,
dell’integrazione saranno superati dalla ricerca della maggiore omogeneità possibile tra le
caratteristiche del lavoro (mansioni) e requisiti dei lavoratori.
Il problema della motivazione si pone al centro del cosiddetto contratto psicologico, che lega il
lavoratore dell’azienda. Il legame diviene produttivo allorché si perfeziona questo contratto
psicologico, ovvero quando si crea un buon grado di concordanza tra quello che il dipendente
ritiene di dovere dare e ricevere dall’impresa e quello che corrispondentemente si aspetta
l’organizzazione, e, allo stesso tempo, lo scambio prestazione-controprestazione trova attuazione
conformemente al grado di concordanza al grado di concordanza creato.
Per facilitare l’integrazione tra obiettivi dei singoli e l’organizzazione, si deve incidere sulle
mansioni mediante l’impiego di tecniche di analisi e valutazione delle mansioni.
Ai fini dell’obiettivo motivazionale appare dunque importante l’analisi delle mansioni (job-
analysis), cioè lo studio approfondito e sistematico delle singole posizioni organizzative, diretto a
valutare le caratteristiche delle operazioni e dei compiti ad essa connesse, le conoscenze e
capacità richieste all’esecutore e le responsabilità nei confronti di altre unità amministrative.
La job analysis permette di specificare le componenti essenziali del lavoro, creando così un valido
punto di riferimento per l’utilizzazione del personale.

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La job-analysis può infatti indirizzare proficuamente l’opera di selezione e di addestramento del
personale e agevolare il compito di assegnazione, trasferimento e promozione degli uomini già
operanti nella struttura.
Per migliorare il rendimento del fattore umano, si può far ricorso a tecniche di variazione e di
ampliamento delle mansioni attribuite. La motivazione a produrre può essere infatti stimolata
mediante la rotazione, l’estensione e l’arricchimento delle mansioni di lavoro. La possibilità di far
ruotare l’individuo in mansioni diverse, anche se comprese nello stesso ciclo di lavoro, potrebbe
concorrere a rendere meno monotona la prestazione lavorativa e portare ad un accrescimento
delle conoscenze e della preparazione professionale del lavoratore. Questi risultati potrebbero
tuttavia essere meglio raggiunti mediante un ampliamento della mansione (job enlargement) che
si concretasse nell’affidamento di cicli integrati di operazioni, in modo da attribuire all’esecutore la
responsabilità di un’attività completa ed enucleabile rispetto ad altre attività svolte
nell’organizzazione.
 Job rotation: l'individuo «ruota» in mansioni diverse, anche se comprese nello stesso ciclo
di lavoro (obiettivo: rendere meno monotona la prestazione lavorativa e portare ad un
accrescimento delle conoscenze e della preparazione professionale del lavoratore).
 Job enlargement, ampliamento della mansione: comporta l'’affidamento di cicli integrati di
operazioni, in modo da attribuire all’esecutore la responsabilità di un’attività completa ed
enucleabile rispetto ad altre attività svolte nell’organizzazione.
 Job enrichment: ampliamento verticale della mansione mediante il coinvolgimento del
responsabile nella fase decisionale oltre che operativa.
Ai fini motivazionali, comunque, più che un’estensione orizzontale della mansione, sembra valido
soprattutto un ampliamento verticale della stessa mediante il coinvolgimento del responsabile
nella fase decisionale oltre che operativa. Questa tecnica di arricchimento della mansione (job
enrichement) risponde, infatti, alla teoria partecipativa alla quale si collegano i risultati più
soddisfacenti in termini di guida delle risorse umane.

4. Considerazioni di sintesi sulla conduzione del personale.


Un contributo di grande portata può essere fornito dal livello etico del governo aziendale, perché è
comprensibile che la soluzione di qualsiasi problema relativo alla conduzione delle risorse umane
sarà non poco agevolata dall’applicazione di valori eticamente corretti sul ruolo del lavoro e della
figura del lavoratore. La correttezza e il buon esempio derivante dal vertice aziendale potranno
concorrere in modo sostanziale a far crescere il livello di solidarietà e di motivazione nell’intera
organizzazione.

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13. La gestione commerciale nell’ottica del marketing.
1. Il rapporto tra la strategia competitiva e le strategie funzionali.
Nelle imprese ben amministrate viene definito un quadro strategico che si compone di una
strategia complessiva, o di gruppo (corporate), di una o più strategie competitive (strategie di
business) nella o nelle aree di affari in cui opera o vuole operare l’impresa e di un insieme di
strategie funzionali che attengono alle funzioni secondo cui si articola la gestione aziendale.
Ogni impresa, producendo un bene o un servizio, dovrà curarne la distribuzione e la vendita, avrà
bisogno di approvvigionarsi dei materiali, dovrà governare la finanza, attuare la ricerca e via
elencando.
In realtà, sussiste uno stretto legame tra la strategia competitiva e tutte le strategie funzionali.

2. Le caratteristiche della gestione operativa.


La gestione operativa, si svolge con caratteristiche e problematiche dissimili da azienda ad azienda.
Il complesso di attività, mediante le quali ciascuna impresa produce e vende beni o servizi da
destinare al mercato, si caratterizza in funzione dell’oggetto sociale.
Le funzioni operative di gestione sono inquadrabili in tre distinti gruppi:
a) Funzioni primarie ed organiche, quelle non solo comuni a tutti i tipi di azienda, ma anche
normalmente specializzate all’interno dell’organizzazione;
b) Funzioni operative complementari o di supporto, caratterizzate in prevalenza da un grado
relativamente minore d’importanza e, in certi casi, affidabili anche a centri esterni di
servizio;
c) Funzioni ausiliarie, che molto spesso sono, anche se a volte parzialmente, delegate
all’esterno per ragioni di economicità o per mancanza di competenze idonee
nell’organizzazione.

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3. L’orientamento dell’impresa nei confronti del mercato.
Schematicamente, si tendeva a distinguere due tipi di comportamento dell’impresa nei confronti
del mercato: il primo rappresentato dall’orientamento al prodotto, cioè dalla cura soprattutto dei
problemi attinenti il ciclo di produzione dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per
costituire un’attività complementare e pressoché automatica; il secondo costituito
dall’orientamento al mercato, ossia dal preventivo accertamento della vendibilità dei prodotti da
realizzare.
Parlare di orientamento al prodotto o al mercato appare tuttavia molto limitativo e superato
perché l’impresa competitiva dev’essere in realtà orientata al business.
L’orientamento al business si concreta, nella ricerca costante e sistematica di nuove occasioni di
affari da aggiungere eventualmente a quelle già sfruttate. L’attenzione di chi governa l’azienda è
rivolta all’individuazione di bisogni e desideri dei consumatori che possano rappresentare delle
nuove opportunità di business.
Il punto centrale della differenza tra orientamento al mercato e al business è dato dall’ampiezza
dell’area di osservazione: nella prima ipotesi, infatti, le opportunità sono ricercate sostanzialmente
nel mercato in cui già si è presenti; mentre nella seconda la ricerca si estende a tutti i mercati in
cui le risorse aziendali possono essere impiegate con successo. L’orientamento al business può
essere considerato anche come un orientamento al cliente perché l’impresa, in funzione appunto
delle risorse possedute, punta ad ampliare la propria offerta commerciale nella ricerca di nuove
opportunità d’affari.

L’orientamento al business è in effetti fondato sul concetto di marketing. Il termine marketing


indica il processo mediante il quale l’azienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti,
analizza le tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individua l’esistenza
dell’opportunità di business, orienta la produzione in funzione dei potenziali acquirenti da
conquistare, crea la domanda per i nuovi prodotti e provvede a collocare questi ultimi presso gli
sbocchi prescelti.
Quindi l’azione di marketing si articola nell’analisi del mercato, nella programmazione dei prodotti,
nella promozione della domanda e nell’esecuzione della vendita.

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4. Le politiche di marketing: le quattro P.
Le politiche di marketing compongono la combinazione o mix di marketing, cioè la miscela degli
strumenti rivolti all’ottenimento degli obiettivi di mercato fissati di periodo in periodo. Nell’ambito
di tale combinazione sono solitamente comprese le scelte inerenti ai prodotti, ai prezzi, ala
promozione, ai canali di distribuzione, alle zone, ai metodi e ai tempi di vendita. Queste scelte
sono note come le 4 P (product, promotion, price and place), sono esse, infatti, gli strumenti
preminenti dell’azione di marketing, il cui fine è di avvicinare l’offerta dell’azienda alla domanda di
mercato.
La definizione della miscela di marketing poggia sulla scelta strategica del bersaglio di mercato o
mercato- obiettivo (market target) da raggiungere e richiede uno studio approfondito del
comportamento dei consumatori, vale a dire delle abitudini e delle motivazioni di acquisto.

5. Il comportamento del consumatore e la segmentazione del mercato.


Le scelte del consumatore sono tanto più diversificate e imprevedibili quanto maggiore è la
discrezionalità nella destinazione del reddito disponibile. Il reddito netto di ciascuna unità
consumatrice si fraziona in due parti: la prima maggiormente impegnata per il soddisfacimento di
bisogni essenziali o di prima necessità e la seconda disponibile per il risparmio o per
l’appagamento di bisogni non essenziali.
Per la spendita del reddito discrezionale, il consumatore attua in effetti un processo di scelta a tre
stadi e che di conseguenza, il produttore si trova a fronteggiare una concorrenza primaria o tra
bisogni, una concorrenza allargata o tra beni alternativi ed una concorrenza diretta o tra marche.
Il consumatore attua il processo d’acquisto mediante un complesso di scelte che si differenziano
per quanto concerne il luogo, il tempo, la quantità e le modalità di acquisizione del bene o del
servizio richiesto. Queste scelte configurano le abitudini di acquisto circa i punti vendita, le
epoche, l’entità e le condizioni che caratterizzano gli atti di spendita.
È importante conoscere le cause che originano differenti comportamenti di acquisto, cioè risalire
al perché di certe scelte da parte del consumatore. Quest’ultimo si muove secondo motivazioni tra
le più diverse, che si intrecciano le une con le altre e che pesano naturalmente in modo differente
non solo a seconda della natura dei beni da acquistare, ma anche delle sue condizioni economiche,
di età, di residenza.
Le motivazioni di acquisto possono suddividersi in tre gruppi:
a) Motivazioni razionali, incentrate sul calcolo economico e orientate, sostanzialmente, dalla
valutazione del rapporto prezzo-qualità dei beni da acquistare;
b) Motivazioni emotive, collegate alla sfera dei sentimenti e derivanti da fattori di gusto, di
estetica, di personalità;
c) Motivazioni di patrocinio, correlate alla fiducia nel produttore o nel distributore e alla
creazione di un rapporto d’integrazione tra il consumatore e la marca, tale che il primo
diventi non solo un acquirente stabile e fedele dei prodotti di quell’azienda o di quel
negozio, ma anche un patrocinatore della marca o del punto di vendita nei confronti di altri
consumatori.
È il rapporto tra il prezzo del bene e il reddito disponibile che influenza le modalità e le motivazioni
dell’acquisto.

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Le motivazioni risentono, a seconda della natura dei prodotti, oltre che del reddito, anche di altre
condizioni del consumatore. A riguardo si deve ricorrere alla struttura del mercato e alla sua
possibile segmentazione. Si è detto, che ogni mercato di può frazionare in più sub mercati o
segmenti del mercato, ciascuno comprendente un particolare gruppo di acquirenti. La
segmentazione può, essere più o meno spinta a seconda della variabilità di tali comportamenti di
acquisto e, anche, dalle dimensioni dei segmenti così individuabili.
Il compito più difficile nell’attuazione del processo di segmentazione consiste nell’individuare le
caratteristiche o i fattori principali che distinguono strati differenti di mercato e nello scegliere, tra
questi, quello o quelli che meglio si prestano a distinguere classi diverse di acquirenti.
I parametri più frequentemente utilizzati sono:
1. Parametri demografici (età, sesso, ampiezza della famiglia);
2. Parametri socio-economici (reddito, professione, livello di istruzione);
3. Parametri culturali (razza, etnia, credo religioso);
4. Parametri ubicazionali (residenza urbana, suburbana e rurale);
5. Parametri psicografici (personalità, autonomia decisionale ecc.);
6. Parametri comportamentali (disposizione all’acquisto, grado di fedeltà ecc.).

6. Le strategie di marketing.
Il processo di segmentazione comporta anche la separazione dei vari segmenti di mercato e la
misurazione della loro consistenza. Quest’ultimo punto mira a valutare se l’ampiezza degli strati
individuati consente di predisporre un’apposita azione di marketing.
L’impresa può difatti adottare tre differenti atteggiamenti:
1. Rivolgersi al mercato come se fosse omogeneo, prescindendo cioè dalla sua
segmentabilità:
2. Indirizzarsi a più segmenti mediante la formulazione di diversi programmi di marketing;
3. Mirare ad uno solo o, al massimo, a pochi segmenti di mercato con un’offerta specializzata.
Nel primo caso l’impresa mirerebbe a rivolgersi ad un ampio numero di potenziali acquirenti sulla
base di un programma standard di marketing; nel secondo, invece, i programmi di marketing
sarebbero differenziati per i diversi segmenti; nel terzo caso, l’offerta sarebbe indirizzata in modo
specializzato ad un particolare segmento o strato di mercato. Sulla base di questa distinzione
s’individuerebbero strategie di marketing indifferenziato, differenziato e concentrato.
La segmentazione costituisce, la prima fase del processo di scelta del mercato obbiettivo, scelta
propedeutica per il successivo posizionamento dell’offerta da proporre alla clientela.

7. La politica di prodotto e della marca.


Il successo di un’impresa dipende, in primis, dal grado di accettazione dei beni che pone sul
mercato. Nell’impresa il legame tra competenze distintive e gamma di prodotti da collocare è
diretto perché la scelta di certe produzioni non può essere legata alla capacità di proporre
un’offerta vincente rispetto al gruppo di potenziali acquirenti da soddisfare.
La politica del prodotto è quindi caratterizzata da un alto tasso di strategicità perché richiede
l’allestimento di strutture molto impegnative sotto il duplice profilo delle risorse da impiegare e
della rigidità delle scelte di fondo da assumere.

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Si tratta di decisioni che vincolano l’impresa per tempi lunghi, necessari per ammortizzare gli
investimenti, che s’incentrano nel determinare:
a) L’ampiezza dell’offerta, ovvero la minore o maggiore estensione della gamma di vendita;
b) La differenziazione degli assortimenti, ovvero la distinzione interna alla gamma ed esterna
rispetto alla concorrenza;
c) L’innovatività delle produzioni, ossia il tasso di rinnovamento e del ricambio dei prodotti
posti in vendita;
d) La riconoscibilità dei prodotti, ossia la scelta della marca e della confezione.
7.1. Ampiezza della gamma di vendita.
La gamma di vendita si può caratterizzare in ampiezza (tipologia produttiva), profondità
(assortimento) e coerenza (affinità dei tipi dei prodotti). Quest’ultimo requisito riguarda il grado di
interrelazione tra i differenti tipi di prodotti, ovvero il loro inserimento in settori merceologici più
ampi o più ristretti.
È oggi raro trovare delle imprese che realizzano e vendono un solo tipo o formato di prodotto.
Questo sia per ragioni strettamente produttive, sia per ragioni di mercato, ossia per poter operare
in più mercati diversi, frazionando il rischio ed accrescendo le potenzialità di vendita.
In aggiunta a questi motivi di carattere generale, bisogna tenere conto anche dei rapporti di
complementarità e sostituibilità tra prodotti diversi, che possono suggerire o addirittura imporre
l’allargamento dell’offerta. I casi di maggiore rilievo sono quelli dei prodotti da reddito e strategici:
i primi destinati a generare maggiori flussi di cassa, i secondi essenziali per consentire il
collocamento dei primi.
In questo caso, tra prodotti della gamma sussiste un rapporto d’uso che può indurre ad adottare
diverse politiche di prezzo per i due tipi di prodotto.
Ipotesi più frequente a livello distributivo è quella dell’inserimento nella gamma di prodotti
cosiddetti da richiamo, ovvero beni che possano richiamare l’attenzione dell’acquirente sull’intera
gamma e contribuire, così, anche alla vendita dei prodotti da reddito.

7.2. La profondità degli assortimenti.


Rispetto al concetto dell’assortimento si deve sottolineare che, ogni tipo di prodotto viene portato
al mercato in una varietà di modelli per una o più ragioni:
a) Le caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto;
b) La segmentazione della domanda e il posizionamento dell’offerta, da differenziare in
funzione dei gruppi di consumatori da servire;
c) L’invecchiamento dei modelli e la differente capacità di contribuzione al reddito d’impresa.

7.2.1. Differenziazione dei modelli e il posizionamento di mercato.


La differenziazione e, quindi, la profondità della gamma di vendita si collega al tipo di strategia di
marketing e alle posizioni di mercato da occupare. Una decisione fondamentale concerne appunto
il posizionamento dell’offerta nei confronti della concorrenza, intendendo per posizionamento
l’insieme delle iniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto dell’impresa e ad impostare
il marketing mix più adatto per attribuire una certa posizione al prodotto nella mente del
consumatore.

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Il problema del posizionamento si collega a quello della segmentazione. Infatti, a seguito della
segmentazione, l’azienda può scegliere la strategia di marketing da attuare, ma quest’ultima
dev’essere orientata in funzione delle fasce più particolari di consumatori da servire.
Per questo motivo, non poche imprese sono decisamente orientate ad aggiungere un migliore
servizio al consumatore e a ridurre i tempi di messa a disposizione dei nuovi prodotti. Le difficoltà
e, soprattutto, i costi promozionali necessari per acquisire nuovi clienti fanno sì che la customer
satisfaction e la custode retention diventino obiettivi prioritari nell’azione di marketing. Buon
prodotto e buon servizio consentono di difendere meglio il portafoglio dei clienti, che rappresenta
la vera ricchezza commerciale di un’impresa, frutto dell’avviamento creatosi nel tempo e valore da
salvaguardare in mercati ipercompetitivi.

7.2.2. Ciclo di vita del prodotto e necessità del rinnovamento della gamma.
L’esigenza di una pluralità di modelli e tipi di prodotto deriva anche dal naturale invecchiamento
della gamma e dalla necessità, quindi, di procedere in modo sistematico e continuativo al suo
rinnovamento. Sotto tale profilo sono di particolare rilevanza i concetti di ciclo di vita del prodotto
e della matrice del portafoglio prodotti.
Ciascun prodotto ha un suo ciclo di vita; di conseguenza, per l’impresa assumono un’importanza
rilevante tutte le decisioni relative al ringiovanimento e alla radiazione dei prodotti obsoleti e al
correlativo inserimento progressivo dei prodotti nuovi nella gamma di vendita. Quindi bisogna
tenere conto che ogni prodotto ha un suo ciclo di vita che, si svolge sostanzialmente con quattro
fasi:
1. Introduzione, nella quale inizia solitamente a diffondersi con una crescita molto lenta delle
vendite;
2. Sviluppo, nella quale l’espansione delle vendite ha luogo ad un ritmo molto rapido, a
seguito dell’affermazione del prodotto nel mercato;
3. Maturità, nella quale le vendite continuano a svilupparsi, ma ad un tasso più contenuto;
4. Declino, fase nella quale il volume delle vendite comincia a ridursi più o meno rapidamente
per l’obsolescenza del prodotto, per l’immissione di un prodotto sostitutivo o per la
saturazione della domanda.

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Il ciclo di vita non ha sempre lo stesso andamento, perché si può presentare a balzi, con tempi più
brevi di crescita e di declino , con picchi di elevatissimi e cadute altrettanto rapide. In generale, la
curva del ciclo di vita viene rappresentata con una funzione logistica fino alla fase di stabilizzazione
del prodotto sul mercato, seguita da un tratto più o meno rapidamente decrescente. Questa curva
ha naturalmente un andamento diverso in relazione non solo alla natura del prodotto, manca le
politiche di mercato adottate dall’impresa.
Ciascuna fase utilizzata da una diversa redditività e da un differente peso delle altre politiche di
marketing. Nella fase di introduzione il prodotto, anche se venduto ad un prezzo elevato, genera
perdite, a causa della limitatezza della quantità bloccata e dagli altri costi distributivi e promozioni
da sopportare per la sua immissione nel mercato; durante il periodo di sviluppo il rapido aumento
del volume delle vendite consente l'ottenimento di margini crescenti, data la riduzione dei costi
unitari dovuta sia ai risparmi assoluti di costa sia la possibilità di diffondere i costi totali su una
maggiore quantità di produzione; inoltre, l'azione promozionale comincia a produrre appieno i
suoi frutti e l'attività di collocamento è facilitata a causa dell'interesse suscitato nei distributori;
nella fase di maturità, caratterizzata da un più contenuto assaggio ad incremento delle vendite, il
prodotto continua a generare profitti elevati per effetto soprattutto dell'allargamento del mercato,
ma la situazione diviene più difficile a cagione sia della concorrenza sviluppatasi nel mercato sia
dalla della stazionarietà della domanda: il volume delle vendite, infatti, si stabilizza e comincia ad
accusare delle lievi flessioni; nella fase di declino, infine, i consumatori perdono progressivamente
interesse per il prodotto i margini di profitto si comprimono ad un punto tale da consigliare virgola
dopo un certo lasso di tempo, la sua radiazione dalla gamma.
Questa differente partecipazione al reddito aziendale è alla base della nota “matrice del
portafoglio prodotti”. Essa suddivide i prodotti in quattro classi in funzione del cash flow generato,
intendendo con questo termine il divario tra investimenti e ritorni relativi a ciascun tipo di
prodotto. La matrice stabilisce un rapporto diretto tra cash flow di prodotto e condizioni interne
ed esterne. In base a questi due parametri può essere costruita una matrice, al cui interno
figurano, nei quattro quadranti prodotti:
 con bassa quota di mercato e lento sviluppo della domanda (prodotti marginali o Dogs);
 con bassa quota e rapido sviluppo della domanda (prodotti rischiosi o question marks );
 con alta quota e rapido sviluppo della domanda (prodotti di successo o Stars);

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 con alta quota e lento sviluppo della domanda (prodotti dal reddito o cash cows).

Il concetto base della classificazione e dunque quello del cash flow di prodotto: il prodotto
marginale presenta un flusso di cassa insoddisfacente se non addirittura negativo, a causa del
costo elevato da sostenere per mantenere una posizione competitiva debole: in un mercato che
non cresce in cui l'azienda detiene una quota modesta virgola vendere sarà difficile e costoso
virgola nel tempo questo prodotto finirà per assorbire più che produrre Reddito; il prodotto
rischioso General cash flow Peugeot e perché richiede elevati investimenti per fronteggiare un
mercato in rapido sviluppo, nel quale però la quota detenuta virgola e quindi i ricavi lucrati, sono
limitati: si tratta virgola di un prodotto che deve diventare di successo oppure va eliminato dalla
gamma; Il prodotto di successo dovrebbe, infatti, presentare un cash flow positivo, anche se sarà
necessario continuare ad investire risorse; infine, il prodotto da reddito e quello che darà i ritorni
più soddisfacenti perché l'azienda potrà sfruttare la sua posizione di forza in un mercato poco
interessante per la concorrenza.
La matrice, oltre ad individuare classi differenti di prodotto, si presta a definire tappe diverse nella
vita degli stessi prodotti, permettendo di individuare due tipi di progressione: la prima favorevole
virgola che prevede il passaggio da prodotto rischioso ha prodotto di successo e virgola infine a
prodotto da reddito; e la seconda sfavorevole virgola che ipotizza il movimento da prodotto di
successo ha prodotto rischioso ed ha prodotto marginale ed anche a quella da prodotto da reddito
a prodotto marginale.
Rispetto alla matrice del portafoglio prodotti, più completa appare quella messa a punto dalla
General Electric e dalla mckinsey , fondata sull’attrattività del mercato e sulla posizione
competitiva. Queste due variabili ampliano gli elementi della matrice e ipotizzano nuove possibili
situazioni per ciascuna impresa. L' attrattività di un settore e virgola infatti, funzione del tasso di
sviluppo della domanda, ma è anche da rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla
dimensione totale del mercato e ad altri fattori che possono essere importanti a seconda dei casi.
Così, la posizione competitiva, oltre ad essere correlata alla quota di mercato, può rapportarsi alla
velocità della sua crescita, al grado di innovatività dei prodotti, ecc. Da ciò deriva che la

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costruzione di questo schema multifattoriale richiede una preventiva analisi dei fattori tipici di
ciascun settore e può indurre a valutazioni che si attagliano meglio ai singoli casi concreti.

7.2.3. La politica della marca e le altre scelte che rientrano nella politica di prodotto.
Un prodotto non può essere visto soltanto come un mezzo per appagare un bisogno di fondo, ma
va considerato come generatore di un fascio di utilità, Un insieme di attributi tangibili e intangibili
virgola che risponde ad esigenze di vario ordine. In termini di marketing si può parlare di una
proposta di valore da indirizzare ai potenziali acquirenti. Questi si determineranno all'acquisto
quando giudicheranno adeguata ed equilibrata la proposta di valore ovvero l'offerta dell'impresa.
La via per dare concretezza e visibilità la proposta di valore è quella del ricorso alla marca.
Quest'ultima, infatti, rappresenta lo strumento promozionale per differenziare le produzioni
aziendali e per completare il messaggio rivolto dall’impresa alla clientela appunto in pratica, si
distinguono marche industriali (Barilla, Lavazza, etc.) oppure commerciali (Gucci, Hermès, etc.),
marca unica per l'intera famiglia di prodotti (family brand o firm brand) o marche per ciascun
prodotto venduto (product brand).
La marca ha assunto un ruolo di primo piano nel mix di marketing perché è o dovrebbe essere
garanzia di qualità del prodotto e virgola una volta costruita in modo forte, può essere sfruttata
per una strategia di brand extension ovvero di inserimento nella gamma originaria di prodotti ad
altri beni, a volte, complementari e, altre volte, molto lontani da quelli abitualmente trattati. In
una visione estesa della politica di prodotto rientra anche il ruolo della confezione, utile per
acquisire un vantaggio differenziale. In certi settori l'Industrial packaging è divenuto un fattore
competitivo non irrilevante, anche per le sinergie che si possono sfruttare con la funzione di
trasporto virgola in quei costi si riducono proporzionalmente all'utilizzo di confezioni che, per
strutture e praticità, ne agevolino il servizio velocizzandolo e rendendolo più efficiente.
La politica di un prodotto può dunque fondarsi su requisiti intrinsechi (funzionalità, estetica,
versatilità del prodotto) e su requisiti estrinseci (marca e confezione) per promuovere l'offerta di
mercato (proposta di valore).

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8. La politica di prezzo.
La determinazione e l’amministrazione dei prezzi di vendita assumono maggiore importanza in una
strategia di price competition. L'importanza cresce se l'impresa vende direttamente al
consumatore o all' utilizzatore perché virgola in questo caso, determina impone il prezzo finale di
vendita del bene o servizio. Obiettivo virgola che può invece raggiungere con maggiore difficoltà se
vende al distributore, il quale generalmente esige ed ottiene dei gradi di autonomia nella
determinazione del prezzo al consumo. Il caso di sottolineare che la formazione del prezzo finisce
per essere più o meno limitata all'interno dei mercati oligopolisti c nei quali tendono a svilupparsi
accordi sui prezzi tra i produttori più forti (cartelli o gentlemen's agreement).
La fissazione dei prezzi avviene in due fasi: prima a livello di specifico articolo e poi in funzione
dell’intera gamma trattata punto la determinazione dei prezzi passa, in pratica, per un processo di
approssimazioni successive, in cui elementi di conoscenza, di esperienza e di politica generale
dell'impresa contribuiscono a definire le soluzioni da adottare. Il problema si concreta
nell'individuazione del possibile margine di manovra del prezzo e nella determinazione,
nell'ambito di questo, di una quotazione compatibile con gli obiettivi di mercato da raggiungere.
L'area di manovra risulta definita soprattutto da tre elementi: il costo del prodotto, l'elasticità della
domanda della concorrenza. Nella determinazione del prezzo non è dunque razionale considerare
uno soltanto dei fattori indicati, in quanto tutti e tre forniscono dati essenziali per l'orientamento
delle scelte da formulare.
Il metodo più comunemente adottato è quello di basare il prezzo sul costo, cioè aggiungere al
costo un certo margine di profitto: è indubbiamente il più semplice, ma è anche il più discutibile
poiché non considera le condizioni prevalenti nel mercato. Per far ciò bisogna tener conto, del
grado di elasticità della domanda e dei prezzi praticati dalla concorrenza. Rispetto a questi,
l'impresa potrà adottare una politica di imitazione o di differenziazione.
La predeterminazione del costo è collegata la previsione del volume di produzione e di vendita,
previsione che è a sua volta correlata al prezzo cui dovrà essere collocato il particolare prodotto.
Queste difficoltà fanno sì che il costo funga da semplice elemento di riferimento per prezzi
orientati prevalentemente in funzione del mercato punto più spesso, i dati di costo servono per
valutare l'opportunità di praticare certe quotazioni; opportunità che si misura in termini di
presunta redditività del prodotto per l'impresa o di finalità promozionali.
L' imprenditore potrà giudicare adeguato o inadeguato il margine ottenibile, nei confronti del
rischio e di impieghi alternativi delle risorse aziendali.
È intuibile che il ragionamento è stato volutamente semplificato virgola in quanto esso e di norme
impostato il rapporto più ipotesi di costi-volumi-prezzi ed è completato dalla considerazione degli
elementi qualitativi.
quindi sulla base di elementi interni costi ed esterni domanda e concorrenza si dovrebbero
determinare i limiti di manovra del prezzo, anche se in certi casi questi limiti potrebbero non
essere rispettati.
La possibile escursione del prezzo dipende da molti fattori, fra i quali assumono un maggiore peso:
a) La concorrenza reale, cioè la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche più o
meno similari a quelle del prodotto considerato;

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b) La concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate
certe soglie di prezzo;
c) la concorrenza indiretta, cioè la minaccia di prodotti sostitutivi;
d) il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza;
e) la qualità del servizio fornito insieme al prodotto.
Il concetto di fondo, è quello della differenziazione del prodotto, dato che i gradi di libertà nella
fissazione del prezzo dipendono dai vantaggi differenziali di cui il prodotto gode nei confronti della
concorrenza. È il grado di differenziazione che consente di ricavare un premium-prices, cioè un
differenziale favorevole di prezzo nella vendita del prodotto. Più quest'ultimo è differenziato, più
potrà essere collocato con margini crescenti.
La politica di prezzo è peraltro strettamente legata a quella della distribuzione, atteso che salvo il
caso di un prezzo al consumo imposto al distributore, è quest'ultimo che determina il prezzo per il
cliente finale.

In generale il, gli orientamenti della strategia di prezzo possono essere verso la penetrazione o la
scrematura del mercato. L'impresa, può prefiggersi di conquistare la quota più elevata di mercato
nel minor tempo possibile oppure di sfruttare al meglio la differente capacità di spesa del
consumatore, allo scopo di ottenere la massima redditività globale dell investimento compiuto.
Nel primo caso essa mira a raggiungere il numero più ampio di acquirenti mediante la fissazione di
un prezzo contenuto virgola che le consenta di acquisire immediatamente una larga fascia di
clientela e di recuperare virgola in termini di profitto globale, il minor margine unitario. Nel
secondo, si prefigge la conquista graduale di segmenti di mercato sempre meno ricchi o, per
meglio dire virgola di classi di consumatori in grado e disposti a spendere meno per acquistare il
particolare prodotto. questo obiettivo di scrematura si collega ad una politica di prezzi inizialmente
elevati e decrescenti nel tempo , il cui fine è la massimizzazione del profitto unitario come via per
massimizzare il profitto globale. I prezzi, saranno progressivamente ridotti per avvantaggiarsi al
meglio delle differenti capacità contributive dei consumatori in modo da allargare gradualmente il
mercato di sbocco del prodotto.

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La politica di penetrazione è teoricamente consigliabile quando è possibile ottenere significative
economie di scala ed allorché la differenziazione del prodotto è annullabile in tempi brevi. La
minaccia della concorrenza reale potenziale e l'opportunità di sfruttare delle economie di scala
possono consigliare al produttore virgola di scegliere l'obiettivo di una conquista rapida della più
ampia quota di mercato punto per contro, la politica di scrematura si fa preferire allorché il
prodotto può godere di una protezione diffusa nel tempo virgola non si presta ad essere accolto
immediatamente dal larga fascia di clientela e consente, a causa della differente elasticità della
domanda rispetto al prezzo virgola di segmentare il mercato. In questo caso l'investimento appare
meno rischioso perché il prodotto può essere inizialmente immesso in quantità ridotte e per di più,
gli ampi margini unitari di vendita dovrebbero permettere di autofinanziare, l'investimento
globale.
La determinazione della politica di prezzo fissa i limiti entro cui vanno assunte le scelte relative ai
singoli prodotti. Queste devono tener conto, oltre che del ruolo di ciascun prodotto un modello
all'interno della gamma di vendita, dell'eventuale collegamento tra di essi. Per valutare l'
interrelazione fra i prezzi dei prodotti venduti, si può ricorrere all' indice di elasticità incrociata,
cioè calcolare il rapporto fra la variazione percentuale della domanda del bene A rispetto a quella
del prezzo del bene B.

Se l’elasticità dovesse risultare positiva, i beni sarebbero da considerarsi intersostituibili; se


negativa, complementari; se bassa o nulla, non correlati.

9. La politica di comunicazione.
La politica di comunicazione, pur essendo inquadrata come politica di marketing, assume un ruolo
più ampio nella gestione aziendale. L'obiettivo non è quello di rivolgersi soltanto ai clienti per
accrescere la quota di mercato, ma quello più in generale virgola di creare un rapporto positivo
con tutti gli stakeholder.
La promozione può essere definita come il complesso di azioni poste in essere per indurre,
preservare e modificare i modelli di comportamento degli operatori di mercato, allo scopo di
ritrarre un vantaggio competitivo.
Lo scopo ultimo è più specifico e di creare delle preferenze virgola di informare e di persuadere ad
acquistare i beni prodotti dall' impresa. Essa deve indurre all'acquisto.
In tale processo sono stati individuati tre momenti o fasi successive:
1. il momento cognitivo, nel quale si acquisisce la consapevolezza del bisogno da soddisfare e
si inizia a rivolgere l'attenzione prodotti idonei a tale scopo;
2. Il momento emotivo, quando l'attenzione si trasforma prima in interesse e poi nel
desiderio di predisporre del prodotto;

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3. Il momento attivo virgola in cui si passa alla fase materiale dell'acquisto mediante una
comparazione delle varie offerte di mercato.
L'impresa orienta la sua attività promozionale e in via una serie di messaggi di stimoli che devono
spingere a preferire il prodotto.
Le scelte dei beni di consumo non è effettuata fra tutte le Marche presenti nel mercato, ma
soltanto fra quelle conosciute o meglio ricordati al momento dell'acquisto. Scopo della
promozione, è quello di far conoscere soprattutto far ricordare favorevolmente il nome del
prodotto virgola in modo da ottenere il suo inserimento fra le alternative di acquisto.
La politica di comunicazione può essere realizzata mediante:
a) L'attività di relazioni pubbliche;
b) La pubblicità;
c) la promozione in senso stretto;
d) L'attività persuasiva dei venditori.

Queste attività si collocano in posizioni differenti in quello che può essere definito l' imbuto
promozionale punto si ricorre al concetto di imbuto per sottolineare l' immissione nell'attività
promozionale di risorse virgola che si differenziano per modalità di impiego e per effetti prodotti,
allo scopo di ottenere lo sviluppo delle vendite. Ciascuna via promozionale a, quale fine ultimo,
l'aumento del volume d'affari dell'impresa, ma può prefiggersi anche degli obiettivi diversi nel
breve termine.
Questa attività consiste nel far accogliere positivamente le realizzazioni aziendali. Attraverso
conferenze, convegni, istituzione di borse di studio, opere sociali, beneficenza, l'impresa riesce
infatti a farsi accettare dal pubblico, in modo da ottenere l'appoggio necessario per svolgere più
proficuamente la sua attività.
E intuibile virgola che il fine ultimo è quello di creare le condizioni più favorevoli per migliorare le
posizioni di mercato punto quindi, si posizionano all'inizio dell' imbuto, dato che hanno lo scopo di
raggiungere il più vasto pubblico possibile senza tuttavia mirare immediatamente a risultati di
vendita.

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la pubblicità è senz'altro l'attività più tradizionale di comunicazione, per cui è talvolta confusa con
la funzione promozionale nel suo complesso punto secondo una definizione molto diffusa, per
pubblicità si intende qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un
promotore individuato a coloro che sono o possono essere interessati al prodotto.
La pubblicità viene realizzata attraverso i media era generalmente un ampio effetto di
propagazione del messaggio. Essa è di solito attuata mediante apposite campagne. Le campagne
possono essere necessarie per propagandare un nuovo prodotto, per rivitalizzare un prodotto in
declino, per rafforzare l'affermazione della marca e per sottolineare la continuità di presenza del
prodotto nel mercato.
in campo pubblicitario un' innovazione consolidata è rappresentata dall'uso dei social e di internet
quale veicolo di comunicazione. Accanto alla via pubblicitaria, le imprese, proprio per rafforzare
l'effetto di richiamo, attuano azioni cosiddette di promozione in senso stretto. Quest'ultima si
differenzia dalle altre forme perché si concreta nel creare virgola di solito per periodi limitati di
tempo, particolari incentivi per l'acquisto dei prodotti aziendali.
Qualsiasi forma di promozione commerciale ha difatti un'elevata carica persuasiva perché si
concreta nella fissazione di speciali condizioni di acquista o nella promessa di benefici futuri per il
consumatore punto per questo, si colloca quasi alla fine dell imbuto promozionale, vicino alle
attività del personale di vendita che, nella stessa promozione, ritrova sovente opportunità per
realizzare una più efficace azione commerciale.
la promozione commerciale, si può infatti, rivolgere agli intermediari mercantili con la concessione
di particolari sconti o con l'assistenza sul punto di vendita.

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10. La politica di distribuzione commerciale.

Per l'impresa industriale, la distribuzione dei prodotti comporta virgola in realtà, scelte relative:
1. Alla determinazione del livello di contatto con il mercato;
2. All' intensità della distribuzione;
3. Al tipo di operatori a cui affidare il collocamento del o dei prodotti aziendali.
In altri termini, le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire
i beni posti in vendita, il loro numero e il modo di collegamento.
per stabilire le vie di deflusso delle produzioni è necessario conoscere, anzitutto, la struttura della
distribuzione proponente nel mercato.
Il secondo momento, concerne la scelta del numero di sbocchi attraverso cui avviare prodotti sul
mercato. Questa opzione riguarda, in effetti, la decisione fra una vendita estensiva, con la massima
copertura dei punti finali di vendita, o selettiva attraverso un numero limitato e selezionato di
sbocchi. Il problema si pone soprattutto per i produttori di beni di uso non corrente, per i quali una
distribuzione meno capillare e di maggior qualificazione rappresentano un'alternativa valida. La
scelta viene orientata virgola in primo luogo, dalle abitudini di acquisto dei compratori e virgola in
secondo luogo, dai fattore di politica aziendale.
fra questi nel finale principalmente gli obiettivi e le caratteristiche da conferire a tutta l'azione
commerciale. Diverse possono essere, le decisioni adottate se il produttore vuole perseguire
obiettivi di massimizzazione delle vendite e dei profitti, se vorrà ottenere la massima esposizione
del prodotto oppure la maggiore Aggressività dell'azione di vendita. Per puntare ad una
massimizzazione del volume d'affari, cosa che esige ovviamente un' elevata esposizione dei
prodotti, si presenta più idonea una forma di distribuzione estensiva ap; Laddove fini di massimo
profitto e di più spinta è vigorosa attività di vendita si prestano ad essere in medio conseguiti
mediante le forme di distribuzione si riattiva, che nel caso limite può assumere il carattere di
distribuzione in esclusiva.
la determinazione qualitativa del tipo di sbocchi attraverso cui far defluire il prodotto al consumo
nella definizione del loro numero rappresentano le fondamenta sulle quali poggia la scelta avere
proprio del canale, cioè la decisione circa il modo di collegamento tra l'azienda e gli sbocchi
prescelta punto il problema si presenta, dunque virgola di carattere bidimensionale,
estrinsecandosi così nella determinazione della lunghezza del circuito nella fissazione dell'intensità
della distribuzione.
Il primo aspetto concerne il grado di controllo che si desidera conservare sulla domanda finale,
mentre il secondo si collega sostanzialmente al grado di copertura del mercato. L'intensità dello
sforzo distributivo e peraltro legata al genere di sbocchi prescelti virgola in quanto l'inclusione
nella rete di vendita di negozi soltanto specializzati o con ampi assortimenti merceologici virgola di
punti vendita tradizionali EO della grande distribuzione, si riflette , sul grado di copertura
ottenibile.
La copertura distributiva va correttamente misurata sulla base di due indici la quota numerica dei
punti vendita cioè tra il rapporto tra i punti vendita aziendali EI punti di vendita totali nella quota
ponderata cioè il rapporto tra il volume d'affari realizzato dai punti vendita toccati dall'azienda e
quello ottenuto da tutti i punti di vendita.

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Guardando gli stadi per cui passa il prodotto per giungere al mercato ultimo di deflusso, la scelta è
tra l'uso di canali diretti canali brevi o canali lunghi. Attualmente le politiche distributive sono
fortemente condizionate dall'espansione di organizzazioni specializzate nella vendita online e dal
ruolo della grande distribuzione.

11. La qualità del marketing: il marketing relazionale e il customer relationship


management (CRM).
La qualità del marketing attuato dall'impresa può essere valutata in base a due parametri: il grado
di soddisfazione della clientela servita e la fidelizzazione del portafoglio clienti. Da ciò deriva la
fondamentale importanza del marketing relazionale ossia della tenuta delle relazioni con la
clientela.
l'incremento della cosiddetta customer retention, ovvero la difesa del portafoglio, genera di fatti
significativi effetti sulla profittabilità dell'impresa perché:
1. acquisire un nuovo cliente è un'attività che ha un costo che potrebbe non essere
ammortizzato sulla singola transazione, atteso che i profitti derivanti dal singolo cliente
aumentano solo dopo che i costi di acquisizione sono stati totalmente coperti;
2. i clienti fedeli all'azienda continuano a comprare i suoi prodotti con un flusso di ricavi in
aumento nel tempo, mentre i costi correlati possono ridursi;
3. I consumatori fidelizzati attivano un processo di passaparola, che può raggiungere nuovi
potenziali clienti attirandoli verso l'azienda;

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4. i consumatori fidelizzati diventano sempre meno sensibile nei confronti di offerte
alternative, anche se economicamente più vantaggiose , per la percezione di elevati
switching cost da sopportare nel passaggio un nuovo un fornitore.
L'obiettivo finale del marketing relazionale e virgola il miglioramento della profittabilità della
clientela nel lungo termine e virgola in particolare la massimizzazione del customer Lifetime value.
esso misura il valore che un cliente può generare nel tempo per una determinata impresa. In
termini di ricavi, può essere calcolato moltiplicando il valore medio della transazione per la
frequenza di acquisto e ovviamente per il ciclo di vita atteso del cliente.
I clienti sono asset dell'impresa virgola che devono essere gestiti in un' ottica di lungo termine; che
la profittabilità dei clienti varia e che, quindi virgola non tutti i clienti sono ugualmente
desiderabili; Che, conoscendo sempre meglio i loro bisogni , le preferenze, i comportamenti di
acquisto dei consumatori, le imprese possono costituire un'offerta a misura di ciascun cliente, così
da allungare l'orizzonte temporale della relazione e massimizzare il valore complessivo del
portafoglio clienti.
in conclusione, è bene sottolineare che la soddisfazione del cliente, da sola virgola non basta a
creare una relazione solida e duratura con la clientela appunto l'impresa che gestisce il proprio
portafoglio clienti secondo le logiche del CRM dovrebbe quindi tendere a rendere fedeli clienti e
virgola in particolare, quelli che le assicurano un maggior valore. Un cliente fedele, infatti virgola e
un cliente soddisfatto ma un cliente soddisfatto non necessariamente un cliente fedele. La
fidelizzazione è un processo complesso che, pur fondandosi sulla soddisfazione della clientela,
necessita, per essere attuato virgola di un piano di incentivi che invogliano il cliente a ritornare,
Ripetere ed aumentare i suoi acquisti ignorando le proposte della concorrenza appunto gli
strumenti di fidelizzazione sono numerosi e possono essere utilizzati dalle imprese singolarmente
o in combinazione tra loro appunto tra i più popolari, si ricordano i cataloghi premi, le fidelity card,
le tessere sconto, i servizi di assistenza privilegiati o prioritari eccetera. Oltre ciò, un corretto piano
di inventivi necessita di una comunicazione costante veritiera, che informi il cliente degli incentivi
dei benefici perseguibili, lo aggiorni sui passi da fare e, al contempo, rispecchi i valori del brand.

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14. Il processo di produzione e l’impianto.
1. Il ruolo della funzione di produzione nella gestione industriale: il sistema aperto.
L’efficienza Della funzione di produzione incide in misura rilevante sulla competitività aziendale.Le
imprese possono competere mediante una strategia di leadership di costo o di differenziazione e
che, per il successo di entrambe, appare decisivo l'apporto di un processo di produzione. Il
successo competitivo si Lega sia la produttività virgola che si traduce ovviamente i minori costi di
produzione, sia la promozione di innovazioni soprattutto in campo tecnologico virgola che si pone
alla base della differenziazione. È il caso di precisare che l'esame sarà rivolto agli aspetti e problemi
della produzione di beni. Quest'ultima presenta infatti un problema una problematica di maggiore
complessità rispetto alla produzione di servizi virgola che poggia sulle risorse umane e virgola di
solito, richiede più limitati investimenti tecnici punto i servizi sono intangibili e difficilmente
conservabili, con la conseguenza che la capacità di produzione deve poter rispondere alla punta
massima di domanda. L'impossibilità di immagazzinare il prodotto rende rigida la dimensione
dell'impianto a causa dell'impossibilità, a differenza delle strutture impiantistica allestite per la
manifattura, di sfruttare il volano delle scorte per migliorare il grado medio di utilizzo della
capacità produttiva. Per svolgere efficacemente la funzione di produzione occorre disporre di una
tecnologia appropriata, allestire uno stabilimento irrazionale, assumere organizzare in maestranze,
predisporre le procedure di programmazione dei cicli di produzione e di controllo del processo
virgola e creare servizi adeguati a supporto della fabbrica. La funzione di produzione è
strettamente collegata a tutte le altre funzioni aziendali punto il coordinamento con la funzione di
approvvigionamento è necessario per la corretta e tempestiva alimentazione delle linee di
lavorazione; Quello con la funzione commerciale è di duplice ordine, sia per la necessità di
indirizzare la produzione secondo le tendenze di mercato sia per porre in fase il ciclo di produzione
con quello di vendita; Il rapporto con la funzione finanziaria è molto stretto sotto il profilo della
programmazione del fabbisogno di capitale fisso e circolante; E così il discorso potrebbe
proseguire accennando alle relazioni con la funzione di ricerca e sviluppo, del personale, ecc.
le scelte di produzione sono chiaramente di carattere strategico perché impegnano, per tempi non
brevi e misura rilevante, le risorse finanziarie umane disponibili. Va considerato accanto al profilo
strategico il profilo più strettamente operativo, incentrato in prevalenza sui problemi di logistica
industriale punto la produzione si svolge, infatti, secondo cicli che possono essere coordinati nelle
fase di predisposizione degli input, di trasformazione e di ottenimento degli output. La logistica in
entrata, riguardante l'approvvigionamento e la gestione delle scorte di materiali; Il processo di
lavorazione; La logistica in uscita si legano in un sistema operativo che diviene preminente nella
catena del valore.
Elemento cardine dell'efficienza è rappresentato dal coordinamento tre processi di
approvvigionamento virgola di produzione e di vendita. Questo coordinamento, si complica
notevolmente a causa della varietà del mix produttivo appunto la necessità di offrire una gamma
di prodotti al consumatore, spesso da personalizzare , richiede che siano coordinati non solo i
tempi dei tre processi, ma anche gli assortimenti e le quote di produzioni dei vari beni.

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La funzione di coordinamento, si deve estendere alla filiera di produzione, definita come il
complesso delle imprese che partecipano alla realizzazione di un bene da destinare al mercato di
consumo o ad utilizzatori industriali punto la filiera rende bene l'immagine di una sequenza di
passaggi affidati ad aziende differenti, mediante cui si previene generalmente alla produzione di
un prodotto finale e fa comprendere l'efficacia del funzionamento in rete di queste varie imprese .
L'organizzazione della produzione porta sempre a relazioni commerciali e accordi interaziendali
perché nessuna azienda è in grado di compiere, da sola, l'intero ciclo di trasformazione delle
risorse originarie appunto questo vale sia per la realizzazione di fasi complete di lavorazione,
pertinenti a settori industriali diversi, sia per la compartecipazione a cicli compresi nello stesso
settore industriale.
Le scelte di produzione da approfondire possono essere inquadrati in tre gruppi:
a) Scelte strategiche, il cui obiettivo primario è di concorrere alla creazione del vantaggio
competitivo;
b) Scelte strutturali il, il cui scopo è di allestire efficientemente il sistema operativo;
c) Cioè di gestione operativa, la cui finalità è di razionalizzare l' operatività del processo
mediante la programmazione e il controllo della produzione.

2. I rapporti di strategia di produzione e strategia competitiva: le scelte di lungo


periodo.
La funzione di produzione è direttamente correlata con la strategia competitiva perché ho
consente di perseguire l'obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia di price competition o
concorre a garantire la qualità essenziale per una strategia di differenziazione.
La strategia di produzione deve assicurare il migliore contributo alla creazione del vantaggio
competitivo punto le priorità strategiche, possono essere rappresentate dalla qualità delle
operazioni di lavorazione, della flessibilità del ciclo produttivo , dal basso costo di produzione dal
servizio da rendere alla clientela. Alla produzione può essere difatti confidato un ruolo di neutralità
rispetto alla concorrenza, ovvero deve risultare allineata al progresso dei competitori per non
generare effetti sfavorevoli sotto il profilo della formula aziendale; Oppure può essere attribuito
un vero e proprio ruolo attivo nel senso che, tramite essa , l'impresa deve poter conseguire un

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vantaggio rispetto alle altre aziende. Sul piano strategico le principali scelte virgola che si collegano
a quelle relative alla determinazione dei confini efficienti dell'organizzazione il riguardano:
a) La determinazione del mix e delle qualità di produzione in funzione delle tendenze di
mercato ;
b) La progettazione dell'impianto;
c) La logistica.

3. La tipologia dei sistemi produttivi.


Il ciclo produttivo può essere organizzato, secondo differenti modelli, per la:
a) Produzione di beni per unità distinte;
b) Produzione di massa differenziata;
c) Produzione di massa standardizzata;
d) Produzione omogenea continua.

Questi tipi di produzione si ordinano virgola in effetti, secondo il grado crescente di ripetitività di
uniformità dei prodotti: si passa da prodotti unici eseguiti su commessa, prodotti distinti per lotti o
posti in essere in serie oppure, ancora, lavorati secondo processi continui.
Il primo caso è quello di produzioni che si differenziano virgola di volta in volta, per caratteristiche
sostanziali in rapporto ad indicazioni specifiche del committente punto la produzione su
commessa comporta un'elevata capacità di adattamento alle richieste della clientela, attrezzature
meno complesse e personale più versatile. Ogni commessa richiede l'apposita programmazione
dell'intero ciclo di lavoro ed il costante controllo del suo avanzamento punto una commessa può
essere singola o ripetitiva: nel primo caso l'output di processo e unico e spesso caratterizzato da
tempi lunghi di realizzazione o da dimensioni considerevoli. Secondo caso l' output generalmente
ha dimensioni inferiori e può eventualmente essere rappresentato da più unità, simili tra loro
virgola e comunque prodotte in numero limitato.
All'altro estremo si colloca la produzione continua virgola che è caratterizzata dalla
differenziazione dei prodotti posti in essere; E il modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche,
del cemento e dell'acciaio virgola che si svolgono secondo processi continui pressoché totalmente
automatizzati.
In posizione intermedia si situa la produzione di massa che può assumere tuttavia degli
orientamenti diversi in funzione delle esigenze di mercato. L'organizzazione di una produzione di
massa standardizzata è comune nelle situazioni in cui è possibile sfruttare a fondo il principio delle
economie di scala. La produzione assume, il carattere della lavorazione di massa differenziata,
basata sull'elevata standardizzazione delle parti componenti e sulla creazione della

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differenziazione in fase di montaggio finale. Questo tipo di produzione, si definisce per lotti virgola
in quanto si sviluppa nell'allestimento di particolari serie di prodotti, caratterizzate da alcune
differenze estetiche o funzionali punto per mercato infatti richiesta una sempre più spinta
personalizzazione del prodotto che esige un elevato coordinamento nella fase dell’allestimento
finale secondo, appunto, le indicazioni raccolte dalla rete di vendita.
La variabilità dei gusti e delle tendenze di consumo, fa crescere il rischio dell'invenduto e, in ogni
caso, concorre alla crescita e all' immobilizzo del magazzino appunto quindi, le imprese tendono a
spostare il più possibile l' avvio del processo produttivo rispetto al ricevimento dell'ordine del
cliente. L'attuabilità di tale pratica, dipende dal dall'ampiezza del tempo di attesa tollerato dal
cliente (lead time rispetto all'ordine).
il rischio che corre il produttore è rappresentato dalla rinuncia all'acquisto del prodotto qualora il
lead time dovesse superare il tempo contrattualmente assicurato ed accettato per la consegna.
Sotto l'aspetto, dell'organizzazione dei cicli di lavorazione, prioritarie sono le decisioni circa la
produzione in proprio o l'acquisto all'interno di componenti, parti ed accessori del prodotto. Nelle
strategie di decentramento produttivo si può riconoscere una distinzione fondamentale tra
outsourcing e deintegrazione , attribuendo, alla prima, il carattere di opzione revocabili di ricorso
al mercato per certe forniture e, alla seconda, il carattere di opzione strategica di rinuncia certe
fasi di lavorazione, prima svolte all'interno delle organizzazioni. In altri termini, l' outsourcing è una
modalità di approvvigionamento, mentre la deintegrazione è una scelta organizzativa che
rappresenta una tendenza diffusa nell'attuale economia globale.
Il concetto di prodotto finito ottiene cioè all'impresa produttrice; Quello di prodotto finale si
riferisce, invece, al suo utilizzo diretto per il consumo o per produrre altri beni.
Le imprese possono suddividere la loro produzione tra più stabilimenti.in queste aziende multi
plant, l'organizzazione dei cicli produttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete di
impianti, differentemente articolato da caso a caso. In certe situazioni potrà, ad esempio,
convenire che ciascun impianto produca gli stessi prodotti virgola in altre che ogni stabilimento si
specializza in una fase particolare del processo virgola e in altre ancora che le singole fabbriche
lavorino prodotti differenti punto le soluzioni adottabili sono virgola in sostanza:
a) Un modello di ripetizione degli impianti, quando ogni centro produttivo lavora
fondamentalmente gli stessi prodotti;
b) Un modello di parcellizzazione del ciclo di produzione, allorché ciascun impianto svolge una
certa parte del processo di fabbricazione , producendo parti o semilavorati da avviare ad
alcuni stabilimenti centrali di montaggio;
c) Un modello di specializzazione, quando ogni impianto produce un particolare tipo un
modello di prodotto inserito nella gamma aziendale.

4. L'esigenza di flessibilità nella progettazione dell'impianto.


la disposizione fisica delle strutture tecnico produttive virgola che compongono lo stabilimento
virgola e più in particolare l'impianto o, costituisce il cosiddetto lay out, termine che deve
intendersi , dunque, come la disposizione delle strutture edilizie, delle macchine, delle attrezzature
e dei posti di lavoro all'interno della fabbrica.

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In relazione alle modalità di svolgimento dei cicli di lavorazione bisogna osservare che l'impresa a
volte e libera di scegliere tra più alternative e virgola al tre, invece virgola e costretta ad adottare
una particolare forma di organizzazione. Quest'ultima è legata soprattutto alla tecnologia utilizzata
che può imporre o rendere il più conveniente processi di lavorazione a ciclo continuo,
intermittente o misto. I primi virgola che si caratterizzano per il fatto che la lavorazione si svolge
ininterrottamente dall'ingresso in ciclo dei materiali fino all'uscita del prodotto finito, possono
infatti essere imposti dalle modalità tecniche di produzione o da ragioni di economicità.
In altri casi, l'adozione dei processi continui è dettata da motivi di convenzione economica e si
traduce nell'allestimento di linee di montaggio. Ciascuna linea è suddivisa in stazioni, presso cui si
svolgono operazioni successive secondo procedure e tempi stabiliti.
I cicli di lavorazione possono essere organizzati anche in modo intermittente, ovvero suddividendo
il processo in fasi ed assegnando ciascuna di queste ad un particolare reparto o centro operativo.
In questo modo, per ogni fase vi sarà un accumulo di scorte in entrata ed in uscita e bisognerà
risolvere il problema di coordinamento dei tempi di lavorazione. Questo tipo di organizzazione
viene preferito in tutti i casi di cicli di produzione meno facilmente automatizzabili e richiedenti
prestazioni di lavoro per qualche aspetto differenziate. Il terzo tipo di ciclo è quello misto,
organizzato in parte in modo continuo ed in parte in modo intermittente. Esso è adottabile
allorché certe fasi di lavorazione si prestano ad essere totalmente automatizzate, mentre altre
richiedono delle operazioni più complesse da affidare ad appositi reparti.
Le scelte qualitative nella progettazione dell'impianto riguardano, la determinazione del layout, il
livello della tecnologia e l'organizzazione del lavoro in fabbrica appunto nell'ormai persistenti
condizioni di stabilità dell'economia e di volubilità degli andamenti di mercato, l'esigenza di fondo
diviene quella di assicurare flessibilità al sistema di produzione senza rinunciare ai principi
essenziali della produttività e dell'economicità di funzionamento del sistema stesso.
a questo proposito, bisogna necessariamente distinguere:
a) Il grado di elasticità o flessibilità economica, ovvero la capacità dell'impianto di rimanere
competitivo anche in condizioni di parziale utilizzazione;
b) Il grado di flessibilità tecnica, ossia l' idoneità dell'impianto ad adattarsi a produrre beni
differenti senza maggiorazione di costi penalizzanti sotto il profilo competitivo.
In altri termini, il concetto di flessibilità dell'impianto può essere considerato sotto il profilo
tecnico e sotto quello economico. In rapporto a questo secondo aspetto, un impianto e tanto più
flessibile quanto minore e l'incremento dei costi unitari di produzione al ridursi del grado di
utilizzazione dell'impianto stesso punto la flessibilità economica dell'impianto e cioè legata al
rapporto tra costi fissi e variabili di produzione.

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L'obiettivo di rendere compatibili attributi di specializzazione e di versatilità dell'impianto delle
maestranze non è certamente facile punto il grado di specializzazione dell'impianto, incide difatti
sulle opportunità di automazione delle operazioni di trasformazione. Questo tenendo presente
che da tempo si è passati dalla fabbrica fordista tradizionale a quella dell'alta automazione, per
giungere alla fabbrica integrata, caratterizzata dall'applicazione di una tecnologia complessa ad un
modello di produzione snello.
I progressi in fabbrica sono stati straordinari sotto due profili: l'automazione e la flessibilità.
L'automazione ha raggiunto il suo punto ottimale mediante l'informatica e la robotica: la prima
consente al governo dell'intero ciclo mediante computer virgola che non solo coordinano le
singole fasi del processo, ma che consentono di produrre a ciclo continuo su commessa; la
seconda ha permesso di sottrarre all'uomo i lavori più pericolosi faticosi virgola che vengono svolti
dal robot sempre più sofisticati. Per quanto attiene alla flessibilità, il governo computerizzato del
processo ha reso possibili variazioni complesse nelle fasi di lavorazione con tempi di preparazione
da attrezzaggio macchina nell'ordine addirittura di pochi minuti.
Nell'allestimento dell'impianto da tempo si sono soffermati i sistemi computerizzati per la gestione
delle fasi di progettazione dei prodotti, per il controllo dei cicli di produzione, per la
movimentazione di materie, semilavorati e prodotti finiti.

5. Il dimensionamento della produzione dell'impianto.


una delle scelte più delicate e impegnative nell'organizzazione della produzione è rappresentato
dal dimensionamento da conferire all'impianto punto il problema deriva dalla contrapposizione tra
le ipotesi di sovradimensionamento iniziale e quella di contenimento della capacità inutilizzata. Il
problema del dimensionamento dell'impianto di produzione presenta pesanti implicazioni
economiche virgola in quanto si riflette sull'economicità e rischiosità dell'investimento. L'obiettivo,
è quello di individuare la dimensione ottimale, definibile teoricamente come quella idonea a
minimizzare il costo unitario di prodotto.
Sotto il profilo dimensionale È opportuno tenere distinte due scelte: la determinazione della
capacità produttiva dell'impresa e quella della potenzialità ottimale degli impianti punto si tratta
virgola di problemi interdipendenti, ma che debbono essere impostati risulti secondo criteri,
almeno in parte, diversi. La decisione circa il volume globale di produzione deriva essenzialmente
dalla considerazione di fattori di mercato, cioè dalla previsione delle quote di vendita ottenibilei
nei mercati in cui opera l'impresa.
L'attività di produzione, per quanto possibile e conveniente, deve adattarsi al ciclo di vendita, ciclo
che di solito contraddistinto da una variabilità, più o meno accentuata, nel tempo e nello spazio
appunto il dimensionamento del processo produttivo, può avvenire a parità di volume anno di
affari, su livelli differenti in rapporto all' esigenza di soddisfare in qualsiasi momento la domanda di
punta oppure quella media.
Nel caso delle ricorso alle scorte, il problema si concreta nel dimensionare la capacità di
produzione intorno al livello medio della domanda virgola in modo da poter soddisfare mediante
la manovra delle giacenze, le esigenze attuali e prospettiche del mercato, continuando a produrre
un quantitativo costante di output. Poiché lo stock di prodotti dovrebbe consentire il
soddisfacimento continuo della clientela, il regime di produzione andrebbe regolato in funzione

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dell'entità e del periodo in cui presumibilmente potrebbero verificarsi le maggiori richieste da
parte del mercato.

La scelta dell'ampiezza di un impianto deriva, dunque, essenzialmente da fattori tecnico


economici, cioè dall'effetto sui costi unitari di produzione di una diversa potenzialità di
lavorazione. Un impianto e , un sistema complesso, costituito da una serie di macchine,
automatismi, attrezzature, utensilerie, servizi, age. Ciascuna macchina rappresenta un fattore
quanto, cioè un bene afflusso rigido di servizi, il cui costo e in funzione prevalentemente del fluire
del tempo più che della sua effettiva utilizzazione. Il problema sorge per il fatto che non tutte le
macchine che compongono le linee di produzione raggiungono lo stesso ritmo di lavoro o, per
meglio dire, hanno una capacità produttiva uguaglia bile in ordine al numero delle operazioni da
realizzare nella stessa quantità di tempo.
Il dimensionamento dell'impianto deve rispondere anche alla minimizzazione del rischio e non solo
a quella del costo unitario di produzione punto ai fini del rischio assumono importanza
fondamentale il concetto del margine di sicurezza, sul quale è opportuno soffermare l'attenzione
punto ogni azienda opera con una certa struttura di costi ricavi e virgola quindi, con una differente
leva operativa.
La scelta del livello di leva operativa si inquadra all'interno della strategia aziendale, poiché l'
imprenditore deve stabilire fino a che punto sfruttare questo vantaggio potenziale e,
naturalmente, quale grado di rigidità citare sul piano dei comportamenti di gestione.
È sempre necessario raggiungere un certo volume di attività per recuperare integralmente i costi
fissi e variabili. Questo volume, per il quale i ricavi uguagliano i costi complessivi, è quello
corrispondente al cosiddetto punto di pareggio o break even point perché in quella condizione per
l'impresa dovrebbe essere indifferente produrre o rimanere inattiva punto il punto di pareggio si
ricava graficamente con la costruzione del diagramma di redditività virgola che riproduce
l'andamento dei costi fissi, dei costi variabili e dei ricavi al variare della quantità prodotta.

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Al concetto di punto di pareggio si lega a quello del margine di sicurezza rappresentato dalla
differenza espressa solitamente in percentuale della capacità massima di produzione tra il previsto
volume di utilizzo dell'impianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio.

6. La programmazione delle offerte di produzione.


Nella programmazione della funzione di produzione bisogna tenere distinte l'ottica di lungo
termine, ovvero la programmazione della capacità produttiva, da quella di breve termine ossia
dalla programmazione delle operazioni correnti durante l'esercizio appunto la programmazione di
breve o di operativa riguarda, le decisioni circa l' assortimento e volumi di prodotti da realizzare
durante l'anno o in tempi ancora più ristretti; Spesso, si riferisce all' approntamento di specifici
lotti di prodotti o all'esecuzione di particolari commesse.
Definire il programma di produzione significa, ricercare la soluzione più economica di impiego
delle risorse per raggiungere il livello e la composizione del mix produttivo fissato per l'esercizio.
Quando si formula il piano di produzione, si ipotizza di sfruttare appieno le ore lavorabili, mentre
le effettivamente lavorate saranno influenzate da fenomeni ricorrenti ma non prevedibili in
termini quantitativi.
Da ciò deriva che la programmazione della produzione, per essere veramente efficace, deve
articolarsi:
a) Nel medio lungo termine per precostituire la capacità produttiva necessaria in rapporto agli
obiettivi di sviluppo dell'impresa;
b) Nel breve termine per allocare razionalmente le risorse disponibili virgola in modo da
raggiungere i traguardi di produzione posti dal programma annuale di vendita;
c) Nel brevissimo termine per organizzare periodicamente il lavoro dei centri di produzione in
funzione delle quote settimanali, quindicinali o mensili da realizzare.

7. Il controllo di efficienza della produzione: fattori statici e dinamici.


Gli obiettivi dell'efficienza economica e della customer satisfaction sono centrali
nell'organizzazione nello svolgimento della funzione di produzione. L'azione di controllo, riguarda
sia il regolare svolgimento delle operazioni produttive sia la qualità dei prodotti finiti da destinare
al mercato appunto il suo obiettivo è quello di prevenire anomalie nel ciclo operativo e nei
prodotti, al duplice scopo di evitare di sopportare costi a vuoto e di garantire la qualità al
consumatore.

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Il controllo dovrebbe quindi articolarsi nel:
1. Controllo dei risultati di produzione; Questo tipo di controllo si estrinseca, prima di tutto,
nel calcolo nell'analisi di indici di produttività;
2. Controllo di qualità dei prodotti; si tratta di un controllo operato su campioni di materiali,
utilizzando prevalentemente tecniche di tipo statico;
3. Controllo economico o di valore, per individuare le aree di risparmio di costi nella funzione
produttiva.
Visto che spesso i costi si fanno sui prezzi, diviene dunque elemento essenziale l'efficienza
organizzativa virgola che si traduce nel miglioramento dell' economicità dei processi aziendali
punto a tale riguardo, gli obiettivi da perseguire sono rappresentati:
a) Dallo sfruttamento ottimale dell'impianto;
b) Dalla razionalizzazione dei consumi di materie prime ausiliarie mediante riduzione di sfridi,
perdite cali di lavorazione;
c) Dalla produttività dei gruppi di lavoro mediante il miglioramento dell'organizzazione e la
formazione del personale ;
d) Dall’idoneità dei servizi di supporto alla produzione.
All'interno degli elementi richiamati si combinano a fattori statici o strutturali di efficienza e fattori
dinamici od operativi, con la conseguenza che l' ottimizzazione del processo è sempre la risultante
di una struttura tecnologicamente avanzata e di un'organizzazione altamente coordinata appunto
adesso a contribuiscono, sostanzialmente gli investimenti di ammodernamento delle strutture
impiantistiche e gli investimenti organizzativi punto
Altro obiettivo di fondo dell'organizzazione della produzione è costituita dalla riduzione degli
scarti, dovuti a difetti dei materiali o di lavorazione. Nel caso di materie prime semilavorati il
danno consiste nello spreco di materiali e ore di lavoro con conseguente riduzione dell' output
produttivo; Nell'ipotesi di prodotti finiti, se la difettosità viene accertata in house, cioè prima che il
prodotto lasci la fabbrica , essa può essere associata a costi di rilavorazione.
viceversa, se la difettosità viene accertata dopo l'invio del prodotto al cliente, oltre ai danni
economici si subiscono anche danni di immagine e spesso ancora più gravi dei primi punto
Da ciò l'assoluta importanza del controllo di qualità che, condotto con procedimenti e tecniche
appropriate, si pone come uno strumento essenziale di efficienza della gestione produttiva nel suo
complesso.
In particolare il concetto di qualità deve essere inteso in senso più ampio. Il total quality
management si pone come una vera e propria filosofia, che va molto oltre il controllo di qualità dei
prodotti. Esso concerne, la garanzia del servizio ottimale al cliente, non solo per quanto riguarda la
validità del prodotto ma anche per le modalità EI tempi di consegna, l'assistenza prima , durante e
dopo l'acquisto, la gestione corretta di tutti i termini contrattuali.
Il controllo, come sei già avuto occasione di rilevare, comporta costi rilevanti e deve rendere in
misura almeno proporzionale rispetto ai costosi tenuti punto per questo motivo, anche in questo
caso, le soluzioni migliori dovranno rispettare sempre il principio generale dell' economicità nel
lungo termine.

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