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Psicologia delle risorse umane

Scienza Politica
Università degli Studi di Catania
41 pag.

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CAPITOLO 1 : RISORSE UMANE
Nei contesti lavorativi, l’attività è svolta autonomamente, come quella degli artigiani, ma è
gerarchicamente subordinata. Ciò ho fatto nascere problemi studiati dalle scienze sociali e psicologiche,
inerenti al tema del lavoro e dei suoi effetti sulle persone.
Tra le grandi funzioni che hanno le imprese, una di queste è la funzione delle risorse umane, che ha
registrato la sua evoluzione più forte dal ’60 in poi.
Chiaramente è stato un processo soggetto a diverse trasformazioni, questo perché negli anni c’è stato un
mutamento dei periodi e delle realtà economiche.
Gli stadi che attraversarono le risorse umane furono: l’amministrazione del personale, il periodo delle
relazioni umane, la fase del management strategico e il periodo dello sviluppo del potenziale umano.
1)L’amministrazione del personale.
Taylor parlava inizialmente di spreco delle risorse umane; questi sprechi riguardavano il sistema del lavoro
manuale, dell’utilizzo della forza fisica, dei tempi.
Inizialmente è stata confusa la funzione delle risorse umane con la semplice direzione amministrativa, il
cui obiettivo era una concezione di tipo contabile-amministrativo, che aveva come scopo
l’amministrazione del rapporto di lavoro, ovvero reclutamento, pagamenti ecc.. (modalità razionale).
In aggiunta ad altri autori che evidenziarono la valenza del ruolo esercitato dalle gerarchie, Simon
evidenziò come per attuare un comportamento razionale in ambito organizzativo, sia necessario che ci
siano regole comprensibili e rapporti prescritti tra le persone.
Tutte le organizzazioni erano considerate entità che per raggiungere determinati scopi, dovevano osservare
particolari norme e quindi stabilire un modello di gestione esclusivamente formale.
Proprio per questo si doveva rinforzare il controllo dei comportamenti: ogni operatore doveva eseguire
solo la sua funzione, secondo il ritmo imposto dall’organizzazione e second la sua posizione gerarchica.
La gestione delle risorse umane, in precedenza, aveva quindi solamente il compito di indicare i compiti
da svolgere e le persone da assumere. Altre capacità cognitive, sentimenti, bisogni, etc. erano considerati
estranei al funzionamento dell’organizzazione.
2)Le relazioni umane.
Le scuole delle relazioni umane e quelle delle neorelazioni umane hanno origine a partire dagli anni
trenta.
Il pensiero di queste scuole è esposto dai lavori di Mayo, il quale mise in luce il fatto che i rapporti sociali
offrivano al lavoratore il senso della propria identità e un significato al lavoro svolto.
Questi valori comprendono una comunicazione pienamente libera ed incoraggia l’espressione
emotive, oltre che evidenziare il ruolo svolto dai fattori ambientali e relazioni sul rendimento
lavorativo.
Bennis individuò i valori fino ad allora trascurati come:
- Una nuova concezione dell’uomo basata sulla conoscenza dei suoi complessi bisogni, che
sostituisce l’idea dell’uomo ultrasemplificato.
- Un nuovo concetto di potere basato sulla collaborazione e sulla regione, che sostituisce un
modello legato alla minaccia.
- Un nuovo concetto di organizzazione, fondato su ideali umanistico-democratici che sostituisce il
modello burocratico.
Questo approccio, sintetizzato nella formula filosofia sociale, enfatizza sia le dimensioni psicologiche dei
dipendenti sia la dimensione storica del passato dell’organizzazione.
3)Il management strategico delle risorse umane.
Successivamente alla crisi petrolifera del ’70 la modernizzazione, la forte concorrenza e la
ristrutturazione delle organizzazioni peggiorarono i problemi dell’impiego con abolizione di posti
di lavoro e creazione di impieghi più qualificati.
La direzione delle risorse umane si aprì quindi a una trasformazione assumendo
un’autonomia specialistica, che la separava dalle semplici gestioni amministrative,
politica, per cui I responsabili del personale hanno diretto potere sulle politiche delle
risorse umane.

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Dai primi anni Ottanta, si è gestita la puntualizzazione e la chiarificazione dei concetti alla base della
gestione strategica delle risorse umane.
Secondo tali precisazioni bisogna mettere in atto procedure coerenti con l’organizzazione e praticare
una segmentazione secondo le differenti categorie dei dipendenti.
Negli Stati Uniti, la direzione per obiettivi creata da Peter Drucker è l’illustrazione di riferimento per
questo approccio. Essa è l’esempio di una fede nella razionalità umana e nella gestione delle responsabilità
assunte dai capi e dai collaborator; second questo approccio l’uomo non è cambiato dopo Taylor ed è
sempre motivato dal profitto e dal lavoro ben fatto.
Ma se a tutto ciò si aggiunge una buona comunicazione si ottiene una migliore gestione delle persone.
Parallelamente a questo nuovo concetto di razionalità, sono andate sviluppandosi anche pratiche di
segmentazione. Questo perché non è possibile gestire allo stesso modo categorie differenti come giovani/non
giovani. Una gestione differenziata del personale è il riflesso di una concezione aperta dell’organizzazione,
vicina ai suoi membri.
Tale approccio relative alla direzione per obiettivi deve considerare: la definizione degli obiettivi in relazione
ai ruoli, la precisazione dei risultati ottenuti, la contribuzione a raggiungere gli obiettivi e il rapport tra il loro
conseguimentoo ed il ricompenso economic, le modalità attraverso cui si introducono e sviluppano gli
obiettivi.
Nonostante ciò, il responsabile della gestione delle risorse umane potrà realizzare la direzione per obiettivi se
l’organizzazione lo permette.
In pratica la direzione per obiettivi si può imporre ai lavoratori, oppure si può discutere e negoziare con loro
gli obiettivi e i piani. Il vantaggio di questo metodo è che i responsabili delle risorse umane e i lavoratori
sanno in anticipo ciò che ci si aspetta da loro; d’altra parte gli esiti previsti non risultano completamente sotto
il controllo dei lavoratori.
Altra concezione del metodo, è il non prevedere istruzioni troppo dettagliate e rigide. Secondo questa
prospettiva, le prestazioni sono misurate in base alla finalizzazione degli obiettivi e non in base al
procedimento per cui si ottiene il risultato del lavoro.

ASPETTI POSITIVI DELLA DIREZIONE LIMITI DELLA DIREZIONE


PER OBIETTIVI PER OBIETTIVI
-Pone attenzione su aree dove gli obiettivi -Si concentra sugli individui piuttosto che
risultano più significativi. sui team.
-Identifica i problemi da risolvere per -Nell’imporre obiettivi, può compiere degli
raggiungere determinati scopi. abusi.
-Chiarisce la responsabilità e il coordinamento delle
attività. -Può trovare difficoltà nel definire alcuni
-Motiva i lavoratori. lavori.
-Appare scarsamente realizzabile perché gli
obiettivi cambiano rapidamente.

3)Lo sviluppo del potenziale umano.


A partire dagli anni ’90, l’idea di valorizzare il potenziale umano è andata sempre più sviluppandosi nel
mondo industriale.
Il punto di partenza è stato la convinzione che nelle organizzazioni ci sono parti di risorse interne
largamente sottosviluppate (Invisible assets).
Si è discusso quindi sulla necessità di riconoscere che i dipendenti sanno assumere la responsabilità di
nuove attività.
Il potenziale umano comprende sia le risorse fisiche, tecnologiche, finanziare e umane, ma anche le
capacità come i saperi, le conoscenze, acquisizione delle competenze e il modo di metterle in
pratica.
Questa corrente di pensiero ha quindi fatto capire che la gestione del personale non può

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essere fatta in modo esclusivamente razionale, perché ci sono altre caratteristiche altrettanto
importanti da considerare.
Tale prospettiva agevola la relazione tra line, che viene responsabilizzata e resa più autonoma, e
staff.
4)Strategie di sviluppo del potenziale umano.
Un punto di discussione è stato anche il rapporto tra staff e line (datore e operaio). Il potere dei
superiori, più che provenire dalla posizione occupata, dipende principalmente dalle loro conoscenze e
competenze; è per questo che sopraggiunge la necessità di responsabilizzare la line, di dotarla di
capacità di iniziativa e responsabilità autonoma. Si tratta del cosidetto processo di introspezione, che
porta le persone a interrogarsi sul significato delle loro azioni.
In questa logica di diffusione delle conoscenze nelle organizzazioni, appare fondamentale che i
dipendenti usufruiscano di conoscenze tacite ( si acquistano mediante apprendimenti informali) ed
esplicite ( si interiorizzano da parte dei salariati che le condivideranno con gli altri). La concezione
taylorista, da canto suo, bloccava questi processi comunicativi.
La comunità di apprendimento, è un esempio di soluzione per problemi legati al gruppo: in questo caso
viene favorite la sperimentazione di nuove conoscenze ed esperienze e la condivisione con gli altri
favorendo l’acquisizione di presa di coscienza delle sfide che si possono incontrare.
CAPITOLO 2: LA SELEZIONE DEL PERSONALE.
Definizione e obiettivi della selezione.
La selezione del personale è un elemento fondamentale per il successo delle aziende. Nell’attuale
contesto di competizione economica globale, le imprese dedicano grandissima attenzione anche al loro
capitale umano e intellettuale.
La selezione del personale può essere vista come l’insieme delle operazioni che vengono effettuate ogni
volta che un’organizzazione deve reperire e valutare uno o più individui in possesso di requisiti fisici,
psichici, professionali e culturali necessari per svolgere una determinata mansione.
Secondo molti autori la selezione è un processo volto alla valorizzazione delle caratteristiche proprie
dell’individuo e alla successive valutazione di esse, con conclusive scelta di quei soggetti le cui
caratteristiche risultano essere più congrue alla posizione aperta; si tratta quindi di un macroprocesso con
sottofasi interne
Un’organizzazione può utilizzare la selezione per due scopi:
- Reclutare e valutare il nuovo personale da assumere.
- Valutare le competenze e il potenziale di persone già assunte.
Nel primo caso la selezione è centrata sul lavoro, perché esamina le competenze della persona per
comprendere se è idonea a ricoprire una determinata posizione.
Nel secondo caso è un processo di orientamento dove le persone vengono esaminate per capire se sono
adatte a ricoprire un ruolo maggiore.
Ci sono dei principi da rispettare all’interno di una selezione; uno di questi stabilisce che essa sia condotta
da esperti ed è, inoltre, necessario utilizzare strumenti standardizzati che assicurano affidabilità e validità,
oltre che rispettare norme ed etica propria del contest in cui la si svolge.
Evoluzione storica. :Tutti gli approcci sviluppati fino ad ora sulla selezione del personale, ruotano intorno al paradigma
delle differenze individuali, il quale afferma la diversità delle caratteristiche tra le persone.
Alla luce di ciò, l’obiettivo della selezione dovrebbe essere quello di assegnare ogni individuo al lavoro più
adatto per lui e per l’azienda.
La branca di psicologia che ha influenzato questo argomento è la “psicologia delle differenze” (Dunnette, Galton). Da
un lato hanno studiato le attività lavorative, dall’altro hanno selezionato e costruito metodologie per misurare le qualità
richieste.
L’utilizzo dei primi test mentali di orientamento psicomotori per misurare i tempi di reazione, risale alla fine
dell’ottocento. A questa concezione furono sottoposte molte critiche, una delle quali fu formulata da Binet il quale
sosteneva che c’era la necessità di studiare i processi mentali più complessi come l’immaginazione, la memoria,
l’attenzione.
Fu questa critica che decretò la nascita del primo test di intelligenza messo a punto nel 1905 da Binet e Simon;
qualche anno dopo ci fu una revisione da parte di Terman della scala Binet Simon per far sic he ci fossero norme che
consentissero la somministrazione a soggetti dai 3 anni in poi

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Altre situazioni che comportarono lo sviluppo di altri test di intelligenza furono le selezioni dei soldati
durante la Prima guerra mondiale (Army alpha per analfabeti e Army Beta per gli altri).
Durante gli anni ’30 le differenti opinioni sulla natura dell’intelligenza condussero alla costruzione della
Wechsler-Bellevue Intelligence Scale.
Negli anni a venire si generarono dei problemi, relativi alle lamentele di chi si era sottoposto ai vari test,
considerati come un’eccessiva intrusione nella privacy. Nel ’60 questo problema venne affrontato dal
Congresso americano che introdusse sanzioni contro i datori di lavoro che compissero discriminazioni nei
confronti delle minoranze. Tale cambiamento ha fatto si che ci fossero nuovi atteggiamenti da parte del
selezionatore che doveva considerare anche la valenza esercitata da aspetti quail la motivazione e la
sicurezza percepite dal lavoratore.
Inoltre cambia anche l’approccio e l’uso dei test: infatti quando i candidati venivano considerati come
soggetti passivi, la selezione era un processo a una via dove il selezionatore gestiva tutto.
Più di recente si riconosce invece ai candidati coinvolti nel processo di selezione un ruolo più attivo e
partecipativo: La selezione arriva quindi ad essere dinamica e considerata a due vie.
Un second element aggiuntivo è quello che porta a considerare il processo di selezione come espressione
delle politiche aziendali di gestione delle risorse umane (GRU) volte poi a raggiungere determinate scopi.
Aspetti legislativi e normativi.
L’attività di selezione può essere influenzata dal contesto legislativo entro cui viene svolta.
Nel nostro paese infatti sono sempre più numerose le normative che, a partire dallo Statuto dei Lavoratori
fino alla recente riforma Biagi, hanno lo scopo di tutelare i diritti dei lavoratori rispetto ai temi delle
discriminazioni per genere, diritto alla privacy, inserzioni di ricerca anonime, indagini su dati che non
sono pertinent ai fini della valutazione
Le norme dello Statuto dei Lavoratori precisano i diritti fondamentali di tutela della libertà e della dignità
del lavoratore nella gestione del personale.
L’art. 1 delinea I principi di base cui si ispira la legge.
L’art.8 ribadisce il rispetto della personalità e del credo delle persone; vieta perciò la raccolta di tutte le
informazioni relative a opinioni o ad attività politica, religiosa.
Sono invece permesse le indagini riguardanti i lavori svolti in precedenza o gli studi fatti. Nell’articolo 15,
viene invece precisato che è da considerarsi nullo qualsiasi atto volto a licenziare un lavoratore sulla base del
sesso, della razza, della lingua e della religione.
In Italia esistono diverse leggi che tutelano e garantiscono l’eguaglianza tra i generi. La legge 903/1977 ha
vietato qualsiasi discriminazione basata sul genere per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la retribuzione,
etc.
Una svolta significativa è stata data dalla legge 125/1991 che si è posta gli obiettivi di promuovere
l’occupazione femminile e di realizzare l’uguaglianza tra uomini e donne a lavoro. Il divieto di discriminare
concerne anche l’etnia, la razza, la cultura ecc.
Aspetti legislativi e normativi: aspetti etici e deontologici .
L’attività di selezione del personale deve tener conto anche di alcuni importanti aspetti etici e deontologici.
Sono stai individuati alcuni principi fondamentali, che possono essere suddivisi in quattro
categorie:
-Il rispetto dei diritti e della dignità dei candidati.
-La professionalità e la competenza del valutatore.
-La responsabilità del valutatore

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-I diritti del valutatore.
Poiché in molti casi il selezionatore è uno psicologo, può essere utile richiamare quanto previsto dal codice
deontologico degli psicologi italiani.
L’articolo 9 sancisce che lo psicologo è tenuto ad informare i soggetti coinvolti adeguatamente
anche riguardo al proprio nome, al proprio status scientifico e professionale.
L’articolo 4 stabilisce che lo psicologo rispetti la dignità, il diritto alla riservatezza di coloro che si
avvalgono delle sue prestazioni, le credenze e ed opinion.
Inoltre, in base all’articolo 11, lo psicologo è tenuto al segreto professionale. Egli è responsabile della sua
formazione, deve avere un atteggiamento neutro e deve essere cosciente del proprio ruolo. L’art. 19 sancisce
che la valutazione entro un contest di selezione deve rispettare I principi che caratterizzano tale contesto.
Fasi e strumenti del processo di selezione.
Le fasi dell’iter procedurale che conduce alla ricerca e alla scelta del candidato finale sono:
Job Analysis; Reclutamento; Selezione; Inserimento e Valutazione degli esiti della selezione.
1) job analysis
Individuare un profilo professionale significa definire i job requirements della posizione, cioè i
requisiti e le caratteristiche richiesti per ricoprire adeguatamente l’incarico previsto, oltre che
un’adeguata conoscenza dell’azienda.
Ogni procedura di selezione deve fondarsi su una precedente analisi del lavoro (job analysis) che
include la job description, cioè la descrizione delle attività relative alla mansione, e la job
specification cioè la descrizione dei requisiti che le persone devono avere (conoscenze, abilità,
competenze).
La Job Analysis si occupa della definizione delle mansion e dei comportamenti richiesti ai lavoratori,
descrivendone il compito, le conoscenze e abilità richieste, allo scopo di fornire riferimenti su cui
costruire il successive passaggio di reclutamento e selezione.
I metodi più diffusi per raccogliere informazioni per la comprensione e l’analisi dell’attività
lavorativa sono:
- L’osservazione diretta.
Consiste nell’osservare per un certo periodo di tempi tutto ciò che una persona fa mentre lavora senza
apportare commenti. Il vantaggio consiste nell’uniformità delle informazioni ottenute, a danno dei tempi e
dei costi che sono assai elevate. Inoltre la presenza di un osservatore potrebbe alterare I comportamenti
prestati dai dipendenti.
- L’intervista.
E’ importante utilizzarla a completamento dell’osservazione. Può essere più o meno strutturata, a second
ache si segua o meno uno schema, e aiuta a reperire una notevole quantità di informazioni.
Anche in questo caso tempi e costi sono elevate e inoltre richiede una specifica preparazione.
- Episodi critici e diari di lavoro.
Viene chiesto agli esperti di una mansione di identificare gli aspetti critici della prestazione che
conducono al successo o al fallimento in una specifica attività. Un altro metodo è far tenere un diario ai
lavoratori delle loro attività.
- Il questionario.
Elenco di compiti e di responsabilità a cui attribuire un punteggio ponderato. Richiede dei costi ridotti,
essendo uno strumento standardizzato, ma non garantisce flessibilità nell’analisi dei casi esaminati.
Chiaramente la combinazione di tutti gli strumenti può aumentare i vantaggi e assicurare
maggiore validità.

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Sulla base dei dati raccolti attraverso la job analysis è possibile definire gli elementi personali che
assumono rilievo nello svolgimento di specifici compiti.
L’insieme dei requisiti raccolti, oggettivi (es. Età o genere) e soggettivi(es. Motivazione),
rappresentano lo strumento per paragonare i nuovi candidate al profile ideale tracciato e quindi
identificare colui che potrebbe ottenere la mansione.
2)Reclutamento
Una volta definita la natura dell’attività da svolgere e i requisiti richieste prende avvio l’attività che
consiste nel ricercare persone con qualità tali da soddisfare le esigenze di sviluppo aziendale: il
reclutamento.
Esso è composto dalle seguenti fasi:
- Raccolta delle candidature potenzialmente interessanti, attraverso canali interni o
esterni all’azienda.
Il selezionatore può scegliere se procedere tramite un’inserzione sul giornale, un annuncio televisivo o
radiofonico, ricerca nelle università, consultare l’archivio.
I canali di reclutamento possono essere interni o esterni all’azienda:I canali interni sono indirizzati a
lavoratori già assunti nell’organizzazione mentre I canali esterni si rivolgono ai potenziali lavoratori che non
sono ancora membri dell’organizzazione.
- Screening dei candidati.
Una volta raccolte le candidature, inizia la fase di screening dei curriculum, con lo scopo di verificare se le
caratteristiche dei dipendenti corrispondono a requisiti del candidato ideale.
A questo punto il selezionatore può decidere di condurre dei colloqui individuali o di gruppo, oppure di
utilizzare dei test o altri strumenti di valutazione.
- Convocazione dei candidati.
Il reclutamento si conclude con la convocazione delle persone giudicate interessanti per
l’organizzazione.
3)la selezione.
Le principali metodologie per la selezione sono l’intervista individuale, gli assestment center e i test.
Il selezionatore nell’ intervista (o colloquio) individuale si pone come obiettivo quello di individuare la
personalità, gli interessi e le motivazioni del candidato; a sua volta il candidato è interessato a capire se
l’azienda e il lavoro offerto sono adatti alle sue aspirazioni.
Tendenzialmente questo strumento risulta essere il più utilizzato.
I colloqui di gruppo (assestment center) si rivelano utili per esaminare come l’individuo si comporta
quando è inserito in un gruppo a cui è stato affidato un compito. Il selezionatore funge da osservatore
durante le prove.
Oltre a queste due tipologie ci sono il colloquio in serie e il colloquio panel: Nel colloquio in serie il
candidato sostiene diversi colloqui con più selezionatori che integreranno I loro punti di vista; nel colloquio
panel invece, il candidato sostiene il colloquio in presenza di più selezionatori che pongono domande
alternandosi tra loro.
Anche attraverso l’uso di diverse tipologie di test è possibile valutare la personalità dell’individuo e
comprendere meglio il suo carattere. Vanno adattati alle situazioni e ben somministrati.
Sembra che le valutazioni siano influenzate da alcuni fattori demografici: il genere (I maschi sono
valutati meglio), la razza (l’appartenenza alla medesima razza dell’intervistatore favorisce una
valutazione positive),l’età.
Sarebbe opportune che il selezionatore neutralizzasse l’influenza dei fattori descritti.
Ovviamente durante la valutazione, il candidato è interessato a essere valutato positivamente,
Cercherà quindi di mostrare le sue migliori caratteristiche, assumendo strategie come
l’integration e la deception.
L’integration è composto da quei comportamenti verbali e non verbali che il candidato mette in atto in
modo intenzionale per riscuotere un’impressione positiva nei confronti del selezionatore.
La deception è l’insieme di quei comportamenti che il candidato fa con l’intento di

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nascondere quegli aspetti personali che egli considera negativi.
E’ compito del selezionatore prestare attenzione sia ai comportamenti verbali che a quelli non verbali.
Una volta che il profile professionale (esperienze professionali e arrività svolte) e psicologico
(comportamenti, caratteristiche personali, valore e aspettative) del candidato e la valutazione sono state
redatte, l’esito viene presentato alla committenza affinchè questa possa compiere una scelta tra la rosa dei
candidati proposti.
4) Accoglimento e inserimento.
L’azienda sceglie infine il candidato da assumere e avvia le ultime fasi del processo di selezione, relative
all’accoglimento e all’inserimento del candidato individuato. L’accoglimento può essere definito come
l’insieme di iniziative e contatti programmati volti a fornire al neoassunto tutte le informazioni utili per il
lavoro e le regole generali di convivenza.
L’inserimento consiste in un programma di azioni di formazione, addestramento e assistenza volto a
consentire al nuovo assunto la conoscenza e l’adeguamento alle procedure dell’azienda.
criticità e valutazione del processo di selezione.
E’ naturale chiarire che la previsione porta con sé molta incertezza, questo perché gli errori nel processo
di selezione e valutazione possono accadere. Ci sono diversi fattori che influenzano l’attendibilità delle
previsioni: quantità di informazioni precise, caratteristiche dell’individuo che influenzano la prestazioni,
metodi di valutazione, feedback e retribuzione da parte dell’azienda, organizzazione del lavoro ecc.
Data l’importanza di questo processo svolto dal selezionatore, è quindi importante che, a distanza di
tempo, venga verificata l’efficacia del processo stesso.
Conclusioni.
Gli specialisti che agiscono come consulenti della selezione possono offrire
all’organizzazione tre contributi:

- Partecipare alla progettazione e al miglioramento dei processi di selezione.


In questo modo i manager possono venire affiancati da consulenti esperti nel processo di selezione.
- Facilitare il processo di valutazione.
- Consigliare il management attraverso la restituzione del punto di vista del consulente.
Diversi studi hanno approfondito anche le possibili evoluzioni di questo processo nel futuro; secondo
queste teorie assisteremo a un incremento del numero di test psicologici, l’utilizzo del computer e di
strumenti web, lo sviluppo del lavoro in team e uso di test di abilità per valutare le differenze individuali
dei candidati.
Secondo le previsioni proposte, in future sarà necessaria una maggiore contestualizzazione delle
valutazioni individuali che si vedranno, quindi, inserite e confrontate in un contesto più ampio; ed una
maggiore integrazione relativa al rapport tra ricerca scientifica e applicazione pratica.

CAPITOLO 3 : L’ORIENTAMENTO PROFESSIONALE.


L’orientamento professionale si riferisce all’insieme di pratiche finalizzate a sostenere la persona
nelle sue scelte formative e lavorative e nella gestione della carriera.
Guardando l’evoluzione storica della disciplina, nei primi anni del novecento troviamo il modello
diagnostico-attitudinale con un approccio psicotecnico che ha messo a punto strumenti di assessment
delle caratteristiche personali.
Tra gli anni 30 e 50 insorge il modello carraterologico-affettivo che concentra l’attenzione sulla
rivelazione degli interessi professionali, aprendo così la strada ad un approccio di tipo clinico-
diagnostico.
A partire dagli anni 70 si affermano teorie con un modello di tipo maturativo-personale che leggono
levoluzione della carrier in relazione allo sviluppo personale.
Lo sviluppo dell’orientamento professionale va quindi letto second una prospettiva che vede il susseguirsi
di varie fasi che valutano un numero crescente di fattori.

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Le origini della psicologia dell’orientamento: il contributo della psicotecnica.
La prospettiva psicotecnica prende avvio dagli studi sulle componenti psicosensoriali alla base delle
prestazioni individuali.
L’obiettivo dell’orientamento è quello di scoprire il nesso tra le attitudini individuale e le caratteristiche
richieste per l’esercizio di una professione.
Parsons sostiene che nella scelta professionale intervengono tre fattori:
- Una comprensione chiara di se stessi, delle proprie attitudini e capacità.
- Una conoscenza articolata dei differenti ambiti lavorativi in termini di requisiti richiesti,
remunerazioni, vantaggi, svantaggi, etc.
- Un’analisi attenta tra le relazioni che ci sono tra questi due fattori
Secondo questo approccio le scelte professionali sono compiute razionalmente, quindi lo scopo è di
informare la persona rispetto alle proprie caratteristiche per fornire gli elementi affinchè egli compia una
giusta scelta; in questo modo il soggetto è considerato come passivo nell’orientamento.
È questo il momento che vede l’introduzione dell’analisi fattoriale e dela psicotecnica anche in
ambito professionale e di orientamento.
il ruolo dell’intelligenza.
L’intelligenza è definita una capacità adattiva di apprendimento, quindi si ritiene che possa
prevedere l’adattamento ad ambienti formativi e lavorativi. Essa si basa sulla misurazione del
rendimento presente.
Gli studi sull’intelligenza, storicamente, possono essere ricondotti a due orientamenti: uno che la
vede come una capacità generale (Fattore G) e che si esplica in relazione ai molteplici fattori
con cui entra in contatto, l’altro che la considera come multifattoriale.
Sulla base di questi concetti, Binet si dedicò alla costruzione di uno strumento per misurare le
funzioni intellettive complesse che prevedeva il confronto tra età cronologica ed età mentale per
misurare il ritardo mentale. Il rapport tra età mentale ed età cronologica moltiplicato per 100 offre
l’indice generale del Quoziente Intellettivo.
Thurnstone mise in dubbio la misurazione unidimensionale qui proposta, affermando la presenza e
l’esigenza di valutare delle abilità primarie.
L’utilizzo di test unidimensionali e multimendisonali varia a seconda dell’approccio scelto; l’indice
che sembra prevedere correttamente il successo lavorativo è il livello generale di intelligenza.
il rapporto persona-ambiente
La teoria dell’adattamento al lavoro e la teoria della corrispondenza persona-ambiente
rappresentano le principali evoluzioni del concetto che introdusse Parsons. Secondo questi
autori la soddisfazione lavorativa può essere predetta dal grado di corrispondenza tra le
caratteristiche della persona e quelle dell’occupazione.
Tali caratteristiche si definiscono nei termini di Bisogni e Abilità
Tra i limiti, c’è la necessità di un approccio multifattoriale volto a definire un nucleo centrale
di aspetti con i quali collegare le caratteristiche della persona in modo da predire il livello di
soddisfazione lavorativa; a questo si aggiunge l’esigenza di usare strumenti in grado di
valutare alcune dimensioni ambientali e le component e valutazioni soggettive della persona.
Gli approcci connessi alla psicologia della personalità.
Nell’ambito della psicologia in merito all’orientamento, esistono due tipi di approcci: il modello
disposizionale e il modello interazionista.
Il modello disposizionale del comportamento identifica nella personalità una struttura latente interna,
composta da un insieme di tratti stabili che definiscono gli elementi costanti e stabili del carattere, che
condizionano le manifestazioni psicologiche e I comportamenti.
Il modello interazionista sostiene che la personalità è il risultato dell’interazione tra variabili situazionali
e variabili personali; questo modello ritiene che le interazioni tra individuo e ambiente determinino il
comportamento, ma nello stesso tempo l’individuo è sia protagonista attivo delle interazioni con
l’ambiente, sia determinante nel definire le modalità dell’interazione.

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Si parla quindi di “ambiente soggettivo” per indicare come le persone interpretino la situazione in
termini di opportunità rispetto ai propri obiettivi .
l’approccio psicodinamico.
Questo approccio si concentra sulla definizione dei tratti motivazionali dinamici della personalità.
La motivazione può essere definita come una spinta che porta l’individuo ad agire verso mete precise.
Le spinte motivazionali provengono dalla struttura di personalità profonda, che si caratterizza per
bisogni inconsapevoli e meccanismi mentali consolidati durante lo sviluppo.
Rogers sosteneva che lo sviluppo individuale si muove verso l’autorealizzazione attraverso il passaggio
dalla semplicità alla complessità, dalla dipendenza all’indipendenza: questo concetto si basa sull’
accettazione di sé. Atkinson ha dato un importante contributo a questo approccio, elaborando una teoria
motivazionale secondo la quale quando la speranza di successo supera la paura del fallimento, la persona
è motivata ad agire e presenta una percezione più realistica delle scelte.
Altro contributo fu quello di Jung che distinse attitudine introversa (I) e attitudine estrovera (E)
che interagiscono con il mondo esterno.
Dalla combinazione delle funzioni emergono sedici tipi psicologici.
E’ sulla base di questa teoria che è stato costruito l’MBTI, uno dei questionari di personalità più popolari e
diffusi secondo il quale, ogni tipo psicologico è predittivo della scelta dell’ambito occupazionale.
Gli interessi professionali.
Essi rappresentano l’espressione della personalità nella preferenza di attività lavorative, formative e
ricreative.
Il processo di definizione e stabilizzazione degli interessi si conclude nel periodo tra i 15 e i 20 anni.
Questo interesse ha fatto emergere studi di Kuder, Roe, Holland. Mentre Kuder ordinò gli interessi in base
alle preferenze per aree professionali, Roe approfondì la genesi e la strutturazione degli interessi e sottolineò
l’influenza dell’educazione ricevuta durante l’infanzia.
Holland riteneva che le persone cerchino ambienti lavorativi volti alla manifestazione dei loro tratti
comportamentali , perciò la scelta professionale potrebbe considerarsi come un’espressione della
personalità. Appare dunque chiaro che si può studiare la personalità attraverso gli interessi professionali.
Individuò sei aree di interessi professionali sulle quail costruì sei tipi di personalità (Modello
RIASEC): ogni tipo di personalità veniva descritto nei termini di interessi professionali e di tratti di
personalià.
Ogni profilo personale può essere descritto rispetto a tre indici di strutturazione e chiarezza, ovvero la
coerenza, differenziazione e identità:
-Un profilo viene considerato coerente quando presenta i due massimi punteggi in aree contigue.
-Viene considerato differenziato quando presenta uno scarto elevato tra punteggio più alto e
punteggio più basso.
-Infine, la dimensione dell’identità si riferisce alla consapevolezza che la persona mostra rispetto ai propri
interessi.
Il limite della teoria è l’aver assunto che la personalità possa essere spiegata tramite i soli interessi
professionali.

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I valori professionali.
L’influenza dei valori professionali sullo sviluppo vocazionale è stata considerata solo a partire dagli anni
’50
I valori professionali sono caratteristiche di lavoro rispondenti ad aspirazioni personali che si
possono soddisfare più o meno indipendentemente dai diversi settori professionali.
La classificazione distingue in valori intrinseci ( realizzazione del sé ) e valori estrinseci
(valore del lavoro ).
Essi influenzano le scelte di carriera indirizzando le persone verso alcuni ambiti professionali.
La scelta della professione in base ai propri valori non avviene sempre; Brown ha indicato quali sono le
condizioni nelle quali può realizzarsi la corrispondenza tra valori e scelte professionali:
-La prima è che tra le scelte possibili ce ne sia almeno una in linea con i propri valori.
-Inoltre la scelta dell’opzione corrispondente ai propri valori deve implicare lo stesso grado di
difficoltà delle altre alternative.
L’interazionismo e la psicologia della personalità.
La teoria sociocognitiva è l’esempio più conosciuto di approccio interazionista. Bandura fonda
la sua teoria su tre fattori in interazione tra loro: la persona, il comportamento e l’ambiente.
Tramite il comportamento la persona agisce sull’ambiente e lo modifica, ma allo stesso tempo i risultati
del comportamento modificano le cognizioni della persona.
Le cognizioni sul Sé, costruite tramite le interazioni passate con l’ambiente, costituiscono il
sistema del sé. Un elemento centrale del sistema del Sé è l’autoefficacia.
Le credenze di autoefficacia influenzano le componenti cognitive, motivazionali ed emozionali dell’agire
umano (ne sono le determinant prossimali).
La selezione degli obiettivi vengono influenzati anche dalle aspettative di risultato e quindi le attese circa
le conseguenze del comportamento. Autoefficacia e aspettative di risultato sono indipendenti, in modo che
una persona può possedere un alto livello di autoefficacia rispetto a un compito, ma essere poco motivata a
svolgerlo qualora le sue aspettative siano negative.
Ad influenzare le scelte professionali sono anche le variabili di contesto. L’influenza dei valori
contestuali può essere di due tipi : quella prossimale che riguarda l’effetto di moderazione di alcuni
fattori di contesto nella traduzione degli interessi in obiettivi, quella distale che riguarda quei fattori di
contesto che in passato hanno influenzato le esperienze di apprendimento .
Questi fattori vengono denominati “barriere”; il loro effetto dipende in gran parte dal significato
attribuitogli.
Lo sviluppo dell’identità vocazionale.
Questo approccio considera l’orientamento un processo che segue l’intero arco di sviluppo della
persona e che riguarda la globalità dell’individuo, piuttosto che solo alcune sue caratteristiche.
L’identità determina sia il senso che gli individui hanno della loro continuità nel tempo e nello spazio sia
la consapevolezza della propria unicità.
Il processo di maturazione delle scelte viene definito biologico; questo concetto fu la base per lo studio di
Dumora sulla costruzione di aspettative riguardo al proprio futuro durante il periodo di sperimentazione
compreso tra gli 11 e i 16 anni.
Secondo l’autrice, le aspettative si formano attraverso tre processi:

- Il processo di riflessione comparativa che riguarda la messa in relazione di elementi di sé


e della professione e si fonda su un iniziale processo di identificazione con una persona che svolge
la professione che interessa. Si basa sull’identificazione con persone appartenenti al proprio
contesto sociale.
- La riflessione probabilistica appare influenzata dall’esperienza nel contesto scolastico.
- La riflessione implicativa prevede un confronto tra i mezzi e i fini, per confermare o abbandonare
l’interesse verso la professione.

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Infine, per Gottfredson, lo sviluppo vocazionale è determinato dallo sviluppo cognitivo, che permette di
costruire il concetto di sé e una mappa cognitiva unica delle professioni definita “mappa delle posizioni
sociali” e che si basa sul livello di prestigio e mascolinità/femminilità.
La teoria di Super.
Super elabora una teoria che sottolinea come la carriera si sviluppi attraverso un processo di costruzione
del concetto di sé che interessa tutto l’arco di vita e i differenti ambiti lavorativi ed extralavorativi.
Questa teoria si è evoluta lungo tre direttrici :
-Un crescente riconoscimento dell’influenza dell’ambiente socioculturale nella costruzione dei progetti
di vita.
-Una maggiore attenzione verso l’analisi contestualizzata dello sviluppo della carriera lavorativa all’interno
dell’articolazione di ruoli che caratterizzano il corso della vita nel suo insieme.
-Una crescente valorizzazione delle rappresentazioni che l’individuo si forma di sé e la diminuzione del peso
dato alle vallutazioni oggettive di interessi e attitudini.
La teoria è stata riformulata fino ad oggi dove si ritiene che l’esperienza lavorativa acquisti un senso
all’interno dello sviluppo globale della persona e dell’articolazione tra i differenti ruoli sociali che la
persona riveste (bambino, studente, uomo o donna nel tempo libero, lavoratore, padre o madre) e che hanno
importanza in relazione all’età, alle preferenze, alle strutture sociali e così via.
La carriera lavorativa è dunque descritta come l’insieme dinamico dei cambiamenti nel rapporto tra
l’individuo e l’attività lavorativa, i quali producono ripensamenti sui propri ruoli sociali.
La scelta professionale può quindi essere descritta come un processo teso all’adeguamento
tra sé e il proprio ambiente; naturalmente esercitano un’influenza importante anche le
attitudini ereditate, le esperienze, la formazione, la sperimentazione di ruoli.
Oltre ai diversi fattori, la carriera è influenzata dal livello socioeconomico della famiglia di origini, dalle
attitudini, dalle caratteristiche personali , dalle occasioni e dalla maturità professionale.
Nel processo di sviluppo tracciato dalla teoria di Super, si possono riconoscere alcuni stadi (periodi di
equilibrio):
- La crescita (fino ai 14 anni).
- L’esplorazione (dai 14 ai 24 anni).
- La stabilizzazione (dai 25 ai 45 anni).
- Il mantenimento (dai 45 ai 65 anni).
- Il declino (oltre i 65 anni).
Il passaggio da una fase all’altra presume il superamento di alcuni compiti di sviluppo e l’equilibrio fra I
ruoli. Il costrutto della maturità vocazionale è definito come la prontezza dell’individuo ad affrontare i
compiti di sviluppo con i quali deve confrontarsi a causa del suo sviluppo biologico e sociale o legato alle
aspettative della società.
La maturità di carrier è caratterizzata da diverse dimensioni: pianificazione, esplorazione, raccolta di
informazioni, decision making e orientamento alla realtà.
I modelli dello sviluppo di carriera in età adulta.
I maggiori cambiamenti sembrano riguardare la fase centrale della carriera. Rispetto al periodo
adulto Super ha introdotto nella teoria il concetto di recycling
all’interno della normale traiettoria di sviluppo, per indicare la possibilità che la persona possa affrontare
periodi di cambiamento sostanziale della propria carriera lavorativa anche in età avanzata, per giungere
infine al mantenimento.
Oggi parliamo di protean career e boundaryless career riferendoci a nulìve tipologie di sviluppo di
carrier caratterizzate da percorsi non lineari e gestate autonomamente; in questo caso si richiama al
concetto di adattabilità quando si fa riferimento alla capacità di cambiare, senza trope difficoltà, per
rispondere alle nuove circostanze e ai cambiamenti del momento.
É stato usato il termine rinnovamento per indicare quella fase in cui gli adulti valutano il concetto di sè
che sfocia nel riaggiustamento della propria carrier attraverso l’investimento delle loro competenze.
Secondo il modello di sviluppo di carriera in età adulta di Power e Rothausen , le differenze
interindividuali dell’andamento della fase centrale della carriera sono determinate dagli esiti di tre
compiti di sviluppo:

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la definizione che la persona dà del proprio lavoro, l’evoluzione che essa prevede nel proprio settore
professionale e la direzione che imprime al suo sviluppo di carriera (in termini di aspirazione).
Le persone possono scegliere tra quattro possibili direzioni si sviluppo: decidere di aggiornare le proprie
competenze mantenendo lo stesso ruolo lavorativo (sviluppo diretto al compito); intraprendere un
percorso di specializzazione tecnico-pratica (sviluppo specialistico); oppure cercare di raggiungere un
ruolo direttivo di nicchia o a sviluppo verticale (vertici dell’organizzazione).
A seconda della direzione scelta, possono esserci differenti livelli di sviluppo della carriera in età
adulta:
-Lo sviluppo orientato al proprio posto di lavoro: consolidamento della propria posizione.
-Lo sviluppo orientato al mantenimento della propria attività lavorativa: aggiornamento finalizzato a
mantenere stabile la propria prestazione.
-Lo sviluppo orientato alla crescita professionale.
Il modello di self-construction di Guichard.
Il modello di Guichard propone una sintesi tra gli approcci individualisti e quelli sociologici ; sono
considerati tre aspetti della costruzione di sé : sociologico, psicologico e dinamico.
L’aspetto sociologico si riferisce al fatto che un individuo sviluppa un sistema di quadri cognitivi che
definisce la visione che l’individuo ha dei gruppi sociali.
Alcune forme identitarie sono universali ( l’essere donna ), altre sono tipiche di una specifica identità
(l’essere cattolico); in generale le forme identitarie sono variabili a seconda dei contesti.
Per quanto riguarda l’aspetto psicologico, la costruzione del Sé si basa sulle strutture cognitive che la
persona ha sviluppato attraverso l’azione e l’interazione.
Dal punto di vista dinamico, queste forme identitarie soggettive si costruiscono attraverso la
relazione dell’individuo con il suo ambiente sociale.
In questo modo, l’intervento di orientamento diviene un momento privilegiato per riflettere sulle
proprie forme di identitarie soggettive.
Il processo di socializzazione professionale.
La carriera lavorativa può essere considerata come un percorso di socializzazione professionale.
La socializzazione professionale riguarda la fase di socializzazione adulta e descrive il processo di
sviluppo dell’identità professionale, attraverso l’acquisizione di un set disposizionale di valori, conoscenze,
in grado di guidare il comportamento individuale tramite una serie di esperienze lavorative ed
extralavorative.
Questo approccio richiede due componenti: quella cognitive, volta a valorizzare e interpretare la situazione,
e quella emotive, legata ai vissuti soggettivi che il soggetto attribuisce all’esperienza vissuta.
Questo approccio psicosociale pone l’accento sull’identità professionale come componente dell’identità
sociale; in quest’ottica, la carriera viene definita come un percorso individuale, segnato da eventi e da
scelte che caratterizzano l’interazione tra persona e contesto lavorativo.
Le situazioni critiche che caratterizzano lo sviluppo della carriera sono definite transizioni
lavorative.
Secondo il modello di Hopson e Adams, la transizione che segue un evento negativo si caratterizza per
uno stadio iniziale di shock; in seguito attraversa una fase che tende a sottovalutare le conseguenze
negative per poi passare a una fase depressiva caratterizzata da scarsa fiducia in se stesso.
La bassa autostima induce la persona a pensare di non affrontare la situazione, ma il tentativo di
superare la crisi porta il soggetto a ristrutturare i propri significati e a ripristinare il proprio livello di
autostima.
Questo processo di gestione autonoma della propria carriera matura attraverso l’acquisizione di
competenze specifiche definite “orientative”, acquisite lungo tutto l’arco della vita.
Secondo il modello di analisi delle transizioni di Schlossberg, le transizioni possono presentarsi come
anticipate (avvenimenti attesi), non anticipate (imprevisti) e mancate (assenza di avvenimenti attesi).

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Le differenze interindividuali in merito alle modalità di fronteggiamento delle transizioni dipendono da una
serie di variabili riassumibili nel “sistema delle 4S”:
- La situazione.
- Il sé.
- Il supporto.
- Le strategie (comportamentali, cognitive, centrate sulla gestione dello stress).
La Role Thery evidenzia l’importanza del valore che viene attribuito ad un ruolo lavorativo e la sua
incidenza nel momento in cui tale ruolo viene meno; per fronteggiare questo tipo di situazione servono
alcune caratteristiche quail l’autostima, ottimismo, percezione di controllo e così via.

Le pratiche di orientamento.
La finalità delle pratiche di orientamento è quella di perseguire lo sviluppo personale e sociale
dell’individuo e di promuovere la sua capacità di maturare scelte consapevoli e far fronte alle transizioni.
Tali azioni fanno riferimento ad approcci teorici e metodologici diversi (information , guidance,
counseling).
Educational and vocational guidance.
Con “guidance” si identificano le azioni finalizzate a promuovere l’educazione all’auto-orientamento.
Si propone lo sviluppo di competenze orientative per preparare la persona ad affrontare le scelte in modo
autonomo, monitorare I propri percorsi formative, accompagnare le transizioni fra I cicli di studi ecc.
Il focus è posto sul metodo e sulle strategie per riuscire a decidere cosa fare e come muoversi nelle
situazioni di incertezza.
E’ un approccio in grado di pianificare a livello operativo una serie di obiettivi da raggiungere e
che enfatizza il metodo di gruppo; l’obiettivo prioritario è di rispondere al bisogno della persona
di essere supportata dal punto di vista metodologico nel prefigurare e impostare correttamente una
soluzione autonoma a un compito orientativo specifico.
La maturazioni di tali competenze orientative è legata al perseguimento di diversi obiettivi:

-Far acquisire alla persona un atteggiamento proattivo rispetto alla gestione della propria storia personale
(promuovere competenze orientative aspecifiche e propedeutiche).
-Far maturare nella persona la capacità di tenere sotto controllo lo svolgersi delle esperienze in atto; si
parla in questo caso di competenze di automonitoraggio.
-Far sviluppare al soggetto la capacità di affrontare gli eventi decisionali attraverso una progettazione di sé
nel tempo (competenze orientative di sviluppo della propria storia formative e lavorativa).
La carenza di competenze orientative comporta un rischio di insuccesso.
Vocational and carrer counseling.
L’attività di counseling ha come obiettivo accompagnare la persona in un percorso di risoluzione di un
problema orientativo ed attivare un processo di ridefinizione delle dimensioni e dei fattori che
permettono alla persona di gestire il suo rapporto con le criticità connesse all’evoluzione personale e
professionale.
Quando si parla di counseling di orientamento e di carrier ci si riferisce ad una ridefinizione del Sè
professionale partendo dalle proprie esperienze personali e dalla sua evoluzione progettuale e
lavorativa.
Il termine “counseling di orientamento ” fa riferimento a un’utenza giovanile impegnata nella definizione
di una progettualità di lungo periodo; mentre il termine “counseling di carriera” fa riferimento alla gestione
di una progettualità a breve o a medio termine che intreccia esigenze di stabilità e di cambiamento, sia a
livello personale sia a livello professionale.
Per affrontare questa esperienza è fondamentale la motivazione all’autoriflessione e la capacità della
persona di farsi carico attivamente e consapevolmente della propria storia formativa e lavorativa lungo
tutto l’arco di vita.

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CAPITOLO 4 : LA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA.
Possiamo comprendere la socializzazione come un processo dove i soggetti sviluppano la propria
personalità e allo stesso tempo si appropriano dei valori sociali in interazione con il contesto in cui sono
inseriti; essa suggerisce l’idea di un passaggio da uno stadio iniziale a uno successivo più evoluto.
Sarchielli identifica la socializzazione come l’insieme dei processi con cui l’individuo acquista
conoscenze, atteggiamenti e valori di un gruppo sociale, in modo da vivere in modo soddisfacente.
Gli elementi di sovrapposizione, sono :
- La ridefinizione cognitiva verso una situazione nuova.
- L’interazione tra soggetto e contesto.
- La presenza di alcune situazioni dove tale processo ha effetti più rilevanti.
- La concezione di socializzazione come processo parzialmente prevedibile.

Con il termine socializzazione al lavoro, indicheremo quella fase di preparazione all’esperienza


lavorativa dell’individuo, riferendoci a un processo che approfondisce il cambiamento delle strutture
psicologiche dell’identità personale. Per socializzazione organizzativa si va invece ad intendere
l’insieme delle interazioni che ci sono tra individuo ed organizzazione, sopratutto nell’adeguamento alle
norme e ai valori del gruppo.
La socializzazione lavorativa.
Nella fase di socializzazione pre-lavorativa ci sono delle figure significative come quelle della famiglia,
della scuola e del gruppo dei pari. Sono significative perché definiscono gli atteggiamenti verso il lavoro
e il sistema di aspettative con il quale il soggetto affronterà l’esperienza lavorativa.
Per quel che riguarda i tratti personali, Holland fece un modello teorico di successo dove associò le
caratteristiche di sei tipi di personalità (artistica, realistica, investigativa, imprenditoriale, sociale,
convenzionale) con gli orientamenti di scelta lavorativa.
Altri tipi di studi sono quelli che legano le scelte lavorative ai processi di apprendimento degli individui.
Kolb propone lo studio dei processi di apprendimento definendoli cicli sequenziali di apprendimento
che iniziano da una concreta esperienza del fatto per terminare nell’applicazione pratica.
L’apprendimento prevede l’evoluzione di Quattro fasi: concreta esperienza di un fatto, riflessione e
astrazione, applicazione pratica.
Egli avanza l’idea di una tipologia di stili di apprendimento individuali che non vanno considerate come
tratti immutabili della personalità:
- Diverger: orientato verso l’esperienza concreta e osservazione riflessiva.
- Converger: abilità di apprendimento.
- Assimilator: capacità di astrazione e osservazione riflessiva.
- Accomodator: caratteristiche opposte al precedente ed è orientato verso l’esperienza.
Esaminando le altre prospettive, si potrebbe considerare la socializzazione al lavoro come una
transizione psicosociale e un’occasione di sviluppo e cambiamento per la persona.
Lewin spiegò questo concetto con la teoria del campo: le parti del campo si chiamano regioni e
rappresentano le componenti psicologiche della personalità di un individuo. Ogni cambiamento, porta la
modifica dei confini delle regioni; quindi davanti ad un cambiamento ci si trova a ridefinire i propri vissuti
attuali e aspettative future.
Il cambiamento vede un iniziale fase di scongelamento, poi il cambiamento ed infine il ricongelamento.
Un altro fattore da considerare è quello dell’aspettativa del soggetto; Vroom afferma che le aspettative
verso il lavoro, i colleghi e le opportunità consentono di crescere professionalmente perché incidono sul
livello di impegno. Quando tali aspettative non vengono soddisfatte c’è una bassa soddisfazione lavorativa,
un basso commitment e un alto turnover.
Ultimo tema da esaminare è quello del giudizio nella situazione dove si trova il soggetto :valutazioni
formali e informali da parte dei colleghi e dei superiori che possono modificare l’idea di identità
lavorativa che si è costruita nel tempo.

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La socializzazione organizzativa.
Gli scenari lavorativi odierni sono caratterizzati da profonde trasformazioni, che sortiscono i loro
effetti sulla società, sulle persone e sulle loro sfere di vita.
socializzazione e contratto psicologico.
La relazione tra individuo e organizzazione, fino a qualche tempo fa, era contornata da un mercato
abbastanza stabile e prevedibile. C’era quindi un senso di stabilità e sicurezza psicologica per i soggetti.
Il contratto psicologico che si stipulava comprendeva aspettative reciproche, convinzione di
giustizia, equità ed interscambio.
Questa situazione di stabilità, è venuta a deteriorarsi negli ultimi anni. Il contratto psicologico viene quindi
modificato generando una logica di “appartenenza temporanea” sia nel soggetto che nell’organizzazione
stessa.
Il concetto di sicurezza viene sostituito da quello di employability, ovvero la possibilità di contare sulle
proprie competenze professionali per poter essere impiegabili continuamente nelle varie organizzazioni che
valorizzano l’apprendimento continuo.
Dalla parte del soggetto.
Nella relazione tra persona e contesto lavorativo, si valutano le ipotesi di integrazione e/o di adattamento
di un polo nel rapporto con l’altro.
Il modello di Nicholson prevede un soggetto che si attivi nell’affrontare l’entrata nel contesto
organizzativo e questo processo viene rappresentato come un ciclo transizionale dove si mostrano i
punti cruciali della relazione tra persona e contesto.
La fase di ingresso è mediata dalle aspettative del soggetto (da 1 a 2); si prendono le misure sui vincoli e
sulle opportunità del proprio ruolo (da 2 a 3); si lavora sulla consapevolezza e sulle attribuzioni di senso
della nuova situazione e quindi su quali apprendimenti sono da registrare (da 3 a 4); le correzioni effettuate
tendono a stabilizzarsi (da 4 a 1).
L’equilibrio raggiunto tenderà successivamente a destabilizzarsi di fronte a una nuova fase di
transizione che vedrà coinvolto il soggetto.
Louis definiva la socializzazione organizzativa come un processo dove un individuo fa sue quei valori
come le abilità e i comportamenti attesi ritenuti essenziali per assumere un ruolo organizzativo.
La socializzazione organizzativa è vista come processo primario tramite il quale il soggetto esperisce il
nuovo ruolo lavorativo. Questa dinamica prevede la presenza di tre elementi che vorrebbero spiegare le
strategie comportamentali del soggetto : il cambiamento, il contrasto e la sorpresa.
I punti chiave sono legati alla nozione di script, cioè quegli schemi mentali che sono costruiti sulle
esperienze passate e che fungono da copione per l’agire quotidiano.
Quando gli script non funzionano,il soggetto deve ridurre tale dissonanza attraverso una creazione di senso.
Il soggetto è visto come attivo, dotato di autostima e in grado di gestire la situazione.
Dalla parte del gruppo.
La realtà la possiamo considerare come percepita, quindi inventata (a causa dei nostri pregiudizi, etc.),
perciò possiamo definire il gruppo come un’invenzione, una percezione, uno stato d’animo.
Per Spaltro, nella sua proposta dei vari livelli di coppia, la socializzazione può condizionare gli sviluppi o
le resistenze del rapporto sociale.
Attraversare questa fase significa abbandonare la più rassicurante “cultura di coppia” ed entrare nella
“cultura del piccolo gruppo”.
Identifica infine la dimensione gruppale come quella dove si instaurano un tipo di relazione non
individuali ma collettivi, in cui le persone interagiscono e si influenzano.
In questo clima, I membri del gruppo accettano I nuovi arrivati e stringono con loro delle relazioni più o
meno positive; I livelli di legami che nascono determinano il passaggio da gruppo a gruppo di lavoro.
La socializzazione organizzativa: dalla parte dell’organizzazione.
Schein definisce la cultura organizzativa come un insieme di assunti di base, sviluppati dai membri di
un’organizzazione per affrontare problemi di adattamento esterno o di integrazione interna.
Ci sono due forze in campo: i soggetti che mettono in atto meccanismi di apprendimento e l’organizzazione
che rinforza alcuni tipi di comportamento ritenuti più congruenti.

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Wanous elabora il modello RJB (Realistic Job Preview), sostenendo che nei processi di selezione
e valutazione si tenda ad eliminare soggetti incoerenti con la cultura organizzativa attraverso la
comunciazione della realtà che dovrebbe vederli più consapevoli della situazioni che devono
affrontare.
Schein propone così sei tattiche di socializzazione che il management può utilizzare per influenzare
l’esperienza di socializzazione organizzativa e l’orientamento al ruolo dei nuovi entrati.
Ogni tattica ipotizza un continuum bipolari con diversi livelli intermedi di
posizionamento:
-Collettiva vs individuale : implica la creazione di gruppi di neoentrati, che vengono inseriti in un
set di esperienze di apprendimento comuni.
La polarità collettiva imprime sul processo di socializzazione una maggiore condivisione ma anche un
maggiore conformismo, mentre la polarità individuale permette un apprendimento meno standardizzato e
meno omologante.
-Formale vs informale : il primo polo consiste nel separare i nuovi arrivati dai membri più anziani,
mentre al polo opposto non c’è separazione tra i membri giovani e quelli con maggiore esperienza, e
l’apprendimento passa attraverso l’osservazione diretta del contesto lavorativo.
-Sequenziale vs random : da una parte si prevede una sequenza di passaggi chiaramente identificabili,
mentre dall’altra non è prevista nessuna precisazione circa l’iter di inserimento lavorativo.
-Fissa vs variabile : la prima prevede una precisa scansione temporale entro la quale il soggetto deve fare
proprie determinate acquisizioni, dall’altra parte non c’è tale informazione.
-Seriale vs disgiuntiva : presume che il neoassunto sia accompagnato da un membro che funge da
riferimento, mentre all’opposto si prevede un soggetto che sviluppi autonomamente le sue modalità di
acquisizione del ruolo.
-Investitura vs non-investitura : presuppone il riconoscimento esplicito dell’identità del soggetto entrante e
delle sue qualità umane, piuttosto che una disconferma delle sue caratteristiche personali.
Questa classificazione è stata ripresa da Jones il quale ha osservato che le tattiche collettive, formali,
sequenziali, fisse, seriali e a investitura incoraggiano i neoassunti a far propri i ruoli preconfezionati.
Queste tattiche (tattiche istituzionali) generano un set di informazioni che riduce l’incertezza e le ansie
legate al nuovo ruolo ma riflettono un processo di socializzazione formalizzato e strutturato.
Le tattiche della polarità opposta del continuum (individuali, informali, random, variabili, disgiuntive e a
non investiture) tendono a sviluppare presso i neoentrati un approccio personalizzato e innovativo al ruolo
(vengono infatti definite tattiche individuali).
Jones Individua così tre fattori che rappresentano le sei tattiche:
-sociali (influenzano l’apprendimento)
-di contenuto (concernono le informazioni)
-di contesto (riguarda il modo in cui si trasmettono le informazioni)
Una forma nota di ingresso al lavoro è quello del tirocinio o stage. Si costruisce lentamente la
nuova identità dell’Io: l’io lavoratore, che si prende maggiori responsabilità e sperimenta ciò che ha
studiato.
Ci sono almeno tre forme di sostegno alla transizione lavorativa:
- Coaching : si riferisce alla relazione che si instaura tra un lavoratore esperto e un neoassunto.
Favorisce il processo creativo della persona che gli sta di fronte.
- Mentoring: si riferisce alla relazione con una figura di riferimento dell’organizzazione che in
qualche modo rappresenta un interprete significativo della cultura e dei valori
dell’organizzazione.
- Il tutoring: si riferisce alla relazione tra neoassunto e un lavoratore professionista. Le funzioni del
tutor sono di presidio, di integrazione e di sostegno.

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Le conseguenze di una buona socializzazione sono il benessere psicologico, la capacità di prestazione,
livello di impegno e continuità nell’apprendimento,tipo di identità personale e sociale, etc.
In un contesto lavorativo così mutevole e instabile continua, comunque, ad essere fondamentale la fase
di ingress in organizzazione; per tale ragione si insiste sulla volontà di voler curare gli aspetti
concernenti la dinamica della socializzazione.
CAPITOLO 5 : LA FORMAZIONE IN ORGANIZZAZIONE.
Cos’è la formazione.
La formazione può essere considerata come la procedura formale che un’azienda utilizza per facilitare
l’apprendimento, così che il comportamento risultante contribuisca alla realizzazione delle mete e degli
obiettivi per l’azienda stessa; o ancora un processo di acquisizione di abilità o atteggiamenti volti a
migliorare la prestazione; ed infine un contributo alle risorse umane sempre volto a indirizzare il
miglioramento delle prestazioni dei lavoratori che riusciranno a godere di un maggior livello di benessere.
Quaglino descrive tre approcci alla formazione:
-formazione per le competenze ( o per l’organizzazione), in una prospettiva di gestione delle
RU.
-formazione per il cambiamento (o in organizzazione), che prevede il consolidamento individuo-
organizzazione.
-formazione per lo sviluppo personale ( o oltre l’organizzazione), in una prospettiva di crescita e
autonomia del soggetto.
Tra le varie definizioni c’è però un elemento comune e imprescindibile:
l’apprendimento, inteso come obiettivo finale della formazione.
L’apprendimento in età adulta.
L’apprendimento è designato come il processo di acqusizione di comportamenti, conoscenze e abilità che
consentono agli individui un miglior adattamento personale, professionale e sociale.
Knowles ha proposto un approccio di tipo andragogico, secondo cui gli adulti:
-Sono disponibili ad apprendere se ciò consente loro di far fronte realmente alle sfide della vita.
-Sono diversi gli uni dagli altri, quindi le strategie d’insegnamento vanno differenziate.
-Si ritengono responsabili delle proprie decisioni, quindi vanno trattate come autonome.
-Hanno un’esperienza .
Kolb ha poi sviluppato ulteriormente il tema dell’apprendimento dall’esperienza, mediante un
ciclo suddiviso in quattro stadi: l’esperienza concreta, l’osservazione riflessiva, la
concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva.
Negli ultimo anni si è fatto uso anche di nuovi termini: lifelong learning, inteso come
apprendimento che interessa il corso della vita; reflective learning, che implica l’apprendimento
dall’apprendimento, il transformative learning che chiama in casua gli aspetti taciti
dell’apprendimento volti a integrarli in un percorso di cambiamento.
Le competenze.
Spencer ha definito le competenze come una caratteristica individuale che è collegata a una performance
efficace in una mansione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito.
Ci sono cinque componenti a giocare un ruolo: motivazioni, tratti, immagine di sé, conoscenza di
discipline o argomenti specifici, skills.
Quaglino ha tracciato una differenziazione tra le conoscenze (intese come sapere specialistico),
capacità (abilità connesse allo svolgimento di attività) e qualità (doti personali).
L’ISFOL ha successivamente diviso le competenze in : diagnosticare, relazionarsi e affrontare.
Gli attori della formazione.
Ci sono cinque figure che contribuiscono ai processi di formazione in organizzazione: il formatore, il
consulente, il tutor, il testimone e il discente.
Il formatore: gestore e docente.
Ci sono due tipi di formatori: il formatore gestore e il formatore docente.
Il formatore-gestore opera nell’ “Ufficio formazione”, indicando con questo termine il luogo dove si
governano le politiche di formazione in organizzazione e se ne controlla l’esecuzione.
Il formatore-decente è invece competente nel contenuto formativo proposto ai discenti: è colui che
conduce l’intervento e lavora con i partecipanti.

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Il consulente, il tutor e il testimone.
Il formatore-gestore potrà avvalersi di consulenti per far fronte a situazioni relative all’analisi dei
bisogni e alla valutazione dei risultati.
Il formatore-docente potrà avvalersi di un tutor che può intervenire in aula o fuori dall’aula.
In aula, Il docente potrà essere affiancato da un testimone il quale esporrà una sua esperienza significativa.
il discente.
Le caratteristiche dei discenti rappresentano dei fattori antecedenti in grado di influenzarne gli
esiti.
Cannon e Bowers hanno individuato così tre caratteristiche del discente che esercitano la loro influenza:
-Le aspettative: correlate alla motivazione ad apprendere.
-L’abilità mentale generale: correlata con l’efficacia dell’apprendimento.
-L’aspettativa di successo:correlate alla successiva prestazione.
Da ricerche svolte è emerso come la principale caratteristica che influenza particolarmente il trasferimento
delle competenze sia la Motivazione ad apprendere.
Il processo di formazione.
Realizzare un intervento di formazione all’interno di un organizzazione significa compiere
quattro passaggi: analisi dei bisogni di aprendimento, progettazione, erogazione intervento e
valutazione dei risultati.
L’analisi dei bisogni e la valutazione dei risultati hanno a che fare con la raccolta di informazioni per
orientare l’azione formativa e controllarne i risultati, mentre la progettazione e l’erogazione hanno a che
fare con la vera e propria realizzazione degli interventi formativi.
Non sono rigidamente ordinati questi passaggi e vanno colti nella loro interdipendenza.
L’analisi dei bisogni.
L’analisi dei bisogni è finalizzata all’individuazione delle esigenze di apprendimento degli attori
organizzativi e viene gestita dal responsabile dell’Ufficio formazione.
Tali esigenze di apprendimento possono essere riferite sia al presente che al futuro. Questa fase si
realizza interrogando differenti fonti di informazione che possono essere interne (documenti, attori
organizzativi, partecipanti) o esterne all’organizzazione (letteratura, offerta del mercato).
L’analisi può essere condotta con differenti strumenti di ricerca: alcuni di tipo quantitativo,
altri qualitative, a seconda delle esigenze dell’analisi svolta.
Il processo di formazione: la progettazione.
Le informazioni provenienti dall’analisi dei bisogni guidano la progettazione degli interventi.
In un primo momento si tratta di definire il piano di formazione, poi viene predisposta una scheda che
individua con precisione i caratteri che lo qualificano (obiettivo, destinatari, metodo, durata, sede, etc).
in questa fase il formatore decider se realizzare un intervento dentro l’organizzazione o presso un ente
esterno.
La realizzazione.
Per il formatore-docente realizzare la formazione significa condurre attività
programmate in base ai metodi previsti. In questa fase il formatore-gestore lavora su tre direzioni: le
relazioni con i discenti, quelle con il formatore-docente con cui collaborerà e la cura della logistica e la
predisposizione delle risorse utili ad avviare le attività.
La valutazione dei risultati.
La valutazione dei risultati è da intendersi come un monitoraggio che offre l’opportunità di riprogettare il
processo mentre è ancora in corso e contiene significative occasioni di ulteriore apprendimento; essa infatti
favorisce un grado maggiore di consapevolezza relative alle proprie capacità e alla loro potenziale
applicazione ed è anche un occasione di analisi dei processi che favoriscono l’apprendimento.
I risultati di un intervento formativo che possono essere valutati sono: reazione dei discenti,
apprendimento favorite nei partecipanti, comportamenti, cambiamento dell’organizzazione.
In quest’ultimo livello rientrano sia la valutazione del ritorno dell’investimento (rapporto tra benefici e costi
della formazione), sia la valutazione dell’impatto simbolico (effetti sulla motivazione, sull’immagine
dell’azienda).
Anche nel caso della valutazione , l’uso di strumenti quantitative o qualitative dipende dal contesto e dagli
scope perseguiti; è importante, affinchè la valutazione sia efficace, che essa venga svolta sin dall’avvio
dell’intervento e che non sia collocate fuori dall’azione formativa.

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I metodi di formazione
Il metodo definisce l’insieme di attività che mettono in relazione il formatore, i partecipanti e le
competenze da apprendere: attraverso l’applicazione del metodo si produce l’apprendimento che
la formazione intende promuovere.
La scelta del metodo tiene conto di differenti aspetti come il tipo di obiettivo che si intende raggiungere
e delle risorse e dei vincoli appartenenti al metodo stesso.
Un metodo è per esempio la lezione, il quale richiede che docente e partecipanti si incontrino in
un’aula attrezzata in modo che il primo possa esporre dei contenuti ai secondi.
Un maggiore coinvolgimento si può ottenere mediante l’utilizzo di un caso (o autocaso). Altra possibilità
può essere quella delle esercitazioni (game, simulazioni, role playing).
I metodi outdoor chiedono ai soggetti di impegnarsi in azioni concrete che avvengono fuori dall’aula e
hanno un valore metaforico.
Nel metodo dell’action learning le persone imparano lavorando, apprendendo le une dalle altre oltre che
dal formatore.
La formazione individuale.
Ci sono tre approcci che rinviano a una formazione di tipo individuale, realizzata con la relazione uno a
uno tra formatore e discente: il counseling, il coaching e il mentoring.
Il counseling.
Ciò significa aiutare le persone ad aiutarsi attraverso la riflessione su ciò che il soggetto pensa e fa. Implica
tre passaggi:
-La prima fase è finalizzata al riconoscimento e alla definizione del problema attraverso l’intervento
del formatore.
-La seconda fase è volta alla ridefinizione del problema mediante una focalizzazione.
-La terza fase ha come obiettivo principale la gestione del problema.
Occupa un arco di tempo che va da sei mesi a un anno.
Il coaching.
Il coaching definisce un’azione formativa che un responsabile realizza nei confronti di un collaboratore.
E’ finalizzato all’apprendimento di competenze di tipo specialistico, gestionale e relazionale
funzionali al miglioramento delle proprie prestazioni lavorative.
Whitmore segue quattro passaggi per descrivere il coaching:
-il goal setting: il formatore aiuta il discente a stabilire delle mete di apprendimento e cambiamento.
-il reality checking :il discente esplora la situazione corrente per concentrarsi su mete raggiungibili.
-options : possibilità e strategie alternative per arrivare alla meta desiderata.
-what : cosa deve essere fatto, when e whom per mettere in atto il programma ipotizzato.
È opportune rilasciare feedback continui che diano informazioni utili per autoregolare i comportamenti
messi in atto.
Il mentoring.
Mentre il coaching è un processo breve focalizzato sulla prestazione, il mentoring corrisponde ad un
approccio centrato sullo sviluppo a 360° della persona ed ha come figura di formatore un collega più
anziano ed esperto.
Kram ha analizzato la figura del mentore distinguendo tra:
-funzioni di carriera: aspetti che aiutano a superare gli ostacoli e avanzare in organizzazione.
-funzioni psicosociali: alimentano il senso di competenza, efficacia in un ruolo e identità.
L’evoluzione della formazione.
Sono tre le linee di evoluzione che fanno riferimento ad ambiti differenziati nel pensiero sulla formazione:
-Web-training: ha come criterio la temporalità, che consente di distinguere tra modalità sincrone e
asincrone, a seconda che lo svolgimento delle attività da parte dei partecipanti avvenga o meno allo
stesso momento; e il potere di interlocuzione, che consente di distinguere tra formazione simmetrica e
asimmetrica, a seconda del fatto che la comunicazione possa fluire verso tutti o solo dal docente verso i
partecipanti.
-La learning organization: ci si riferisce alle organizzazioni che dimostrano di attivare al proprio interno
processi di organizational learning in grado di costruire efficaci alternative per affrontare il futuro.

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Tra gli elementi di influenza abbiamo il clima di apprendimento, il luogo di lavoro adatto al pensiero,
sostenimento delle persone e premiazione nell’affrontare I rischi.
-L’autoformazione: per definire questo tema, distinguiamo tra approccio istruttivo ( autoformazione come
una modalità per risolvere da sé dei compiti cognitivi) e approccio educativo (coinvolgimento in compiti
evolutivi per far fronte alle sfide della vita).
Knowles parlò di self directed learning in riferimento al processo in cui I partecipanti avviano un
apprendimento autodiretto che non prevede aiuti esterni nella progettazione di obiettivi, reperimento
materiali e così via. Il tutto è finalizzato alla promozione dello sviluppo della capacità di autodirigersi,
emanciparsi, riflettere criticamente: in sintesi, ricercare un cambiamento.
La disponibilità ad essere self directed learning dipende da quattro fattori: percezione dell’apprendimento
come strumento di vita, self confidence delle proprie abilità e competenze di apprendimento, senso di
responsabilità e curiosità.

CAPITOLO 6 : LA VALUTAZIONE DEL PERSONALE.


Le organizzazioni oltre a valutare i dipendenti, cercano di migliorarne le prestazioni, svilupparne il
potenziale. La valutazione del personale viene utilizzata nell’organizzazione con differenti obiettivi e
due macroaree principali:
- Gestione delle risorse umane (stipendi, premi, incentivi).
- Sviluppo delle risorse umane (formazione e crescita professionale).
Tuttavia, questo processo a volte comporta rischi, tra cui la possibile percezione di una maggiore pressione
tra valutato e valutatore.
Nel processo di valutazione ci sono 9 passi fondamentali:
- Definire gli obiettivi e gli oggetti di valutazione.
- Identificare i limiti e le influenze legate al contesto e alla cultura.
- Determinare chi svolgerà la valutazione.
- Selezionare i metodi adatti.
- Formare i valutatori.
- Osservare, documentare e raccogliere informazioni.
- Formulare la valutazione sulla base dei dati raccolti.
- Comunicare i risultati al valutato.
- Utilizzare la valutazione per le decisioni sul futuro professionale del valutato.
Gli oggetti di valutazione.
Esistono tre tipi di valutazione: valutazione delle prestazioni, valutazione del potenziale e valutazione delle
competenze.
La valutazione delle prestazioni stabilisce quanto la persona abbia contribuito al raggiungimento dei
risultati aziendali e prevede il confronto tra gli obiettivi prefissati e i risultati finali.
Prevede 4 fasi: colloquio per fissure gli scope, verifiche periodiche, valutazione dei risultati conseguiti e
comunciazione della valutazione.
La valutazione del potenziale implica l’analisi delle competenze presenti ma non ancora manifestate
poichè non richieste dal ruolo che il lavoratore deve adempiere all’interno dell’organizzazione.
La valutazione delle competenze si rivolge all’esame del patrimonio di conoscenze, qualità e capacità
possedute.
Possono essere oggetto di osservazione e valutazione I tratti, I comportamenti ed I risultati.
La valutazione dei tratti si concentra su ciò che la persona è: l’attenzione è rivolta alle caratteristiche
personali (questo tipo di valutazione viene ritenuta in difetto, a causa dei normali pregiudizi che si possono
avere nei confronti di un individuo).
E’ importante dire che ogni aspetto oltre che in riferimento alla dimensione individuale, è valutabile anche in
riferimento a quella di gruppo.
Con il crescere del livello di autonomia, l’attenzione valutativa si sposta dagli aspetti
comportamentali , che sono facilmente misurabili essendo oggettivi, a quelli legati ai risultati
ottenuti; secondo questo metodo il responsabile definisce gli obiettivi da raggiungere nel periodo

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stabilito e che sono condivisi dal valutato e dal valutatore.
Al valutato è concessa poi ampia libertà sulle modalità da adottare per ottenere determinati obiettivi.
Al termine del periodo si realizza la verifica e la misurazione dei risultati raggiunti, sulla base dei quali
verranno assegnati i premi stabiliti.
I metodi e gli strumenti della valutazione.
I metodi.
Il livello di formalizzazione che caratterizza la valutazione distingue tra metodi formali e informali.
Nella vita organizzativa è frequente compiete osservazioni sui comportamenti delle persone sul
lavoro, questa è appunto la valutazione informale ed è una cosa da considerarsi inevitabile.
Può essere vantaggiosa perché immediata e ravvicinata al comportamento, ma tra i limiti c’è il rischio
di commettere errori.
La valutazione formale è caratterizzata dall’applicazione periodica di metodologie e strumenti stabiliti
per la rilevazione delle dimensioni prefissate.
Una seconda classificazione distingue tra misure di valutazione oggettive e misure di valutazione soggettive.
Le misure oggettive riguardano la valutazione dei risultati (identificabili e conteggiabili), il suo limite
consiste nella presenza di lavori nei quail l’output non è oggettivamente espresso; invece le misure
soggettive hanno come oggetto di valutazione i comportamenti o i tratti degli individui, possono dunque
essere soggette alla debolezza della soggettività del giudizio umano .
Un ulterior distinzione riguarda I metodi tradizionali e quelli distributivi: in questo caso si considerano le
fluttuazioni caratterizzanti gli oggetti di valutazione.
Un’ultima distinzione è tra metodi qualitativi e quantitative: I metodi qualitativi sono concentrati sulla
qualità dell’aspetto valutato, mentre i metodi quantitativi sulla quantità.
A questa distinzione si aggiunge quell ache concerne I metodi relativi, in cui I soggetti sono valutati in
confronto con gli altri, e quelli assoluti, in cui I soggetti sono valutati isolatamente.
Gli strumenti.
Sono presenti molti strumenti valutativi:
-Conteggio: utilizzato quando la valutazione ha per oggetto gli esiti del comportamento
lavorativo (quantità di lavoro, qualità del risultato, etc.)
-Ranking (graduatoria) : permette di classificare le persone in base a una valutazione globale.
Viene usata generalmente con pochi soggettii; nonostante ciò per superare tale difficoltà, è disponibile la
tecnica del “confronto a coppie” dei valutati, in cui ciascun soggetto viene singolarmente paragonato a
tutti gli altri valutati.
Una seconda variante è l’ “alternate ranking”, dove si scelgono i soggetti con migliore e peggiore
punteggio rispetto alla dimensione valutata; successivamente si individuano il secondo e il penultimo, e così
via.
Un’ultima tecnica di ranking è la “distribuzione forzata”, che assegna percentuali di casi prestabilite a ogni
categoria di valutazione, pertanto non si può attribuire il medesimo giudizio a più di un certo numero di
valutati.
- Tecniche grafiche di rating : Prevede l’utilizzo di una lista generale di caratteristiche,
rispetto alla quale si valuta la persona su una data scala, collocando graficamente il giudizio tra i
due estremi. Questa tecnica è stata tacciata di essere soggetta ad errori come l’effetto alone o
l’eccessiva indulgenza; per ovviare questo limite si usa la scala di valutazione ancorata ai
comportamenti che vede il valutatore indicare, lungo un continuum, quail tra I comportamenti
presentati sono tipici della persona valutata.
Un’altra scala adoperata è quella di osservazione del comportamento, in cui vengono riportati
specifici esempi di comportamento per ogni dimensione valutata e rispetto ai quail il valutatore
indica la misura che riflette il comportamento agito dal valutato.
- Lista di controllo (checklist) : elenco di frasi espresse in forma descrittiva o interrogativa,
riferite a precisi comportamenti o risultati di cui sono rappresentative. Una variante di tale strumento è la
lista di controllo a risposta libera , in cui il valutatore è libero di esprimersi senza dover scegliere tra
risposte codificate.
- Descrizioni narrative : prevedono, da parte del valutatore, la libera descrizioni delle osservazioni e
della valutazioni effettuate. Risultano difficili I confronti tra diverse persone.
- Eventi critici : corrisponde all’individuazione di precisi esempi di comportamenti adeguati o meno

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che condizionano l’esito della mansione.
- Assestment center : serie di prove comportamentali standardizzate, basate su diversi stimoli, dove
il comportamento attuato viene considerato come un indicatore del comportamento nel contesto reale di
lavoro.
A queste tecniche si aggiungono quelle tradizionali:
-Intervista di valutazione: richiede una buona preparazione da parte dell’intervistatore.
-Osservazione diretta: utile quando si valutano lavori semplici e/o ripetitivi.
-Questionari
-Test: utili perchè standardizzati e utilizzabili con un ampio campione.
Le fonti della valutazione.
Un’importante dimensione è quella di CHI si occupa di questa attività della valutazione, dunque dei soggetti
che la svolgono. Le fonti possono essere:
-I superiori : che hanno un punto di vista privilegiato nell’osservazione ed elaborazione dei dati.
-I subordinate.
-I colleghi: sono usate nelle organizzazioni che privilegiano I lavori di gruppo. Sono funzionali ad
incrementare la motivazione, l’efficacia e l’apertura al cambiamento ma possono creare delle ostilità tra I
membri nel caso di una valutazione negativa.
-Autovalutazione: è utile ma presenta più bias rispetto alle valutazioni esterne.
- Clienti / utenti: consente la ricezione di una notevole quantità di informazioni.
Un approccio sempre più utilizzato all’interno delle organizzazioni consiste nella combinazione di
differenti valutatori ( si parla di multi-source o multi-rater). Può essere una strategia utile per
ottenere una valutazione a 360 gradi ma bisogna fare attenzione nel caso in cui la scelta dei
valutatori, da parte del valutato, non sia pilotata al fine di ottenere valutazioni migliori.
Un tema importante è quello dell’anonimato, questo perchè potrebbe incoraggiare alla
formulazione di un giudizio meno accurate; al contrario, quando la valutazione non è anonima, si
incrementa la possibilità di formulare un giudizio maggiormente accurate.
La comunicazione della valutazione.
La valutazione si conclude con l’espressione di un giudizio e con lo svolgimento di un colloquio finale,
che ha lo scopo non solo di condividere gli esiti della valutazione ma anche di impostare azioni
propositive per il futuro.
Il colloquio finale ha come obiettivo quello di ripercorrere il processo e gli esiti della valutazione in modo
da considerare diversi aspetti del futuro lavorativo del valutato.
Importantissimi è lo stile di comunicazione adottato, che deve essere centrato sul comportamento e non
sulla persona.
Inevitabilmente la valutazione potrà comprendere anche feedback negativi, ed è consigliato elencarli solo
dopo quelli positivi approfondendo anche il punto di vista del valutato.
Valutare la valutazione.
Diversi studi hanno preso in esame gli elementi che possono influenzare la valutazione e che
si dividono in distorsioni percettive ed elementi del contesto sociale. Gli errori universali
comprendono:
-Indulgenza e severità: nel primo caso, per la manifestazione di generosità, nel secondo caso per
manifestazione di una certa durezza.
-Effetto alone: un giudizio globalmente negativo o positivo in base a un singolo aspetto.
-Tendenza centrale: uso prevalente dei valori medi della scala di valutazione tralasciando quelli
estremi.
-Abitudine ed errori di memoria: implicano la tendenza a non modificare i propri giudizi.
-Standardizzazione: assegnare il medesimo punteggio ad ogni dimensione valutata.
-Pregiudizi e stereotipi.
-Somiglianza e contrasto: tendenza a valutare meglio le caratteristiche più vicine a quelle della persona
assunta come modello di riferimento.
-Effetto dell’ordine temporale di raccolta delle informazioni: tendenza ad attribuire rilevanza differente alle
informazioni raccolte nella fase iniziale o finale della valutazione.
-Proiezione: attribuzione verso altri delle proprie caratteristiche.
-Coazione a giudicare: difficoltà a separare la raccolta dei dati dalla valutazione, formulando giudizi precoci

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Altri elementi ritenuti importanti negli ultimi anni sono i fattori del contesto sociale, il clima e la cultura
organizzativi, gli sviluppi tecnologici e gli obiettivi della valutazione.
All’influenza sulla valutazione, si aggiungono elementi legati alle caratteristiche del valutatore.
Per “comfort and confidence” si intende infatti la capacità dei valutatori di gestire l’apprensione che
può accompagnare la valutazione per le conseguenze che essa comporta; anche l’autostima e
l’autoefficacia del valutatore possono influenzare l’attività.
I possibili rimedi all’influenza sono, per esempio, garantire la possibilità di condurre un’osservazione
regolare adottando un approccio multi-rater ; attenta preparazione degli strumenti operativi; prevedere una
formazione specifica per il valutatore in modo da diminuire gli errori attraverso percorsi di training
finalizzati ad esempio ad esporre I criteri da usare per valutare, esplicitare gli errori che possono
interferire, sensibilizzare al ruolo degli obiettivi da raggiungere.
La correttezza delle valutazioni è legata anche al rispetto di determinate criteri di natura pscometrica, di
utilizzo, rispetto degli aspetti psicologici e sociali coinvolti.
È importante che la conclusione della valutazione susciti nel valutato un senso di soddisfazione e la
percezione di equità; a ciò si aggiunge un adeguato livello di condivisione tra valutatore e valutato.
È utile anche garantire l’integrazione della valutazione con gli altri aspetti e processi intrapresi durante le
attività rivolte al personale.
L’ultima dimensione che va evidenziata concerne l’influenza della cultura organizzativa sul processo di
valutazione. Ad oggi si sta cercando di indirizzare la motivazione verso gli aspetti che riguardano la
motivazione e il raggiungimento degli obiettivi, l’impiego di tecnologie ad hoc e l’integrazione di questo
momento alle restanti fasi che caratterizzano la gestione delle RU.

7) CONTRATTO PSICOLOGICO E COINVOLGIMENTO.


Contenuti immateriali e nuovi codici del lavoro.
L’attuale configurazione del lavoro è improntata maggiormente alle necessità del settore terziario.
E’ in atto un generale cambiamento dei contenuti e del significato del lavoro , la formazione e la
comunicazione hanno ruolo central e ciò che lega le persone al loro lavoro e all’organizzazione è di natura
essenzialmente immateriale.
Non è la disponibilità di spazi o apparecchiature a fare la differenza, ma le disposizioni etiche e di
volontà delle persone. In tale contesto, quindi, il coinvolgimento e la negoziazione di obiettivi sono fattori
critici .
Origini, evoluzione e definizione del contratto psicologico.
Il contratto psicologico costituisce una dimensione rilevante, dato che il contratto giuridico formale
non è da solo sufficient dal momento che esso regola esclusivamente le condizioni generali che
riguardano il rapport di lavoro (es. Stipendio, orario, sanzioni ecc).
Alcuni studiosi l’hanno definito come quell’insieme di aspettative reciproche e accettate tra organizzazione
e lavoratori; modifiche a questa definizioni furono date una volta stabilito che la percezione individuale
(quindi le credenze) possono andare a modificare il contratto psicologico.
A questa vision vennero aggiunti altri elementi, come il ruolo esercitato dalle aspettative, dai bisogni,
promesse e doveri.
Il contratto psicologico adempie diverse finalità: ridurre l’incertezza, fornire un modello comportamentale,
offrire al lavoratore il senso della propria influenza su ciò che accade centro l’organizzazione.
La teoria sociale sottolinea il ruoo del bilanciamento e del livello degli obblighi e delle richieste.
La formazione del contratto psicologico.
Il contratto nasce da uno schema mentale per cui gli individui percepiscono la presenza di questo accord tra
le parti, e dalle norme attraverso cui interagiscono con la loro organizzazione.
Al processo di contract making partecipano anche fattori come il grado di realismo con cui il soggetto si
rappresenta la vita lavorativa in un certo contesto e il grado di congruenza tra aspettative e desideri, le
capacità della persona e le risorse e opportunità offerte dal contesto.
Lo step successivo avviene nella fase di recruiting e hiring: il patto in oggetto include la decisione di
entrare a far parte di un’organizzazione .
Dopo esser stato assunto e aver conosciuto l’organizzazione, il lavoratore vive la fase della prima
socializzazione sul lavoro, dedicata al reperimento di
informazioni, tramite l’interazione con i rappresentanti dell’organizzazione.

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Le organizzazioni hanno il compito di gestire il nuovo contratto psicologico al fine di mantenere
elevati il commitment e la motivazione.
Tipologie e contenuti del contratto psicologico.
I contratti psicologici si distinguono in relazionali e transazionali, rappresentando gli estremi di un
unico continuum. Ulteriori aspetti che si intrecciano con questi termini sono rappresentati dalla
strutturazione del tempo e dalle richieste di performance.
Nei contratti transazionali si ravvisano elementi tipici come la durata limitata nel tempo e compiti ben
specificati, con basso investimento affettivo. Nel contratto di transizione le richieste di produzione sono
basse e ci sono scarse possibilità di guardare al futuro con ottimismo, il lavoratore si trova quindi in uno
stato negative e conflittuale.
Nei contratti relazionali, gli elementi tipici sono rappresentati dalla durata a tempo indeterminate e
dalla minore definizione dei contenuti del lavoro ; gli accordi si formano sulla reciproca fiducia e lealtà
e le ricompense sono determinate dalla prestazione.
In quelli bilanciati la durata è a tempo indeterminato, ma I contenuti sono meglio specificati e ci
sono accordi basati sull’andamento dell’organizzazione.
Rousseau ha parlato di alter categorizzazioni:
-accordo relazionale: basato sulla lealtà e fiducia. Il lavoratore, come un buon cittadino, svolge
una mansion in maniera corretta e viene stabilmente ricompensato per questa.
-accordo bilanciato: è caratterizzato dallo sviluppo interno di molte capacità, consentendo al
lavoratore di diventare idoneao anche a mansion esterne.
-accordo transazionale: l’impiego è a tempo determinate e si fonda su performance ben definite
che non sono vincolanti per il future.
-accordo di transizione: è caratterizzato dall’incertezza verso il future e dalla diffidenza fra le
parti coinvolte. Questo logorio può avere ripercussioni sulla vita privata.
Rottura e violazione del contratto psicologico: principali antecedenti e conseguenze.
Sono molto importanti i fenomeni che si verificano nel momento in cui il contratto psicologico
viene rotto.
La rottura è un fenomeno di natura cognitiva e consiste nella constatazione del lavoratore che
l’organizzazione ha fallito nel mantenimento di uno o più obblighi nei confronti del contratto
psicologico.
La violazione è invece un’esperienza affettiva di frustrazione, rabbia, vissuta dal lavoratore in conseguenza
del mancato rispetto da parte dell’organizzazione di una o più promesse relative ai contenuti del contratto.
Secondo il modello di Morrison e Robinson la rottura può essere descritta come un processo di più
fasi.
Inizialmente il lavoratore percepisce che l’organizzazione non può mantenere le sue promesse, poi c’è un
momento di ricerca del significato di quanto è accaduto e riflessione su quello che andava fatto per
mantenere gli impegni assunti, giungendo alla realizzazione della rottura del contratto psicologico.
Alla valutazione cognitiva (rottura) può seguire un processo interpretativo sulle cause della rottura, che
porterà alla violazione del contratto (ad eccezione di quando si verifica un’interpretazione emotiva neutra).
I sentimenti negative si accentuano qualora il lavoratore attribuisca l’errore all’organizzazione o qualora vi
siano state percezioni di inequità .
La probabilità di esperire una situazione di violazione dipende da tre fattori: monitoraggio (osservazione e
reperimento di informazioni), la dimensione della perdita percepita e la forza del legame tra organizzazione
e dipendente.
Di fronte ad una violazione data dal dipendente, l’organizzazione può rispondere con il silenzio, con un
richiamo o con il licenziamento o addirittura con il mobbing strategico.
La misurazione del contratto psicologico.
Rousseau evidenzia tre tipologie di misurazione. La misurazione content-oriented (orientata ai
contenuti) individua aspetti specifici, come la sicurezza lavorativa e propone classificazioni come la
distinzione tra contratti transazionali e relazionali, distinguibili sulla base del focus, della durata, della
stabilità , dello scopo e della tangibilità.
La misurazione feature-oriented (orientata alle caratteristiche) fa riferimento a configurazioni del
contratto, come l’essere esplicito o implicito, stabile o instabile nel tempo.

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Infine la misurazione evaluation-oriented (orientata alla valutazione) mette in luce l’esperienza soggettiva
dei lavoratori rapportata al comportamento dell’organizzazione; esplora le reazioni provocate dal fatto che
l’azienda abbia mantenuto le promesse, le abbia violate, o le abbia cambiate.
Conway e Briner identificano sei tipi di misurazioni del contratto psicologico:
-I questionari self-report: coinvolge campioni ampi ed è diretto a rilevare dimensioni del costrutto
come il contenuto, la rottura e la conseguenza.
Prevedono la formulazione di item in termini di promesse e obblighi considerati dalla prospettiva del
lavoratore: è semplice somministrare questo tipo di strumento ma può risultare carente nel caso in cui
non valuti dimensioni considerate important.
Per misurare la rottura del contratto vengono utilizzate tre tipologie diverse di scale: la prima che
propone una lista di item in termini di promesse e chiede ai rispondenti di specificare se esse siano state
mantenute; la seconda prevede domande a carattere generale e infine, la terza, consiste in un singolo
item a carattere generale.
Solitamente si us ail primo tipo di scala e le domande sono formulate in maniera diretta.
Un limite è che spesso non è specificato quando si sia verificata l’eventuale rottura e la generale
esasperazione nel presentare la discrepanza tra ciò che I dipendneti si aspettavano e ciò che hanno
ottenuto dall’organizzazione
Questi strumenti possono anche essere carenti nella definizione specifica di chi o cosa sia
l’organizzazione, nella specificazione degli item e nella pretesa che l’organizzazione adempia le sue
promesse anche quando il lavoratore non lo fa.
-I metodi basati sul ricorso a scenari : propongono ai partecipanti la lettura di testi che descrivono
situazioni lavorative relative a uno stesso contesto organizzativo., in cui sono coinvolti lavoratori fittizi.
Il limite è che lo scenario potrebbe apparire eccessivamente irrealistico rispetto a quello quotidianamente
frequentato, inoltre può essere una tecnica assai onerosa.
-La tecnica degli “identici critici” : consiste nella conduzione di un’intervista dove si chiede al lavoratore
di selezionare e descrivere situazioni lavorative in cui è stato coinvolto.
-Diari: offrono l’opportunità di ottenere descrizione di eventi nel momento in cui si manifestano (essendo
giornalieri).
-Interviste in profondità: riescono a cogliere la soggettività del costrutto, ma possono risultare inutili se
non vengono combinate con altri metodi.
-Studio di casi: ricorso allo studio di singoli casi.
Il contratto psicologico nel lavoro atipico.
Per atipico intendiamo il part-time, collaborazioni a progetto, apprendistato ed alter classi lavorative non
tipizzate dal Codice civile entro specifiche categorie.
Il contratto psicologico dei lavoratori atipici sembra caratterizzato maggiormente dagli aspetti
transazionali rispetto a quelli relazionali.
Questi lavoratori Colgono con minore frequenza degli altri eventuali rotture nel contratto psicologico.
Le violazioni percepite prevedono ripercussioni in termini di commitment e soddisfazione lavorativa ed uno
spostamento verso il polo transazionale.
Un ruolo cruciale è svoto dalla motivazione che spinge le persone a svolgere un lavoro atipico: chi lo sceglie
volontariamente ne coglie a vlorizza l’aspetto transazionale al contrario di chi se ne serve seguendo
comunque una prospettiva di future evoluzione: in questo caso prevale l’ottica relazionale.
In un contesto così soggetto a cambiamenti, anche la valenza del contratto psicologico è mutata e si è
adattata alla situazione.
Si avverte quasi il bisogno di creare tanti patti quante sono le tipologie di lavoro, nelle quail I lavoratori
apportano competenze specifiche di tipo pratico ma anche un bagaglio di vissuti esperenziali ed emotivi.

CAPITOLO 8 : LA RETRIBUZIONE
Per i lavoratori essa costituisce uno degli aspetti più motivanti verso il lavoro.
La retribuzione presenta aspetti sia intrinseci che estrinseci per il lavoratore: la paga consente di
provvedere alla cura e al mantenimento di sé e della propria famiglia, soddisfacendo così bisogni
estrinseci; al contempo la retribuzione soddisfa i bisogni intrinseci come, per esempio, la riuscita
professionale.
Lo psicologo più influente in questo campo è stato Lawler, il quale sosteneva che la retribuzione va
considerata come un potente mezzo per favorire lo sviluppo organizzativo; per questo i modi in cui si

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da la paga sono importanti come la paga stessa. La retribuzione è da considerarsi come elemento della
strategia aziendale, ed anche il modo in cui viene erogata deve basarsi sulle persone e sulle loro
competenze.
Il contesto italiano.
In Italia la retribuzione è considerata come il compenso che spetta alla persona per l’attività lavorativa
svolta sulla base di un contratto di lavoro.
La costituzione italiana stabilisce, inoltre, che la retribuzione debba soddisfare il principio di equità e
sufficienza. Altri caratteri sono l’obbligatorietà, la determinabilità e la periodicità.
Nel nostro paese sono previsti tre criteri di retribuzione: l’obbligatorietà e discrzionalità del datore di lavoro,
il soggetto erogante e la modalità di erogazione. Riguardo al primo criterio, la retribuzione si classifica in
contrattuale (prevista dalla legge) e discrezionale (che l’organizzazione eroga unilateralmente, sulla base
della propria politica).
Nella retribuzione contrattuale troviamo lo stipendio di base, le mensilità aggiuntive, i premi, etc.;
in quella discrezionale si trovano voci come bonus, benefit, etc.
Bisogna distinguere tra lo stipendio,che indica il corrispettivo di una mansione intellettuale, ed il salario,
che si riferisce ad una mansione manuale.
Il soggetto erogante può distinguersi tra retribuzione aziendale (pagata dall’organizzazione) e retribuzione
sociale (pagata dallo Stato).
In merito alle modalità di erogazione, la retribuzione è composta da quattro elementi: la retribuzione
diretta (compensi connessi ai risultati dell’attività lavorativa), retribuzione indiretta (compensi erogati dal
datore per conto di istituti previdenziali e assistenziale), retribuzione differita (tredicesima) e i fringe
benefits (rimborsi spese).
Ogni azienda definisce la propria politica retributiva in base a tre parametri: livello, struttura e dinamica.
Il livello, determinate dalla contrattazione collettiva, mercato di riferimento, mercato del lavoro e capacità
retributive, va ad impattare sulle percezioni di equità esterna dei lavoratori, che confrontano la loro paga con
quella elargita da alter aziende; nonostante ciò, i lavoratori valutano la retribuzione ottenuta anche attraverso
confronti interni all’organizzazione.
La struttura retributiva si definisce sulla base dell’associazione tra le diverse classi retributive e le diverse
classi di posizioni di lavoro. Essa determina la mobilità retributive orizzontale e verticale e può avere un
impatto sulle dinamiche interne tra I membri.
Infine la dinamica definisce le variazioni salariali nel tempo; viene usata anche per incentivare il
miglioramento delle prestazioni (ad esempio attraverso l’elargizione dei benefit).
Sistemi retributivi.
La paga è solitamente erogata in base al lavoro svolto; alla base di questo c’è la valutazione delle posizioni.
Occorre dire che alcune procedure di valutazione delle posizioni prevedono fasi come la job analysis, la job
description e la job specification.
La job description e la job evaluation sono i modi principali con cui stabilire livello ed entità di
retribuzione; questi sistemi permettono di misurare le differenze tra i lavori e ordinarli in una classifica.
Le organizzazione seguono delle regole interne sulla retribuzione, tuttavia , second alcuni autori, il metodo
più appropriato è quello che fa sentire al lavoratore un senso di equità e valorizzazione e deve essere
competitive con il mercato esterno.
Parliamo di sistemi retributivi perché ci sono molti modi per erogare la paga; ci sono due livelli di
contrattazione della retribuzione, la negoziazione centrale e quella decentralizzata.
In generale dunque, la retribuzione è l’esito della combinazione di più sistemi retributivi.
Retribuzioni basate sull’appartenenza all’organizzazione e sull’anzianità.
Esistono mansioni classificate come di livello A,B,C,D,etc. Nelle organizzazioni italiane si può accedere ad
uno specifico livello se si è in possesso di un relativo titolo di studio; ogni livello presenta al suo interno
diverse fasce (C1,C2) e il passaggio da una fascia alla successiva può avvenire automaticamente o sulla base
di specifiche procedure di valutazione, comportando un aumento del salario.
Questo sistema è semplice e equo; aumenta l’attrattiva del posto di lavoro, incoraggia la permanenza.
Lo svantaggio è il non motivare il lavoratore a migliorare la sua prestazione.

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Retribuzioni basate su abilità e competenze.
I sistemi basati sulle abilità compensano i lavoratori per l’ampiezza e la profondità delle capacità utili per
l’organizzazione. Questi sistemi sono adeguati per i lavoratori pieni di conoscenza; un vantaggio è quello di
incentivare la forza lavoro e di comprendere meglio le posizioni assunte dagli altri lavoratori, oltre che
incrementare la propria prestazione con successiva soddisfazione, mentre lo svantaggio può essere legato ai
costi della formazione e alle verifiche volte a controllare la reale acqusizione di competenze.
Retribuzioni basate sulle prestazioni.
Questo sistema lega il salario alla produttività individuale, di gruppo, o dell’intera organizzazione.
L’elemento chiave è che i lavoratori vedono il legame tra la loro prestazione e la ricompensa; ciò
comporta un incremento della prestazione dei lavoratori, tuttavia richiede standard oggettivi che
riguardino il sistema valutativo dei risultati raggiunti.
Questo processo dunque enfatizza il ruolo della motivazione estrinseca ma porterà una sensazione
di disagio tra I lavoratori e colui che valuterà la prestazione, oltre che scoraggiare l’assunzione di
rischio e la presa di iniziativa.
Retribuire le prestazioni è un sistema usato in altri paesi e spesso invocato anche nel nostro; esistono in
proposito differenti meccanismi retributivi:
-Ricompense individuali (lavoro a cottimo) : il lavoratore è pagato in base al numero di unità prodotte o
alle commissioni sulle vendite. Il limite riguarda il fatto che il lavoratore, spinto dal desiderio di produrre
di più, svaluti la qualità dell amerce prodotta.
-Ricompense a livello di gruppo, divisione o stabilimento: ricompensare le buone prestazioni in base a
quanto realizzato a livello di squadra. In questo caso la preoccupazione concerne la mancanza di un equale
sforzo da parte di tutti I membri.
Bonus e gainsharing sono i piani retributivi utilizzati per incentivare le prestazioni di gruppo.
Il bonus consiste nell’attribuire una somma aggiuntiva alla retribuzione di base in seguito ad una buona
prestazione.
Nel gainsharing, l’organizzazione divide tra i lavoratori una parte di guadagni aggiuntivi ottenuti
attraverso il miglioramento collettivo della produttività del gruppo.
-Ricompense organizzative: qui possono esaminarsi due strategie:
Il profit sharing, cioè la distribuzione di una determinata percentuale dei profitti ai dipendenti a seguito del
raggiungimento di un certo obiettivo economico aziendale.
I piani di acquisto azionari offrono ai lavoratori la possibilità di acquistare azioni dell’azienda,
diventandone proprietari per una piccola parte. Il più frequente è la “Stock option”.
In questo caso I lavoratori devono sempre essere informati dell’andamento finanziario dell’azienda.
Teorie motivazionali sulla paga.
Ci sono tre teorie motivazionali connesse alla retribuzione:
-La teoria dell’equità : proposta da Adams, sostiene che le persone prendono in considerazione la
relazione tra i loro output (risultati del lavoro) e l’input (contributi che apportano con il lavoro).
La relazione dei propri input e output è poi confrontato con altri input e output delle altre
organizzazioni; il lavoratore stabilisce così se il rapporto è equo o meno.
Una condizione di iniquità provoca tensione, tramite cui il lavoratore modificherà i propri I / O .
-La teoria dell’aspettativa-valenza: proposta da Vroom, afferma che la motivazione di un lavoratore a
sostenere un dato livello di sforzo dipende da quanto egli si ritenga in grado di eseguire un determinato
compito, da quanto la persona ritiene che quella prestazione sarà poi ricompensata e da quanto la
ricompensa è attrattiva per il soggetto stesso.
L’applicazione di questa teoria porta le aziende a valorizzare il ruolo esercitato dalla valenza, dalla
strumentalità e dalle aspettative.
-La goal setting theory suggerisce che obiettivi difficili ma ben precisati conducono ad un’elevata
prestazione.
Gli incentivi in vista degli obiettivi possono essere tre: il collegare il raggiungimento dell’obiettivo a un
premio “tutto o niente”, assegnare un obiettivo difficile e poi ricompensare il lavoratore in base a quanto si
sia avvicinato al risultato oppure lasciare che siano i dipendenti a decidere gli obiettivi e l’organizzazione
determina la retribuzione in base al valore apportato all’azienda.
Herzberg distingue tre caratteristiche del lavoro che influiscono sulla motivazione ad agire, e fattori relativi

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al contesto di lavoro, inclusa la retribuzione,che se sono insoddisfacenti riducono la motivazione del
lavoratore. Thierry invece sostenenva che il valore della paga era correlate al significato attribuitogli.
Infine Cameron sottoolinea come la retribuzione possa essere usata per mantenere o far crescere la
motivazione intrinseca verso il compito.
Soddisfazione verso la retribuzione e verso i benefit.
Per soddisfazione verso la retribuzione si intende l’atteggiamento di piacere o dispiacere nei confronti della
retribuzione e si fa riferimento a due modelli.
Il primo (Heneman e Schwab) distingue la retribuzione rispetto ai benefit e il secondo (Miceli e Lane)
l’outcome, cioè il livello, rispetto alla procedura. Williams sviluppa così un modello di 4 aree:
soddisfazione verso il livello della retribuzione e verso il livello dei benefit; soddisfazione verso la
procedura di gestione/assegnazione della retribuzione e verso la procedura di gestione/assegnazione dei
benefit.
Sulla base di questo modello è stato poi creato un questionario con 38 item.
Le ricerche susseguitesi hanno evidenziato l’incidenza dei benefit, compreso il modo in cui vengono
comunicati, sul livello di soddisfazione e di equità percepita .
La psicologia non ha particolarmente approfondito il tema della retribuzione, eccezion fatta per la sua
azione sulla motivazione, soddisfazione, support organizzativo, percezione di equità e legame tra paga e
prestazione.

CAPITOLO 9 : EMPOWERMENT INDIVIDUALE E ORGANIZZATIVO


L’empowerment è un processo di crescita basato sull’aumento della stima di sé,dell’autoefficacia.
Zimmermann individua tre concetti fondamentali di esso: il controllo, la consapevolezza critica e la
partecipazione. Il controllo si riferisce alla capacità di influenzare le decisioni; la consapevolezza critica
consiste nella comprensione del funzionamento delle strutture di potere e la partecipazione rimanda
all’operare per ottenere risultati desiderati.
Le origini del costrutto.
Si sviluppa tra gli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti, all’interno della lotta per i diritti civili, delle donne e
delle minoranze.
La nascita di questo fenomeno viene studiata anche in ambito pedagogic, con riferimento alla presa di
coscienza, da parte delle classi emarginate, della propria condizione e dell’esigenza di rivalsa.
L’empowerment acquisisce, nel tempo, rilievo sia per quanto riguarda la psicologia di comunità sia in
ambito manageriale
Empowerment e potere.
L’ottica con cui si è privilegiata la trattazione del tema del poter, legato all’empowerment, è quella
relazionale; risulta comunque fuori luogo pensare ad essa come un’insieme di legami contrattistinti da
un’ottica distributiva del potere equilibrata e totalmente simmetrica.
La parola “potere”, richiama la dimensione dell’opportunità e della possibilità; del “poter fare”.
Secondo questa concezione, essere empowered, significa avere la potenzialità e la capacità di agire.
In termini relazionali, significa coniugare l’interdipendenza con la condivisione, la reciprocità.
Il rischio di questa prospettiva risiede nell’esaltazione del lato luminoso del potere, tralasciando al
contempo quello oscuro.
Chiudere gli occhi di fronte al lato oscuro del potere significa ignorare i meccanismi di sottomissione,
esclusione ed emarginazione presenti nelle nostra società.
Il processo di empowerment individuale e psicologico.
A livello psicologico, esso può essere inteso sia come prodotto che come processo.
E’ una variabile continua; non rappresenta mai uno stato dato, assoluto e oggettivo, ma rimane sempre
relativo.
I soggetti disempowered si sentono psicologicamente impotenti e dipendenti, passivi, pessimisti e
rassegnati. Attraversare un processo di empowerment significa riacquistare autoefficacia e un senso di locus
of control interno.
L’empowerment individuale avvia cambiamenti a tre livelli, cioè secondo tre stili interpretativi :
-Il processo di attribuzione che fa riferimento al modo in cui tentiamo di spiegare i nostri insuccessi o
successi attribuendone le cause a fattori interni, esterni, stabili, instabili, specifici.

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-Il processo di valutazione riguarda le nostre credenze rispetto agli standard con i quali valutiamo le nostre
prestazioni.
-Il processo di prefigurazione rappresenta il modo in cui immaginiamo il nostro futuro.
Divenire più consapevoli dei nostri schemi interpretativi della realtà e cercare di trovare una modalità per
ridefinire il nostro grado di controllo su di essa, significa acquisire un buon grado di autoefficacia, intesa
come possibilità di controllo sulla nostra vita senza essere né onnipotenti né impotenti.
Empowerment e organizzazione.
Zimmermann, parlando di empowerment distingue tra organizzazioni empowered e organizzazioni
empowering.
Le organizzazioni empowered sono quelle organizzazioni che prendono con successo decisioni politiche o
che sviluppano reali alternative nell’offerta di servizi (organizzazioni che si impegnano nel contesto politico
e sociale come le organizzazioni no-profit); promuovono quindi l’empowerment nei confronti di terzi.
Le organizzazioni empowering sono invece quelle che forniscono ai propri membri strumenti per
ottenere un controllo sulla propria vita e sviluppare competenze.
In genere si tratta di organizzazioni basate su una struttura democratic I cui processi decisionali prevedono
un’attiva partecipazione.
I contribute per studiare le organizzazioni empowering si dividono in due approcci:
- psico-sociopolitico:implica lo sviluppo di una condizione di empowerment verso un individuo inserito in
uno specific contesto di riferimento.
-socio-organizzativo: in questo caso non c’è una situazione di vero e proprio disempowerment, ma
l’intervento è volto all’integrazione rispetto al funzionamento organizzativo nei suoi molteplici aspetti.
L’integrazione dei due approcci suddetti crea un terzo approccio, quello etnoclinico, che
integra analisi ed intervento vedendo un’attiva partecipazione degli attori organizzativi.
Il futuro dell’empowerment tra psicologia organizzativa e di comunità: l’ipotesi del doppio
empowerment.
La relazione tra essere empowering ed empowered a livello organizzativo chiama in causa sia il livello
psicologico degli individui che costituiscono l’organizzazione, sia il livello comunitario come contesto
nel quale agiscono individui e organizzazioni.
Per poter favorire processi di empowerment di terzi, le persone che lavorano in organizzazioni
empowered necessitano di opportunità empowering tanto individuali quanto organizzative.
E’ in questo ambito organizzativo che si è sviluppata l’ipotesi del “doppio empowerment” da
parte di soggetti reciprocamente coinvolti in un processo di sviluppo individuale, organizzativo e
comunitario.
Questa vision è auspicabile in tutte quelle organizzazioni che prevedono una relazionalità reciproca
e funzionale al raggiungimento del cambiamento.

CAPITOLO 10: IL CAREER COUNSELING


Il carrer counseling rappresenta il consulto applicato alle problematiche sul lavoro. Attualmente in ambito
lavorativo si è verificato un evidente spostamento, dal momento che, da lineare quale era, è diventato
incerto e caratterizzato da richieste di flessibilità. In questo scenario, acquista importanza e significato
l’azione che il career counseling può svolgere all’interno di un territorio professionale dai confini incerti,
spesso minacciosi.
Nel XX° secolo le organizzazioni offrivano ai lavoratori un ambiente che si può definire “di contenimento”,
assegnando loro una determinata posizione organizzativa e offrendo un’ampia narrativa precostituita
riguardo a come si sarebbero svolte le loro vite. Nell’era postmoderna invece, i lavoratori sono chiamati a
costruire essi stessi la loro storia professionale.
Il processo di career counseling è stato approfondito da diversi autori presenti nella letteratura; si sono
sviluppati anche metodi diversi di applicazione (es. Individuale o di gruppo).
Di fatto però i modelli di ricerca studiati sono davvero pochi e le conoscenze a disposizione sono esigue.
Il vantaggio del career counseling è che esso può aiutare un ampio range di popolazione che si trova in una
condizione di difficoltà; oggi I classici modelli sono stati arricchiti dallo sviluppo di nuove ed avanzate
tecnologie che vanno però utilizzate in maniera congrua.
Prospettive teoriche e applicative.

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I career counselor presumono che i clienti dovranno inevitabilmente confrontarsi, nel corso della loro vita,
con transizioni professionali, sia volontarie che involontarie (perdita di lavoro, rientro, career pathing).
Il primo compito del career counselor è organizzare l’informazione che fornisce il cliente; essa deve
essere inserita in un quadro che identifichi i problemi salienti, gli esiti desiderati e il piano di azione per
arrivare ad un accord condiviso tra counselor e cliente circa le mete da perseguire.
Bobek e Robbins sottolineano che sono le teorie sullo sviluppo personale e di carriera ad essere di aiuto :
-Nel far emergere le connessioni critiche tra il punto di vista del counselor e le azioni intraprese per
aiutare i clienti.
-Nel rinforzare il bisogno di consistenza concettuale e teorica nell’azione.
-Nell’integrare le questioni personali e professionali quando ci si occupa dei bisogni degli adulti.
Gli autori, a riguardo, delineano quattro teorie di sviluppo professionale per comprendere lo
sviluppo di carriera:
-La prospettiva di adattamento Persona-Ambiente: tale approccio si concentra essenzialmente
sull’applicazione di abilità e conoscenze al nuovo contesto di lavoro. Un tema importante è quello del
trasferimento delle competenze acquisite in passato in un nuovo ambito lavorativo.
Utilizzando questo approccio, elementi di criticità risiedono nella possibile sensazione di ridotta
autostima dovuta a perdite personali e professionali, unita all’indecisione e all’ansia relativa al futuro
incerto, che devono essere prese in considerazione e risolte per un adeguato svolgimento dell’intervento.
-La teoria dello sviluppo professionale di Super: In questa teoria è fondamentale comprendere gli stadi
della vita e i ruoli degli individui per aiutali a inquadrare bisogni e aspettative.
L’attenzione agli interessi professionali include sia lo sviluppo di chiare mete lavorative sia lo
sviluppo della consapevolezza riguardo alle competenze necessarie per competere con gli altri in
ambito professionali.
Quindi gli interessi personali chiamano in causa, per i clienti, l’accettazione dei propri limiti e
l’assunzione di nuovi ruoli.
-La teoria sociocognitiva: essa enfatizza i fattori motivazionali, come le credenze di autoefficacia e le
aspettative di risultato, per spiegare il processo di sviluppo professionale.
-Le teorie dello sviluppo degli adulti: a questo proposito vengono segnalate due teorie.
La teoria di Baltes sostiene che con l’età le persone mostrano una plasticità per utilizzare nel modo
migliore sia le competenze attuali sia le precedenti in un nuovo contesto con nuove richieste.
La teoria della continuità di Atchley riflette l’enfasi del mantenimento di uno scopo nella vita verso
cui sono indirizzati tutti I comportamenti messi in atto. Il counselor, in questo caso, dovrebbe aiutare
il cliente che non è in grado di dare una risposta adattiva attraverso dei comportamenti coerentemente
indirizzati al raggiungimento dello scopo proposto.
Le transizioni dell’età adulta: percorso di carriera, perdita del lavoro e reinserimento.
Le transizioni di carriera nell’età adulta (dai quarant’anni in avanti), appaiono complesse per le implicazione
intrinseche che le caratterizzano e che di solito richiamano alle modificazioni del percorso professionale,
risposte alla perdita del lavoro e il rientro nel mercato del lavoro.
-Carrer pathing: si occupa di sviluppare processi e risorse finalizzati ad aiutare gli individui a far sì che
i loro contributi siano sempre più soddisfacenti e significativi.
A livello individuale, viene considerata la sequenza programmata e non programmata delle
posizioni occupazionali di un lavoratore nel tempo.
Il primo elemento da identificare è la meta: l’individuo vuole uno spostamento laterale o verticale?
Dopo di questa, si passa a un accertamento di abilità, di esperienza e di fattori
come la motivazione per favorire un’autovalutazione realistica da parte dell’individuo.
Sotto il profilo occupazionale, si procede con una disamini delle opportunità di lavoro disponibili,
competenze richieste etc.
Gli step successivi consistono nell’individuare quali azioni e quali strumenti siano più adatti per
raggiungere la meta.
Il career counselor che lavora con gli adulti deve conoscere tutte le problematiche che possono limitare
l’efficacia di specifiche azioni o metodi di lavoro.
Infine è importante che il career counselor abbia sempre presente che nel tempo gli individui possono
modificare gli elementi di career pathing (es. ridefinire la meta).

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-Perdita del lavoro: è una delle transizioni con delle conseguenze più critiche. La perdita del lavoro e la
disoccupazione continua possono avere serie ripercussioni per gli adulti, considerando anche che alla
ricerca di un lavoro impiegano più tempo rispetto ai giovani.
Sotto il profilo delle ricadute, la perdita del lavoro può determinare la compromissione della salute fisica e
mentale della persona, risultando associata ad aumento di ansia, depressione, etc.
L’azione del career counselor è coinvolgere l’adulto nella ricerca attiva del lavoro e che risponda alle
esigenze del momento e della persona in questione. La risposta alla perdita del lavoro può essere descritta
nelle seguenti fasi: inizialmente si manifesta la fase di negazione, dove la persona viene a sapere
dell’imminente disoccupazione.
Poi ci può essere un periodo di confusione; quando le persone realizzano che il loro lavoro sta veramente
per terminare, si sentono arrabbiate e possono riversare tali sentimenti su amici e familiari.
Durante la fase di negoziazione gli individui tendono a desiderare di avere tempo, sperando in un “aiuto
divino”. Successivamente sono colpiti dalla realtà della situazione e possono trovare tristezza e
mancanza di speranza.
Infine subentra la fase dell’accettazione, dove le persone si confrontano con la realtà della situazione e
iniziano ad impegnarsi in pensieri e azioni costruttivi. Se il career counselor conosce ed è in grado di
comprendere il decorso di tali risposte, sarà bene equipaggiato per aiutare i clienti durante la perdita del
lavoro.
-Rientro: si riferisce a individui che hanno focalizzato il proprio tempo su ruoli diversi da quello del
lavoratore salariato e che desiderano rientrare per motivazioni div aria natura, dalla soddisfazione personale
a esigenze di autonomia. Le donne che rientrano nel mercato del lavoro spesso si trovano a fronteggiare
responsabilità plurime che includono figli, casa, etc.
Un career counseling efficace richiede agli operatori di aver considerazione di tutti questi fattori.
-Problemi frequenti dei clienti: generalmente si tratta di difficoltà legate al reperimento di risorse,
interne ed esterne, che servono a fronteggiare ansia, depression, perdita di sicurezza. I counselor
svolgono un ruolo importante anche nell’aiutare l’adulto a fare una valutazione realistica delle proprie
capacità e competenze e l’eventuale esigenza di un aggiornamento.
Tra le nuove proposte: il transition counselor.
Krumboltz e Chan vedono una visione ampliata del career counseling: il transition counselor.
E’ necessaria una tipologia di intervento focalizzata su cinque specifici cambiamenti:
- Espandere l’obiettivo di intervento.
- Includere tutti gli aspetti della vita (temi dell’ambito familiare dei propri clienti).
- Predisporre training più ampi e comprensivi di maggiori abilità.
- Confrontarsi con tutte le transizioni.
- Costruire una relazione a lungo termine.

Non si tratta di un intervento a unico atto, bensì un processo continuo attraverso la vita, sulla base dei
bisogni del cliente.
La ricerca empirica come direttrice di riferimento per interventi di career counseling efficaci
Ad oggi mancano degli studi specifici che evidenzino gli ambiti di ricerca su cui bisogna lavorare e la
stimolazione affinchè vengano realizzate.
Da alcuni dati emersi di recente, emerge comunque l’esigenza di preparare il counselor second una
formazione olistica che tenga conto di tutti I fattori che contraddistinguono I soggetti e I contesti in cui sono
inseriti.
All’efficacia del counseling è opportune affiancare l’uso di microtecniche, come esercizi scritti,
interpretazioni individualizzate, modeling.
La ricerca sul career counseling può proseguire efficacemente identificando tre tipi di variabili: di processo,
input e di risultato.

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CAPITOLO 11: LA CONCILIAZIONE TRA LAVORO REMUNERATO E RESTO DELLA
VITA.
L’intreccio tra lavoro e famiglia rappresenta un tema di interesse per gli studi psicologici in relazione ai
significativi cambiamenti della forza lavoro; in particolare la tensione fra questi due ambiti può essere causa
di stress e malessere psicologico e/o fisico per la persona.
I principali modelli teorici.
Sono molti i modelli utilizzati per rendere conto della relazione tra ruoli lavorativi e ruoli familiari:
conflitto, spillover e arricchimento, compensazione, identità e impegno di ruolo, equilibrio,
strategie di gestione dei confini.
I principali modelli teorici: il conflitto lavoro-famiglia.
Il conflitto lavoro-famiglia viene considerato come una forma di conflitto dove la partecipazione
al ruolo lavorativo (o familiare) è resa più complicata dalla partecipazione al ruolo familiare (o
lavorativo).
E’ un costrutto di tipo bidirezionale e può essere asimmetrico o reciproco.
Gli antecedent del CFL si riferiscono alle richieste di ruolo, alla personalità, alle strategie di coping, al
support sociale e organizzativo.
Esso può determinare insoddisfazione e assenteismo dal luogo di lavoro.
Dallo spillover all’arricchimento.
La ricerca ha considerato lo spillover in termini di sentimenti, valori, abilità, comportamenti che da un
contesto scivolano all’altro (es. quando lo strain lavorativo di un individuo si ripercuote sulla qualità della
vita dei familiari). Questo fenomeno può riguardare il singolo così come può coinvolgere individui di un
altro contesto sui quail si rivolge il proprio vissuto. (crossover).
Nel corso degli ultimi anni al costrutto di spillover si è associato quello di arricchimento, che coglie
soprattutto gli aspetti di influenzamento positive dalla partecipazione a più ruoli; anche esso è
bidirezionale.
La compensazione.
La compensazione fa riferimento a una relazione tra i due domini che prevede il tentativo da parte del
soggetto di rimediare alle difficoltà in un contesto attraverso un maggiore investimento in un altro ruolo.
Le persone possono ridurre l’importanza che attribuiscono a quel ruolo, o possono cercare
riconoscimenti in un altro contesto o investire più tempo in un ruolo alternativo.
I principali modelli teorici: la strumentalità.
Tale modello ipotizza che un contesto sia strumentale al raggiungimento di risultati nell’altro
contesto.
Essa può essere pensata in entrambe le direzioni (il lavoro strumentale per mantenere la famiglia, la famiglia
strumentale per mantenere il lavoro).
Dall’identità all’impegno di ruolo.
L’identità lavorativa e l’identità familiare, riflettono il concetto di sé, contribuiscono
all’autorealizzazione e sono predittive delle prestazioni di ruolo.
Gli individui tenderebbero a investire risorse nel ruolo associato all’identità con maggiore importanza, con
l’obiettivo di consolidare la propria autostima. L’identificazione con il ruolo lavorativo determina una
diminuzione di tempo disponibile per la famiglia, così come l’identificazione con il ruolo familiare
determina una diminuzione di tempo per il lavoro.
Tuttavia è riduttivo pensare che un maggiore investimento da una parte causi un minore investimento da
un’altra.
Di fatti la teoria dell’identità di ruolo si collega al concetto di “engagement in multiple roles” , cioè
l’impegno richiesto da ciascun ruolo assunto.
L’esito dell’impegno dei diversi ruoli, può infatti essere negativo (svuotamento) o positive (arricchimento);
la risposta emotive del soggetto è fondamentale poichè determina la sua volontà di poter assumere un altro
ruolo.
Dalle ricerche svolte sembra che le donne, rispetto agli uomi, tendino a integrare maggiormente I due
contesti e di conseguenza i due ruoli.
A questa considerazione si aggiungono I dati riportati dalle ricerche, per cui sembrerebbe che gli uomini
vivano con maggiore difficoltà la possibilità di conciliare più ruoli sottraendosi, dunque , al conflitto.

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L’equilibrio.
Reiter propone di distinguere tra definizioni di equilibrio:
-Assolutiste (l’equilibrio è il miglior risultato possibile).
-Situazioniste (l’equilibrio è dipendente dalle situazioni)  è la più appropriate per la ricerca
-Soggettiviste (l’equilibrio è basato su valori personali).
-Eccezionaliste (l’idea di equilibrio fornita da qualche soggetto diventa la definizione di riferimento per
impostare un disegno di ricerca)
Le strategie di gestione dei confini.
Alcuni autori tengono conto delle preferenze di scelta dei singoli tra
integrazione e segmentazione/separazione.
L’ipotesi della segmentazione, intesa come assenza di una relazione sistematica tra ruoli lavorativi e non
lavorativi, è stata rielaborata come un processo psicologico attivo che le persone possono scegliere per
mantenere un confine tra i due contesti.
Tale scelta può anche essere determinata dal contesto o dal tipo di lavoro svolto.
Determinanti, conseguenze e ruolo dell’organizzazione.
Le ricerche svolte hanno rilevato che il conflitto lavoro- famiglia ha un ruolo nel predire il livello di
insoddisfazione, la diminuzione del coinvolgimento organizzativo, il desiderio di cambiare lavoro, il
peggioramento delle relazioni coniugali, lo stress psicologico etc.
Sul fronte della vita organizzativa, sono stati identificati costrutti specifici, volti a rilevare la qualità di
sostegno che il lavoro offre per far fronte ai vissuti del conflitto lavoro-famiglia (cultura work family).
Un’organizzazione è “family friendly” quando sono presenti capi che offrono sostegno nei problemi di
conciliazione, forme istituzionali che supportano la conciliazione, richieste di tempo commiserate al
ruolo.
Questi elementi favoriscono la presenza di una cultura supportive.
Ci sono varie direzioni che le organizzazioni possono seguire per migliorare la qualità di vita percepita dai
dipendenti e i livelli: le forme di contratto, le azioni di sostegno e sviluppo a carattere formativo e
consulenziale, le agevolazioni economiche e le politiche gestionali e organizzative del lavoro.
Questo tipo di organizzazione, dunque, si presenta come particolarmente attento ai bisogni e alle differenze
degli individui e dei contesti di lavoro; le conseguenze possono essere certamente positive in quanto
profondamente supportive, tuttavia non si può ignorare l’aspetto economico che va affrontato, l’esigenza di
un feedback positive e l’obbligo di precedere questo processo attraverso un’analisi dei bisogni di
conciliazione dei dipendenti
Attivare programmi family-friendly significa dunque tenere conto di dimensioni come le differenze
individuali, la presenza o l’assenza di supporto sociale, le caratteristiche del lavoro, il mercato del lavoro.
Il monitoraggio delle iniziative family-friendly, infine, dovrebbe riportare la valutazione degli effetti non
solo a livello organizzativo, ma anche a livello familiare.
Dal momento che frequentemente è possibile imbattersi nell’errore di voler allineare queste iniziative ad
quelle proposte da aziende ester ne, sarebbe più opportune valutare il lavoro in base alla qualità facendo
in modo che gli impegni familiari non penalizzino il percorso lavorativo, e lasciare che l’organizzazione
sia gestita da superiori che ascoltano e sono attenti ai temi di supporto.

CAPITOLO 12: IL MANAGEMENT INTERNAZIONALE.


La complessità dell’ambiente interculturale.
Nei contesti economici attuali si verifica una significativa espansione delle attività delle organizzazioni al
di fuori dei loro confini nazionali e le motivazioni sono molteplici: globalizzazione dei mercati, diffusion
delle tecnologie, processi di immigrazione etc.
Il cambiamento che un’organizzazione deve affrontare in questo caso è molto complesso; proprio per
questo Adler sostiene che esso si realizza attraverso quattro stadi di sviluppo.
Il primo stadio è quello domestico; l’azienda è orientata a un mercato nazionale, ma i manager sono
consapevoli della necessità di rivolgersi anche all’ambiente internazionale.
Lo stadio internazionale è quello in cui l’azienda considera l’idea di rivolgere la propria attenzione
all’estero. Il terzo stadio, quello multinazionale, vede l’azienda più matura nei confronti del contesto
internazionale e nell’ultimo stadio, definito globale, supera i limiti del singolo paese.

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Per management internazionale si intende quindi, l’applicazione dei concetti e delle tecniche del
management in un ambienti multinazionale.
L’economia globale è infatti caratterizzata da una varietà di culture che fanno in modo che all’interno di
un’organizzazione siano presenti figure e professionalità differenti, per cui c’è il bisogno di processi di
trasferimento delle conoscenze e di mutuo adattamento.
E’ possibile distinguere differenti tipi di conoscenza che, a differenza dell’informazione, implica sempre
l’elemento umano:
- La conoscenza esplicita : quella formale, codificabile e trasferibile.
- La conoscenza implicita: tacita e basata su esperienze personali.
- La conoscenza prescrittiva: relativa a come sarebbe opportuno procedere per risolvere compiti.
Le persone che operano in un contesto socioculturale diverso da quello di origine sono chiamate
espatriate e necessitano di un efficace modello mentale relativo a come la conoscenza possa essere
condivisa con le persone con cui entrano in comunicazione.
Ad oggi la competenza intercultural, o politica, implica un element di snood per la cooperazione
internazionale tra le organizzazioni.
Tralasciando chi delocalizza, dobbiamo anche pensare al paese ospitante; Sparrow sostiene che è
necessario considerare il processo di adattamento dell’individuo come parte di un processo di mutuo
adattamento letto come in continuo divenire.
La cultura: variabile chiave per l’internazionalizzazione.
Le aziende che intendono avere successo nel mercato internazionale devono sapere dell’importanza
della dimensione della propria cultura organizzativa.
La cultura organizzativa è l’insieme di idee condivise assunte all’interno di un gruppo, che termina il modo
in cui il gruppo percepisce, valuta e reagisce all’ambiente esterno. La cultura è formata da diversi livelli:
comportamenti osservabili, valori dichiarati, assunti di base.
Nei comportamenti osservabili rientrano, per esempio, il tipo di abbigliamento, il linguaggio
utilizzato, la storia dell’azienda, etc.
Per quanto riguarda i valori, essi si dividono in dichiarati (consuetudini che l’organizzazione privilegia)
e praticati (abitudini delle persone che operano all’interno dell’azienda stessa).
Gli assunti di base non sono osservabili; sono abitudini talmente scontate da non essere più
facilmente riconoscibili.
Oltre a questi parametri, grazie a numerosi studi, è possibile identificare quattro dimensioni
culturali di base indicate da Hofstade, esse sono:
-La distanza dal potere: la percezione del grado di disparità di potere tra chi lo detiene e chi viene
sottomesso.
-Il controllo dell’incertezza: grado di tolleranza della società di fronte all’incertezza di eventi futuri.
-Individualismo-collettivismo: distingue le società che valorizzano il tempo che l’individuo usa per il gruppo
e quelle che valorizzano il tempo per l’esistenza personale di un soggetto.
-Mascolinità-femminilità.
Un altro studio in merito alle differenze culturali è stato condotto da Trompenaars che ha identificato
diverse tipologie di cultura, nel quale troviamo caratteristiche come l’universalismo e particolarismo
nell’applicazione di idée e pratiche agite, individualismo e comunitarismo , cultura neutrale (in cui si
controllano le emozioni), cultura emozionale, cultura specifica e cultura diffusa (rispetto alla gestione dello
spazio), status conquistato e status acquisito (determina in maniera diversa l’attribuzione di un merito).
Questi fattori influenzano le modalità di relazione appartenenti ai contesti diversi, tenendo sempre a mente
che anche le culture nazionali possono influenzare quelle organizzative.
I protagonisti del management internazionale: gli espatriati.
Gli espatriati, che lavorano in un contesto differente da quello di appartenenza, vivono un momento di
crescita.
Sono state fatte diverse classificazioni delle persone che operano all’estero, in base alle loro reazioni
psicologiche nei confronti della cultura ospitante ; è importante considerare che le variabili analizzate
possono attrarre o respingere gli espatriati rispetto al nuovo paese ospitante.

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Allo scopo di cogliere pienamente le prospettive psicologiche degli espatriati è necessario considerare
fattori come la distanza, il paese, il lavoro, il sostegno sociale, il tempo, i guadagni, la volontarietà.
Le multinazionali possono trasferire le persone all’estero per tre ragioni: funzioni di controllo,
funzione di abilità tecnica e di contatto/coordinamento.
Tendenzialmente queste esperienze si svolgono positivamente, essendo esperienze a brevet ermine,
ben organizzate e con uno scopo specific e in cui le relazioni sociali sono maggiormente agevolate.
La maggiore difficoltà che un espatriato può incontrare nelle prime fasi è relativa al confronto con la
nuova cultura. Il senso di disorientamento, la mancanza di punti di riferimento causa un vero e proprio
shock culturale.
Questo shock comprende la mancanza di punti di riferimento, di norme e regole sociali che guidino le
azioni e che permettano di comprendere fino in fondo il comportamento altrui.
Nonostante la prima reazione possa essere caratterizzata da sentimenti di disorientamento, timore, senso di
vuoto, è pur vero che, a meno che la persona non decida di abbandonare subito l’incarico, vi è una fase di
adattamento e accomodamento al nuovo contesto che si sviluppa attraverso una serie di fasi successive.
Lo shock deriva principalmente dal senso di perdita e risulta condizionato anche dal grado di
adattabilità degli individui.
Quindi alcuni fattori ad influenzare queste fasi di adattamento: il modo di porsi nei confronti dell’altra
cultura, la percezione derivante da tali esperienze, le strategie di coping attuate per rispondere al
problema.
Un mancato fenomeno di adattamento suscita condizioni di stress e depressione.
La gestione delle carriere internazionali.
La carriera internazionale può essere realizzata tramite diversi percorsi professionali.
Con l’espressione di international assignment ci riferiamo a quando un determinato incarico è
programmato con una durata a tempo determinato e prevede il rientro in patria della persona allo scadere
del contratto.
Differente è il caso in cui la persona decide di intraprendere un percorso professionale che prevede un
regolare alternarsi di assegnazioni in paesi diversi; ciò implica il variare periodicamente sede di lavoro
e ambiente sociale.
A prescindere da tutto ciò, è importante selezionare persone adatte ad assumersi responsabilità all’estero
così da portare a termine gli scope della propria organizzazione. Tra le caratteristiche di personalità
maggiromente incentivate, l’estroversione è per esempio un fattore importante, perché gli espatriati che sono
disposti a stabilire relazioni interpersonali, sono anche capaci di acquisire più efficacemente la nuova cultura
sociale.
Un’altra abilità è quella di formare alleanze sociali e di avere una grande stabilità emotiva.
Secondo alcuni studi, la competenza più importante, è quella politica, intesa come una combinazione di
diverse abilità sociali, capacità, conoscenze e comportamenti il cui possesso può essere funzionale per
l’adattamento a un nuovo contesto.
Di recente alcune aziende internazionali hanno iniziato a implementare un processo
strategico per la selezione di coloro che ricoprono incarichi internazionali . Gli elementi di
selezione sono tre:
-Il primo è che essi coinvolgono precocemente i dipendenti nel considerare la possibilità di un incarico
all’estero.
-Il secondo elemento consiste nel coinvolgere la famiglia il prima possibile nella scelta.
-Il terzo elemento è il mantenere abbastanza flessibilità nel sistema, in modo da permettere la rinuncia ad
ogni momento.
Un altro aspetto rilevante è quello della formazione crossculturale mira appunto ad un intervento per il
successo degli espatriati nel nuovo contesto; favorisce l’evitamento di stereotipi sbagliati verso altri
paesi, sensibilizzazione cultural e prevenzione dello shock culturale.
Per quanto riguarda lo stereotipo, questo può essere utile nel caso in cui la persona ne sia consapevole, se è
descrittivo e accurato e se è modificabile.
Esistono diversi programmi di trainership utili a favorire l’adattamento, tra questi vi è il modello basato
sulla sensibilizzazione culturale che cerca di rendere il soggetto consapevole del proprio comportamento e
delle differenze esperite.

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Esistono training basati sulle concrete abilità interculturali dei soggetti, i quali sono posti nella condizione
di esperire praticamente delle tecniche comportamentali e di ricevere dei feedback; per far ciò ci si serve di
strumenti diretti e pratici come I role play. Il limite di questo approccio è la sua onerosità economica.
Infine risulta importante sottolineare cme la percezione dello shock possa essere temporanea: quest’
ultimo, infatti, è visto come una curva a U, dove dopo la sorprese iniziale, l’interesse e il benessere
diminuisce; poi torna però ai livelli iniziali.
Altra ipotesi è la curva a W che ipotizza difficoltà anche al ritorno in patria.
CAPITOLO 13: DIVERSITY MANAGEMENT.
Nascita e caratteristiche del diversity management.
Il diversity management è un approccio teorico-pratico che si propone di :
-Indagare i processi che generano conflitti sulla base della percezione della reciproca diversità fra le
persone (nei contesti lavorativi).
-Intervenire per modificare gli effetti indesiderati di tali processi sulla produttività, clima del gruppo.
-Potenziare i comportamenti creativi e innovativi dei gruppi diversificati.
Esso non include il concetto di tolleranza, in quanto intende favorire la comprensione delle differenze per
rendere possibile la costruzione di nuovi significati condivisi, andando oltre l’essere suscettibili did over
subire trattamenti diversi ed opportunità differenti.
Risorse umane diversificate: costi e benefici.
La potenzialità del diversity management consiste nella disomogeneità che può generare
innovazione.
La complessità risiede nei processi che generano un conflitto fra persone che si percepiscono come diverse
in quanto appartenenti a gruppi sociali differenti. Due filoni teorici hanno cercato di spiegare se la diversità
sia proficua o meno: la social category diversity e l’information/decision making.
social category diversity.
Secondo questo approccio, non sempre l’appartenenza all’ingroup o all’outgroup è così chiara e
consapevole. I membri di un gruppo usano le somiglianze tra di loro e le differenze percepite dell’outgroup
come caratteristiche per fare paragoni, che spesso favoriscono il proprio gruppo preservandone l’immagine.
Un altro aspetto da considerare è che, quando si introducono situazioni cooperative che eliminano le
differenze intergruppi, ci si espone al rischio di minacciare l’identità distintiva e positiva dei componenti del
gruppo. I soggetti possono sperimentare sentimenti ambivalenti.
Possono quindi risultare proficui gli approcci che creano una sorta di compromesso.
information/decision making.
Il secondo approccio si focalizza sulla diversità intesa in termini funzionali e informativi, ossia sulle
caratteristiche del lavoro, della posizione.
Questo approccio afferma che è proprio la disomogeneità a favorire le migliori performance.
I gruppi diversificati, infatti, sarebbero in possesso di una più ampia gamma di conoscenze utili allo
svolgimento dei loro compiti rispetto a un gruppo omogeneo. Questo perché un gruppo omogeneo si
conformerebbe a procedure standard.
Dallo svolgimento di alcune ricerche è emerso come non vi siano relazioni significative tra tipo di diversità
ed outcome positive di performance o relazionali nell’ambiente di lavoro.
Un modello integrato.
Ci sono modelli che integrano le due prospettive; la diversificazione, di per sé, sarebbe in grado di
accrescere la performance, ma tale successo può essere contaminato dai processi di categorizzazione.
Van Knippenberg ha ipotizzato un modello integrato: categorization-elaboration model (CEM).
Secondo il modello, la diversità è in grado di favorire l’elaborazione di idee creative per lo svolgimento
della mansione, solo se ci sono elevate capacità di elaborazione delle informazioni e un’alta motivazione e
capacità di elaborare informazioni per lo svolgimento delle mansioni.
Gli autori specificano così le condizioni che possono dar luogo a fenomeni di favoritismo o assenza di
favoritismo tra i gruppi:
-Accessibilità cognitiva :facilità con cui il processo di categorizzazione si attiva a causa della differenza
percepita.
-Normative fit: quanto quella categorizzazione è rilevante per i membri del gruppo.
-Comparative fit: quanto la categorizzazione dà origine a sottogruppi distinti.

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Secondo il modello L’elaborazione di informazioni e I processi di categorizzazione sociale
interagiscono e, in particolare, I bias intergruppi possono interferire sulla corretta elaborazione di
informazioni utili a svolgere le mansioni.
Interventi per gestire la diversità nelle organizzazioni.
Lo scopo di tali interventi è fornire una soluzione a relazioni lavorative complesse, al fine di migliorare
l’efficacia organizzativa.
Il tema della diversità implica un sostegno e un investimento di risorse umane ed economiche da
parte delle organizzazioni che, agendo a livello di iniziative locali e internazionali, tendono a
modificare le rappresentazioni della diversità presso la leadership aziendale.
A mediare gli effetti che le politiche di gestione hanno sull’organizzazione e sugli individui, intervengono
variabili come quelle psicosociali o quelle legate al modo in cui, in quella specifica organizzazione, siano
stati considerati e gestiti diversità e i vari tipi di diversità.
La forma più diffusa d’interventi per il diversity management è il diversity training.
Si tratta di una serie di attività che tendono a rendere consapevoli manager e dipendenti degli errori
sistematici di valutazione (bias) che compiono sulla base di processi automatici di pensiero.
Questa formazione si basa sul fatto che l’espressione delle cognizioni o delle emozioni connesse alla
diversità consenta di superare l’ignoranza, e che tale consapevolezza genererebbe apertura al diverso.
La pianificazione attenta degli interventi appare però indispensabile, per evitare che l’aumento della
consapevolezza generi un irrigidimento delle concezioni stereotipiche sull’outgroup e conseguenti
pregiudizi.
Alcuni autori delineano alcune strategie alternative utili a fornire indicazioni funzionali a definire I
criteri di valutazione per un monitoraggio efficace:leadership fra studiosi e uomini di impresa e
l’analisi di obiettivi ed esiti del training operata da terzi per restituire una vision più obiettiva della
coerenza ed efficacia degli stessi.
Anche il mentoring e il networking si possono profilare come strumenti utili alla gestione delle
diversità.
Sviluppi per il future
La prospettiva migliore sarebbe quella di ricollocare il tema della diversità al livello della gestione
organizzativa, facendo attenzione alla fase di selezione, fidelizzazione, creatività, innovazione,
problem solving.
Se il diversity management coincide con le politiche del personale, esso rappresenta un nuovo
modo di considerare le persone in organizzazione seguendo un’ottica molto più ampia; inoltre
questo garantirà il rispetto delle pari opportunità sancite dalla legge.

CAPITOLO 14: L’OUTPLACEMENT.


E’ un’attività che si occupa di accompagnare persone uscite da un’azienda in un’altra situazione
lavorativa; si tratta di un tema assai delicate data la flessibilità e instabilità del nostro period storico.
Le origini.
Nel 1944, il Bill Act attuato dal presidente Roosvelt facilitò la transizione e il reinserimento dei veterani
della seconda guerra mondiale che, tornando, trovarono un contesto lavorativo che si trovava in rapida
evoluzione. Le linee previste riguardavano interventi di formazione e qualificazione, supporto finanziario
per l’acquisto di abitazione e supporto economico per la gestione della transizione.
Secondariamente, a partire dagli anni 70, anche le imprese americane richiesero processi di gestione delle
transizioni e downsizing.
I confini dell’outplacement.
Al momento dell’assunzione, l’aspettativa è stabilire un contratto a tempo indeterminato.
Se esigenze organizzative impongono una riduzione di personale, ciò determina una sorta di tradimento e
comporta la messa in campo di strategie e interventi di consulenza necessari per gestire la fuoriuscita
dall’organizzazione e la ricerca di possibili opportunità occupazionali sostitutive: l’outplacement.
L’attuale dinamica del lavoro è quella della work security; riguarda la gestione del proprio processo di
apprendimento continuo e della propria abilità di gestione del trasferimento della capacità di occupabilità
da un contesto di lavoro a un altro.
Tale questione è stata più volte connessa al tema della employability.

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Commitment e impegno individuale sono funzione dell’apprendimento continuo, della preparazione
costante per la successiva esperienza di lavoro.
Le linee di tendenza dell’outplacement.
L’esigenza è quella di competere in un mercato sempre più globale e di rispondere alla necessità di
inglobare l’innovazione tecnologica negli assetti organizzativi.
E’ un cambiamento del mercato che ha generato riposizionamenti delle agenzie di
outplacement.
Le linee di caratterizzazione di tali trasformazioni sono:
-Da un servizio sconosciuto a una “corporate commodity”: l’organizzazione super ail senso di vergogna per
non poter superare I problem legati ad un sopravanzo del personale e aiuta I dipendenti in vista di una
ipotetica ricollocazione.
-Dal contenzioso giuridico-sindacale sul lavoro ai servizi di outplacement.
-Dal contesto locale a quello nazionale/internazionale: I setvizi si affermano anche in relazione al contesto di
riferimento che vede la globalizzazione come un fenomeno sempre più in evoluzione.
-Riduzione dei costi e cambiamento dei valori: tale scopo si raggiunge “spalmando” i servizi di consulenza
e outplacement evitando un forte impatto sul budget aziendale.
-Cambiamento della natura dei servizi di outplacement : si privilegia l’ottica gruppale e gli interventi di
durata variabile, si tiene conto anche delle nuove tecnologie informatiche.
-Cambiamento delle domande degli utenti: questi ultimo risultano più competent e informati circa I vari
ambiti e le molteplici variabili che condizionano il contesto organizzativo.
- Le linee di tendenza attuali delle attività di consulenza per l’outplacement che integrano
molteplici aspetti dei contesti organizzativi.
Le linee di sviluppo dell’outplacement vedono quindi un espansione dei nuovi mercati potenziali in Europa
e nell’Asia del Pacifico; una focalizzazione su nuovi brand di riferimento (high-tech); costituzione di un
gruppo ristretto che gestisce le dinamiche di placement second una prospettiva globale.
La professione di consulente per l’outplacement.
Il fondatore della professione si ritiene sia Bernard Haldane che definisce le modalità e gli strumenti
d’intervento per promuovere il reinserimento dei veterani di guerra nel nuovo scenario organizzativo del
mondo del lavoro alla ripresa dello sviluppo socioeconomico del dopoguerra.
Il processo di Haldane (SIMS) consente ai veterani di individuare le potenzialità motivate attraverso la
valorizzazione delle passate esperienze e l’individuazione di una strategia di utilizzazione di questa
consapevolezza per la ricerca di posizioni lavorative di successo e soddisfacenti.
Il ruolo del consulente è quello di un esperto che accompagna il soggetto
nell’individuazione delle esperienze professionali di successo.
Le competenze richieste al professionista dell’outplacement sono la consulenza individuale/gruppale
rispetto ai membri dell’organizzazione in transizione lavorativa, l’assessment relativo alle esperienze dei
candidati, la consulenza per lo sviluppo di piani di carriera individuali,le attività di coaching e la
formazione alla ricerca di lavoro, gli interventi di internal career management finalizzati a gestire I vari
percorsi di carriera.
La certificazione include competenze che riguardano le conoscenze del mondo delle imprese; le
competenze nel counseling psicologico, le conoscenze specialistiche e specifiche circa lo sviluppo di
carriera.
L’ICC rappresenta proprio l’accertamento della presenza di qualità professionali dei consulenti che si
occupano di tali transizioni lavorative.
In Italia ci sono l’APRO e l’AISO, due associazioni che si occupano di accreditare I professionisti.
Modelli di outplacement.
Il servizio di outplacement prevede la presenza di diversi modelli di lettura, ognuno specificamente collegato
ad un dato momento con caratteristiche sociali ed economiche uniche.
Le implicazioni emotive che animano il soggetto rispetto alle proprie transizioni di lavoro richiedono la
presenza di questo servizio, volto a far fronte a sentimenti di colpevolizzazione, ansia, paura, pressioni
familiari, emergenza del divario generazionale nelle situazioni di ricerca di lavoro, incapacità di valorizzare
le competenze di ricerca etc.
La presenza di questo servizio aiuta il soggetto a gestire la propria personal transition, e le sue correlazioni
emotive a stampo negativo, e consente all’organizzazione di migliorare la propria imagine in quanto
fornitrice di una soluzione al momento critico della perdita del lavoro.

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Career growth model (Latack, Dozier).
Gli autori mettono in relazione il processo di sviluppo nella carriera con il livello di stress associato alla
perdita di lavoro; un basso livello di stress consente di gestire il percorso di sviluppo della carriera in
maniera corretta e congrua.
Le dimensioni individuali spesso confluiscono nel generare una sorta di stress che favorisce la risposta
strategica funzionale all’organizzazione e pianificazione della propria vita professionale.
I fattori riconducibili al contesto sociale riguardano invece l’insieme delle condizioni di natura economico-
finanziaria: la perdita del lavoro si associa al disagio economic e personale. Questa situazione fa insorgere
sentimenti di depressione che si associano a una minore disponibilità e proattività nella ricerca di nuove
opportunità.
L’altra componente è il supporto sociale disponibile per il soggetto che perde il lavoro.
Il punto di forza del modello riguarda la centratura sul vissuto e sulle modalità di risposta del soggetto
e l’intervento di outplacement è proprio finalizzato a favorire risposte proattive a situazioni così
stressanti.
Stage of transition of counseling model (Mirabile).
Questo modello identifica cinque fasi di gestione della transizione:
-Fase di comfort: finalizzata a superare gli effetti del trama del licenziamento e recuperare una stabilità
emotiva tramite l’accettazione della situazione.
-Fase di reflection: interpreta la focalizzazione sulla prima fase della ricerca attiva di nuove opportunità.
-Fase di clarification: la svolta verso la progettualità, l’identificazione degli obiettivi di carriera.
-Fase di direction: momento dell’esplorazione del mercato del lavoro.
-Fase di perspective shift: ricerca consapevole di nuove opportunità occupazionali.
Il modello risulta incompleto in quanto appare vago sia per l’assetto metodologico che per i riferimenti
teorici.
Holistic outplacement model (Kirk).
Il modello olistico di outplacement prende in esame il processo di reinserimento nel mercato del lavoro
assumendo una prospettiva di analisi e d’intervento ancorata alla dimensione del coping, cioè del
fronteggiamento della situazioni. Le fasi sono:
-Regaining equilibrium: promuove il recupero del proprio equilibrio attraverso la riduzione dell’ansia.
-Career development: momento costruttivo di fronteggiamento della situazione.
-Job hunting: sviluppo delle competenze distintive di placement.
E’ un modello altamente operativo, ma non tiene conto della specificità in cui si trova un soggetto
che ha perso il lavoro.
Aquilanti Integrated Model
Questo modello approfondisce la nozione di life design intendendola nei termini di riconfigurazione
della propria vita: si tratta in effetti di un aspetto compreso nella perdita del lavoro che, oltre a
generare ansia, implica anche una riconfigurazione che non comprende solo l’aspetto lavorativo.
Super riprende anche il termine career adaptability nei contesti di instabilità e precarietà. Questo
processo chiama in causa I valori lavorativi, le abilità gestionali, l’accesso alle informazioni etc.
Grief theory (Kubler-Ross).
L’approccio focalizza l’attenzione sugli effetti negativi a livello individuale di una situazione di perdita
di lavoro ed identifica più fasi: una prima fase di negazione e isolamento(difesa temporanea rispetto
all’evento inatteso); dopodichè si succedono rabbia, occasione, depressione e accettazione.
E’ un utile supporto per interpretare la risposta emozionale ma è scarsamente efficace nella
valorizzazione delle risposte proattive per il recupero di una posizione occupazionale soddisfacente
ed il consolidamento della propria identità personale e professionale.
Transition curve model (Parker, Lewis).
Propongono un modello composto da sette fasi di transizione che segnano la perdita del lavoro come
momento di lutto; le prime Quattro fasi coincidono con il modello di Kubler-Ross ma vengono
diversamente etichettate (immobilization, denial of change, incompetence, acceptation).
Dopodichè troviamo il testing out (individuazione di nuove opportunità), il search for meaning
(internalizzazione della situazione) e integration (cambiamento del punto di vista).
Ogni soggetto elabora e struttura la propria modalità di gestione della transizione che sembra

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corrispondere a tre stili: reattivo (l’individuo nega la necessità di cambiamento), ingenuo (l’individuo
rifiuta ogni cosa della passata esperienza), confronto personale (l’individuo sis erve delle proprie capacità
per adattarsi alla nuova situazione).
Modelli di intervento di outplacement.
L’originale approccio di Haldane si basa su un modello di job search counseling, finalizzato a
formare l’individuo alla ricerca del lavoro gestendo in maniera ottimale le strategie di cui
dispone. La realizzazione di questo approccio viene denominato COS e vede tre fasi:
-Fase 1 : il consulente interviene per formare e qualificare i manager e i responsabili delle risorse
umane interessati alla gestione appropriata degli interventi di licenziamento.
-Fase 2: lo specialista fornisce ai lavoratori licenziati consulenza individuale, interventi di training
per gestire la ricerca del lavoro.
-Fase 3: il professionista svolge una funzione di consulente e coach per i lavoratori.
Consulenza e prelicenziamento.
In questa fase l’attenzione è rivolta ai manager e ai responsabili delle risorse umane che devono
rinforzare le proprie competenze nell’ambito del licenziamento. Le modalità operative sono:
-Corporate pre-lim: presa di contatto con la committenza per discutere le circostanze che
motivano la decisione di licenziare.
-Corrective counseling: ricognizione delle eventuali alternative alla soluzione del licenziamento.
-Termination meeting: intervento di formazione per i manager e i responsabili coinvolti nella gestione
dei processi di licenziamento e nella gestione della comunicazione.
-Corporate accountability: esplicitazione del ruolo dell’organizzazione durante la fase di ricerca del
lavoro da parte del licenziato. Questo ambito riguarda la messa a disposizione di informazioni e supporti
necessari per la gestione della fase di transizione e la ricerca attiva del lavoro.
Programmazione di interventi di prelicenziamento.
Il ruolo del consulente per l’outplacement cambia significativamente; dopo la comunicazione del
licenziamento, effettuata in gruppo dal manager, entra in gioco il consulente che prende in carico la
situazione allo scopo di presentare opportunità e servizi di outplacement disponibili che aiutino il
lavoratore a rioccuparsi, andando oltre la fase del licenziamento.
Preparazione alla ricerca del lavoro tramite la consulenza personalizzata.
Le modalità operative di rilievo sono:
-Orientation meeting: ha lo scopo di attenuare le reazioni all’annuncio del licenziamento e
focalizzare l’attenzione sulla future ricerca di un nuovo lavoro.
-Career assessment: il consulente guida il licenziato attraverso un processo di ricognizione.
Ciò va ad individuare punti di forza e di criticità che delineano gli obiettivi future e consentono all’individuo
di acquisire maggiore consapevolezza circa la propria mansione e le proprie caratteristiche.
-Replacement candidate: il lavoratore si riposiziona come candidato per una nuova occupazione.
-Accesso ed esplorazione dei database relativi al mercato dell’offerta di lavoro.
-Sviluppo di capacità di placement: sviluppare capacità nel condurre network meetings, nel rispondere
agli annunci di lavoro e fornirsi di nuovi contatti.
Preparazione per la ricerca del lavoro.
L’esigenza di fronteggiare gruppi di collaboratori in esubero nell’organizzazione induce il management a
richiedere interventi di outplacement differenziati per livello. Gli strumenti per la ricerca sono:
-Group learning. I vantaggi dell’apprendimento attraverso l’esperienza di gruppo possono essere occasioni
di apprendimento reciproco/cooperativo; si sperimenta così un minore isolamento e si facilita il passaggio di
informazioni e la creazione di un network circa ipotetiche possibilità future.
-Programmi su richiesta. Lo si fa personalizzando la consulenza rispetto alle esigenze delle imprese e
dei target proposti. Per quanto concerne la durata di questi servizi, si tende sempre ad equilibrare le
esigenze dell’azienda con quelle dell’individuo che spesso sono divergenti.
-Group workshop. Si risponde alla necessità di differenziare il servizio rispetto al target coinvolto (senior
executive manager, middle management, non professional) e a creare dei percorsi maggiormente
individualizzati.
-Job replacement activity. Lo sviluppo delle nuove tecnologie determina una trasformazione anche
nell’attività di consulenza per l’outplacement. Ciò comporta per le agenzie di outplacement la fornitura di
materiali e servizi di formazione per l’uso delle tecnologie infotelematiche che creano vantaggi sia per

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l’utenza che per l’organizzazione.
Realizzazione delle attività di ricerca del lavoro.
Una volta completata la fase di preparazione e acquisite le competenze necessarie, l’avvio della fase
di job search si definisce come un’attività a tempo pieno.
Il consulente svolge una funzione di supporto e di accompagnamento; supporta il candidato nella gestione
della contrattualizzazione e quando il candidato sarà inserito nella nuova posizione, il consulente
parteciperà all’elaborazione e all’implementazione del piano d’inserimento nel nuovo contesto.
Tante agenize di consulenza organizzano “landing parties” (party) per il cliente che ha trovato una
nuova posizione al fine di consentire la socializzazione delle esperienze realizzate durante la job
searching.
Nel tempo si è definita anche l’esigenza di guardare ai dipendenti come maggiormente consapevoli e
coscienti delle proprie capacità e competenze , più in grado di gestire le proprie transizioni di lavoro.
Gli interventi dedicati e l’innovazione.
Negli anni sono stati delineati diversi modelli personalizzati per specifici richiedenti.
Una delle proposte di maggiore successo nella consulenza è quella rivolta ai senior ecexutives licenziati
dalle grandi corporation. Sessioni di counseling di tipo residenziale della durata di tre-cinque giorni vengono
proposte ai soggetti e alle rispettive consorti. Il ruolo del/della consorte è quello di condividere l’impatto e
le implicazioni psicologico-sociali della perdita del lavoro sul sistema familiare e di coppia.
Possono essere citate le esperienze del tipo “key executive conference”, organizzate per promuovere
scambi e relazioni tra candidati e opportunità occupazionali nello scenario internazionale.
Di tutt’altra rilevanza sono gli interventi che hanno come obiettivo la ricollocazione di soggetti che hanno
abbandonato il posto di lavoro volontariamente o per raggiunti limiti di età: importante in questo ambito è il
progetto ReServe che nasce nel 2007 con lo scopo di reclutare e gestire persone di età superiore ai
cinquant’anni che desiderano impegnarsi in attività a forte rilevanza sociale.
I ReServist sono pensionati o lavoratori che hanno intenzionalmente abbandonato un posto di lavoro e che
intendono valorizzare le loro potenzialità e le loro risorse per una nuova opportunità di impegno sul piano
sociale, attraverso opportune forme di consulenza di outplacement.
La consulenza per l’outplacement, quindi, si definisce come un sistema di servizi e risorse che tendono a
riparare il momento negative caratterizzato dalla perdita del lavoro valorizzando le risorse e potenzialità del
soggetto a favore di una future ricollocazione.

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