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DISPENSE FONDAMENTI

1-FONDAMENTI DI ORGANIZZAZIONE

 MICRO ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO (INDIVIDUALE GRUPPO)


 MACRO ORGANIZZAZIONE DELL’AZIENDA
È giusto che il lavoro occupi tutto questo tempo nella mia giornata?

LAVORO LABOR LABARE VACILLARE SOTTO UN PESO

TRAVAGLIO “TRI-PALEUM”

Il lavoro era visto dagli antichi come una tortura, in seguito questa filosofia cambia, il lavoro
innalza l’uomo

WORK “ERG” “ENERGIA”

Il lavoro può essere una condanna o lo strumento attraverso il quale trasformiamo noi stessi e la
realtà, è un’energia che cambia noi e le cose e che può essere estremamente motivante da
perseguire. C’è stato un impegno nel tempo ad abbassare la fatica che il lavoro porta con sé e
aumentare invece il valore dell’esperienza del lavoro e la quantità di energia che produce sia nelle
persone che nei risultati che il lavoro porta. Le cose si complicano quando passiamo dal lavoro
dell’individuo al lavoro di più persone. Quando si organizza il lavoro di più persone si creano dei
problemi che si deve cercare di risolvere. L’obbiettivo è ridurre la quota parte di fatica mancanza
di senso e sfruttamento. Vari studi hanno dimostrato come il lavoro se appagante e competitivo
riesce a catturare le persone che lo preferiscono anche a tempo libero da poter passare per
esempio con la famiglia. Dunque, le persone si lamentano a parole del poco tempo libero rispetto
al lavoro ma nella realtà dei fatti il lavoro può essere più appagante della vita privata, diventa più
attraente di quest’ultima.
Cosa succede quando lavorano insieme più persone?
IL MASSO DI
BARNARD

Lo ha raccontato bene con un apologo uno studioso di organizzazione, Chester Barnard. Egli
racconta nel suo libro “The function of excecutive” un apologo noto come “IL MASSO DI
BARNARD”.
Caverna, uomini primitivi che ritornano a casa loto trovando l’ingresso della caverna ostruito da un
masso caduto dalla montagna, BISOGNA RISOLVERE IL PROBLEMA. Qui troviamo una sintesi delle
funzioni e problemi amministrativi: 1) è presente un problema complesso, ovvero il masso che
può essere spostato solo grazie alla collaborazione (il successo della specie umana deriva dalla
cooperazione), 2) un obbiettivo comune che tutti condividono.

Questa situazione determina un PROBLEMA ORGANIZZATIVO che ha due componenti:

1. PROBLEMA TECNICO= Come ci organizziamo? Che regole ci diamo? Chi fa cosa? Bisogna
trovare delle regole e delle strategie comuni
2. DIMINUIRE IL CONTRIBUTO PERSONALE = Se il lavoro è di squadra è difficile capire quale
parte del lavoro è attribuibile a chi. Questo è un problema prettamente sociale. COME
MOTIVIAMO TUTTI A DARE IL MASSIMO, AD MPEGNARSI E A SENTIRSI COINVOLTI? Per
esempio, possono essere messi degli incentivi, si può lavorare sull’etica e sui valori
dell’individuo in modo che l’obbiettivo da raggiungere non sia in contrasto con gli intenti
dell’individuo. Che leve utilizziamo? Persuasione, premi, gerarchia. Questo problema si
crea ogni volta che si lavora in gruppo.

Affronteremo queste dinamiche per livelli di analisi. Il primo livello è la persona.

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

DEFINIZIONE = Disciplina che studia in modo sistematico e scientifico il comportamento


(ma anche i processi cognitivi ed emotivi) di individui e gruppi nelle organizzazioni al fine di
comprenderlo, prevederlo, controllarlo e migliorarne la performance in ambito aziendale,
mantenendo allo stesso tempo un livello adeguato di soddisfazione individuale. È difficile
applicare un sistema generale, dunque, è difficile applicare un approccio clinico del singolo caso, si
applica dunque un metodo di ricerca scientifica. Si studia e si comprende anche quello che le
persone sentono e pensano per comprenderne il comportamento. Utile è cambiare il modo in cui
le persone pensano, aiutarle per esempio a credere in sé stessi per migliorare le proprie
performance. Importantissimo è il SENSO DI AUTOEFFICACIA, senza quest’ultimo la performance
lavorativa cambia radicalmente. La nostra non è una scienza neutrale, ma l’obbiettivo è capire
come queste dinamiche influenzano i risultati dell’impresa. Una volta i primi amministratori del
personale erano militari, oggi ovviamente, l’approccio è completamente diverso. L’obbiettivo di
tale studio è cercare di comprendere il comportamento, anticiparlo e migliorarlo ai fini di
renderlo più efficace per la nostra impresa. Inizialmente l’obbiettivo era SOLO la PRODUTTIVITA’,
in un secondo momento questo obbiettivo si sdoppia: si è capito che serve anche la
SODDISFAZIONE DEL PERSONALE altrimenti non si riesce a mantenere professionisti all’interno
dell’azienda, difficilmente si cambia rapidamente quando serve e difficilmente le persone daranno
di più di quanto è previsto nel proprio contratto. Nel momento in cui si hanno due obbiettivi ci
possono essere contrasti ed essi possono cozzare tra di loro. La sfida sarà dunque riuscire a
coniugare entrambi gli obbiettivi.

ORGANIZZAZIONE DELL’AZIENDA
Quando la prestazione è il risultato del lavoro di più persone sorge il problema di COORDINARLE
per il raggiungimento di un obiettivo comune
 Questo PROBLEMA ORGANIZZATIVO ha due dimensioni:
1. Una dimensione TECNICA: occorre trovare il modo più efficace ed efficiente per mettere in
sequenza le diverse attività, assegnarle a persone o organi specifici, fare in modo che le
informazioni necessarie circolino e che tempi ed obiettivi siano rispettati
2. Una dimensione SOCIALE: occorre fare in modo che tutti gli attori coinvolti siano motivati a
collaborare mettendo a disposizione le risorse che controllano, non sottraendosi alle
proprie responsabilità, rispettando capi e colleghi, etc. si è più efficaci se si hanno rapporti
diversi con persone diverse, bisogna saper gestire la diversità
 ll DISEGNO delle strutture organizzative di impresa, dei processi che vi hanno luogo e dei
sistemi operativi che fanno funzionare l’impresa, mira a risolvere nelle sue due dimensioni
il “problema organizzativo”
 L’efficacia aumenta se gli obbiettivi sono concentrati sul singolo rispetto che sulla massa.
Tutti i lavoratori sono diversi tra loro, dunque, bisogna saper gestire la diversità. La capacità
di modulare il nostro ruolo in rapporto alle persone con cui si lavora è importante

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
 DEFINIZIONE= Disciplina che studia e prescrive le modalità attraverso le quali gli
attori organizzativi (persone e gruppi di persone) allocano e miscelano risorse scarse
(denaro e investimenti, energie e tempo, competenze pregiate) per realizzare obiettivi di
economicità e di soddisfazione personale. I parametri con cui si misura il livello di
sofisticazione organizzativa delle istituzioni (economiche e non) sono: l’efficienza, cioè il
rapporto tra risultati prodotti e risorse impegnate, l’efficacia, cioè il rapporto tra risultati
raggiunti e obiettivi dell’istituzione; e l’equità, cioè il grado di giustizia con il quale i margini
economici e di crescita sono distribuiti tra i diversi lavoratori sulla base del loro contributo
fisico e intellettuale. Creare le situazioni affinché persone che hanno caratteristiche
diverse le usino per raggiungere un unico obbiettivo.

IL “PROBLEMA” ORGANIZZATIVO
 Il problema della allocazione/combinazione di queste risorse scarse (umane,
tecnologiche, finanziarie) è complicato dal fatto che:
1. le risorse sono possedute/controllate da attori diversi
2. gli attori sono diversi per conoscenze e preferenze rispetto all’output (all’impiego
delle risorse) e rispetto al come le risorse/possono debbono essere allocate
3. è un problema dinamico i cui elementi e (le condizioni di contorno) possono
modificarsi nel tempo
Le situazioni cambiano e sono influenzate da fattori esterni e da variabili esogene
imprevedibili.
 La soluzione del problema è complessa perché:
1. ne esiste più di una accettabile: ormai si comprende come non esista una sola
soluzione accettabile ma bensì più di una. Ad un approccio UNIVERSALISTICO “ONE
BEST WAY” che è molto rassicurante e che ogni manager ha, si affianca un
approccio CONTINGENTE cioè LA SOLUZIONE “DIPENDE” da vari fattori come il
mercato, la tecnologia utilizzata o dal regolatore ( esempio sacchetti di plastica o
Facebook)
2. va negoziata tra gli attori coinvolti
3. deve soddisfare requisiti di efficienza/efficacia ed equità che non sempre si
conciliano bene tra loro e rispetto ai quali gli attori possono esprimere preferenze
4. non tutte le informazioni necessarie per la ricerca della soluzione e la scelta sono
disponibili (si cerca in condizioni di incertezza)
5. anche le soluzioni sentono il tempo: al modificarsi di qualche elemento nel
problema che le ha generate, cambiano le loro caratteristiche di efficacia, efficienza,
equità
6. le “soluzioni” generano nuovi “problemi”
La differenza sta nel mettere in contatto le persone giuste, comunicare all’interno
dell’azienda e cogliere le opportunità e la forza del gruppo.

L’ORGANIZZAZIONE NON DISCRIMINA RISPETTO ALLE FINALITA’


È un ponte che mette insieme un’IDEA (cosa vogliamo fare, perché vogliamo farlo, dove vogliamo
farlo?) con un RISULTATO. I pilastri sono rappresentati dalla STRUTTURA e dalle PERSONE. Il
ponte in sé è formato dall’IMPLEMENTAZIONE: -COME? – CHI? Devo costruire il ponte e collegare
l’idea al risultato. Tuttavia devo tener conto della strutture e delle persone. Tra l’idea e il risultato
è presente l’implementazione: chi ? come ? Il ponte è neutro rispetto ai fini: l’organizzazione che
ho costruito che fine ha? Che obbiettivi persegue ?

IDEA RISULTATO

IMPLEMENTAZIONE PERSONE
-CHI ?
STRUTTURA
-COME?
2-TEORIE ORGANIZZATIVE
Alcune risposte al “problema organizzativo” le abbiamo grazie a varie
teorie organizzative:
 Inizio 900 negli USA INIZIO PRODUZIONE DI MASSA---- ENORME MERCATO dato dalla
grandezza degli stati uniti e dall’uso di una sola moneta, fatto di CONSUMATORI/
PRODUTTORI di cui la maggior parte sono NEO-IMMIGRATI. Essi hanno in comune il fatto
di non parlare la lingua e di non avere educazione (molto giovani, molto ignoranti e molto
diversi). All’inizio i marchi erano 2500 e le produzioni erano artigianali, le auto potevano
permettersele solo gli straricchi.
In questo contesto si sviluppa L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DLE LAVORO con Taylor
che insieme a Ford riesce a portare il cambiamento: produzione di massa con prezzi molto
bassi. Contemporaneamente si mette in tasca ai lavoratori denaro per soddisfare i propri
bisogni e diventare consumatori veri e propri. OSM (Organizzazione scientifica del
Lavoro).La prima cosa da fare è appropriarsi del know-how di chi conosce. Inizialmente
c’erano gli artigiani che trasferivano tale conoscenza al novizio attraverso un periodo di
apprendistato. Taylor intuisce che attraverso uno studio scientifico del lavoro, cioè
prendere una persona che sa svolgere un certo tipo di lavoro si deve:
1. OSSERVARE COME LA PERSONA SVOLGE IL LAVORO ATTRAVERSO IL SUO KNOW-HOW
2. OTTIMIZZAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DEI MOVIMENTI: scomporre le fasi del lavoro e
migliorarle
3. LA CONOSCENZA PASSA ALLA DIREZIONE AZIENDALE E IL LAVORO VIENE SCOMPOSTO
4. ISTRUZIONI PER SVOLGERE UN SOLO COMPITO SEMPLICE RIPETUTAMENTE
Troviamo un predecessore di Taylor ovvero A. SMITH attraverso la sua “Fabbrica di spilli”. In tale
fabbrica è presente un solo lavoratore che svolge tutto, questo permette di arrivare ad una
produttività di 20 scatole al giorno. Smith capisce che frammentando tale lavoro si riesce ad
aumentare in maniera incredibile la produttività. LA SPECIALIZZAZIONE SU UN COMPITO
SEMPLICE E RIPETITIVO PORTA A EVITARE ERRORI, AUMENTARE LA VELOCITA’ CON CUI SI FA
UNA CERTA COSA E PORTA AD UN ENORME AUMENTO DELLA PRODUTTIVITA’.
Con il metodo di Taylor troviamo una vera e propria rivoluzione ed un miracolo economico: tutti
possono lavorare e subito, senza stage o periodo di formazione, riprendendo la teoria di A.Smith.
Ford aggiunge anche la catena di montaggio grazie a questa vengono eliminati i tempi morti ed
aumenta la produttività. Nelle fabbriche fordiste i lavoratori iniziavano ad avere un salario e a
poter permettersi qualche consumo extra.

L’OSL come insieme di principi


1. sviluppo della scienza – i metodi lavorativi – le cause che esercitano influenza sulle persone
2. selezione e addestramento scientifico dei lavoratori e loro sviluppo
3. mettere insieme scienza e lavoratori
4. intima e costante collaborazione fra direzione e lavoratori (favorita da una redistribuzione
dei guadagni di produttività anche a favore dei lavoratori -> cottimo) Più produci e più
guadagni: l’alienazione viene combattuta attraverso un salario migliore.

Le critiche
Il lavoro diviene alienato, sottratto all’individuo, qualcosa di diverso da me. Diventa uno strumento
per sopravvivere ma non ha in sé nessun senso. Non innalza l’uomo e non mi migliora. Viene tolto
il know-how e il controllo sul lavoro e sui suoi tempi: la velocità è dettata dalla macchina. Non
capisco quanto conta il mio lavoro o qual è il prodotto finito poiché all’interno dell’azienda ne
vedo solo una parte. La conoscenza che apparteneva solo ai lavoratori va a finire nelle mani della
direzione aziendale che la rielabora e la parcellizza.
1. Parcellizzazione del lavoro
2. Alienazione e demotivazione " Il lavoratore viene “alienato” tolto dal lavoro. Perde il
controllo del lavoro, delle conoscenze e del senso della esperienza di lavoro
3. Aumento dello sfruttamento, della fatica e dei rischi: imparare il lavoro è facilissimo,
dunque, il potere dei sindacati è nullo. Aumenta per le situazioni lavorative, l’impresa ha
grande potere di mercato poiché i lavoratori non sono specializzati e svolgono compiti
semplici. Se protestano vengono sostituiti molto facilmente dall’impresa.
4. Nessuna interazione sociale consentita dai ritmi e dalle condizioni di lavoro alla catena di
montaggio = si stabiliscono relazioni molto importanti all’interno dell’ambiente di lavoro, al
contrario la catena Fordiana isola i lavoratori che non hanno possibilità di avere interazioni
né al di fuori né all’interno dell’ambiente di lavoro. Sono stati inventati anche meccanismi
per salvaguardare i lavoratori dal momento che il lavoro alienava l’individuo. Uno dei
pericoli principali è sbagliare: dal momento che si è alienati non si pensa al lavoro che si sta
svolgendo, dunque c’è alta probabilità di sbagliare nel lungo termine e di farsi male ( in
fabbrica).
5. Sistema produttivo adatto a grandi volumi di prodotti uguali (la Ford T di Henry Ford
all’alba dei consumi di massa in USA), ma poco adatto per produzioni di qualità in piccola
serie= funziona bene per alti volumi di produzione ma non per produzioni specifiche
Il lavoro diventa alienato, sottratto all’individuo, qualcosa di diverso da me. Il lavoro perde
il suo senso e il suo significato lontano da un’esperienza umana significativa. Al lavoratore è
stato tolto il KNOW-HOW, IL CONTROLLO SUL LAVORO (per esempio sui tempi di lavoro
dove la velocità è dettata dalla macchina e dall’organizzazione aziendale), IL SENSO DEL
LAVORO E IL SUO SIGNIFICATO

Con il taylorismo, per la prima volta abbiamo la divisione del lavoro in:
 VALORE INTRINSECO DEL LAVORO = quanto un lavoro è appagante, quanto mi fa sentire
utile. Con il taylorismo c’è un IMPOVERIMENTO DELLE MANSIONI e il fenomeno
dell’ALIENAZIONE. Non vedo più il prodotto finito poiché sono concentrato sulla mia
manzione, il lavoro viene frantumato e perde interesse e creatività. Quando i lavoratori
non vogliono più aderire a tale lavoro e quando questo perde interesse e creatività
abbiamo una maggiore meccanizzazione della produzione che viene portata a termine
attraverso l’utilizzo di macchinari. Non decido più nulla come lavoratore, i tempi vengono
dettati dalla catena e la complessità del prodotto o il risultato finale non è più alla mia
portata
 VALORE STRUMENTALE DEL LAVORO = lavoro solo per raggiungere un fine ed un
obbiettivo, tutto quello che da un senso al mio lavoro sta dietro questo ma non è il lavoro
in sé. Dietro al taylorismo c’era anche questa concezione, sviluppare una ricchezza che
possa essere distribuita anche ai lavoratori grazie ad un’impresa più produttiva. Parte di
questo guadagno, dunque, serve a tenere all’interno dell’azienda i lavoratori grazie ad un
salario maggiore. Grazie a questo parte il consumismo e l’economia di massa. Nelle
produzioni di massa non ci si accorge subito dove sta l’errore poiché la produzione è
automatica e continua.
TOYOTISMO

Il lavoratore controlla il processo, è presente maggiore qualità e maggiore controllo nella


produzione. Vengono lanciati nuovi modelli più specifici e più veloci: c’è una nuova Toyota ogni
anno. La produzione cambia, e tale sforzo viene ricompensato anche con prezzi più alti, i
lavoratori iniziano ad avere una certa importanza. Al cambiare del mercato cambia la
produzione, NON ESISTE LA ONE BEST WAY

ELTON MAYO

Riceve fondi per fare delle ricerche sul Taylorismo, la ricerca che doveva condurre cercava di
mettere in relazione le condizioni fisiche di lavoro (luminosità, rumorosità, temperatura) e
produttività. La ricerca ha esiti diversi e molto importanti:
1. ILLUMINAZIONE = al suo aumentare o alla sua diminuzione aumenta la produttività dei
lavoratori? Si divide in due la popolazione sperimentale, è presente il gruppo sperimentale
e il gruppo di controllo. Nel gruppo sperimentale si aumenta o diminuisce la luce e si
scopre che non c’è nessun effetto della luce, la produttività tende ad essere costante e
crescente in entrambi i campioni, la produttività aumenta anche se la luminosità viene
diminuita. L’accademy arriva ad una conclusione, mentre Western Electric (Hawthorne)
insieme ai ricercatori continua la ricerca per capire a fondo la questione. Perché la
produttività aumenta?
2. Finanziato dalla società. Abbiamo un gruppo di donne di controllo e un gruppo
sperimentale, a variare stavolta sono le pause e i tempi di lavoro. Per la prima volta si
discutono e decidono insieme alle lavoratrici del campione sperimentale e di controllo. La
produttività aumenta in entrambi i casi ma ora si capisce qual è il fattore che fa la
differenza: SENTIRSI UN GRUPPO VALORIZZATO E COINVOLTO DALL’AZIENDA, È LA
DIMENSIONE SOCIALE DEL LAVORO CHE INFLUENZA LA PRODUTTIVITA’. AUMENTA IL
VALORE SOCIALE DEL LAVORO grazie ad un maggior RICONOSCIMENTO E IL
COINVOLGIMENTO. La PRODUTTIVITA’ AUMENTA

+valore sociale del lavoro


+Riconoscimento
+Coinvolgimento------------------------- AUMENTA LA PRODUTTIVITA’

Si istituisce una scuola nota come “scuola delle relazioni umane” che influenzerà
moltissimo il profilo di chi si occupa del personale e come quest’ultimo viene gestito. Tale
scuola di pensiero predica come bisogna avere una relazione significativa con ogni membro
dell’azienda
EFFETTO HAWTHORNE = gli esseri umani non sono macchine o strumenti ma reagiscono
all’osservazione. Una volta che sono consapevoli di essere studiati modificano il loro
comportamento, scelgono comportamenti socialmente desiderati.

Si inizia a capire che sono necessarie sia la DIMENSIONE TECNICA (l’unica su cui si sono
concentrati ford e toyota) del lavoro che la DIMENSIONE SOCIALE DEL LAVORO. Non si può
trascurare nessuna delle due dimensioni

MAX WEBER

È il teorico della BUROCRAZIA ---- un Ideal tipo delle organizzazioni pubbliche. Per Weber la
burocrazia è la forma di ORGANIZZAZIONE DELLA MODERNITÀ, e nella modernità si ha il POTERE
RAZIONALE- LEGALE. La modernità è tale perché ci sono delle regole. Il potere è definito
all’interno di un sistema di regole accettato da tutti che limita moltissimo la discrezionalità.
La burocrazia è l’apparato amministrativo per l’esercizio dell’autorità legale.
DEFINIZIONE BUROCRAZIA = Insieme di apparati e di persone al quale è affidata, a diversi livelli,
l’amministrazione di uno Stato o anche di enti non statali.

Caratteristiche della burocrazia


 divisione del lavoro disciplinata in modo generale con regole e ricorso a persone con la
qualificazione richiesta
 gerarchia degli uffici = c’è la possibilità di fare carriera che va di pari passo con l’anzianità
 sistema di regole generali = l’utente viene trattato in maniera imparziale
 impersonalità delle relazioni interne ed esterne formalizzazione
 il lavoro è una professione e una carriera = il concorso va per merito e titoli

Motivi della superiorità tecnica della burocrazia


 definizione di diritti e doveri, e gerarchia rapidità di reazione = rapidità di reazione con
tempi di risposta certi (ovviamente sono presenti alcune distorsioni)
 formalizzazione precisione univocità uniformità prevedibilità = riduce l’ansia da parte del
consumatore e assicura una procedura standard e sempre uguale
 divisione del lavoro e attribuzione delle posizioni economie di specializzazione, crescita
specialistica
TRASPOSIZIONE DEI FINI

La Burocrazia è un mezzo per raggiungere un fine. Merton nota che l’amministrazione diventa un
fine e non un mezzo. Diventa più importante la forma che la sostanza, diventa più importante
proteggersi che operare, il comportamento diventa rigido e le persone che si affidano alla
burocrazia ricevono un trattamento che non è ideale.

TEORIA DEI SISTEMI APERTI

Nei primi anni 60 si inizia ad indagare I SISTEMI E I SISTEMI COMPLESSI: un sistema è un insieme
di elementi diversi che sono in relazione tra loro; lo stesso sistema è in relazione biunivoca con
l’ambiente. Per esempio, il sistema umano è complesso poiché deve rapportarsi con l’ambiente e
per farlo trova un equilibrio tra i propri sottosistemi e organi. Abbiamo un effetto di retroazione, a
seconda delle mie azioni l’ambiente esterno cambia e anche il mio sistema di riferimento.
Un ORGANIZZAZIONE È UN SISTEMA APERTO (in relazione con un ambiente: tecnologia, clienti,
fornitori), i sistemi organizzativi sono sistemi SOCIO-TECNICI. Individuiamo poi le VARIABILI
INTERNE: VARIABILI INDIVIDUALI e SOCIALI (come le persone interagiscono tra loro, come si arriva
il risultato tramite il gruppo), variabili di tipo TECNICO (la tecnologia che utilizziamo). In ogni
azienda è presente l’idea di adattare il proprio modello di business con l’ambiente esterno. Il
principio di fondo che disciplina tutto ciò è detto “FIT” o “COERENZA”. Dunque, ci vuole una
coerenza interna, le variabili non devono essere in contrasto tra loro, inoltre deve essere presente
anche una coerenza esterna che riguarda il rapporto tra l’azienda e l’ambiente esterno, il nostro
modo di organizzarci deve essere quello giusto dato il tipo di ambiente dove ci troviamo. Devo
modificare la mia supply-chain o modificare i miei prodotti in base ai cambiamenti dell’ambiente
esterno, devo avere del personale competente che sappia gestire le difficoltà, devo ri-bilanciare le
mie caratteristiche interne in rapporto all’ambiente esterno che tende a cambiare. La risposta è
sempre “MIS-FIT”.

Il modello legato a tale ragionamento è stato sviluppato da BURNS e STALKER che parlano di un
SISTEMA MECCANICO e ORGANICO. La loro è una ricerca empirica, partono dal fondo analizzando
aziende di successo per capire che caratteristiche le accomunano. Scoprono una CARATTERISTICA
ORGANIZZATIVA che sta alla base di tale successo: essa sta alla base dell’ambiente di
organizzazione. Se si distinguono due tipi di ambienti, uno statico e uno estremamente dinamico si
scopre che in termini di performance nell’ambiente statico il differenziale di performance è del
sistema MECCANICO:
 alta standardizzazione
 posso formalizzare e disegnare le procedure in maniera chiara
 ruoli ben definiti
 gerarchia sviluppata: basata sull’anzianità e sull’esperienza

Nell’ambiente dinamico si ha un SISTEMA ORGANICO:


 bassa standardizzazione
 bassa formalizzazione
 struttura piatta
 forte coinvolgimento
Tutto quello che serve per reagire ed adattarsi ad un ambiente che cambia continuamente.

AMBIENTE STATICO------SISTEMA MECCANICO


AMBIENTE DINAMICO---SISTEMA ORGANICO

In base all’ambiente esterno decido che sistema adottare.


3-PERSONALITA’ E VALORI

RELAZIONE DI FEEDBACK= Quello che facciamo e i risultati che otteniamo modificano il nostro
modus-operandi, il nostro ambiente e la nostra percezione del mondo esterno
Tale equazione dice come la PRESTAZIONE è il frutto di una moltiplicazione di vari fattori, LE
COMPETENZE, divise tra abilità del personale e la tecnologia o la tecnica posseduta, serve poi un
LIVELLO DI MOTIVAZIONE. L’obbiettivo di un manager è quello di mettere in equilibrio i due
fattori, anche rispetto a me stesso. Inoltre, bisogna avere compreso cosa il gruppo di lavoro si
aspetta da noi ovvero la PERCEZIONE DEL RUOLO. Se uno di questi va a 0 la PRESTAZIONE è nulla

UNO DEI 3 FATTORI VA A 0---------PRESTAZIONE = 0

Devo intervenire in modo diverso per risolvere un problema di performance; dunque, devo capire
dove è presente il problema.
MOTIVAZIONE = Spiega l’attivazione, l’orientamento e la modulazione del comportamento
COMPETENZE = Attitudini= talento naturale Abilità cognitive, emotive, fisiche apprese Livello
individuale - modello di competenza Livello aziendale - portafoglio di competenze
PERCEZIONE DEL RUOLO Aspettative

FATTORI SITUAZIONALI
Insieme delle condizioni di contesto su cui l’individuo non ha controllo ma che possono agevolare
o compromettere drasticamente l’efficacia del suo comportamento
 Fattori esterni di contesto: • congiuntura macroeconomica •
fattori sociali e politici • mercato del lavoro • legislazione • etc.
 Fattori organizzativi di contesto: • paga • capi • tecnologia • norme regole e procedure •
tempo
PRESTAZIONE

Task performance = insieme comportamenti e risultati riconducibili agli obbiettivi specifici

I comportamenti di cittadinanza organizzativa sono comportamenti favorevoli all’organizzazione


ma non prescritti dalla mansione e/o esplicitamente ricompensati dall’organizzazione. Mi rende
più competitiva come organizzazione, non lo pago e non devo nemmeno richiederlo poiché non
riguarda la mansione. Le persone con questi comportamenti forniscono qualcosa in più:
1. VIRTU’ CIVICA = ho rispetto per tutto quello che appartiene all’organizzazione e ho una
capacità dio stare all’interno dell’azienda in maniera egregia. Si traduce in cura per i valori
comuni, partecipazione alla vita aziendale
2. SPORTIVITA’ = avere un atteggiamento positivo, non essere cinici e negativi, evitare di
lamentarsi continuamente
3. COSCIENZIOSITA’= avere un atteggiamento sempre attento verso le questioni aziendali,
non fare ritardo. Questo atteggiamento non è direttamente pagato dall’azienda ma non
rispettare tale comportamento degrada l’ambiente dell’azienda.

Troviamo altre due O.C.B.s. distinte poiché sono comportamenti di cittadinanza organizzativa
rivolti ai nostri colleghi
1. ALTRUISMO
2. CORTESIA
COMPORTAMENTI DISFUNZIONALI = atteggiamenti volontari dannosi per l’organizzazione

“WHISTLE-BLOWING” = SNITCH NO CAP🧢🧢 = Rivelare al di fuori dell’azienda dinamiche interne


dove l’azienda commette dei reati. Essa è stata inserita nelle leggi che tutelano la protezione degli
interessi degli investitori e del mercato rispetto a possibili azioni illegali o comportamenti negativi
da parte delle aziende

COSA DISTINGUE UNA PERSONA DAGLI ALTRI?


PERSONALITA’ = una struttura relativamente stabile che contiene e organizza gli affetti, le
emozioni, i bisogni, i desideri, gli scopi e i comportamenti delle persone […] ciò che rende conto di
come una persona pensa e sente, di come agisce e di cosa può diventare, e di ciò che è comune e
distintivo di ciascuna individualità. TRATTI DI PERSONALITA’= qualcosa di stabile

Dipende da tratti ereditari


e dunque da geni, ma
anche dall’ambiente e dalle
situazioni che abbiamo
vissuto

NATURE = Base genetica, è qualcosa di immodificabile. Alcune teorie che credono alle razze
associano una parte di personalità a questo, tale parte non può essere modificata
NURTURE = Relativo all’ambiente che hai frequentato e in cui hai vissuto

AGGETTIVI DI DESCRIZIONE DEL MODO DI ESSERE E DI COMPORTARSI DEGLI INDIVIDUI

 TRATTI = disposizioni relativamente stabili che per natura o esperienza rendono alcune
reazioni più accessibili e perciò più probabili di altre

FACTOR ANALYSIS = Dimensione latente, fattori che influenzano ed esprimono la personalità

O.C.E.A.N. =
 Openness = creatività, curiosità, innovatività
 Consciousness = precision, puntualità, cura nel dettaglio
 Extroversion
 Agreeableness
 nevroticism

GLI ESTROVERSI = non sono gli amici ideali, un amico ideale deve avere un alto grado di amicalità
mentre l’estroverso va alla ricerca di emozioni positive, un drogato di emozioni come la serotonina
e la volontà di provare nuove cose e conoscere nuove persone. Sono dipendenti dallo stare bene

I NEVROTICI = Tale persona tende a provare più emozioni negative, è molto sensibile a tali
emozioni. La principale emozione è l’ansia e la preoccupazione. L’ansia però anticipa i pericoli e i
danni, dunque, non è negativo provare delle ansie. Il sesso femminile è più alto in tale situazione,
essere attente e preoccuparsi è una funzione protettiva e dunque è legata alla figura femminile.

AMICALITA’ =. Funzionale a prendersi cura della prole e caratteristica mediante cui le donne
riescono a creare una rete e delle amicizie protettive nei confronti della prole, nei gruppi primitivi
IL MODELLO PERSON/JOB FIT
È molto probabile che un test della personalità venga utilizzato in fase di selezione da parte
dell’azienda, magari non lo chiamano “Big Five” ma metodo “Hogan”, che è un altro metodo che
viene utilizzato dalle aziende.
Principio di contingenza = c’è sempre coerenza tra i diversi elementi di un sistema.
La personalità serve a mettere a fuoco
il meglio possibile il “Person/Job FIT”,
ovvero quanto una persona è adatta a
un certo tipo di lavoro. È una cosa
relativamente semplice da fare
quando consideriamo le competenze
che uno deve avere (es. un neurochirurgo deve essere specializzato nel suo settore); quindi, il
contenuto dell’attività e il tipo di competenza che la persona deve avere è la classica questione
che il processo di selezione deve risolvere. Lo si può fare direttamente e oggi si fa molto tramite
linkedin.
C’è un altro FIT che è più difficile da misurare e più soggetto a distorsioni ed è proprio il FIT che
riguarda che tipo di personalità deve avere la persona adatta a quel lavoro (es. per interagire in
gruppo si deve avere un’alta capacità di amicalità, però questo frena la probabilità di raggiungere
una posizione dirigenziale in azienda).
In un JOB che richiede forti capacità di interazione con gli altri è necessario che il candidato abbia
empatia. Però non dobbiamo farci cogliere dagli stereotipi della persona adatta a quel lavoro
idealizzato nel pensiero pubblico, ma cercare la persona giusta per quel lavoro nella vita reale.
Quindi le aziende usano strumenti, ingaggiano psicologi e fanno test per avere il match migliore
tra come sono fatti i candidati e il tipo di job che andranno a ricoprire. Il limite di questo tentativo
sta nel fatto che le mansioni e i job non sono stabili nel tempo (si può iniziare nel commerciale e
poi occuparsi della produzione o finanza), però c’è questa idea che servano delle persone giuste
per il tipo di lavoro che devono fare stabilendo un profilo di personalità.
Per estroverso si intende una persona: dinamica, energica, dominante, determinata e
intraprendente; in realtà le neuroscienze hanno scoperto che gli estroversi non sono gli amici
ideali, mentre un amico ideale è una persona alta nell’amicalità. L’estroverso va alla ricerca di
emozioni positive, è una specie di “drogato” di quelle sostanze chimiche come la serotonina che
nascono provando esperienze nuove e prendere rischi e questo genera una certa difficoltà di
continuità di interesse in qualcosa, perché per loro la cosa importante sta nel fatto di stare bene (è
come se fossero dipendenti dalle emozioni positive).
Gli alti sulla dimensione del nevroticismo è una persona che tende a provare più emozioni
negative e sono in genere caratterizzati da una forte propensione all’essere ansiosi con facilità e ad
avere una visione pessimista della vita (cosa che non allunga per niente la vita). L’ansia però ha
anche una valenza positiva, infatti queste è l’anticipazione di un possibile pericolo/danno che
stiamo per subire e quindi può anche renderci più preparati per superare delle sfide. Anche sul
nevroticismo sembra esserci una differenza di genere, dove le donne (come per l’amicalità) sono
più alte in questo ambito. La spiegazione è stata ricondotta sempre sulla base evolutiva per
prendersi cura della prole.
Non esiste un profilo di personalità ideale, esistono dei profili che sono più di moda e più accettati
dalla società, e questo spiega perché siamo tutti così diversi: ci sono 5 dimensioni con una scala
che va da estroverso ad introverso con in mezzo infiniti punti che rappresentano la nostra
personalità. A questo c’è una risposta darwiniana che sta nel fatto che l’ambiente cambia così
velocemente e esistono così tanti tipi di ambienti (società, lavori) che esiste l’ambiente giusto per
ogni tipo di personalità. Si deve, quindi, cercare il buon match tra le proprie caratteristiche di
personalità e l’ambiente per potersi adattare al meglio e avere un vantaggio da ciò. C’è sempre
una situazione dove un profilo specifico è il più adatto.
SERIAL KILLER E CRIMINALI = BASSA AMICALITÀ e BASSO NEVROTICISMO.
Vedere video BBC: https://www.youtube.com/watch?v=7OuuvICk89Q&t=473s

TRATTI E COMPORTAMENTI
Amicalità, coscienziosità, nevroticismo (basso) = impatto sulla dimensione della relazione e in
particolare predisposizione al “getting along” perché ci rende affidabili, prevedibili e empatici.
Apertura all'esperienza, estroversione, coscienziosità e nevroticismo (alto) = impatto sulla
dimensione del task e in particolare del “getting ahead”, avendo quindi successo nel lavoro.

MEYER-BRIGGS sviluppano un loro modello di misura basato sui TIPI COGNITIVI. Tuttavia, sta
emergendo come tale approccio non è dimostrato scientificamente, non è affidabile al 100%.
Il modello dei BIG FIVE è molto più accurato, questo test invece ha risultati instabili che tendono a
cambiare nel tempo; inoltre, non si è nemmeno sicuri che questi siano veri tratti di personalità,
possono anche essere atteggiamenti che si sviluppano in rapporto ad un certo tipo di problema
che dev’essere risolto. DA PRENDERE CON LE PINZE QUESTO TIPO DI MODELLO.
Tali dimensioni sono scoperte da HUNG e tutto il test di MEYER-BRIGGS pone le sue basi su ciò:
ESTROVERS-INTROVERS (introdotto da HUNG nella psicologia);
SENSING-INTUITION (abbiamo bisogno di sentire per credere come san tommaso, oppure ci
affidiamo alla nostra intuizione);
THINKING-FEELING (sono una persona fredda, razionale e logica oppure sono tutto sentimento e
mi faccio colpire da cose che suscitano in me delle em0ozioni). La ricerca dice però che tale
dicotomia è falsa, non seguiamo o solo il cervello o solo il cuore bensì il nostro cervello usa le
emozioni per decidere dunque i due campi sono in realtà collegati. Tale visione andrebbe
completamente ribaltata. Nei fatti però è questo il modo in cui la gente etichetta gli altri: freddi o
sentimentali;
JUDGING-PERCECELVING non si fa colpire dalla realtà, ma la giudica e ha un metro morale con cui
valuta quello che vede. La seconda persona è più aperta e si fa influenzare dall’ambiente esterno,
non ha una visione standard della realtà e si fa influenzare da com’è il mondo in quel momento.
E-I / S-N / T-F / J-P sono gli 8 valori che combinati possono produrre vari profili diversi.

Ribadiamo di nuovo che non esiste un profilo di personalità ideale, anche se la società oggi sembra
premiare le personalità di tipo estroverso infatti si è anche discusso sul fatto che l’essere introversi
potesse essere una malattia ma la presenza di introversi è utile alla società.
L’ESTROVERSO mette prima il mondo e poi l’io (cerca le esperienze e poi capisce chi è), mentre
L’INTROVERSO prima mette il proprio mondo interiore poi il mondo (ha bisogno prima di capire sé
stesso e poi riesce ad agire).
Il questionario non è il massimo per valutare le persone perché semplifica troppo la complessità
umana.
CORE SELF EVALUATION

Cos’è la core self evaluation?


Attraverso vari studi si è arrivati a definire che la visione che
abbiamo di noi stessi e il modo in cui ci valutiamo influenzi la
nostra salute e qualità di vita in generale.
Tra i vari modelli che sono stati sviluppati troviamo la core
self evaluation che si basa sulla domanda “Qual è l’idea
fondamentale che abbiamo di noi stessi? Come ci
valutiamo?”.
Con questo test si è visto che le persone differiscono tra
coloro che hanno un atteggiamento verso sé stessi
estremamente positivo e coloro che hanno una valutazione
del proprio core (CENTRO) piuttosto problematica.
Definizione:
È un tratto di personalità che rappresenta il modo in cui un individuo valuta sé stesso per quanto
concerne la competenza e la possibilità di esercitare un controllo sulla propria vita.
DIMENSIONI COSTITUTIVE
Questa capacità si vede rappresentata in funzione di 4 elementi (immagine) che se ben ponderati
portano ad una core self evaluation positiva. Questi sono:
AUTOSTIMA = giudizio di valore che esprimiamo su noi stessi (buoni /cattivi, giusti/sbagliati, di
valore/senza valore). Questo giudizio di valore si spalma su tutta la persona.
AUTOEFFICACIA = giudizio di fatto circa la nostra capacità di raggiungere risultati positivi in un
certo ambito Prestazione = competenza x autoefficacia (fiducia che ho nelle mie competenze) ed
ecco perché persone con le stesse competenze arrivano a prestazioni diverse. Da non confondere
con la motivazione. Si concentra solo su un aspetto non su tutta la persona. Questa è quindi un
giudizio di fatto e specifico. Più sono gli ambiti dove ho un’alta autoefficacia più ciò impatta sulla
mia autostima.
La domanda che ci dobbiamo fare è quanto per noi stessi sia importante migliorare la nostra
autoefficacia, ma quindi come si sviluppa l’autoefficacia?
Il primo modo sarà quello di avere esperienze personali di successo, questo è molto importante
per rinforzare la fiducia nelle proprie responsabilità (obiettivi relativamente difficili, ma adeguati al
raggiungimento del successo della persona).
La seconda metodologia è quella delle esperienze vicarie di successo. In questo caso non è
necessario che io in prima persona raggiunga quell’obiettivo, ma se osservo una persona che io
ritengo essere simile a me riuscire in quell’ambito questa cosa rassicura anche me (motivo per cui
si fanno le cose come studiare e sciare insieme). Naturalmente è necessario scegliere il target
adatto: se l’esempio è troppo distante da me non mi motiva, anzi mi può portare anche a
demoralizzarmi e distruggere la mia autostima.
La terza fonte è la persuasione, quello che ci dice qualcuno la cui opinione per noi è importante e
che riteniamo credibile (genitori, insegnanti, amici) diventa poi quello che noi diciamo a noi stessi.
La quarta fonte che utilizziamo per capire se siamo capaci di raggiungere un obiettivo oppure no
sono degli stati fisiologici (utilizzato spesso nello sport) grazie ai quali riusciamo a capire se siamo
capaci di raggiungere un obiettivo oppure no (senso di calma e battiti non accelerati ti fanno
sentire in controllo della situazione).
LOCUS OF CONTROL = Dove sta la causa di quello che mi accade di negativo o di positivo nella vita.
 Pensando che sia INTERNO quello che mi accade dipende da me. Tipicamente occidentale,
tale concezione è collegata ad un’alta stima di sé stessi (mito del self-made man).
 Pensano che sia ESTERNO quello che mi accade dipende da forze esterne a me come
FORTUNA-SFORTUNA. Il massimo del locus of control esterno è credere nel karma, è una
cultura più orientale.
L’ultima dimensione (tratto di personalità) è il BASSO NEVROTICISMO = una bassa propensione a
provare emozioni come: ansia, paura, senso di colpa, tristezza, disgusto. Propensione a provare
emozioni positive come: gioia, senso di appartenenza. Una visione positiva, ottimistica, della vita
secondo alcuni studi sembra che allunghi la vita.
Le persone si distinguono in base a quanto forte e positiva è la concezione che hanno di sé.
CONSEGUENZE
Alta core-self evaluation: individui positivi, sicuri di sé, in controllo delle proprie capacità, basso
nevroticismo. Ciò è positivamente correlato con:
- livelli mediamente più elevati di job satisfaction e commitment per riuscire ad avere un
forte senso di commitment gli americani hanno sviluppato una formula, ABCD = Above and
Beyond the Call of Duty, per riuscire ad andare al di là ed oltre di ciò che è richiesto per
fare il proprio dovere (c’è chi si limita a fare ciò che viene richiesto e chi si impegna per fare
sempre al meglio le cose). Quando c’è un forte commitment negli individui dell’azienda la
performance è migliore e in costante progresso, mentre se il commitment diminuisce i
risultati si appiattiscono;
- performance mediamente superiori in ruoli caratterizzati da forte esposizione relazionale e
in particolare in ruoli di servizio al cliente;
- maggiore velocità nella progressione di carriera per la disponibilità ad assumere livelli
crescenti di responsabilità e a prendere parte a progetti complessi che danno visibilità
facilitando la costruzione di network interni.
I VALORI
I valori sono convinzioni profondamente radicate e stabili che rappresentano un criterio in base al
quale l’individuo definisce le proprie priorità e decide modalità e orientamenti motivazionali e
comportamentali. Questi sono spesso integrati in un ordine gerarchico che definisce il sistema di
valori di un individuo e possono essere sia individuali che di gruppo. Nel rapporto tra individuo e
gruppo si pone quindi la questione della congruenza (fit) del proprio sistema di valori con quello
del gruppo e/o dell’organizzazione.
I valori possono essere visualizzati a
strati e sono:
- i valori nazionali o della
cultura del gruppo di
appartenenza di un individuo
(cosa che hanno valore per
un italiano può non essere
riconosciuto in altre culture).
Quindi si fanno analisi sui
valori che distinguono una
cultura nazionale dalle altre.
- I valori aziendali che sono
sempre più diffusi. Questi tutte le aziende si stanno dando una carta dei valori dove viene
espresso qual è lo scopo dell’azienda e quali sono le basi sulle quali si fonda tale
organizzazione. Spesso sono valori che vengono attribuiti in parte anche al fondatore
dell’azienda, specialmente quando questo diventa lo sponsor dell’azienda (RANA,
AMADORI). Allineare le persone ai valori aziendali diventa anche un elemento di selezione
delle persone. Molto importante in ambito aziendale è, specialmente negli ultimi anni, il
valore della CSR.
- I valori individuali che sono i valori che ognuno di noi ha e che orientano il nostro
comportamento. Questi orientano gli scopi e gli obiettivi e anche il modo in cui questi
vengono raggiunti.
I valori sono una bussola che orienta il comportamento di un individuo verso ciò che ritiene
importante, giusto e buono per sé.
Schwarts ha orientato i valori lungo due
dimensioni (immagine): da un lato vi è
l’apertura al cambiamento (orientamento
ad accettare la realtà così com’è) in
opposizione ad una visione più
conservativa (dare importanza alla
tradizione e non al cambiamento),
dall’altro troviamo la valorizzazione del sé
(egoistico) in contrapposizione con la
trascendenza del sé (più volto al bene
della società). Ci si può orientare su queste due
diagonali. Sono 57 valori in 10 cluster, in 4
quadranti: si parte dall’universalismo proseguendo
in senso orario.

La lezione di Randy Paush:


https://www.youtube.com/watch?
v=6PaS3hnV4gc .
“THE WAY WE LIVE” è definito dai valori e
dagli obbiettivi che vogliamo perseguire:
- BENEVOLENZA
- TENACIAWORK HARD
- ENERGIA/OTTIMISMO/POSITIVITÀ
- GRATITUDINE (ci aiuta a vivere
meglio, di più e sviluppare buone
relazioni con le persone)
- INTEGRITÀ MORALE
- RESILIENZA
- UMILTÀ
- SINCERITÀ
- CURIOSITÀ
- PERSONE>COSE
- AMBIZIONE
- LIBERTÀ
I VALORI AZIENDALI
I valori aziendali indirizzano il modo di
vivere e lavorare all’interno di un’azienda.
Il rapporto tra i valori aziendali e i valori
individuali è definito
dall’attraction/selection/attition model
che spiega perché nel breve periodo
l’omogeneità valoriale all’interno di
un’organizzazione tenderà ad aumentare,
il che potrebbe rappresentare un
problema perché il valore potrebbe essere
sbagliato o non più attuale rispetto alla società. Il primo fenomeno è l’attraction delle persone con
valori simili all’azienda, successivamente c’è la selection che si basa non solo sulle competenze ma
anche con la coerenza di valori. Se per caso qualcuno che non ha valori simili riesce ad entrare
nell’organizzazione dopo un po’ vengono espulse/decidono che non è il lavoro per loro (attrition).
L’insieme di questi tre componenti porta ad una massima omogeneità dei valori e ha delle
implicazioni positive perché è più facile lavorare con persone che la pensano come noi, però può
avere implicazioni negativa nel caso in cui i valori che ci guidano sono dei disvalori o se l’ambiente
richiede dei valori diversi per essere competitivi (perdiamo il FIT).
UN RITORNO ALL’EQUAZIONE DELLA PERFORMANCE - IL RUOLO
PRESTAZIONE = COMPETENZE * MOTIVAZIONE * COMPRENSIONE DEL RUOLO (avere chiaro in
testa cosa le persone si aspettano da me).
Il ruolo è un concetto sociologico che sta nell’interazione tra l’individuo e il gruppo e distinto dal
concetto organizzativo di posizione. I primi sociologi lo interpretavano quasi come se fosse un
ruolo teatrale o cinematografico. Noi apparteniamo a diversi gruppi e in ogni gruppo
interpretiamo il ruolo che è fatto per non deludere le aspettative che il pubblico ha nei nostri
confronti.
Definizione:
Il ruolo è un modello di comportamento dell’individuo definito dalle aspettative di un gruppo.
L’assunzione di un ruolo da parte di un individuo avviene attraverso un processo di assunzione
dinamica. Questo processo ha diverse fasi e in qualunque fase qualcosa può andare storto e creare
molti problemi. Le fasi sono:
1. EMISSIONE DELLE
ASPETTATIVE da parte del
gruppo nei confronti
dell’individuo;
2. PERCEZIONE DELLE
ASPETTATIVE da parte
dell’individuo;
3. ASSUNZIONE DEL RUOLO da
parte dell’individuo.
In ciascuna fase possono sorgere
problemi capaci di creare tensioni di ruolo:
1. Il gruppo può emettere aspettative poco chiare, imprecise e in contraddizione tra loro (il
gruppo è spaccato in due)  AMBIGUITA’ DI RUOLO (il ruolo nasce male perché il gruppo
non investe abbastanza o non è sufficientemente sicuro di ciò che si aspetta da noi,
frequente quando i ruoli in azienda sono nuovi) in questo caso si deve lavorare sulla
comunicazione tra gruppo e individui per risolvere la tensione;
2. Il soggetto attraverso la percezione filtra le aspettative del gruppo attraverso i propri
schemi percettivi incoerenti con quelli del gruppo (es. filtri culturali) DISTORSIONE DI
RUOLO si deve lavorare sui filtri che l’individuo utilizza per percepire le aspettative;
3. Il soggetto ha perfettamente compreso un ruolo atteso in modo chiaro e definito dal
gruppo, ma non vuole o non può aderirvi (per conflitto di valori o mancanza di capacità,
risorse, o tempo)  INCONGRUENZA DI RUOLO in tal caso o si cambia l’individuo o gli si
danno le risorse adeguate ad adempiere al ruolo richiestogli dal gruppo;
4. C’è un’ultima forma di tensione che i sociologi hanno definito come INCLUSIONE PARZIALE
che avviene quando vi è uno scontro tra gruppi, ovvero nel caso in cui entrano in contatto
due pubblici che si aspettano ruoli diversi da noi e quindi si sviluppano delle tensioni tra
ruoli (es. amico vs fidanzato, famiglia vs lavoro). Questo è il motivo per cui tendiamo a
separare i ruoli e non farli entrare in contatto.
Def inclusione parziale dalle slide: “Per effetto del fenomeno dell’inclusione parziale, ciascuno di
noi appartiene a più gruppi e “recita” di fronte a pubblici diversi. Se questi gruppi hanno attese di
ruolo diverse, nel momento in cui entrano in contatto tra loro possono mettere l’individuo in una
condizione di tensione per il fatto di non sapere quale tra i ruoli attesi tenere.”
I ruoli nei contesti organizzativi più soggetti a tensione sono:
- I ruoli di confine (e.g. quadri intermedi, venditori)
- I ruoli nuovi
- I ruoli che devono produrre innovazione
Le tensioni generano un peggioramento della performance perché riduce la capacità di svolgere al
meglio il ruolo.
4-PERCEZIONE

La percezione è un processo studiatissimo da psicologi e filosofi che ha a che fare con una
domanda fondamentale “Esiste la realtà o esiste solo quello che noi percepiamo della realtà?”
Che la percezione sia qualcosa di fondamentale si può capire in N modi molto semplici.
Immaginiamo di essere in una stanza di una famiglia agiata milanese e dobbiamo percepire gli
oggetti essendo dei ladri, l’ordine di percezione sarà dato da criteri di facilità di trasporto. Nel caso
in cui fossimo genitori con bambini piccoli che hanno iniziato a gattonare i criteri sarebbero:
pericolosità e fragilità. Noi non siamo passivi alla percezione della realtà, ma la nostra percezione
è:
- Selettiva perché ci concentriamo solo su quello che contribuisce al nostro scopo e si
possono perdere alcuni dettagli;
- Personale perché decidere cos’è rilevante in quella determinata situazione e accendere o
spegnere i nostri recettori dipende da quelli che sono i miei scopi nella realtà, ma ci può
essere anche una manipolazione degli stimoli affinché certi stimoli diventino percepibili e
altri no.
Possiamo essere guidati nella percezione per fare in modo che si percepisca qualcosa oppure no
(es. pubblicità).
La percezione è un processo psicologico di creazione di un’immagine interna del mondo esterno.
Si tratta di un processo cognitivo attraverso il quale gli individui raccolgono e organizzano le
informazioni riguardo le persone, gli oggetti e gli eventi.
È un processo di interpretazione delle informazioni forniteci dai nostri sensi in modo da dare un
significato all’ambiente circostante.
Percezione è il processo in base a cui le persone selezionano, organizzano e interpretano gli stimoli
intra-personali, interpersonali e ambientali a cui accedono attraverso i 5 sensi e la propria
sensibilità personale, e che appaiono come particolarmente importanti per rispondere in modo
adattivo all’ambiente.
La realtà è ambigua e le dinamiche che entrano in gioco sono la selettività e la stereotipizzazione
(no visione negativa come gli stereotipi, ma semplicemente che dopo aver selezionato
l’informazione dall’esterno devo anche inserirla in un tipo generico per poterla associare; una
sorta di catalogo mentale per interpretare più velocemente la realtà).
Dobbiamo dare un significato alla realtà e seguire delle regole sulle quali viene costruita la
comunicazione efficace.
PRINCIPI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA (WERTHEIMER, 1923)
Gli individui hanno un’attitudine innata a conferire significato alle cose.
Ciò che siamo e sentiamo e il modo in cui agiamo sono il frutto di una complessa organizzazione
che guida i nostri processi di pensiero.
Per comprendere il mondo che ci circonda tendiamo ad ordinare i dati percepiti secondo regole di
organizzazione.

PROCESSO DELLA PERCEZIONE


Ha a che fare con una domanda
fondamentale: esiste la realta o
no?
La percezione è:
 Selettiva: ci concentriamo solo su quello che contribuisce al nostro scopo e si possono
perdere alcuni dettagli
 Personale: dipende da quelli che sono i miei scopi nella realta, si puo verificare una
manipolazione degli stimoli, es: pubblicità
La percezione è un processo psicologico di creazione di un’immagine interna del mondo esterno
Dopo la selezione, devo organizzare e orientare gli stimoli (anche interni). La percezione non è
passiva ma è un processo fisiologico, attivo, dinamico e soggettivo.
Dipende da:
 Noi (stato d’animo, obiettivi, bisogni, desideri, valori…)
 Caratteristiche dell’oggetto percepito (dimensioni, intensità, contrasto, ambiguità, status
sociale…)
 Contesto (caratteristiche dell’ambiente)
Tutto questo influenza anche le relazioni nel contesto lavorativo. Sono presenti delle distorsioni
che sono migliorabili:
 Effetto primacy (prima impressione): per quanto uno cerchi di non dare peso, le prime
informazioni pesano molto di piu di quello che accade dopo. Aspetto fisico,
comportamento non verbale, comportamento manifesto sono altri indizi visibili su cui si
basano le prime impressioni
 Effetto alone: prendiamo un’unica caratteristica di una persona e ci convinciamo che
questa influenzi altre sue caratteristiche
 Profezia che si auto avvera: le aspettative che si nutrono nei confronti di un individuo lo
portano ad assumere comportamenti conformi a quelle aspettative
 Proiezione: attribuiamo agli altri i nostri tratti di personalità
 Stereotipo: sistema di convinzioni/credenze relative alle caratteristiche di un gruppo o di
una categoria sociale. Agisce a livello cognitivo e condiziona i giudizi, le valutazioni, e le
decisioni di chi utilizza lo stereotipo per “leggere” un individuo.
BYSTANDER EFFECT (effetto spettatore): è molto difficile uscire dal gruppo ed agire per primi. Però
se uno rompe la regola del gruppo, allora altri si uniranno a quel gruppo.
EFFETTO STEREOTIPO idea del “noi” e del “loro”, esistono dei gruppi di appartenenza con confini
definiti.
TEORIA IMPLICITA DI PERSONALITA: non ha nulla di scientifico, tendiamo ad accoppiare tratti di
personalità. Es: chi dorme fino a tardi è pigro
Processo di attribuzione: riguarda il modo in cui interpretiamo quello che fanno gli altri, e i
risultati che questi comportamenti hanno. Per sopravvivere come specie ci siamo dovuti
improvvisare come quasi-scienziati, ovvero abbiamo dovuto capire i processi di causa-effetto. Le
cause possono essere interne o esterne, stabili o instabili. Il fatto di attribiure on modo diverso
crea distorsioni. Nel cercare la causa possiamo essere autoindulgenti o autoprotettivi. Ad esempio:
ad un nostro successo viene attriubuita una causa interna stabile, ad un nostro insuccesso
attribuiamo una causa esterna instabile. Tendiamo a fare associazioni che ci aiutino ad avere
fiducia in noi stessi. Sulla base dell’attribuzione cambiano le nostre azioni ed interpretazioni. Al
modello è stata aggiunta una terza dimensione: controllabilità della causa. Es: mi sono schiantato
con la macchina, dovevo andare a fare la revisione.
LEZIONE 8-ATTRIBUZIONE

L’attribuzione è uno dei processi fondamentali psicologici. Si pensi a cosa significa attribuire ad una
cosa o persona le cause di un evento, a seconda della spiegazione che ci si da cambiano i
comportamenti. Si pensi al dibattito di questi giorni: follia di una persona o cause esterne ed
oggettive che sono capaci di giustificare ciò che non è giustificabile in assoluto.
È un esempio della nostra ricerca continua di “cosa ha causato” ciò che stiamo osservando. Sulla
base dell’attribuzione cambiano i nostri sentimenti, azione e interpretazione del fenomeno.
“L’attribuzione causale è quel processo che le persone mettono in atto quando cercano spiegazioni
per il proprio e per l’altrui comportamento, ossia quando inferiscono le cause che stanno dietro
specifiche azioni.”
Poi c’è Fritz Heider che dice che siamo scienziati ingenui: andiamo alla ricerca delle cause di quello
che ci circonda esattamente come abbiamo fatto e come continuiamo a fare per cercare le cause dei
fenomeni naturali che ancora non conosciamo, dal virus, alla fusione atomica e così via…
Raccogliamo dei dati e cerchiamo di farci una ragione di quello che osserviamo
“Fritz Heider: modello di individuo come scienziato ingenuo: come uno scienziato, l ’individuo,
dotato di capacità logico razionali, raccoglie i dati necessari alla conoscenza di un certo oggetto e
giunge a conclusioni logiche sui fenomeni.”
Il motivo per cui cerchiamo di capire la natura di ciò che ci circonda è che così aumenta la capacità
di controllare ciò che ci circonda. Questa è una delle motivazioni di fondo che gli esseri umani
hanno; da quella dipende ed è dipesa la nostra sopravvivenza come specie, ovvero se noi siamo in
una situazione di totale incertezza e non sappiamo quello che sta per succedere nei prossimi minuti
e non abbiamo nessun controllo sull’ambiente in cui ci troviamo, e questa condizione genera uno
stress elevato. Ciò si può riferire alle situazioni in generale, sia come quella che stiamo vivendo da
due anni, guerra… la sensazione è quella di non avere controllo e di sentirsi impotenti. Quando sia
ha la sensazione di non avere il controllo su ciò che accade, ciò provoca sia un disagio piscologico,
sia disturbi e problemi di salute, perché il senso di sicurezza di cui abbiamo bisogno deriva dal
controllo del nostro ambiente. Nella piramide di Maslow la sicurezza è uno dei bisogni di base.
Si può cercare di riempire questo schema quando si pensa ad un evento vissuto o provato
personalmente.

L’attribuzione può essere distorta dagli stereotipi. Che io sia l’osservatore o che sia il protagonista,
continuamente noi operiamo questo processo e operiamo queste due dimensioni, la stabilità o
instabilità della causa, piuttosto che essa sia interna di tipo personale o esterna, cioè di tipo
impersonale. A questo modello è stata poi aggiunta una terza dimensione, che riguarda sempre il
soggetto, ed è quella della controllabilità della causa.

Il nostro cervello è particolare e oltre che cercare energia, l’altra cosa che ha particolarmente a
cuore è mantenere una buona immagine di noi. Ciò vuol dire continuare a credere che noi
abbiamo davvero la possibilità di influenzare e controllare l’ambiente che ci circonda. Il momento
in cui questa sensazione viene a mancare ci troviamo in una condizione di impotenza, che è la
peggiore in cui ci possiamo trovare, oltre che la più pericolosa per noi e per questo è difficile da
tollerare, perché è segnale di un pericolo che potrebbe mettere in discussione. Il nostro cervello fa
di tutto per confortarci e dirci “guarda, continua a nutrire fiducia sulla tua capacità di controllare
correttamente l’ambiente e di decidere se è la cosa giusta da fare”, avendo successo nel farla. Per
darci questo boost positivo, di cui tutti abbiamo bisogno (senza il quale finiamo in stati psicologici
di tipo patologico”. Il cervello introduce una serie di “bias” ovvero distorsioni della realtà con cui
percepiamo di avere il controllo.
Il primo si chiama Errore fondamentale di attribuzione: noi tendiamo a preferire spiegazioni di
tipo personale (le disposizioni che un soggetto porta, ad esempio è colpa del carattere, non è
abbastanza preparato…; oppure il fatto che si da la responsabilità all’allenatore per l’esito di una
partita di calcio). È tutto dovuto al fatto che se ci siamo in mezzo noi umani abbiamo la capacità di
influenzare l’ambiente. L’altro motivo è che i comportamenti umani ci colpiscono di più, sono più
vividi, caldi. Ci colpiscono di più di un dato, ovvero un’informazione fredda, numerica, di sfondo.
Vedere qualcuno agire, vedere che caratteristiche ha. Si riferisce alla tendenza generale delle
persone a sovrastimare l’impatto dei fattori disposizionali (cioè attribuire le cause a fattori
interni) e a sottostimare i fattori situazionali (cioè attribuire le cause a fattori esterni)
Le cause possibili della distorsione:
• la maggiore salienza dei comportamenti personali
• la diversa rapidità con la quale si dimenticano le cause
situazionali e quelle disposizionali
• la cultura
Ci ricordiamo più l’errore di una persona che l’andamento del mercato. Ci sono culture che danno
più attenzione ai fattori di tipo ambientale che alla capacità dell’uomo di influenzare il corso degli
eventi.
L’altro bias che il nostro cervello utilizza per mantenere alta l’autostima e il senso di autoefficacia è
il Self-serving bias, proprio perché ci fa un favore, un servizio, ci aiuta. Nel caso di prestazioni
positive sopravvalutiamo i fattori di tipo personale (se qualcosa è andato bene nella vita è
sicuramente merito nostro, motivo per cui spesso siamo ingrati, è difficile riconoscere che ci hanno
aiutati), se si tratta di spiegare un fatto negativo, si da la colpa a cause ambientali instabili, per cui
il successo lo attribuiamo a noi e l’insuccesso a fattori esterni. Quando guardiamo gli altri
tendiamo a fare l’opposto. Immagina partita di tennis con antagonista fatta davanti ad amici e
parenti. Se vince l’altro il campo è poco illuminato, con uno così fortunato non gioco più…

Questo processo è importante, collegato allo stress e al benessere (temi molto vicini alla realtà
aziendale di oggi dove si sta vivendo un momento di burnout, per il numero di persone che stanno
male e vogliono o hanno lasciato il lavoro che è molto aumentato).

Ognuno di noi sviluppa un proprio stile attributivo, che influenza il nostro umore, la nostra
capacità di rapportarci alla realtà e di risolvere problemi. Una rozza divisione è tra uno stile di
attribuzione di tipo ottimistico (quello che abbiamo appena visto), da uno stile di tipo pessimistico.
Lo stile attribuzionale depressivo tende a individuare le cause degli eventi negativi in fattori interni
e stabili. Chi ha questo stile di attribuzione o vive uno stato clinico depressivo, tende ad attribuirsi
la responsabilità degli eventi negativi, il senso di colpa è una delle cose più preponderanti della
depressione (tra le più diffuse ora). Si attribuiscono i disastri della propria vita. Non è più come
interpreto un singolo fatto ma come interpreto la realtà.

Esperimento dell’impotenza appresa di Seliman


Lo stile di attribuzione negativo ci può essere insegnato dall’esperienza di vita, o ad esempio
possono essere ambienti in ufficio o atteggiamento dei capi ad indurre questo stile di attribuzione.
L’esperimento era così: c’è una gabbia, fatta di due parti con in mezzo un ostacolo che il cane può
saltare. Per terra ci sono barre di rame che possono essere elettrificate. Nella prima fase c’è un
suono dopo il quale vengono elettrificate le sbarre e il cane salta dall’altra parte, e viene ripetuto
finché il cane associa il suono a qualcosa che gli sta per accadere. Però il cane sta bene perché
pensa di poter evitare la scossa saltando appena sente il suono. A un certo punto iniziano a dare
elettricità continuamente a tutte e due le parti della gabbia e dopo un po' di tentativi in cui prova a
saltare si accuccia in un angolo della gabbia, anche se elettrificata, e non si muove più. In quel
momento i suoi parametri vitali, comincia a stare male. Quando poi aggiungono altri cani, mentre
gli altri continuano a saltare, lui non ci prova nemmeno più. Bisogna stare attenti alle esperienze in
cui non ci sembra di avere controllo sulla nostra vita, perché da un lato inducono la depressione,
non riesco più ad agire, non faccio niente; l’altro sintomo è un’estrema aggressività, che si sta
iniziando a vedere in giro. Entrambi sintomi che si sono accentuati post Covid.
Quello che conta è continuare a credere di avere la possibilità di modificare con la nostra azione
una situazione negativa. Ci blocchiamo e ci ammaliamo quando perdiamo questa speranza di
cambiamento in meglio attraverso l’azione.

Le emozioni
Per chi vuole approfondire, Feldman-Barret e Antonio D’Amasio hanno scritto riguardo le scoperte
più recenti nel campo delle neuroscienze e delle emozioni e sul ruolo delle emozioni nelle
decisioni. D’amasio ha scritto “L’errore di Cartesio” sull’erronea credenza di separare cogito da
emozioni. Oggi la ricerca è molto avanti e si vedono le aree del cervello che vengono attivate
quando proviamo una determinata emozione
Le emozioni sono circuiti neuronali (parzialmente dedicati), stati psicofisici complessi che orientano
percezioni, pensieri e comportamenti nella reazione a qualcosa di importante che ci accade. Per
sviluppare un’emozione c’è la situazione in cui io mi trovo, ma anche io che entro in questa
situazione e mi porto dietro la mia esperienza come ho vissuto quella situazione in situazioni
passate, se non è totalmente nuova e in mezzo c’è il mio cervello, i circuiti neuronali che si
attivano e si spengono in relazione agli stimoli che ho dall’ambiente. Mettendo insieme tutte
queste cose io sviluppo un’idea riguardo ciò che mi sta accadendo. Quando ci stiamo avvicinando a
qualcosa di positivo il nostro cervello sviluppa emozioni positive, come una sorta di GPS che ci
guida. Gioia, curiosità, soddisfazione. Questo accade anche al contrario. Il cervello lo fa anche
prima che noi siamo coscienti che stiamo vivendo una cosa sbagliata per noi, ad esempio se siamo
in una cosa relazione che non funziona, non lo vogliamo ammettere, però iniziamo ad avere
sensazioni negative, come scatti di rabbia che non sappiamo spiegare, ansia… ancora non hai
realizzato ma stai reagendo. Questo avviene dalla relazione col capo a quella col partner. Il
cervello inizia una reazione che mira a proteggere il cervello e orientano le reazioni che noi
compiamo.
Le emozioni forniscono anche informazioni alle persone che le provano, e possono includere
precedenti valutazioni cognitive così come il pensiero corrente dell’individuo che include
l’interpretazione del proprio stato emotivo, delle espressioni e dei segnali sociocomunicativi.
I neuro scienziati distinguono “emotion” da “affect”. Affect è una specie di emozione primitiva ed
è una lettura che il nostro cervello fa di come stiamo. Ha due assi: orizzontale va da male a bene,
quello verticale va da attivo a passivo.
C’è un modo classico di guardare alle emozioni che oggi è superato che è ancora nel libro di testo
però. Paul Ekmann è l’esponente principale dell’approccio “classico” alle emozioni che ha alcuni
principi base: le emozioni sono un fatto di tipo genetico, nel DNA degli esseri umani in quanto tali,
e vengono manifestate nello stesso modo da tutti.
Chiede a degli attori di interpretare quelle che sono considerate le emozioni di base secondo la
teoria classica, ovvero felicità, tristezza, sorpresa, rabbia, paura e disgusto. Va in giro a far vedere a
tutti le facce e dimostra che in tutto il mondo le persone riescono ad indicare lo stesso tipo di
emozione, riconoscono i volti legati alle singole emozioni. Le persone confondono la sorpresa con
la paura e la rabbia col disgusto. Critiche di Linda Barrett all’approccio classico:
1- Non è vero che un’espressione del viso sia l’indicatore di un unico stato emotivo. Ad
esempio, il volto di un atleta che sta vincendo un match, ha un volto simile a qualcuno di
arrabbiato. Le persone usano plasticamente il loro volto/corpo per dare rappresentazione
ad una gamma molto ampia di osservazioni
2- Esiste una varietà culturale molto ampia nell’espressione delle emozioni, l’idea che sia solo
un fatto genetico viene ribaltata. In certe culture abbiamo la possibilità di provare emozioni
in particolari modi. È appena uscito un libro sull’ ”hygge” forma di benessere definita in un
determinato modo (in questo caso danesi o svedesi, non se lo ricorda). Il modo di
esprimere le emozioni di un italiano è diverso da quello di un giapponese, tedesco ecc….
Le emozioni si distinguono tra stati (reazione ad una determinata situazione, mi arrabbio
perché qualcuno mi taglia la strada), piuttosto che tratti (ho un profilo di personalità tale per
cui tendo ad arrabbiarmi facilmente, personalità di tipo A o B, a parità di stimolo c’è chi si
arrabbia e chi no).
“Gli stati emotivi sono stati mentali che derivano da una nostra valutazione di un evento. Hanno
natura intensa e focalizzata nel tempo, sono legati a un preciso stimolo ambientale, sono
accompagnati da processi fisiologici e sono molto spesso espressi attraverso il corpo”
“I tratti emotivi sono le predisposizioni individuali, stabili nel tempo, a percepire la realtà intorno a
noi come positiva o negativa”

Mappa affettiva di Barret e Russel (2009) : sono 2 assi, in orizzontale abbiamo valenza positiva o
negativa, ovvero se sto male o bene, in verticale abbiamo elevata o bassa attivazione, che indica se
sono privo o carico di energia. Affect non è esattamente affettività, in inglese ha un connotato più
fisico. Dentro ciascun quadrante c’è un preciso stato affettivo di un individuo in una determinata
situazione o in un particolare momento. SU questa base si costruiscono le emozioni che sono ancora
più elaborate e sofisticate e consentono al nostro cervello di interpretare la situazione e prepararsi
ad agire in quella situazione.

È importante distinguere tra emozioni positive o negative.


Le emozioni positive (felicità, sorpresa, orgoglio, amore/affetto, sollievo, pace)
Le emozioni negative (rabbia, paura/ansia, colpa/vergogna, tristezza, invidia/gelosia, disgusto). Tra
colpa e vergogna ci sono delle differenze culturali, nelle culture di tipo individualistico, di tipo
occidentale in cui si da molto peso all’individuo, l’emozione prevalente è il senso di colpa, io ho
fatto qualcosa di cui mi pento; nelle culture di tipo collettivista(Giappone), dove è il gruppo a
prevalere e io devo essere il buon membro di una comunità. l’emozione negativa più forte è la
vergona, ho fatto qualcosa che il gruppo disapprova, di cui mi vergogno agli occhi degli altri.
È importante distinguere questi tipi di emozioni, soprattutto nel mondo del lavoro, per distinguere
ambienti sani e produttivi o ambienti che inducono depressione e altri stati negativi.
Le emozioni funzionano come un diaframma, quelle negative tendono a chiudere l’attenzione, ci
portano a concentrarci su qualcosa, ci preparano all’azione e immediatamente hanno effetto.
Le emozioni positive hanno l’effetto opposto, ci rendono curiosi di fare esperienza e conoscenza
Questa è la teoria di Barbara Fredrieckson, ed è la teoria broaden and built, ampliamento e
costruzione. In chiave manageriale, se io spavento le persone e dunque uso la paura come leva, non
spingo la persona ad agire in maniera creativa, ma porto la sua attenzione sull’evitare il pericolo, la
mia rabbia, l’evitare di fare errori, che è il contrario di quello che serve per imparare cose nuove. Se
le aziende in crisi vengono gestite con stile autoritario, bisogna cercare di creare un clima
organizzativo che stimola le persone a provare emozioni positive(che stimolano la creatività, e
l’apprendimento, motivo per cui ci ricordiamo determinate materie o professori)
COLLERA: risposta emotiva di difesa e di attacco a fronte di qualsiasi evento che impedisca di
raggiungere o mantenere la condizione desiderata
PAURA: risposta emotiva di fuga
DISGUSTO: urgenza di espellere
GIOIA: Attivazione generalizzata che favorisce un approccio positivo al mondo
SOPRESA: Stimola processi attentivi e l’attività di esplorazione dell’ambiente

Le emozioni positive sono correlate al nostro stato di salute fisica, e ci aiuta ad instaurare relazioni
positive con gli altri. Seligman è il fondatore della psicologia positiva, movimento dlel’inizio degli
anni 2000, presidente dell’associazione nazionale degli psicologi americani, i suoi studi partono da
un’idea semplice, perché si è preoccupata di prendere persone che stanno male e portarle in uno
stato migliore. Invece la psicologia si deve concentrare su ottimismo, felicità , relazioni ed i loro
effetti. Hanno scoperto che provare emozioni positive ha impatto sulle nostre prospettive di vita,
qualità delle relazioni che viviamo.
Questionario PANAS (positive and negative affect survey), video del discorso motivazionale di al
pacino preso dal film Ogni maledetta domenica

Emotional Labor, può avvenire quando il lavoro richiede un certo tipo di espressione di emozioni,
quindi ci si deve sforzare di provarla anche se non è così (receptionist, animatori villaggio,
assistenti di volo…) questo sforzo, causa stanchezza, fatica, che può trasformarsi nel fenomeno
dello stress
LEZIONE 9-STRESS
Come gestire l’enorme aumento dello stress indotto prima dalla pandemia, sia all’ansia di un
conflitto, paura atomica….
Una reazione che il nostro corpo e il nostro cervello hanno sviluppato per reagire agli stimoli
esterni (stressor, agenti stressanti) che dovevano essere temporanei ma durano da anni.

Noi sappiamo che il cervello assorbe circa il 20% dell’energia che consumiamo, in proporzione al
peso e al volume che ha, molto più dei muscoli, questo significa che gli devono arrivare zuccheri e
ossigeno in quantità elevata. Quel 20% non lo utilizziamo completamente, ma crediamo che il
compito del nostro cervello sia quello di mantenerci coscienti, in realtà l’80% dell’energia che il
nostro cervello usa, la usa per mantenerci in vita, controllare i parametri, come siamo messi a
livello dell’ossigeno, ormoni che circolano, e ogni volta regolare quello che è in circolo intorno a
noi per garantirci la migliore probabilità di sopravvivenza.
I biologi e i fisiologi hanno superato l’idea di equilibrio che avevamo prima, chiamato equilibrio
omeostatico, tenere sempre lo stesso tipo di livello di queste sostanze, come se esistesse un livello
ideale, e parlano di equilibrio omeostatico, cioè per ogni cosa che noi ci prepariamo a fare il nostro
cervello deve predisporre il nostro corpo affinché lo facciamo nel migliore dei modi possibili. Il
nostro cervello è sempre in anticipo sulla realtà, si ribalta l’idea che noi reagiamo a degli stimoli; in
realtà se noi rispondessimo dopo agli stimoli, sarebbe impossibile. Il nostro cervello, sulla base
dell’esperienza e di certi meccanismi innati (come la reazione allo stress), cerca di prevedere cosa
ci sta per succedere. Gli stressor possono essere sia negativi che positivi. Siccome le attività
possibili in cui veniamo ingaggiati per rimanere in vita sono tante, il nostro cervello dobbiamo
immaginarlo come un CFO (metafora della Feldman), ovvero governa il budget per decidere
quante e quali risorse allocare per poter rispondere adeguatamente alle esigenze e cercare di farlo
in anticipo per mantenere in maniera adeguata le risorse.
I problemi di tipo fisico nel rapporto con l’ambiente sono come delle forme di bancarotta, in
riusciamo a mantenere l’equilibrio tra le risorse che abbiamo e ciò che la vita ci chiede. Ad
esempio, se ti ubriachi e vai a fare un esame, non sei nelle condizioni migliori. Una variabile che fa
andare in bancarotta il nostro organismo è la mancanza di sonno, non a caso è una forma di
tortura privare le persone del sonno. Se riduci le risorse che hai a disposizione, la risposta
all’ambiente non è più efficace ed è difficile mantenere il corretto equilibrio tra ciò che ho a
disposizione e ciò che io voglio fare, è un modo per stare in salute.

“Uno stressor in questa prospettiva è qualsiasi evento che viene percepito e interpretato come
capace di provocare una rottura dell’equilibrio allostatico”, un segnale che dobbiamo ribilanciare le
cose adeguatamente, perché altrimenti non siamo in grado di rispondere adeguatamente a quel tipo
di stimolo. Si attiva una reazione che il nostro cervello cerca il più possibile di anticipare nel tempo.

“Di per sé quindi non si tratta necessariamente di eventi positivi o negativi: entrambi possono
minacciare il nostro equilibrio allostatico. E non devono essere nemmeno “reali” o “oggettivi” dal
momento che sono sempre frutto di una percezione e interpretazione operata dal cervello sulla base
della esperienza passata in situazioni simili e dei segnali che il corpo gli invia”. Possiamo imparare
a cercare di non considerare certi stimoli come fonti di stress, mantenere la calma, controllare la
situazione. Questo è un vantaggio del fatto che gli stressor non sono solo eventi reali. Lato negativo
è che così abbiamo molte più fonti che creano uno stimolo. Basti pensare ad eventi passato o futuri
che ci suscitano emozioni. Ricordare vuol dire riportare al centro della mente e del cuore. Riporto
l’evento come se fosse qui ora e scateno le reazioni come se fosse un evento presente. Però come
posso auto stressarmi posso anche imparare a rileggere la realtà in chiave diversa
Anche amore, attrazione fisica sono “stressor” fanno provare sintomi simili.

Tutto ciò è stato scoperto da Hans Selye, padre della fisiologia dello stress, che lo ha scoperto in
maniera serendipica. Stava facendo un esperimento su come certe sostanze potevano indurre
un’ulcera in un gruppo di topolini/cavie. Aveva un gruppo di controllo, cavie cui non
somministrava questa sostanza e un gruppo sperimentale in cui la sostanza veniva iniettata. Dopo
un po’ scopre che tutti e due i gruppi sviluppano un’ulcera. L’unica cosa che hanno in comune è che
lui era pessimo nella manipolazione dei topolini, che vivevano una vita così stressante che alla fine
era quello che provocava l’ulcera, non tanto la sostanza.
Il concetto di stress si deve a Walter cannon (prima di Hans selye)
Lo stress era (punto di vista di una zebra) “vengo attaccata da una leonessa e per i prossimi 10
minuti si gioca una partita nella quale devo cercare di fuggire”, tra 10 min sono libera o sono morta
e quindi posso ritornare tranquilla alla mia vita di prima, riassorbire tutto quello che era successo.
Oggi per noi gli stimoli sono passati dall’essere materiali/immateriali e di breve termine a stati più
lunghi (tre anni di pandemia), e il tempo tende a dilatarsi anche perché noi possiamo considerare
come stressanti anche eventi che avvengono in futuro “riuscirò a pagare il mutuo?”, non è un caso
che le tecniche buddhiste o la filosofia di certi movimenti che vengono utilizzati, come la
minduflness tendono a concentrarsi sul presente. Ciò è scientificamente infondato perché il cervello
si preoccupa del futuro, però per evitare di stressarmi io devo imparare delle tecniche ad hoc,
altrimenti cose che non sono presenti nel momento fanno scattare una reazione che al momento è
inutile, se vi svegliate intorno alle 4 del mattino con la testa che va a mille, è un piccolo indicatore
del fatto che siete sotto stress, ma in maniera fisica, perché alle 4 del mattino la massima
concentrazione del cortisolo (ormone del risveglio) non dovrebbe esserci. Se siamo sotto stress
produciamo molto cortisolo, lo stress diventa cronico e questo accumulo fa sì che noi alle 4 ci
svegliamo e iniziamo a pensare agli errori commessi, ciò che devi fare durante la giornata, errori
così…
Stress cronico: Lo stress cronico quindi potremmo definirlo come una previsione sbagliata del
nostro cervello: prevede che da un momento all’altro sia necessario un forte consumo di energia,
quando in realtà non è così.
Per rispondere ad una minaccia che era fisica devo utilizzare tutte le mie risorse, la mia energia, ed.
impedire che venga usata per cose che in quel momento non sono per il nostro cervello. Nel caso in
cui sono la gazzella che fugge dal leone, il cuore pompa più velocemente il sangue, tutta l’energia
venga utilizzata è portata dove serve e processi che non sono essenziali per sopravvivere vengono
spenti. Per questo quando sono molto stressato non ho fame, perché il sangue che normalmente
dovrebbe affluire nell’apparato digerente viene deviato. Risultato blocco della digestione, se
succede tanto ti viene un’ulcera. Si acuisce la pupilla sibilata perché devi vedere meglio ciò che
accade. Persino il farsela addosso dalla paura è stato spiegato, per evitare di avere infezioni nel caso
in cui siamo stati feriti. Siamo così concentrati nel breve termine che dobbiamo cancellare tutti i
progetti a lungo termine. Che importa combattere un tumore se devo sopravvivere ora. Quand siamo
stressati ci si abbassano le difese immunitarie e ci viene il raffreddore, o l’allergia… Il nostro
cervello sta mettendo tutte le energie che ha nei prossimi dieci minuti. Tutte le energie vanno messe
nella capacità di rispondere a qualcosa che accadrà a breve; diventiamo meno sensibili al dolore
(feriti in battaglia che se ne accorgono dopo). Nella risposta di stress si mobilita l’energia, aumenta
il tono e la pressione, che costantemente porta all’ipertensione dei vasi e un aumento patologico
della tensione. Soppressione della crescita, problemi riproduttivi e difficoltà ad eccitarsi
sessualmente se sotto stress. Nel breve aumenta il sistema immunitario, ma quando lo stress diventa
cronico non è un bene.
Ci sono due canali di comunicazione tra cervello e corpo: un canale elettrico/nervoso per cui il
segnale che arriva dal cervello di prepararsi a reagire viaggia attraverso il sistema nervoso simpatico
o autonomo, cioè quello che noi non controlliamo volontariamente (quello che in genere eccita,
stimola la salivazione, accelera i battiti e fa secernere adrenalina). Dall’altra parte c’è il sistema
para-simpatico, che fa l’opposto, calma, blocca, rallenta i processi. Ispirare attiva il simpatico,
espirare.
La risposta ormonale allo stress: ormoni secreti da particolari ghiandole, a partire dal cervello stesso
che è una particolare ghiandola che secerne un certo tipo di ormone, altrimenti vengono o
dall’ipofisi o dalle surrenali, che secernono due ormoni in particolare. L’adrenalina e la
noradrenalina, stimolanti fortissimi per una risposta a breve, shock di adrenalina. Poi se devi
reggere per un po’ di tempo si attivano gli ormoni di tipo glicorticoide, tra cui il cortisolo, che serve
a mantenere energia per più tempo. Molte cose sono state scoperte grazie ai body builder.
L’adrenalina e la noradrenalina sono ormoni chiave per la reazione di “attacca o fuggi”. Se la
condizione dura parte il cortisolo, ovvero l’ormone che serve per riattivare l’energia nel corpo, che
fa aumentare lo sfruttamento dello zucchero nel corpo. È l’ormone dell’energia, non dello stress.
Lo stress è soprattutto frutto di stimoli immateriali, molto a che fare con le emozioni e diventa
sempre più cronico, il mantenere permanentemente quello stato di eccitazione o soppressione poi
provoca danni e uccide quanto colesterolo fumo e obesità. Il lunedì si muore venti volte di più che
negli altri giorni della settimana.
Libro di Sapolsky, di Stanford “perché alle zebre non viene l’ulcera?”. Perché non hanno stress
cronico, mentre noi per via del blocco della digestione, mi viene l’ulcera e diminuisce la mia
capacità di digerire le sostanze nutritive, c’è un aumento dunque nel deposito di grassi, soprattutto
nella fascia addominale.
Lo stress diventa cronico, perché è come se il cervello continuasse a sbagliare previsione, facesse
confusione, situazioni nelle quali vale la pena di mobilitare tutte le nostre energie, e altri per le quali
assolutamente no. Arrabbiarmi per il traffico ha su di me le stesse reazioni che avrebbe la famosa
fuga dalla leonessa che cerca di mangiarmi. È difficile educare gli stimoli e avere un buon controllo
di se, perché lo stress sono diventati soprattutto i pensieri e le emozioni, la capacità che il nostro
cervello ha di immedesimarsi nel futuro e vivere lì invece che nel presente.
Per la comunità, per un’azienda, avere persone nello stato di burnout è troppo costoso. La gente non
riesce a concentrarsi, non hanno capacità di lavorare su un obbiettivo, perché mancano le risorse
anche fisiche per farlo. Ci sono prove della relazione tra stress e malattie cardiovascolari (manager
che muore d’infarto in bicicletta). A parità di stress non tutti sviluppano le stesse conseguenze;
quindi, non si possono trarre conseguenze a valenza generale.

La ricerca ha individuato diversi fattori che conducono allo stress. Il più importante è l'incapacità di
riconoscere le proprie emozioni vere o la tendenza a reprimerle. Tutti sono tipici delle situazioni ad
alta complessità (come la crisi che stiamo vivendo):
•Incertezza e Impredicibilità
•Mancanza di controllo
•Mancanza di informazioni se sono informato, posso controllare e vivo meno la sopresa, dunque lo
stress)
•Conflitto interpersonale (aumento depressioni e aggressività legati allo stato di pandemia e post
pandemia)
•Perdita di status
•Emarginazione sociale
Sapolsky dice che vogliamo combattere lo stress usando le medicine, ma l’arma migliore ad
esempio è una lotta contro la povertà, contro i quartieri ghetto delle città, contro le scuole che non
funzionano per gli strati più bassi della società…
Uno o più di questi fattori scatenano tutto quello che abbiamo visto. Questo schema va messo in
relazione con il cane e l’esperimento dell’impotenza appresa: l’aumento massimo dei due ormoni
che generano la condizione della stimolazione da stress, il cortisolo e l’epiphrenina che è come
l’adrenalina, la condizione peggiore ce l’hai nel momento in cui uno è passivo, pensa di non poter
fare nulla di fronte ad una situazione stressante e sviluppa un mood di tipo negativo, in quel
momento, in quella condizione tutti gli ormoni tendono a generare una situazione pesante per il
nostro organismo. Se io mi sento attivo, anche se devo reagire ad uno stressor e ho un mood (affect)
di tipo positivo, c’è un aumento di breve ma il cortisolo addirittura diminuisce, quindi le
conseguenze dello stressor sono diverse. Quello che dobbiamo ricordarci della tabella è che ognuno
di noi reagisce diversamente ad uno stesso stressor; a seconda che io mi senta in grado di reagire e
che io provi emozioni positive o negative. La combinazione emozioni positive e capacità attiva
riduce le conseguenze dello stress. Se. Io sono il leader di un’organizzazione e devo motivare le
persone devo dire che ce la possiamo fare, che stiamo reagendo, io sto agendo, sono un esempio
della possibilità di reagire e siamo ottimisti nella capacità di reagire, sottolineo aspetti positivi
(Zelensky ci sta riuscendo in maniera efficace ora).

Esperimento del topo: se il topo stressato ha qualcuno su cui sfogarsi non si ammala e si stressa di
meno, se ho qualcuno di più sfigato di me non mi ammalo. Me la prendo con i più poveri, con i neo-
immigrati, con chi è più in basso nella scala sociale in maniera aggressiva.
Oppure danno al topo un hobby (barra di legno da mordere), ciò riduce le conseguenze negative
dello stress. Ti possono dare un segnale d’allarme. Se so che sta per arrivare la scossa, questa
riduzione dell’incertezza, per quanto la cosa sia negativa, mi riduce il livello di stress (sirena che
avverte prima del bombardamento). Gli danno una leva che può schiacciare per avere controllo
sulla scossa, anche quando è effetto placebo non gli viene l’ulcera perché ha la sensazione si poter
controllare la situazione anche se non è così. Se gli fai fare 50 scosse a settimana e poi 25 il
topolino si dice che le cose stanno migliorando, c’è speranza drastica riduzione dell’ulcera, se gli si
avvicina un amico con il quale ha una relazione di “grooming”.
HA fatto vedere una scena dal film “un giorno di ordinaria follia” in cui lui si arrabbia in un fast
food. Commento: Gli stressor sono minimi (una regola applicata in maniera rigida, alle 11 finiscono
di servire la breakfast e servono solo il lunch), aver deciso di diventare attivo e aggressivo lo fa
quasi stare meglio rispetto a quando doveva solo subire.
Ci si vanta a volte di fare una vita impossibile:
“Sono presidente di due imprese commerciali e amministratore delegato dell’azienda di famiglia,
sono anche presidente dei giovani imprenditori della Confcommercio e presidente provinciale dalla
Lega Nazionale per la difesa del cane, gli animali sono la mia passione, ho 24 gatti, 14 cani, 4
cavalli, 3 capre un asinello. E poi, anzi prima, c’è mio figlio, di due anni e non voglio essere una
mamma che delega.” “Spengo il pc alle tre poi leggo i giornali, a letto non vado mai prima delle 4 e
alle 7 sono in piedi. Sì, dormo poco e la considero una fortuna, così ho l’opportunità di dedicarmi
alle mie passioni. Nessun sacrificio, è questione di abitudine, una volta se non avessi dormito 8 ore
sarei stata confusa, oggi sto benissimo.”. Per mantenere certi stili di vita non stiamo più neanche
attenti ai segnali che il nostro corpo ci da.
Le conseguenze negative vengono relativamente disinnescate se: ci sentiamo in controllo della
situazione e produciamo risposte attive nei settori della nostra vita che producono disagio e stress.
Questo è l’impatto della pandemia, non puoi fare niente e non hai controllo. Inoltre, nel momento in
cui ne avevamo più bisogno è venuta a mancare la rete sociale.
Saplosky, passava sei mesi l’anno a studiare i babbuini in africa e studiava le conseguenze del
passaggio di potere. I babbuini rispettano un ordine molto gerarchico, c’è il maschio Alpha che ha il
diritto ad accoppiarsi con un certo numero di femmine, poi il beta e così via. Passano poco tempo
dietro alle attività fondamentali come nutrirsi e moltissimo tempo a rendere le vite gli uni degli altri
miserabili, però in ordine gerarchico, per cui gli ultimi sono quelli che subiscono vessazioni da
parte di tutti. Come chi viene mobbizzato o bullizzato in una classe o in un posto di lavoro.
Saplosky è bravo a seguirli senza stressarli, e li cattura sparandogli dei tranquillanti con una
cerbottana, senza che il babbuino se ne accorga. Comunque, scopre che gli ultimi, quelli che non
possono trasferire su un altro la loro frustrazione e che le subiscono continuamente dal resto della
comunità hanno tutti i valori sballati e il più alto rischio di ammalarsi. In azienda togliere potere alle
persone (taylorismo, fordismo), farle sentire parte di una macchina, senza possibilità di fare
qualcosa di utile per la società, significa creare le condizioni perché lo stress sia sentito in maniera
maggiore. Fare il contrario, ovvero empowerment, che si usa per cambiare le condizioni delle
minoranze (questi movimenti sono partiti infatti dalle minoranze afroamericane), significa anche
cambiare le condizioni di tipo sanitario, legati al fatto che trovarsi in una condizione di assenza
totale di potere, assenza totale di capacità di controllo e di azione hanno sulla nostra salute. Non
sempre lo stress è negativo, ci stressiamo anche per cose positive (partita che giochiamo, relazione
che si sta facendo interessante, concerto particolarmente emozionante).

Bisogna ricordarsi della curva dello stress, perché


non possiamo chiedere alle persone di preformare
sempre al massimo, arriverà il momento nel quale lo
stress iniziale ha avuto un effetto positivo, ma dopo
le persone tendono ad esaurire le loro risorse e
possono arrivare a non averne più abbastanza per
rispondere in maniera adeguata e possono
raggiungere una condizione di burnout.

Una condizione di stress/burnout si crea quando c’è una condizione di squilibrio importante tra
quello che il lavoro richiede e quello che il lavoro ci da per rispondere a queste domande.
Si può evitare dando supporto e aiuto in tutto quello che è necessario, ciò aita a tenere le persone
fortemente coinvolte, non stressate ed evitare la condizione di burnout.
Purtroppo c’è un aumento nel periodo pandemico nelle persone che negli U.S.A. si sentono
fortemente disingaggiate nella vita lavorativa e sono dunque sensibili al rischio di burnout, e non
stano contribuendo quanto potrebbero alla vita lavorativa dell’organizzazione.

Il coinvolgimento/engagement dipende da informazione X capacità X autonomia X ricompensa


È una moltiplicazione, quindi basta che uno di questi elementi sia zero, ciò azzera anche il risultato,
le persone invece di sentirsi coinvolte si sentono attivamente disingaggiate, distaccate dalla propria
realtà di lavoro. Se non ti dico dove stiamo andando, qual è la strategia, quali sono i tuoi obbiettivi
non ti senti coinvolto. Se ti dico quali sono gli obbiettivi, ti do autonomia, ma non lavoro sulle tue
capacità e quindi coinvolgo tanto una persona incapace, qui l’esito è negativo. Se non lasci
autonomia ad uno capace anche se lo paghi, quella persona nel lungo termine non ha ritorno
personale.
Non è importante solo la sostenibilità ambientale ma anche umana. La mancanza di sostenibilità sta
portando a una grande ondata di dimissioni, “the great resignation”. Molti hanno risolto con lo
smart working, che stressa di meno.

“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al
cambiamento.”

LEZIONE 10
ILLUSIONI POSITIVE, EMOZIONI POSITIVE E BENESSERE
Stress e benessere
La psicologia positiva è lo studio scientifico dell’ottimale funzionamento umano. Mira a scoprire e
promuovere i fattori che permettono agli individui e alle comunità di prosperare.
La psicologia positiva si pone come obiettivo quello di passare da una disciplina abituata a studiare
e porre rimedio alle malattie (idea negativa di salute) ad un’idea positiva di salute, cioè che cosa ci
deve essere nella nostra vita che ci rende particolarmente felici, soddisfatti, motivati, capaci di
apprezzare la bellezza della vita e delle relazioni.
L’enfasi quindi si sposta dal malessere allo studio delle condizioni che determinano in noi il
benessere
Fa leva più sui nostri punti di forza che su quelli di debolezza: questa è una rivoluzione anche dal
punto di vista manageriale. Tipicamente il manager quando approccia la valutazione dei propri
collaboratori dà più peso ai pericoli che alle cose positive; se invece ribaltiamo l’atteggiamento e
facciamo leva sugli aspetti di forza, migliorano anche i risultati.
L’acronimo da ricordare è PERMA:
 Positive emotions: la capacità di coltivare e mantenere ambinti di lavoro evita che fanno
prevalere le emozioni positive su quele negative, si dimostrsa essere positivamente
correlata sia con la salute e benessere psicologico ma anche con il benessere fisico
 Engagement: il sentirsi profondamente coinvolti in qualcosa di importante per noi
 Relationships: le relazioni sono fondamentali, nel bene nel senso che devono essere
relazioni di qualità (vedi esempio estremo degli hikikomori)
 Meaning: l’avere un senso o una direzione nella propria vita. Le persone che hanno una
forte fede religiosa sono più resilienti perché hanno una chiave per interpretare quello che
succede
 Achievement: gli esseri umani stanno bene quando perseguono un obiettivo e quando lo
raggiungono sperimentano tante sensazioni positive legate anche a ormoni come la
serotonina o dopamina, che intervengono per compensarci in maniera positiva del fatto
che ci siamo impegnati a raggiungere qualcosa di importante
Di queste PERMA, l’effetto più positivo misurabile è dato dalla copresenza di P, E e M: queste 3
cose in particolare hanno l’impatto più forte sul nostro stato di benessere, ma devono essere
presenti TUTTI E TRE.
Perché la psicologia positiva è importante in ambito organizzativo?
 Le persone che sperimentano wellbeing performano in maniera migliore, soprattutto quando il
compito è tipo intellettuale e creativo
 Le persone più sicure di sé adottano il cambiamento più facilmente e in più riescono a trovare
un equilibrio migliore tra vita personale e vita lavorativa
 Le persone sono più ingaggiate in quello che fanno e se ne sentono più protagonisti

La ricerca della felicità e l’importanza delle emozioni positive


Piacere: è un qualcosa di effimero e momentaneo
Felicità: stato durevole che consiste in un ragionevole equilibrio di emozioni positive e negative, e
nella sensazione che la propria vita abbia un senso e proceda verso un obiettivo soddisfacente.

Tramite il questionario PANAS (Positive And Negative Affect Schedule), possiamo ottenere il
rapporto tra emozioni positive e negative. Se questo rapporto è > di 3:1, vi sono una serie di
conseguenze positive:
 Aspettativa di vita più lunga
 Meno probabilità di malattie
 Tollerare meglio il dolore
 Matrimonio più duraturo
 Si guadagna di più
 Più acutezza mentale
 Migliori decisioni
 Maggiore creatività

Uno studio interessante: The Nuns’ Study


Cominciato nel 1986 e continuato fino ai giorni nostri, questo studio è stato portato avanti da
alcune suore che vivono in una condizione di clausura o semi-clausura e che quindi rappresentano
il campione ideale per una ricerca perché possiamo controllare più variabili: mangiano le stesse
cose, respirano la stessa aria, vivono nello stesso posto; quindi, tutte le variabili che potrebbero
spiegare il fatto che una persona si ammala e un’altra no, vengono meno.
Per una sotto parte di queste suore riescono a trovare il diario che tenevano prima di entrare in
convento e attraverso questo diario riescono a dividere il sottoinsieme (180 suore). Un gruppo nel
diario esprimeva emozioni negative; l’altra metà invece esprimevano gioia per l’esperienza che
stavano per vivere. A distanza di 40/50 anni, si va a vedere chi è ancora in vita ed è impressionante
come la sopravvivenza sia più alta tra le consorelle che avevano manifestato emozioni positive al
momento dell’ingresso, rispetto a quelle che esprimevano emozioni negative.

Cosa è davvero importante per il benessere?

Le emozioni positive, quindi, hanno una serie di vantaggi.


Bisogna sottolineare però che è una questione di equilibrio tra le emozioni positive e negative e
non “cancellare” quelle negative, che sarebbe un errore: queste infatti hanno un valore, ci
avvertono che ci stiamo avvicinando ad un pericolo e dobbiamo cambiare la situazione. Senza
rabbia, insoddisfazione o ansia non mi batto per cambiare ciò che mi circonda.

Occorre proteggere le “illusioni positive” (Taylor, 1988)


Tutti noi abbiamo tre illusioni in comune:
1. Illusione del controllo = ci illudiamo di controllare ciò che ci accade molto più di quanto è
vero. Molto spesso sopravvalutiamo questa capacità.
2. Illusione sulle capacità = la maggior parte delle persone (80%) pensa di avere delle capacità
superiori alla media
3. Illusione sul futuro = abbiamo bisogno di pensare che domani le cose miglioreranno, che il
futuro sarà migliore.
Quale parte della popolazione è perfettamente accurata? Le persone clinicamente depresse. La
persona depressa vede le cose esclusivamente dal lato negativo e non riesce ad illudersi circa
possibili evoluzioni positive ed è difficile averne a che fare.
Allo stesso modo, anche l’eccesso di queste illusioni può essere patologico; infatti, c’è una
patologia chiamata stato maniacale, in cui si pensa di essere “invincibili”.
Questi due estremi possono anche coesistere nelle persone che soffrono della sindrome bipolare.
E occorre proteggere l’autoefficacia
L’autoefficacia percepita è definita come il giudizio degli individui circa le proprie capacità di
organizzare ed eseguire i corsi di azione richiesti per raggiungere certi livelli di prestazione
prestabiliti, in un ambito determinato. Non è relativa alle capacità che uno ha quanto al giudizio
relativo a ciò che un individuo può fare con qualsiasi abilità possieda.
Le persone con un ELEVATO livello di autoefficacia:
o Hanno fiducia nella propria capacità di dominare tipi diversi di domande e stimoli
provenienti dall’ambiente
o Interpretano le richieste e i problemi più come sfide stimolanti che come minacce o eventi
non controllabili soggettivamente
o Fanno fronte a fattori di stress con fiducia in sé stessi
o Si sentono motivati quando sono tesi ed eccitati emotivamente
o Giudicano gli eventi positivi come determinati dai propri sforzi e quelli negativi come dovuti
a circostanze esterne
Le persone con un BASSO livello di autoefficacia:
o Tendono ad avere dubbi su di sé e attacchi di ansia
o Percepiscono di avere problemi e mancanze nel fare fronte a situazioni difficili
o Hanno attese basse di competenza relativa ad un task specifico
o Si arrendono facilmente
o Interpretano i segnali fisiologici come segnali di sforzo di evitare l’ansia
o Considerano il feedback ricevuto da altri come una valutazione del loro valore personale
o Si sentono più personalmente responsabili del fallimento che del successo

Fattori aziendali che possono abbassare il livello di autoefficacia percepita


Fattori organizzativi
 Cambiamenti organizzativi significativi
 Clima rischioso e punitivo
 Forte pressione competitiva
 Clima burocratico e impersonale
 Sistemi di comunicazione e di networking poveri e disconnessi
 Forte accentramento decisionale e nella gestione delle risorse
Stile di supervisione
Autoritario (forte controllo)
Negativo (enfasi sui fallimenti)
Nessuna spiegazione circa il legame tra azioni e conseguenze che provocano
Sistemi di ricompensa
Non contingenti (allocazione arbitraria delle ricompense)
Ricompense con un basso valore di incentivo
Mancanza di ricompense basate sulle competenze
Mancanza di ricompense basate sulla innovazione

APPRENDIMENTO
È un’altra delle variabili individuali importanti. Osserveremo sempre le conseguenze
dell’apprendimento e attribuiremo la differenza tra il comportamento prima e il comportamento
dopo proprio al processo di apprendimento del singolo.
L’apprendimento è un processo di trasformazione al termine del quale l’individuo si trova cambiato
per conoscenze, abilità e atteggiamenti. E si tratta di un cambiamento non momentaneo, ma che
permane nel tempo e produce uno sviluppo stabile dell’individuo.
Apprendimento = modificazione relativamente permanente, di un comportamento attraverso
l’esperienza.
Questa “esperienza” si può declinare nei due modi attraverso i quali apprendiamo: esperienza
diretta o esperienza codificata nei libri o negli insegnamenti che ci vengono forniti.
Il nostro comportamento si struttura e si evolve in accordo con le nostre relazioni alle situazioni
che agiscono su di noi ed è solo attraverso un mutamento di comportamento che può essere
inferito un apprendimento.

Il comportamentismo
Scuola di pensiero di molto preesistente a Skinner, il quale, avendo avuto il merito di
sistematizzarne e diffonderne i principi negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, ne è considerato il
maggior esponente.
Questa scuola di pensiero riprende una vecchia teoria filosofica: quella della tabula rasa, secondo
la quale si nasce senza niente di innato e poi si iscrive, tramite l’esperienza e l’educazione, tutto
ciò che impariamo e che ci trasforma.
Prima di Skinner ci sono stati altri importanti comportamentisti come John Watson, autore
dell’esperimento su “little Albert”.
La teoria si basa su tre assunti fondamentali:
1. Centralità dell’apprendimento
2. Anti-mentalismo
3. Negazione di differenze sostanziali tra le specie
Centralità dell’apprendimento
Tutto quello che siamo e che sappiamo è frutto di esperienza.
Non esiste una natura umana ereditata e preesistente all’esperienza. Gli individui sono
infinitamente malleabili dall’esperienza.
Credo molto egualitario e in linea con l’american dream degli anni in cui è nata la scuola di
pensiero, secondo il quale a chiunque, indipendentemente da razza o nascita, è data la possibilità
di diventare qualunque cosa.
“Datemi una dozzina di bambini in salute e ben formati e lasciatemi usare il mio modo di falri
crescere ed educarli e vi garantisco di prenderne uno a caso e riuscire ad addestrarlo in modo tale
che diventi qualunque tipo di specialista io desideri: dottore, avvocato, artista, mercante, ma
anche un mendicante, un ladro… indipendentemente dai suoi talenti, dalle sue preferenze,
tendenze, abilità, vocazioni, e soprattutto i suoi antenati” - Watson, J.B. (1930)
Anti-mentalismo
Forte preoccupazione di seguire un approccio scientifico in opposizione alla psicoanalisi freudiana
che non veniva considerata scientifica perché basata su concetti vaghi come pulsioni, desideri,
obiettivi etc.
Solo ciò che è osservabile, misurabile e ripetibile può far parte della nuova scienza
comportamentale.
La scienza è basata su esperimenti
No differenze tra specie
Non ci sono differenze significative nei processi di apprendimento e di rapporto con l’ambiente tra
specie animali e specie umana.
Per questo è possibile studiare il comportamento degli uomini osservando quello di animali come
ratti e piccioni.
Gli animali sono appunto i protagonisti degli esperimenti condotti dai comportamentisti

Tre processi di apprendimento


1. ABITUDINE = anche sviluppare un’abitudine è un processo di apprendimento: ci abituiamo
a selezionare certi stimoli rispetto ad altri per poter poi tenere un certo tipo di
comportamento
2. CONDIZIONAMENTO CLASSICO O RISPONDENTE
3. CONDIZIONAMENTO OPERANTE O STRUMENTALE

Abitudine
L’abitudine consiste nel declinare della risposta a stimoli che ci diventano familiari a causa di una
esposizione ripetuta (es. ticchettio dell’orologio, rumore del traffico, etc.).
È un meccanismo adattivo che ci consente di concentrare l’attenzione su oggetti ed eventi nuovi (e
potenzialmente minacciosi). L’abitudine è considerata come processo di apprendimento perché si
sviluppa con l’esperienza.
Condizionamento classico o rispondente
Apprendimento “pavloviano” = l’individuo risponde passivamente all’ambiente (condizionamento
rispondente: riflessi incondizionati direttamente controllati dallo stimolo).
L’apprendimento consiste nell’associazione di uno stimolo con un altro, dove stimolo è un termine
tecnico che indica certi eventi presenti nell’ambiente come un certo suono, un odore o
un’immagine.
Questa cosa la facciamo sin da bambini: anche i bambini imparano a collegare rumori e suoni ad
altre cose.
Esempio di attuazione dell’apprendimento pavloviano: gli store di A&F venivano riconosciuti grazie
a determinati stimoli, come il tipico profumo, luce soffusa, modelli all’ingresso.

Step per il condizionamento:


1. Stimolo condizionato (suono) → nessuna risposta
2. Stimolo incondizionato (cibo) → risposta incondizionata (salivazione)
3. Stimolo condizionato (suono) seguito da stimolo incondizionato (cibo) → risposta
incondizionata (salivazione)
4. Stimolo incondizionato (suono) → risposta condizionata (salivazione)

La generalizzazione degli stimoli


Il condizionamento funziona non tanto e solo perché c’è associazione tra stimolo incondizionato e
stimolo condizionato, ma perché impariamo a prepararci ad un evento sulla base di alcuni indizi
che troviamo nell’ambiente.
Il meccanismo di base è quindi quello della previsione, dell’anticipazione e della preparazione.

L’esperimento su “little Albert” di John Watson: https://www.youtube.com/watch?


v=FMnhyGozLyE
Il piccolo Albert era un bambino orfano. Watson dimostra che possiamo apprendere la paura
attraverso l’associazione degli stimoli.
Ogni volta che un cane si avvicina al piccolo Albert, Watson, da dietro un telo, dà un colpo ad un
gong. Un rumore così forte inatteso genera paura. Il bambino impara ad associare la vista
dell’animale a quell’esperienza spiacevole fino al punto che non è più necessario suonare il gong
ma basterà vedere avvicinarsi il cane o un qualsiasi altro degli stimoli sui quali estende
l’apprendimento, per provare paura

In quali ambiti funziona il condizionamento classico?


 Addestramento animali
 Negli esseri umani per alcuni stimoli:
 Paura
 Fame
 Desiderio sessuale
 Feticismo
 Utilizzato anche per curare le fobie (desensibilizzazione)
Ogni tanto devo riportare anche lo stimolo incondizionato: alla quinta volta in cui faccio vedere il
guinzaglio al cane senza portarlo fuori, lui non associa più il guinzaglio all’uscita.
Serve quindi che lo stimolo incondizionato ricompaia, altrimenti il soggetto impara a non aspettarsi
più quel tipo di risposta.
Durante il condizionamento, invece, la relazione tra i due stimoli deve essere abbastanza vicina in
modo tale da far associare stimolo condizionato e incondizionato al soggetto.
SKINNER e il condizionamento operante
Questa prospettiva cambia radicalmente con il comportamentismo nella versione di Skinner, che
introduce un condizionamento che viene chiamato operante, dove il soggetto è attivo nel processo
di apprendimento. Quella di Skinner, quindi, è una visione attiva: l’assunto comportamentale del
condizionamento operante è che noi ricerchiamo attivamente cose positive, risultati positivi per
noi. A tali risultati positivi, gli skinneriani attribuiscono un nome particolare, chiamandoli rinforzi.
In questa prospettiva l’apprendimento è imparare qual è la strada, cioè il tipo di comportamento
che mi porta ad ottenere un rinforzo positivo.

Per Skinner invece gli individui ricercano attivamente gli stimoli ambientali e le occasioni di
apprendimento.
Il condizionamento strumentale è volontario. Deriva da scelte che l’individuo fa liberamente. Le
conseguenze delle scelte fanno si che certi comportamenti vengano appresi meglio e più
velocemente di altre. Gli animali sono il tipico esempio di questa modalità di apprendimento.
Thorndike e gli esperimenti sugli animali in gabbia: dopo tentativi casuali il fatto trova la leva per
uscire dalla gabbia. In tentativi successivi i gesti casuali sono abbandonati e il gatto punta
direttamente sulla leva. Ha imparato come si fa ad uscire dalla gabbia adottando il
comportamento che ha avuto più successo per lui.
Nel condizionamento operante (o skinneriano) il soggetto, attraverso un comportamento
particolare, agisce sull’ambiente per produrre un determinato effetto per un certo scopo.
Il comportamento operante agisce sull’ambiente per ottenere accesso al rinforzo dal quale viene
consolidato (per questo è detto anche strumentale).
La risposta operante è soggetta ad “estinzione” quando viene a mancare il rinforzo.
Il rinforzo è quell’evento-stimolo che, se si verifica in una situazione temporale prossima con una
risposta tende ad aumentare la probabilità di emissione.
Vivere in un ambiente in cui quello che facciamo viene immediatamente riconosciuto e rinforzato,
porta le persone ad imparare quali sono i comportamenti più favorevoli a loro in quella
determinata situazione.

Rinforzo positivo o negativo


È positivo qualsiasi tipo di evento in grado di fare aumentare la frequenza di emissione di un
determinato comportamento, mentre è negativo quello che aumenta la probabilità di emissione di
una risposta che sia capace di rimuovere o di far evitare le conseguenze di uno stimolo nocivo: in
questo caso fa emettere al soggetto una particolare risposta “alternativa” o in competizione con
quella rinforzata.
Una “punizione” è una conseguenza negativa per il soggetto: punendo per un comportamento
sbagliato, cerchiamo di insegnare qualcosa a qualcuno, portando all’estinzione di tale
comportamento.
Un rinforzo, invece, è sempre qualcosa che porta a ripetere il comportamento, un qualcosa che
viviamo come “utile” per noi. Tale definizione ricade sul concetto di rinforzo positivo. Tale
comportamento ci aspettiamo quindi che venga ripetuto perché è stato premiato.
Cos’è un rinforzo negativo?
Il rinforzo negativo consiste nel far cessare qualcosa di avversivo, negativo per il soggetto.
Esempio: se il neonato piange e la mamma lo prende sempre in braccio, il bambino impara che se
piange ottiene ciò che vuole. Per il bambino, quindi, vi è un rinforzo positivo: piango quindi
ottengo.
Perciò si dice ai genitori di non prendere in braccio il bimbo, la cui conseguenza è la cessazione del
pianto ma per la mamma questo è un rinforzo negativo.

Rinforzo primario o secondario


Per “primari” si intendono quei rinforzi connessi con la soddisfazione di un bisogno che, se non
soddisfatto, genera sofferenza nell’organismo (cibo, acqua, aria, percosse, etc.); i rinforzi
“secondario” sono quelli che non agiscono su una base fisiologica, ma tendono a soddisfare
bisogni secondari, cioè bisogni sociali acquisiti.

Rinforzo continuo o parziale/intermittente


Conviene un rinforzo continuo, cioè un rinforzo ripetuto ogni volta che il soggetto compie un
determinato comportamento o funziona meglio (ai fini dell’apprendimento) un rinforzo parziale o
intermittente?
La risposta, scientificamente provata, è che funziona meglio il secondo.
In rinforzo “continuo” è quello che segue ogni risposta di un certo tipo emessa dal soggetto.
È chiamato parziale o intermittente quel rinforzo che non segue tutte le risposte di un tipo
particolare date dal soggetto, ma solo una “frazione” di esse.
I rinforzi intermittenti (e possibilmente di tipo diverso) sono quelli più efficaci e più in grado di
evitare l’estinzione del comportamento rispetto a quelli continui.
Il rischio dei rinforzi continui è l’assuefazione alla ricompensa, diventa cioè scontata e quindi
dovrei aumentarla ogni volta.

Sintesi teoria dei rinforzi


Se un comportamento è rinforzato, maggiore è la probabilità che la persona sia motivata a
ripeterlo.
Tipo di effetto Azione Stimolo Risposta
Rinforzo positivo Lettera in inglese in Il capo: “ottimo lavoro.
Aumenta la probabilità
buona stenografia Dovresti pensare di che il comportamento
seguire un corso” sia ripetuto
Rinforzo negativo Lettera in inglese in Il capo, che
Aumentare la
buona stenografia normalmente critica
probabilità che il
tutto ciò che non è comportamento sia
perfetto, tace ripetuto
Punizione Lettera in inglese scritta Critica Riduce la probabilità
con molti errori che il comportamento
sia ripetuto
Estinzione Lettera in inglese scritta Il capo che Riduce la probabilità
con molti errori normalmente premio che il comportamento
tutto ciò che è ben sia ripetuto
fatto, tace

È possibile far apprendere ad animali o bambini sequenze complesse di comportamenti?


Il fenomeno che ha messo in evidenza Skinner, è stato che con questo semplice meccanismo,
posso insegnare agli animali prima e poi agli esseri umani, anche sequenze molto complesse di
comportamenti. Si può fare rinforzando parti di quel comportamento complesso. Questo processo
Skinner lo chiama shaping: do forma ad un comportamento complesso formato da un insieme di
azioni.
Quello che si fa è rinforzare ogni volta il pezzo di comportamento, eseguito anche casualmente,
che meglio approssima l’obiettivo, e così via finché non si impara l’intera sequenza.

Limiti del comportamentismo skinneriano.


 Non è vero che tutto viene appreso: ci sono alcune conoscenze e alcuni desideri innati.
 Non è vero che ciò che non è osservabile non può essere oggetto di scienza. Le dinamiche
psichiche consce e inconsce degli individui sono oggetto di ricerca scientifica anche se non
sono osservabili.
 I rinforzi non sono strettamente necessari per favorire l’apprendimento (es. esperimenti di
Tolman sui ratti in un labirinto che imparano sempre più velocemente a uscirne anche
quando non sono rinforzati. Ciò che si suppone che accada è che sviluppano mappe
mentali dell’ambiente che guidano il loro comportamento. Una cosa non prevista dalla
teoria skinneriana). Imparare per il gusto di imparare
 Non è vero che è indifferente quale specie animale consideriamo per l’apprendimento
perché ogni specie ha modalità particolari di connettere comportamenti a risultati attesi

R = f (S ↔ O)
Lo schema oggi più accettato dei processi di apprendimento fa riferimento a tre variabili:
1. Fattori esterni = considerati come stimoli
2. Fattori interni = in una situazione complessa, chi apprende deve interpretare gli stimoli,
differenziarli e classificarli, dando loro un significato; questi processi dipendono da
dimensioni del soggetto come la struttura percettiva e concettuale, il concetto di sé, gli
atteggiamenti, le motivazioni e gli scopi, il tipo di intelligenza, le abilità motorie, le
conseguenze degli apprendimenti passati, e l’influenza delle esperienze passate.
Questi fattori ci possono orientare nella scelta di un determinato comportamento:
possiamo agire in un determinato modo non perché ci aspettiamo un risultato ma perché
vogliamo affermare un valore.
3. Risposte date = l’apprendimento dipende anche da ciò che fa colui che apprende
L’apprendimento come trasformazione cognitiva
Con la svolta cognitivo-comportamentale si è allargata la visione della relazione tra rinforzi e
comportamenti. La moderna “psicologia cognitiva”, infatti, ritiene che l’attività della coscienza
possa fornire dati utili per l’indagine psicologica.
La relazione tra stimolo e risposta è mediata da attività complesse come il pensiero, la soluzione di
problemi e l’apprendimento intuitivo, che sono peraltro connesse tra loro.
Gli individui secondo questa prospettiva apprendono delle “mappe cognitive” dell’ambiente
circostante e il comportamento non è guidato solo da rinforzi o punizioni, ma da aspettative
fondate su una visione o comprensione più ampia e generale delle circostanze ambientali,
comprensione costruita per mezzo delle esperienze fatte nel corso della vita.

L’idea che ci sia sempre bisogno di qualche rinforzo perché un comportamento venga messo in
atto e si impari a trovare una strada rispetto ad un problema, è stata in qualche misura ampliata e
spostata per dare spazio alle attività cognitive ed emotive che mediano la nostra relazione tra gli
stimoli che riceviamo e il nostro comportamento.

L’apprendimento è un processo cognitivo che trae origine dal bisogno di costruzione del reale e si
configura come un processo interattivo (Kohler, 1921).
Ogni individuo ha una prospettiva sua specifica del mondo che lo circonda, perché ha un suo modo
specifico di dare senso alle informazioni che riceve dall’esterno.
E per questo motivo il modo in cui l’individuo apprende è fortemente influenzato dal suo sistema
di memoria e dalle conoscenze che ha precedentemente elaborato, nonché dalle interpretazioni
degli altri individui con cui entra in relazione.
Non c’è nessuno stimolo progettato ex ante che miri ad ottenere uno specifico comportamento di
risposta predefinito. Al contrario, è grazie all’attività cognitiva che si attribuiscono significati
creativi al contesto esterno e ne derivano, quindi, comportamenti mai sperimentati prima.

Gli scimpanzè di Kohler


Wolfgang Kohler (1887-1967) è uno dei principali studiosi di apprendimento nell’approccio
cognitivista e i suoi studi sono fondamentali nel superamento di una concezione passiva
dell’individuo, che semplicemente reagisce rispetto agli stimoli ambientali. In opposizione agli
aspetti ripetitivi del condizionamento, Kohler evidenzia la centralità nell’apprendimento degli
aspetti cognitivi creativi dell’individuo e, in particolare dell’intuizione (insight). Partendo dai
concetti elaborati nella Gestalt Theory, sviluppa esperimenti con animali «intelligenti», gli
scimpanzé, per mettere in luce le trasformazioni cognitive. Kohler lavora sul ruolo dell’intuizione e
degli aspetti creativi nell’apprendimento attraverso esperimenti con gli scimpanzé. Uno di questi
scimpanzé, Sultano, è posto in una gabbia sul cui soffitto è appesa una banana. Lo scimpanzé
dapprima cerca di afferrarla saltando, ma non riesce a prenderla. A un certo punto, intuisce che
può salire su una cassa – che sin dal primo momento è posta sul lato della gabbia – e riesce così a
prendere la banana. In un altro esperimento, Sultano è in una gabbia al cui interno vi è un bastone
e all’esterno una banana. Dopo vari tentativi di prendere la banana con il braccio, Sultano realizza
che il bastone può essere uno strumento per afferrare la banana. In un terzo esperimento, Sultano
è sempre in una gabbia, dentro la quale questa volta c’è un bastoncino corto; fuori c’è sempre una
banana ma anche un bastone lungo. All’inizio lo scimpanzé lo cerca di prendere la banana con il
bastoncino corto a sua disposizione nella gabbia, ma è impossibile. Dopo vari tentativi senza
riuscirci, Sultano intuisce che il bastoncino corto è lo strumento con cui prendere il bastone più
lungo fuori dalla gabbia. Poi, preso il bastone lungo, lo infila in quello più corto e con questa
costruzione riesce a prendere la banana.
Video: https://www.youtube.com/watch?v=6-YWrPzsmEE&list=PLrSR-
VlhfrVS4ajkq6DU3TO7TasdFV9dm

Il trasferimento dell’apprendimento
Non siamo fatti a compartimenti stagni: quello che impariamo in un ambito, tendiamo a trasferirlo
anche in situazioni diverse. Se ogni risposta comportamentale appresa fosse legata esclusivamente
alla situazione in cui si è imparata, la quantità di apprendimento che dovremmo accumulare
sarebbe enorme. Riusciamo quindi a trasferire l’apprendimento tra situazioni diverse nei modi
seguenti:
1. Attraverso elementi identici: tale identità può riguardare i fatti o le nozioni, le abilità, i
metodi o i principi organizzativi;
2. Attraverso principi o generalizzazioni derivanti da una situazione di apprendimento e
applicati ad altre;
3. Attraverso sforzi consapevoli di percepire delle relazioni e mettere in pratica un qualsiasi
apprendimento;
4. Sviluppando una intenzionalità attiva verso il transfer e l’attenzione per quelle fasi
dell’apprendimento cui esso può essere applicato;
5. Mettendo in rilievo il pensiero divergente, i sistemi aperti, il pensiero creativo, che potenzia
le capacità di transfer e allenta la demarcazione tra i vari sistemi.

Apprendimento sociale
Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1977)
Bandura già visto parlando di auto efficacia.
Non c’è bisogno che l’esperienza venga fatta direttamente dal soggetto perché esso impari: molto
di quello che impariamo, lo impariamo guardando quello che accade a persone che pensiamo
siano simili a noi. L’idea è quindi quella dell’apprendimento vicario: se quella persona ottiene una
conseguenza positiva, ci comporteremo anche noi allo stesso modo in quelle circostanze.
“Le persone imparano anche osservando e imitando gli altri o modellando il proprio
comportamento su quello altrui. L’apprendimento vicario coinvolge il pensiero, le intenzioni, la
definizione degli obiettivi, i processi decisionali” (Bandura, 1992)
Bandura conduce questi esperimenti in un momento particolare: nel momento in cui si sta
diffondendo fortemente la previsione e cominciano a vedersi in TV spettacoli con un alto tasso di
violenza (western, incontro di boxe, etc.).
La domanda che si pone è: guardare qualcuno che si comporta in modo violento, avrà su di me un
effetto di tipo imitativo o in realtà l’osservazione di un comportamento negativo ha un effetto
catartico (ipotesi greca)?
(vedi bobo doll experiment su youtube)
Bandura fa vedere a dei ragazzini il comportamento di un adulto in rapporto a questa bambola
gonfiabile (una di quelle che torna sempre su anche se la colpisci).
Ad un gruppo di bambini viene mostrato l’adulto che gioca in maniera violenta; ad un altro gruppo
viene mostrato un adulto che gioca in maniera serena e amichevole con la bambola.
Dopodiché i bambini vengono messi nella stessa stanza e si osserva che tipo di comportamento
avranno nei confronti della bambola.
Tramite questo esperimento viene rigettata l’ipotesi catartica della visione dei comportamenti
aggressivi: i bambini, infatti, che avevano visto comportamenti violenti agiscono allo stesso modo
nei confronti della bambola.

 Il processo di apprendimento di cui parla Bandura è un apprendimento di tipo sociale e


viene indicato come modeling perché modelliamo il nostro comportamento sulla base di
un esempio che ci viene fornito da qualcuno che riteniamo significativo per noi.
 Bandura focalizza la sua ricerca sull’apprendimento tramite osservazione.
 Un individuo, infatti, può apprendere un comportamento anche senza alcuna forma diretta
di rinforzo; una persona può apprendere semplicemente osservando o imitando gli altri,
che divengono dei modelli. Questo spiega anche perché nei regimi autoritari la propaganda
è così importante, si vedano le sfilate pubbliche, le divise, i gesti o altro, cercando di
modellare il comportamento delle persone su questi esempi
 Questa forma di apprendimento, come detto, è chiamata apprendimento vicario o
modellamento
 L’apprendimento vicario richiede osservazione, riflessione e l’impegno a comportarsi in
modo diverso.

Determinanti dell’apprendimento vicario


Le condizioni affinché avvenga l’apprendimento sono:
o L’apprendimento risulta tanto più probabile quanto più è efficace il modello sociale;
o È più probabile quanto più l’osservatore è stato esposto a simili modelli comportamentali
in modo frequente e in tempi recenti;
o È strettamente connesso alle conseguenze prodotte da un comportamento osservato;
o Vi è la possibilità di osservare il comportamento;
o Il comportamento osservato è comprendibile e si possono identificare i nessi di causa ed
effetto (comportamento e risultato);
o Si percepisce di avere le competenze indispensabili per riprodurre con successo il
comportamento osservato. Se il modello è una persona con qualità uniche, difficilmente
potrò raggiungere gli stessi risultati. Il modello di comportamento lo esprime qualcuno che
reputo simile a me;
o Si può ricordare il comportamento;
o Il comportamento osservato viene rinforzato.

DECIDERE COME: COMPONENTI, MODELLI E LIMITI DEI PROCESSI DECISIONALI


Le componenti delle decisioni
È importante tenere a mente quali sono le fasi di una decisione. A seconda di come svolgiamo le
fasi, cambia il modello di processo decisionale.
La prima fase consiste nella definizione del problema.
Sembra una fase banale ma non lo è: i problemi non esistono in natura; quindi, vanno definiti e in
base a come li definiamo prendiamo una serie di decisioni specifiche in base alla “cornice” che
mettiamo.
Esempio: il riscaldamento globale. Se lo definisco come un problema causato dagli esseri umani e
dallo sviluppo economico, allora dentro questa cornice prendo una serie di decisioni come: ridurre
inquinamento, creazione nuovo modello di sviluppo, decarbonizzazione dei processi produttivi,
riciclaggio rifiuti. Se invece definisco il riscaldamento globale come una fase transitoria che c’è già
stata altre volte nella storia, per cui ci sono state fasi di riscaldamento seguite ad altre in cui la
temperatura si è stabilizzata, ho un altro schema nel quale metto lo stesso problema e di
conseguenza tutta un’altra serie di decisioni da prendere.
Sempre circa il framing dei problemi, spesso il problema viene inquadrato da altri all’interno
dell’azienda ed è importante riuscire a guardare il problema a monte, cercando di non essere
influenzati dalla definizione del problema fatta da altri.
Sintetizzando questo concetto, quindi, se partiamo male con la definizione sbagliata del problema,
tutte le decisioni che prendiamo a valle saranno decisioni che non ci aiutano a risolvere.
Problemi strutturati o non strutturati
Questa distinzione la dobbiamo ad uno psicologo (Herbert Simon), uno dei due psicologi che ha
vinto un premio Nobel per l’economia ed è lo scienziato a cui dobbiamo il modello di razionalità
limitata.

Simon distingue due tipi di problemi:


 Strutturati: sono problemi che hanno una soluzione migliore di tutte le altre. Sono
problemi complicati ma non complessi e risolvibili attraverso un calcolo. I problemi che
affrontano gli scienziati che studiano la fisica o la natura, in genere hanno queste
caratteristiche: è difficile trovare l’equazione che spiega il fenomeno, ma esiste; quindi,
prima o poi la soluzione si riesce a trovare. Questo tipo di problemi è perfettamente
risolvibile da parte dell’intelligenza artificiale, capace di percorrere la strada migliore
avendo a disposizione tutte le informazioni (es: scacchi)
 Non strutturati: sono problemi che non hanno una sola soluzione migliore in assoluto. È un
problema complesso e la strategia con cui lo possiamo decidere non è più un calcolo ma
potrebbero essere, ad esempio, tentativi ed errori, oppure più punti di vista. Anche il
criterio di decisione dovrà cambiare. L’intelligenza artificiale ha fatto grandi passi avanti e si
sta spingendo a risolvere anche questo tipo di problemi tramite moltissimi tentativi
accumulati e quindi una grande esperienza nelle decisioni.
LEZIONE 12
Le componenti delle decisioni
1. Definizione del problema
 Strutturato o non strutturato?
Cosa fa parte del problema e cosa no. È una fase estremamente delicata perché tutto
quello che escludiamo dalla nostra visione non viene preso in considerazione in seguito
nella presa di decisione. Quindi da come definiamo il problema dipende la decisione finale
che prendiamo
2. Obiettivi
 Quanti sono gli obiettivi rilevanti?
Su ognuna di queste dimensioni ci sono diverse possibilità, che danno luogo a diversi modi
di approcciare la decisione, ossia se io ho un unico obiettivo chiaro, il processo decisionale
ha un livello di complessità contenuto.
 Si possono comparare? Sono
Spesso non sono facilmente comparabili. Quando ci troviamo in dilemmi di questo tipo,
con due obiettivi parimenti importanti che è difficile comparare, ecco che la decisione
diventa molto più complessa ed è improbabile che ci sia un’unica soluzione che vada bene
in assoluto meglio di qualunque altra.
 Sono in conflitto tra loro?
3. Informazioni: raccolta e valutazione
 Poche o molte?
 Quantitative o qualitative?
 Favorevoli o sfavorevoli?
Esistenza di un tipo di distorsione cognitiva. Negli ultimi anni si è scoperto, nell’area delle
scienze decisionali, che siamo tutt’altro che razionali ma soffriamo di alcune illusioni (ad
oggi sono contate circa 200), ovvero deviazioni da questo processo ideale di oggettiva
analisi delle informazioni disponibili, scelta dell’alternativa migliore, capacità di stimare in
modo oggettivo i fenomeni, tutte le cose che dovrebbero descrivere un decisore razionale,
vengono in qualche misura offuscate dal fatto che il nostro cervello ha sviluppato delle
scorciatoie nell’uso delle informazioni che ci consentono di prendere velocemente le
decisioni e di fare velocemente delle stime. Nel 90% dei casi è sufficiente questo livello di
accuratezza, ma a volte la stessa scorciatoia ci può portare a prendere decisioni sbagliate.
Una di queste distorsioni si chiama confirmation bias. Esso consiste nel fatto che:
immaginate che ci siano due alternative, A e B, tra le quali possiamo scegliere. Possiamo
avere ragioni a favore o contro le alternative. Abbiamo scoperto che tutti noi abbiamo a
priori, per diversi motivi legati a esperienza o cultura, una relativa preferenza per una delle
due alternative. Secondo questo bias, sarò in grado a trovare diverse motivazioni che
sostengono l’alternativa da me sostenuta e trovo, altrettanto facilmente, informazioni
contro l’alternativa che voglio scartare. In tal modo divento “cieco” in relazione a due aree
fondamentali di informazioni: ragioni contro la mia alternativa e a favore dell’alternativa
sfavorita.
Pro Contro
A (opz favorita) Confirmation bias X
B (opz sfavorita) X Confirmation bias

Il lavoro di gruppo potrebbe essere una strada per uscire da questo bias, a condizione che il
team sia diverso e inclusivo e non abbiamo tutti le stesse idee.
L’altra forma di prevenzione delle distorsioni è la consapevolezza dell’esistenza di questi
bias; quindi, dovendo prendere una decisione importante, cerco di riempire tutti e quattro i
quadranti della tabella sopra, in modo tale da ridurre la distorsione. Allo stesso modo, può
essere utile attribuire ad alcuni membri del gruppo il ruolo di “avvocato del diavolo”, cioè
di trovare il maggior numero di argomenti a sfavore della nostra tesi, in modo tale da
corroborarla e renderla più forte.

4. Alternative: definizione
 Quali e quante sono prese in considerazione?
 Come vengono individuate?
Dal latino, significa “tagliare”, che è esattamente l’azione che compiamo nel momento in
cui escludiamo alcune delle alternative possibili in modo tale da restringere le possibilità.
Nel processo di gestione delle alternative ci sono due fasi:
i. Diverging = significa “moltiplicare le alternative possibili”. È la fase in cui studiamo il
problema, ci chiediamo quali sono le alternative che abbiamo cercando di
raccogliere il maggior numero possibile di informazioni.
ii. Converging = fase in cui effettuiamo i “tagli” delle alternative, fino ad individuare la
nostra scelta
Ci possono essere due difetti in questo processo:
1. Continuare a divergere, cioè non selezionare mai per paura di tagliare le alternative
possibili.
A tal proposito, Herbert Simon ha coniato un termine molto significativo per spiegare
questo tipo di sindrome: paralysis by analysis. A furia di continuare ad analizzare senza
chiudere mai, ci si sente paralizzati ed incapaci a prendere una decisione.
2. Convergenza troppo precoce. In alcuni contesti, il manager si trova a dover prendere
una scelta in tempi brevi e spesso ciò viene scambiato per efficacia ed efficienza
decisionale, il rischio è che si converga troppo presto, prendendo una decisione senza
un numero adeguato di informazioni disponibili.
All’aumentare della pressione temporale, in genere la qualità della decisione
diminuisce.

5. Criteri di scelta (valutazione delle alternative) e scelta


 Massimizzazione del risultato?
 Soddisfazione di livelli di accettabilità?
 Minimizzazione del rischio
 Tentativi ciechi?

6. VALUTAZIONE DEI RISULTATI


Tramite questa fase riusciamo ad imparare. L’apprendimento avviene proprio osservando
le conseguenze della decisione che ho preso e da quello migliorare il processo decisionale.
 Osservazione delle relazioni causa-effetto
 Revisione degli obiettivi, delle teorie impiegate nella decisione
Tipologie di decisione
Nel processo decisionale ci muoviamo in tre possibili zone e utilizzando tre diverse parole:
certezza, rischio e incertezza.

La condizione ideale è una condizione di certezza. Se conosco con certezza le conseguenze delle
mie scelte, non potrò sbagliare la decisione. Tuttavia, nella realtà questa condizione è quasi
utopistica.
Le cose si fanno più complicate quando conosco l’esito delle varie alternative solo in modo
probabilistico, in questo caso ci muoviamo nelle decisioni rischiose. In tale scenario, quello che ci
guida nella decisione è il concetto di valore atteso, calcolato moltiplicando la probabilità di un
certo evento per il valore atteso dall’avere scelto quella alternativa. Questo ci aiuta a pesare i
percorsi tra le alternative. Anche in questo caso, la decisione è razionale e relativamente facile
prediligendo l’alternativa con valore atteso maggiore.
Il mondo peggiore è quello dell’incertezza, nel quale non possiamo calcolare né le probabilità né il
valore atteso delle scelte. Le informazioni, inoltre, sono ambigue: c’è ambiguità sugli obiettivi e
sulle alternative considerabili. Prendere delle decisioni in queste condizioni è estremamente
complicato.

I modelli della razionalità


Le sei fasi del processo decisionale si declinano in modo diverso in base alle diverse tipologie di
combinazioni.
1. Modello economico-ottimizzante
 Obiettivi noti, misurabili quantitativamente e comparabili in modo da poter definire un
ordinamento di preferenze sulle alternative
 Le alternative sono note: si conoscono le leggi causa/effetto
 I risultati sono noti ed è possibile assegnare una probabilità ad ogni evento conseguente ai
vari corsi di azione
La scelta ricade sull’alternativa che massimizza il valore atteso
Nella nostra vita, questo modo di prendere le decisioni si può applicare in pochissimi ambiti
in quanto è un modello abbastanza lontano dalla realtà: quasi mai riusciamo ad avere tutti
gli elementi noti.
I problemi strutturati sono il caso ideale in cui applicare questo modello.
Esempi di problemi strutturati risolvibili per ottimizzazione
o Programmazione produzione standard
o Ottimizzazione portafoglio finanziario
o Decisioni prezzo/qualità di una commodity in un mercato a concorrenza perfetta
o Allocazioni finanziarie alle divisioni di una struttura multi-divisionale in funzione del
ROI della divisione
o Pianificazione quantitativa del personale
I limiti della razionalità
1) Le informazioni costano e i decisori hanno risorse limitate da destinare alla loro ricerca ed
elaborazione (tempo, risorse finanziarie e personali)
2) I problemi non sono strutturati: il numero delle alternative rilevanti è incerto, le
informazioni sono ambigue e i livelli di accettabilità dei risultati non sono chiari
3) Gli obiettivi sono in conflitto o incomparabili:
 Per una stessa persona: conflitto tra obiettivi di sicurezza e di carriera; tra la comodità
di locazione e la bellezza degli interni di un appartamento
 Tra diverse persone: una persona preferisce A>B>C, un’altra C>A>B, una terza B>C>A;
le preferenze non sono integrabili perché una maggioranza preferisce A>B, una
maggioranza preferisce B>C, ed una maggioranza preferisce anche C>A. Questo è noto
come paradosso del voto o di Condorcet.

2. Modello soddisfacente o modello a razionalità limitata


 Obiettivi: molti, non comparabili, espressi come vincoli che le conseguenze siano > o = a X
(“livello di accettabilità” o “livello di aspirazione”). Esempi:
 Almeno X su ogni obiettivo i (regola congiuntiva)
 Almeno X su almeno k fra n obiettivi (regola disgiuntiva)
 Eliminazione se aspetto y assente
 Considerate solo aspetto y
Non ci si pone più il problema di vedere tutte le alternative possibili: il processo decisionale si
ferma nel momento in cui si trova un’alternativa soddisfacente, anche se magari non è la
migliore, ma rispetta tutti i criteri che mi ero posto per la scelta.
Non mi fermo alla prima alternativa soddisfacente in due casi: quando non trovo nulla; quindi,
probabilmente i due criteri non possono essere contemporaneamente soddisfatti e si vanno a
modificare; dati i criteri, ci sono troppe alternative disponibili. La soluzione consiste nel
diventare più esigenti, quindi scegliendo nuovi criteri più stretti.
 Alternative individuate tramite l’applicazione di eurismi: ci sono delle regole esperienziali
che ci aiutano a trovare le alternative che stiamo cercando
Esempi:
 Considerare esperienze di aziende simili
 Considerate proprie esperienze passate simili
 Applicare re “rules of thumb” (regole esperienziali) accettate nel proprio ambiente
decisionale (es. nel nostro settore si applica un mark up del 10%)
 Risultati non si prevedono le esatte conseguenze, ma solo se esse cadranno nella zona di
“accettabilità”.
Se succede “troppo poco” (nessun risultato) o succede “troppo” (eccessivo numero di
alternative), si rivedono i livelli di accettabilità in funzione dei risultati osservati.

Alla fine, secondo questo modello, si sceglie l’alternativa che rispetta i vincoli che mi sono
posto, cioè quella che soddisfa i miei livelli di aspirazione
Spesso confondiamo un buon decisore con un decisore meticoloso, che investe tempo e considera
il maggior numero di alternative; in realtà nel mondo in cui viviamo, ricco di problemi non
strutturati, il punto non è aumentare il più possibile le informazioni ma ridurre intelligentemente il
campo di ricerca.
Per intelligente si intende una riduzione del campo di ricerca in modo tale da minimizzare il rischio
di escludere a priori delle alternative interessanti.

3. Decisioni casuali
Sono decisioni basate sul caso, o meglio su una gestione scientifica e intelligente del caso.
 I problemi possono presentarsi come disfunzioni con cause ignote e che non possono
essere studiate e scoperte in tempo utile per guidare la decisione
 Le alternative possono presentarsi come “quasi indistinguibili” date le poche informazioni
che abbiamo sulle loro conseguenze
 Il feedback dai risultati di tentativi casuali (ma controllati) è l’unica fonte utile di
informazioni per “imparare le scelte giuste” attraverso un processo per “tentativi ed errori”
Vi è quindi una grande differenza con i modelli precedenti: notiamo un’inversione
dell’investimento che facciamo in termini di apprendimento. Nei modelli precedenti si investiva
prima di fare qualcosa (raccolta e valutazione informazioni, applicazione criteri…); in questo
caso, invece, dobbiamo prima agire e poi essere attenti ad imparare da quello che è successo.
L’apprendimento è quindi ex-post.
Apprendere dall’esperienza tramite razionalità a posteriori
EURISMI: percezioni e distorsioni cognitive
Barriere individuali: gli eurismi cognitivi
La parola eurisma, dal greco, significa “ho trovato” e indica dei processi che ci aiutano a trovare
qualcosa: regole automatiche che il nostro cervello usa per trovare l’informazione giusta da
considerare in uno specifico problema, l’alternativa più importante per noi, la previsione più
realistica circa il futuro…
Con l’esperienza, elaboriamo delle regole che aiutano a prendere una decisione o valutare
un’informazione in maniera molto più rapida. Queste regole funzionano in maniera inconscia e il
più delle volte non è un problema che “pesiamo” le cose sulla base di questi eurismi, ma a volte
possono condurci ad errori sistematici.

Eurismi = regole esperienziali o procedure mentali semi-automatiche che ci aiutano a generare


idee, ipotesi, stime o a trovare qualcosa (informazione/alternativa) che si sta cercando.
Vantaggi:
 Semplificazione
 Risparmio di tempo
 Risparmio di energie
Contro:
 Introducono in maniera sistematica delle distorsioni del processo decisionale
 Errori

 Con l’andare del tempo la nostra percezione della realtà, ed il modo con il quale la
raccontiamo a noi ed agli altri, tendono a cristallizzarsi in schemi rigidi.
 Questi schemi, che ci aiutano perché rendono più semplice e veloce la nostra relazione con la
realtà, finiscono per guidare il nostro modo di pensare, di parlare e di agire.
 Più rigidi e forti sono questi schemi (es. stereotipi) meno siamo consapevoli della loro influenza
e della possibilità che ci inducano in errore.

IL FRAMING
Il primo eurisma fondamentale di cui ci occupiamo è il framing, fondamentale perché è a monte di
tutto: dai conflitti interpersonali ai conflitti interfunzionali ed è la base degli esercizi di creatività.
Come detto alla fine della lezione 11, nessun problema esiste in natura ma i problemi devono
essere definiti.
Formulare un problema significa scegliere la cornice dentro la quale lo stiamo esaminando e porsi
delle domande circa la corretta definizione del problema (è davvero questo il problema? C’erano
delle alternative? C’era una strategia diversa?) significa evitare di commettere degli errori e non
essere influenzati da chi ci presenta il problema già inquadrato.
Il framing di un problema implica di solito almeno le seguenti scelte:
1. Cosa fa parte del problema e cosa no
2. Quale sistema di riferimento si usa
(esempio:
 I rischi sono espressi come probabilità di fallimento o di successo?
 È un problema di percentuali o valori assoluti?
 Come viene inquadrato quel problema nella nostra “contabilità psicologica”?)
3. Quali valori e metafore sono implicati
I frame sono difficili da riconoscere. Imparare a distinguerli nella formulazione dei problemi è
un’importante capacità decisionale.
I bias non sono di per sé negativi, però dobbiamo stare attenti agli errori che gli eurismi
potrebbero indurci a fare quando la decisione è molto importante.
Nel caso di una decisione per noi molto importante, vale la pena di fermarsi ed essere sensibili al
fatto che la decisione potrebbe essere influenzata da una o più distorsioni cognitive.

Lezione 14 – Percezioni e Distorsioni Cognitive


Le scorciatoie usate per superare i propri limiti quelli che abbiamo visto insieme e comunque
riuscire a farsi un'idea dell'ambiente intorno e decidere qual è il comportamento, l'azione, la
decisione migliore da prendere hanno un nome e li abbiamo chiamati eurismi. Abbiamo sottolineato
come la parola indichi proprio il fatto di aiutarci a trovare qualcosa che ci serve in una situazione di
grande complessità ed incertezza. Questi eurismi nella maggior parte dei casi ci portano dove
vogliamo quindi consentono al nostro cervello di elaborare queste informazioni in maniera corretta.

Il Framing

Questo eurisma ci dice che la nostra attenzione si dirige solo all’interno dello schema che abbiamo
scelto per definire il problema da risolvere. Tutto ciò che si trova al suo interno viene colto, mentre
quello che sta fuori dalla cornice dal frame rischia di essere invece nascosto e quindi perdiamo delle
informazioni che sono rilevanti o degli elementi del problema che sono rilevanti, per cui può darsi
che quello che invece viene illuminato dallo schema sulla quale viene concentrata la nostra
attenzione, poiché all’interno della cornice che scegliamo, non sia la risposta giusta o comunque
influenzi in maniera eccessiva la nostra decisione. (Esperimento divisi in gruppo A e B esercizi su
eurismi dalla sezione Eurismi e Distorsioni Cognitive)

Prospect theory

Jahnemn e Tversky (1981) sono i due autori della cosiddetta “Prospect Theory” perché dicono che
la prospettiva da cui guardi un problema influenza la tua scelta: se lo guardi da una prospettiva di
massimizzazione dei guadagni fai certe scelte, mentre se lo guardi dalla prospettiva di
minimizzazione delle perdite ne fai un'altra; in un caso se sei avverso al rischio ti accontenti
nell'altro invece andrai a scegliere l'alternativa più rischiosa.
Questo è il comportamento anche di quelli che si rovinano al casino perché insistono a scommettere
sul rosso piuttosto che sul nero quando sto perdendo anche perché scatta questo meccanismo che
non è più il divertimento di guadagnare qualcosa con la slot machine ma è cercare di recuperare una
perdita e non accettare l'idea di tornarsene a casa con una certa quantità di euro in meno.

Qui sotto lo si vede graficamente: l'utilità che noi attacchiamo a 100 € guadagnati si scopre essere
molto inferiore alla disabilità che noi associamo a 100 € persi e questo anche in chiave evolutiva
dimostra la propensione che noi abbiamo a dare più peso agli eventi negativi.

Qui si sviluppa il meccanismo dell’inversione delle preferenze. Se si tratta di massimizzare un


guadagno (FRAME POSITIVO) le persone tenderanno ad essere avverse al rischio, ovvero
preferiranno un guadagno certo al 50% di probabilità di guadagnare il doppio o nulla. Se si tratta
invece di minimizzare una perdita (FRAME NEGATIVO) le persone tenderanno ad essere propense
al rischio, ovvero piuttosto che accettare una perdita certa preferiranno il 50% di probabilità di
perdere il doppio o nulla.

Tutto ciò accade poiché è molto importante l'immagine che abbiamo di noi, e non accettando una
perdita certa. Possiamo usare tutti questi turismi perché l'unica difesa che abbiamo è proprio la
consapevolezza che la nostra razionalità può essere distorta, dunque quando prendo una decisione
importante posso utilizzare tale conoscenza a mio favore.

La rappresentatività

Il primo esempio già nel caso del candidato ideale: guarda com’è ben vestito, ricordate la prima
impressione che fa al colloquio di lavoro. Quelle distorsioni che avevamo visto anche sulla
percezione, ossia la probabilità che un candidato, un prodotto, un progetto, un’azienda in cui voglio
investire appartenga a una qualche popolazione B è giudicata dalla somiglianza o rappresentatività
di A con quella popolazione ma non solo con la popolazione, fatto più grave con lo stereotipo che
noi abbiamo di quella popolazione. ESEMPIO: se vi presento due asiatici e vi dico uno solo dei due
ama il sushi qual è la probabilità che sia cinese o giapponese chiaramente avete un dato che dice
giapponese perché amano i suoi ma dall'altro lato avete qualche miliardo o forse di più e quindi
estrarre a caso un'amante del sushi anche tra i cinesi probabilmente è molto più probabile in termini
statistici ancora una volta però vi siete fidati dell'informazione relativa al singolo caso e dell'idea
che voi abbiate che al giapponese piace il sushi, al tedesco la birra e così via allora cosa dovete fare
per diventare decisori che è l'obiettivo che ci stiamo dando un po’ più attenti e magari sfruttare
queste cose a vostro vantaggio perché di nuovo queste cose hanno sempre due facce è importante
non cascarci noi e può essere utile indurre qualcun altro a ragionare in questi termini se questo può,
in maniera ovviamente non illegale, senza prevaricazioni, massimizzare il nostro interesse.

La disponibilità

Disponibilità rappresenta la situazione che riguarda i giudizi di frequenza di probabilità relativa con
discorsi del tipo “nella mia esperienza mi ricordo questa cosa”, è importante perché la frequenza la
stimiamo richiamando alla mente quanti più esempi possibili che corrisponde per noi a quanto più
l'evento è giudicato frequente o probabile. Questo spiega l'irrazionalità per esempio della paura di
volare perché razionalmente se calcolassimo il rischio di morire in un incidente è molto più alto
andando in auto che volando, ma il resoconto drammatico con i pezzi di sedile che galleggiano
nell'oceano, una settimana a cercare la scatola nera, e le storie dei parenti quella roba lì se letta mi
impressiona poiché ti immedesimi col fatto di essere lassù in balia di qualche incidente meccanico
soprattutto di non aver nessun controllo su quello che accade e dunque mi resta in mente molto di
più la notizia del tragico disastro aereo più che dell’incidente in autostrada. Pensate dunque come
potete usare la pubblicità che serve a renderti disponibile facilmente nella memoria il fatto che se
vuoi avere i denti più bianchi del mondo è meglio se te li lavi con il prodotto che pubblicizzano e
così via.

Le distorsioni di disponibilità sono dovute principalmente ai seguenti fattori:


- Differenze tra informazioni vivide e opache: es. i disoccupati sovrastimano il tasso di
disoccupazione;
- Differenze in facilità di ricerca: generazioni di ragioni pro o contro una alternativa preferita;
- Differenze in immaginabilità: cecità funzionale: es. marketing vs produzione o paura di
volare.

L’ancoraggio

Questo eurisma ci aiuta a prendere decisioni consentendoci di utilizzare una conoscenza precedente,
l’ancora, aggiustando la quale costruiamo la nostra risposta. Esempi:

 Come facciamo il budget delle vendite per l’anno venturo? Prendiamo le vendite di
quest’anno e aggiustiamo percentualmente;

 Come definiamo gli obiettivi per l’anno venturo per un nostro collaboratore?
Partiamo dagli obiettivi di quest’anno;

 Come definiamo il prezzo di un prodotto? Partiamo dai costi di produzione e


aggiungiamo un mark up.

Queste sarebbero domande alle quali le persone troverebbero molto difficile rispondere
normalmente senza ancora. Ma i numeri che vi sono stati forniti potrebbero avere guidato fin troppo
le vostre risposte. Se vengono fornite due tipi di ancore: una “Alta” e una “Bassa” la risposta sarà
molto vicina alla realtà, mentre invece darne solo una delle due, porterà a risultati a volte errati
poiché spostati troppo da una o l’altra parte.

Overconfidence

Non è solo importante sapere, ma anche conoscere i limiti della propria conoscenza. Confucio:
“Conoscere che sappiamo ciò che sappiamo e che non sappiamo ciò che non sappiamo, questa è
vera conoscenza” Più ci si allontana da ciò che si sa, più la fiducia della propria conoscenza
diminuisce, ma purtroppo non in maniera proporzionale, tendiamo a credere di sapere molto di più
di quanto sappiamo in realtà, e quindi di essere in errore molte meno volte di quanto realmente lo
siamo. L’overconfidence è una distorsione complessa risultato del combinarsi di tutte le altre:
rimaniamo troppo ancorati alle nostre conoscenze anche quando il contesto o il problema cambiano,
usiamo le informazioni più disponibili e utilizziamo stereotipi e pregiudizi (rappresentatività) nel
dare comunque una risposta.

Per ridurre l’overconfidence è necessario sbagliare tanto, vedere i limiti della propria conoscenza e
aggiustarli, imparare dagli errori che commettiamo, attraverso un feedback preciso sulle
conseguenze delle nostre stime/decisioni.

Come decidere nonostante gli eurismi?

Le distorsioni cognitive da eurismi possono essere evitate:


• aumentando la consapevolezza dei propri processi mentali;
• essendo più critici e mettendo in discussione le proprie certezze;
• facendo buon uso dei dati disponibili e investendo tempo ed energie;
• utilizzando strumenti di supporto alle decisioni;
• lavorare con qualcun altro con frame cognitivi diversi dai propri, che sia soggetto a
distorsioni in maniera diversa o minore da sé (Teamwork).

Lezione 15 – Motivazione e Obiettivi


La motivazione

L’origine del termine motivazione è latina e indica ciò che spinge le persone ad agire, a comportarsi
in un determinato modo. La motivazione ha cioè la capacità di influenzare la direzione, la forza e la
persistenza dell’azione. La motivazione è alla base del comportamento individuale e determina i
risultati, a parità di capacità e attitudini. Questa definizione è alla base delle cosiddette teorie di
contenuto, quelle cioè che spiegano che cosa spinge le persone ad agire. Diversamente, nella
definizione di Vroom, la motivazione è intesa «come un processo
che governa le scelte fatte dalle persone», a segnare la distinzione fra
teorie di contenuto e di processo, laddove quest’ultime spiegano
come le persone si mettono in moto, più che illustrare cosa le
accenda.
La motivazione non la osserviamo direttamente, la notiamo come
differenza nel comportamento, e si tratta di un processo complesso;
esaminando diverse teorie e modelli che ci aiutano a capire il
processo di motivazione non le guardiamo come spiegazioni
alternative ma in maniera complementare, ossia come diverse
angolazioni attraverso cui interpretare qualcosa di complesso come la motivazione.
La distinzione delle teorie come detto vede in primo luogo due blocchi, teorie del contenuto
motivazionale (cosa ci motiva, qual è il bisogno che motiva un individuo) e teorie del processo
individuale (come ci motiviamo, ad esempio a scegliere tra due alternative di comportamento o a
decidere di lasciare o rimanere in una certa azienda). Non si devono vedere come alternative ma
come angolazioni di un fenomeno che altrimenti sarebbe difficile da indagare.
La motivazione è data da quei processi psicologici (cognitivi ed emotivi) che originano e
direzionano il comportamento orientato all’obiettivo. Prendiamo un bisogno elementare della
piramide di Maslow come la fame: si potrebbe pensare che siamo semplici, sentiamo un bisogno
che crea stato di tensione e fino a quando non soddisfacciamo il bisogno si mantiene la tensione.
Tuttavia, se ci pensiamo bene, in individui complessi questo bisogno elementare scatena una
personalità, suscita immagini legate ad
emozioni. Siamo esseri complessi
perché anche un bisogno
apparentemente elementare attiva
processi di pensiero, pianificazioni di
azioni, emozioni, desideri ed è questo
insieme cognitivo, emotivo e fisico che
ci motiva.
Spesso le motivazioni delle nostre
scelte non sono note neanche a noi, e la
teoria psicanalitica ci dice che una gran
parte di ciò che governa il nostro
comportamento è inconscio.

Ricordando che Prestazione =


Competenze X Motivazione X Percezione del ruolo, la motivazione è ciò che spiega la varianza
di comportamento non totalmente attribuibile né a differenze individuali né al contesto lavorativo
(tecnologia, organizzazione del lavoro, ecc.). La varianza di orientamento degli sforzi, intensità
dell’impegno e persistenza dell’impegno è spiegata proprio dalla motivazione, la quale chiarisce
perché, a parità di condizioni, le persone hanno performance lavorative anche molto diverse. Le
caratteristiche individuali (personalità, atteggiamenti, conoscenze, abilità ecc.) non si riflettono
direttamente nella performance, esse vengono infatti mediate dalla motivazione.

Un’ulteriore distinzione va fatta tra motivazione estrinseca (deriva dall'ambiente di lavoro esterno
al compito e di solito è applicato da qualcuno diverso dalla persona motivata. La retribuzione, le
indennità accessorie, le politiche aziendali e le varie forme di supervisione sono esempi di
motivazione estrinseca) mentre per la motivazione intrinseca (nasce dal rapporto diretto tra il
lavoratore e il compito e di solito è auto applicato. I sentimenti di realizzazione, sfida e competenza
derivanti dall'esecuzione del proprio lavoro sono esempi di motivazioni intrinseche, così come il
puro interesse per il lavoro stesso.) Tutto ciò si lega dunque alla teoria dei rinforzi, secondo la
quale siamo motivati a riprodurre un comportamento se questo è rinforzato dall’ambiente, tramite
ad esempio un premio. Siamo motivati a risolvere problemi complessi dalla curiosità e dalla voglia
di raggiungere un obiettivo, non siamo solo spinti da bisogni, le emozioni motivano certi
comportamenti piuttosto che altri.
Le teorie della motivazione

Sono teorie che guardano il contenuto motivazionale, cosa ci motiva. È importante capire a cosa è
sensibile un soggetto e che bisogni ha un nostro collaboratore. Sono capacità da sviluppare se
vogliamo diventare abili a lavorare con gli altri, così come capire quali sono i processi
motivazionali, come scegliamo un comportamento o intensifichiamo una certa azione.

All’interno delle teorie della motivazione abbiamo le teorie del contenuto: la gerarchia dei bisogni
di Maslow, ERC di Alderfer, i fattori duali di Herzberg e l’Achievement-potere-affiliazione di
McClelland. Dopo di che abbiamo le teorie del processo: Teoria dei rinforzi, Goal setting,
Aspettativa-valenza e Giustizia organizzativa.

Abraham Harold Maslow per la sua Gerarchia dei bisogni è considerato il padre della psicologia
positiva, cioè guarda cosa bisogna fare per essere felici e ottimisti ed avere buone relazioni con gli
altri. Guarda alla realizzazione dell’individuo come parte più importante della vita di ognuno di noi.
Maslow articola la punta della sua priamide in maniera un po’ più ricca rispetto all’idea di
autorealizzazione; i bisogni fondamentali, che attivano comunque processi cognitivi molto
sofisticati, sono di base perché legati alla sopravvivenza nostra e della nostra specie. Salendo,
notiamo che subito dopo aver soddisfatto questi bisogni abbiamo bisogno di controllare il nostro
ambiente, capire come funziona un fenomeno è fondamentale per controllarlo. Successivamente
inizia la parte più alta dei bisogni, quella delle relazioni con gli altri: il fattore principale della
felicità e della well-beingness è la qualità delle relazioni con gli altri. Gli umani sono animali
sociali. Nella punta della piramide Maslow aggiunge anche una dimensione spirituale della nostra
vita, avere una vena artistica, amare attività che non sono funzionali a raggiungere un obiettivo
come giocare a calcetto o suonare uno strumento. È una piramide perché l’ordine superiore non è
motivante fino a quando non è soddisfatto l’ordine direttamente inferiore. Una volta che ho
soddisfatto i bisogni essenziali, comincio ad avere delle pretese: si veda la condizione degli operai
come cambia dal taylorismo a ora. Se invece siamo alle prese con problemi primordiali, ad esempio,
l’autorealizzazione rimane sullo sfondo. Il bisogno di ordine superiore non è motivante se non è
soddisfatto il bisogno di ordine inferiore, e il bisogno completamente soddisfatto cessa di essere
motivante. Come in tutti i casi questa teoria ovviamente ricevette delle critiche: Maslow forse
confonde bisogni e qualcosa di leggermente diverso. Prendiamo gli artisti, che possono essere
poveri ma trovano soddisfazione nel fare la loro arte: se mi lascio morire di fame perché sono un
Van Gogh o un artista che ha fatto qualcosa di rivoluzionario per essere fedele a me stesso, i bisogni
di autorealizzazione sono così forti che sovrastano i bisogni di base. I bisogni di autorealizzazione
più che bisogni sono valori, cose che vogliamo realizzare nella nostra vita, idee che ci trascinano. - -
Un’altra critica mossa a questo modello è che è culturalmente determinato, è molto improntato e
risente dell’America degli anni Sessanta quando c’era una riscoperta dell’individuo e
dell’edonismo. È culturalmente determinato, enfatizza molto l’individuo: in culture diverse da
quelle occidentali la realizzazione del benessere collettivo è più importante del benessere
individuale.

Teoria di McClelland Achievement-Potere-Affiliazione

McClelland Conosciuto per i suoi studi sulla realizzazione (in particolare in campo
imprenditoriale), ed il quale intende i Motivi-moventi come reti di emozioni disposte secondo una
gerarchia di intensità e di importanza mette a fuoco tre “needs”: for power, for achievement and for
affiliation, e ne fornisce una versione in negativo ugualmente importante dal punto di vista
motivazionale, rispettivamente desiderio di evitare un fallimento, evitare la dipendenza da altri e
infine evitare l’isolamento.
Achievement –> Realizzazione - bisogno di portare a termine un compito difficile con successo
(motivazione al successo e imprenditorialità)

Power –> il bisogno di potere è una spinta motivazionale che include il bisogno di imporsi
all’attenzione altrui, di stabilire, mantenere, o ristabilire il proprio prestigio o potere (importanza
della reputazione). Include il desiderio di influenzare, guidare, insegnare o incoraggiare gli altri alla
realizzazione.

Affiliation –> o affiliazione da ricondurre al bisogno di appartenenza di Maslow. Desiderio


fondamentale di formare e mantenere relazioni interpersonali durature, positive e importanti.

McClelland va a vedere se c’è una correlazione tra l’emergere di uno o più dei tre bisogni e come si
combinano, e il tipo di lavoro che si fa. Un buon capo che combinazione di questi tre bisogni
dovrebbe avere? Esistono profili motivazionali più coerenti con un certo ruolo professionale o una
certa esperienza lavorativa, ci aiuta a scegliere il lavoro giusto per la persona giusta. Il potere serve
a ottenere i risultati che vogliamo e che da soli non otteniamo, ci sono due forme: per glorificare noi
stessi, egoistico, e una versione del need for power di tipo più socializzato, per ottenere obiettivi di
rilevanza per il gruppo, che riconosce tale potere perché sa da cosa sono motivato. I bisogni variano
da persona a persona, ma possiamo standardizzare profili di tipo manageriale: ad esempio un buon
manager è caratterizzato dal bisogno di controllo e successo, e da basso bisogno di affiliazione. I
manager di successo tendono ad esercitare il potere in modo moderato e a non fronteggiare
direttamente gli altri come avversari.

Il modello dei fattori duali

Questo modello esprime l’idea che di base esiste una differenza tra motivazione e non
insoddisfazione e i fattori che generano l’una o l’altra situazione sono diversi. Mette insieme le
teorie dei bisogni con le caratteristiche del lavoro, ci spostiamo su modelli e teorie relative alla
motivazione impiegabili per spiegare il comportamento in ambito aziendale, ed è una saldatura tra
le due motivazioni di fondo che caratterizzano il rapporto degli individui col lavoro, una di tipo
intrinseco e una estrinseca; se è vero che le caratteristiche dell’ambiente di lavoro soddisfano i
bisogni delle persone, lo fanno perché il lavoro ha caratteristiche tali da rendere più semplice
l’autorealizzazione delle persone. Distingue tra motivazione e soddisfazione. Herzberg sviluppa la
sua teoria empiricamente, utilizzando per lo sviluppo di questo modello la tecnica dell’incidente
critico: ad un campione di persone è stato chiesto di descrivere delle situazioni in cui sono stati
particolarmente soddisfatti e particolarmente insoddisfatti; ad un altro campione gli si chiedeva di
descrivere un evento della vita lavorativa soddisfacente e in cui ci si era sentiti positivamente
orientati presso la propria attività lavorativa. Dopo aver raccolto centinaia di racconti, cercarono
elementi che si ripetevano in racconti diversi, e vedere se i fattori organizzativi citati come causa di
insoddisfazione, di disengagement, erano gli stessi
in segno negativo come causa di soddisfazione.
Scoprirono che i fattori che spiegano
l’insoddisfazione non sono gli stessi che spiegano la
soddisfazione, non c’è un continuum tra questi due
elementi, sono due esperienze spiegate da fattori
diversi. Da questo risultato ne giunge che esistono
due tipi di fattori:

Fattori igienici: condizioni minime per cui le


persone stiano in una condizione di non
insoddisfazione: le persone quindi se ne accorgono solo quando mancano. Se assenti quindi
generano insoddisfazione, mentre se presenti generano neutralità= non insoddisfazione. (politiche
di impresa, supervisione tecnica, relazioni interpersonal,i condizioni di lavoro e retribuzione).

Fattori Motivanti: se non presenti neutralità, se presenti (e solo questi): soddisfazione e


motivazione. (achievement, riconoscimento lavoro in sé, responsabilità, avanzamento e possibilità
di carriera)

I fattori motivanti sono raggiungimento di obiettivi e risultati significativi, riconoscimento dei capi
e dei colleghi, motivazione intrinseca sul lavoro in sé, responsabilità, possibilità di crescita in
termini di competenze. I fattori igienici sono un capo particolarmente aggressivo, ambiente di
lavoro fastidioso e difficile, conflittuale con i colleghi, e la mancanza di buona paga e condizioni di
sicurezza minime accettate. Si mettano insieme questi due blocchi di fattori con i bisogni che
soddisfano nelle persone e scopriamo una corrispondenza abbastanza precisa: i fattori igienici
tendono a soddisfare bisogni di base o essenziali, fisiologici, legati alla sopravvivenza e alla
sicurezza, i fattori motivanti soddisfano bisogni più elevati, come stima, autostima e
autorealizzazione.
Più un ambiente è stimolante, più le persone sono spinte a dare di più. Come assegniamo le
mansioni, che tipo di autonomia diamo alle persone conta se vogliamo avere persone fortemente
motivate. Herzberg collega i fattori igienici alla motivazione estrinseca, alla soddisfazione di
bisogni di base, e invece i fattori motivanti alla
motivazione intrinseca alla necessità di soddisfare
bisogni elevati.

Il modello di Herzberg ha delle implicazioni


organizzative quali:

- ampliamento delle conoscenze, maggiori


relazioni fra conoscenze, creatività,
efficacia in condizioni di ambiguità, etc.;
- dal contesto al contenuto del lavoro;
- intervento sulle mansioni (rotazione,
allargamento, arricchimento).

Che caratteristiche deve avere un lavoro per essere intrinsecamente interessante e motivante?

Ecco elencate qui di seguito quelle che sono le linee guida nell’ambito definito job design:

- significato del lavoro: la


possibilità di svolgere attività che
appassionano, che fanno la
differenza, che rappresentano una
sfida o a livello di risultato o a
livello di processo;
- possibilità di scelta: percezione
della possibilità di decidere cosa
fare, quando e come ovvero di
avere buoni margini di autonomia;
- sensazione di competenza: percezione di avere le competenze necessarie allo svolgimento
delle attività richieste dal ruolo;
- senso di miglioramento: sensazione di fare
progressi, di apprendere, di sviluppare le
proprie competenze e professionalità.

Nel modello “Job demand/job resources” si dice che


si realizza stress quando ciò che il lavoro chiede è in
eccesso rispetto a ciò che l’individuo ha, ad esempio
le competenze. Infine, è motivante un lavoro in cui
ho la possibilità di migliorarmi, è visibile che sto
proseguendo nel compimento del bisogno di
autorealizzazione, voglio avere senso di
miglioramento, ossia la sensazione di fare progressi,
di apprendere, di sviluppare le proprie competenze e
professionalità.
Hackman e Oldham ci dicono che caratteristiche deve avere un compito per essere motivante: deve
essere vario, avere sua identità e un suo significato, lascia autonomia e mi lascia un feedback.
Sperimentiamo stati psicologici critici, sperimentiamo il fatto che per noi il lavoro ha senso,
abbiamo responsabilità per il lavoro, conosciamo i risultati del nostro lavoro. Quando questi stati
psicologici si manifestano sperimentiamo risultati positivi che ci danno forte motivazione
intrinseca, ci spingono a una qualità del lavoro elevata. Se vogliamo applicare il modello di
Hackman e Oldham detto Job characteristics model, dobbiamo conoscere che cosa ha cuore la
persona per cui stiamo disegnando il lavoro.

Questo modello è utile come guida per il ridisegno delle mansioni: nel momento in cui la qualità del
lavoro non è buona come ci si aspettava, bisogna ridisegnare il compito delle persone: si attuano
interventi di ridisegno delle mansioni, li facciamo ruotare nelle varie posizioni per avere una varietà
di esperienze; se ruoto su compiti semplici tuttavia non aumento soddisfazione, se arricchisco
mansioni aumento autonomia di decisione che ho nel svolgere il mio lavoro.

Questa ultima immagine rappresenta la “Bibbia” da seguire per fare in modo di creare un
lavoro/compito motivante, con i relativi vantaggi che ne conseguono.

Stato di Flow

Quando siamo talmente concentrati ed immersi in quello che facciamo che perdiamo la cognizione
del tempo, ci dimentichiamo che dobbiamo mangiare, non siamo nemmeno più sensibili ai bisogni
di base, è così interessante farlo che troviamo un'enorme soddisfazione e questa cosa è tipica del
gioco, è tipica della musica, e può essere tipica però anche del cercare di far crescere la propria
start-up, andare a conquistare un contratto o farsi fare il primo finanziamento da una banca. Ci
possono essere compiti/attività che ci immergono completamente ma perché si possa stare in
quell'area però bisogna trovare un equilibrio tra la difficoltà di quello che facciamo e le competenze
che abbiamo, ovviamente un equilibrio dinamico perché nel tempo le competenze aumentano non
fosse altro perché abbiamo già svolto quell'attività e quindi diventiamo progressivamente più bravi
anche solo per effetto della ripetizione. C'è un'area nella quale queste due variabili stanno in
equilibrio tra loro ed è qui che io sperimento l'attività di flow se divento più bravo il compito
diventa più difficile quindi rimane sempre stimolante rispetto ad una settimana fa o sei mesi fa
quando sono entrato in azienda, e quel senso di crescita, di sviluppo che continua ad avere cresce.
Le aziende migliori disegnano sentieri di carriera o vi affidano progetti sapendo che devono fare
così e devono riuscire ogni volta a trovare qualcosa che rappresenti per voi una sfida appassionante:
le due aree negative letture negative sono quando le difficoltà sono sproporzionate rispetto alle
competenze e quindi tipicamente quando siamo qui andiamo in ansia e non ci divertiamo più,
oppure il contrario in cui il risultato è invece la noia. Ancora una volta, come faccio a trovarmi un
lavoro che mi dia sempre stimoli in maniera tale che io sia sempre immerso in quello che faccio e
non senta per esempio la fatica di operare in quel modo e non vada in una delle due condizioni, ecco
la difficoltà di applicare questo modellino da manager, è che ognuno ha il suo asse, quello che è
facile per me può essere difficilissimo per qualcun altro e viceversa quindi io devo, e questo è il
segreto di tutte le leadership, come gestore di persone nel mondo migliore è sempre quello di
conoscere veramente bene le persone con cui si lavora. Non spalmare su tutti la stessa soluzione,
personalizza per ognuno la singola soluzione, più arduo ma crea risultati più che ottimi.

Teorie del processo

Si focalizzano su come ci si motiva, qual è il processo cognitivo affinché si sviluppi una


motivazione al lavoro. CI sono quattro modelli: il primo è quello della teoria dei rinforzi, ci
motiviamo andando a ricercare esperienze comprese quelle di lavoro che portano a rinforzi positivi
o negativi, gli altri sono la modalità di assegnazione degli obiettivi (goal setting), il valore
dell’aspettativa che gli obiettivi vengano raggiunti (aspettativa-valenza o di Vroom) e l’equità
percepita nel rapporto tra contributi-incentivi dell’individuo e delle altre persone (teoria della
giustizia organizzativa o dell’equità).

Teoria del goal-setting


(Locke)

Cominciando dal goal-


setting bisogna ricordare
che dietro questi processi
motivazionali come già
detto, ci stanno dei circuiti
cerebrali che attivano dei
meccanismi che noi
percepiamo come
particolarmente piacevoli
o positivi e avevamo detto
che uno è desiderare il
raggiungimento di un
obiettivo che è proprio quello che sfrutta la teoria del goal-setting, perché dice come facciamo a
definire obiettivi motivanti cioè che caratteristiche devono avere gli obiettivi per spingere davvero
le persone a impegnarsi al massimo per raggiungerli. In che modo dobbiamo definire gli obiettivi a
qualcuno affinché l’individuo sia il più fortemente motivato a raggiungerlo?
(Esempio)I primi esperimenti di Locke furono sui taglialegna, poiché è un compito in cui la
produttività è molto facile misurarla: alberi abbattuti in una giornata. Locke come primo
esperimento di ricerca vuole capire se c’è un modo di spingere questi lavoratori verso un aumento
di produttività manipolando un’unica variabile, cioè il modo in cui vengono definiti gli obiettivi.
Divide i lavoratori in due gruppi, uno di controllo dove non viene toccato nulla, lasciati liberi di
agire, e uno sperimentale, dove Locke dà istruzioni precise su ciò che si aspetta venga raggiunto in
termini di produttività alla fine della giornata, e manipola altre variabili. Alla fine Locke scopre che
gli ingredienti per rendere motivante un obiettivo sono che gli obiettivi devono essere più
possibile specifici, espressi in maniera quantitativa, chiari e ben compresi dalle persone che li
devono eseguire, in pratica obiettivi specifici portano ad una prestazione migliore di obiettivi
generici e obiettivi come “Fate del vostro meglio” e “Fate un buon lavoro” non hanno effetti
motivanti di per sé; per avere effetti motivanti un obiettivo deve essere chiaro e misurabile.
Seconda condizione è che gli obiettivi siano sfidanti, devo trovare equilibrio ideale tra quanto è
difficile raggiungere un tale obiettivo e quanto io sono capace. Se un obiettivo è facilmente
raggiungibile, non è motivante, tuttavia anche obiettivi troppo difficili, paralizzanti, non sono
motivanti, creano ansia e paura. Occorrono obiettivi “challenging” (esiste una relazione a u
rovesciata tra difficoltà e perfomance): obiettivi più sfidanti portano a risultati migliori che obiettivi
troppo poco ambiziosi, se gli obiettivi vengono percepiti come non raggiungibili perdono la loro
funzione motivante e obiettivi sfidanti non sono universali: dipendono dalle competenze,
l’esperienza, l’auto-efficacia. Non posso fissare obiettivi a qualcuno se non lo conosco, fissare lo
stesso obiettivo a persone diverse non ha senso. Terza cosa, quando viene fissato un obiettivo sono
più motivato quanto più ottengo feedback continui su quanto è allineata la mia prestazione rispetto
all’obiettivo, aggiusto progressivamente il mio comportamento, imparo e vedo il miglioramento
giorno dopo giorno. Le persone che chiedono più spesso feedback sono le migliori, sono allineate
nel loro comportamento per raggiungere l’obiettivo. La relazione tra motivazione e difficoltà
degli obiettivi è a u rovesciata, la difficoltà cresce a mano a mano che cresce la nostra abilità,
evitiamo le due aree negative della u rovesciata. Finché c’è equilibrio, sperimentiamo il flow e
siamo fortemente ingaggiati nell’attività, se è più difficile di quanto io possa fare ho ansia, se è
troppo facile ho frustrazione.

Qual è la tecnica manageriale che più si è adattata al goal-setting? Il cosiddetto MBO,


Management by objectives, applicato
da tutte le aziende quando si tratta di
agganciare la parte variabile allo
stipendio, è lì che bisogna definire in
maniera chiara gli obiettivi.

Teoria Aspettativa-Valenza

Questo modello si deve ad un ricercatore


chiamato Vroom il quale dice che noi
facciamo un calcolo motivazionale, ecco
perché parliamo di teorie del processo e
di come prendiamo le decisioni. Questo
modello serve a capire per esempio come facciamo a scegliere tra due alternative, cosa motiva la
scelta tra due alternative? Dipende dalla valenza, che poi vuol dire il valore che io attribuisco al
risultato di quel comportamento quindi quanto è importante quello che io riesco ad ottenere se
perseguo questa ttività o scelgo l'alternativa moltiplicata però per l'aspettativa che rappresenta la
probabilità soggettiva attribuita al raggiungimento dell'obiettivo.

L’ambito di applicazione più importante di questa ricerca è dunque quando vogliamo spiegare la
motivazione di una scelta tra più alternative. Gli individui indirizzano i propri sforzi verso le attività
che possono portare all’ottenimento di risultati desiderabili. È un modello molto razionale che
funziona principalmente con due variabili, tra due alternative io sceglierò quella col valore atteso
più alto, moltiplicando la probabilità (soggettiva) che ho di raggiungere un obiettivo per il valore
che attribuisco all’obiettivo. Una volta che ho realizzato la performance a questa ho collegato una
ricompensa. L’aspettativa è la probabilità soggettiva che, esplicando un certo sforzo/energia nella
direzione di una performance efficace si otterrà un risultato valutato positivamente (e che tale
risultato produca una ricompensa), la valenza è il valore soggettivo della ricompensa/risultato
ottenibile da una performance efficace. Ognuno di noi fa questo calcolo e punta sulle attività che
idealmente hanno aspettativa = 1 o valenza massima.
L’elemento di soggettività in questo modello è uno dei limiti, cambiano aspettative e valenze
rispetto alla stessa attività in ogni persona, se ho locus of control esterno avrò aspettativa bassa, il
risultato secondo me dipende da forze su cui io non ho controllo, ma soprattutto l’aspettativa
dipende dal senso di autoefficacia, di quanto mi ritengo capace di raggiungere un determinato
obiettivo. Anche la valenza cambia, perché il valore del risultato dipende dai valori degli individui e
dai loro obiettivi.
I due limiti di tale approccio sono dunque la macchinosità e la razionalità del modello, anche se di
fronte a decisioni molto importanti è probabile che il processo sia di questo tipo, e l’altro limite è
che non è abbastanza utile in chiave predittiva: dovrei sapere così tante cose sulla persona a cui
applico il modello che ha potere predittivo limitato.

Motivazione ed Equità

Detta anche teoria della giustizia organizzativa o modello di Adams, ci dice che fino a questo
momento si è parlato della motivazione come un fatto individuale: ognuno con i propri bisogni, il
proprio equilibrio tra motivazione intrinseca e estrinseca, con i propri obiettivi; la teoria dell’equità
ci dice che siamo animali sociali e che dunque siamo motivati a ciò che osserviamo accadere alle
persone con cui ci confrontiamo.
La teoria dell’equità è un modello motivazionale secondo cui le persone negli scambi sociali o nelle
relazioni dare- avere, ricercano l’imparzialità e la giustizia. L’equità viene intesa come l’essere
trattati in modo equo rispetto agli altri e implica, quindi, un processo di comparazione sociale.
La prima tipologia di equità è quella distributiva, ci aspettiamo che a parità di input nel sistema le
persone ottengano ricompense molto simili tra loro: stessa ricompensa per lo stesso contributo. La
teoria della giustizia amministrativa viene fuori dalle teorie sull’amministrazione della giustizia
secondo cui la pena deve essere commisurata alla gravità del reato come principio chiave.
Ispirandosi alla giustizia legale in ambito manageriale otteniamo il principio secondo cui contributi
e ricompense devono essere proporzionali tra di loro. La seconda è l’equità di tipo
procedurale: equità percepita con riferimento al processo e alle procedure usate nelle decisioni di
allocazione di risorse, conta come viene decisa la ricompensa. È importante poiché se avviene
qualcosa che percepiamo di iniquo dal punto di vista distributivo, ma sono state rispettate le regole
procedurali, è provato che le persone accettano esiti distributivi sfavorevoli a loro se si è seguita una
procedura in maniera corretta e chiara. Infine, c’è l’equità relazionale, il livello di considerazione e
rispetto per me mostrato dal mio capo che mi tratta in maniera equa, mi sento rispettato, è l’equità
percepita con riferimento al modo in cui ci si sente trattati nelle relazioni. La combinazione di
queste tre equità porta a sentirsi trattati in maniera equa o meno. Se percepisco di essere trattato in
maniera iniqua, se le ricompense che ottengo sono inferiori al contributo che penso di dare
all’organizzazione in questi casi ho due alternative: la protesta, l’abbandono dell’organizzazione e
la diminuzione del contributo.
C’è una quarta forma di equità, ma che fa parte dell’equità procedurale, ossia l’informativa,
l’equità percepita con riferimento all’accesso alle informazioni rilevanti relative alle decisioni prese
e ai criteri che le hanno guidate.
LEZIONE 16 – IL GRUPPO
Il gruppo

Con gruppo si intende un insieme di due o più individui che interagiscono e dipendono gli uni dagli
altri per il raggiungimento di un obiettivo comune.

 I membri del gruppo condividono gli stessi obiettivi;

 Il gruppo sviluppa ruoli e relazioni interne;

 Il gruppo esiste quando gli individui riconoscono sé stessi come membri e la sua esistenza è
riconosciuta dall’esterno;

 Si basa sul processo di aggiustamento diretto e reciproco tra attori interdipendenti;

Il gruppo può essere analizzato in base a due dimensioni fondamentali:


- Formalità: i gruppi formali sono quelli che vengono definiti tali dall'organizzazione
(mettiamo insieme una task force o un comitato che deve risolvere un problema dunque
l'azienda lo sa, le persone lavorano insieme perché c'è un'indicazione precisa di quello che
devono fare, dell'obiettivo che devono raggiungere), ma in tutte le aziende c'è poi una
dimensione informale ossia una rete di rapporti invisibile se uno guarda semplicemente
l'organigramma e le dinamiche diciamo di tipo formale che nascono invece anche da
obiettivi condivisi solo dal gruppo come quello di aiutarsi reciprocamente a fare carriera o a
fare emergere la propria funzione come più importante rispetto ad altre così via.
- Orizzonte temporale: abbiamo gruppi che sono permanenti e che invece come le task force
hanno una data di scadenza nel momento in cui raggiungono l'obiettivo si sciolgono e sono
dunque temporanei.

Il deficit di gruppo
Il gruppo è davvero migliore della somma dei singoli individui? Fin dall’inizio del secolo scorso
alcuni esperimenti hanno messo in luce un problema di produttività nello svolgimento di certi
compiti in gruppo, ad esempio Ringelmann (1913) propose degli esercizi di tiro alla fune con un
dinamometro scoprendo che:

• Mediamente un singolo esercitava una forza di 85 kg

• In un gruppo di 7 persone la forza esercitata era di 450 kg (diversa da 85 x 7 e pari a circa


85 x 5)

In questo caso si parla del “social loafing” (pigrizia di gruppo) ossia la perdita tra la produttività
teorica del gruppo e quella reale espressa. Dovuto al mancato coordinamento (problema tecnico) ed
anche la riduzione dello sforzo rispetto alle responsabilità individuali siccome il contributo del
singolo non risulta più chiaro ed evidente. Ci si trova dunque a risparmiare fatica traendone
comunque un beneficio, mantenendo nascosto molte volte il deficit creato, se diviso in maniera
ottimale fra i vari componenti. Ecco di seguito le principali cause del “social loafing”:

- Ipotesi del contributo equo: gli individui pensano che gli altri ridurranno il proprio sforzo
e quindi aggiustano il proprio contributo di conseguenza;

- Difficoltà nel mettere in relazione l’output con il contributo individuale: il gruppo


funziona da schermo che nasconde il contributo individuale che può quindi essere ridotto
senza rischio di venire scoperti;

- Assenza di controllo o gruppo poco coeso.

Il problema del lavoro di gruppo

Pigrizia sociale  riporta alla nostra attenzione un’problema che abbiamo attribuito a tutta
l’organizzazione
Scomposto in due elementi che possono essere causa di un deficit tra prestazione teoria del gruppo e
prestazione reale.
Non abbiamo però risolto il problema del coordinamento (chi deve fare cosa) e il problema sociale
di motivazione delle persone (impegnarsi nel lavoro di gruppo anche se crea uno schermo rispetto
cosa ha fatto il singolo)  che incentivi dobbiamo mettere per far si che il singolo possa sentirsi
spinto ad agire e collaborare

Modello di riferimento
Modello che dice che è composto da
 Input nel gruppo (numerosità, caratteristiche individuali, ruoli, status)
 Processi (orientati al compito e alla relazione)
 Output: risultati che ci attendiamo alla fine (efficacia, efficienza, apprendimento, durata)
Importanza soddisfazione del gruppo che può portare persone a rimanere al suo interno o meno
(vedi sport, business, imprese familiari)
Esempio Esselunga  all’inizio Caprotti delega figlio maschio, problemi con il management,
Caprotti padre torna in azienda e inizia causa legale contro i figli

Processi nello specifico


 Orientati al compito  che ci portano a svolgere il compito
o Cosa devono raggiungere
 Comunicazione: Nessuno deve essere escluso, tutti messi in condizione di
parlare e tutti devono avere la possibilità di esprimere la propria opinione.
 Bilanciamento contributi: Bilanciare tutti i contributi del gruppo affinché
ognuno dia il contributo che deve dare
 Coordinamento: armonizzare e sincronizzare attività individuali
finalizzandone ad obiettivo finale
o Psychological safety  stare in un ambiente nel quale sbagliare non è
immediatamente punito al momento che le persone si autocensurano per paura di
essere puniti (scherni, prese in giro, ...)
 Molto difficile che se manca questo aspetto si creino idee nuove e innovative
o Più si lavora insieme e più questi processi funzionano  73% incidenti aerei sono
avvenute in situazioni in cui i membri dell’equipaggio lavoravano insieme per la
prima volta (mancato tempo di sviluppare routine e clima di fiducia che in altre
occasioni era stato determinante)

 Orientati alla relazione  che ci portano alla soddisfazione del gruppo e a migliorare
relazioni
o Supporto reciproco. In tutti i modi possibili
o Sviluppare un forte senso di coesione  rispetto alla produttività e all’efficacia del
gruppo ha una relazione a “U rovesciata”  se siamo troppo coesi perdiamo quel
vantaggio di varietà di punti di vista, esperienze, idee (se agiamo tutti nello stesso
modo ciò funziona solamente se abbiamo indovinato la via migliore per fare il nostro
compito)  da maneggiare con cura
Se team non funziona si deve ricercare nei processi il motivo principale del malfunzionamento

Esempi infiniti con situazioni di input eccellenti ma, per l’incapacità di gestire il team e le relazioni,
l’output non soddisfa assolutamente il tutto (Brasile 1 – Germania 7)
Input eccellenti, quindi, non portano sempre a Output eccellenti  fondamentale
l’interazione tra i membri

Output
Risultati del team stesso
Dimensioni di performance:
 Efficacia
o Qualità otp elevata
o Team svolge proprie attività con accuratezza
o Team elimina problemi alla radice
o Team implementa soluzioni proposte con efficacia
o Team sviluppa soluzioni innovative
 Efficienza
o Team attento all’efficienza dei costi
o Team genera proprie attività secondo tempi previsti
o Team utilizza in modo efficiente le risorse a disposizione
 Viability
o Membri del team vogliono lavorare di nuovo insieme
 Apprendimento
o Membri del team hanno acquisito conoscenze nuove lavorando insieme
o Membri del team sono cresciuti professionalmente grazie al lavoro svolto in questo
team
o Grazie al lavoro del team membri saranno in grado di portare nuova conoscenza
progetti futuri
o Membri del team sono cresciuti a livello personale oltre che professionale

Il team nel tempo

C’è un’evoluzione nella vita del team (per questo team giovani, anche se composti da top player,
non performano al massimo delle loro capacità)

Modello di Tuckman:

 Forming  ci dobbiamo conoscere tra noi (definizione scopi, obiettivi, attività, priorità,
regole. Leadership informale, Interazioni non istituzionalizzate, individui tendono a
presentare idee singolarmente)
o Discorsi neutrali con toni pacati, individui si preoccupano dell’incertezza
o Esempio occhiali con lettore MP3 – Steve Jobs
 Mancato accordo su obiettivo di fondo fa si che prodotto finale non sia un
prodotto di successo
 Storming  aumento di conflitto perché non sappiamo bene quali modelli usare, chi è il
leader, norme da rispettare, forte criticismo idee altrui, censimento ricorse interne
o Ostilità, Espressione di insoddisfazione
 Norming  ci diamo regole per lavorare bene insieme
o Cresce coesione e unità, si stabiliscono ruoli, cooperazione, consenso sugli obiettivi
e procedure
o Riduzione ambiguità e aumento “we-feeling”
 Performing  performiamo in maniera efficiente
o Orientamento al task, problem solving, cooperazione reciproca
 Adjourning  dobbiamo aggiornarci continuamente e coordinarci per tenere alta asticella

Gruppo come decisore

Gruppo prende decisioni migliori del singolo ma quando? Quando problema è non strutturato (es.
come risolvere guerra Ucraina)  + punti di vista mettiamo insieme e maggiori sono le probabilità
di avere successo nel risolverlo (qui gruppo funzionante batte anche il migliore degli individui).

Vantaggi derivanti da utilizzo gruppo nei processi decisionali


Due tipi di vantaggi:
 Da un punto di vista tecnico sono quelli di maggiore varietà e punti di vista nonché di
superamento dei bias
o Per questo esclusione altri individui diversi da noi rischiano di portare a un nulla di
fatto perché leva quella varietà essenziale nel gruppo
o Punto di vista differente può portare a vedere stesso problema in maniera meno
radicale
 Da un punto di vista motivazionale: soddisfiamo necessità di relazione sociale

Patologie processi di gruppo


 Conformismo  adeguamento ai processi cognitivi, emotivi e comportamentali del gruppo
o Scoperta da Ash negli anni ‘50
 Esperimento: si chiede a soggetto quale tra tre linee è identica ad un’altra a
sinistra. La risposta giusta è C palesemente, ma si manipola il tutto facendo
rispondere la persona in un gruppo che da solo risposta B  la persona anche
dirà la risposta B perché sta nel gruppo (da soggetto da solo non avrebbe fatto
tale errore)
 La condizione critica non è tanto tante persone che la pensano diversamente
da me ma è che tutti la pensino diversamente da me  unanimità porta al
conformismo
o Cause del conformismo (prime due sono le più pericolose, il gruppo ha troppa
influenza):
 Distorsione della percezione  gli altri vedono meglio di me
 Distorsione del giudizio  gli altri sanno giudicare meglio di me (altre
info che io non ho, mi fido della loro capacità + che della mia)
 Distorsione del comportamento  non mi conviene di mettermi contro il
gruppo, mi adeguo per opportunismo  meno preoccupante perché appena
esco dal gruppo e analizzo con il mio cervello mi libero di quella pressione in
maniera molto facile
o Come agisce quindi il gruppo sull’individuo? Due modi:
 Influenza informativa  cambia basi di dove costruiamo nostra realtà e
prendiamo decisioni (acquisiamo stesse distorsioni del gruppo)
 Influenza normativa  preferiamo non andare contro la maggioranza e
rischiare di essere puniti (non perché sono influenzato ma per timore)
 Groupthink  Scoperta da Janis analizzando vita politica degli USA  Tendenza in un
gruppo coeso alla unanimità e alla non considerazione dei corsi di azione alternativi
o Finiamo per perdere, a causa della forte coesione, a concentrarsi su un’unica
alternativa e allontanare chi non la pensa come noi  condanna all’insuccesso
o Cause:
 Alta coesione  in regime totalitario leader non si circonda sicuro di persone
che non la pensano come lui
 Isolamento del gruppo  più siamo lontani da posti di informazione e realtà,
+ rischiamo di sbagliare
 Forte pressione sul risultato
 Forte pressione temporale
 Stress elevato/minaccia percepita
 Leadership autoritaria/carismatica  non facile metterlo in discussione
o Sintomi:
 Illusione di invulnerabilità
 Moralità collettiva del gruppo
 Stereotipi e criminalizzazione out-group
 Pressione sui dissenzienti/espulsione
 Auto-censuare
 Razionalizzazione collettiva
 Illusione di unanimità
o Conseguenze:
 Si ricercano poche alternative
 Concentrazione su pochi obiettivi
 Nessun esame rischi alternativa preferita
 Ricerca di informazione povera (solo che ci confermano idea nostra)
 Elaborazione info selettiva
 Nessuna seconda valutazione delle alternative
 Nessun piano alternativo a quello scelto
o Esempio Shuttle Challenger (1986)  doveva partire per fare giri intorno la terra e
fare analisi importanti (7 membri tra cui un civile selezionato a caso, una maestra)
 73 secondi ed esplode
 Groupthink causa del fallimento  NASA voleva provare al mondo che era
saldamente pronta per questo viaggio, nonostante non fosse realmente così
 Fornitori sconsigliavano quel giorno per fare il lancio (troppo freddo) ed un
componente essenziale sarebbe diventato poco resiliente e avrebbe potuto
lasciare spazio tra i serbatoi di idrogeno liquido
 NASA minaccia fornitore e placa ogni tipo di voce di dissenso all’interno
dell’organizzazione
 Feynman (fisico) nella commissione di inchiesta conferma che quella era la
causa

o Come si rimedia  limitando quelle cause che lo hanno provocato


 Qualcuno deve essere capace di sostenere punto di vista diverso
 Obbligo a utilizzare revisori e consulenti esterni
 Spezzo il gruppo in sottogruppi per facilitare libertà di parola di chi ha meno
coraggio
 Cercare di lavorare sul leader (anche cambiano quello autoritario e
carismatico)
 Cercare di mantenere empatia e capire punto di vista di chi subirebbe
conseguenze

 Abilene Paradox e Polarizzazione 


o Abilene Paradox  come se usassimo quello che pensiamo che gli altri vogliono
come una nostra decisione
 Es. gita 3 persone in macchina ma nessuno vuole andare nel posto scelto però
siccome io penso di essere l’unico a non pensarla come gli altri, scegliamo
l’alternativa che nessuno vorrebbe.
o Polarizzazione  Prevalenza scelte + estreme in seguito a discussione di gruppo
 es. curva Milan prima del derby, 2 opzioni (stringiamo mano ad avversari e ci
comportiamo come normali tifosi vs chi vuole andare allo stadio armati per
menarsi)  gruppo fa prevalere punto di vista medio? No, per la
polarizzazione tendono a prevalere le posizioni estreme
 Cause della polarizzazione di gruppo: argomenti persuasivi, confronti sociali
e identificazione
1. Scambio selettivo di informazioni
2. Opinione di gruppo riduce la responsabilità (individuale) e consente
così l’estremismo
3. Desiderio si sembrare diversi e migliori degli altri conduce le persone
ad adottare posizioni + estreme quando si accorgono che gli altri sono
+ simili a loro di quanto pensavano
 Se la differenziazione tra le persone in termini delle info che hanno degli stili cognitivi, del
modo di comunicare è minima o estrema, in entrambe le condizioni non riusciamo a
esprimere il massimo della capacità decisionale del gruppo  nella parte meno varia
finiamo nell’ambito del group think, nella massima varietà non riusciamo nemmeno a
sviluppare il team per le troppe differenze (impasse informativo)
 Per quanto riguarda pressioni esterne, del tempo, di obiettivi e conflitti tra gruppi  se
hanno valori estremi non aiutano efficacia di gruppo (avere troppa pressione, per esempio, è
un po’ la sindrome che ha portato la NASA a compiere l’errore del lancio del challenger, ma
allo stesso modo se non ci sono vincoli di alcun tipo, non abbiamo motivazioni ed il gruppo
nemmeno parte (impasse informativo)

Condizioni di efficacia del gruppo:

LEZIONE 17 – GRUPPO (SEGUE), IDENTITA’ E


IDENTIFICAZIONE
Gruppo come modalità di controllo

Un conto gruppo che decide cosa fare e gruppo che effettivamente opera per fare ciò che era deciso
 Consenso sugli obiettivi
 Comprensione e accettazione dei compiti e ruoli assegnati  necessaria coesione per agire
insieme, se manca il gruppo perde efficacia
 Ricompense e punizioni reciproche  chiaro cosa succede se qualcuno non compie suo
ruolo
 Norme in quanto aspettative di comportamento condivise
o Grado di normazione
o Funzioni esplicite e latenti delle norme
Variabili molto efficaci quando si doveva decidere diventano un ostacolo al momento
dell’attuazione (es. varietà di idee nella decisione, ma poi serve coesione e coordinamenti
nell’applicazione)

Costi del gruppo


 Maggiori problemi coordinamento  in certe situazioni è meglio agire singolarmente come
unico individuo (es. per informare una persona non è necessaria una riunione, se qualcuno
può farlo da solo meglio di qualcun altro)
 Attenzione traslata dalla soluzione del problema alle relazioni socio-emotive
 Riduzione degli input dei partecipanti dovuta a minacce psicologiche ed alla maggiore
complessità di relazione
 Difficoltà di raggiungere consenso
 Tempo ed energie partecipanti  vantaggi devono essere maggiori costi

Benefici

Capitale e struttura sociale

Reti di comunicazione e di relazione (Capitale Sociale)

Il tessuto sociale è fatto di relazioni e la forma di queste relazioni impatta sulla qualità del processo
decisionale e sulla qualità di come prendiamo le decisioni  importanza delle reti sociali per
raggiungere i nostri obiettivi

Capitale sociale  possibilità di accedere a risorse che non possediamo ma che sono di persone
vicino a noi  ci rende molto + potenti e capaci di agire  anche valore delle risorse (info,
idee, ...) alle quale un attore può accedere grazie alla forma ed ai contenuti della rete di relazioni in
cui è inserito, e delle quali si serve per agire e raggiungere i propri fini.
 Proverbiale  Italia economia di relazione
Ricerca ci dice che chi ha una rete sociale molto sviluppata, con gente molto competente e piena di
risorse, ha molti + vantaggi  trova facilmente lavoro, facilmente finanziamenti, accesso a
tecnologie e know-how  risorsa essenziale
Una risorsa essenziale a cui possiamo avere accesso tramite tale rete  informazioni
 Il modo in cui si struttura la rete va a influenzare le dinamiche ed il potere relativo dei
diversi attori
 Quale è la rete di informazioni ideale? Rete a stella  rete totale dove ognuno fornisce ed è
fornito di informazioni e le scambia con gli altri
o Imprenditore che accentra su di sé tutte le decisioni ed è l’unico a sapere tutto non è
funzionale per sfruttare al meglio tale rete
o Non va bene nemmeno una rete circolare, dove A per comunicare con C deve
passare per forza da B  rischio di mal interpretare la notizia che deve arrivare ad A
o lentezza nel passaggio dell’informazione

Il mondo è piccolo
L’idea che un gruppo organizzato dove si scambiano informazioni nasce dall’idea di Milgram
Ricerca - Il mondo è piccolo:
 Va in una città e incontra Sgr. Smith e gli dice di avere pacco per signora Brown a Los
Angeles, gli chiede poi se la conosce  probabilità di trovare conoscenza diretta molto
bassa (risponde NO)
 Chiede se conosce qualcuno che conosce tale signora a LA  Smith inizia a pensare e pensa
a un cugino che lavora in un ospedale di San Francisco
 I ricercatori vanno dal cugino e gli fanno la stessa domanda, se conosce la signora Brown 
risposta NO ma a LA il cugino dice di avere un amico che fa il direttore in una fabbrica
 Processo viene ripetuto n. volte  Milgram scopre che esistono solo 6 passaggi tra.
Sconosciuti per arrivare ovunque (6 degrees of separation)
Oggi anche di meno grazie a Internet

Quindi Grado di separazione  persone che ci sono in mezzo tra di me ed una persona
sconosciuta

Esempio software collegamento Kevin Bacon con altri attori, viene collegato a chiunque
Ma perché questo accade?  Kevin Bacon centrale nella rete di collegamenti in quanto grande star
di Hollywood (probabilità che sia collegato con un qualsiasi altro attore quindi sale)

Il capitale sociale ha quindi un valore alto  aumenta nostra capacità di azione


In generale però le connessioni tra attori sociali aumentano il potere di agire del singolo attore, ma
non sempre la persona di cui ci fidiamo di più è anche quella con maggiore potere.
Chi ha + potere sociale: Robert o james

La risposta di molti sarebbe James, esso è infatti molto ben connesso ed ha molte relazioni con
attori che a loro volta sono molto ben connesse tra di loro, ma in realtà anche Robert ne ha  sono
due tipi di connessioni diverse
 James è in una rete chiusa  se si tratta di agire insieme il fatto di essere in questa rete
aiuta perché è abituato a decidere insieme a quella persona (molta fiducia, gruppo coeso)
 Robert però è un “broker”  ha accesso a reti a cui gli altri non hanno accesso se non
tramite lui (quando torni dall’estero dove hai fatto amicizia, hai poteri forti  soprattutto
nei primi decenni del ‘900, quindi, chiunque desiderasse andare all’estero chiedeva a chi
c’era già andato per collegamenti = broker)
o Fare da connettore tra mondi che non si parlano tra di loro ti da molto potere
o Essere al confine di reti diversi, dà vantaggi quando si tratta di avere nuove info o
idee e, quindi, esercitare un’influenza in funzione di questa capacità di connettere
mondi, che altrimenti non si parlerebbero tra di loro (es. se passo tutta la mia vita con
persone delle elementari, perdo tale capacità)

Quali ritorni offre il capitale sociale

Agli individui:
 Migliore qualità della vita (+ felice, - malattie, + lunga)
 Migliori posti di lavoro e con + facilità
 Paghe + alte, promozioni + spesso
 Potere aumenta

Alle aziende:
Ma ha anche rischi...
 Reti e alleanze sono neutri rispetto a fini che attori perseguono  possono essere strumento
di collusione, esclusione dei meritevoli e riduzione della concorrenza

 collegamenti settore edilizio prima di Manipulite, questi


collegamenti sono tra le cause dello scandalo

 collegamenti “salotti buoni” in Italia, persone che si siedono spesso


ai CdA di varie aziende e operano contro la competizione di mercato e
secondo i propri interessi

Identità ed identificazione

Ricordiamo la definizione di Gruppo  insieme di persone che sono interdipendenti tra loro perché
vogliono raggiungere un obiettivo comune fuori dalla portata del singolo e che si riconoscono
come parte di quel gruppo e vengono riconosciuti come tali anche da un osservatore esterno
terzo

Il gruppo ha una sua identità  questo NOI si definisce solo in relazione al buio (es. definizione
luce solo in opposizione al buio)
 Se ci definissimo come un unico gruppo (umanità) tutti i conflitti non avrebbero senso
 Tuttavia definendosi in termini di nazioni, hobby, religioni, etnie si generano scontri tra tali
gruppi
 Ciò dà ovviamente tanti vantaggi ma lo svantaggio enorme di essere l’ingrediente principale
per lo sviluppo di conflitti tra gruppi

Tale aspetto l’ha messo in luce uno studioso americano empiricamente (Sherif):
 In USA ragazzini vanno ai Summer Camp  cominciano ad allontanarsi dalla famiglia
d’estate per 6/7 settimane andando a questi campi con tende spesso vicino ad un lago (vita
agreste fatta di sport e giochi con animatori)
 Sherif propone di non portare tutti i ragazzi al campo base A, ma dividono il gruppo in due
mandandone metà al campo A e metà al campo B  non sanno dell’esistenza dell’altro
gruppo
 Per una settimana stanno solo tra di loro sviluppando le relazioni col gruppo
 Alla fine della prima settimana ci si sposta tutti insieme (sia gruppo A che B)
 Risultato  devono interrompere esperimento perché ragazzini iniziano ad avere conflitti
terribili tra di loro, provando a recuperare la situazione con giochi in cui il vincitore doveva
collaborare per forza con un membro dell’altra squadra.

Social Identity Theory (SIT)


Alla base di tutto ci stanno gli studi di Tashpel (???)

SIT ci fa comprendere molte cose circa il conflitto tra gruppi, spiega il processo di
identificazione con un gruppo (il modo in cui avviene e le conseguenze)

Sottolinea che quando tu dici “io” lo definisci sia in termini di identità personale (sono alto tot,
occhi marroni, capelli marroni, ...) ma altrettanto importante è l’identità definita in termini sociali
(sono un ingegnere, lavoro per la NASA, sono un dottore, ...) e noi usiamo la seconda di queste
identità in maniera strategica
 Es. USA tutti vestiti con felpa università, qua alla Bocconi nessuno con queste felpe 
sentirsi parte dell’università fonte di reddito per essa (divento imprenditore dopo aver
studiato ad università in USA, molto spesso chi ha fatto fortuna dona soldi a dove ha
studiato, 70% dei ricavi università USA derivanti da donazioni)  capacità università
universitarie di rendere il campus capace di soddisfare tutti i bisogni dello studente
(amicizie, sport, ...)
Principi di fondo:
 Definire la realtà tramite percezione dei contrasti tra due cose differenti. Per esistere un noi
deve esistere un loro (es. non ci sarebbe un “bocconiani” se non ci fossero Cattolica, statale,
...)  Steve Jobs esperto di questo (passa vita a spingere contro un nemico esterno, prima
IBM
 Persone hanno tendenza naturale a distinguere in categorie quando vedono un contrasto
 Non si da un in-group finché non ci si trova di fronte a qualche out-group saliente

Le tre identità

 Sociale: individuo si definisce come membro di un particolare gruppo e si identifica con


quel gruppo
 Personale: ha le sue radici nel “concetto di sé”. È quell’insieme di caratteristiche che
definiscono l’individuo nella sua unicità e non sono condivisi con altri
 Di ruolo: Riferimento alle posizioni che l’individuo assume all’interno della società
(posizioni sociali), ossia ci focalizza su quello che l’individuo fa, sulla funzione che svolge e
su un criterio di efficacia
L’identità dell’individuo è la sovrapposizione di queste tre identità

Fenomeno inclusione multipla  l’io non appartiene ad un solo gruppo (gruppo famiglia, amici,
sport, università, ...)  in base alla situazione cambia il gruppo in cui ci identifichiamo
Le identità di ruolo, sociale e personale

Meccanismi dell’identificazione sociale

Con chi ci identifichiamo:


 Con quelli simili a noi
 Contro coloro che sono dissimili da noi
Solo questa operazione cambia modo di come percepisco realtà

Ma questo funziona anche al contrario:


 Mi sento più simile di quanto sia vero a quelli del mio gruppo (es. mondiali 2006, ci
abbracciamo dopo la vittoria con chiunque sia italiano, perché in quel momento ci riteniamo
simili)
 Sottolineiamo differenze rispetto out-group

Identificazione col gruppo deriva quindi:


 Similarità percepita
 Presenza di out-group dissimile
 Appartenenza al gruppo in una determinata situazione è saliente

Conseguenze vs out-group
 Atteggiamento ostile contro out-group  esso viene percepito come il male, disonesto e
immorale
 Favoritismo verso in-group  ci si piace di +, ci si rispetta, si coopera, ci si aiuta di +

Capiamo quindi importanza di avere identità in un’azienda  si lavora meglio insieme, si litiga
meno, interessi in comuni ma comprendiamo anche come ciò risulti essere anche alla base di tutti i
conflitti nel mondo (definizione di un noi vs loro)
Riduzione dei conflitti tra gruppi
Immaginare identità sovraordinate:
 Trovare un nemico comune  modo + facile per compattare contro qualcuno (es. film
independence day, tutti litigano ma dopo l’arrivo degli alieni nessuno + litiga, stanno tutti
insieme)
 Trovare qualche somiglianza significativa  conoscere altri e capire che bias contro out-
group non hanno senso
 Stabilire un obiettivo comune e trovare una soluzione insieme

Es. UE, per una vita scontri tra francesi, inglesi, tedeschi  nasce quindi una comunità che lega
tutti colmando quelle differenze che si pensava ci fossero tra cittadini di diversi Stati, creando un
gruppo allargato

Identità sociale

Cos’è?
 Def.: La consapevolezza di appartenere ad un gruppo unita ad un significato
emozionale o di valore che quella partecipazione ha per me.
 Identificazione  atteggiamento verso qualcosa (verso il gruppo in questo caso) che ha tre
componenti:
o Cognitiva: so di appartenere al gruppo, penso che il gruppo sia di alta qualità, ...
o Emotiva: ogni volta che sto col gruppo provo grande soddisfazione, sono
emotivamente coinvolto
o Comportamentale: siccome mi identifico, provo emozioni positive, e farò delle
cose che sono conseguenza di questo atteggiamento.
 Nasce dall’affrontare l’immagine di me che affrontiamo  penso che il gruppo migliori
l’immagine che ho di me
o Schema di sé e schema di organizzazione
 Quando accade ciò Modifica comportamento interpersonale e inter gruppo
Oggi si stanno definendo troppo anche i gruppi sociali  aumentano conflitti

Esperimento sull’identità:
Fatto su fan di football in UK:
 Si selezionano tifosi del Manchester United
 Ogni due per tre sono costretti a scrivere nome propria squadra diverse volte
 A questo punto ricercatore dà un altro posto per svolgere la seconda prova
 Il fan va nell’altro edificio e accanto a lui passa persona che fa jogging, ma cade e si prende
una storta lamentandosi (ricercatori osservano)
 Esperimento fatto con diverse persone, quelli che facevano jogging in ogni caso
indossavano una maglietta differente, i ricercatori registrano tassi di aiuto:
o Maglietta del MAN UTD  12/13 si fermano ad aiutare quello che correva
o Maglietta normale  4/12 si fermano
o Maglietta Liverpool  3/10
 Capiamo la forza dei mezzi di identificazione

L’identità sociale dipende dalla percezione che l’individuo ha di appartenere a diversi gruppi,
mentre il livello di identificazione è funzione di quanto il singolo utilizza le caratteristiche del
gruppo per definire la propria identità e presentarsi al gruppo.
Circuito dell’identità sociale:

Desiderio di
autostima

Caratteristiche
positive ed
Immagine di sé
attraenti del
gruppo

Identificazione

 Desiderio di autostima  persone con bassa autostima maggiormente tendenti ad


identificarsi in movimenti con una forte identità (se sto bene con me stesso perché dovrei
cambiare qualcosa per far parte di un determinato gruppo)

March & Simon (1958)


Scoprono Due aspetti molto utili
 Fattori che rafforzano l’identificazione:
o Prestigio del gruppo (Bocconi molto prestigiosa e rinomata)
o Obiettivi condivisi (pago già tante tasse, perché dovrei comprare la felpa della
Bocconi)
o Interazioni frequenti del gruppo (se io sto in Bocconi solamente per le lezioni, non
avrò mai la stessa identificazione che gli studenti americani hanno con loro Uni)
o Numerosi bisogni individuali soddisfatti nel gruppo (vedi Apple, Google, ...)
o Bassa concorrenza tra i membri del gruppo
 Oggetti di identificazione: identificazione in ambito aziendale ha target diversi
o Organizzazioni esterne  es. mi identifico con Emergency o un partito politico
o Organizzazione propria
o Compito/attività di lavoro/professione  mi identifico con quelli che fanno la mia
professione (es. avvocati), faccio fatica ad attrarre professionisti che si identificano
nella professione e farli identificare con l’azienda
o Sottogruppi es. mi sento una persona del marketing, e quelli della produzione
allora li considero differenti da me (spesso sottogruppi hanno legami molto forti, da
farci attenzione)

Conseguenze dell’identificazione per l’azienda


 Sostegno & Commitment
 Coesione, altruismo, cooperazione  si lavora meglio con gli altri
 Molto + disponibili a sentire come nostre le norme e indicazioni che ci sono date

Contrasto tra identità personale e identità sociale e di ruolo

Cosa succede se la mia azienda dove lavoro va in contrasto con la mia identità personale?
Persone messe in condizioni di difficoltà: devono scegliere se tenere separata, mostrare in parte
o mischiare completamente identità privata e pubblica.

Questa scelta viene fatta in relazione al clima d’azienda:

Una scelta di inclusione in azienda, quindi, non ha solo un fine etico, ma è anche fondamentale da
punto di efficienza lavorativa.

Immagine esterna ed identificazione


Importanza dell’immagine esterna  presso terzi importanti per me, anche questa ha un impatto
sulla mia identificazione
 Se i miei amici, parenti, etc. hanno brutta visione dell’azienda dove lavoro o dell’università
dove studio, ciò mi porta ad una dissonanza cognitiva (persone importanti per me pensano
che dove vivo, lavoro, studio, sia un posto negativo, allora mi condiziona nettamente)

LEZIONE 18 - POTERE
STRATEGIE E TATTICHE DI INFLUENZA

Potere tema da sempre vivo nelle nostre vite e nelle nostre letterature. Per capire l’importanza del
tema del potere, che fa anche da ponte col tema della leadership, basti pensare al mondo del
lavoro e agli studenti che escono dall’università. Non basta la conoscenza per poter avere risultati
e impatto sulla realtà, è necessario avere la capacità di influenzare le persone intorno a noi, avere
quindi potere.

Concezione del potere molto oscura e tenebrosa, vista quasi come cosa negativa nella nostra
società ma il potere rientra in tantissimi differenti aspetti (lavoro, amore, famiglia, ...), non per
forza negativi.

Cos’è il potere?
 Capacità di indurre gli altri ad agire in un modo che è coerente con gli scopi, interessi,
obiettivi di chi esercita il potere  come forza di gravità spostata dal mondo della fisica al
mondo delle relazioni sociali (devia, sposta, influenza, attrae)
Non è di per sé qualcosa di malvagio, ma può diventare facilmente uno strumento tale  tuttavia
se non esercito potere non sono una buona persona, sarebbe come avere le intuizioni migliori ma
non riuscire a spostare la società nella direzione giusta.

Influenza
L’influenza è l’esercizio effettivo del potere  se sono o no davvero capace di spostare nella
direzione che io voglio il comportamento di altre persone (es. potere = cilindrata auto, l’influenza =
reale velocità a cui faccio andare la macchina)
 Insieme di azioni che compio per ottenere dall’altra parte acquiescenza
Essendo un insieme di azioni si vanno a creare varie tattiche (modi di influenzare), per riuscire in
qualche modo ad avere potere sugli altri (al contrario aiuta anche a capire quando qualcuno sta
provando a esercitare un potere su di noi).

Prime riflessioni sul potere

La relazione di potere (accettato con coscienza) è sempre una relazione di cambio alla quale
entrambe le parti hanno un interesse (se nessuno riconosce il potere che ho, è come se non lo
avessi)
 Io vedo il mio potere riconosciuto, ma anche chi mi riconosce il potere trova un vantaggio
da tale situazione  accetto il tuo potere su di me in cambio di un beneficio
 Due meccanismi di fondo all’interno di una relazione di potere:
o Accetto che tu mi dia un ordine perché per esempio mi dai lo stipendio e controlli la
mia carriera, accetto quindi perché, visto che riconosco il tuo potere, penso che ne
trarrò un beneficio (Desiderio)
o Accetto che tu mi dia un ordine perché ho paura che tu usi quel potere contro di
me. Sempre parlando di lavoro è il caso in cui ho paura di essere licenziato quando
ricevo un determinato ordine (Paura)
La strategia principale quindi per avere potere è quindi accumulare il maggior numero di risorse
possibili che sono fondamentali per altre persone  sia suscitando timore che desiderio
 Tema applicabile dalla relazione d’amore alle vicende geopolitiche internazionali
Il potere, quindi, dà la libertà  need for power, non dipendere da nessuno accumulando potere
 Avere potere ci aiuta a star bene dandoci un senso di dignità e libertà
 Non avere potere, invece, ci fa male

Concetti affini
 Il potere non è lo STATUS sociale, ovvero il prestigio di cui un individuo o un gruppo
godono presso altri
 Il potere non è la leadership, pur essendone un elemento essenziale

La base del potere


Il potere si fonda su una asimmetria nella distribuzione delle risorse (utopia: se avessimo tutti le
stesse risorse, il potere materiale scomparirebbe)
 La risorsa deve essere di valore per chi subisce il potere perché potrebbe essere utilizzata
a favore o contro di lei da chi ne ha potere (utilizzo tale risorsa a tuo favore oppure non la
utilizzo a tuo danno se fai quello che dico)
 Quali risorse?
o Relazioni sono Multiple e Specifiche, ovvero si definiscono in rapporto alla risorsa o
alle risorse giudicate di valore nell’ambito di quella relazione e con riferimento ai
bisogni e ai fini specifici di chi ne è privo o vuole accumularne ulteriormente.
o Abilità sta nel trovare immediatamente quale è la risorsa della persona che
vogliamo influenzare  cosa l’altro giudica essere una risorsa di valore in quel
determinato contesto
 Come massimizzo il mio potere?
o Devo avere il più possibile risorse rare e essenziali per gli altri

Quali risorse

1. Forza, energia e altre risorse fisiche (Achille)


 Tribù  chi è più forte e maggiormente capace di difenderci dall’esterno è colui che ha
il potere tra di noi
 Oggi esiste ancora ciò?  capacità di resistenza all’orario di lavori, resistenza allo
stress e così via, sono ancora dei metodi per ottenere potere.
 Bellezza/Resistenza/Stamina/Forza fisica ancora influenzano

2. Risorse e capacità cognitive e realizzative (Ulisse)


 Intelligenza/capacità di decidere, apprendere, ricordare/Creatività/Capacità esecutiva

3. Risorse e capacità relazionali


 Sono importante non perché controllo direttamente ciò che è importante per me, ma
perché posso arrivarci facilmente tramite il mio capitale sociale ed il networking
 Comunicazione/Cortesia/humor/coraggio/ascolto/affidabilità/avere una rete di
relazioni
4. Risorse economiche e strumentali
Persona estremamente ricca normalmente anche potente  può comprare moltissime cose che
fanno gola e sono desiderate da moltissime persone (altissima influenza)
Non solo denaro:
 Tecnologia (basti pensare agli embarghi: non ti faccio più accedere ad una risorse per te
importante)
 Brevetti
 Tempo
 In generale, qualunque risorsa critica rispetto ad un obiettivo  bambino che non gioca
mai unico con il pallone, verrà fatto giocare e tutti si comporteranno come amici
Due cose da ricordare:
1. Uso che se ne fa di questo potere va vagliato in chiave morale, ma è importante capire che
le relazioni inter-individuali, inter-gruppo, inter-nazione sono basate proprio su questo
principio
2. Quasi nessuno al mondo non ha alcun tipo di risorsa  importante individuare quale è
questa risorsa e saperla sfruttare, fare bilancio di quali siano realisticamente le mie risorse
(Ovviamente a inizio carriera lavorativa di meno rispetto a persone già al picco della
carriera)

Di chi è il potere? (MAX WEBER)


Weber ci offre categorizzazione del potere in base alle epoche storiche in cui quella dimensione
era dominante:
 Epoca primitiva  potere carismatico della persona, quello dello sciamano e di chi riesce a
sfruttare tale carisma (persone riconoscono questo potere a prescindere da istruzione e
livello di conoscenze, potere quasi considerato sovrannaturale).
o Limite: non è un potere trasferibile (es. dramma per imprese familiari  figlio non
ha stesso carisma del padre, finisce male)
 Età premoderna  potere tradizionale, che si trasferiva per tradizione di padre in figlio,
che va dal passato verso il futuro
o Limiti: come il potere carismatico, prescinde dalla qualità della persona
 Età moderna  potere razionale legale, siamo tutti d’accordo di attribuire potere sulla
base di leggi e regolamenti, entro le quali può operare chi viene scelto (e non oltre).

Tattiche di esercizio del potere

Potenziale che abbiamo si trasforma in un tentativo concreto di farti fare quello che voglio.
Tali tattiche non sono da vedere in forma isolata, ma risultano + efficienti se utilizzate e combinate
tra di loro per ottenere un vantaggio  acquiescenza automatica o meditata (nella relazione parti
sono simmetriche e anche chi subisce l’influenza ci ragiona sopra, mi conviene fare quello che il
mio capo sta facendo perché mi ha convinto, mi darà un premio, condivido i suoi valori, ... 
utilizzo le mie capacità per capire quello che devo fare realmente).

Le tattiche:
Quelle che richiedono un ragionamento dall’altra parte (decide di accettare o meno):
 Costrizione  simile a violenza e forza fisica
o Utilizzo di violenza fisica e psicologica (esempi di cronaca)
o Minacce (più tipico nelle aziende rispetto alla violenza vera e propria)
o Chi subisce è costretto contro la propria volontà, rischiando di perdere addirittura la
salute fisica
o Questa tattica, nonostante sembri la + efficace, è la forma + fragile  infatti è la più
costosa (appena mi distraggo e mollo la presa su di te che stai subendo la mia
costrizione, te ti liberi da questa situazione e ti ribelli)
 Coercizione  simile a costrizione ma più “furba”
o Ti cambia il modo di scegliere tra due alternative (es. se devi scegliere tra
comportamento A e comportamento B e io voglio che tu scelga B  ti rendo più
attraente l’alternativa B e/o rendo molto meno conveniente l’alternativa A)
o Sistema di premi e punizioni o coalizioni con altri soggetti per cambiare il modo in
cui pensi
 Manipolazione  “gioco di prestigio del potere”
o Si nasconde  noi usiamo una relazione diversa per ottenere qualcosa che ci sta a
cuore nella relazione principale (es. uso la relazione di amicizia, d’amore, di
parentela per ottenere qualcosa nell’ambito della relazione di lavoro)  in USA,
infatti, quasi ovunque sono vietati rapporti sentimentali tra le persone soprattutto
di differente livello (io ti posso ricattare di levarti tale relazione così da ottenere
acquiescenza)
o Si fa in modo di entrare nelle grazie di coloro dai quali si vuole ottenere
acquiescenza  lui/lei può sfruttare le emozioni provocate nell’altro per ottenere
quello che voglio
o Si sfruttano le distorsioni cognitive di chi subisce l’influenza in modo da modificarne
i processi cognitivi
 Emulazione  tattica anche inconsapevole
o Identificazione col leader, che ottiene leva in + per influenzare gli altri
o Se so di essere un modello di ruolo, posso promuovere modelli di comportamento:
nel bene e nel male
o Modalità tipica dell’esercizio del potere carismatico
o Es. in molte aziende esplode ad un certo punto la passione per la bicicletta
dell’amministratore delegato: molti iniziano ad unirsi a tale attività per farsi piacere
 Persuasione  più celebre e molto efficace
o Influenza si realizza attraverso la massima partecipazione del soggetto che la
subisce
o Avviene, quindi, tramite scambio di informazioni, utilizzo di argomenti persuasivi,
richiamo ai valori condivisi, spiegazione della razionalità, opportunità e convenienza
del comportamento richiesto.
o Più profonda e duratura forma di influenza  ma anche la più costosa (serve
tempo, idee, ricerche, analisi per capire come agire sull’interlocutore).
Quelle che non richiedono il nostro giudizio, ci fidiamo ed eseguiamo:
 Autorità  es. rispettare il semaforo, la paletta del vigile, l’autorità dei genitori  tale
tattica è valida finché non viene messa in dubbio
o Presuppone una sospensione del giudizio da parte di chi subisce questa forma di
influenza, viene accettata senza discutere
o Non si giudica il merito ma finché io accetto l’autorità faccio quello che mi viene
detto.
o Autorità cerca di essere tale nel momento in cui viene messa in discussione e trova
opposizione
o Può essere di fatto o giuridica (che deriva da un tessuto di norme)
o Esperimento Milgram  molto spesso chi finiva in tribunale, utilizzava come
motivazione il fatto che stava solamente eseguendo degli ordini di un’autorità
superiore (es. Gerarchi Nazisti ed Olocausto)  allora ci si è chiesto se questa era
una scusa o una reale motivazione?
 A persone viene chiesto di punire con scosse una persona dall’altro lato del
muro di cui sentivano le urla  solamente che era un attore e le scosse non
erano vere. Persone si rifiutano alla lunga.

La Politica nelle organizzazioni

La dinamica di potere a livello di gruppo di persone (non + solo individui) è una dinamica
altrettanto fondamentale e pervasiva con la quale ognuno che entra nel mondo del lavoro deve
confrontarsi.
 Tali dinamiche non sono solo un fatto individuale.
 Criticità rispetto ai risultati, centralità nei processi interni e insostituibilità, insieme alle
altre risorse, fanno da base al potere di posizioni e unità.
 Minore è la pressione competitiva e maggiori sono gli spazi per lotte di potere interne
 Più è forte l’organizzazione e la sua politica, più avrò influenza sugli altri gruppi  unità più
importanti sono quelle critiche, importante capire quali esse siano per riuscire a
influenzare gli altri
 Analizzare quanti fattori critici ha ogni unità piò aiutare a dare un’idea generale delle
relazioni di potere in un’organizzazione
 Minore è la pressione competitiva esterna e maggiori sono gli spazi per lotte di potere
interne.
Le persone che hanno capacità di leggere panorama politico di un’organizzazione (dove sta
potere e quali sono unità organizzative) fanno + velocemente carriera e guadagnano di +

Lato buono del potere


Se sono attivo, sono un agent e quindi ho il potere di agire ed avere un impatto:
 Maggiori emozioni positive, focalizzazione e orientamento agli obiettivi
 Minore sensibilità ai giudizi negativi e sensibilità agli ostacoli
 Maggiori capacità analitiche
 Maggiori capacità di pensiero astratto, creatività e minore conformismo
 Capacità di formare alleanze
 Maggiore ottimismo, fiducia
 Potere socializzato  raggiungo i miei obiettivi + facilmente a favore del mio gruppo

Lato oscuro del potere


Eccesso di attrazione verso il potere:
 porta la svalutazione del contributo altrui
 Visione stereotipata degli altri
 Perdita di empatia
 Diventiamo così sicuro di noi che prendiamo decisioni troppo rischiose
 Non accogliamo + i suggerimenti di amici e consiglieri
 Tendenza di circondarsi di persone che non criticano e accettano potere senza discuterlo

Profilo del leader tossico:


Psicologicamente definito dalla triade oscura:
 Narcisismo  ego smisurato e amore per sé stesso che porta a svalutare ciò che decidono
altro
 Psicopatia  psicopatico è bassissimo in empatia, infligge “dolore” senza capire sofferenza
altrui
 Machiavellismo  no regole etiche, fine giustifica i mezzi. Qualsiasi mezzo per arrivare al
proprio obiettivo.
Effetto orribile se arrivano al vertice di associazioni, di gruppi, di aziende, di nazioni.

Come ne usciamo?
Ricordiamo che le relazioni sono relazioni di scambio: lecito provare ad influenzare gli altri per
perseguire nostri scopi (soprattutto se sono giusti)  bussola della morale

Esercitare il potere al fine di:


 Ampliare gli spazi di libertà
 Riduci diseguaglianze
 Ricerchi ed affermi verità
 Promuove bene comune
Nell’esercizio del potere sii:
 Umile
 Riconoscente
 Responsabile
 Saggio
 Coraggioso
 Profetico

LEZIONE 19 – LEADERSHIP

Le definizioni hanno sempre l’idea di qualcuno che riesce a influenzare un gruppo, dunque tutte le
dinamiche relative al potere e all’influenza.
Definizione presa da un articolo dell’Harvard Business review che dice “Leadership is about using
yourself to get things done in the organization”. É importante perché mette in evidenza che
l’autoconsapevolezza, il fatto di conoscervi e di conoscere le altre persone, è rilevante rispetto alla
nostra capacità di esercitare davvero una leadership. Controllare delle risorse in sé non è una
condizione sufficiente perché qualcuno faccia quello che vogliamo; dunque, se non è interessato
sul serio servono altri strumenti, risorse tecniche modalità attraverso cui possiamo esercitare
un’influenza.
La definizione più complessa viene da Gary Yukl, ha scritto un testo che fa la sintesi di tutta la
letteratura scientifica sul tema della leadership che aggiorna periodicamente.
“Leadership is viewed broadly as the process wherein an individual member of a group or
organization influences the interpretation of events, the choice of objectives and strategies, the
organization of work activities, the motivation of people to achieve the objectives, the
maintenance of cooperative relationships, the development of skills and confidence by members,
and the enlistment of support and cooperation from people outside the group or organization”
La leadership è un processo, dunque esiste un alinea temporale attraverso cui si sviluppa. Bisogna
ricordarsi ciò che è scritto nella definizione come più punti:
 Influenzare la percezione che gli altri hanno degli eventi (importante), perché si lega a
quando abbiamo davvero bisogno di un leader (richiesta di leader durante la pandemia, in
Ucraina), serve quando siamo in una situazione di crisi che richiede un cambiamento.
Manager deriva dal francese manager, ovvero gestire, usare le mani per guidare. Quello
che fai da manager è realizzare il percorso tra dove sei e dove devi arrivare. Ti preoccupi di
efficacia ed efficienza. Quando non sappiamo come affrontare qualcosa abbiamo bisogno
di un leader. È importante da manager fare una buona diagnosi degli eventi. Karl Weick
insieme ai suoi colleghi hanno creato una categoria del sense making, ovvero nel guidare la
cosa più importante da fare è trovare una spiegazione, convincente. Quando si parla di
leadership, la capacità di vedere il contesto, capire la cosa giusta fare, è la caratteristica di
tutti i grandi leader. Siccome la nostra visione della realtà è quello che conta, è molto
importante anche la narrazione, ovvero cosa diciamo, che parole usiamo; ad esempio, si
possono prendere le parole dei leader americani “yes we can”, sono sempre tre parole di
noi, della nostra visione del mondo.
 Scegliere gli obbiettivi e la strategia, indicare la via; il leader ispira le persone senza
toccarle, ti ispiro perché è come se io ci fossi stato già, la vivo così come una realtà
presente, la nuova azienda che vogliamo fare; dunque, so che obbiettivi porre e che
strategia attuare. Come modelli di leader sono stati proposti tutti i grandi della storia. Mosè
ha convinto le persone a stare 40 anni in un deserto, in virtù di un mondo nuovo. Anche
dire alle persone cosa ci aspettiamo da loro e chi deve fare cosa, ce lo aspettiamo da un
leader. Deve affrontare due problemi: tecnico (chi deve fare cosa), e sociale (motivare,
spingere le persone a raggiungere l’obbiettivo); il tutto mantenendo il gruppo coeso, con
relazioni di tipo cooperativo tra le persone, preoccupandosi di sviluppare sia le abilità sia la
fiducia che le persone hanno nelle loro abilità, il loro senso di autoefficacia.
 Il leader ha un ruolo politico anche verso l’esterno, sta sul confine del gruppo, non solo
deve gestire i suoi, ma procurarsi degli alleati all’esterno. Il leader ha la responsabilità di
gestire una serie di relazioni da cui dipendono le risorse che il team può utilizzare per
raggiungere i propri obbiettivi.

Distinzione tra leader e manager: immaginare qualcosa che ancora non c’è, invece che gestire i
problemi che esistono già. La leadership serve per affrontare i cambiamenti e capire la cosa giusta
da fare in una situazione. Per il management, risolto il problema di cosa dobbiamo fare, dobbiamo
farlo bene, dunque mi organizzo, pianifico, controllo.
Il leader deve essere in grado di interpretare bene la realtà per proporre soluzioni, però deve
essere più di un consulente che studia la situazione, ti da consigli, poi se ne va. Infine, deve avere
la capacità di gestire una relazione.
“Leader è colui/colei che esibisce le caratteristiche fondamentali della leadership a livello
intellettuale (proposta di idee, punti di vista, problem solving strategico, visioning), realizzativo
(presa di decisione anche in situazioni di forte ambiguità e incertezza e costruzione di processi di
lavoro solidi, efficienti e funzionali) e relazionale (capacità di influenzare gli altri nella costruzione
di successo ed efficacia organizzativa).”
La leadership sta cambiando, perché è aumentata la complessità che dobbiamo gestire, man mano
che questa complessità aumenta, dobbiamo cambiare da uno stile di leadership autocratico, a stili
di leadership sempre più partecipativi, è poco probabile che di fronte a problemi molto complessi,
se il leader si circonda di persone molto capaci, che la fanno lavorare meglio, è più facile risolvere
il problema. Oggi prevale una dimensione molto più relazionale, che sviluppa le autonomie delle
persone, invece di reprimerla. L’idea del leader tirannico, autoritario, è pericolosa, rischiosa;
quello che funziona oggi è mettere insieme tutte le capacità e tutte le energie che servono per
risolvere problemi complessi. Oggi si parla di Humbug leadership (leadership umile), servant
leadership (leadership al servizio del team), sono tutti modelli che ribaltano il concetto di leader-
eroe carismatico.
Gli studi sulla leadership si possono inquadrare rispondendo a domande diverse. I primi si sono
chiesti chi è un leader, che caratteristiche ha un leader, perché è diverso da tutti. Le teorie che
rispondono a questa domanda sono le teorie dei tratti, quali tratti di personalità, determinano le
caratteristiche del leader che lo rendono tale. Si parla di teoria del grande uomo. Sono
numerosissimi gli scritti sulla leadership, molti libri pensano che sia possibile distillare il profilo che
renda una persona un buon leader. La conseguenza di questo modo di interpretare la leadership è
che significa avere certi tratti, per cui un leader si può solo selezionare, ma non si può fare niente
per trasformare un buon manager in un leader. C’è qualcosa che tu devi avere, che puoi affinare,
ma le devi avere di base. I posti dove si cerca di selezionare i leader sono le organizzazioni militari,
raccontano una storia che è un mix. Devono stare attenti a selezionare le persone giuste ed
escludere chi userebbe il potere in maniera sbagliata (psicopatici).
La seconda domanda è cosa fa un leader per essere efficace. Qui ci sono i modelli del contenuto
della leadership, sviluppati verso la metà del secolo scorso, sviluppati in due università, Ohio e
Michigan che cercano i contenuti che ha un leader per essere efficace. Quindi l’efficacia ora
dipende da quanto bene fai le cose. La domanda cambia e diventa perché e quando certi
comportamenti sono efficaci. Qui si mettono le teorie contingenti, perché hanno detto che non è
vero che le cose funzionano sempre, perché l’efficacia dipende dal contesto. Funzioni se il
contesto è quello giusto, in certi contesti un leader autoritario può funzionare, in altri no.
L’approccio dei tratti, teorie secondo cui
• leader si nasce, non si diventa
• ci sono tratti di personalità, intellettuali, sociali, fisici che differenziano i leader
Si è scatenata la ricerca di chi è il profilo ideale per essere leader, qual è il mix di personalità adatti
per essere leader. Sappiamo, dalla teoria dei mix di Mcclelland, che un certo need for power che
domina il need for affiliation è in qualche modo correlato all’essere un buon leader. Bass e Stodgil
hanno messo queste capacità:
- capacità di risolvere problemi complessi e di lavorare molto
- achievement (risultati universitari di ottimo livello, prestazioni eccellenti etc.)
- responsabilità: affidabilità, iniziativa, persistenza
- partecipazione e coinvolgimento
- status elevato (costruzione di posizioni di…)
Un’altra caratteristica spesso citata è l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di essere
consapevole delle mie emozioni e gestirle e leggere e saper influenzare le emozioni delle persone
intorno a me e saperle influenzare per raggiungere i propri obbiettivi.

slide più importante, dalle ricerche di Gary Yukl


Ognuna di queste caratteristiche è stata trovata in relazione positiva con la leadership.
La forza fisica come risorsa che possiamo usare contro lo stress, sono un tratto che distingue i
leader dai non leader. Ci vuole fiducia in se stessi (forte senso di autoefficacia e buon senso di
autostima), se voglio guidare qualcuno devo avere qualcosa dentro di me che mi porta al
controllo; poi serve integrità personale (seguire i valori del gruppo), un buon leader si presenta
come massima adesione ai valori del gruppo e a quelle che sono le norme del gruppo. Se il gruppo
è criminale le forme saranno quelle, c’è un codice d’onore anche nelle organizzazioni personali.
Chi è leader è qualcuno che viene percepito come uno che segue gli obbiettivi del gruppo, i miei
interessi sullo stesso livello dei propri, ha un orientamento al risultato alto e un basso livello di
bisogno di affiliazione, se ho bisogno di amore e consenso da parte di chi devo guidare è più
difficile impormi.
Dal punto di vista scientifico queste teorie non sono abbastanza solide, questi modelli hanno una
capacità predittiva bassa. In ogni caso i tratti possono predire il leader ma non la sua efficacia

Teorie comportamentali (sul contenuto della leadership):


•Si concentrano su cosa i leader fanno e non su come sono
•Sono specifici comportamenti a caratterizzare la leadership
•Leader non si nasce, ma si può diventare, in quanto tali comportamenti possono essere appresi
L’assunto di fondo è che leader non si nasce ma che si possono assumere i comportamenti della
leadership:
• decisione (accentramento/decentramento);
• orientamento al task (maggiore o minore strutturazione del lavoro);
• orientamento alla relazione (attenzione alla costruzione della relazione), sia tra me leader e il
resto del gruppo, che tra i membri del gruppo, attenzione alla dimensione sociale
Modello di Lewin e altri sulla leadership in termini di partecipazione, dove si va da uno stile
autocratico a uno partecipativo a un laissez-faire.

La cosa importante è che all’aumentare della complessità il ruolo dei collaboratori è più
importante perché potrebbero vedere/sapere cose che io non so, potrebbero avere informazioni
dal field, più aggiornate di quelle che ho io; dunque, l’influenza che io devo avere è quella di
coinvolgere i miei collaboratori.
Ricerca della Ohio state university: 2 dimensioni initiating structure (organizzare bene il lavoro,
stile di direzione orientato al compito), l’altra dimensione è consideration(puntare a costruire una
relazione di fiducia reciproca e partecipazione, stile orientato alle persone), iniziano ad emergere i
profili ideali del leader, quello ottimale ha un’alta considerazione e un’alta capacità di definire il
team work. Le altre combinazioni sono meno efficaci secondo questa prospettiva, questa teoria è
stata messa in crisi dalle teorie contingenti, perché ogni combinazione nel contesto giusto può
essere buona per il leader.
Michigan fa una cosa simile, dove i due comportamenti sono: uno orientati alla produzione di
risultati e uno orientato a costruire le relazioni con i propri collaboratori. Studi recenti dimostrano
che i due concetti sono ancora validi per misurare una leadership efficace. In particolare:
-la considerazione è fortemente correlata alla soddisfazione dei follower, alla motivazione ed alla
efficacia della leadership, mentre
-la specificazione (initiating structure) è maggiormente correlata alla performance del gruppo
Blake e Mouton dicono che esiste uno stile ideale, che è quello che ha alto sia l’attenzione alle
persone che alla produzione, ogni volta che ci stacchiamo da questa produzione ideale perdiamo
qualcosa. Se si sta tanto bene ma non si punta al risultato porta a non fare niente, idem al
contrario.

Teorie contingenti dicono che non esiste una sola leadership efficace. Stili di leadership diversi
sono efficaci in situazioni diverse; non è detto che se metto insieme compito e relazioni io abbia la
combinazione ideale. Il nome di riferimento per le teorie contingenti è quello di Fiedler, che
anziché di prendere per scontato ciò che avevano detto quelli di Ohio e Michigan, si propone di
vedere quando un certo tipo di comportamento del leader è efficace. Una prima cosa che deve
fare è distinguere tra leader orientati ai compiti e leader prevalentemente orientati alla relazione.
Devo vedere in quali condizioni i primi e i secondi sono efficaci. Non approccio teorico ma
empirico.
Il problema di distinguere chi è orientato a un metodo piuttosto che all’altro lo fa applicando un
metodo che si chiama least preferred co-worker, il collaboratore con cui ti sei trovato peggio. Devi
dire il nome del collaboratore con cui ti sei trovato peggio negli ultimi sei mesi, dopodiché si
proponeva un questionario dove questa persona veniva valutata in termini di caratteristiche
personali (amichevole, capace, intraprendente) e dovevi esprimere una valutazione da 1 a 10. A
questo punto vengono fuori due gruppi di manager valutatori: quelli che pur parlando di una
persona con la quale non vorrebbero lavorare più esprimono valutazioni positive, cioè distinguono
la persona dal risultato e dalla relazione che hanno avuto loro con questa persona; altri invece che
fanno valutazioni negative in relazione con il giudizio che hanno espresso. A questo punto quelli
che pur in presenza di uno con cui non vogliono lavorare, comunque ne parlano bene, vengono
considerate come persone di base orientate alla relazione. Gli altri invece vengono messi nel
gruppo di quelli orientati alla performance. Ora che ho due gruppi posso vedere in quali condizioni
un gruppo è più efficace dell’altro.
Ora si vanno a valutare sulla base di tre dimensioni:
-Relazioni leader-follower: Misura in cui il leader ha il supporto e la lealtà dei subordinati e le
relazioni con i subordinati sono amichevoli e cooperative leader
-Posizione di potere: Misura in cui il leader ha l’autorità necessaria per valutare la performance dei
subordinati e di somministrare premi e punizioni
-Task Structure: Misura in cui vi sono procedure operative standard per svolgere il compito, una
descrizione dettagliata del prodotto/servizio finito e indicatori oggettivi per valutare se il compito è
stato eseguito bene

Vengono fuori due situazioni estreme: una totalmente favorevole al leader, ho potere, buona
strutturazione dei ruoli e la relazione è ottima. Poi ci sono situazioni massimamente sfavorevoli al
leader, non hai molte leve e non hai fatto in tempo a costruire una buona qualità di relazione.
Quello che scoprono i ricercatori è che, funzionano meglio i leader orientati al compito, perché se
già vivi in una situazione totalmente favorevole, ti puoi concentrare sulle relazioni, sul clima di
gruppo, sulla concentrazione delle persone, tanto vale investire ulteriormente nel raggiungere,
eseguire in maniera corretta i compiti. Funziona anche nella situazione sfavorevole, e in più non
avete molte leve per poterli orientare nella situazione che volete, se vi mettete a far l’amico, è
molto difficile che veniate apprezzati come leader dai vostri collaboratori, concentrarsi sul
compito, dimostrare che siamo capaci di lavorare come leader, fa vedere come capaci. La
situazione nella quale funzionano le leadership orientati sulla relazione sono quelle intermedie,
quando non tutte le variabili sono favorevoli, empiricamente diventa la variabile che spiega di più
l’efficacia della leadership.
Se la situazione è molto favorevole o molto sfavorevole al leader (quadranti da 1 a 4 e 8) la
leadership efficace è quella orientata al compito tipica dei leader con basso punteggio LPC. Se la
situazione è intermedia (quadranti da 5 a 7) la leadership efficace è quella orientata alla relazione
tipica dei leader con alto punteggio LPC.
Teoria percorso-obbiettivo, legata alla teoria dell’aspettativa valenza: perché un leader è efficace
perché modifica l’aspettativa o la valenza legata al raggiungimento di uno specifico obbiettivo
Infine, ci sono delle teorie che vanno nelle teorie contingenti ultime, che sono teorie dette del
processo, e che abbiamo già incontrato, queste teorie del processo di leadership si dividono in due
gruppi: una leadership transazionale e una leadership trasformazionale. LA leadership
transazionale indica lo strumento attraverso il quale ottiene il consenso dai propri follower, e
questo meccanismo è lo scambio; ti conviene seguirli perché otterrai qualcosa che ti sta a cuore
(carriera, status, soldi), funziona solo fino a quando il leader ha qualcosa da darti. Molto rischioso,
nel momento in cui tu non hai qualcosa da dare o qualcun altro ha qualcosa di più appetibile,
crolla il potere. La leadership trasformazionale lavora su qualcosa di grosso, hai il modo di
trasformare ciò che desideri davvero, non prometti niente di buono, magari prometti solo sogni,
niente di concreto, una visione del mondo attraente, non molli più il leader se non ti aspetti niente
e vuoi solo trasformare la realtà, una condivisone di una visione nuova, e attraente del mondo
intorno a noi e dell’identità di ciascuno di noi e degli obbiettivi che vogliamo realizzare, faccio leva
sul cambiare il mondo. Ti faccio capire che quello che desideravi fino a ieri era sbagliato, non
rispettava i tuoi interessi. La leadership transazionale è uno scambio, leader e collaboratori
negoziano le proprie posizioni, noi lavoriamo bene. Usi i meccanismi del goal setting e della teoria
del flow, produrre un cambiamento rendendoti protagonista.
LEZIONE 20 FONDAMENTI
Cultura
Ha un profondo impatto sulla vita delle organizzazioni ed ha un forte impatto sulla loro identità,
distinguendole le une dalle altre.
La cultura di un’azienda può essere un fattore di attrazione per i dipendenti. Ad esempio puoi
voler lavorare in un’azienda che ha un insieme di valori(uno degli elementi della cultura aziendale)
coerenti con i tupi.
La stessa variabile viene citata come alibi per il quale certe cose nell’azienda non si possono fare
(non abbiamo la cultura giusta, la cultura del digitale), diventa una scusa per dire che certe cose
che i concorrenti fanno bene noi non simo capaci di fare. Quando senti questo tipo di
giustificazioni devi capire se il sistema di valori non è coerente con la strategia dell’azienda ed il
sistema di obbiettivi che ti sei dato. Lavorare sul cambiamento culturale è complesso, dunque
spesso gli ostacoli al corretto lavorare non sono solo di tipo culturale, Spesso puoi modificare il
comportamento dei dipendenti modificando gli incentivi. La cultura non è l’unica spiegazione del
comportamento degli individui dell’azienda, se tu premi correttamente un certo tipo di
comportamento, le persone continuano a lavorare così. Stiamo premiando i comportamenti
giusti? Gli incentivi hanno un profondo impatto sul comportamento della persona. Un'altra
riflessione è “abbiamo disegnato bene l’organizzazione, i ruoli, abbiamo tutte le competenze che ci
servono?”. Bisogna capire se è il caso di cambiare i sistemi di gestione del personale e il disegno
dell’organizzazione, prima di pensare alla cultura. Esiste una cultura nazionale, una sottocultura
(nord sud hanno diversi valori e diversi modi di manifestare i valori), però sicuramente si possono
notare differenze fra nazioni, frutto della storia e di differenze di tipo linguistico. Importante capire
queste differenze se si lavora in contesti multiculturali. Ci vuole un certo sforzo per andare oltre gli
stereotipi per capire quali sono le differenze e trasformarle da ostacolo a forza della varietà di
punti di vista, stili cognitivi e valori.
Poi c’è un altro strato che è la cultura di una particolare impresa.
La cultura è il modo in cui una certa società vive e ha risposto alle sfide del proprio ambiente,
come ha imparato a sopravvivere. Influenza il modo in cui gli individui percepiscono il mondo e
reagiscono ad esso e dunque lavorano (Italia: famiglia, appartenenza italiana …). Un altro esempio
di cultura italiana è la gesticolarità che per altri è di troppo. Ce ne accorgiamo solo per differenza.
Un insieme di assunti di base che definisce a cosa prestare attenzione, il significato delle cose, come
reagire emotivamente agli eventi, come comportarsi in varie tipologie di situazioni (Schein, 1992)
Uno studioso di culture nazionali, Gannon, ha dedicato un saggio ad ogni nazione e per ognuna ha
scelto la metafora che secondo lui rappresentava la cultura del paese (per gli USA il football
americano incarna molti dei valori fondamentali del paese, lo spazio e la conquista dello spazio
metro per metro), per gli italiani sceglie l’opera, perché abbiamo il solista, esprimiamo i sentimenti
in maniera forte, ci teniamo alla bella figura…
Bisogna capire come comportarsi con chi non condivide la nostra sessa cultura nazionale. Per
finire, la definizione da ricordare è: un sistema appreso di simboli, norme, conoscenze, e valori che
forniscono una cornice relativamente stabile ma modificabile alla nostra interpretazione del mondo
e al nostro orientamento in termini di comportamenti sociali. I problemi si manifestano nel
momento in cui cambi la cornice e ti trasferisci in un mondo che interpreta ad esempio i simboli in
maniera diversa. Ed è li che ti rendi conto di avere una cultura dentro. Si forma per socializzazione:
si assimila da bambini vivendo in un certo paese e in un certo gruppo.
Potete riconoscere differenze culturali anche in paesi molto differenti e lontani dai nostri, ad
esempio:
Il Giappone è sempre attento al modo giusto di fare le cose. Pratica, rituale, perfezionismo, e
attenzione fanatica sia al processo che ai risultati.
La Cina è sempre attenta a trovare un modo di fare le cose. Improvvisazione, poco interesse per le
regole, improvvisare qualsiasi cosa ottenga il risultato.
I modelli di analisi delle diversità culturali: Hofstede
Geert Hofstede ha analizzato un numeroso database di valori ripresi attraverso test specifici
effettuati tra il 1967 e il 1973 a 116.000 impiegati IBM in più di 70 paesi.
Scopre che un suo buon manager che era stato mandato a lavorare negli USA fallisce come
manager. Li nasce l’esigenza di fare formazione per il cross-cultural manager.
Ad esempio l’idea di tempo è diversa tra le culture, può essere piò o meno preciso. IBM chiede ad
Hofstede di dare all’azienda dei numeri con cui misurare l’azienda. Allora lui in maniera empirica
condensa tutto in 5 dimensioni della cultura nazionale a cui assegna un valore da 1 a 100:
1. Avversione per l’incertezza
2. Distanza dal potere
3. Individualismo – collettivismo
4. Mascolinità-femminilità
5. Schemi mentali orientati al lungo o breve periodo

Effettivamente se si misurano le persone in paesi diversi vengono fuori profili culturali differenti,
dunque la neccessità di gestire e rapportarsi a quelle persone in maniera diversa. La manager
svedese che viene mandata a gestire un’azienda in giappone, qualche problema di disadattamento
culturale lo avrà.
Le dimensioni
Avversione per l’incertezza : Misura quanto i membri di una cultura si sentano minacciati da
situazioni incerte e sconosciute, ambigue e nuove
- Alta avversione per incertezza: Culture che hanno regole e leggi ferree e sono intolleranti
verso idee e comportamenti devianti. Giappone, Germania, Corea del Sud q
- Bassa Avversione per incertezza: Culture che accettano maggiormente l’aleatorietà, più
tolleranti verso le opinioni altrui, cercano di avere poche regole e leggi. Lasciano che più
correnti di idee convivano e si evolvano contemporaneamente. Cina, paesi anglosassoni e
nordici
Se applichi questo tratto culturale al sistema lavorativo, vedi differenze, ad esempio nei paesi con
alta avversione, hai le caratteristiche tipiche dei sistemi meccanici
Distanza dal potere: Misura in cui una società accetta che il potere sia distribuito in modo diseguale
nelle istituzioni, nella società e nelle organizzazioni, grado di differenza di status ammesso
La distanza di potere si ha in qualsiasi situazione in cui vi sia un’autorità e un subalterno: distanza
tra genitori figli, capi e impiegati, insegnanti e studenti, eccetera. Alta in Italia, Francia e Spagna.
Bassa in Svezia, Israele, USA. La cultura francese è molto gerarchica anche dal punto di vista
sociale. Un effetto della globalizzazione è una progressiva riduzione delle differenze tra forme di
potere, ad esempio l’informalità americana si sta diffondendo. Le culture evolvono e cambiano nel
tempo, a velocità differenti.

Chi ha alta distanza, mette il poter nell’ultimo piano del grattacielo (simbolico). Ci sono le lotte per
gli status symbol per la macchina aziendale, oggi ad esempio si litiga per avere un ibrida della
lexus.
All’opposto chi ha organizzazioni piatte, potere diffuso, importanza diversa attribuita a professioni
diverse
Collettivismo vs individualismo: una cultura è individualista quando i rapporti reciproci fra gli
individui non sono stretti: l’individuo si occupa di sé stesso e dei suoi familiari stretti, importanza
della libertà e delle scelte di affermazione dei singoli. Una cultura è collettivista se l’appartenenza a
uno o più gruppi è fondamentale, prevale l’identità collettiva, gli individui crescono in gruppi coesi
e protettivi a cui danno in cambio fedeltà.
In base a questo in una cultura l’individuo può essere più o meno importante della collettività, la
cultura nazionale cambia la scala gerarchica dei bisogni di maslow. Ad esempio, il benessere del
gruppo è un bisogno più importante per culture collettiviste. Ad esempio il Giappone è così. Molte
altre culture asiatiche hanno la rete allargata (che partono dai rapporti familiari e li trasformano in
rapporti di amicizia). Molto diverso dall’idea del cowboy solitario dei film americani dove
l’individuo ha sempre la prevalenza sul gruppo. Una parola che si usa è maverick, preso dalla
cultura delle mandrie e dei cowboy, era il bovino che invece di stare con la mandria se ne va da
solo. Il non conformista il non membro del gruppo, il maverick è l’individualista per eccellenza.

Anche in Italia c’è individualismo, però il tema è dove metti il confine del noi. C’è l’io centro e
puoi mettere un confine ad esempio intorno alla famiglia, tutto il resto non conta. Un sociologo
americano che si chiama banfield, negli anni 60 del secolo scorso, venne fare uno studio e scoprì
che in Italia, finché noi stiamo all’interno del cerchio che riteniamo essere noi (famiglia allargata)
mi preoccupo un sacco del benessere dei membri del mio gruppo, ma tutto quello che sta fuori , a
cominciare dal benessere pubblico, non me ne frega, tipo buttare frigo per strada per avere casa mia
ordinata. Tutto quello che io faccio lo faccio in nome di questa appartenenza, banfield chiamò
questo fenomeno “familismo amorale”. Cioè il tengo famiglia come giustificazione per qualsiasi
cosa, sono così radicato nel mio clan che il benessere di questo gruppo tende quasi a giustificare
qualsiasi tipo di azione, la morale si stringe dentro il nucleo. IL tema è quanto è largo il noi nelle
società, stringendolo/allargandolo, si va in forme di individualismo/collettivismo.

Mascolinità vs femminilità: Misura in cui una società enfatizza valori associati agli stereotipi
maschili (aggressività, dominanza, successo) rispetto a quelli femminili (compassione, empatia,
collaborazione).
Culture ad alta mascolinità: Assertive, competitive, “dure”, perseguenti la visibilità personale. In
esse conta essere brillanti, “chi la spunta”, i risultati raggiunti I ruoli sociali dei generi sono
chiaramente distinti. Giappone, Germania, Stati uniti Italia, Messico. Sono aggressivi, vogliono
raggiungere gli obbiettivi e ci sono forti differenze di genere. Le cose stanno cambiando.
Culture ad alta femminilità: Accomodanti, “morbide”, perseguenti la solidarietà. In esse conta
salvaguardare buoni e sinceri rapporti con le persone, la realizzazione di un comune progetto, la
cooperazione. Svezia, Norvegia, Olanda, Finlandia, Tailandia. Ad esempio tra i valori ci sono il
caring, prendersi cura, capacità di organizzare un servizio alle persone

Orientamento di breve/lungo: Misura in cui in una società prevalgono modelli di pensiero e di


comportamento le cui implicazioni posso essere valutate su orizzonti temporali diversi
Short-term:
Verità assolute e rispetto per le tradizioni
Pochi risparmi
Orientamento ai risultati di breve
America Latina, paesi mussulmani, anglosassoni e africani
Long-term
La verità dipende dalle situazioni, tradizioni adattate alle condizioni
Frugalità, molti risparmi, perseveranza. Si investe sul futuro
Orientamento alle relazioni costruite nel lungo periodo
Cina, Giappone, Corea del Sud

Ad esempio il concetto di amicizia in America è diverso, perché è una cultura basata sul fatto che si
cambi molto spesso gruppo di appartenenza, perché ti muovi seguendo il lavoro, le opportunità e la
società è fatta di rapporti tra estranei e al breve termine.

Altre differenze fra le culture oltre i cinque tratti di Hoffstede


Un altro aspetto per cui differiscono culture diverse è ad esempio la comunicazione. Per cui tutto
deve essere chiarito, detto in maniera esplicita, oppure si aspettano che tu sia capace di leggere il
contesto, anche quello che non viene detto è importante, le modalità di comunicazione non verbali.
Un'altra dimensione è il tempo, non solo come prospettiva di breve o lungo periodo, ma tempo
sequenziale, tempo monocromico oppure riuscire a mettere in parallelo più cose nello stesso tempo.
Poi c’è la prossemica, scienza che dice che un fattore di differenza culturale è come si posizionano
le persone nello spazio, ovvero la distanza fisica giudicata appropriata, nel rapporto tra due persone.
Noi siamo molto touch-feeling, mentre in Giappone ci sono delle regole anche molto formali che
dicono che toccarsi invece che darsi un inchino non è il massimo se si è in un contesto.

Sulla comunicazione si distinguono le culture ad alto contesto, da quelle a basso contesto. Nelle
culture ad alto contesto non è importante tanto il contenuto quanto quello che deduci dal contesto,
oppure i segnali che arrivano.
Uno che viene da una cultura a basso contesto si aspetta di dare valore letterale a quello che viene
detto, ad esempio se viene in Italia e gli dicono “ti faremo sapere” si aspetta una chiamata dopo un
po', che qualcuno lo chiami e gli faccia sapere, non che scompaia come succede in italia.

Cos’è la cultura organizzativa, i valori che contraddistinguono, i valori condivisi dai membri di
un’organizzazione anche se non esplicitati. Funzionano perché queste cose vengono tramandate e
legano all’azienda. Ad esempio, apple, mcdonald … Teniamo quello che ci ha reso di successo in
un ambiente complesso come il mercato in cui ci troviamo, la socializzazione nelle aziende la
chiamano Homeboarding, parte di cui consiste nel dare il biglietto da visita del sarto per farsi dare
l’abito dell’organizzazione. Le bretelle rosse del trader, il completo gessato con cui ti devono
vedere i clienti. Nella FIAT dopo che il management ha mandato in rovina la società, Marchionne
rompe la tradizione degli abiti con il suo golfino blu da quale non si separò mai.
Steve jobs imvece si metteva sempre i levi’s 501, maglietta di Miyake nera lunga
La cultura organizzativa ci aiuta a trovare un senso nella realtà che viviamo, come se le generazioni
che hanno vissuto li prima di noi, come interpretare la realtà.
Processo di sense-making, che diventa un modo di organizzare l’azienda, se abbiamo tutti gli stessi
valori, non c’è bisogno di un capo. È nel nostro interesse raggiunger determinati obbiettivi. Così
come accade quando le culture nazionali sono forti, questo senso di unità e di coesione aiuta a
lavorare facilmente insieme. Sapere qual è il nostro ruolo, quali sono i valori e gli obbiettivi, riduce
l’ansia, perché sappiamo cosa fare. Ci da senso di appartenenza, risolve problemi di autostima che
non ti permettono di basarti su un’identità individuale.
Modello multilivello di Schein: DA RICORDARE
Schein nei suoi libri parla spesso di cultura e leadership ed è il ricercatore a cui fare riferimento
quando si parla di cultura aziendale. La sua cultura strutturata così: nucleo di fondo che lui chiama
assunti di base (condivisi da tutti i membri dell’organizzazione). Ad esempio “il cliente ha sempre
ragione”, in america questo è molto sentito, lì c’è una cultura del reso molto forte.
Subito dopo c’è lo strato dei valori che vogliamo realizzare. Oggi qusi tutte le imprese hanno fatto
un lavoro, solitamente è un tabellone all’ingresso dell’azienda dove ci sono i valori di quest’ultima.
Poi c’è l’ultimo strato che rappresenta cose che si toccano e si vedono, ovvero i simboli che si
utilizzano, il logo, la sede, i vestiti che si portano, chi sono gli eroi dell’azienda, le cerimonie che
abbiamo, cosa facciamo quando uno va in pensione, il linguaggio che usiamo (in Ferrero, quando
c’era ancora Michele Ferrero, esisteva “la signora Valeria”, che lui definiva la nostra vera
amministratrice delegata, perché è quella che scegliendo i nostri prodotti ci da da lavorare, quindi
dobbiamo capire cosa vuole vuole
Manifestazioni della cultura sono le convention aziendali, i miti come ad esempio benetton che
tinge il golfino quando è finito e da li rivoluzionò il mercato, piuttosto che il post it che rinnnova
3M.
Un artefatto materiale fondamentale è la sede dell’azienda, la Bocconi stessa è evoluta.
Lezione 21 se volete i primi 15 minuti c’è l’applicazione del modello multilivello di
Schein
LE STRUTTURE ORGANIZZATIVE
Per poter definire le strutture organizzative delle aziende è fondamentale prima di tutto generare
un glossario della struttura aziendale.
La prima distinzione da fare è quella tra
macro e micro struttura organizzativa.
MACRO STRUTTURA = criteri con i quali il
lavoro è stato diviso e viene coordinato
all’interno di un’organizzazione. Come
un problema complesso viene affrontato
dando delle responsabilità precise a
diversa unità organizzativa. QUAL È IL
CRITERIO IN BASE A CUI SI ASSEGNANO I
COMPITI ?
La macrostruttura organizzativa ci indica i
rapporti di sovra e subordinazione.

La macrostruttura ha due dimensioni:


1. ORIZZONTALE = specializzazione delle unità in base a cosa viene deciso chi fa che cosa
2. VERTICALE = ha a che fare con l’articolazione gerarchica, ovvero in quanti livelli si articola
l’organizzazione. Si definiscono i livelli gerarchici che ci sono tra l’amministratore delegato e i
sottoposti
3. PROFONDITÀ = meccanismi di coordinamento tra le unità organizzative
MICROSTRUTTURE = modalità di aggregazione di compiti in mansioni attribuibili a posizioni di
lavoro e singole persone: Quali lavori si attribuiscono al singolo lavoratore. Ogni posizione
all’interno dell’azienda ha una sua descrizione in termini di:
 CONTENUTO DELL’ATTIVITÀ
 OBBIETTIVI CHE HA
 COLLOCAZIONE DI QUELLA PERSONA/POSIZIONE NELLA MACRO-STRUTTURA
Visto che parliamo di un insieme di
compiti, si collega tutto quello che
riguarda il valore intrinseco del
lavoro: possibilità di decidere, fare
carriera ecc.
Progettare bene le mansioni ha un
impatto molto forte sulla
motivazione delle persone e sulla loro soddisfazione. La microstruttura viene definita dai
mansionari.
La macrostruttura è definita dall’organigramma, anche se non tutte le aziende presentano questi
documento di formalizzazione, si hanno solo quando la dimensione dell’azienda è medio-grande,
anche se molte aziende nell’ultimo periodo sono poco propense al loro utilizzo.
PERCHÈ?
Il problema è che legando un lavoro ad una MANSIONE non ci si può aspettare che i lavoratori
accettino i cambiamenti. Dal momento che un documento formale che dovrebbe essere un aiuto
potrebbe diventare un problema ed alcune organizzazioni, specialmente negli ambiti molto
dinamici, tendono a non dare caratteristiche di dettaglio del lavoro per evitare troppa dilazione dei
tempi per il cambio delle mansioni. In questi casi si assiste ad un demansionamento, ovvero con la
riduzione della definizione delle mansioni con descrizioni a grandi linee del compito di una
determinate posizioni.
Tuttavia, un documento di definizione delle mansioni e del ruolo all’interno dell’azienda aiuta
molto i lavoratori, che riescono a non cadere nei problemi di ruolo e di incertezza che si possono
presentare in caso di una mancata definizione delle proprie responsabilità e ruolo all’interno
dell’azienda.

RAPPORTO TRA DIMENSIONE VERTICALE E DIMENSIONE ORIZZONTALE DELLA STRUTTURA


ORGANIZZATIVA
Analizziamo il rapporto tra
dimensione verticale e
dimensione orizzontale delle
strutture organizzative.
In questo modo esplicitiamo: IL
CRITERIO DI SPECIALIZZAZIONE
DELL’UNITÀ che mette insieme
le persone che hanno lo stesso
tipo di competenze e di attività
economico-tecnica.
Questo definisce un modello di
struttura organizzativa che
chiameremo STRUTTURA DI
TIPO FUNZIONALE: raggruppiamo le persone che hanno lo stesso know-how di tipo economico-
tecnico.
Le strutture organizzative si possono distinguere tra:
 ALTE = con tanti livelli gerarchici. SVANTAGGI = distorsione delle informazioni, lentezza
processo decisionale, demotivazione e ognuno dei livelli ha un costo (differenziali di paga
per ogni gradino).
 PIATTO = con pochi livelli gerarchici. Negli ultimi anni per evitare i problemi delle strutture
organizzative alte si cerca di andare verso un tipo di struttura piatta. Se elimino il controllo
gerarchico devo avere qualcosa che tiene insieme l’organizzazione = VALORI E CULTURA,
PRINCIPI e l’esempio più evidente è LA CHIESA (solo 3 livelli gerarchici: papa, vescovi,
cardinali, preti). In questo modo i singoli si autodisciplinano perché condividono gli stessi
valori, le stesse missions, non abbiamo bisogno di controllo. Tutto questo porta a:
– MENO SPAZIO PER “LE CARRIERE”. Si devono trovare nuovi modi per riuscire a
motivare i dipendenti.
– FORTE CONDIVISONE DEI FINI E VALORI AZIENDALI, TANTA AUTONOMIA. Però
l’azienda può anche correre molti più rischi.
Oggi si può utilizzare con molta più facilità una struttura più piatta perché molti dei controlli che
un tempo facevano i capi, ora li può fare la tecnologia grazie a sistemi di monitoraggio senza avere
un’alta gerarchizzazione. Dobbiamo scegliere, quindi, la struttura organizzativa in base a cosa è
miglio per la nostra azienda.
“DOWNSIZING” O “RIGHT SIZING”
Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, in risposta alle varie crisi che ci furono, nacque un
movimento noto come “Downsizing” che poi, poiché si pensava che il termine “down” implicasse
automaticamente il licenziamento di persone, prese il nome di “right sizing”.
Per capire come funzionava questo metodo si deve introdurre una nuova variabile, lo SPAN OF
CONTROL (ampiezza del controllo di un manager) = numero di persone/posizioni che riportano a
un manager.
Si è a lungo discusso sul numero ideale di riporti che si riuscisse a
seguire (controllare/amministrare), si pensava fosse intorno al 5
ma in realtà non esiste. Se cancello un livello gerarchico ho una
conseguenza sui riporti gerarchici: es= prima controllo diviso per
aree geografiche (SUD-CENTRO-NORD) se si elimina il livello
gerarchico dei direttori delle aree geografiche il D.V. si troverebbe
a gestire 10 persone e non 3. In questo caso cambia tutto, si deve
iniziare a delegare molto di più ed avere persone competenti ed
autonome allineate con i valori societari.
AL VARIARE DEL NUMERO DI LIVELLI GERARCHICI VARIA LO SPAN OF CONTROL DEL MANAGER.
DIFFERENZA UNITA’ DI LINEA E UNITA’ DI STAFF
Un’altra distinsione da fare è tra le
unità di linea e di staff.
UNITÀ DI LINEA= creano il valore per
la nostra organizzazione (fa parte della
catena dei valori di porter), creano
valore aggiunto da ciò che entra a ciò
che esce. Prodizione, Vendita, Ricerca
& Sviluppo.
UNITÀ DI SUPPORTO E
SERVIZIO/STAFF = Danno aiuto alle
UNITÀ DI LINEA per farle operare in
maniera efficace, sono tipicamente
l’HR, AFC, Ufficio legale o
comunicazione esterna, ESG. Non
hanno autorità formale sulle attività di linea, hanno una competenza specialistica allo scopo di
supportare i responsabili di linea nei processi decisionali oppure forniscono servizi accessori
rispetto alle attività dell’organizzazione. Sono al servizio delle unità di linea, quindi, non sono
gerarchicamente superiori. Se si ha
un’azienda in cui le unità di linea sono
subordinate alle unità di staff perché
si dà troppo potere a chi ha poche
responsabilità sui risultati e i bastardi
si gasano. Nell’esempio attuale ci
troviamo in tutte le unità ad un solo
livello gerarchico dal DG.
L’organigramma è fatto da rettangoli
e linee si deve disegnare bene sennò
il prof si arrabbia.
Quando parliamo di struttura
organizzativa intendiamo l’insieme di
elementi relativamente stabili e del sistema di ruoli su cui si articola il sistema organizzativo; cioè
quelle caratteristiche relativamente stabili nel tempo che definiscono quali sono i ruoli, le
responsabilità e i contenuti di lavoro delle diverse unità organizzative attraverso le quali si articola
il nostro sistema organizzativo.
Si deve precisare che la struttura organizzativa fa riferimento alla relazione svolta dai membri e si
concretizza nelle forme di divisione del lavoro, quindi dimensione orizzontale (chi fa che cosa, qual
è il criterio di specializzazione che usiamo nella nostra azienda – siamo specializzati per funzioni?
Siamo specializzati al primo livello gerarchico con un grado di dipendenza dal DG di uno. O siamo
specializzati per aree di mercato, per prodotti o divisioni? – e la dimensione verticale e poi ci sono
tutte le procedure e le politiche e i meccanismi di coordinamento e di controllo.
Possiamo affermare che esista una terza organizzazione della struttura organizzativa, la
profondità, data dai meccanismi di coordinamento tra le unità organizzative e le aziende hanno
diversi gradi di coordinamento. Posso avere la mia struttura funzionale classica, dove ho il DG e le
varie funzioni, però siccome siamo in un momento particolare di variazione costante nei costi e
nella reperibilità delle materie prime creo un organismo che chiamo “comitato di crisi” in cui tutti i
lunedì mattina i capi delle funzioni insieme all’AD si trovano intorno ad un tavolo per discutere
come affrontare il periodo di crisi e la reazione alle variazioni (chiusura impianti per troppo costo
dell’energia) attraverso un’analisi nei vari ambiti. Tanti più meccanismi di coordinamento e
controllo abbiamo, tanto più riusciamo ad avere un’organizzazione integrata ed efficiente.
Le aziende hanno diversi livelli di struttura organizzativa. Ho la struttura generale e altri organismi
fondati per diverse esigenze es: “Comitati di Crisi”
CONFIGURAZIONI DELLA STRUTTURA
Analizzeremo le varie configurazioni della
struttura.
La prima struttura organizzativa che
analizzeremo è la struttura
elementare (tipica organizzazione
delle start up) che è fondata da 1/2
fondatori/imprenditori che poi
diventano anche il DG o il manager
più importante dell’azienda. La
struttura elementare in genere è
molto piatta con dei sottoposti a
diretto riporto che svolgono più
attività. Si sta tutti insieme in una
stanza (o in garage) e si
collabora.
Di ogni struttura vedremo i vantaggi,
gli svantaggi e le condizioni di
applicabilità. Cominciamo dalle
condizioni di applicabilità, abbiamo
detto che la struttura elementare
tipicamente si trova all’inizio delle
avventure imprenditoriali (fase di
start up) e in aziende che sono
rimaste di piccole dimensioni e
tipicamente padronali (circa l’80%
delle imprese italiane: familiari e
molto semplici, dove a pettine rispetto al fondatore si trovano anche i propri familiari che lavorano
all’interno dell’azienda; il tutto racchiuso in un solo livello gerarchico e scarsa specializzazione).
QUALI SONO I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI DELLA STRUTTURA ELEMENTARE? In molti casi i
vantaggi sono anche gli svantaggi di questo modello strutturale. Abbiamo poche procedure scritte,
molta informalità, molta comunicazione diretta anche perché siamo in pochi e a contatto diretto
con l’AD, condividiamo i valori e quindi è inutile e non abbiamo neanche le risorse per pagarci
sistemi di gestione del personale o di controllo di gestione molto complessi. Tutto e informale e
tutti si sentono protagonisti, però allo stesso tempo quest’alta informalità con l’AD che entra nelle
decisioni e decide rapidamente il ché ci rende facilmente adattabili alle variazioni ambientali, può
essere anche un limite.
LIMITI = se tutte le decisioni passano dall’Imprenditore questo rischia di diventare il collo di
bottiglia per la crescita dell’azienda. La rischiosità è legata alla salute della persona
chiave/imprenditore/AD c’è una FORTE PERSONALIZZAZIONE. Se l’azienda ha successo vengono
fuori i limiti legati alle competenze e alla specializzazione che nella struttura elementare mancano
per via della piccola dimensione. Il problema del nanismo delle nostre imprese oggi viene
considerato un fattore di resilienza perché c’è molta imprenditorialità ed informalità, ma anche un
problema perché poi con i tipi di perturbazioni che ci sono in questo momento avessimo più
grandi imprese strutturate e leader nei loro mercati, probabilmente avremmo un tipo di economia
diversa.
INVOGLIA A LEGGERE I CASI SULLA STRUTTURA ELEMENTARE CHE STANNO SUL LIBRO

Di ogni struttura seguiamo un modellino, che avevamo introdotto all’inizio del nostro percorso e
che ora recuperiamo, che dice “come si progettano le strutture? Qual è il disegno ideale (il più
efficace, il più efficiente)?” e la risposta che noi diamo ad una domanda così, essendo seguaci del
principio di contingenza, è “dipende”. Il disegno
ideale dipende da alcune variabili:
- L’ambiente in cui ci si trova, già abbiamo
visto che un ambiente dinamico spinge ad
avere un minore livello di formalizzazione
delle cose che si fanno per ingessare il
meno possibile la struttura per riuscire ad
adattarsi al meglio alle variazioni.
- La strategia sulla quale si vuole costruire la
propria azienda
A questo punto si riesce ad individuare al meglio quale sarà il tipo di struttura, cultura e persone
che serviranno all’azienda.
Progettare le organizzazioni significa mettere insieme queste cose in modo che siano coerenti tra
di loro, cioè che ci sia FIT tra questi elementi, in modo che gli obiettivi che ho in termini di
risultato riesca davvero a portarmeli a casa. Una strategia di piccole dimensioni, grande efficienza,
mercato ridotto ad una piccola area geografica e mono prodotto, però con una struttura super
complicata con molti livelli gerarchici e piena di unità di staff e di linea è l’esempio più eclatante di
rappresentazione del “MISS-FIT” = mancanza di coerenza tra strategia e struttura  l’azienda non
funziona. Riesco a comprendere i problemi analizzando questo FIT.
In alcuni casi possiamo noi portare un cambiamento nell’ambiente, ma nella maggior parte dei casi
è il contratrio.
Un cambiamento di struttura organizzativa viene motivato da un cambiamento nell’AMBIENTE e
nella nostra STRATEGIA al quale rispondiamo modificando la nostra struttura. Ho bisogno di
supportare il Direttore Generale, ho bisogno di potermi appoggiare a specialisti nei vari settori con
cui poter confrontare la migliore strategia. La struttura diventa più articolata sul piano verticale e
cambia dal punto di vista orizzontale perché le persone iniziano a specializzarsi per competenza
economico-tecnica, con un ampliamento nella gamma di prodotti e nell’area geografica trattata.
Quindi la struttura elementare non è più adeguata al nostro modello di business, perché se le
decisioni ricadono solo sull’AD non riusciamo a seguire adeguatamente la domanda che arriva dal
mercato e quindi perdiamo opportunità di business; quindi, mi devo strutturare in maniera diversa
e più articolata per rispondere alle esigenze del mercato. La struttura aziendale si evolve e diventa
più complessa, anche se siamo ancora monoprodotto.
Il primo modello di organizzazione più
articolata è la Struttura Funzionale.
In questo caso c’è bisogno di scaricare
la direzione generale, supportando
l’AD/proprietario dell’azienda.
Facendo sì che al vertice della
struttura ci sia sempre l’AD/DG, ma
che si possa appoggiare a degli
esperti di vendite, produzione,
acquisti per le decisioni operative.
Cambia la struttura in entrambe le
dimensioni:
- diventa più articolata
verticalmente, perché devo inserire un livello di management che prima non c’era
- cambia orizzontalmente, perché inizio a specializzare le persone sulla base del criterio
funzionale (criterio di competenza economico-tecnica: tutti quelli che si occupano di un
ambito/funzione aziendale vengono messi insieme)
In questo tipo di struttura cominciano anche a comparire per la prima volta le unità di staff, con la
struttura che si articola ulteriormente e diventa più complessa. Questo rappresenta il primo
grande salto per un’azienda per ingrandirsi e non tutti gli imprenditori lo fanno perché può
risultare molto difficile rinunciare al contatto diretto con i propri sottoposti, rispettando
l’esternalizzazione agli esperti del settore.
Le decisioni si dividono in 3 tipi:
- strategiche che riguardano la catena del valore e hanno impatto anche nel lungo periodo
(prima vi erano dedicate funzioni che generavano piani quinquennali, ora ci si deve
adattare molto più velocemente ai cambiamenti quindi c’è maggiore variazione strategica
con rapidità).
- direzionali che data la decisione strategica la si traduce in obiettivo e si decide il modello di
business che l’azienda deve utilizzare, ponendosi degli obiettivi da raggiungere per
implementare la strategia.
- operative che servono a definire ciò che si deve fare per raggiungere gli obiettivi che ci
siamo posti
Nelle strutture elementari tali decisioni sono portate tutte a termine dall’imprenditore. Con la
struttura funzionale si inizia a separare, riducendo il rischio del collo di bottiglia:
- L’AD si occupa delle decisioni strategiche
- I direttori di funzione ai quali l’AD delega le decisioni direzionali
- Gli operatori, raggruppati per aree di competenza all’interno delle funzioni, si occupano
delle decisioni operative.
Viene quindi redistribuito il carico decisionale su più livelli, non è solo una questione di controllo
ma anche di specializzare livelli diversi su tipi di decisioni differenti per restare dietro al
cambiamento delle 2 variabili con maggiore facilità.
Delta ambientali portano a delta della strategia e quindi anche a delta nella struttura aziendale
Sono stati introdotti sistemi di gestione del personale. Sistemi che richiedono investimenti e
volontà di spendere risorse aziendali per perseguire lo sviluppo dell’azienda, con lo sviluppo di
documenti come i mansionari, gli organigrammi e questionari di valutazione del personale.
Una struttura funzionale è una Struttura manager-realizzata con una formalizzazione dei processi
decisionali. LEGGERE L’ARTICOLO DI APPLE
LE CARATTERISTICHE
DELLA STRUTTURA
FUNZIONALE. (VA BENE LA
SLIDE)

IL VANTAGGIO delle
Strutture Funzionali
consiste nel mantenere
una grande
specializzazione tecnica.
Infatti, la competenza
tecnica attira i talenti. All’interno
delle funzioni si sviluppa una
tipologia di pensiero e una visione
del mondo omogenea: quella
marketing, quella delle vendite ecc.
Se decidessimo di disperdere queste competenze per linea di prodotti, rischieremmo di avere su
una linea i maggiori esperti e su un’altra, persone con meno talento e capacità. Il know-how, la
specializzazione; quindi, la riduzione degli errori, l’aumento della velocità nel fare le cose e
l’apprendimento che portano all’interno dell’azienda persone che sanno di essere aggregate
perché entrano a far parte della famiglia professionale a cui aspirano ad appartenere.
La caratteristica essenziale che distingue le organizzazioni resilienti è la capacità di uscire da
momenti di crisi di uscirne meglio di prima evitando l’errore più frequente delle aziende
funzionale, ovvero la mancanza di comunicazione e collaborazione tra le funzioni produttive.
Il limite più grande della struttura
funzionale sta NEL CREARE DEI
SYLOS/MURI: ognuno cerca di
sviluppare l’obbiettivo della propria
funzione entrando in pesante
conflitto, NON C’È DIALOGO TRA
LE FUNZIONI MA SI CREANO
ANTIPATIE E CONTRASTO.
L’obiettivo si lega alla funzione e
non è più generale. AUMENTANO I
CONFLITTI E NON È DETTO CHE
RAGIUNGERE UN OBIETTIVO DI FUNZIONE PORTI A RAGIUNGERE UN OBIETTIVO D’IMPRESA.
Un altro problema che si può avere è l’allungamento della catena di comando e LA LENTEZZA DEI
PROCESSI DECISIONALI = è il rovescio della medaglia dell’aver creato tanti livelli decisionali. Le
informazioni vengono distorte e cambiate, c’è bisogno di tempo affinché arrivino da una parte
all’altra con un aumento di burocrazia. IL SEGRETO È RIUSCIRE A METTERE L’ANIMA DI
UN’IMPRESA PICCOLA IN UN’IMPRESA PIÙ GRANDE.
UTILIZZIAMO DEGLI STRUMENTI PER
RISOLVERE TALI QUESTIONI:
Se vogliamo abbattere tali muri
dobbiamo dotarci di MECCANISMI DI
INTEGRAZIONE (dimensione di
profondità/obliqua della struttura)
potenziando i collegamenti tra le diverse
unità, soprattutto se iniziamo a vedere
che perdiamo colpi e che temi che
dovrebbero riguardare tutti, ma senza
una buona organizzazione e ripartizione
dei compiti si rischia di non concludere
niente. Dobbiamo, quindi, aumentare gli
strumenti di interazione tra le funzioni.
La lista visibile dalle slide dev’essere letta dal basso verso l’alto dalle meno costose alle più
costose.
Innanzitutto, bisogna istituire delle norme, regole di funzionamento dandosi degli obiettivi comuni
per ridurre la possibilità che ogni funzione vada in direzioni diverse. Gli obiettivi li abbiamo
disaggregati in modo tale che però siano coerenti tra di loro.
Le procedure che devono rispettare tutti sono un altro strumento di integrazione per cui io vedo,
consultando il SAP piuttosto che qualche altro sistema gestionale, cosa succede nelle varie
funzioni; si genera una circolazione delle informazioni che aiuta ad essere tutti sullo stesso passo.
Bisogna anche RESPONSABILIZZARE I CAPI, la gerarchica, infatti, svolge funzioni utili. La funzione
più importante è che se c’è un conflitto tra le fasi, uno dei ruoli fondamentali della direzione
generale è aiutare le parti che sono in conflitto, o che stanno perdendo di vista l’obiettivo globale
dell’azienda, a trovare un accordo fino a far fuori i manager che non lavorano in maniera
cooperativa con gli altri (se hai un solista bravissimo che, però, ti distrugge l’organizzazione perché
non collabora, non partecipa alle riunioni e non scambia informazioni forse è meglio licenziare il
bastardo, integrando l’azienda a tutti i livelli).
Abbiamo poi le RIUNIONI che costano un sacco di soldi perché prendono tempo e il costo viene
calcolato moltiplicando il valore del tempo di chi partecipa per il numero di partecipanti e spesso si
trovano delle cifre impressionanti. Da un lato servono perché è un momento di collaborazione e
decisionale, dall’altro devono essere utilizzate nel modo giusto. Quindi, devono essere usate con
cautela. AMAZON HA ESCLUSO LE PRESENTAZIONI POWERPOINT PER RENDERE PIÙ EFFICACE LE
RIUNIONI. Devono essere organizzate al meglio con la verbalizzazione di ciò che si dice, la
creazione dell’ordine del giorno e l’invio del materiale prima della riunione in modo da arrivare
preparati.
Andando più in alto troviamo i COMITATI, il classico è il COMITATO NUOVI PRODOTTI che si deve
riunire periodicamente invitando anche i fornitori dell’azienda. Vengono usati per mettere insieme
fin da subito tutte le responsabilità e determinare il posizionamento del prodotto nel mercato. È
un organo permanente e discontinuo (non è che passano tutto il tempo nel comitato, si ha una
volta al mese/ogni 15 giorni. Un altro comitato diffuso è il COMITATO DI DIREZIONE come il
“comitato di crisi”. Si uniscono persone per gestire tematiche trasversali. La cosa diventa ancora
più importante dal punto di vista dell’investimento con i RUOLI DI INTEGRAZIONE: in questo caso
specializzo persone esclusivamente per svolgere questo lavoro di raccordo e coordinamento,
questi hanno la responsabilità di abbattere i SYLOS. Nascono così gli organi di integrazione che
danno luogo a delle strutture funzionali modificate.
DA DOVE NASCE L’ESIGENZA DI MODIFICARE LA STRUTTURA E COME RAPPRESENTIAMO LA
MODIFICA? Ancora una volta c’è un delta nella strategia che richiede un cambiamento nella
struttura (stesso paradigma) fatto di un ampliamento di offerta di prodotti e servizi secondo una
logica di diversificazione correlata e quindi in generale un aumento della complessità che non può
essere gestito all’interno delle singole funzioni, ma che va gestito da un organo dedicato.
Le due forme di struttura funzionale modificata che stiamo per vedere sono:
1) MODIFICATA PER PRODUCT
MANAGER: due versioni, una
“FORTE” e una “DEBOLE”.
PRODUCT MANAGER FORTE = Se
dopo aver ampliato la gamma di
prodotto non riesco a vedere i
risultati assumo un Product
Manager a cui do tutte le leve:
svolge il ruolo di DG per un
progetto occupandosi della linea
di prodotti come fosse
un’azienda. Ovviamente utilizza
le risorse dell’azienda, dunque, la
sua sfida sta nel convincere le
altre funzioni a sfruttare risorse
per la nuova linea che fino a quel
momento avevano trascurato,
anche perché la sua permanenza
in azienda dipende
dall’ottenimento dei risultati
preposti. Osservando
l’organigramma possiamo
affermare che il PM FORTE È
ALLA PARI DEI DIRETTORI DI FUNZIONE;
quindi, non ha il potere gerarchico sui
direttori ma deve convincerli, usando
relazioni personali e influenza senza
avere capacità gerarchica. – leggere la
slide di definizione del PM FORTE.
Parliamo di struttura modificata perché
abbiamo sia la dimensione funzionale
che la specializzazione per prodotto/mercato perché questa dimensione dal punto di vista
strategico è rilevante tanto quanto il know-how principale dell’azienda per l’impatto che ha
su tutte le funzioni.
Il PRODUCT MANAGER DEBOLE ha molte meno leve del
forte e si trova in strutture che hanno una fortissima
tradizione di marketing, non è direttamente dipendente
all’AD ma si trova DENTRO IL MARKETING. Il ruolo è
debole perché non ha una responsabilità del risultato
complessivo, inoltre in genere si limita alle funzioni più
prossime alle leve e parte del budget del marketing della
linea di prodotto (pubblicità, sconti, concorso a premi).
Nella versione debole il PM riporta al direttore marketing, seguendo le attività di
promozione e pubblicità e gestendo le diverse leve di marketing operative.
I VANTAGGI sono rompere la
monodimensionalità della struttura funzionale,
specializzazione per competenze economico-
tecniche, e presidiare un’altra dimensione in più
rilevante dal punto di vista strategico relativa al
prodotto (MAGGIORE FACILITÀ DI RISPOSTA
ALLE ESIGENZE DEL MERCATO). Nella versione
del PM FORTE abbiamo anche una funzione
definita in capo ad una persona definita
(maggiore capacità di influenzare il mercato).
I PROBLEMI li abbiamo già
evidenziati, quando i PM
(soprattutto se DEBOLE) possono
essere più di uno e questo può
generare conflittualità (positiva se
non si esagera) perché ognuno
vuole che il proprio prodotto si
affermi. Inoltre, il problema è anche la mancanza di autorità gerarchica per convincere i vari
direttori di funzione.
2) MODIFICATA PER PROJECT
MANAGER: due versioni,
una “FORTE” (se dipende
dall’AD) e una “DEBOLE”
(se sta all’interno di una o
più funzioni tecniche).
Si ha quando la
dimensione in più che
vogliamo presidiare non è
una dimensione di
prodotto, ma di progetto (.
Il PJM può essere:
- PJM SEMPLICE = 1 sola
persona che integra e
cerca di spingere i
colleghi delle dimensioni funzionali a mettergli a disposizione risorse (persone, tempo,
idee, attrezzature) affinché queste energie che già ci sono all’interno delle singole
funzioni. (tipicamente PJM DEBOLE)
- PJM COMPLESSO = 1 responsabile più
un team dedicato. Viene staccato uno
specialista da ogni funzione che per tutta
la durata del progetto prenderà ordini
dal PJM. L’insieme degli specialisti
formano la squadra del PJM
(subordinazione gerarchica dichiarata).
Tipicamente PJM FORTE)
Una volta finito il progetto gli esperti tornano a dedicarsi alla propria funzione di appartenenza e il
PJM si dedicherà ad un nuovo progetto oppure no.
I VANTAGGI di tale struttura sono
più o meno sempre gli stessi:
- Nuova dimensione;
- Maggiore integrazione;
- Fucina per i manager.
I PROBLEMI sono:
- Difficoltà nel trovare PJM;
- Alla fine del progetto è
difficile ritornare a fare ciò
che si faceva prima.

LEZIONE 23 – STRUTTURE (SEGUE) E GESTIONE DEL PERSONALE

Strutture divisionali
In quali condizioni conviene adottare una determinata struttura?
Normalmente c’è una crisi del modello organizzativo precedente dovuta ad un
cambiamento nell’ambiente o nella strategia dell’azienda.
 Struttura funzionale  punto di partenza (monoprodotto ma con un business
che aumenta)
La variazione più importante che può portare al passaggio alla struttura decisionale
è tipicamente un cambiamento di strategia: di solito tramite la diversificazione di
tipo non correlato.
Tale tipo di diversificazione è una mossa strategica analizzata in chiave storica
(Chandler):
 Idea di base: azienda inizia a funzionare come un portafoglio di investimenti
(ricavo risorse in un certo business senza futuro ma molto favorevole
redditualmente parlando, prendo queste risorse e le investo in settori che
invece hanno un altissimo potenziale)  strategie di portafoglio
 La più classica rappresentazione di queste strategie di portafoglio è la matrice
BCG
 Lo stimolo a diversificare nasce quando si ha una forte quota di mercato in un
business che non cresce più tanto,
diventando una cash cow. A questo punto
iniziano gli investimenti in settori molto
differenti da quello dove si opera ma molto
redditizi (esempio FIAT, nel periodo di punta
investe molto in editoria, assicurazioni, etc.,
insomma campi non correlati con
l’automobilismo).  Rischio: non è detto che
il management esperto in un campo riesca a Pet
gestire al meglio tipi di mercato molto differenti (governare un’azienda
diversificata vuol dire avere un’azienda molto più grande, redditizia, famosa,
dove gli stipendi dei manager sono molto più alti  problema
disallineamento obiettivi management/azienda: gli azionisti non sempre si
arricchiscono da queste scelte, sono soprattutto i manager a fare ciò).
 Ideale sarebbe essere un’azienda sullo stile di Amazon, Apple, Alphabet 
Alta quota di mercato in un mercato nettamente in crescita
A partire da questa matrice, quindi, il management arriva a convincere la board della necessità di
avere business diversi in aree diverse  fare crescere la struttura arrivando a una struttura
divisionale.

Condizioni essenziali per il passaggio ad una struttura divisionale sono, quindi:


 Diversificazione non correlata tramite strategie di portafoglio
 Aumento delle dimensioni  quando sono sufficientemente ampie da coprire i costi, che
necessitano una struttura e personale con competenze dedicate (per gestire business
minori, che impattano in maniera esigua sul fatturato, non serve una divisione ma basta
una modifica alla struttura funzionale)

Il punto di forza delle strutture funzionali è quella di potenziare la specializzazione economico-


tecnica. Ma cosa succede se io devo duplicare o triplicare le competenze necessarie per avere un
team dedicato in ogni divisione in una struttura divisionale?
 Se le competenze tecniche sono difficili da trovare, troviamo un impedimento alla struttura
divisionale
 Se le competenze sono invece replicabili facilmente a costi bassi di struttura, quello che
accade è che utilizziamo una nuova struttura (che prenderà il nome dal criterio di
specializzazione che utilizziamo al primo livello gerarchico sotto l’amministratore delegato).
Esempio General Electric  azienda conglomerata per eccellenza, riusciva a estrarre valore da
ogni settore in cui lavorava (dalla finanza, alla tv, agli aerei, fino agli elettrodomestici).
 Le divisioni si trasformano quindi in “quasi-imprese”  hanno una responsabilità globale di
business, che gestiscono interamente in ogni aspetto queste divisioni
 Il management hanno grandi stipendi ma anche grandi competenze e autonomie
 Al centro si generano numerose funzioni di staff (soprattutto per comunicazione,
pianificazione strategica e analisi)
 In GE quasi-imprese specializzate per prodotti/mercati ma possiamo trovare anche
specializzazioni per area geografica, per tecnologia
Problema: devo trovare esperti di valore in n aziende, assicurandomi però che siano equilibrate tra
di loro  questa moltiplicazione delle funzioni è il fatto critico di strutture divisionali
Sono strutture molto costose per due motivi:
 Primo ordine di costo  moltiplicazione delle strutture divisionali
 Secondo ordine di costo  struttura di management di primo livello molto articolata, dove
ci sono tanti top manager da pagare
Bisogna quindi fare con cautela, arrivare quindi a guadagnare così tanto da potersi permettere di
spendere ingenti somme nella gestione della struttura.
Rapporto direzione generale/aree di business
Il board funziona come una banca di investimenti: sulla base del ritorno dell’investimento
assicurato da ciascuna divisione, vengono fatte delle scelte:
 Dove investiamo? In quelle divisioni con rendimento migliore (es. ROI > 15%)
o In GE, per esempio, quando diventò chiaro che produrre frigoriferi non portava un
rendimento tanto alto quanto ci si aspettasse, l’azienda si liberò di tale business.
o Io posso comprare e vendere interi business come se nulla fosse, rendendolo
omogeneo a ciò che facciamo o eliminandolo.
o Otteniamo un vantaggio rispetto alla struttura funzionale se, operando in un
determinato settore tramite una divisione, riusciamo a portare un risultato migliore
rispetto all’azienda specializzata che opera solo in esso  in caso contrario diventa
inutile.

Ricapitolando:

Vantaggi della struttura divisionale:


 Consente un efficace coordinamento inter-funzionale con riferimento al
prodotto/mercato/area geografica;
 Riconoscere ampi margini di autonomia e responsabili di divisione (come abbiamo detto
sono veri e propri direttori generali di quasi-imprese);
 Si caratterizza per un buon livello di flessibilità e velocità nel rispondere alle sfide del
contesto;
 Permette di valutare le performance delle diverse unità di business;
 Favorisce lo sviluppo di abilità e capacità manageriale in capo ai direttori di divisione.

Criticità:
 Costi elevati derivanti dalla duplicazione di unità organizzative e organi di integrazione;
 Elevato livello di conflittualità inter-divisionale (prelevare degli obiettivi di divisione rispetto
a quelli del gruppo)  se la divisione rivale ottiene i finanziamenti e io no, ovviamente si va
a creare un conflitto con quella stessa divisione;
 Complessità della struttura (es. necessari sistemi per la gestione estremamente sofisticati);
 Unità di staff spesso di notevoli dimensioni e sovrapposizione di responsabilità tra staff di
gruppo e di divisione;
 Perdite di sinergie funzionali ed economie di scala;
 Possibile perdita di focus su ricerca e innovazione di nuovi prodotti/mercati (al di là di quelli
che appartengono alle aree di competenza delle singole divisioni).

Esempio di struttura divisionale:


 Struttura divisionale con
funzione/i accentrata/e
(STRUTTURA IBRIDA)
necessario decentralizzare
ottimamente le funzioni che
sono specifiche per ciascun
prodotto/mercato e centralizzare invece tutte le funzioni comuni alle divisioni che
generano economie di scala.

Strutture a matrice
Si applica in presenza di strategie multi prodotto/progetto/cliente che possono trarre giovamento
da una forte integrazione dei processi (circolazione di know how all’interno delle funzioni)
o Rompe con dei principi di definizione del disegno organizzativo che valevano fino ai
modelli precedenti;
o Punta a controllare tutto contemporaneamente  presidiare almeno due
dimensioni strategicamente rilevanti;
o Es. organizzazione gruppi di consulting
 Un ramo sono le practice  raggruppo i consulenti sotto la guida di un
partner in base alle competenze (strategy/org&change/ICT/Operations:
tema della consulenza)
 L’altro ramo è articolato invece per industries  partner di
Finance/Energy/... (ambiti dell’azienda cliente)
o Non più una persona un capo  ora una persona almeno due capi (two-boss
manager);
o A differenza della struttura per progetti ella matrice la dipendenza è duplice e
continua nel tempo (struttura per progetti dipende da durata del progetto);
o Stile di direzione basato sulla creazione del consenso, sulla condivisione di obiettivi
e valori, sull’uso ottimale delle risorse a livello globale.

Vantaggi:
 Permettono di elaborare una quantità infinitamente grande di informazioni
 Velocità con cui possiamo rispondere ai cambiamenti
 Possibilità di mettere in campo competenze diverse contemporaneamente
 Sviluppo di professionalità dovuta all’autonomia
 Capacità di integrare cose diverse e farle lavorare insieme
 Cross-Fertilisation all’interno delle funzioni su più progetti: trasferimento e scambio di
know how.

Limiti:
Gestione del potere:
 Equilibrio dinamico tra le due dimensioni della matrice  se uno prende il sopravvento
sull’altro diventa un problema, bisogna bilanciare al meglio
Conflitti:
 Maggiore incidenza con potenziale rallentamento dei processi decisionali e perdita del
vantaggio dell’adattamento
Problemi personali:
 Conflitti tra responsabili delle dimensioni della matrice
 Tensioni di ruolo per i two-boss manager
Costi:
 Elevati costi dovuti alla moltiplicazione dei ruoli direttivi e a sofisticati sistemi operativi
nobché azioni di coordinamento
PERSONALE

Insieme al denaro, è la risorsa fondamentale in un’azienda  non a caso molte aziende hanno
strutture dedicate alla gestione del personale anche su più livelli.

Rilevanza:
 Esiste una evidenza della relazione tra le logiche e le modalità di gestione delle Risorse
Umane e il livello e la qualità delle performance aziendali (knowledge e conceptual
economy)
 L’impatto Delle modalità di cessione delle risorse umane sulla performance è tanto più
elevato quanto maggiore è il grado di vertical (support al modello di business) e orizzontal
fit (coerenza interna).
 2 sono gli approcci alla gestione delle RU:
o universalistico (High Performance Work System alla Pfeffer)  c’è un modo ideale
per gestire le persone
o situazionale e configurazionale  non esiste un modo certo, bisogna adattarsi alla
struttura di un’azienda
Oggi il vantaggio competitivo di molte imprese passa attraverso la qualità o la quantità delle
persone che lavorano per una determinata azienda (da Apple, a BCG, a Stellantis).
A-M-O  modello che ci dice
come i risultati economico-
finanziari dipendano dalla capacità
di gestire bene le persone
Impatta su:
 Abilità (selezione, corsi di
formazione, ...);
 Motivazione (non basta
avere persone competenti,
risolvere il problema
sociale per riuscire a fare in
modo che le persone si
impegnino al 100% 
sistemi di incentivazione);
 Opportunità (trovare
nuove sfide, novità per le
persone).
In questo modo aumenta il valore
del capitale umano nella mia azienda, si dovrebbe ridurre il turnover e aumentare l’impegno del
personale.

Lo sviluppo di questi tre aspetti è l’obiettivo di una funzione dedicata alla gestione del personale,
presente in quasi tutte le aziende con un minimo di volume dimensionale.

Per analizzare questi aspetti partiamo analizzando il ciclo di


vita di un dipendente all’interno di un’azienda

 Selezione: colloquio primo momento di contatto,


aziende hanno tanti canali tramite cui trovare dei
candidati. Dopo averli trovati è necessario
selezionarli;
 Formazione: necessario sviluppare le loro
conoscenze;
 Sviluppo crescita: serve dare un’opportunità di
crescita attraverso la carriera;
 Valutazione posizione competenze: valutare dove
ti devo mettere in base alle tue competenze e
quanto vale la tua prestazione in un determinato
lasso di tempo, quale è il tuo potenziale.
 Retribuzione e Incentivi: Dare incentivi per
premiare o licenziamento per punire.

Processi di gestione delle risorse umane


 Processi di supporto (date spesso in outsourcing)
o Amministrazione  gestione stipendi, buste paga, gestione tassazione, ...
o Relazioni sindacali  negoziazione non tanto con sindacati per la crisi in cui si
trovano, quanto più con gli individui
o Pianificazione delle risorse umane
o Acquisizione e gestione della “tecnologia” di GRU
o IT e IS per le risorse umane
 Processi di acquisizione sviluppo e mobilità del capitale umane
o Reclutamento/Selezione/Inserimento (processo di staffing)
 Decisioni da prendere: a che canali ci affidiamo? (possiamo utilizzare
intermediari specializzati, piattaforme social, employer brand)
 Acquisizione: interna (carriera e passaggi di livello) o esterna?
 Coerenza:
 Tra la persona e l’organizzazione (a livello di identità, valori)  posso
usare attività di selezione per distinguere chi ha valori simili ai miei
da chi non ce li ha.
 Tra la persona e la posizione
o Addestramento/formazione
o Sviluppo/carriera/mobilità
o Uscita
 Processi di gestione della performance (valutazione e retribuzione)
o Valutazione
o Remunerazione
Necessaria coerenza sia interna che esterna per processi di GRU (gestione risorse umane), danno
una grande mano ma ovviamente generano anche molti costi.

LEZIONE 24 – PERSONALE

Il processo di staffing: reclutamento, selezione e inserimento


Un’azienda puo avere strategie di GRU molto
differenti: la selezione puo essere anche interna
all’azienda. In alcune aziende quando si libera una
posizione si cerca il personale prima
internamente, per non perdere talenti.
Make or buy? Bisogna saper bilanciare tra
vantaggi e svantaggi.
COSTI D’USO DEL MERCATO ESTERNO:
 raccolta e diffusione di informazioni
nel mercato del lavoro
 costi specifici di reclutamento
 costi specifici di selezione
 costi di attivazione dei flussi in entrata e uscita
 costi di conflittualità
VANTAGGI D’USO DEL MERCATO ESTERNO:
 il mercato sopporta i costi di creazione e i rischi di obsolescenza delle competenze
 si attiva la competizione tra lavoratori
 si aumenta la flessibilità e l’adeguatezza rispetto alle dinamiche tecnologiche e
organizzative
Il reclutamento interno può avvenire attraverso: contatti interpersonali, avvisi o informative,
tecniche di job positioning, piani di successione
la finalità della selezione è garantire il massimo
FIT tra Job, Organizzazione e Persona. Si parte
dalla job description ( contenuto attività, obiettivi,
posizione nella struttura), e profilo del cadidato
(CV/esperienza, education, skills), con sguardo al
presente ma anche al futuro: si valuta il
potenziale.

STRUMENTI DI SELEZIONE:
screening su curriculum, prove professionali,
colloqui/interviste, test, assessment centers.

Valutazione della posizione


si vogliono valutare: posizione,
competenze, prestazione, potenziale.
Valutazione del “cosa” del lavoro, si
procede con una valutazione oggettiva
della posizione (indipendente dal
soggetto che la ricopre) e una valutazione
comparativa per determinare il livello di
importanza o peso relativo di ciascuna
posizione.

Valutazione delle competenze e del


potenziale
Valutazione del “chi” del lavoro, l’obiettivo è misurare le competenze e le potenzialità della
persona a supporto del processo di selezione, sviluppo e carriera. Si distinguono le competenze
soglia (prestazioni base) e le competenze distintive (prestazioni eccellenti). Il potenziale rileva le
competenze che non sono ancora state utilizzate nel ruolo e le attitudini che potrebbero essere
rilevanti in una posizione caratterizzata da maggiore complessità.

Valutazione della prestazione


Valutazione del “come” del lavoro
includendo:
 valutazione dei risultati (in
relazione agli obiettivi)
 valutazione delle prestazioni in
senso stretto
Auto-valutazione, valutazione del capo,
peer feedback e valutazione a 360°.

Processi di sviluppo
Insieme di attività, piani e programmi
predisposti dalla direzione Risorse Umane
insieme al management di linea e
finalizzati a supportare lo sviluppo professionale delle persone e a valorizzarle adeguatamente
nell'arco della loro vita professionale in azienda.
Obiettivo:
- soddisfare la necessità/il desiderio delle persone di realizzare le proprie potenzialità
(employability, motivazione)
- garantire all'azienda la disponibilità del Capitale Umano e sociale indispensabile a sostenere
l'evoluzione e l'efficacia del modello di business e organizzativo
Alcuni esempi: percorsi di carriera, progetti e incarichi, rotazioni, piani di sviluppo, tavole di
rimpiazzo e succession planning, percorsi di formazione, mentoring, coaching, counseling.
In riferimento agli sviluppi di carriera, individuiamo diverse tipologie: lineare, professionale/da
esperto, a spirale, casuale. I criteri possono essere anzianità e merito.
Per individui con talento e alto potenziale ci possono essere dei programmi dedicati

Processo di remunerazione
Creazione del sistema retributivo avendo come
obiettivo:
 grado desiderato di competitività
esterna delle retribuzioni
 grado desiderato di equità retributiva
interna
 coerenza interna tra contributi
individuali e di team e incentivi
(meritocrazia)
a garanzia del raggiungimento di competitività,
equità e meritocrazia, troviamo:
 livello retributivo = come si posiziona l'azienda sui mercati retributivi di riferimento
 struttura retributiva = grado di
dispersione delle retribuzioni sia
rispetto alla dimensione orizzontale
(a parità di mansione) sia rispetto
alla dimensione verticale (in
relazione al livello di responsabilità)
 dinamica retributiva = tasso di
cambiamento delle retribuzioni nel
tempo

tipologie di retribuzione
 retribuzione fissa (collegata con la
valutazione della posizione).
Esistono dei sistemi di pesatura (metodo HAY), che assegnano un punteggio ad ogni
posizione. I criteri sono la responsabilità, il valore dei risultati, le conseguenze di un errore,
il tempo e le competenze necessari ad arrivare a quella posizione, l’orientamento
temporale delle deicisioni.

 retribuzione variabile con incentivi di breve e lungo periodo. Rende dinamica e


differenziata la retribuzione in contesti organizzativi sottoposti a notevoli trasformazioni,
crea meccanismi di allocazione del rischio tra impresa e lavoratore, aumenta la
partecipazione e motivazione dei lavoratori.
 benefit (non monetari): fringe benefits (cellulare, auto, etc..)
 piani pensionistici e severance package

Principio di Peter
Come si fa carriera in un’organizzazione? Teoricamente ad ogni buona performance corrisponde
una promozione. Secondo questo ragionamento ogni lavoratore dovrebbe essere promosso fino a
raggiungere la posizione di massima incompetenza.
Si puo superare questo paradosso non basandosi solo sui risultati passati e valutando anche il
potenziale di un individuo. Inoltre le promozioni non sono sempre verticali, ma anche orizzontali.
Esempio della dual ladder che comprende: scala gerarchica/manageriale (verticale); scala
professionale (orizzonatale: junior scientist->scientist->senior scientist->master).

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