‘Le risorse umane sono il fattore chiave per la costruzione del vantaggio competitivo’
Tale assunzione risulta vera in questo periodo storico in cui la sopravvivenza e il successo delle aziende sono legati:
- All’efficienza dei processi
- Alla capacità di innovare il prodotto e il servizio
- Alla qualità delle risorse umane (livello di competenze e di motivazione).
I modelli improntati alla flessibilità e alla velocità di reazione ai costanti cambiamenti che caratterizzano l’ambiente in
cui opera un’impresa e l’impresa stessa, garantiscono l’eccellenza del risultato perchè permettono l’empowerment
dei singoli individui e dei team e garantiscono l’engagement (ingaggio) delle persone, massimizzando il livello di fit
(coerenza) persona–organizzazione. Coerenza: sintonia tra le caratteristiche individuali dell’organizzazione.
Livelli di coerenza persona-organizzazione più elevati si traducono in livelli di engagement superiori che,
determinando una percezione positiva dell’esperienza di lavoro, impatta: sul commitment (impegno), sulla
soddisfazione e sul valore aggiunto creato (per se stessi e per l’organizzazione).
Bisogna quindi prendere come riferimento un modello in grado di comprendere le determinanti e le dinamiche del
comportamento individuale, con riferimento alla qualità e al livello della prestazione e la soddisfazione individuale.
Il concetto di prestazione ha subito una rilevante evoluzione. Innanzitutto, i cambiamenti del contesto competitivo
hanno spostato l’attenzione dal job (mansione, attività e compiti) al ruolo (aspettative di comportamento e risultato).
Inizialmente si intendeva P = persona x situazione (caratteristiche dell’individuo e situazione contingente), per poi
attualmente arrivare a P = motivazione x competenza x percezione di ruolo x caratteristiche psicologiche x processi
psicologici x fattori situazionali) (oltre alla motivazione e alle competenze è stato necessario considerare determinate
caratteristiche dell’individuo ed esterne)
Prestazione: insieme dei risultati e dei comportamenti attesi in ragione del ruolo ricoperto nell’ organizzazione
È possibile distinguere:
- Competenze di soglia: caratteristica minima essenziale per ricoprire un ruolo
- Competenze distintive: caratteristica che differenzia la prestazione e la porta a un livello superiore.
Percezione del ruolo: comprensione da parte dell’individuo che ricopre un determinato ruolo delle aspettative di
risultato e di comportamento a esso connesse. Determinanti delle aspettative:
- Modello di business (scopi, obiettivi e strategia dell’organizzazione)
- Modello organizzativo (stili di leadership e manageriali, gerarchia ...)
- Sistema di relazioni orizzontali e verticali
La mancanza di chiarezza sulle aspettative è causa di riduzione della produttività con decrementi significativi della
soddisfazione individuale e incrementi dello stress percepito
Fattori situazionali: insieme delle condizioni di contesto su cui l'individuo non ha controllo, ma che possono agevolare
o compromettere l'efficacia del suo comportamento l'impatto che hanno motivazione, competenza e percezione sui
comportamenti individuali e sui risultati raggiunti può essere mediato da fattori situazionali di diversa natura. I fattori
situazionali possono avere differente natura:
- Fattori esterni (congiuntura economica, fattori sociali e politici ecc.)
- Fattori e dinamiche organizzative (disponibilità di budget, disponibilità di persone e competenze adeguate ecc.)
Numerosi sono i fattori che concorrono a definire una prestazione e a determinarne il livello e la qualità, tra questi:
- Task Performance: insieme dei comportamenti e dei risultati riconducibili agli obiettivi specifici della posizione
ricoperta da un individuo e funzionale al raggiungimento degli scopi dell’organizzazione. I comportamenti che
definiscono la task performance sono comportamenti relativi all'attività di trasformazione delle risorse in prodotti
e comportamenti relativi allo svolgimento delle attività di supporto e manutenzione. I comportamenti e i risultati
che possono essere ricondotti alla task performance si basano sulla raccolta di informazioni, sull’elaborazioni di
dati, sulla gestione di risorse tecnologiche, materiali e umane.
- Cittadinanza organizzativa: comportamenti attesi ma non richiesti esplicitamente e formalizzati nella job
description (Organ li definisce come comportamenti individuali discrezionali, che non vengono riconosciuti
attraverso meccanismi di ricompensa, ma che determinano l'efficacia dell'organizzazione. Risultano
comportamenti discrezionali in quanto non sono richiesti dal ruolo o dalla mansione svolta e l’omissione di tali
comportamenti non è punibile anche se riducono l'entità del valore aggiunto prodotto).
Possono assumere diverse forme:
1. Relativi alla relazione tra le persone all’interno dell’organizzazione e concorrono alla costruzione di fiducia:
collaborare e aiutare i colleghi, condivisione di risorse ecc.;
2. Relativi alla relazione con l’organizzazione: contribuire alla costruzione e mantenimento di un’immagine
positiva dell’azienda ecc.
I comportamenti a cui di solito ci si riferisce quando si parla di comportamenti di cittadinanza organizzativa, sono:
- Supporto attivo o helping behavior (altruismo, cortesia ecc.);
- Sportività (adattamento, tolleranza);
- Lealtà (fidelizzazione e rappresentazione positiva dell'azienda nelle relazioni interne/esterne);
- Compliance (conformità alle norme e alle regole implicite e formalizzate);
- Dedizione (rispetto e adattamento alle richieste e agli stili dell'organizzazione).
La presenza o assenza dei comportamenti di cittadinanza organizzativa influenza la qualità dell’esperienza di
lavoro e il rispettivo clima organizzativo.
- Comportamenti disfunzionali: insieme dei comportamenti volontari potenzialmente dannosi per l'organizzazione;
- Assenteismo: assenza dal posto di lavoro dovuta a malattia o emergenze familiari. Risulta più elevato laddove la
tolleranza è maggiore, ed è influenzato da livelli elevati di insoddisfazione per il lavoro e da stress negativo.
- Presenzialismo: tendenza a essere presenti sul luogo di lavoro anche quando le condizioni fisiche e psicologiche
sono tali da ridurre significativamente la produttività. La presenza di individui che sono in condizioni tali da avere
ridotti livelli di produttività riduce la produttività e la soddisfazione di coloro con cui collaborano. Si tratta di un
vero e proprio contagio che, oltre a essere un fenomeno fisico, è anche un fenomeno psicologico.
Personalità
La personalità è rappresentata da un insieme di tratti, caratteristiche psicologiche individuali, che determinano le
modalità con cui un individuo agisce, interagisce e reagisce alle persone e alle situazioni con cui si confronta.
La ricerca mostra come la personalità sia frutto dell'interazione di 2 fattori: genetica e ambiente. Studi recenti
attribuiscono alla componente genetica della personalità un peso mediamente rilevante. L'ambiente ha comunque
un ruolo non trascurabile e concorre a determinare la struttura della personalità attraverso le esperienze di vita che
portano all'acquisizione e consolidamento di precisi stili di pensiero (mindset), reattività emotiva e comportamento.
Lo sviluppo del cambiamento a livello di struttura di personalità avvengono in un arco di tempo determinato,
tendenzialmente entro i primi 30 anni di vita, anche se alcune caratteristiche possono continuare a modificarsi fino ai
50, soprattutto a fronte di esperienze particolarmente critiche.
Come detto la personalità è intesa come un insieme di tratti (insieme di caratteristiche che la persona specifica
manifesta in un grande numero di situazioni e che proprio per questo la definiscono). Tale considerazione permette
di intendere il comportamento come una reazione agli stimoli dell'ambiente, frutto dell’interazione con il contesto a
partire da una struttura relativamente stabile di caratteristiche psicologiche. Non si deve pensare però ad una
concezione deterministica, bensì ad una probabilistica del comportamento.
La ricerca degli ultimi 60- 70 anni ha portato a focalizzare l'attenzione su modelli basati su 3, 8, 10 e 16 fattori, per
arrivare poi al modello dei 5 fattori di personalità che identifica 5 tratti con relative sottodimensioni, in grado di
descrivere in modo sintetico ma completo la struttura di personalità degli individui. Il modello viene spesso definito
come modello CANOE o OCEAN, acronimo composto a partire dalle denominazioni in inglese dei 5 fattori:
In ambito organizzativo il modello dei BIG FIVE viene affiancato dal Mayers-Briggs Type indicator, uno strumento
disegnato per consentire di rilevare e di misurare le caratteristiche di personalità che si riferiscono al modello
junghiano dei tipi psicologici. Il modello si basa su 4 dicotomie. Non si discosta molto dal modello dei big five, ma
utilizza una scala differente per misurare i tratti: prevede infatti la scelta di una scala per referenza tra due estremi.
Tali preferenze non sono da considerarsi abilità o capacità e non esiste una preferenza migliore di un'altra.
Il modello junghiano di personalità e il Myers-briggs Type indicator sono stati oggetto di numerose critiche, anche se
restano di fatto i più utilizzati per lo sviluppo e il career counseling. Il principale limite del Myers-Briggs è
rappresentato dalla non predittività, e proprio per questo non viene mai utilizzato per la selezione e decisioni relative
alla progressione di carriera di un individuo. I tratti del modello dei big five consentono di interpretare e
comprendere la maggior parte dei comportamenti individuali e dei risultati di prestazione in ambito organizzativo. Vi
sono, però, altri due sistemi di tratti che consentono di comprendere e prevedere comportamenti individuali che
influenzano la qualità e il livello della prestazione, soprattutto in determinati ruoli.
Core Self-Evaluation
La Core Self-Evaluation è un tratto di personalità che rappresenta il modo in cui un individuo valuta se stesso per
quanto concerne la competenza e possibilità di esercitare un controllo sugli eventi della propria vita.
La core self evaluation si struttura su quattro dimensioni:
- Autostima: disposizione che un individuo ha nei confronti di se stesso. La coscienza di sé e la capacità di
riflettere su se stessi sono attributi specifici dell'essere umano che si dà o meno un senso e un valore.
- Nevroticismo: la tendenza a sperimentare in prevalenza emozioni positive o negative la disposizione a reagire in
modo spontaneo o controllato a situazioni di stress.
- Il Locus Of Control: modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti dai suoi
comportamenti o azioni oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà
- Autoefficacia Generalizzata: percezione del grado di controllo che un individuo ritiene di poter esercitare su sé
stesso e sull'ambiente.
Individui con una Core Self-Evaluation positiva si definiscono positivi, sicuri di sé, a proprio agio. La ricerca evidenzia
una correlazione tra Core Self Evaluation positiva e soddisfazione sul lavoro. È correlata inoltre a progressione di
carriera più rapide in quanto l'individuo si dà e accetta obiettivi più sfidanti, è più persistente è più engaged.
Machiavellismo
Con il termine personalità machiavellica si intende l'insieme di caratteristiche che sostengono comportamenti
orientati a un pragmatismo che, unito al distacco emotivo e alla convinzione che il fine giustifica i mezzi, alimenta
modalità di agire e di perseguire i propri obiettivi mediamente aggressive e mirate.
Il machiavellico ha uno stile manipolativo con cui persuade gli altri ad agire nel suo personale interesse.
L'efficacia dei comportamenti da personalità machiavellica e sostenuta da alcuni fattori situazionali:
1. Situazioni di relazione vis a vis;
2. Contesti politici ove le norme e le regole oh non sono esplicite o comunque soggette a interpretazioni personali
3. Relazioni caratterizzate da un elevato coinvolgimento emotivo che distrae ed è fuorviante per la parte che ha o
percepisce di avere meno potere
I valori
I valori sono convinzioni stabili che definiscono le priorità di un individuo che decide come agire e con quale livello di
convinzione e intensità farlo. Definiscono ciò che è importante, ciò per cui vale la pena darsi da fare e assumersi dei
rischi o dei risultati da perseguire con convinzione. L'individuo sviluppa i valori integrando credenze, reazioni emotive
e valutazioni e le organizza secondo un ordine gerarchico di preferenza che descrive il sistema di valori della persona.
Come la personalità, anche i valori influenzano i comportamenti e in ultima analisi la prestazione individuale e si
caratterizzano per una relativa stabilità. Vi sono però delle differenze tra i due concetti:
- I valori hanno una componente valutativa: definiscono ciò che è giusto, buono e bello in relazione allo stato e ai
comportamenti a cui si ispira la persona. I tratti di personalità prescindono dalla dimensione valutativa e
rappresentano degli stili cognitivi, degli stati emotivi e dei comportamenti che l'individuo che ne è portatore
tende ad adottare più frequentemente di altri nelle diverse situazioni;
- I tratti di personalità non sono l'uno in conflitto con l'altro mentre i valori possono esserlo;
- I tratti sono in parte geneticamente determinati e in parte derivano da un processo di apprendimento. I valori
sono interamente il risultato di processi di socializzazione e apprendimento che hanno luogo soprattutto nei
primi anni di vita e attraverso la relazione con figure genitoriali/care-giver/modelli di ruolo.
I valori sono una bussola a cui si fa riferimento in situazioni percepite come complesse e determinano anche per la
propria natura valutativa, se e in che misura un individuo si trova a suo agio nell’organizzazione nel ruolo specifico
che ricopre: si parla di grado di coerenza di valori e di fit valoriale persona-organizzazione. Quanto più il sistema di
valori dell’individuo è sovrapponibile a quello dell’organizzazione in cui opera tanto più elevato sarà il commitment,
la soddisfazione, l'identificazione e l’engagement sperimentato dagli individuo. Lavorare in un contesto di cui non si
condividono i valori e gli orientamenti è infatti fonte di stress e causa l’inefficacia delle prestazioni. C'è infatti una
relazione tra la person-organization value congruence, la qualità percepita delle esperienze di lavoro e il livello di
produttività. Più in generale, il person-organization fit per quanto concerne la dimensione dei valori ha un impatto
determinante sulla qualità e il livello della prestazione. Il modello attraction-selection-attrition consente di osservare
le conseguenze di livelli più o meno rilevanti del person-organization fit.
La congruenza dei valori ha numerosi vantaggi, ma è anche importante coltivare la diversità, la disponibilità delle
persone nei confronti della diversità e la capacità delle persone di interagire in modo costruttivo valorizzando le
differenze.
Essi sono rappresentati all'interno di un modello circolare da leggere in senso orario a partire dal valore posizionato
in alto punto i valori vicini sono valori per i quali la rilevanza dell'uno sancisce la rilevanza dell’altro, mentre valori
opposti o distanti sono valori incompatibili o tali per cui la rilevanza dell' uno rende l'altro meno rilevante.
Il modello Schwartz Value Complex comprende 57 valori raggruppati in 10 cluster, ognuno dei quali ha al suo interno
un sottosistema rappresentato da un numero variabile dei 57 valori identificati. I 10 clusters sono disposti su quattro
quadranti: trascendenza del sé, conservazione, valorizzazione del sé e apertura al cambiamento.
Capitolo 2 – Percezione
Percezione: processo psicologico di creazione di un’immagine interna del mondo esterno: non è frutto di una
risposta automatica del nostro organismo ma è un processo di interpretazione ed elaborazione delle informazioni
forniteci dai sensi in modo da dare un significato all'ambiente circostante.
Il processo percettivo inizia quando l'individuo, attraverso i propri sensi, coglie uno dei tanti stimoli esterni e lo
traduce in informazioni che dovranno essere lette e codificate all'interno della sua mente. Vi è una selezione in
maniera conscia e/o inconscia degli stimoli che si ritengono maggiormente rilevanti in un determinato momento.
Ricevuto lo stimolo, si attua il processo di stereotipizzazione (classificazione): chi percepisce utilizza uno schema
mentale per dare senso a ciò che è percepito, organizzando le informazioni in mappe cognitive che lo aiutano a
crearsi una propria rappresentazione della realtà (punto di vista).
La percezione è soggettiva perché:
- Ognuno seleziona informazioni e input diversi dall’esterno
- Gli stessi input possono essere organizzati e interpretati in modi differenti
Gli psicologi della Gestalt si sono soffermati in particolare sulle leggi dell’organizzazione della mente, cioè sul modo in
cui il nostro cervello interpreta ed organizza le informazioni e i dati che seleziona. L'idea di fondo è quella che è per
comprendere i fenomeni complessi si utilizza il concetto di struttura più che quello di singolo elemento: il tutto
diviene qualcosa di diverso dalla mera somma delle sue parti. Percepire ≠ sommare le sensazioni. Significa comunque
organizzarle e conferire loro una forma/struttura.
Per comprendere il mondo circostante si tendono a ordinare i dati secondo delle regole di organizzazione:
- La regola figura/sfondo: la figura nella sua globalità è percepita come un insieme ed è distinta dallo sfondo
su cui è impressa (es. coppa e amanti)
- La regola della buona forma: la struttura percepita è la più semplice. Una forma sarà percepita come buona
quando genera una sensazione di armonia ed equilibrio in chi la osserva (casa)
- La regola della prossimità: raggruppiamo gli elementi in funzione delle distanze, ovvero si considerano
componenti di un'unica unità percettiva elementi vicini piuttosto che lontani
- La regola della somiglianza: stimoli simili vengono percepiti in modo raggruppato; è sufficiente una minima
spazzatura, un cambio di colore o un cambio di forma per vedere linee verticali/orizzontali
- La regola della chiusura: gli individui tendono a completare le figure e i suoni fornendo un contorno semplice
e completo. Se un'immagine ha un contorno non definito, il nostro cervello ha la tendenza a completarlo.
- La regola dell'impostazione soggettiva/ esperienza passata: ceteris paribus, si preferisce un’organizzazione
delle informazioni coerente con le conoscenze che si hanno.
Figure gestaltiche o bistabili Immagini, ognuna delle quali ne contiene in realtà due, che dimostrano come la
percezione sia un processo fisiologico, attivo, dinamico e soggettivo in cui entrano in gioco continui processi di
organizzazione interpretazione di ciò che la mente di ciascuno seleziona. Può capitare, osservando dalle immagini, di
coglierne subito una e poi l'altra, oppure di avere maggiori difficoltà nel vedere prima una figura e poi l’altra. Questo
perché, come accade nella vita reale, quando si costruisce il proprio personale punto di vista diventa più difficile
cogliere altre informazioni, vedere più punti di vista: si verifica il cosiddetto effetto framing (frame: inquadratura
ottica, cornice).
Ogni qualvolta si attiva un giudizio su qualcuno, la mente può essere soggetta a distorsioni, veri e propri errori
percettivi che nascono dal fatto che per esprimere quel giudizio vengono utilizzate pochissime informazioni che si
pensa essere esaustive della persona che si giudica e che invece portano ad avere un'idea sbagliata su questa.
Principali errori di percezione:
1. La prima impressione: basare il giudizio sulla persona sulle poche informazioni raccolte durante le prime
osservazioni e interazioni con la persona stessa. La criticità di tale errore è legata al fatto che spesso la prima
impressione diventa anche l'ultima, per cui risultato finale e che si è costruita un’impressione sull’altro
basandosi su pochissimi elementi e che questo giudizio abbia le caratteristiche di essere stabile. Nel caso la
prima impressione fosse negativa, ricerche empiriche hanno dimostrato che sono necessarie 8 informazioni
positive per annullare tale pensiero.
2. L'effetto alone: situazione in cui l'uso di una o di poche caratteristiche di una persona influenza la valutazione
si estende agli altri attributi. Solidamente collegato all'immagine che ognuno di noi ha di se stesso: si tende a
dare una valutazione positiva a persone che hanno caratteristiche simili a quelle che si crede di avere. (es.
uomo barbuto)
3. La profezia che si auto-avvera: una supposizione che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, far
realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità. Il
meccanismo che ne è la base e il seguente:
- L'individuo decide e agisce sulla base di un'idea che ha forte e radicata in testa
- Quella che era solo un’idea diventa una profezia che si avvera .
Le aspettative che si hanno nei confronti di un individuo lo portano ad assumere comportamenti che siano
conformi a quelle aspettative. Aspettative positive effetto pigmalione.
4. La proiezione: processo psicologico attraverso cui le persone attribuiscono proprie caratteristiche, attributi o
tratti di personalità ad altri. Tali attributi possono essere aspetti positivi di noi stessi o qualcosa che non
amiamo.
5. Gli stereotipi: sistema di credenze e convinzioni relative alle caratteristiche o attributi di un gruppo o una
categoria sociale. La nascita di uno stereotipo avviene in diverse fasi:
- Si categorizza la persona in un gruppo in base ad una caratteristica (razza, genere ecc.);
- Si suppone che tutti gli individui che appartengono a un gruppo x, abbiano le stesse caratteristiche;
- In base alle credenze che costruiamo, interpretiamo di conseguenza il comportamento degli altri.
Questo modo di ragionare e interpretare le informazioni diventa stereotipo quando si radica nella nostra mente
diventando scorciatoia cui ricorriamo in modo automatico per descrivere una persona che appartiene a una
determinata categoria sociale.4
6. La teoria implicita della personalità: questa teoria si basa sulla convinzione comune che certi tratti di
personalità si presentino insieme e che ciò consenta di predire più facilmente il modo in cui una persona si
potrebbe comportare in una determinata situazione. Alla base c'è un vero e proprio processo di
apprendimento per associazione in base al quale, se due eventi si presentano in successione con una certa
frequenza, l'accadere di un solo evento basta per essere associato anche all'altro. C’è una tendenza a
considerare che i tratti positivi si accompagnano ad altri tratti positivi e che tratti negativi siano associati ad
altri negativi. Ciò significa che ogni individuo attribuisce caratteristiche ad un altro le quali sono frutto di
proprie associazioni.
Quest'ultima ha la caratteristica di essere condivisa all'interno di uno stesso contesto storico culturale ed è
influenzata dalle dimensioni culturali. Il vantaggio che essa ci offre è legato al fatto che ci permette di arricchire le
nostre impressioni con un minimo sforzo e ci consente di andare al di là delle informazioni possedute e di fare
inferenze su altre caratteristiche. Se esercitata però da chi ha ruoli di responsabilità può produrre effetti negativi
sulla soddisfazione delle persone sul clima organizzativo.
7. La teoria dell'attribuzione: si basa sul presupposto che ogni individuo cerca di comprendere le possibili cause
dei propri comportamenti di quelli che osserva, stabilendo continuamente relazioni causa effetto per dar loro
un significato. I comportamenti possono essere attribuiti a cause esterne o interne. Questo processo non è
sempre consapevole, ma si attiva quando:
- Al soggetto che percepisce è stata posta una domanda diretta sul comportamento di un altro;
- Accade un evento inaspettato;
- Il soggetto che percepisce prova sensazioni di fallimento o perdita di controllo.
Una volta attivato il processo, i comportamenti vengono attribuiti a cause interne o esterne in base al livello di:
- Consenso (paragone con altri): in che misura gli altri nella stessa situazione si comportano come X?
- Distintività (paragone con situazioni): in che misura X si comporta così anche in altre situazioni?
- Coerenza (tempo): in che misura X si comporta in questo modo anche in altri momenti?
Quando tutte e tre le dimensioni sono alte il soggetto che percepisce tenderà ad attribuire il comportamento della
persona, oggetto di osservazione, a fattori esterni. Quando solo la coerenza sarà alta, si tenderà ad attribuire il
comportamento dell'altro a fattori interni.
SONO POSSIBILI ANCHE DIFFERENTI COMBINAZIONI DI QUESTI TRE FATTORI
Altri due fattori che possono influenzare il processo di attribuzione sono:
- La privacy dell’atto: se le azioni che si stanno osservando sono agite in privato, in assenza di altri, si tende ad
attribuire le cause all'interno, mentre se si è in presenza di altri solitamente avviene un’attribuzione a cause
esterne.
- Lo status: si crede che un individuo di status sociale elevato sia più responsabile del proprio agire, con più
possibilità di controllo e scelta, per cui, le scelte effettuate avranno più cognizione di causa.
Nell’individuare le cause del comportamento individuale però spesso si commettono alcuni errori:
Bias attributo di base (quando si giudica il comportamento altrui): nell’individuare le cause del comportamento di un
individuo vi è la tendenza a sottovalutare l'influenza dei fattori situazionali e a sopravvalutare l'influenza dei fattori
personali, ovvero si ha una tendenza ad attribuire le cause dei comportamenti degli altri a fattori interni.
Bias auto-funzionale (quando si giudica il proprio comportamento): processo mediante il quale gli individui si
attribuiscono il merito del successo (conferiscono il proprio successo a fattori interni) mentre attribuiscono il proprio
insuccesso a fattori esterni.
Capitolo 3 – Identità
Il tema ‘’identità’ è complesso ed è oggetto di studio della sociologia/psicologia dando vita a 2 teorie:
- La teoria dell’identità
- La teoria dell’identità sociale
Entrambe, considerano l’identità di un individuo, un’entità con una natura sociale, influenzata dalla società e
dalla sua struttura. Quando si parla di identità dell’individuo nei luoghi di lavoro, la si può considerare lungo 2
direttrici:
Come l'individuo vede se stesso: l'individuo si definisce si identifica con determinati gruppi sociali
Come gli altri lo vedono: gli altri definiscono e categorizzano l’individuo in determinati gruppi sociali
Identità di ruolo: fa riferimento alle posizioni che l'individuo occupa nella società, focalizzandosi su ciò che
l'individuo fa, sulla funzione che svolge, e su un criterio di performità (efficacia).
Un individuo può occupare posizioni sociali che si distinguono in tre tipologie:
1. Posizioni sociali normative;
2. Posizioni sociali contro normative;
3. Posizioni sociali basate su interessi, attività e abitudini.
A ogni posizione nella società corrispondono determinate aspettative che guidano gli atteggiamenti e i
comportamenti degli individui e che, nell’insieme, ne definiscono il ruolo. Il ruolo fornisce agli individui una
struttura, un'organizzazione per i propri comportamenti e le proprie interazioni con gli altri, in differenti
contesti e situazioni. I ruoli sono appresi attraverso famiglia, scuola, media... ecc.
Le reazioni degli altri verso il modo in cui un individuo agisce un ruolo rappresentano un feedback che
influenza come l'individuo agirà il ruolo successivamente. In questo processo azione-reazione c’è un
riferimento anche alla dialettica ruolo-contro ruolo: un ruolo è definito in modo complementare e/o in
opposizione ad un altro ruolo (moglie/marito; studente/docente).
Chiunque può filtrare il proprio ruolo attraverso un’interpretazione personale (significato personale) L’identità
di ruolo, quindi, è composta da:
- Una dimensione sociale: aspettative di ruolo socialmente definite;
- Una dimensione personale: interpretazione personale dell’individuo
A seconda di quanto la dimensione sociale è condivisa, l'individuo può negoziare come agire il ruolo e dare
maggiore o minore spazio alla dimensione personale:
- Se la dimensione sociale è debole (non si identificano in modo forte le aspettative del determinato
ruolo) i margini di libertà degli individui sono ampi
- Se la dimensione sociale è forte (sono chiare e condivise le aspettative del determinato ruolo) i margini
di libertà degli individui sono ristretti
L’individuo può decidere quanto conformarsi e/o deviare dalle aspettative. Il bilanciamento tra questi due
aspetti può incidere sull’auto-efficienza. Se nel tempo prevale la devianza e se la devianza è sanzionata dalla
società, il senso di autoefficacia potrebbe diminuire e l'esito potrebbe essere l'abbandono del ruolo.
Ogni individuo, combinando la dimensione sociale con quella personale, definisce la propria identità standard,
cioè come vorrebbe agire la propria identità. Questa identità standard viene confermata tutte le volte che è
agita concretamente. (Es. se per uno studente occupare la posizione di studente significa prendere seriamente
tale ruolo, e quando va a lezione, invece di essere attento, si distrae facilmente, vuol dire che non sta
verificando la propria identità standard).
Può accadere che vi sia un disallineamento tra ciò che vorrebbe e ciò che fa un individuo. La conseguenza di
questo disallineamento sarà una diminuzione della propria soddisfazione nei confronti del ruolo (diminuzione
autoefficacia). Qualora questi fenomeni dovessero ripetersi nel tempo, l'esito potrebbe essere l'abbandono
della posizione. Ogni individuo ha tante identità di ruolo quante sono le posizioni che occupa nella società e
un individuo può attribuire una differente salienza alle diverse identità di ruolo che lo definiscono (es. padre
lavora nel week end o no).
In conclusione, il comportamento reale dell’individuo dipende dal contesto, dalla situazione, dalla salienza
attribuita l'identità e da come il singolo individuo interpreta la propria posizione ruolo.
Identità sociale: L’appartenenza a gruppi sociali definisce l'identità sociale dell’individuo, il quale, si
definisce come membro di un particolare gruppo e si identifica con lo stesso. Oppure potrebbero essere
gli altri che categorizzano l'individuo come membro di un determinato gruppo. Un gruppo sociale, per
definirsi tale, deve essere composto da almeno tre persone che:
a. Si identificano e si vedono nello stesso modo;
b. Condividono la stessa definizione di chi sono, degli attributi che li caratterizzano e di come si
relazionano rispetto agli altri gruppi
- Alla valorizzazione di sé, al senso di appartenenza e all' autostima (Io nel Noi);
- Alla riduzione dell’incertezza perché l'appartenenza fornisce un modello di comportamento , che in
particolare permette agli individui di un gruppo di distinguersi dagli altri che risultano fuori dal gruppo
stesso (Noi contro Loro).
Se per l'identità di ruolo è attiva una dialettica ruolo e contro-ruolo, anche per l'identità sociale può innescarsi
un meccanismo simile: si pensi alla contrapposizione tra protestanti e cattolici che in un determinato periodo
storico risultava essere molto rilevante. Un individuo può appartenere a più gruppi sociali e in funzione del
contesto, della situazione e delle preferenze personali (o anche solo di alcune di queste) può decidere se e a
quali identità sociali aderire. Questa scelta si basa su:
Quanto l'identità sociale sia accessibile (le categorie sociali sono solitamente le più accessibili)
Quanto l'identità sociale sia utile per dare senso a una situazione in termine di fit comparativo (le
categorie accessibili spiegano le differenze e le somiglianze tra gli individui in una determinata
situazione?)
Quanto l'identità sociale sia utile per dare senso a una situazione in termine di fit normativo (le
categorie accessibili spiegano il comportamento degli individui in una determinata situazione?)
L'attivazione di più identità, tuttavia, può comportare un incremento del grado di incertezza e ambiguità
poiché non è detto che le identità si muovano tutte nella stessa direzione. Esistono delle sovrapposizioni tra
identità di ruolo e identità sociale: entrambe, infatti, riguardano quanto un individuo è simile ad altri. ‘Essere
un lavoratore’ può essere considerato sotto 2 prospettive.
1. Identità di ruolo: se “essere un lavoratore” è calato all'interno di una specifica organizzazione e
quindi si generano nei suoi confronti delle specifiche aspettative su come deve agire e comportarsi;
2. Identità sociale: se “essere un lavoratore” è concepito come una collettività cosciente di essere tale e
di cui è rilevante l'appartenenza in sé per sé.
Identità personale: ha le sue radici nel concetto di sé e può essere definita come quell’insieme di attributi
che sono collegati all' individuo nella sua unicità e non sono condivisi con gli altri. Anche per l'identità
personale, l'individuo sviluppa un'identità standard che rappresenta l'insieme degli attributi che
l'individuo stesso attribuisce o vorrebbe attribuire alla propria identità personale. Questa è verificata nelle
situazioni concrete e, in particolare, permette una verificazione dell’autenticità dell’individuo: se
l'individuo nelle sue azioni è verificato secondo la sua identità standard allora migliora il suo senso di
autenticità, risulta essere un individuo autentico a prescindere dalle situazioni, dal tempo e dalle relazioni.
L’identità dell’individuo (overview): La sovrapposizione delle tre dimensioni definisce l'individuo reale, concreto e
con un nome e un cognome. Risulta essere, quindi, un modo di vedere l'individuo come distinto e simile rispetto
agli altri. In particolare:
- Le identità e la dimensione personale dell’identità di ruolo definiscono l’unicità e la distintività di ognuno;
- L’identità e la dimensione sociale dell’identità di ruolo definiscono la similarità del singolo rispetto ai gruppi;
Se c'è dissonanza tra l'identità secondo la società e l'identità secondo l‘individuo, allora l'individuo può decidere:
- Di ridurre tale dissonanza modificando il suo personale modo di agire e quindi conformandosi rispetto alle
norme sociali (comportamento conformista)
- Di deviare dalla norma e di convivere con la dissonanza (comportamento deviante)
Percezione sociale: Gli individui come si identificano e come identificano gli altri?
Gli individui definiscono un individuo tramite la definizione della sua identità, ricercando distintività e similarità che
lo caratterizzano. Questo, viene chiamato ‘processo di categorizzazione’, che, a sua volta, è il risultato di un processo
di percezione sociale. Il meccanismo di percezione sociale permette di definirci e definire altri individui.
La percezione è un processo cognitivo di creazione di una rappresentazione interna del mondo esterno che inizia
quando l'individuo, attraverso i propri sensi, riceve uno stimolo esterno e lo traduce in informazioni, che dovranno
essere lette e codificate. Quando lo stimolo coincide con una persona o un attributo di una persona si parla di
percezione sociale. La percezione è influenzata da: Il contesto/situazione in cui avviene, gli aspetti cognitivi di chi
percepisce, gli aspetti emotivi di chi percepisce.
Una volta notato e ricevuto lo stimolo rilevante attraverso i sensi, il processo di percezione, si trasforma nel processo
di classificazione o categorizzazione: colui che percepisce, utilizza uno schema mentale per dare senso a ciò che ha
percepito e, quindi, in particolare per la percezione sociale e della categorizzazione sociale, l'individuo confronta lo
stimolo esterno e le informazioni a esse connesse con un prototipo (una rappresentazione di un membro Ideal-tipico
di un gruppo o categoria sociale). Il prototipo è l'equivalente di ciò che è l'identità standard per l'identità di ruolo e
quella personale ed è caratterizzato da un insieme di attributi che catturano, da una parte, la similarità di chi è nel
gruppo e, dall'altra, la diversità di chi è fuori dal gruppo. L'esito del confronto stimolo-prototipo dal luogo
all'inclusione della persona oggetto dello stimolo all'interno di una o più categorie.
Atto di categorizzare: fa sì che un soggetto veda un altro in maniera differente, perché lo considera alla luce di un
prototipo e con questo lo confronta e misura, attribuendogli attributi prototipici. Si verifica una depersonalizzazione.
De-personalizzazione: attribuzione di caratteristiche del gruppo e/o categoria di cui fa parte, da non confondere con
la de-umanizzazione.
De-umanizzazione: considerazione di un individuo come non umano.
Se le caratteristiche attribuite al soggetto sono positive, ci sarà una percezione positiva, al contrario, caratteristiche
negative = percezione negativa, che, portate alle estreme conseguenze, può condurre alla de-umanizzazione.
Gli stereotipi, generando delle aspettative circa il comportamento degli altri individui, influenzano come un individuo
giudica e valuta le altre persone. Talvolta, tale influenza porta a degli errori di giudizio e valutazione. Solitamente,
con la teoria dell'attribuzione (studia come un individuo raccoglie, organizza e utilizza le informazioni per una
spiegazione causale di eventi o fenomeni) gli individui attribuiscono i comportamenti delle persone a due macro-
categorie di cause: le caratteristiche delle persone e dell’ambiente. In linea di massima, la tendenza è ad attribuire:
a. Il comportamento degli altri alle caratteristiche della persona: bias attributivo di base;
b. I propri successi a sé stessi e i propri fallimenti all'ambiente: bias auto funzionale.
Ci si chiede quindi come mai gli stereotipi vengono utilizzati anche se portano ad errori di giudizio di valutazione. La
risposta risiede nel fatto che il processo di categorizzazione sociale risulta essere un processo complicato, poiché
avviene in condizioni di:
- Volatilità: il comportamento delle persone cambia con il mutarsi del contesto e delle situazioni in cui agiscono;
- Incertezza: spesso le informazioni sono limitale;
- Complessità: un individuo può rientrare in più categorie. Di conseguenza, non vi è una categoria dominante;
- Ambiguità: il confronto individuo-prototipo non è chiaro
I gruppi/categorie sociali: Le categorie che stanno alla base del processo di categorizzazione sono costruite
considerando insieme degli attributi degli individui che possono essere di carattere genetico/biologico, psicologico e
sociale. (Categorie: genere, età, orientamento politico...) Queste categorie variano in base a:
- Status/stigmatizzazione: l’appartenenza ad alcune categorie è segno di status/importanza/rilevanza, ad
altre è uno stigma, qualcosa visto come un difetto all’interno di un certo contesto sociale.
- Maggioranza/minoranza (categorie che definiscono gruppi numericamente maggioritari o meno)
- Grado di visibilità: attributi percepibili (colore pelle) e non (orientamento sessuale, idee politiche)
Discriminazione: in particolare, quella effettuata sul luogo di lavoro, ha delle conseguenze rilevanti sull’individuo e
sul suo comportamento organizzativo, sui gruppi di individui e sulle loro prestazioni e sulle organizzazioni nel loro
complesso. La discriminazione sul luogo di lavoro può essere analizzata a lungo 3 dimensioni: dimensione giuridico
legale, socio psicologica e sociale. Da un punto di vista socio psicologico e sociale, la discriminazione può essere
definita come trattamento differenziato di un individuo a causa della sua appartenenza a un gruppo sociale (il
trattamento differenziato, di solito, coincide con il trattamento iniquo). Cause principali della discriminazione:
- Lo stigma, che è associato ad alcune categorie sociali;
- Ideologie (es. razzismo);
- Esclusione o emarginazione di individui solo perché costituiscono delle minoranze.
Il clima organizzativo può essere definito come un insieme di fattori che accadono nell’organizzazione e che sono da
porre in relazione con l'organizzazione; tra questi fattori ritroviamo gli attributi dell’organizzazione, il legame tra
individuo e organizzazione, atteggiamenti, comportamenti, motivazione ecc.
Recentemente si è consolidata una tendenza a sviluppare specifiche tipologie di clima organizzativo, tra cui quello
per la diversità. Il clima per la diversità può essere declinato in vari modi: permette di mettere in evidenza quanto il
clima organizzativo sia negativo (clima per la diversità ostile) per la diversità oppure esso sia positivo (un clima per la
diversità favorevole).
Tra l’altro, un clima organizzativo ostile può divenire repressivo se l’organizzazione agisce in un contesto sociale e
legale repressivo. Si punta l’attenzione sul passaggio tra l’accettazione della diversità e la realizzazione
dell’inclusione. Studi recenti, hanno messo in luce come alcune organizzazioni orientate alla diversità in realtà
accettino una versione normalizzata della diversità: accettano solo identità che si conformano al modello normativo
del gruppo dominante e alle attese della maggioranza. L'organizzazione veramente inclusiva è invece quella che
accetta tutte le possibili forme di identità. Un clima per la diversità favorevole, fa sì che si possa raggiungere una
maggiore inclusività.
CAP 5 – DECISIONI
Approccio teorico alle decisioni: considera il decidere un processo che, partendo da un problema, porta ad
una soluzione di questo e che si compone di 8 fasi.
1. Definizione del problema: i problemi a volte sono strutturati, ma altre no. Un problema si dice strutturato quando
ha obiettivi chiari, informazioni certe, alternative definite ed è possibile trovare una soluzione migliore in assoluto
(massimizzazione del risultato.
2. Definizione degli obiettivi
3. Raccolta delle informazioni: le info da raccogliere sono numerosissime e questa fase può impiegare molto tempo
4. Valutazione delle informazioni: valutare i dati/info raccolti in termini di affidabilità e precisione
5. Definizione delle alternative possibili
6. Valutazione delle alternative possibili
7. Scelta dell’alternativa: a seconda della valutazione delle alternative, procedere a selezionarne una e quindi
compiere una decisione, cercando di massimizzare i propri obiettivi
8. Valutazione dei risultati: feedback finale per valutare l’efficacia e efficienza del processo.
È necessario conoscere come le persone prendono le decisioni perché le decisioni sono l’anticamera del
comportamento: infatti le decisioni alimentano le azioni di tutti i giorni (binomio decisione-azione).
Approccio razionale:
Uno dei primi contributi a questo approccio è quello di Bernoulli che, con il paradosso di San Pietroburgo, contesta il
concetto della cd speranza matematica che permetteva di decidere quale fosse la decisione giusta da prendere
tramite una semplice formula:
valore atteso di un’azione = probabilità x valore, dove la prima è la Probabilità associata alle alternative, la seconda
ilValore della singola alternativa
Il paradosso di San Pietroburgo afferma che: la speranza matematica di un guadagno atteso è massima se il numero
delle giocate è infinito, ma non c'è nessun soggetto razionale disposto a giocare all'infinito nella speranza di ottenere
una vincita infinita. Da questa inapplicabilità della speranza matematica, Bernoulli suggerisce di sostituirla con la
speranza morale (speranza matematica dell’utilità): l’utilità marginale del denaro è decrescente all’aumentare del
denaro a disposizione. La teoria di Bernoulli ha influenzato anche teorie successive, tra cui quella di Bertham secondo
cui la decisione da prendere deve massimizzare l'utilità, sia che si tratti di un individuo, di un'organizzazione o
della società in generale. Questa visione del modo di comportarsi è stata definita come ‘propria dell’homo
oeconomicus’, il quale utilizza una razionalità deduttiva, basata su processi di ottimizzazione.
Approccio soddisfacente
La scienza delle decisioni, come la conosciamo oggi, però, è stata fondata da Herbert Simon e si basa sulla critica dei
modelli razionali puri.
Egli parte dalla considerazione che il processo razionale di ottimizzazione è applicabile dal cd uomo economico
quando:
- Si è in presenza di problemi molto strutturati
- Si è in assenza di vincoli da parte dell’organizzazione (si hanno le risorse per cercare le alternative e valutarle
correttamente)
- L’individuo conosce informazioni, alternative e conseguenze.
Ma per Simon, l’agente economico non è più un uomo economico, ma un uomo organizzativo e in quanto
tale è indotto a costruire un modello semplificato della realtà che gli interessa.
Simon sostituisce quindi ad un approccio di ottimizzazione, un approccio all' ottimizzazione approssimata: si
parte da una descrizione della situazione, la si semplifica fino ad ottenerne un'entità che permette a chi
prende la decisione di trovare una soluzione.
Modello decisionale razionale di ottimizzazione sostituito da modello di tipo soddisfacente.
Le differenze rispetto al modello ottimizzante:
- Decisioni in regime di razionalità limitata: raramente le persone, nella vita quotidiana, applicano le procedure
necessarie a scegliere un’alternativa che massimizza la loro utilità attesa, dato che so procedure molto
dispendiose dal punto di vista cognitive
- Decisioni in regime di incertezza: a volte, non è possibile avere informazioni perfette sul contesto e su se stessi
- Strategia decisionale satisficing: scelta dell’ alternativa che per prima soddisfa un set minimo di criteri accettabili
Motivi di tali differenze: Problema meno strutturato, Attori multipli con preferenze diverse, Alternative molteplici,
non tutte note, Difficoltà di valutare tutte le conseguenze delle alternative, Presenza di vincoli in termini di costi e
risorse.
Processo intuitivo
Si usa quando:
- Decisione che necessità di creatività e innovatività
- Problema destrutturato e non riconducibile a template precedenti
- Incertezza elevata
- Pochi precedenti simili
- Pressione temporale e di risorse
- Scarsa utilità dei dati analitici perché non disponibili o perché inibiscono i processi creativi
Razionalità Euristica
Il modello euristico è un ulteriore approccio alle strategie decisionali e parte dalla considerazione che le decisioni
prese in condizioni di incertezza sono le più frequenti nella realtà di tutti i giorni e che in queste situazioni l'attore
decide utilizzando delle vere e proprie scorciatoie decisionali (eurismi).
Tramite gli eurismi si può semplificare il problema, poiché permettono di considerare solo alcune alternative, opzioni
o informazioni, rafforzando il modo di decidere e rendono la decisione più leggera.
Eurisma: regola o procedura mentale (inconsapevole e spontanea) atta a risolvere problemi, dare giudizi, prendere
decisioni eliminando gran parte dello sforzo cognitivo
Gli eurismi decisionali sono tre: ancoraggio, rappresentatività e disponibilità.
Ancoraggio
In situazioni di incertezza, l’eurisma di ancoraggio aiuta nella decisione perché fornisce un punto di
riferimento: l'azione che viene presa di conseguenza all'utilizzo di un eurisma di ancoraggio si colloca in un
raggio di possibilità che ha come riferimento centrale proprio il punto di ancoraggio.
Quindi si basa la decisione su un qualcosa di già in proprio possesso o lo si modifica in itinere. Tuttavia, le
ricerche empiriche evidenziano che le decisioni prese molto spesso sono troppo vicine all’ancora e poco
vicine ai fattori correttivi che invece sarebbe bene attivare. L’eurisma di ancoraggio semplifica il modello decisionale
soprattutto quando la probabilità di un cambio degli elementi di contesto è molto bassa oh quando il costo, anche in
termini di tempo, per la revisione degli elementi è eccessivo.
Rappresentatività
L’eurisma della rappresentatività entra in gioco in condizioni di incertezza e di ignoranza circa le probabilità di un
determinato evento.
In questi casi la cosa migliore sarebbe rimandare la decisione, per avere il tempo di documentarsi e reperire le giuste
informazioni, per poter agire nel miglior modo possibile. Molto spesso, però, questa strada non viene intrapresa e
prende piede l’eurisma della rappresentatività portando a formulare un giudizio utilizzando conoscenze a noi
familiari, che consideriamo rappresentative del caso che dobbiamo analizzare.
Questo eurisma agisce come un vero e proprio stereotipo, come un pregiudizio precostituito. Si tratta di un giudizio
che precede l'esperienza e che si forma in assenza di dati empirici: per questo molte volte porta ad errore poichè fa
balzare a una conclusione per una semplice somiglianza della situazione ad un modello di riferimento.
Disponibilità
Questo eurisma trova applicazione perché le persone tendono a dare maggiore valore e importanza alle informazioni
disponibili senza sforzo (di facile accesso) e a dare minore importanza e valore alle informazioni più lontane nel
tempo, di maggiore complessità e di difficile acquisizione. Tutto il settore della pubblicità si basa sul fatto che gli
individui utilizzino questo eurisma. Questo eurisma molto spesso produce soluzioni corrette soprattutto se si basa
sull’esperienza, ma d’altra parte bisogna considerare che molto spesso le info che si hanno con più semplicità e in
maggior quantità sono quelle dei media perché più recenti e quindi si potrebbe incorrere in decisioni errate.
Overconfidence
Quando i 3 eurismi agiscono contemporaneamente si incorre nel rischio dell’overconfidence (sicumera – superiorità
decisionale) che porta le persone a essere sicure di sé, insensibili rispetto alla razionalità delle decisioni, alla verifica
delle informazioni in possesso, privilegiando modelli mentali consolidati. Tuttavia, l’overconfidence ha anche un lato
positivo: è uno strumento per orientare il comportamento delle persone (istruzioni che vengono date in aereo).
Trappole decisionali
Considerando quella che è l’equazione utilizzata da Bernoulli: valore atteso = probabilità x valore, sarebbe bello poter
decidere utilizzando una semplice forma. Bisogna considerare però 2 problemi che implicano la non applicabilità di
questa forma:
- Gli individui non sono affatto bravi nella stima della probabilità
- Gli individui sono in difficoltà nell’attribuire un valore alle alternative.
Il comportamento intenzionalmente razionale, infatti, potrebbe indurre in delle trappole.
1. Difficoltà nello stimare la probabilità: tale difficoltà deriva soprattutto dall’utilizzo dell’eurisma della disponibilità,
particolarmente amplificato dai media
2. Difficoltà nell’attribuzione di un valore: questa difficoltà può essere dovuta:
- Comparazione del valore di un’azione con il passato
- Prima impressione, stereotipi
- Errata comparazione tra elementi della decisione quando i dati del contesto cambiano (esempio del compiere
un’azione quando lo sconto è sempre di 100 dollari).
3. Autoconferma: molte persone dopo aver preso una decisione tendono a raccogliere solo informazioni che
confermino la loro scelta. Bisognerebbe, invece, per sostenere la propria tesi considerare l’antitesi e poterla
contestare.
Bias all’ottimismo
Versione particolare dell’overconfidence secondo cui le persone tendono a sovrastimare le informazioni che hanno
un significato positivo per sé e per i propri cari e a sottostimare le informazioni che hanno un impatto negativo. Si
tratta di un istinto di sopravvivenza particolarmente sviluppato in situazioni che attengono la salute delle persone.
C’è una parrte del cervello umano che risponde positivamente alle notizie positive e che si chiama circonvoluzione
frontale inferiore sinistra. Quando invece si riceve una notizia negativa entra in funzione una parte del cervello
chiamata circonvoluzione frontale inferiore destra. È stato dimostrato che il numero di neuroni impegnati ad
elaborare le notizie negative sono notevolmente inferiori rispetto a quelli presenti nella parte del cervello che
elabora le informazioni positive. Questa disparità è presente (dall’esperimento condotto) in tutti gli individui, aldilà
delle differenze tra questi.
LA MOTIVAZIONE AL LAVORO
Il tema della motivazione al lavoro, ha sempre ricevuto una grande attenzione sia da parte degli accademici, che
hanno sviluppato diverse teorie, sia da parte di chi lavora in azienda.
La motivazione ha rilevanza per l’individuo, l’azienda e la società in generale
Dato che motivare è uno degli aspetti fondamentali della leadership, in un’impresa è un requisito fondamentale.
Infatti una formula fondamentale per avere una maggiore prestazione, intesa come p= f(M), dove M è la motivazione
Negli anni 50 e seguenti fioriscono le cosiddette teorie di contenuto, di cui le più importanti risultano essere:
1. Gerarchia dei bisogni (Maslow)
2. Fabbisogni appresi (McClelland)
3. Fattori duali (Herzberg e Hackman)
Teoria di Herzberg
Attraverso uno studio empirico su un campione di 200 ingegneri Herzberg identificò l'esistenza di due tipi di fattori:
- Motivanti: generano soddisfazione se sono presenti (ma se assenti NON generano insoddisfazione). Si
identificano con aspetti legati al lavoro.
- Igienici: devono essere presenti per non generare insoddisfazione ma che, limitandosi a prevenire
l’insoddisfazione, sono considerati neutri. Riguardano aspetti legati al contesto lavorativo.
Quindi chi gestisce persone per motivarle deve far leva sui fattori motivanti e non su quelli igienici. Ad esempio, il
salario è compreso tra i fattori igienici e non motivanti: studi successivi hanno dimostrato infatti che il salario di base
e fisso non è efficace per motivare a produrre. Ciò che serve per incentivare a produrre sono gli incentivi economici
basati sulla prestazione individuale o di gruppo.
I rinforzi di Skinner
Skinner sviluppò una teoria chiamata teoria del rinforzo poiché sostiene che si possono motivare gli individui
attraverso dei rinforzi, positivi o negativi, che li spingeranno ad aumentare o ridurre la frequenza di un determinato
comportamento. Per incentivare qualcuno a produrre un comportamento desiderato si può ricorrere a premi o
rinforzi, che danno conferme all’individuo e fanno in modo che il comportamento si ripeta. Per far cessare il
comportamento si procede con la punizione o l’estinzione.
La teoria afferma che sono preferibili i rinforzi alle punizioni in termini di risultati migliori nel medio/lungo termine.
La relazione tra obiettivi e prestazione è moderata da (di conseguenza gli obiettivi sono motivanti se
sono):
- Difficili (sfidanti, non impossibili)
- Specifici, non generici
- Partecipati (partecipare a definirli, avere tante informazioni su di essi, avere la possibilità di definire in modo
autonomo come raggiungerli)
- Associati ad un processo di feedback (il dipendente deve sapere se e come sta raggiungendo gli obiettivi)
- Coerenti con le competenze dell’individuo ed in particolare se l’individuo percepisce di poterli raggiungere
(auto-efficacia: percezione di poter raggiungere un determinato risultato e se si possiede comporta
l’interesse e l’impegno anche per obiettivi più complessi e sfidanti).
Se i lavoratori percepiscono il rapporto contributi/ ricompense iniquo allora compiranno una delle seguenti azioni:
distorceranno i loro contributi/ricompense o quelli degli altri, si comporteranno in modo da indurre gli altri a
modificare i loro contributi o ricompense oppure faranno in modo di modificare loro stessi contributi o ricompensa o
sceglieranno individui diversi con cui confrontarsi o addirittura lasciare il lavoro.
Esistevano però almeno altre due norme di giustizia che la teoria non aveva preso in considerazione, ovvero
l'eguaglianza, dare cioè tutti la stessa ricompensa, indipendentemente dal contributo e il bisogno dare cioè di più a
chi ha meno. Quindi viene introdotto un nuovo tipo di giustizia: la giustizia procedurale (equità dei processi con cui
vengono distribuiti i risultati). Il concetto di giustizia procedurale è stato successivamente approfondito andando ad
individuare 6 regole che sono alla base della percezione della giustizia dei processi in cui vengono distribuiti i risultati:
- Costanza, ovvero la necessità di applicare le stesse regole a tutti e la necessità che siano stabili nel tempo.
- soppressione delle distorsioni
- Accuratezza, informazioni accurate e opinioni informate.
- Reversibilità e possibilità di correzione in caso di errore.
- Rappresentatività
- Etica, ovvero compatibilità con i fondamenti morali e valori etici dell’individuo.
Altri autori hanno proposto differenti determinanti della giustizia del processo, ma tutti presentavano un elemento in
comune che è quello della voce, la possibilità cioè di fornire ai decisori degli input, ovvero elementi utili per la
formulazione delle decisioni. Cropanzano e Folger sostengono che il risultato e la procedura agiscono insieme nel
creare un senso di ingiustizia. Bisogna dunque considerare la loro interazione. Questa ipotesi è nota come modello o
effetto interattivo, secondo cui risultati e procedure interagiscono nel determinare la positività o la negatività delle
reazioni alle decisioni. Da studi sull’ effetto interattivo è emerso che:
- Quando i risultati sono ingiusti o hanno una valenza negativa e più probabile che la giustizia procedurale
abbia un effetto diretto sulle reazioni degli individui.
- Quando la giustizia procedurale è bassa è più probabile che la valenza del risultato sia correlata
positivamente con le reazioni degli individui.
- La combinazione di una bassa giustizia procedurale e una valenza negativa di risultati danno origine alle
reazioni più negative.
Successivamente è stato individuato il concetto di equità relazionale. Una decisione di allocazione di risorse può
essere vista come una sequenza di eventi in cui una procedura genera un processo di interazione e decisione
attraverso cui risultati sono allocati a qualcuno. Tale equità include due componenti:
- Equità informativa, ovvero le spiegazioni adeguate delle ragioni sottostanti la decisione.
- Equità comunicativa, Ovvero trattamento con rispetto e dignità da parte di chi implementa le decisioni.
Apprendimento – capitolo 7
Apprendimento: processo di trasformazione permanente al termine del quale un individuo si percepisce cambiato
per conoscenze, abilità e attitudini. Riguardo l’apprendimento, si hanno approcci comportamentisti e/o costruttivisti.
Differenti modalità̀ di apprendimento:
- Apprendere nella quotidianità̀, autonomamente (suonando e risuonando lo stesso accordo);
- Attraverso metodi specifici (es: sistema scolastico o di formazione)
L’apprendimento è un processo fondamentale sotto una duplice prospettiva: quella individuale e quella dell’impresa.
APPRENDIMENTO INDIVIDUALE
Processo di cambiamento complesso, lungo e molto costoso, ma vitale.
Processo complesso: comporta un cambiamento duraturo (soprattutto per gli adulti che risultano essere
inerziali) e implica l'assunzione di rischio (si perde l’equilibrio iniziale, si mette in discussione lo status quo di
partenza, senza avere certezza nei risultati).
Processo lungo: si compone di diverse fasi (contatto con il nuovo, interiorizzazione del nuovo, apprendimento –
se il nuovo non viene interiorizzato non si è in presenza di apprendimento).
Processo molto costoso: è necessario utilizzare energie fisiche, cognitive ed emotive (anche il tempo è una
risorsa fondamentale, soprattutto per gli individui adulti).
Processo vitale: la mancanza di apprendimento comporta invecchiamento e perdita di motivazione. Se non si ha
una prospettiva di sviluppo (raggiungibile con l’apprendimento) o se ci si sente indietro rispetto agli altri si
perderà la motivazione (soprattutto nei giovani). A parità di gravità della patologia le malattie
neurodegenerative tardano a presentare i propri sintomi nel paziente se ha delle risorse cognitive ben
sviluppato (ha intrapreso molti e continui processi di apprendimento).
Se da una parte la formazione è una leva strategica, al tempo stesso èperò una leva molto costosa (anche alla luce
della difficoltà con cui si possa calcolare un ritorno in termini monetari della formazione stessa) in particolare perché:
a. Bisogna sottrarre il personale all'attività lavorativa ordinaria: difficilmente un dipendente riuscirà a trovare
un tempo extra oltre a quello lavorativo, quindi è necessario che l’attività di formazione sia progettata
nelle ore lavorative del personale;
b. Bisogna progettare la formazione e gli interventi formativi che la compongono (ovviamente questi hanno
dei costi);
c. Se non fatta bene non c'è ritorno economico: è necessario che la formazione si basi sui fabbisogni dei
dipendenti dell’impresa (è necessaria un’analisi ex ante di questi) e che successivamente alla formazione
ci sia un’attività di valutazione di questa. Molte imprese sottovalutano tali elementi o non posseggono gli
strumenti necessari per attuarli. In tali circostanze la formazione diviene una leva costosa e per nulla
strategica.
Affinchè la formazione non sia una leva costosa, ma abbia degli ottimi risultati, deve presentare almeno 3 fasi:
1. Analisi dei fabbisogni formativi: individuare gli obiettivi che l'impresa intende raggiungere e articolarli fino al
l'individuazione dei bisogni specifici di coloro che parteciperanno al corso. Se tale fase manca i partecipanti
percepiranno il corso come inutile con la conseguente riduzione della loro motivazione e attenzione;
2. Progettazione e realizzazione dell'intervento formativo: individuare l'approccio di apprendimento e le prassi
didattiche (metodo, durata, format, tecniche e luoghi).
3. Valutazione della formazione: valutare il corso per comprendere se gli obiettivi strategici che ci si era preposti
sono raggiunti. L’80% delle imprese che effettuano formazione non la valutano. Senza valutazione non si
dimostra in alcun modo che la formazione è una leva strategica per la crescita del capitale umano dell'impresa e
per il suo vantaggio competitivo (valutazione = rilevante). La valutazione è complessa perché non sono stati
diffusi e sviluppati molti strumenti per adoperarla.
Metodo di KirkPatrick per valutare la formazione (valutare l'efficacia della formazione riferendosi alla capacità della
stessa di raggiungere 4 step):
- Reaction: carpire la reazione di breve periodo e istantanea dei partecipanti;
- Learning: ammontare di nuove conoscenze acquisite grazie all' intervento formativo (misurazione tramite
test nozionistici e di comprensione);
- Behavior: grado di utilizzo permanente all'interno del contesto lavorativo delle conoscenze delle abilità
apprese;
- Result: grado di raggiungimento degli obiettivi strategici (misurato tramite indicatori specifici correlati agli
obiettivi – es: ridurre i tempi di attesa o soddisfare i clienti).
In molte imprese la formazione si conclude nel giorno in cui termina il corso o, in quelle in cui viene applicata la fase
di valutazione, molto spesso questa si limita ad un questionario di gradimento che compilano i partecipanti del
corso: la soddisfazione è una reazione emotiva di brevissimo periodo, molto influenzata da eventi esterni e per
questo non permette di affermare che vi sarà una duratura trasformazione del comportamento o cognitiva.
L’obiettivo delle imprese è il raggiungimento dell’apprendimento trasferito in modo duraturo al contesto di lavoro
che viene denominato training transfer, al fine di ottenere una migliore prestazione individuale e poi complessiva.
Ci sono degli elementi che, se ben progettati e considerati, favoriscono il trasferimento dell’apprendimento al
contesto lavorativo; sono: caratteristiche individuali dell’individuo, caratteristiche progettuali del corso e
caratteristiche del contesto di lavoro. È stato riscontrato che prassi costruttiviste riscontrano risultati migliori.
APPROCCIO COMPORTAMENTISTA
Approccio che si basa sulla considerazione dell’apprendimento come condizionamento del comportamento:
l’apprendimento si manifesta come una trasformazione del comportamento ottenuto tramite l’utilizzo di stimoli
che comportino determinate risposte. Alla base vi è il condizionamento del comportamento che può essere:
- Condizionamento classico: l'individuo attiva un nuovo comportamento in risposta a uno stimolo che ha
ricevuto e lo memorizzerà grazie alla ripetizione degli stimoli e delle conseguenti risposte;
- Condizionamento rafforzato (velocizzato): viene introdotta ho una ricompensa o una punizione (rinforzo) a
rimarcare la catena stimolo- risposta.
Esempi: cani di Pavlov e topi di Skinner
I. Il ruolo attivo del docente e passivo del discente: il discente lancia gli stimoli progettati exante e attiva il
condizionamento del comportamento del discente fornendogli la risposta giusta. Il discente, in un ruolo
meramente passivo, si limita ad apprendere la risposta giusta e a memorizzarla;
II. La centralità̀ della tecnica di lezione frontale: la didattica si sviluppa attraverso la spiegazione da parte del
docente e l’ascolto da parte del discente. Il primo trasferisce la risposta giusta, il secondo la ascolta
passivamente, la memorizza, la ripete individualmente e la utilizzerà in una futura valutazione che
consiste nel testare la memorizzazione delle risposte giuste attraverso domande a risposta multipla o
domande aperte.
III. Utilizzo del modello preventivo e punitivo dell'errore: l'errore viene percepito come esclusivamente
negativo, perché rappresenta lo scostamento dallo standard, cioè dalla risposta corretta. Il docente
insegna al discente come evitare l'errore e come arrivare alla risposta giusta nel minor tempo possibile e
qualora commesso verrà punito, creando nel discente insoddisfazione stress e frustrazione. Tale metodo
incoraggia l'efficienza, ma scoraggia la sperimentazione;
IV. La progettazione dei luoghi didattici con la "prospettiva dell'osservatore": le aule hanno una prospettiva
da spettatore con il docente da un lato EI discenti dall'altro, senza che vi sia per questi la possibilità di
interagire.
Il comportamentismo ha trovato terreno fertile grazie:
- Alla compatibilità̀ con molti sistemi culturali: secondo uno studio condotto negli stati uniti negli anni ’80 per il
75/80% del tempo gli alunni stavano seduti, ascoltavano e svolgevano compiti. È diffusa la visione secondo
cui gli alunni devono stare seduti e attenti tutto il tempo;
- Alla facilità di misurazione dei risultati: permettono una verifica veloce e certa dei risultati perché non vi è
possibilità di sperimentazione, la risposta giusta è solo una.
Questo approccio non è stato comunque esente da critiche, le principali sono:
1. La durata nel tempo del condizionamento: molto spesso il risultato del condizionamento è risultato un
risultato di breve periodo e momentaneo. In questo caso, però, non si effettua un vero e proprio
apprendimento (questo deve essere duraturo e stabile). Il condizionamento del comportamento dovuto
a stimoli esterni e velocizzato tramite rinforzi rimarrà fino a quando rimangono immutate le condizioni
esterne o i rinforzi;
2. La riduzione dei comportamenti esplorativi: attraverso i metodi punitivi dell’errore si preclude al
discente la possibilità di esplorare nuovi orizzonti perché si incentra l’apprendimento sulla
memorizzazione di una risposta giusta. L’uso della punizione, delle volte, può determinare un blocco
dell’apprendimento futuro;
3. La mancata considerazione della dimensione sociale: l’individuo è immerso in un contesto sociale ed
interagisce con questo. Il condizionamento del comportamento non è dettato esclusivamente da stimoli
e condizioni esterne, ma anche, e soprattutto, dall’interazione con gli altri che assumono una funzione di
modeling per il discente. Esempio dei bambini che apprendono comportamenti aggressivi in presenza di
adulti violenti: questo apprendimento è detto apprendimento vicario (imitazione e riproduzione di
modelli di ruolo del contesto sociale in cui ci si trova).
Le prime 2 critiche derivano dalla punizione prevista da Skinner, mentre la 3 trova fondamento negli studi di
Bandura e nell'apprendimento vicario.
In particolare, l’approccio cognitivista (secondo cui ogni individuo elabora una prospettiva del mondo esterno
(Es. dello scimpanzè di Kholer) presenta delle sostanziali differenze con l’approccio comportamentista:
Secondo l’approccio costruttivista la costruzione della propria visione del mondo avviene attraverso un’attività
psichica di costruzione di senso: l’apprendimento consiste nella costruzione della propria visione del mondo,
nella formazione e nel cambiamento della propria struttura cognitiva, non nella mera e limitata modifica del
proprio comportamento.
Un individuo nasce con riflessi biologicamente determinati senza saper coordinare percezione e azione.
Attraverso reazioni circolari l'individuo:
- Apprende la coordinazione tra percezione e azione;
- Ricostruisce mentalmente oggetti distanti nel tempo, ma presenti nella sua memoria;
- Sviluppa il pensiero rappresentativo tramite, ad esempio, l'abilità di servirsi di simboli;
- Apprende il ragionamento ipotetico e deduttivo.
In questo processo di apprendimento sono fondamentali 3 meccanismi:
1. Assimilazione: incorporare concetti nelle proprie strutture cognitive, apprendere ciò̀ che è compatibile con le
strutture preesistenti allargando i propri schemi mentali;
2. Adattamento: permette la modifica della propria struttura cognitiva e si verifica quando si entra in contatto
con elementi ignoti (quando si entra contatto con il ‘nuovo’ non sempre questo è compatibile con elementi
già noti nella propria struttura cognitiva: se sussiste questa incompatibilità allora l’adattamento permette la
modifica della struttura cognitiva stessa. L’entrare a contatto con il nuovo non compatibile con la propria
struttura cognitiva comporta che il soggetto si ritrovi in una situazione di squilibrio che terminerà quando,
grazie all’adattamento, si giungerà ad un nuovo equilibrio).
3. Socializzazione: apprendimento influenzato dal contesto sociale in cui si verifica. La presenza di tale
meccanismo risulta essere una grande differenza con quello che è l’apprendimento comportamentista che
esclude e non considera assolutamente tale sfera (viene considerata solo in ultima analisi da Bandura che,
però, considera la socializzazione limitatamente alla circostanza in cui influenza il comportamento di un
individuo – esempio del gioco delle tazze dei bambini di Vigotsky) – è il metodo più ‘scontato’
La complessità crescente del contesto di riferimento, sia da un punto di vista di volatilità economica sia da un
punto di vista di evoluzione tecnologica ha portato le aziende a passare ad un approccio più orientato al lavoro
di gruppo, rispetto alla preferenza del lavoro individuale: le organizzazioni necessitano di attingere a
competenze differenziate per risolvere problemi complessi e traversali per l’organizzazione stessa. Il gruppo,
infatti, se ben costruito e gestito, offre alcuni vantaggi rispetto al lavoro individuale:
- Vantaggio cognitivo: mettere a fattor comune le conoscenze individuali consente al gruppo di sviluppare
soluzioni più efficaci e innovative rispetto al singolo soggetto. Il lavoro di gruppo è preferibile a quello
individuale per la risoluzione di problemi complessi per cui sono richieste differenti competenze o per
problemi che richiedono creatività e innovazione;
- Vantaggio motivazionale: se il gruppo funziona bene, gli individui tendono ad avere un livello maggiore di
soddisfazione rispetto a quando lavorano singolarmente (questo porterà ad una migliore relazione
dipendente – impresa e quindi anche ad un grado di motivazione in più).
Il modello di riferimento
Il gruppo è composto da una molteplicità di individui che devono interagire tra loro, che devono interfacciarsi
con l'ambiente esterno e queste interazioni sono generalmente la principale fonte di problemi.
Un gruppo di per sé non è sinonimo di successo: è fondamentale costruirlo e gestirlo in modo appropriato.
A tal fine, è necessario considerare il modello di input-processi-output che risulta efficace per analizzare gli
elementi determinanti del successo o dell’insuccesso di un team.
Gli input costituiscono gli ingredienti del team e ne rappresentano la struttura. Essi sono elementi che devono
essere presi in considerazione nella fase di costruzione del team, poiché influenzano i processi e gli output. Essi,
sono caratterizzati da:
- Numerosità: quanti membri compongono il gruppo. Ricerche manageriali hanno evidenziato che il numero
ideale di membri di un team è da considerarsi in un intervallo tra 5 e 9 membri. La scelta della numerosità è
un trade off importante: un basso numero di membri permette una migliore gestione dei processi di
interazione, ma diminuisce il potenziale innovativo del team; dall'altra parte, aumentando i membri del team
aumenta la difficoltà di gestione dei processi di interazione (non tutti i membri potrebbero apportare il
proprio contributo in modo efficace, potrebbero crearsi coalizioni o situazioni di opportunismo), ma anche il
numero di risorse potenziali a cui si ha accesso. Il volume di interazioni potenziali da gestire all'interno di un
team aumenta esponenzialmente al crescere del numero di membri (formula = N*(N-1)/2. É necessario che il
numero di membri sia definito nella fase iniziale di vita del team per evitare il cadere nella cosiddetta Brooks
Law Trap (aumentare il numero di persone nel team nelle fasi finali di un progetto tende ad accrescere il
ritardo nella conclusione del progetto stesso);
- Caratteristiche individuali dei membri del team: questa è una componente fondamentale poiché
rappresenta l'insieme delle potenziali risorse cognitive da cui il gruppo può attingere per raggiungere il
proprio obiettivo. Le caratteristiche dell'individuo possono essere osservate da 2 punti di vista: le
competenze e le caratteristiche della personalità. Le competenze possono essere di carattere tecnico,
competenze legate al problem solving e al decision making, competenze di carattere interpersonale (ascolto
attivo, comunicazione, gestione del conflitto ecc.) I tratti di personalità sono fondamentali perché possono
contribuire al lavoro in team e all' efficacia dei processi in modo differente.
- Ruoli: Il ruolo costituisce un'aspettativa di comportamento che i membri del team nutrono nei confronti di
ciascuno dei membri del team stesso. La definizione dei ruoli all'interno del team è un'attività fondamentale
perché fornisce punti di riferimento relativi alle varie tipologie di attività che devono essere svolte. È
possibile identificare 4 tipologie di ruolo rispetto ai comportamenti che ciascuno di noi generalmente agisce
quando si trova all’interno di un team; tali profili sono dati dalla differente combinazione di 4 elementi, che
sono l’orientamento alla relazione vs l’orientamento al compito e l’atteggiamento di esplorazione vs
l’atteggiamento di consolidamento. Inoltre, esistono dei profili secondari che rappresentano delle ulteriori
classificazioni all'interno dello stesso profilo primario sulla base dell’orientamento alle relazioni interne o
esterne al gruppo o al fatto che l'orientamento al compito sia più focalizzato sull’obiettivo da raggiungere
rispetto al processo per raggiungere lo stesso:
1. Explorer (profilo primario): ha un forte orientamento ai compiti che devono essere svolti dal team e
all'esplorazione di soluzioni innovative;
Experimenter (profilo secondario): il suo orientamento è focalizzato sul processo e sul come svolgere le
attività del team
Pioneer (profilo secondario): è più orientato l'esplorazione degli obiettivi e scenari alternativi.
2. Optimizer (primario): ha un forte orientamento al compito ma la focalizzazione è sull’ ottimizzazione
delle risorse e deve conoscenze già presenti nel team;
Pacemaker(secondario): è orientato all’ottimizzazione dei processi e al mantenimento del ritmo delle
attività del team,
Sensemaker(secondario): è orientato all’ottimizzazione dell’obiettivo cercando di dare un senso e
un’interpretazione condivisa di quanto viene richiesto
3. Broker(primario): è prevalentemente orientato alle relazioni attraverso un approccio esplorativo;
Enabler(secondario): ha un orientamento alle relazioni interne al team creando le condizioni necessarie
per far fluire la conoscenza attraverso il network interno.
Linker(secondario): ha un orientamento all'esterno, attivando, ricercando e mediando conoscenze e
risorse per il team in un ampio portafoglio di contatti
4. Trust Builder (primario): ha un orientamento le relazioni attraverso un approccio di consolidamento. A
differenza del broker, tende a focalizzarsi su poche relazioni con un forte orientamento alla stabilità e
alla costruzione di partnership durature;
Binder(secondario): ha un orientamento spiccato verso la creazione di uno spirito di squadra. Facilita la
costruzione di team tramite la creazione di relazioni solide tra i membri a lungo termine;
Ambassador(secondario): ha un orientamento alle relazioni esterne con la tendenza a creare legami
consolidati e di lungo periodo con le controparti e gli stakeholder del team.
- Status: Un altro importante elemento da prendere in considerazione tra gli input è lo status che i membri
hanno all'interno del team. Lo status può essere considerato come l'esplicita o implicita posizione gerarchica
di ciascun individuo all'interno del team in relazione a quella degli altri membri. Tale percezione gerarchica
può essere determinata da una varietà di fattori come l'esperienza o le competenze. Lo status nei gruppi è
particolarmente critico poiché gruppi composti da membri con status differenti tendono a sviluppare
processi meno efficaci (i membri di status inferiore tendono ad inibire le proprie opinioni qualora non
conformi a quelle di membri che detengono uno status superiore; quando la differenza di status è elevata il
gruppo tende ad essere meno coeso). In altri termini, lo status influenza processi tra membri attraverso
meccanismi legati alla differenza di percezione gerarchica all’interno del gruppo.
Gli input possono essere osservati anche attraverso una lente che si focalizza sulla diversità, ovvero su quanto la
differenziazione di competenze, tecniche, relazioni di analisi e problem solving, nonché differenze di ruolo
possono andare ad impattare sui processi e sugli output del team.
I team omogenei, che presentano un basso grado di diversità tra i membri, sono meno conflittuali e presentano
processi più fluidi. L'omogeneità però può impattare negativamente sulla capacità del team di individuare
soluzioni innovative e creative fondate sulla capacità di mettere a fattor comune esperienze e punti di vista
differenti. I team eterogenei sono però più innovativi e cattivi perché hanno acceso una serie di risorse differenti
ma hanno maggiori difficoltà nel gestire processi di interazione tra i membri.
Processi: sono il mezzo attraverso cui i membri del team lavorano in modo interdipendente per utilizzare e
trasformare le risorse a disposizione in output. Processi con output elevati hanno una comunicazione aperta tra
membri per scambiare informazioni rilevanti, coordinare i propri apporti individuali, stimolare il contributo e il
potenziale di ciascun membro. Possono essere suddivisi in:
- Processi orientati alle relazioni: interazioni aventi lo scopo di gestire la dimensione interpersonale tra i
membri del team. Un lavoro di integrazione tra processi basati sul compito e processi basati sulla relazione è
determinante per il successo del team. Possiamo individuare quindi:
Supporto reciproco: modalità attraverso cui i membri del team gestiscono il conflitto (in modo
cooperativo o competitivo) e supportano gli altri componenti in caso di necessità. In un contesto in
cui vi è un elevato supporto reciproco i membri del team danno una prevalenza agli obiettivi del
gruppo rispetto agli obiettivi individuali. Gli individui sono orientati a comportamenti di rispetto
reciproco, di aiuto e di supporto che vanno oltre a quanto richiesto dal proprio ruolo. In un contesto
competitivo, vengono, invece, privilegiati gli obiettivi individuali, con una conseguente riduzione di
soluzioni cooperative e creative. Anche il supporto reciproco può essere fortemente influenzato da
fattori di contesto: metodi di valutazione e retribuzione strettamente legati alla performance del
singolo portano a una bassa cooperazione tra i membri, incentivando la competitività.
Coesione: grado di attrazione interpersonale, tre membri del team. Un team coeso si sente una vera
propria squadra e la coesione rappresenta un vero e proprio collante del team. Gruppi coesi tendono
a condividere con facilità i propri obiettivi e a definire norme e standard di comportamento condivisi
all'interno del gruppo. E' stato dimostrato che la coesione diminuisce il senso di ansia e pressione per
i membri del team. Un livello di coesione troppo elevato, però, può portare effetti negativi che
possono spingere il gruppo a sentirsi invulnerabile, a chiudersi a possibili alternative esterne, negare
la differenza di opinioni di tre membri e ottenere quindi performance mediocri e disastrose.
- Processi orientati al compito: interazioni finalizzate a contribuire direttamente al raggiungimento
dell'obiettivo. I principali processi connessi al compito sono:
Comunicazione: mezzo attraverso cui membri di un team si scambiano le informazioni rilevanti per lo
svolgimento del compito. Molto importante è la qualità della comunicazione. Da un punto di vista
pratico la comunicazione può essere intesa in termini di:
Frequenza: quanto tempo viene dedicato all’interazione;
Formalizzazione: la comunicazione è formale nel caso di convegni o riunioni fissate
formalmente, mentre è informale nel caso di chiamate telefoniche o meeting spontanei.
L'abilità di far leva sulla comunicazione informale costituisce un fattore distintivo dei team di
successo. Infatti, attraverso essa di membri del team riescono a scambiarsi informazioni in modo più
rapido ed efficiente e focalizzando le proprie energie sulla risoluzione dei problemi e sullo sviluppo di
idee innovative. Altro elemento fondamentale è l'apertura del processo comunicativo, infatti, per
poter sfruttare le potenzialità date da input differenti, è necessario che il team sia in grado di
scambiare apertamente informazioni senza la preoccupazione che tali informazioni possono essere
utilizzate in modo distorto e controproducente.
Coordinamento: prestazioni di gruppo di elevato livello presuppongono che i membri del team siano
in grado di armonizzare e sincronizzare le proprie attività individuali, finalizzandola raggiungimento
di un obiettivo comune. È necessario che ciascun individuo svolge le proprie attività avendo ben
presenti gli impatti che il proprio lavoro ha sul team e sull'operato degli altri membri. In particolare,
necessario che i membri del team sviluppino la cosiddetta Team Awareness, cioè la consapevolezza
rispetto a cosa sta accadendo nel team in un determinato momento e siano in grado di comprendere
l'interdipendenza tra i diversi compiti, la sequenza, la priorità delle attività, nonché i tempi necessari
per svolgerle.
Bilanciamento dei contributi: un gruppo efficace deve mettere i propri membri nella condizione di
contribuire al risultato di team al massimo del proprio potenziale. Il team infatti delega ai propri
membri le attività che devono essere svolte sulla base del contributo differenziale che ciascun
membro può dare. Se viene a mancare il contributo di uno o più membri del team, il potenziale di
sviluppo di soluzioni innovative e creative, tende a venire meno. Il presidio di questo processo è
particolarmente importante se vi è alta differenza in termini di competenza e personalità, poiché è
minore la possibilità che i membri del gruppo possano sopperire al mancato contributo di un
membro. Se da un lato il contributo bilanciato dei membri è influenzato dagli input, da altra parte è
fondamentale il contesto organizzativo di riferimento.
Il primo aspetto legato all’output è la capacità da parte del team di raggiungere l'obiettivo stabilito. Il team è
valutato anche sulla capacità di raggiungere l'obiettivo nel rispetto delle risorse a disposizione, tempi, budget e
risorse materiali. Un altro aspetto di output è l'apprendimento. Infatti, date le interazioni e lo scambio di
informazioni tra membri, ci si aspetta che il gruppo sia anche un momento di apprendimento dagli individui. I
componenti di un gruppo che funziona dovrebbero essere nella condizione di aver sviluppato maggiore
conoscenza derivante dall'interazione con gli altri membri.
Il modello input-processi-output può essere letto attraverso una logica temporale. Il team ha un ciclo di vita
composto da 5 fasi:
1. Forming
Il team è nella sua fase embrionale e può essere considerato un team solo sulla carta, poiché i membri
tendono a comportarsi come singoli individui. Ciascun membro cerca di comprendere quale sia la situazione
in cui si trova e di orientarsi nel contesto di gruppo. In questa fase le interazioni tra membri sono
tendenzialmente superficiali e astratte, con difficoltà nel mettere a fuoco gli aspetti fondamentali che
guideranno il gruppo verso il raggiungimento dell’obiettivo perché gli individui tendono a comportarsi in
modo da essere ben visti e accettati. Inoltre, gli individui cercano informazioni relative agli altri membri per
avere una maggiore conoscenza dell'ambiente in cui si troveranno a operare. In genere l’atteggiamento e il
clima sono positivi e di ottimismo dettato dalla motivazione di essere coinvolti in un nuovo progetto e di far
parte di un gruppo.
2. Storming
È la fase più delicata del ciclo di vita del team, infatti, le differenze tra membri cominciano a emergere
soprattutto nella modalità di raggiungimento dell'obiettivo. In alcuni team questa fase può risolversi
velocemente, ma nella maggior parte dei team è piuttosto lunga. Attraverso lo storming possono essere
messe a fattor comune le prospettive di ciascuno al fine di integrare le differenti competenze e prospettive
individuali e ottenere un grado di innovatività più elevato rispetto a quanto raggiungibile da un singolo
soggetto. L’ottimismo della fase iniziale si trasforma in conflitto e la situazione può divenire nociva se il
conflitto sul compito diviene conflitto relazionale. La situazione ideale è che i membri creino un clima di
serenità dove riescono a sentirsi liberi e non condizionati da eventuali giudizi basati sulle proprie opinioni o
differenze di pensiero, mantenendo il confronto sugli aspetti connessi al compito e non trasformino il
confronto in un conflitto interpersonale.
3. Norming
Se il team è riuscito a mantenere il conflitto ad un livello adeguato e fondato sul compito, è pronto per
affrontare la fase di Norming. Si tratta, generalmente, dell’attivazione di fasi di storminig controllato volte a
risolvere problemi specifici attraverso la definizione di norma di comportamento e di interazione. Le norme
rappresentano le aspettative di comportamento rispetto all' interazione con gli altri membri e alla vita del
gruppo: in altri termini rappresentano le regole e gli standard di comportamento che un team definisce per i
propri membri. La violazione delle norme da parte di un componente spinge gli altri membri ad agire in
modo diretto o indirizzo per riportare il comportamento allo standard atteso. In questa fase, membri del
team iniziano a sviluppare spirito di squadra e coesione nei confronti del compito da svolgere perché si
sentono legati da modalità comuni e condivise di comportamenti.
4. Performing
In questa fase i membri del team lavorano come una vera e propria squadra per arrivare all' obiettivo e per
promuovere l'attività del team all'esterno. Il conflitto viene gestito in modo efficace e si evita l’escalation che
lo rende interpersonale. La motivazione e l'impegno sono particolarmente elevati e concentrati verso una
visione comune e i processi sono fluidi e consolidati.
5. Adjourning
In questa fase il gruppo si scioglie. Questa fase è importante per il momento di apprendimento del gruppo,
infatti prima dello scioglimento è opportuno che il gruppo focalizzi la propria attenzione sui propri punti di
forza e sulle difficoltà riscontrate in modo che gli individui possano trarne spunto per successivi incarichi con
lo stesso team o in team differenti.
Il vantaggio cognitivo del team a volte non si concretizza a causa di alcuni processi distorsivi che si generano nel
gruppo stesso, le cosiddette patologie del gruppo. L’incapacità del team di attivare processi efficaci può essere
principalmente condotta al meccanismo del conformismo che spinge i membri a diminuire il proprio senso
critico per allinearsi al pensiero dominante del team. Il conformismo agisce facendo leva su uno dei principi
cardine dell’essere umano: l'accettazione all'interno di un contesto sociale di riferimento. All'interno di un
gruppo tale principio si amplifica ulteriormente e i membri di un team, possono sentirsi a disagio nell'esprimere
la propria idea perché preoccupati di come gli altri membri li giudicheranno sulla base delle loro idee. Gli effetti
negativi del conformismo agiscono principalmente attraverso i seguenti meccanismi:
- Groupthink: quando i membri di un team considerano il raggiungimento di consenso come la priorità
massima del gruppo. In questi casi il desiderio da parte dei membri di raggiungere il consenso diventa
talmente forte da rendere impossibile la generazione di alternative o la valutazione razionale delle stesse. Un
gruppo che sta entrando nella zona di groupthink presenta 3 sintomi fondamentali:
I. Sovrastima del gruppo: i membri del gruppo si vedono come invulnerabili e incapaci di sbagliare;
II. Chiusura mentale, il gruppo tende a razionalizzare le prospettive interne giudicandole positivamente
e a trovare giustificazioni per scartare ogni possibile alternativa che provenga dall'esterno;
III. Censura della devianza, ogni idea che viene presentata ed è discordante dal pensiero collettivo del
gruppo viene criticata e attaccata. I dissenzienti subiscono implicite o esplicite pressioni ad
abbandonare la propria idea per conformarsi al gruppo.
Un gruppo che si trova in una situazione di groupthink presenta comportamenti distorti, come:
Ricerca incompleta e superficiale delle informazioni;
Incompleta valutazione e definizione di obiettivi;
Rifiuto di esaminare alternative emergenti;
Non considerazione di scenari alternativi;
Mancanza di definizione di un piano B.
- Abilene paradox (ignoranza collettiva): i membri di un team assumono una determinata posizione perché
pensano che sia la posizione desiderata dagli altri. Essi non si confrontano l'un l'altro e prende una decisione
contro gli interessi di tutti i membri, pensando invece di agire nell’ interesse del gruppo. Ciascun membro del
gruppo, credendo che la propria opinione sia contro quella del gruppo, non la manifesta, esprimendo invece
ciò che pensa sia la preferenza del gruppo. In questo modo il gruppo prenderà una decisione che in realtà
non vuole prendere. La principale causa di conformismo è la mancanza di comunicazione tra membri e la
paura del conflitto.
- Polarizzazione di gruppo: tendenza da parte dei membri a estremizzare l'opinione dominante durante le
discussioni di gruppo. I membri del gruppo esprimono giudizi più estremi per avere l'approvazione del
gruppo e dimostrare la loro volontà di appartenenza. Dalla polarizzazione deriva il risk shift: tendenza a
prendere decisioni collettive che comportano rischi maggiori o minori di quelli che si assumerebbero
individualmente. Inoltre, facendo riferimento a una scelta rischiosa è più semplice che venga presa dal
perché non vi è la possibilità di attribuire eventuali sviluppi negativi della scelta ad un singolo soggetto.
- Interruzione cognitiva: Molto spesso le idee che generiamo sono costruite e sviluppate sulla base di quello
che sentiamo intorno a noi, che il nostro cervello rielabora e connette con quello che già conosciamo.
L'associazione di idee sulla base dei contributi altrui ha effetti positivi, ma il pericolo è che si verifichino
situazioni di interruzione cognitiva. In un team risulta difficile per un individuo ascoltare, elaborare e valutare
le idee altrui quando egli stesso sta elaborando il proprio pensiero. Il flusso cognitivo dell’individuo viene
interrotto dagli altri con la possibilità che quanto essi hanno in mente venga dimenticato perché perdono il
filo del proprio ragionamento o perché la discussione del gruppo si sta orientando verso un’altra direzione. In
entrambi i casi l’interruzione cognitiva tende a stimolare convergenza di pensiero e conformismo.
- Tendenza al ribasso: La performance individuale di persone che lavorano nello stesso gruppo tende a
convergere nel tempo. La criticità emerge però quando il gruppo tende a convergere verso la performance
del membro meno produttivo all'interno del gruppo stesso.
Capitolo 9 – la comunicazione
Processo di scambio intenzionale e razionale di informazioni tra due o più soggetti, per trasmettere il significato
di conoscenza desiderato, attraverso un sistema condiviso di simboli e regole di trasmissione.
Noi comunichiamo tutti i giorni nella quotidianità
La comunicazione nel contesto di impresa è finalizzata alle prestazioni e al vantaggio competitivo dell’impresa
stessa. L’effetto della comunicazione deve essere strumentale rispetto alla costruzione di valore in azienda. La
comunicazione in azienda è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo (influenzare, decidere, coordinarsi).
A seconda della posizione dell’interlocutore, la comunicazione assume obiettivi differenti (un capo deve essere
abile a comunicare con successo, essere leader e trasferire conoscenza ad altri). Nel team è di fondamentale
importanza e se è essa è buona, significa che i membri hanno un rapporto diretto, si scambiano le informazioni
rilevanti per il progetto, sanno focalizzarsi sulle informazioni rilevanti e isolano quelle che creano rumore. La
comunicazione esterna si sviluppa attraverso pubblicità, comunicazioni istituzionali e social network.
Fonte e ricevente: gioca un ruolo fondamentale nella riuscita di un processo di comunicazione e proprio per
questo deve avere tre caratteristiche fondamentali:
1. Deve avere un buon grado di conoscenza e adeguate capacità di trattamento nel trasferirla: la difficoltà nel
traferire conoscenza è proporzionale al grado di complessità del contenuto. La fonte non dovrebbe avere
problemi a comunicare contenuti semplici e non ambigui. All’aumentare della complessità della conoscenza,
aumenta la difficoltà per la fonte di rappresentare anzitutto a sé e poi agli altri, la conoscenza. Un buon
leader/manager/capo deve avere contezza di questa difficoltà e per questo, deve aiutare la fonte attraverso
delle strategie (guardare le presentazioni dei collaboratori prima dei meeting, chiedere feedback, ecc).
2. La fonte deve essere motivata a comunicare in modo adeguato: essere motivati non è un problema banale:
la motivazione della fonte può essere di fondamentale importanza (come anche un problema principale) nel
processo di comunicazione. Si pensi a due interlocutori: uno molto motivato ha capacità di trasmettere la sua
carica, grinta e voglia di fare mentre un altro demotivano, può trasmettere frustrazione o noia.
3. La fonte deve essere percepita come affidabile e autorevole dal ricevente: l’affidabilità porta alla fiducia del
ricevente nei confronti della fonte (trustworthiness). Esiste una relazione tra fiducia e successo di
comunicazione (Ո): se il ricevente non si fida della fonte, la considererà come meno integra nel trasferire una
buona conoscenza e possibilità di comunicare al meglio il messaggio. Se il ricevente si fida eccessivamente
della fonte, tende a non controllare più la qualità del messaggio e della conoscenza traferite, creando
problemi a livello di comprensione, rischio di diminuzione delle prestazioni soprattutto in caso di conoscenza
ambigua. Anche la motivazione del ricevente è una componente fondamentale per la buona riuscita della
comunicazione: uno motivato cerca di capire il messaggio, ricerca informazioni e non si limita alle sole date
dalla fonte ed è meno influenzato dalla sindrome del not invented here (rifiutare info già pronte solo perché
non prodotte da sé). Un’altra caratteristica importante del ricevente è la sua capacità di ritenzione del
messaggio: non è detto che il ricevente comprenda a pieno il messaggio. Ad esempio, quando viene
implementato un nuovo sistema informatico in un’azienda, non è solo importante l’atto materiale di
implementazione ma viene fatto un processo di change management, il quale aiuta chi lo usa ad accettarlo,
farlo proprio e quindi usarlo bene.
Messaggio: nella teoria dell’informazione, quantità di informazioni inviata da un apparato trasmittente a
un ricevitore attraverso un canale Il messaggio. In azienda può essere caratterizzato da vari livelli di
complessità e ricchezza di contenuto e questo implica maggiore o minore difficoltà a codificarlo (attività
della fonte) o decodificarlo (attività del ricevente). Un messaggio può essere semplice o complesso. È
semplice quando ha le seguenti caratteristiche:
1. Pochi elementi di conoscenza da trasmettere;
2. Difficoltà intrinseca di ogni elemento della conoscenza da trasmettere;
3. Bassa ambiguità (non presenta aree grigie ed è immediato da comprendere);
4. Basso contenuto di relazioni causa-effetto non esplicite, quindi la relazione tra azione e conseguenza
dell’azione è facile da descrivere
Queste caratteristiche non tengono conto dell'abilità della fonte/ricevente a co/decodificare il messaggio.
Sempre questi due studiosi spigano il loro pensiero attraverso un modello di scambio e creazione di informazioni
e conoscenza. La comunicazione gioca qui il ruolo essenziale di vettore di scambio tra individui, e tra individui e
organizzazione. I momenti sono 4:
I. Socializzazione - la conoscenza tacita è condivisa tra individui tramite osservazione reciproca e
condivisione di esperienza
II. Formalizzazione - la conoscenza tacita è localizzata e codificata soprattutto per capire la causa effetto tra
azione e conseguenza organizzativa
III. Combinazione - parti di conoscenza formalizzata sono messe insieme per standardizzare le regole di
funzionamento dell'azienda, i processi, le aree di comportamenti accettati dagli individui
IV. Interiorizzazione - la conoscenza formalizzata e messa in pratica e gli individui che la utilizzano si
appropriano in modo specifico della conoscenza astratta, generando nuova conoscenza specifica.
Ovviamente, conoscenza tacita ed esplicita possono riguardare diversi tipi di knowledge specifici utili in azienda,
e le distinguiamo secondo questo elenco:
- Conoscenza teorica, proposizionale: associabile a quella che è la conoscenza scientifica. Conoscenza
proposizionale = conoscere proposizioni. Tale conoscenza non implica la percezione: un soggetto può
conoscere che una proposizione è vera o falsa anche senza doverla verificare personalmente (non serve
viaggiare verso il sole per dire che una navicella spaziale se si avvicina a pochi chilometri dal sole si fonde per
l'elevata temperatura;
- Conoscenza procedurale (know-how): Conoscere una nozione non implica che con la propria azione si
riescano a raggiungere degli obiettivi: la conoscenza teorica è differente e non implica il saper agire nella
pratica. Ovviamente la conoscenza teorica è importantissima ma l'esperienza fa la differenza;
- Soft skills: conoscenza di come si gestiscono i gruppi di lavoro, di come si esercita la leadership, di come si
comunicano queste cose ai collaboratori;
- Networking: capitale relazionale posseduto da una persona, dato da quante persone si conoscono
effettivamente, quante sono importanti nella rete di persone di riferimento.
I canali di comunicazione hanno i loro pro e i loro contro. È da premettere che non esiste un canale di
comunicazione migliore di altri ma dipende dal tipo di uso che se ne vuole fare e capire quale sia il canale che
permette di raggiungere lo scopo prefissato.
Il concetto di asincrono è oggi cambiato con l’avvento del computer: non è possibile immaginare una
comunicazione asincrona senza l’utilizzo soprattutto di internet e quindi non vengono più effettuate
comunicazioni asincrone non mediate (scambio di lettere, settimanali in abbonamento ecc.). Ciò che è
particolarmente rilevante è che una volta inviato il messaggio dalla fonte, nel caso di comunicazione asincrona
mediata da computer sarà il ricevente a decidere se, quando e come fruire del messaggio stesso. Un’altra
caratteristica di questa tipologia di comunicazione è la notifica che il canale invia al ricevente. Utilizzare i vari
canali è questione di abitudine personale ma anche e soprattutto di abitudine dell’organizzazione a cui si
appartiene, infatti aziende diverse usano in modo diverso lo stesso canale oppure, ne preferiscono alcuni ad altri.
Alcune altre teorie aggiungono a queste due variabili (mediazione e sincronia) altri elementi come:
- La velocità di trasmissione è la capacità di scambiarsi informazioni in tempi rapidi, con feedback immediati e
con un monitoraggio in tempo reale delle reazioni nell'altra parte. Rientra tra questo il dialogo face to face.
Un esempio pratico può essere un professore che fa lezione e che decide se spiegare con un ritmo elevato
oppure no, chiedere in tempo reale se tutto è chiaro e avere subito da parte degli studenti un feedback per
poi eventualmente modificare il modo di spiegare adottato;
- La varietà simbolica. La comunicazione può essere verbale o non verbale, scritta o orale e queste categorie
possono essere contemporaneamente presenti in un singolo flusso di comunicazione e renderlo più ricco e
variato. La comunicazione non verbale è la parte della comunicazione che non riguarda il significato letterale
delle parole contenute nel messaggio (es: linguaggio del corpo). In una videoconferenza o in una situazione
face to face è più semplice trasmettere una maggiore varietà simbolica;
- Il parallelismo è una caratteristica del canale che indica il numero di fonti che possono trasmettere
simultaneamente sullo stesso canale e quindi di conseguenza indica anche la capacità di raggiungere
simultaneamente un numero molto elevato di riceventi. In un comizio, in un’aula: una fonte comunica, molti
riceventi ascoltano. In un forum/con la mail: scambio simultaneo di messaggi da più fonti/ raggiungere più
persone contemporaneamente;
- La modificabilità indica la capacità del canale di consentire di modificare il messaggio mentre esso viene
codificato. Per esempio, si può modificare un messaggio di testo prima di inviarlo oppure anche dopo per
magari completarlo e renderlo migliore. Quando la comunicazione avviene oralmente ciò che è detto è detto
e non può essere modificato;
- La riprocessabilità è la capacità del canale di consentire di riesaminare e processare ulteriormente il
messaggio inviato, dopo l'avvenuta ricezione. Un testo scritto digitale può essere salvato, modificato,
copiato, mischiato e così via. Un filmato però ha una riprocessabilità minore perché occupa uno spazio
ampio, difficile da trasferire, e richiede costi e tempi elevati per eventualmente a modificarlo.
Si possono definire due clusters sulla media richness e synchronicity:
Il cluster dei media caldi: a questo appartengono gli incontri face to face, le videoconferenze, il telefono,
i canali mediati;
Il cluster dei media freddi: a questo appartengono i media asincroni.
Non è possibile definire con certezza quale dei due cluster sia migliore: entrambi presentano dei punti di forza e
dei punti di debolezza, la scelta da effettuare dipende da molti fattori.
Il feedback: retroazione, cioè che l’effetto che la comunicazione ha su chi l’ha iniziata. Esistono vari tipi:
- Feedback inesistente: come nel caso di un video su internet senza che nessuno lo visualizzi, una trasmissione
televisiva, l’intervento di un giornalista a cui non è possibile fare domande. La comunicazione in questo caso
è detta unidirezionale: non è consentito o possibile chiedere maggiori informazioni o spiegazioni alla fonte e
la fonte non può capire se il messaggio è stato decodificato correttamente dal ricevente. Si tratta di una
comunicazione molto veloce ma che può dare vita a dei fraintendimenti;
- Feedback a bassa frequenza: la fonte invia il messaggio e il ricevente dà conferma di un’avvenuta ricezione
(positiva o negativa). Esempio dello studente e del docente.
- Feedback continuo o ad alta frequenza : il classico processo di comunicazione si trasforma in un processo
dialogico in cui non vi è una fonte e un ricevente, ma due soggetti che cercano di creare una comprensione
comune dell’oggetto di comunicazione. Esempio: membri del consiglio di amministrazione che discutono
delle strategie dell’azienda.
Il processo di comunicazione non è neutro rispetto all'ambiente in cui avviene: via un rapporto tra i 2 fattori.
Ambiente: luogo fisico o virtuale dove accade la comunicazione, il momento storico la cultura dei partecipanti, la
provenienza delle persone coinvolte e il mood che si crea durante la comunicazione. È interessante considerare:
Ambiente come esperienza comunicativa.
Secondo la scuola di Palo Alto e possibile descrivere questo concetto di ambiente attraverso 5 assiomi:
1. È impossibile non comunicare: fonte ricevente non hanno necessariamente bisogno di dirsi iscriversi
qualcosa per comunicare. La comunicazione implicita (silenzio imbarazzante, silenzio carico di tensione,
mancata risposta ad una mail) è importante tanto quanto quella esplicita. Dimenticarsi della parte non
verbale o tacita significa sottostimare la complessità del processo di comunicazione.
2. La comunicazione è composta da due livelli di segnale:
a) Livello di contenuto: cosa il ricevente deve fare a seguito della comunicazione;
b) Livello di relazione: modo con cui fonte ricevente si relazionano (modo pacato o aggressivo,
rispettoso o irrispettoso). Una comunicazione può essere molto chiara nella definizione dei ruoli
reciproci di fonte e ricevente oppure essere in continua lotta per la definizione del territorio.
3. Esistenza di una sequenza di eventi durante la comunicazione: la comunicazione è un processo che
avviene nel tempo e il suo significato è dato da quella che viene definita punteggiatura della
comunicazione stessa. La punteggiatura comprende il modo in cui si comunica, la scelta dei canali di
comunicazione. Esempio: allenatore che rimprovera il calciatore o gli fa capire perché ha giocato male.
4. Esistenza di due tipi di comunicazione: analogica (verbale) e numerica (non verbale).
5. La comunicazione può essere simmetrica o complementare.
a) Comunicazione simmetrica: la relazione tra fonte e ricevente è di assoluta qualità: lo status di
fonte e ricevente è simile.
b) Comunicazione complementare: lo status di fonte e ricevente è differente e il comportamento
della fonte completa il comportamento del ricevente
Le caratteristiche dell’ambiente che influenzano il processo di comunicazione sono tante, ma in particolare:
l’omogeneità ambientale:
- Ambiente omogeneo: fonte e ricevente sono culturalmente simili;
- Ambiente disomogeneo: fonte e ricevente sono culturalmente lontani.
Se individui abituati a culture ad alto contesto incontrano e comunicano con individui abituati a culture a basso
contesto, il crash culturale può diventare evidente. Tali differenze vengono amplificate dalla natura delle aziende
multinazionali.
Il fatto che i team siano a bassa prossimità geografica (composti da individui di nazionalità diversa) impatta
sull’efficacia della comunicazione, insieme ai tipi di canali utilizzati che possono amplificare o ridurre tale
disomogeneità.
Comunicazione efficace = giusta combinazione di canali, feedback e ambienti a seconda dell’obiettivo.
Si adotta un approccio contingente (non esistono modi di comunicare migliori o peggiori in assoluto). È necessario
individuare le situazioni in cui una combinazione di elementi possa risultare migliore di un'altra (fit tra elementi). La
regola generale è di cercare il miglior fit possibile fra tipo di task di comunicazione e caratteristiche dei canali di
comunicazione
- I processi di comunicazione che implicano condivisione di conoscenza non formalizzata su cui attuare
avvicinamenti reciproci sono meglio supportati da media caldi;
- Media freddi sono maggiormente adatti ai processi di trasferimento di conoscenza sofisticata, perché il
ricevente ha la possibilità di meditare sul messaggio, interiorizzarlo, e poi inviare il feedback alla fonte;
- Se la conoscenza è semplice (e posto che il ricevente abbia le adeguate abilità cognitive), non occorre
utilizzare metodi di comunicazione con basso tempo di feedback tra fonte e ricevente;
- Se la conoscenza è complessa occorre verificare che fonte e ricevente siano allineati sul significato trasmesso
e questo si può fare solamente con un frequente confronto tra le parti. Spesso questa necessità è
sottovalutata, perché in impresa non è sempre semplice costruire adeguati sistemi di feedback.