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CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA DI SALERNO

“GIUSEPPE MARTUCCI”

Tesi in Storia della Musica per Didattica

Scuola di Didattica della Musica

La tarantella di Montemarano

Ch.ma Prof.ssa Candidato


Francesca Seller Fabio Soriano

Anno Accademico 2006 - 2007


INDICE
pag.

Premessa 2
1. La tarantella, origini
1.1 Tarantella, origine del nome 4
1.2 La tarantella, ballo di possessione 8
1.3 Tarantella e Balli di Sfessania 11
1.4 Il ritmo: binario o ternario? 15

2. Il contesto rituale della tarantella di Montemarano


2.1 Il Carnevale a Montemarano 18
2.2 Il rito nella tarantella di Montemarano
e la figura del caporabballo 21
2.3 Il ballo processionale 26

3. Analisi musicale della Tarantella di Montemarano


3.1 Evoluzione organologica: gli strumenti
impiegati 31
3.2 La struttura ritmica e armonica 37
3.3 Le cellule melodiche: reinvenzione iterativa 42
3.4 Il testo cantato 46

4. Utilizzo didattico della tarantella


4.1 Un’ipotesi di progetto 50

Appendice

Una testimonianza: qualche domanda a Roberto


D’Agnese 56

Bibliografia e altre fonti 58


Premessa

A differenza di altre espressioni della cultura popolare in


Campania (la tammurriata alla Madonna Avvocata, la
tammuriata Giuglianese, la tradizioni dei costruttori di
zampogne di Colliano (AV), i canti del Cilento ecc.), la
tarantella di Montemarano ha goduto l’interesse di molti
studiosi che tanto hanno scritto a riguardo (De Simone,
Giovanni Giuriati, Giuseppe Tulli, solo per citarne alcuni),
dunque che senso avrebbe un ulteriore scritto sulla tarantella
di Montemarano se non quello di un mero lavoro di
compilazione?
A dispetto di ciò, questo lavoro trova giustificazione nel
fatto che vengono presentati simultaneamente i vari aspetti
legati alla montemaranese: viene analizzata, in primis, la
tarantella in quanto forma musicale, sulla quale pure è stato
scritto, ma evidentemente non a sufficienza, considerati i
malintesi tuttora esistenti; viene poi analizzato l’aspetto del
contesto rituale del Carnevale entro cui è inserita e trova la
sua naturale collocazione la tarantella di Montemarano.
Successivamente la stessa viene analizzata (non avremmo
potuto esimerci dal farlo) dal punto di vista musicale,
mettendo a confronto le varie tesi degli studiosi su
menzionati nonché le nostre personali osservazioni senza
(volutamente) dare un taglio eccessivamente tecnico a tale
analisi, considerato il carattere sostanzialmente divulgativo
di questo lavoro.
Viene poi fatta una breve analisi della tarantella dal "di
dentro" grazie al colloquio con Roberto D’Agnese, giovane
tamburellista appartenente alla famiglia D’Agnese, storici

2
rappresentanti delle esecuzioni della tarantella di
Montemarano.
Infine viene ipotizzato un impiego didattico dello studio sin
qui effettuato sulla montemaranese, trasferendo in un
progetto didattico le valenze socio-culturali di cui è intrisa
tale espressione della tradizione, nonché gli aspetti
squisitamente coreutico-musicali e ritmici della tarantella di
Montemarano.

Acerra, 12 gennaio 2007

3
Capitolo 1
La Tarantella, origini

Tarantella, origine del nome

Diverse e tutte sostanzialmente valide sono le ipotesi circa


l’origine del nome "tarantella", potrebbe essere il semplice
diminutivo di taranta, termine che in quasi tutti i dialetti
meridionali indica la tarantola ovvero un ragno (del genere
Lycosa tarentula) diffuso nei campi, quindi il nome del
ballo condurrebbe direttamente al fenomeno del tarantismo.
Non a caso il termine "tarantella" ricorre per la prima
volta nel 1641, in una pubblicazione scientifica del
gesuita A. Kircher, in riferimento alla danza in uso a
Napoli per curare i tarantati, ossia per curare quelle
persone che, credendosi morse o realmente punte dalla
tarantola, cadevano in crisi di possessione, dalla quale
guarivano danzando secondo un repertorio di musiche
tradizionali.
Dunque nel Seicento a Napoli era presente il fenomeno del
tarantismo, curato tradizionalmente con una danza liturgica,
detta «l'autentica Tarantella»1. Evidentemente, tale danza era
eseguita esclusivamente nelle occasioni in cui i posseduti
danzavano, né aveva altra funzione nella tradizione popolare.
Purtuttavia, già verso la fine del Seicento, il tarantismo
cominciò a sparire dalla città di Napoli, permanendo
solo in provincia per cui, esauritosi il fenomeno del

1
Cfr. DE SIMONE R., La Tarantella Napoletana ne le due anime del Guarracino,
Roma, Ediz. Benincasa, 1992, pagg. 45 e seg.

4
tarantismo, il repertorio musicale connesso alla danza
magica perse i suoi caratteri "sacrali", ma rimase nella
tradizione con altre funzioni.
Frammenti dei modelli musicali dell'antica danza si
ritrovano rifunzionalizzati in varie canzoni o in danze
collettive o processionali.
Considerato che la radice più arcaica riconducibile alla
parola "tarantella" è la stessa della città di Taranto, non è da
escludere che il termine "tarantella" si riferisca ad una danza
originaria di questa città.
Alcuni studiosi affermano che la tarantella deriva dalle
danze in onore del dio Dioniso (dio dell'ebbrezza e della
sfrenatezza dei sensi) in cui i ballerini usavano una veste
detta tarantinula o tarantinidion, in particolare la Sicinnide
era una danza pagana
in onore della ninfa
Sicina (o Sicinna),
una delle componenti
il corteo della dea
Cibele al seguito del
dio Dioniso; a tale
proposito osserviamo
che Francesco Liverani2 collega la parola "tarantella" a
quella latina tarentinula (letteralmente: piccola tarantina) ed
a quella greca Ταραντινιδιον, veste muliebre in uso nella
Magna Grecia3.

2
Cfr. LIVERANI F., Tarantella - Ballo popolare in <<Archivio per lo studio delle
tradizioni popolari>>, Palermo, 1836
3
Cfr. COFINI M., Tarantella in musica, o sia Ex tarantula vulgarium musica et
choreae: per una storia della tarantella dalle fonti musicali e non solo... /...anche un
contributo di Daniel Brandenburg su un'inedita descrizione di tarantella, Salerno,
Setticlavio, 2001, pag.11.

5
Attualmente la tarantella è un'ampia e diversificata famiglia
di balli tradizionali distribuiti nelle regioni dell'Italia
meridionale (Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia
e Molise), solo alcune aree però conservano oggi una
tradizione viva, assidua ed autentica del ballo: sono infatti
in corso processi di profonda trasformazione delle forme
coreutiche tradizionali, sia per estinzione del bisogno di
esprimersi con un linguaggio corporeo proveniente dalle
generazioni precedenti, sia per i radicali mutamenti dei
modelli di vita nelle comunità attuali.
Ciò premesso, è senz’altro da prendere in considerazione la
definizione di "tarantella" data da Marcello Cofini: <<danza
estatica o di possessione, solistica, di coppia, corale, cantata
e suonata o solamente suonata, con effetti di trance
(terapeutico od orgiastico) e con espressioni di
corteggiamento (uomo-donna), o con espressioni di sfida
(uomo-uomo), che non escludono movenze atte a significare
dominanza o sottomissione omosessuale4>>.
La stessa definizione si presta bene ad una analisi dei vari
elementi che concorrono alla sua formulazione.
Intanto è abbastanza evidente che l’espressione solistica
della tarantella sia da collegare al fenomeno del tarantismo
di cui ci occuperemo nel capitolo seguente; per quanto
riguarda invece la tarantella intesa come famiglia di balli
tradizionali dell’Italia meridionale, la maggior parte dei
repertori consiste in balli di coppia (non necessariamente
uomo-donna), ma esistono forme a quattro persone, in
cerchio e processionali. Più rare sono le forme con

4
Cfr. COFINI M., Op. cit.

6
solamente un ballerino o una ballerina (o, come vengono
più comunemente chiamati nel sud, ballatori).
Vi sono sottogruppi stilistici che hanno una propria
denominazione (pizzica, ballo 'ncopp 'o tammurro,
zumpareddu, viddhaneddha, ballarella, zumparella, ecc.),
così come vari sono i repertori musicali (in 2/4, 6/8, 4/4,
12/8, ecc.) e gli strumenti usati per suonarli (canto, tamburo,
zampogna, ciaramella, organetto, fisarmonica, chitarra
battente, violino, mandolino, flauto - fraulo e friscalettu -
doppio flauto, tromba de' zingari o marranzanu, clarinetto,
tamburo a frizione, ecc.).
Nella fattispecie della tarantella nella sua versione di
coppia, da un’attenta analisi dei repertori dei balli
tradizionali, svanisce di colpo o viene fortemente mitigato il
luogo comune per cui la danza etnica italiana, in particolar
modo quella meridionale, sia essenzialmente una danza
erotica, di corteggiamento, eseguita in coppia: la tarantella
invece si porta dietro questa diffusa remora, derivante da
una interpretazione di stampo turistico.
Come precisa il De Simone, <<la danza a coppie non deve
assolutamente associarsi all'oleografica danza d'amore tra
un uomo e una donna. Tali danze riguardano il folklorismo
deteriore e non esprimono affatto il senso culturale del ballo
tradizionale5>>. Ridurre la danza popolare in coppia - forma
di gran lunga più frequente in tutta Italia - ad un mero gioco
di conquista, innamoramento, litigio, gelosia, vendetta e
quant'altro, priva il ballo di altre dimensioni e di una
complessità semantica di cui esso vive. Ciò non toglie che

5
Cfr. DE SIMONE R., La tradizione in Campania, cofanetto contenente 7 LP, E.M.I.,
1979

7
l'aspetto erotico sia una delle funzioni della danza in genere,
ma va visto in un orizzonte antropologico più vasto.
Quanto alle espressioni di sfida cui si riferisce la definizone
del Cofini di cui sopra, basti pensare alla pizzica-scherma,
alla viddhaneddha calabrese e, per estensione, alle
moresche sulle cui origini musicali non vi è nulla di certo se
non che si trattasse, probabilmente, di danze rappresentative
della contrapposizione fra Mori e Cristiani.

2.1 La Tarantella, ballo di possessione

Sebbene per risalire a chiare citazioni del ballo riconosciuto


col nome di tarantella (e riconducibile a forme simili a
quelle attuali) bisogna attendere il XVIII sec., le prime fonti
che parlano di tarantella risalgono - come si è detto - al
XVII sec. e sono fonti musicali legate alla cura del morso
della tarantola (ragno del genere Lycosa tarentula nonché
del genere Latradectus tredecim guttatus) 6.
Tale morso (pizzico, in vari dialetti) si riscontrerebbe specie
durante la raccolta delle messi nei periodi estivi e
particolarmente nelle ore pomeridiane, e indurrebbe nel
soggetto colpito (nella stragrande maggioranza dei casi si
trattava di donne), stati di trance e di modifica della
coscienza come pure manifestazioni irrefrenabili e sfrenate

6
Da precisare che la Lycosa Tarentula, il ragno ritenuto responsabile, non è velenoso,
come gli scienziati hanno dimostrato, ma lo è invece il Latradectus tredecim guttatus,
parimenti diffuso nell'Italia meridionale, che i contadini confondono con il primo non
essendo in grado di distinguerli (come è stato confermato da una ricerca svolta nel 1959
dall’equipe diretta da Ernesto De Martino).

8
d'erotismo sessuale, con la cancellazione d'ogni inibizione e
forma di repressione, per giungere - talvolta - anche a forme
di autolesionismo.
Considerato che l’argomento è stato diffusamente trattato
dal De Martino7, a noi interessa solo osservare che
attraverso rituali basati sulla ripetizione ossessiva e a volte
ipnotica di formule ritmiche e musicali, l’ipotetica
possessione verrebbe trasformata in una sorta di alleanza
con lo spirito possessore, permettendo così l'eliminazione
dei sintomi negativi della malattia o della malattia stessa.
Il repertorio musicale connesso al tarantismo era molto va-
sto (in Puglia si osservava una gran varietà di canti e di
ritmi) ma a Napoli, come dichiara il Kircher, era in uso una
particolare musica molto animata, con andamento binario
in sei ottavi o in dodici ottavi chiamata «l'autentica
Tarantella».
Tarantella quindi originariamente terapeutica, ove era
considerata essenziale ai fini della guarigione, la scelta di
ritmo e melodia più consona al "malato"8.
Secondo lo Schneider9 gli stessi malati pur essendo del tutto
ignari di qualsiasi nozione musicale e normalmente incapaci
di distinguere l’intonazione giusta o errata di una voce o di
uno strumento, davano in escandescenze se i suonatori

7
Cfr. DE MARTINO E., La terra del rimorso, Milano, Il Saggiatore, 1961
8
Scrive il Padre gesuita Athanasius Kircher, nella sua Musurgia Universalis: << I
suonatori di Taranto, che curavano con la musica questo morbo (talvolta in qualità di
funzionari pubblici regolarmente stipendiati per aiutare i più poveri e per sollevarli
dalle spese) per accelerare e rendere più facile la cura dei pazienti solevano chiedere ai
colpiti il luogo e il campo dove la tarantola li aveva morsicati e il suo colore;
individuato subito il luogo dove diverse e numerose tarantole si adoperavano a tessere
le loro tele, i medici citaredi (cantanti e suonatori) si avvicinavano e tentavano vari tipi
di armonie e, mirabile a dirsi, ora queste, ora quelle saltavano…
Quando vedevano saltare una tarantola di quel colore indicata dal paziente,
affermavano con certezza di aver trovato il modulo esattamente proporzionato
all’umore velenoso del tarantato e adattissimo alla cura, con il quale ottenere un sicuro
effetto terapeutico>>.
9
Cfr. SCHNEIDER M., La danza delle spade e la tarantella, a cura di Pierpaolo De
Giorgi, Lecce, Argo, 1999

9
sbagliavano il ritmo o le note, interrompendo la loro danza e
riprendendola solo all’ascolto di una corretta esecuzione.
Inoltre, sempre secondo le testimonianze riferite dallo
Schneider, il suono del violino produceva in genere effetti
platealmente più rapidi sui soggetti morsi dalla tarantola ed
era da questi manifestamente preferito a quello di qualsiasi
altro strumento, sia a corda che a percussione.
Anche la velocità d’esecuzione era importante in queste
cure: accelerandola, si otteneva una diminuzione del tempo
occorrente alla guarigione.
Vi erano però delle eccezioni a queste regole: il De
Martino10 afferma infatti che erano previste non solo
tarante11 ballerine, libertine e canterine, ma anche tarante
tristi e/o mute, associate a stati d’animo depressi.
In questi casi il tarantato preferiva brani musicali lenti e
malinconici, delle nenie funebri o addirittura il silenzio. Ciò
perché la tarantola, secondo il mito narrativo, danza melodie
e ritmi diversi secondo la sua grandezza ed i suoi colori,
trasmettendo alla persona "pizzicata" le corrispondenti
inclinazioni coreutiche (dal greco chorèia = danza),
melodiche e cromatiche.
Da tutto quanto ciò si evince sostanzialmente che: la
tarantella ha le sue origini nel ballo di possessione utilizzato
nella cura dei tarantolati; tale ballo veniva evidentemente
ballato da una sola persona.
Il repertorio musicale era ampio e la scelta era influenzata
dallo stato di possessione del soggetto e dalle reazioni di
quest’ultimo alle diverse musiche suonate: a riguardo ci

10
Cfr. DE MARTINO E., Op. Cit.
11
Quest’unico termine si riferisce in qualche modo sia alla particolare suonata, sia al
ragno, sia al soggetto morso da quest’ultimo.

10
sembra allora più giusto parlare di "tarantelle" considerato
l’elevato numero di melodie impiegate e che i suonatori
dovevano conoscere per poter raggiungere lo scopo di
guarire il tarantolato.
La tarantella poteva essere cantata ma anche solo suonata e
gli strumenti impiegati erano, di preferenza, il violino e il
tamburello, a Napoli frequentemente accompagnati - come
vedremo più avanti - da un calascione12.

1.3 Tarantella e Balli di Sfessania

Riteniamo di dover qui chiarire le presunte relazioni tra la


tarantella e le suddette danze, delle quali, tra l'altro, non
ci è mai pervenuto alcun documento musicale.
Cominciamo col dire che Sfessania è una denominazione
più letteraria che autenticamente popolare. Il termine, in
effetti, venne riferito per la prima volta dallo scrittore
Giovambattista Del Tufo (sec. XVI), in connessione ad
alcune manifestazioni osservate a Napoli durante il
Carnevale. Successivamente, si trova menzionato dal
Basile (nel Cunto, giornata terza, introduzione) come
danza cortese13. Non si riscontra nelle opere poetiche

12
Il colascione, a Napoli detto anche "tiorba a taccone", risalente al secolo XVII, era
uno strumento con un manico lunghissimo (da 1 a 2 metri) e cassa piccola; veniva usato
per la realizzazione del basso continuo nei complessi da camera, nei brani di danza e
nella musica sacra. A Napoli si usava un modello più piccolo di colascione (lungo circa
1 metro), il colascioncino o "mezzo colascione", che il popolo partenopeo chiamava
calascione e rappresentava uno strumento prettamente popolare (persino la maschera di
Pulcinella veniva raffigurata con un calascione tra le braccia)
13
Cfr. DE SIMONE R., La Tarantella Napoletana ne le due anime del Guarracino,
Roma, Ediz. Benincasa, 1992, pagg. 67 - 69

11
di altri scrittori napoletani di epoca barocca (Cortese,
Sgruttendio, Sarnelli, ecc.), i quali pure concedevano
ampio spazio descrittivo alle manifestazioni popolari
presenti a Napoli in quel tempo.
La denominazione di Balli di Sfessania, data da Jacques
Callot14 ad una sua
famosissima serie di
composizioni grafiche15,
ha prodotto diverse
confusioni negli scrittori
napoletani degli ultimi
due secoli.
In effetti, seguendo una consuetudine letteraria non solo
napoletana, con tale termine si designavano alcune
manifestazioni carnevalesche che, derivate da antichi rituali
agricoli, si mostravano trasferite e degradate in aree urbane,
pur conservando arcaiche connotazioni demoniache,
16
itifalliche ed erotiche.
Ma il Callot adoperò il termine Sfessania in senso molto
ampio, accomunandovi, fantasiosamente, personaggi e
mascheramenti osservati
a Napoli ed a Firenze
durante il Carnevale. Né
i ventiquattro disegni in
oggetto costituiscono una
fonte di documentazione attendibile dal punto di vista
storico, a meno che non li si collochi nella capricciosa

14
Incisore francese (Nancy, 1592 – Nancy, 1635)
15
Le cosiddette acqueforti di Callot. L’acquaforte è una tecnica di riproduzione a
stampa che consiste nell’incisione su lastre di rame o di zinco opportunamente
preparate, che vengono sottoposte all'azione dell'acido nitrico o di altro mordente.
16
Dal lat. ithypha°llu(m), che è dal gr. ithy/phallos, comp. di ithy/s 'dritto, eretto' e
phallós 'fallo, membro virile'

12
poetica dell'Artista, il cui scopo non era affatto la
riproduzione della realtà, ma la creazione di una poetica
stilizzata, affine alle aggregazioni linguistiche del suo
tempo.
Difatti, in tali Balli si trovano maschere, personaggi
itifallici, mottozzi17, canzoni ed espressioni di varie aree
(napoletana, romana, fiorentina,
bergamasca, ecc.) Purtuttavia,
sono riconoscibili diversi
elementi di area napoletana,
quali il personaggio di Razullo,
di Cucurucù, Pulliciniello, Lucrezia (Zeza), di
Cucorognà e di Pernovallà, mottozzi desunti dal
linguaggio moresco. Ma ribadiamo che, comunque,
questi nomi sono da considerare riferimenti ed allusioni
in astratto, e non rappresentazioni storicamente reali.
In ambito letterario, la diffusione del termine Sfessania
è attestata da una commedia carnevalesca, rappresentata
a Roma nel 1641 e cioè Li Buffoni di Margherita
Costa.
Nella prefazione della commedia, l'autrice indica le diverse
deformità fisiche dei personaggi che recitano,
specificandone le caratteristiche di pazzi, di dementi, di
nani, di gozzuti, di gobbi, ecc.; insomma, le medesime
caratteristiche che a livello figurativo, si ritrovano nei
Balli di Callot. Inoltre, l'azione si svolge in Marocco,
dove, tra i protagonisti, figura il principe Meo, e Marmotta,
principessa di Fessa (e con tale termine si gioca

17
Parole non di senso compiuto (che abbondano nelle antiche canzoni popolari) messe
per vezzo, per ironia o per creare una rima (es. <<zuffamiré zuffamirella e ’ndindirindì
cu ’na tarantella>>).

13
ambiguamente, indicandosi sia il sesso femminile sia il
nome di città che corrisponde all'attuale Fez).
Ovviamente le allusioni licenziose sono frequenti e
diverse. Si parla di "Fessania terra" come patria della
protagonista, si parla di "Fessanti" (o "Sfessanti") come
cittadini della medesima città. Insomma, dai dati
esaminati si può evincere che a Napoli un ballo denominato
Sfessania è probabilmente esistito, come manifestazione
popolare, fino alla fine del Cinquecento. Difatti, il Del
Tufo ne parla come un ballo esclusivamente
carnevalesco, il che vuol dire che già a quel tempo lo
Sfessania era una espressione urbana disancorata dalla
sua ritualità primitiva.Successivamente il Basile lo
menziona accomunandolo ad altre danze cortigiane e
semicolte, ossia ad un genere musicale largamente
consumato in Città per
feste occasionali e non più
rituali. In conclusione:
pochissimo sappiamo di
tale ballo. Gli elementi
emergenti dai disegni del Callot e dai pochi testimoni
letterari rimandano ad una rappresentazione di personaggi
demoniaci ed itifallici, in rapporto ad un probabile rituale
carnevalesco, di carattere
augurale e di rinnovamento
stagionale. Sebbene non
eccezionale, è comunque
interessante il legame
iconografico con la
"tarantella", considerate le incisioni che raffigurano alcuni

14
dei personaggi nell’atto di suonare gli strumenti
tipicamente impiegati per l’esecuzione della tarantella, si
vede infatti Fracischina intenta a suonare il tamburello (tra
l’altro con l’impugnatura detta "femminile") e Razullo con
in mano un calascione.

3.1 Il ritmo: binario o ternario?

Ci soffermeremo ora sulla questione del ritmo della


“tarantella”, proponiamo quindi il documento del 1641,
ossia la trascrizione della danza terapeutica che si praticava
a Napli per la cura del tarantismo.
Come è già stato detto, il Kircher afferma che tale tipo di
danza era chiamato «l'autentica Tarantella» ed è in tempo
ternario.

Vi è poi un altro documento (conservato presso la


Biblioteca del Conservatorio di Napoli) contenuto in un
quaderno di Partimenti musicali, attribuito a Gaetano

15
Greco; tra le tante danze trascritte, figura la parte di basso
della tarantella tradizionale.

Le preziose testimonianze gettano luce su di un aspetto


della tarantella da sempre controverso: il ritmo.
Da questi documenti si possono trarre subito delle
conclusioni: il ritmo di tarantella può essere tanto binario
che ternario; il fatto che la parte del Greco sia del basso e
sia inclusa fra dei partimenti suggerisce che vi fosse uno
strumento grave che la realizzasse (ecco spiegata la
presenza del calascione in tanta iconografia sulla tarantella)
e che vi fosse uno strumento che su tale partimento
costruiva delle variazioni, probabilmente improvvisate
(pratica che ritroveremo tal quale nella tarantella di
Montemarano).
Del resto è binario il ritmo del basso della cosiddetta
"Tarantella del Gargano", appartenente al repertorio di
quelle che in Puglia si chiamano mundanarë

Come pure è binario il ritmo del basso su cui è costruita la


canzone (che in definitiva è anch’essa una tarantella)18 del
Guarracino

La presenza in queste composizioni di numerosi gruppi


irregolari (per lo più terzine) ha portato, con il trascorrere

18
Cfr. DE SIMONE R., La Tarantella Napoletana ne le due anime del Guarracino,
Roma, Ediz. Benincasa, 1992

16
dei secoli, alla trasformazione del suo ritmo da semplice (a
suddivisione binaria) a composto (a suddivisione ternaria).
Appare dunque evidente - e in ogni caso ci preme ribadirlo -
che non è assolutamente vero che la tarantella (come viene
invece talvolta sommariamente teorizzato) era solo in ritmo
binario o solo ternario, è invece molto più verosimile che vi
fosse una presenza contemporanea di entrambi i metri.
Tutto ciò è sempre da mettere in relazione con il fenomeno
del tarantismo e dell’impiego delle tarantelle come musiche
terapeutiche.
A questo punto può essere utile conoscere i significati
attribuiti da M. Schneider19 ai numeri corrispondenti
all’unità di misura o di movimento (numero 1), alle duine
(numero 2), alle terzine (numero 3) e all’insieme delle
crome formanti un’intera battuta di 3/4 o di 6/8 (numero 6):
 numero 1 : fuoco purificatore e/o la tarantola
maschio;
 numero 2 : Magna Mater o Terra;
 numero 3 : il cielo o numero/idea dell’uomo;
 numero 6 : il fuoco erotico e/o la tarantola
femmina.

Inoltre, dividendo le 6 crome formanti la misura in 2 gruppi


di 3 oppure in 3 gruppi di 2 ( 2 = femminile, 3 =
maschile), si stabilirebbe una catena tra cielo e terra.
Conseguentemente, l’alternanza dei suddetti gruppi ritmici
metteva in contatto il corpo degli ammalati con il loro
spirito, consentendo il superamento dello stato di malattia
tramite l’immedesimazione nella malattia stessa.

19
SCHNEIDER M., La danza delle spade e la tarantella, a cura di Pierpaolo De
Giorgi, Lecce, Argo, 1999, pp. 106-107

17
Capitolo 2
Il contesto rituale della tarantella di
Montemarano

2.1 Il Carnevale a Montemarano

Il Carnevale di Montemarano è frenesia collettiva,


esaltazione da cui tutti sono invasi nei tre giorni
(domenica, lunedì e martedì grasso) prima delle Ceneri.
Tutti si affrettano nelle strade del paese richiamati dalle
note, percepite sin dalla tenera età 20, della tarantella
montemaranese21 il cui aspetto coreutico della processione
si è conservato rendendo questa danza una delle tradizioni più
interessanti della Campania.
Le maschere lanciano una quantità enorme di confetti agli
amici e a tutte le persone che trovano nelle strade in senso
di cordialità e di amicizia, nel paese è un via vai di
maschere, di persone venute da lontano per vivere con
il Montemaranese una giornata di allegria, di felicità.
Il Carnevale ha inizio il 17 gennaio, festa di S. Antonio Abate e
termina la domenica dopo le Ceneri con "Carnevale Morto"
Il caporaballo (sorta di Pulcinella di cui diremo più
avanti) dirige la mascarata in processione, evitando di far
allontanare i danzatori dalla musica, di tenere la giusta
distanza tra le due file che costituiscono la processione,
ridurre al minimo l'impatto tra mascherate e con il pubblico.

20
Pare addirittura che le giovani mamme di Montemarano, per far addormentare i loro
bimbi ancora in fasce, cantino non le classiche ninnananne ma motivetti di tarantella.
21
D’ora in avanti useremo - indifferentemente - il termine tarantella di Montemarano o
montemaranese.

18
Vi sono state famiglie che hanno tramandato di generazione
in generazione il ruolo del caporaballo, tra queste ricordiamo
la famiglia Gambale22 e la famiglia D'Agnese.
La maschera femminile caratteristica di Montemarano è la
Pacchiana.
Questa tipica maschera indossa: ai
piedi zoccoli di legno adornati da
nastri rossi, la gonna di flanella
rossa, il colpetto di un velluto nero, i
mutandoni bianchi che arrivano al
ginocchio, la camicetta bianca scollata,
le calze bianche adornate con nastri,
un busto stretto e aderente e in testa un fazzoletto colorato
e lavorato con finissimi ricami, abbellivano il costume, gli
orecchini larghi, cioè le sciaccaglie e collane molto vistose.
Invece, la maschera caratteristica maschile è quella del
Vecchio che indossa: i pantaloni e la giacca di velluto a
coste molto larghe con bottoni di
metallo, i calzettoni bianchi, un gilè a
cammìsola, un fazzoletto rosso legato
intorno al collo, una fascia larga alla
vita che scende in un fianco, un
cappuccio bianco che alla punta porta
un fiocco bianco legato ad un filo.
Come si è detto, il carnevale ha
termine la prima domenica di Quaresima con il
"Carnevale morto"23 e la rottura della pignata.

22
Infatti, si ricorda di un componente della famiglia Gambale che, nel testamento, lasciava ai
discendenti una maschera di cuoio e la fascia larga da caporaballo perché
continuassero la tradizione.
23
Anticamente questa usanza del "Carnevale morto" ricorreva il mercoledì delle Ceneri.

19
Viene costruito un carro con sopra un fantoccio che
rappresenta Carnevale moribondo, fatto di paglia, segatura,
budella ed un po' di esplosivo.
Il carro, accompagnato da molte persone, attraversa le
vie del paese; la moglie - quasi sempre rappresentata da
uomini24 - piange disperata e dice: << te voleva tanto bene e
m’ha lassato accussì, sùboto, e como voglio fa a pava' tanti
riebbiti vuo’ marito mio, como le voglio pavà25 >>.
Il corteo arriva in piazza con infermieri e medici che
fanno di tutto per salvare Carnevale moribondo, lo operano
e alla fine gridano a tutte le persone presenti: << è muorto
carnevale como vulimmo fa! >>.
A questo punto si legge il testamento, si accende
l’esplosivo e Carnevale scoppia.
Subito i suonatori ricominciano a suonare la tarantella
e tutti ballano un’ultima danza sfrenata.
La sera la gente si riunisce nei locali e si diverte ballando; a
notte inoltrata si rompono le pignate: alcuni tra i presenti
vengono bendati e con un bastone devono riuscire a
frantumare i vasi di terracotta che in genere sono tre, dai
quali fuoriescono cioccolatini, caramelle e dolciumi che
simbolicamente rappresentano un buon auspicio per la
primavera che si approssima.

24
Della presenza di simboli ermafroditi nel rito (del Carnevale e non solo) parleremo
nel paragrafo successivo.
25
Per un’analisi più approfondita delle lamentazioni funebri inscenate a Carnevale si
veda DE SIMONE R. - ROSSI A., Carnevale si chiamava Vincenzo: rituali di
Carnevale in Campania, Roma, De Luca, 1977, pp. 152 - 178

20
2.2 Il rito nella tarantella di Montemarano e
la figura del caporabballo

Il rito è il comportamento umano che manifesta l’esperienza


da parte dell’uomo nei rapporti con realtà extrasensibili o
extraumane. Il rito è sempre una manifestazione collettiva in
quanto il carattere assembrativo e corale della funzione da'
forza e carica evocativa ad azioni e gesti che, nella loro
individualità, sono come una minima parte di energia che,
moltiplicata per il numero dei partecipanti al rito, ha tanta
forza da poter entrare in comunicazione con un’energia più
grande: la divinità.
Nel rito l’uomo impegna tutto il suo essere, nella sua unità
di materia e di spirito. Infatti il rito, pur implicando una
partecipazione puramente spirituale, non può prescindere
dall’apporto della realtà materiale dell’individuo, cioè il
corpo.
Il corpo umano, infatti, può "esprimere", diventando un
linguaggio attraverso il quale l’individuo entra in contatto
con la divinità. La gestualità, la musica e la parola, intesa
quest’ultima come realtà simbolica, magico-evocativa, sono
gli elementi fondamentali di qualsiasi rito e presso qualsiasi
popolazione della terra.
Per comprendere la ritualità antica è opportuno liberarsi
dalla concezione cristiana del rito. La filosofia cristiana
infatti non concepisce barriere fra Dio (Natura Divina,
l’Essere) e le sue creature che, in quanto figli di Dio, vivono
con questi un rapporto di divina parentela e non di prostrante
e timoroso vassallaggio.

21
Il contatto con la divinità si instaura con la preghiera che,
anche se pronunciata coralmente, è contatto individuale,
intimo, diretto e immediato con Dio.
In tal modo i riti della liturgia Cristiana hanno carattere più
celebrativo e commemorativo che evocativo. L’uomo delle
civiltà primitive invece raggiunge faticosamente, grazie
all’energia evocativa collettiva, il contatto con la divinità.
Il Cristianesimo e il nuovo rapporto che questa religione ha
instaurato fra l’uomo e Dio, ha relegato il rito, o meglio,
quello che rimane dell’arcaica ritualità, nelle anguste riserve
delle tradizioni popolari, una generica ma comoda
definizione in cui si fanno rientrare tutte quelle
manifestazioni che non sono previste dalla cultura ufficiale.
Palesi tracce di ritualità sono rinvenibili in alcune
manifestazioni popolari, sia esse di natura spiccatamente
profana che di genere religioso perchè nella religiosità
popolare rientrano riti e pratiche pagane sopravvissute alle
operazioni moralizzatrici della Chiesa.
La ritualità della tarantella di Montemarano è direttamente
legata a quella del corteo di Carnevale del quale è parte
integrante, i ballerini della tarantella infatti accompagnano il
corteo di Carnevale che in processione attraversa tutte le
strade del paese, dunque sono quanto rimane di antichi
cortei in preda all’euforia e alla smania collettiva.
Nei festeggiamenti del Carnevale confluiscono aspetti di
diversi riti pagani. Innegabile è il carattere propiziatorio del
Carnevale che richiama riti agricoli di propiziazione della
divinità e quindi del raccolto; in quanto tale non ha perso i
simboli antichi della fecondità.

22
L’ermafroditismo è manifesto negli arredi delle maschere
del corteo di Carnevale, nonché nelle maschere stesse.
La "Vecchia di Pulcinella", strana combinazione di due
maschere: quella della vecchia e quella di Pulcinella, è un
elemento ermafrodita.
La maschera è realizzata da un
uomo travestito nella parte
superiore del corpo da Pulcinella
e dalla vita in giù da donna.
Il personaggio femminile è
costituito da un busto di
pupattola con braccio di stoffa, il
quale, montato su di un bastone,
viene fissato al corpo dell’uomo.
Soggetto particolare è anche la Vecchia ‘o Carnevale che,
maschio travestito da donna, ostentando la propria
femminilità nel rigonfiamento del ventre, è simbolo vivente
di ermafroditismo nell’unione del sesso maschile (l’uomo
che fa da maschera) e del sesso femminile (la maschera
stessa). L’ambiguità maschio – femmina, su cui gioca il
travestimento26 della "Vecchia di Pulcinella", ispira tutte le
maschere che partecipano al corteo di Carnevale. Infatti un
tempo tutti i componenti del corteo erano maschi, anche
quelli che impersonavano personaggi femminili.
Le motivazioni di questa tradizione - che alcuni hanno
cercato nel moralismo della Chiesa che avrebbe impedito
alle donne di prendere parte come attori, altri nel
maschilismo imperante della società - in sostanza sono da

26
Per una analisi più estesa sul travestimento nel Carnevale si veda DE SIMONE R. -
ROSSI A., Carnevale si chiamava Vincenzo: rituali di Carnevale in Campania, Roma,
De Luca, 1977, pp. 15 - 19.

23
ricondurre al carattere rituale del Carnevale che fa capo a
culti antichi aventi per oggetto divinità femminili.
Il travestimento femminile immedesima i partecipanti nel
ruolo femminile che li accomuna a tratti esteriori della
divinità della quale si vive l’ermafroditismo con l’ambiguità
sessuale della maschera. La maschera che assomma tutti i
simboli dell’ermafroditismo è Pulcinella la cui figura,
completata e prolungata dal grande cappellone, contribuisce
a rievocare uno di quegli antichi falli che con fine
propiziatorio, veniva portato in processione nei campi.
Del resto, è simbolo ermafrodita anche perché è quanto
rimane di un’antica divinità matriarcale, poiché, come
quella, per autofecondazione, genera i piccoli pulcinella,
partorendoli dalla gobba27. Ma sono Pulcinella i personaggi
che conducono la Tarantella fra le vie di Montemarano?
I Montemaranesi chiamano Pulcinella il caporabballo,
ovvero una maschera dai larghi
pantaloni, dal grosso camicione
sblusato, da una cintura, dal
caratteristico cappello a cono
terminante con una pallina di lana
rossa: il camicione è guarnito da una
mantellina bianca ricavata dalla
piega ricamata di un lenzuolo con
bordi in rosso.
Il travestimento negli elementi essenziali fa pensare ad un
Pulcinella, anche il colore rosso delle rifiniture del mantello
e la pallina del cappello è un allusione ad un tratto distintivo

27
Cfr. DE SIMONE R. - ROSSI A., Op. cit., p.75

24
della maschera classica: la maglia rossa che Pulcinella porta
sotto il camicione e di cui sono visibili i polsi.
Ma perché sono in tanti intorno ad uno che dirige con grida
ed incitamenti il ballo processionale? Perché la caratteristica
maschera nera di Pulcinella non è mai abbassata sul volto
che quindi è sempre ben visibile? Perché i ricami dei
mantelli dei Pulcinella-Capoballo (chiamiamoli così per
intenderci) non coincidono? Se il travestimento ha la
funzione di rendere anonimo un personaggio con l’effetto di
generalizzazione legato alla maschera, perché tanti elementi
riconducono ad un individualismo e personalismo voluti e
cercati nella maschera stessa?
Gli elementi per una identificazione sociale sono palesi: il
volto, in primo luogo. Essere caporabballo o far parte del
corteo del caporabballo è un onore che spetta ad una
persona per tradizione, come incarico ereditario; si tratta
sempre di persone con un certo prestigio.
L’onore di essere investito dalla carica di caporabballo deve
essere confermato da elementi esteriori che mettano in
evidenza il personaggio, eventualmente, anche la sua
ricchezza.
Si faceva poc’anzi riferimento al mantello dell’arredo del
caporabballo: una piega di un lenzuolo ricamato.
È dunque una gara di ricamo fra corredi che ancora oggi
nella cultura popolare sono un elemento di distinzione
sociale?28
A Montemarano il clou del corteo di Carnevale, la tarantella,
è a viso scoperto. L’individuo non ha bisogno di annullarsi

28
Non dimentichiamo che si usa ancora, in alcuni paesi della Irpinia, esporre il corredo
della sposa qualche giorno prima del matrimonio, ben visibile a quanti, recandosi a
porgere i loro auguri, possono anche farsi un’idea delle ricchezze che la sposa ha in
dote.

25
nell’anonimato anzi è investito di una carica datagli dalla
comunità che sa che quello intercederà non solo per le sue
qualità magiche, come lo stregone delle comunità tribali, ma
soprattutto per la sua investitura sociale attualmente legata
semplicemente ad una elezione in rispetto ad una tradizione,
senza alcuna connessione necessariamente sociale o mistica.
Un Pulcinella particolare dunque quello del corteo della
tarantella montemaranese, una sorta di involucro
tradizionale riempito di un contenuto legato alle esigenze
sociali di un popolo.

2.3 Il ballo processionale

La tarantella montemaranese è quanto rimane di un antico


ballo processionale. È difficile stabilire, oggi, con esattezza,
in che cosa consistesse il ballo processionale, se si limitasse
ad un puro e semplice camminare ritmico o fosse, invece,
un’azione coreografica più complessa. Attualmente forse la
tarantella montemaranese è uno dei pochi esempi di ballo
processionale sopravvissuto all’evolversi dei tempi.
La Chiesa primitiva, infatti, fu impegnata in un’operazione
di depurazione dagli elementi pagani che si erano introdotti
nelle pratiche religiose cristiane nei primi anni di diffusione
del Cristianesimo, quando elementi di diverse culture, di
diversi credi religiosi erano confluiti nella nuova religione,
esprimendola con riti e pratiche appartenenti al culto
praticato prima della conversione. L’attività "moralizzatrice"

26
della Chiesa interessò sia il campo teorico (la filosofia, la
teologia) che il campo rituale (controllo della liturgia nei
suoi aspetti testuali e musicali, regolamentazione delle feste
e delle processioni ad esse connesse). L’elemento
coreografico, che dalle tradizioni pagane era stato assorbito
nelle pratiche rituali del nuovo culto, fu quello
maggiormente sacrificato. Più di ogni altra manifestazione la
danza ricordava, infatti, gli eccessi, la corruzione dei
costumi di una società, quella romana, nei confronti della
quale, fin dall’inizio, il Cristianesimo aveva assunto un
atteggiamento di condanna e di rifiuto29.
La danza, il ballo processionale così escluso dal culto
ufficiale, trovava rifugio nelle pratiche popolari, meno
controllate dalla Chiesa. Purtroppo attualmente abbiamo
poche testimonianze di queste antiche danze, alcune sono
scomparse, altre hanno perso il carattere e le funzioni
originarie, ragion per cui solo ad un’analisi più accurata è
possibile rinvenire l’intima parentela con le antiche danze
suddette, legate a culti e a pratiche magico-religiose della
antichità. Quest’ultimo è il caso della tarantella
montemaranese, la cui fortunata sopravvivenza è legata alla
stretta connessione con la tradizione del Carnevale.
Il suo legame con il Carnevale infatti ha le tracce palesi della
ritualità antica che eludono ogni dubbio circa la natura di
ballo processionale a carattere magico-rituale e funzione
mistico-propiziatoria. Dunque come il Carnevale, la
tarantella montemaranese è legata a culti agrari di carattere
propiziatorio e liberatorio. In origine la tarantella
29
I riti Dionisiaci furono dichiarati immorali in quanto i coreuti di quelle orde
processionali, al ritmo frenetico ed esasperante di una musica, per noi per sempre
ignota, ballavano in preda ad una smania nella quale i sentimenti repressi dalle norme
sociali e religiose trovavano il loro sfogo. Attraverso la musica e la collettività della
smania e dopo l’appagamento dei sensi, l’individuo trovava il suo equilibrio naturale.

27
montemaranese doveva essere un’azione coreografica
collettiva, cioè non ispirata al ballo con coppie promiscue.
In tutte le culture primitive, infatti, e anche nelle attuali
culture popolari, presso le quali ancora permangono le
antiche tradizioni e le antiche attività, essenzialmente
ispirate al modello di vita che concepisce la vita e tutte le
attività di questa in comune (si pensi ad una piccola
comunità che viveva prevalentemente del lavoro dei campi),
non possono che concepire comunitario e corale il
divertimento. Dietro il ballo collettivo, vi sono significati
antichi più complessi. Il ballo processionale, come prima si è
detto per il Carnevale, è un contatto con la divinità, o
meglio, è uno sprigionare, attraverso il movimento, l’energia
sufficiente a rendere possibile il contatto con la divinità.
Scopo di tutto questo è, naturalmente, la propiziazione di
quella divinità che, grazie al succedersi delle stagioni,
renderà possibile la vita sulla terra, fecondando piante,
animali e uomini.
Non a caso l’azione coreografica della tarantella di
Montemarano consiste di due file di danzatori a mo’ di
processione che, durante la danza, si avvicinano e si
allontanano.
Tale andamento correlato dal caratteristico voltarsi all’
indietro e all’esterno dello spazio contenuto fra due file di
danzatori è un chiaro gesto esorcistico. Le due file che
costituiscono il ballo processionale di Montemarano hanno
la funzione di arginare il male, di isolarlo tra le due rette
parallele che non sono valicabili né dall’interno, né
dall’esterno e i gesti spasmodici dei danzatori ne
sottolineano la difficoltà.

28
Molti elementi, inoltre, fanno riferimento al mondo dei
morti. Infatti, se é vero che il caporabballo è un Pulcinella,
anche se rivisto in certe sue funzioni, appare incontestabile
la componente psicopompa30 del rito.
Il Pulcinella che funge da capoballo, cioè dirige e vigila
l’azione coreografica, ha di per sé un significato legato al
mondo degli inferi. Gli abiti di Pulcinella sono elementi
notturni, legati al sonno, alla morte, sia pure apparente: il
cappuccio è la federa di un guanciale, la mantella il bordo di
un lenzuolo, i calzoni la parte inferiore del pigiama, la
giacca una camicia da notte da donna, la maschera di
Pulcinella è nera, colore della morte. Né è da sottovalutare il
fatto che i danzatori della tarantella montemaranese
accennano durante la danza a passi che alludono al
procedere caratteristico dei gallinacei. La gallina, infatti, è
un segno del regno dei morti, perchè le galline, per il loro
continuo razzolare, sono considerate molto vicine alla terra e
quindi al regno degli inferi, inoltre si nutrono di vermi che,
nell’antichità erano simbolo di morte.
E potremmo continuare con una lettura alla luce degli
insegnamenti di Roberto De Simone31: la presenza, in prima
fila, dei bambini che, come gli anziani, sono considerati
vicini agli inferi e alla divinità perché asessuati, è un
elemento che, insieme ai precedenti, evidenzia la relazione
fra questa danza e l’evocazione del regno degli morti,
oggetto di un antico rito agrario-propiziatorio a cui, senza
dubbio, rimanda questa tradizione.

30
Dal greco psychopompós, comp. di psychee-/ 'anima' e pompós 'che guida, che
conduce'. Nella religione greca antica, epiteto di divinità (quali Ermes o Caronte) che
accompagnavano le anime dei morti nell'oltretomba.
31
Cfr. DE SIMONE R. - ROSSI A., Carnevale si chiamava Vincenzo: rituali di
Carnevale in Campania, Roma, De Luca, 1977, pp. 92 - 94

29
Infatti il mondo contadino è regolato dal periodico
succedersi delle stagioni: se non esistesse l’inverno non
sarebbe possibile la primavera, epoca in cui si ripete il
miracolo della vita.
Questi simboli legati al mondo degli inferi confermano
l’intima connessione fra la tarantella e il corteo di Carnevale
che, nell’ultimo giorno dei festeggiamenti, è un corteo
funebre per il cadavere di Carnevale che, nel suo morire e
rinascere ogni anno, simbolizza il ritmo della vita.
Abbiamo già detto che gli aspetti perseguiti dalla morale
cristiana si rifugiarono nel Carnevale e, se è vero che semel
in anno licet insanire, oggi nel Carnevale è possibile ancora
ritrovare tracce di antiche tradizioni.
Ogni occasione è buona per – si dice a Montemarano –
"uscire con la tarantella" dove "uscire" rimanda decisamente
all’impiego processionale di questa musica.
Ma oggi, anche se si "esce" con la tarantella, il ballo
processionale si conserva al più fino in piazza, una volta qui,
fra le figure caratteristiche della tarantella se ne introducono
altre prese in prestito da altri balli (quadriglia, balli in tondo)
largamente diffusi presso le popolazioni contadine32. Col
tempo, persi gli antichi significati, la tarantella si è caricata
di motivi sociali nuovi, oggi la tarantella è un modo per
sentirsi insieme, per sentire vivo l’intimo legame con le
antiche tradizioni.

32
Non è un caso che tali balli facciano largo uso del cerchio (uno spazio circolare,
delimitato dalle persone stesse ed entro cui gli stessi danzatori descrivono delle figure
circolari).Il cerchio, in tutti i simbolismi umani, rappresenta la perfezione, l’idea divina,
il tutto. Il cerchio rientra nei termini del linguaggio magico, ponendosi come segnale di
contatto con la divinità. Le prerogative magiche di questa figura possono originarsi dal
fatto che è la stilizzazione di astri quali la luna e il sole, primitive divinità dell'umanità
in ogni cultura. Il cerchio, nella sua divina perfezione è la figura che accerchia ed isola
il male dalla comunità ma, nello stesso tempo, delimita uno spazio preservandolo dagli
attacchi malefici.

30
Capitolo 3
Analisi musicale della tarantella di
Montemarano

3.1 Evoluzione organologica: gli strumenti


impiegati

Il complesso originario che eseguiva la tarantella di


Montemarano prevedeva, quasi sicuramente, una ciaramella,
un tamburello, le castagnette ed una voce maschile, dato che
il significato del testo33 non fa supporre un protagonista
femminile; non è da escludere tuttavia l’impiego di doppio
flauto34 e zampogna; a tale proposito riportiamo
un’affermazione della Della Sala che ci pare alquanto
significativa: << Tutt’oggi la ciaramella e la zampogna,
nonché il doppio flauto, sono considerati ancora e,
purtroppo, unico appannaggio dei pochi pastori
sopravvissuti nelle zone dell’interno. Il loro repertorio, per i
cittadini che a Natale li sentono suonare per le strade del
centro, sembra essere limitato alle classiche arie natalizie,
ma, in realtà, doveva esistere un ampio repertorio in cui si
esauriva tutta la produzione musicale di un popolo.
La zampogna, fino ad ora, non è mai stata menzionata negli
studi precedenti né dalla popolazione interrogata.

33
La discussione circa il fatto che la tarantella di Montemarano fosse originariamente
concepita come un’espressione musicale esclusivamente strumentale non può
evidentemente essere affrontata in questa sede, pertanto ci limiteremo all’analisi di
quello che solitamente viene inteso come il testo (o, per la verità, uno dei testi) cantato
sul ritmo della tarantella montemaranese
34
Il doppio flauto è costituito da due flauti diritti: quello suonato con la destra ha
quattro fori e viene detto "maschio", quello suonato con la sinistra ha tre fori e viene
detto "femmina".

31
Eppure credo che le possibilità tecniche di questo strumento
siano indicative per segnalare la zampogna come strumento
impiegato nei complessi strumentali della tarantella di
Montemarano35 >>.
Con l’esecuzione della fisarmonica l’armonizzazione della
melodia si svolge, secondo i canoni tradizionali, con accordi
in rapporto di tonica – dominante.
L’introduzione della fisarmonica nei complessi strumentali
della tarantella e - più in generale - del repertorio popolare,
ha comportato danni inestimabili al patrimonio musicale. La
diffusione della fisarmonica ha significato la rilettura della
tradizione musicale popolare nei termini di sistema
temperato e quindi l’intonazione dei canti nella scala
diatonica, con relativa eliminazione dei quarti di tono (che
ancora si conservano nella musica popolare) che ha
rappresentato la perdita - parziale o totale - di un universo
sonoro sconosciuto perché sopraffatto dall’avanzare della
cosiddetta musica colta. Dalle esecuzioni attuali della
tarantella montemaranese infatti ricaviamo un testo musicale
estremamente tonale: tutto è stato livellato nei rapporti tonali
di maggiore e minore con passaggi modulanti, secondo
l’armonia colta.
E tuttavia, dato che il patrimonio musicale popolare è orale,
è impossibile oggi ascoltare un’esecuzione nella forma
precedente all’introduzione della fisarmonica, anche perchè
oggi la tarantella con la fisarmonica è diventato il modello
istituzionalizzato.

35
Cfr. DELLA SALA M.G., La città longobarda: itinerari di tradizione, Firenze,
Università degli studi - Facoltà di Agraria - Istituto di idronomia e di costruzioni rurali
e forestali, 1986

32
Indubbiamente il prevedere un’esecuzione della tarantella
montemaranese con la zampogna pone immediatamente il
problema della velocità di esecuzione36 del testo musicale.
La tecnica, per così dire, limitata della zampogna da' un
motivo in più per affermare che il testo musicale attuale
della tarantella montemaranese è stato alterato, venendo a
contatto con tecniche strumentali più evolute e con maggiori
possibilità cromatiche. Le frasi che costituiscono oggi la
tarantella montemaranese hanno un carattere vivacemente
cromatico e soprattutto abbondano (del resto è in questo,
secondo i montemaranesi, che consiste la bravura degli
esecutori) di abbellimenti e di fioriture varie che
arricchiscono, sovrabbondano, la struttura musicale che,
nella sua semplicità, appare poco riconoscibile.
Le caratteristiche tecniche degli strumenti a cui era
verosimilmente legata la tarantella (non foss’altro per il
semplice fatto che non ne esistevano altri), sono un ulteriore
motivo, per ritenere più elevate le velocità metronomiche
raggiunte attualmente dai suonatori che eseguono la
tarantella montemaranese.
In effetti in taluni casi la musica popolare ha perso la
semplicità e l’essenzialità da cui è intrinsecamente
caratterizzata, ma non per questo non è più immediata
perchè rimane pur sempre espressione del popolo che
intanto ha modificato i suoi gusti e ha avuto contatti con
altre espressioni musicali, assimilandole, come del resto è
sempre accaduto nella storia dei popoli.

36
Dato il carattere processionale della tarantella montemaranese e la natura stessa della
zampogna (la sacca va riempita continuamente) non è da escludere che fosse
estremamente faticoso suonare la zampogna e camminare per un periodo di tempo
piuttosto prolungato.

33
Lo strumento a cui è tuttora legata la tradizione della
tarantella montemaranese - perchè si eseguono ancora
tarantelle con questo strumento - è la ciaramella.
È possibile assistere ad esecuzioni con complessi strumentali
che comprendono una fisarmonica, una ciaramella e le
percussioni37 (tamburello e castagnette).
Tuttavia oggi quasi sempre la ciaramella viene eliminata per
essere sostituita dal clarinetto (inizialmente in Sib,
attualmente in Do e di metallo).
L’introduzione del clarinetto in Sib di legno sarebbe da
attribuire a Domenico Ambrosino38 (familiarmente chiamato
‘Mbrusino); successivamente39 un suo allievo - Giacomino
Di Dio - ebbe l’intuizione di utilizzare il clarinetto di
metallo (‘o clarino, come lo chiamano a Montemarano)
perché più adatto alle suonate di tarantella.
Tale strumento infatti racchiude in sé tutte
le caratteristiche necessarie ad una buona
esecuzione della tarantella: ha un suono
potente e squillante, una notevole
estensione, è leggero, risente molto meno
delle variazioni climatiche e non corre il
rischio di creparsi.
La fortuna del clarinetto, rispetto alla
ciaramella, è legata alle maggiori possibilità tecniche

37
Io stesso, in occasione del Carnevale del del 2007, ho ascoltato e filmato un
complesso in cui vi erano tre suonatori di ciaramella.
38
Dunque non ad un ignoto clarinettista di Montemarano emigrato in America, come
sostiene De Simone: cfr. TULLI G., 'A tarantella 'a fa 'o clarino. Il clarinetto e la
prassi esecutiva dei suonatori di Montemarano, in <<EM - Annuario degli archivi di
EtnomusicologiaVII-VIII>>, Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 1999-2000,
pp. 41-71.
39
Durante la seconda guerra mondiale, la difficoltà a reperire l’ebano necessario per la
costruzione degli strumenti, indusse i costruttori a incrementare la produzione di
strumenti metallici. Dunque la sua commercializzaione in Italia è rilevante solo a
partire dalla fine della guerra e coincide, fra l’altro, con l’arrivo delle band di musicisti
americani. Cfr. TULLI G., Op. Cit.

34
(dovute alla presenza delle chiavi che facilitano l’impiego
dello strumento in svariate tonalità) che permettono
un’esecuzione della tarantella riccamente e
abbondantemente fiorita.
Inoltre l’ostacolo maggiore per l’impiego della ciaramella
risiede nella difficoltà di trovare suonatori di questo
strumento40.
Chiaramente è cambiato lo strumento ma non il principio
con cui si esegue e si compone estemporaneamente la
tarantella.
Certamente, se eseguita con la ciaramella, la velocità di
esecuzione diminuisce e la tarantella riconquista
l’andamento originale adatto e idoneo alla sua funzione
processionale.
Inoltre il significato magico-propiziatorio che avevamo colto
ed espresso in precedenza, esclude in partenza una velocità
metronomica valida dall’inizio alla fine. Del resto ancora
oggi i suonatori usano l’espressione s’adda ’nfocà ’a musica
per dire che a mano a mano che ci si addentra
nell’esecuzione, i suonatori aumentano la velocità perché si
appropriano a tal punto del ritmo che diventa parte di sé
stessi e, a sottolineare questa immedesimazione, è possibile
notare l’atteggiamento mimico dei suonatori che chiudono
gli occhi quasi a volersi isolare per sentire solo la musica e
in essa sentirsi e perdersi.
Le castagnette41 (così in Campania vengono chiamate le
nacchere) e il tamburello sono gli strumenti a percussione
che rientrano nel complesso strumentale della tarantella
40
Anche se, per fortuna, la nuova moda della musica popolare spinge sempre più
giovani a suonare la ciaramella.
41
Così chiamate perché originariamente costruite in legno di castagno, oggi quasi
esclusivamente in legno di limone, o comunque di albero da frutto. Pare inoltre che il
nome derivi anche dal tipico scoppiettìo delle castagne arrostite.

35
montemaranese. Il tamburello consiste in un cerchio di
legno (solitamente di faggio) ricoperto da una pelle (un
tempo di capra, oggi in materiale sintetico) ben tesa; il suo
diametro va da venticinque a trentacinque centimetri.
L’asse che compone il cerchio ha un’altezza di circa sette
centimetri ed è provvisto tutt’intorno di nicchie rettangolari,
dove vengono collocati dei sonagli di ottone. Le castagnette
sono invece formate da due parti concave di legno unite da
un cordone che, fissato alle dita, permette l’urto delle due
parti che producono un suono secco.
In Campania le due castagnette si distinguono in "maschio",
impugnata a destra e "femmina", impugnata a sinistra.
A Montemarano, a queste diciture corrispondono incisioni
praticate all’interno delle due parti dello strumento, con
chiara allusione ai simboli sessuali dei due sessi. L’unione
dei due simboli, che si ha ad ogni battere delle due parti
delle castagnette, rimanda alle implicazioni che fanno capo
all’ermafroditismo, sul quale - come abbiamo già visto
precedentemente - è imperniato il rito di Carnevale.
L’ermafroditismo, anche negli strumenti, non è limitato alle
sole castagnette, infatti la maniera di suonare il tammurro42
impugnandolo con la mano sinistra e percuotendolo con la
destra si dice "maschile", se invece si suona impugnando lo
strumento con la destra e battendolo con la sinistra, la
maniera di suonare si definisce "femminile"43.

42
Così viene genericamente indicato in Campania un qualsiasi tamburo a cornice, sia
esso il tamburello o la tammorra (sostanzialmente uguale al tamburello ma con un
telaio più alto, un diametro maggiore e dei sonagli di latta).
43
Non sempre ciò si verifica, cioè non sempre la maniera maschile è dei suonatori
maschi e quella femminile delle donne, anzi spesso, in virtù di quell’ermafroditismo di
cui si diceva prima, gli uomini suonano volutamente alla maniera femminile, per
sottolineare il momento rituale attraverso l’ambiguità, o meglio, la compresenza, anche
se solo simbolica, dei due sessi in cui si rispecchia l’ermafroditismo della divinità e
tutto ciò che ad essa è connesso.

36
3.2 La struttura ritmica e armonica

Come caratteristica propria della produzione musicale


popolare, il fattore ritmico è il cuore di questa composizione
che proprio e soprattutto al ritmo (alla sua evoluzione e al
suo "climax metronomico") affida la funzione catartica
connaturata al rito a cui rimanda la montemaranese.
Il ritmo della tarantella di Montemarano viene scandito dai
diversi tamburelli che fanno parte del complesso
strumentale.
Il tempo base è in 4, prevalentemente binario, ma con una
frequente oscillazione tra 4/4 e 12/8.
Come giustamente osservato da De Simone44, la figurazione
del tamburello è da intendersi come

La particolarità di questo ritmo impone due osservazioni: la


presenza di raggruppamenti binari e ternari nella stessa
battuta; le forti accentuazioni in levare e l’impiego di
sincopi.
Per quanto riguarda la prima, abbiamo visto che l’impiego
di ritmi binari e ternari è proprio il tratto caratteristico della
tarantella dunque non esclusivo di quella di Montemarano.
Si potrebbe anche pensare lo stesso ritmo in un tempo
ternario e quindi scriverlo come

44
DE SIMONE R. - ROSSI A., Carnevale si chiamava Vincenzo: rituali di Carnevale
in Campania, Roma, De Luca, 1977, pp. 82 - 84

37
ed entrambe le scritture sarebbero plausibili, considerata
anche la forte tendenza - nella musica popolare - che le
figurazioni del tipo

vengano eseguite invece nella forma

così come spesso, nella tradizione, accade che figure del tipo

si stemperino in una terzina

e dunque, considerata la costante ambiguità nell’impiego di


figura ora binarie ora ternarie sull’unità di tempo, il ritmo
del tamburello potrebbe essere tranquillamente essere
concepito come

In effetti, questo tipo di scrittura ci appare quella più


coerente con la condotta ritmica generale della tarantella di
Montemarano. Difatti, dall’ascolto di diverse registrazioni45
abbiamo osservato che nei momenti di condensazione
ritmica, quando cioè il clarino e la fisarmonica suonano
(all’unisono o per terze) una melodia del tipo

45
Effettuate da esecutori diversi, registrate in momenti diversi, in studio e/o sul campo,
quindi considerando un’ampia casistica.

38
il tamburello suona una figurazione del tipo

viceversa, in un’altra registrazione46, la stessa cellula


melodica viene esasperata da tutti (clarino, fisarmonica e
tamburello) fino a diventare

Si è detto ciò per dare un’idea di come non sia semplice dare
una esatta trascrizione di questa musica già solo a livello
ritmico.
In ogni caso (tenendo presente il suddetto limite di una
trascrizione) l’unione del ritmo del tamburello con le
castagnette da' luogo ad una composizione ritmica
interessante

perché, mentre le castagnette scandiscono sempre il battere,


il tamburello sembra contrastare tale ritmo con l’ambiguità
tra figure binarie e ternarie e con le continue sincopi.

46
DE SIMONE R., La tradizione in Campania, cofanetto contenente 7 LP, E.M.I.,
1979

39
Come se ci fosse una coercizione di ritmo e un continuo
tentativo di evadere tale ostinato.
In effetti tale composizione di ritmo fra tamburo e
castagnette non è prerogativa solo di Montemarano bensì
ricorre in molte danze popolari campane come ad esempio le
tammurriate di Terzigno, di Pimonte, di Somma Vesuviana,
dei Monti Lattari.
In queste danze si stabilisce un ritmo ossessivo che stabilisce
il battere, dall’altro lato c’è sempre il tentativo di negare
questo stesso ritmo, come un tentativo di uscire dallo
schema, di evadere, di negare ciò che si afferma.
E tuttavia il battito costante delle castagnette impedisce la
fuga costringendo a stare nel tempo e inquadrando
nell’affermazione la stessa negazione.
Appare evidente come anche in queste espressioni musicali
tutto rientri nella concezione doppia del simbolismo
popolare, per cui la stessa gestualità ritmica assume carattere
rappresentativo dei conflitti espressi nel rituale.
Dal punto di vista armonico si osserva l’alternarsi ad ogni
battuta degli accordi costruiti sul I e sul V grado.
Spesso si passa dalla modalità maggiore alla minore di uno
stesso grado.
La modulazione ad altra tonalità avviene sempre dopo
prolungate iterazioni di un dato rapporto di tonica e
dominante47 e generalmente si modula da una tonalità
minore a quella una quarta più su (in modo maggiore)
sfruttando il quarto grado aumentato (proprio del modo
Lidio) con un procedimento melodico di questo tipo

47
La permanenza in una determinata tonalità dipende da quanto sia agevole per il
clarinetto fraseggiare in quella tonalità.

40
Alla 2ª misura del secondo rigo si può vedere come
sull’accordo di MI venga usato il modo Lidio di RE per
modulare poi a questa tonalità che è appunto una quarta
sopra il LAm precedente. Ciò è possibile perché il MI non
funge più da dominante di LAm bensì - contenendo il sol# -
diventa il sostegno per la melodia costruita sul Re Lidio, il
cui quarto grado aumentato è proprio sol#48.
Tali modulazioni tendono a generare una spinta armonica in
avanti di carattere affermativo, non a caso vengono
accompagnate dalle grida dei danzatori che ne avvertono il
senso liberatorio dopo la fissità armonica precedente.
Nella figura precedente si vede anche come - all’interno
della stessa tonalità di RE - si passi con estrema facilità dal
modo maggiore a quello minore (è altrettanto frequente
l’inverso).

48
Potremmo definire tale procedimento ricorrente come "ponte modulante Lidio".

41
A titolo di esempio riportiamo la serie di modulazioni della
tarantella così come si susseguono nella registrazione che
abbiamo effettuato durante il Carnevale del 2007:
LAm
LA
LAm
RE
REm
SOL
SOLm49
Dom
DO
DOm

3.3 Le cellule melodiche: reinvenzione


iterativa

Il testo musicale della tarantella montemaranese è costituito


da un continuo susseguirsi di linee melodiche, mai
monotone nel loro ripetersi, ed estremamente variate dal
punto di vista ritmico.
Tali segmenti melodici (che i suonatori di Montemarano
chiamano mutivi), derivano dalla tradizione e costituiscono
essi stessi la tradizione; ogni suonatore ne ha memorizzati
un certo numero - ovviamente i più esperti ne hanno

49
Qui la modulazione al Dom successivo è avvenuta di colpo, senza passare per una
tonalità maggiore attraverso il ponte modulante Lidio.

42
immagazzinato una quantità maggiore - e al momento
dell'esecuzione si estraggono i vari segmenti dal proprio
corredo mnemonico.
A tal proposito citiamo la definizione (che ci ha ispirato il
titolo di questo paragrafo) di Giovanni Giuriati50: << [...] a
partire da un numero limitato di elementi, si possono
inventare continue varianti; tale procedimento, comune nelle
culture di tradizione orale, si può chiamare "iterazione-
variante" o "variazione-iterante" >>.
Quindi ogni esecuzione è una tarantella vecchia e nuova,
rappresenta il passato, il presente ed il futuro, poiché è
realizzata con il bagaglio di segmenti melodici derivanti
dalla tradizione ma organizzati in una infinità di ordini
diversi.
Ogni tarantella è unica, tanto più varia quanto più il bagaglio
del suonatore è ampio, di conseguenza, all’esecuzione è
associata un grado di composizione dipendente dal vissuto
del suonatore.
Dunque la tarantella è l’autentica ed esclusiva tradizione
coreutica e musicale di Montemarano di cui sono privilegiati
depositari i suonatori e i ballatori.
Tuttavia, mentre la competenza coreutica viene coralmente
assunta dalla comunità, quella dell’evento sonoro è esclusiva
e spetta ai migliori suonatori.
Tali suonatori sono quelli che poi trasmettono i mutivi ai più
giovani, i quali effettuano un vero e proprio apprendistato
per imparare le varie suonate direttamente dal maestro.
Al fine di facilitarne l’apprendimento, il maestro ripete i
mutivi riducendoli ad una linea melodica essenziale, priva di

50
Cfr. GIURIATI G., Un procedimento compositivo caleidoscopico: la tarantella di
Montemarano, in <<Culture musicali>>, luglio/dicembre 1982, pp. 19-72

43
note di abbellimento, l’allievo poi ripete - rigorosamente a
memoria - la melodia ascoltata.
Dopo questa fase (che richiede un impegno mnemonico
costante) vi è l’esercizio del trasporto, ossia il cambiamento
di tono e modo di un mutivo.
Oltre alle difficoltà connesse direttamente alla modulazione
e alla memorizzazione, il trasporto dei mutivi presenta
notevoli difficoltà tecnico-strumentali poiché, in base alle
caratteristiche tecniche dello strumento, si evidenziano
tonalità più agevoli ed altre decisamente più impervie.
Superata questa lunga fase iniziale, l’allievo viene
gradualmente guidato al momento dell’elaborazione della
tarantella, ossia a combinare e variare , estemporaneamente,
i mutivi acquisiti.
Al fine di esercitare la capacità di elaborare le tarantelle, i
suonatori attuano la pratica del "concertare", ovvero un
clarinista e un fisarmonicista (solitamente si viene a creare
una coppia fissa) si incontrano per dar luogo ad una vera e
propria "palestra creativa".
L’uso di alcuni specifici mutivi durante le "suonate", oltre a
contraddistinguere un suonatore da un altro, identifica una
"scuola", improntata sulla trasmissione di alcuni mutivi
caratteristici.
Anche per questa ragione, non avrebbe molto senso fornire
una trascrizione della tarantella51 di Montemarano poiché
rappresenterebbe solo una di tutte quelle che è possibile
ascoltare in un determinato Carnevale, queste a loro volta
rappresentano solo alcune delle infinite possibilità di
riorganizzare e reinventare le cellule melodiche.

51
Se non per motivi di analisi, come nel paragrafo precedente.

44
Dal punto di vista strettamente musicale possiamo
identificare dei tratti caratteristici di quello che Giuriati
definisce stile "alla montemaranese".
Per quel che riguarda l’aspetto ritmico si è visto come sia
frequente l’ambiguità fra 4/4 e 12/8 e che la caratteristica
principale consista nello spostamento degli accenti rispetto
ai tempi forti della battuta, molto spesso sul terzo, talvolta
sul primo, più raramente sul secondo.
Dal punto di vista melodico possiamo osservare che la
melodia - salvo rare eccezioni - attacca sempre in levare; nel
suo svolgimento vengono impiegati 3 modi: maggiore,
maggiore col 4° grado aumentato (modo Lidio) e minore.
Storicamente sono precedenti i primi due mentre le melodie
nel modo minore sono introdotte con il sopravvento del
clarinetto.
L’introduzione di strumenti temperati (la fisarmonica e,
successivamente, il clarinetto) ha favorito il passaggio da un
impianto modale a quello attuale che risente dell’influenza
della tonalità per cui si ha una compresenza di elementi
legati alla modalità e alla tonalità.
Infine ci piace riportare la singolare definizione di Giovanni
Giuriati circa le varie melodie che è possibile ascoltare in
un’esecuzione della tarantella di Montemarano: << La forza
degli elementi caratterizzanti, peculiari dello stile ""alla
montemaranese" permette ai suonatori di inserire fra le
melodie originali anche dei frammenti estranei (canzoni
napoletane, lisci, tarantelle stilizzate). L’estraneità non viene
però avvertita proprio perché la coerenza e la forza dello
stile fanno sì che queste melodie esterne siano
immediatamente "montemaranesizzate" >>.

45
3.4 Il testo cantato

La forma musicale della tarantella montemaranese


normalmente è esclusivamente strumentale.
Senza dubbio esistono ritmi di tarantella adattati ad un testo
letterario di una canzone ma si tratta di adattamenti di una
forma musicale che, nella sua originarietà, è sostanzialmente
strumentale.
Ciononostante quando la tarantella montemaranese diventa
ballo privato a coppie, prevede un testo cantato.
Non è facile analizzare tale testo per il semplice fatto che è
difficile stabilire qual è quello autentico.
Come la musica, anche il testo si è trasmesso oralmente.
Ma se la musica, nonostante tutte le influenze possibili, è più
stabile grazie alla astrattezza del suo linguaggio che è legato
alle tecniche strumentali e alla logica del ritmo e della
melodia, per il testo letterario la tradizione orale ha dato
origine a nuove versioni diverse fra loro. Naturalmente tutte
dai rispettivi interpreti sono reputate autentiche52.
Di più, la spontaneità e l’improvvisazione dovrebbero poi
giustificare il non senso di alcuni punti del testo (che non
sempre è eseguito con la medesima successione delle strofe)
e del quale le ultime generazioni hanno perso il significato
originario poiché oggi, dell’antico testo, rimangono solo
alcuni aspetti che sono stati caricati di eccessiva
licenziosità53 e di doppi sensi lontani dalla originaria
funzione magico-rituale.

52
Come già osservato da Tullia Magrini in MAGRINI T., Universi sonori. Introduzione
all’etnomusicologia, Torino, Einaudi, 2002, pag. 114
53
Cfr. DE SIMONE R. - ROSSI A., Carnevale si chiamava Vincenzo: rituali di
Carnevale in Campania, Roma, De Luca, 1977, pp. 373 - 378

46
Evidentemente perché, a differenza della musica, il testo è
fatto di parole - cioè di determinati significati - che si
modificano con le persone che le interpretano.
Con un logorio lento ma incisivo si modifica non tanto la
gestualità, quanto l’elemento per eccellenza che esprime una
cultura, una mentalità, una civiltà: la parola. È quanto
accaduto al testo della tarantella montemaranese nel suo
passaggio dalle popolazioni pagane pre-cristiane a quelle
cristiane. Infatti l’impostazione cattolica, diffusa nella nostra
letteratura, ha determinato una incolmabile scissione fra
quella che è la produzione popolare e quella che si dice
colta, causando così la perdita di una letteratura "sommersa"
che ha nel popolo il suo autentico e spontaneo autore.
Sebbene a poco varrebbe una analisi semantica del testo
cantato sulla melodia della tarantella montemaranese, sarà
opportuno analizzarlo ugualmente sotto l’aspetto fonico,
acustico e musicale.
La natura musicale della parola in nessuna lingua è evidente
più che nel dialetto, dove la comicità di un contenuto si
traduce in un comico accostamento di consonanti, la
pregnanza di un’immagine nella ridondanza di una
pronuncia.
La parola nel dialetto è la traduzione e nello stesso tempo
l’evocazione di un effetto, di un modo di sentire e di essere,
intraducibile in un’altra lingua, perchè la cultura di un
popolo si esprime nella sua lingua, nei suoi fonemi, nei suoi
modi di dire.
Nonostante l’impossibilità di rinvenirvi traccia dell’antico
testo, oggi irrimediabilmente perduto, l’attuale testo della
montemaranese conserva comunque il procedimento

47
ritmico, melodico e fonico a cui obbedivano le frasi del testo
originario che adesso, per un inevitabile processo di
corruzione, forniscono immagini non sempre collegate
all'interno e fra loro.
I collegamenti, le connessioni sono di pura natura metrica: la
rima, il ritmo, l’assonanza creano la forma di questo testo
che non vuole creare immagini precise bensì rimanda ad una
dimensione musicale della parola. Il testo è, in fin dei conti,
una semplice scusa, un’occasione per prendere parte con
l’humor, il sarcasmo ed il piacere di partecipare che
caratterizzano le manifestazioni popolari.
In assenza di una particolare peculiarità di un testo rispetto
ad un altro, riportiamo una delle versioni più diffuse come
testo letterario della tarantella montemaranese, invitando a
non ricercare in alcun modo un senso fra le immagini
evocate che sembrano piuttosto prodotte da una mente folle
e sconclusionata.
D’altronde questa dimensione della follia che si può
rinvenire nel testo della tarantella rimanda a certi cortei
carnascialeschi in cui non poteva mancare "il carro dei
matti", un soggetto connaturato nei significati mistico-
catartici racchiusi nel rito del Carnevale.
Dietro la follia c’è l’evoluzione del Carnevale i cui tratti, da
espressione magico-propiziatoria diventarono segni in cui si
mascherarono istanze di natura sociale.
La follia che trapela dal testo letterario della tarantella
montemaranese è dunque un elemento recente che si innesta
e si sostituisce a quello magico-propiziatorio a cui
antreriormente faceva riferimento il rito.

48
TARANTELLA MONTEMARANESE54

Na, na, na oi commo voglio fa


E bolevo ‘no vasillo e non me l’ha voluto ra
te lo pozzo pure ra, re niscusa re papà.
Simmo scanza fatiella e nu bulimmo fatià
Oi patro’ portim a busta ca me vogli arritirà
Voglio fa sicco ‘e baccalà e non voglio fatià
Cala, cala cala sole, hammu ‘ncappat’ male padrone
Uè com’era poco ‘o pane, cala cala ca’ tengo fame
E o sole è fatto russo e o padrone è calato o musso
Si t’angappo int’o scorone, mamma mia che t’aggia fa
Quanno fore friddo fa, into o lietto è buono sta.
Quanno chiove e schezzechea Margarita s’arrecrea
Ietti a Montovergene na vota
a core a core cu la ‘nnammurata
E m’è caruto o zuoccolo ro pere
È caruto o n’è caruto ma sto zuoccolo addo’ è ghiuto?
Lo cane s’è mangiato la marenna
E ngè rimasta sulo la cepolla
No vi mittiti lloco ca’ cariti
E si cariti lloco abbascio iati.
Abballati, abballati femmene zite e mmaritate
E si nonn’ abballati bbuono non se canta e non se sona
Forza guaglione non te la fa fà
Quella è peccerella, te ngravoglia e se ne và.
E s’è rotta a ciaramella e ‘ngi mittimo a semensella
E s’è rutto lu clarino e ‘ngi mittimo la puntina.55

54
Per una più ampia trascrizione del testo cantato della tarantella: cfr. DE SIMONE R.
- ROSSI A., Op. cit., pp. 373 - 378.
55
questi ultimi due versi trovano spiegazione col fatto che a Montemarano era assai
diffuso fra i suonatori il mestiere di calzolaio.

49
Capitolo 4
Utilizzo didattico della tarantella
4.1 Un’ipotesi di progetto

La tarantella di Montemarano si presta molto bene come


materiale per un progetto didattico.
Per la sua stessa natura infatti (non ha un inizio né una fine)
è possibile riorganizzare i diversi segmenti melodici (anche
solo una parte) senza alterare la sostanza della struttura
musicale; meglio ancora, gli allievi potranno inventare
melodie nuove che si prestino a essere inserite fra quelle già
esistenti.
Anche il ritmo - considerata la presenza simultanea di
suddivisioni binarie e ternarie nonché dei continui
spostamenti d’accento - può diventare un ottimo strumento
didattico.
Infine il testo cantato, privo di funzione semantica, può
essere sostituito con un testo creato dagli allievi.

Denominazione del progetto: “Tarantella di Montemarano:


la musica infinita”

Contenuti:
• nozioni generali sulla tarantella;
• approccio alla musica dal punto di vista ritmico;
• elementi di notazione ritmica;
• aspetto creativo della melodia (improvvisazione);
• aspetto testuale della tarantella di Montemarano;
• performance di tarantelle elaborate dagli alunni.

50
Pre-requisiti:
• buona coordinazione psico-fisica;
• capacità di riconoscere ed eventualmente riprodurre
un determinato schema ritmico;
• capacità di discriminare melodie diverse (a parità di
tonalità e modo).

Obiettivi specifici:
• riconoscimento e riproduzione di formule ritmiche
codificate;
• creazione di nuove frasi musicali mediante
l’accostamento di segmenti melodici dati o composti
dagli allievi;
• invenzione testuale su una struttura melodica
precedentemente organizzata;
• performance ritmica e testuale di una tarantella
composta e scelta dagli alunni.

Obiettivi cognitivi:
• miglioramento della coordinazione psico-fisica
• presa di coscienza del potere liberatorio della musica
(nel suo aspetto percussivo) inserita in un contesto di
per sé ludico come il Carnevale;
• sviluppo delle capacità creativa e delle abilità
compositive mediante l’assemblaggio (in ordine
arbitrario) di segmenti melodici dati nonché
l’invenzione di nuovi segmenti melodici.

Obiettivi sociali:
• sviluppo della capacità a lavorare in gruppo.

51
Destinatari: 15 allievi di una classe terza media inferiore.

Struttura: 12 incontri della durata di 2 ore ciascuno.

Strumenti didattici: lettore DVD, lavagna, supporto per


registrazione (anche in formato MP3), tamburelli,
castagnette, tastiera elettronica.

Metodologia: bidirezionale con particolare attenzione alle


eventuali precedenti esperienze e/o inclinazioni naturali
degli allievi verso una struttura ritmica particolare.

Costo: 1200,00 €

Attività:
• 1° incontro: presentazione del progetto; aspetti
generali della tarantella come danza di possessione;
visione di filmati e ascolto di melodie tratte dai
festeggiamenti per il Carnevale a Montemarano;
commenti su eventuali analogie con altre forme di
musica da ballo e/o su esperienze personali di
partecipazione a feste che prevedessero balli popolari
(non necessariamente di gruppo);

• 2° incontro: richiamo di quanto esposto in


precedenza; ascolto della tarantella di Montemarano
mirato alla interiorizzazione dei segmenti melodici e
della scansione ritmica; definizione formale dei
concetti di tempo e di ritmo (binario e ternario);
introduzione del concetto di tactus e sua importanza

52
(sarà ulteriormente chiarita con l’impiego delle
castagnette); sondaggio delle abilità ritmiche con
imitazione di figurazioni ritmiche non complesse;

• 3° incontro: ascolto di diversi tipi di tarantella per


verificare la capacità di discriminare diverse
figurazioni in tempo composto; richiamo dei concetti
di tempo e ritmo; primi elementi di scrittura ritmica;

• 4° incontro: riepilogo dei concetti esposti; esempi di


semplici schemi ritmici scritti e loro esecuzione (non
vengono ancora impiegati gli strumenti);

• 5° incontro: introduzione del concetto di sincope e


suo impiego nella fase esecutiva: riconoscimento e
identificazione dello spostamento di accenti nella
scansione ritmica della tarantella montemaranese;
esecuzione di semplici figurazioni contenenti
spostamenti di accento;

• 6° incontro: ascolto guidato dei vari segmenti


melodici suonati dal clarinetto; introduzione del
concetto di "aperto" e "chiuso" in una frase musicale;
riconoscimento e identificazione dell’aperto e del
chiuso nelle varie frasi musicali della tarantella di
Montemarano; è possibile fare un gioco del tipo: dato
l’aperto di una frase, lasciare agli alunni la previsione
sul chiuso con successiva verifica tramite ascolto; una
fase successiva del gioco è quella di chiedere agli
alunni che inventino delle frasi musicali dotate di

53
aperto e di chiuso; le melodie verranno poi registrate
per un successivo utilizzo (la tastiera servirà per
creare il sostegno armonico e per correggere
l’intonazione nelle melodie create);

• 7° incontro: scrittura ed esecuzione della scansione


ritmica fondamentale della tarantella di Montemarano
(prima verbalmente, poi sul tamburello); verifica
dell’acquisizione dei concetti teorici esposti fino a
questo punto, mediante lettura di schemi ritmici;
eventuale richiamo teorico ai concetti più ostici;

• 8° incontro: ulteriore ascolto della tarantella di


Montemarano con particolare attenzione al testo
cantato; riconoscimento dell’assenza di funzione
semantica nel testo; elaborazione di possibili varianti
mediante diversa successione delle frasi; invenzione
ex-novo di un testo da utilizzare per la performance
finale; sondaggio sul gradimento e le aspettative
indotte dal progetto;

• 9° incontro: riascolto delle melodie dotate di aperto e


chiuso elaborate in precedenza, creazione di nuove
melodie con le stesse caratteristiche; impiego delle
castagnette per la scansione del tempo (richiamo del
concetto di tactus) e registrazione di tali melodie;
utilizzo delle registrazioni per la sovrapposizione del
testo rielaborato e/o creato ex-novo;

54
• 10° incontro: impiego del tamburello e delle
castagnette per la realizzazione del ritmo
fondamentale della montemaranese; possibilità di
ampliare la melodia già registrata con altre frasi
musicali inventate dagli alunni; utilizzo della
registrazione per la sovrapposizione del testo cantato
e dell’accompagnamento ritmico con tamburelli e
castagnette;

• 11° incontro: preparazione della performance finale;


divisione in gruppi: alcuni utilizzeranno il tamburello,
i restanti le castagnette, di questi alcuni
improvviseranno melodie del tipo studiato in
precedenza, altri canteranno il testo elaborato negli
incontri precedenti;

• 12° incontro: performance della tarantella secondo le


modalità stabilite precedentemente;

55
Appendice
Una testimonianza: qualche domanda a
Roberto D’Agnese56

Ci sono, che tu sappia, tracce dell’impiego di altri


strumenti nella tarantella?
Sicuramente sì. Io non sono un musicista nel senso stretto
del termine e del resto sono piuttosto giovane quindi faccio
riferimento a quello che dicono gli anziani. Del resto al
Museo Etnologico di Montemarano sono conservate proprio
delle zampogne.

Come vengono trasmessi i mutivi a chi dovrà suonare il


clarino?
I mutivi vengono trasmessi - rigorosamente a memoria - dai
più anziani o dai più esperti. In genere si forma una coppia
fissa di suonatori (fisarmonica e clarino) che impara a
suonare insieme i mutivi e che, nella mascarata, darà il
cambio ad un’altra coppia. Quindi ogni mascarata ha i suoi
suonatori dunque ogni mascarata ha i suoi mutivi.
Tuttavia i mutivi non sono sempre gli stessi perché ogni
anno ne vengono composti di nuovi.

Come avviene invece l’addestramento per chi suona il


tamburello?
Si comincia da piccoli (già a 3 o 4 anni), ad esempio, io ho
ricevuto in dono il mio tamburello da mia nonna che me l’ha
portato da Montevergine quando avevo 3 anni.

56
La famiglia D’Agnese è una delle famiglie "storiche" per quanto riguarda
l’esecuzione della tarantella di Montemarano.

56
I giovani suonatori che debutteranno in quell’anno, si
incontrano nel periodo immediatamente prima del Carnevale
per un allenamento intensivo.

Il testo cantato è autentico o è una sovrapposizione


posteriore?
No, si è sempre cantata; prima il testo aveva temi "politici"
con delle invettive ai governanti, poi si passò a schernirsi a
vicenda (in ogni cantata si prendono in giro le altre
mascarate cioè gli abitanti delle altre strade) e comunque
anche il testo col tempo si arricchisce di nuove strofe.
Per quanto riguarda i governanti, pare che il gesto delle
maschere di gettare i confetti risalga proprio a quando i
feudatari concedevano i giorni di riposo ai contadini perché
facessero festa per il Carnevale ed è proprio all’indirizzo dei
feudatari che venivano lanciati i confetti (a Carnevale ogni
scherzo vale!).

Come viene assegnato il ruolo di caporabballo?


Benché ce ne siano anche di nuovi, sostanzialmente è una
figura che si tramanda fra membri della stessa famiglia
quindi è una scelta perpetuata per tradizione.

Vuoi menzionare qualche famiglia storica di suonatori?


Gambale, D’Agnese, Marano, “Paparone”, Cantone.

Vuoi menzionare invece qualche suonatore "famoso"?


C’è il fisarmonicista Achille, che ha collaborato anche con
Eugenio Bennato, mentre Battista è senz’altro un virtuoso
del clarino.

57
Bibliografia

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1961
BARTÓK B., Scritti sulla musica popolare a cura di Diego
Carpitella, Torino, Universale Bollati Boringhieri, 1977
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rituali di Carnevale in Campania, Roma, De Luca, 1977
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7 LP, E.M.I., 1979
GIURIATI G., Un procedimento compositivo caleidoscopico: la
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Istituto di idronomia e di costruzioni rurali e forestali,
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Pierpaolo De Giorgi, Lecce, Argo, 1999
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esecutiva dei suonatori di Montemarano, in <<EM -
Annuario degli archivi di EtnomusicologiaVII-VIII>>,
Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 1999-2000,
pp. 41-71
COFINI M., Tarantella in musica, o sia Ex tarantula vulgarium
musica et choreae : per una storia della tarantella dalle
fonti musicali e non solo... / ... anche un contributo di
Daniel Brandenburg su un'inedita descrizione di
tarantella, Salerno, Setticlavio, 2001

58
MAGRINI T., Universi sonori. Introduzione all’etnomusicologia,
Torino, Einaudi, 2002
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SITI INTERNET CONSULTATI:


http://www.taranta.it/index.html (centro di studi e di ricerche sui
balli tradizionali in Italia)
http://www.calabrialogos.it/files%20html/La%20Tarantella.htm
(riferim. alla tarantella calabrese)
http://virtualsorrento.com/it/arti/musica/tarantella/index.htm
(riferimenti alla tarantella, di Vincenzo Schisano)
http://www.meteoritedoro.it/meteorite_secinaro.html (riferimenti
alla danza Sicinnide)
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ALTRE FONTI:
d’agnese g., Montemarano: Riti e tradizioni (CD-ROM)

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei ringraziare - in ordine sparso - per il prezioso aiuto:


Francesca Seller (la Prof. che ha pazientemente seguito
questo lavoro), Pasquale Scialò (è da lui che ho ricevuto
alcuni testi fondamentali), Raffaele Di Mauro (idem),
Antonello Paliotti (è stato il primo a illustrarmi aspetti
fondamentali che riguardano la tarantella), Marina (per i
baci, gli abbracci ...e il "cambio di residenza"!), Giancarlo
Tufano (anche se non lo sa, mi ha spinto a fare bene il
lavoro ...e poi è il mio "pronto soccorso hardware"!),
Pasquale Mosca (per i preziosi consigli e per aver condiviso
il delirio dell’ultimo periodo), Roberto De Simone (non lo
conosco di persona ma lo stimo molto per il mirabile studio
che ha fatto), Pasquale Sacco (per aver instillato in me
l’amore per la musica antica e aver stimolato la mia curiosità
riguardo alla musica senza distinzioni di sorta), i Luna
Calante (è il mio gruppo e con loro mi diverto a suonare la
tarantella di Montemarano), i Terrasonora (è l’altro mio
gruppo ...alla fine ho contagiato anche loro con la
montemaranese!), mammà e papà ...e vabbuò va’, pure
chillu scassa...z ’e mio fratello, Gennaro Esposito (per
l’aiuto più volte offertomi e gli altrettanto offerti caffè),
Roberto D’Agnese (per la cortese disponibilità a rispondere
alle mie domande) e tutti quelli che, consapevolmente o
meno, mi sono stati vicini.

Fabio Soriano

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