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XVII 2005

LIM
RECERCARE
XVII 2005
Recercare abstract in inglese
rivista per lo studio e la pratica della musica Scott Palmer
antica
journal for the study and practice of early music grafica / graphics
Paola Borriero
organo della / journal of the
Fondazione Italiana per la Musica Antica copertina / cover
Ugo Giani
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Quest’annata esce con un contributo ISSN1120-5741


dell’Associazione Recercare ISBN 88-7096-471-X
RECERCARE XVII 2005

Kathryn Bosi
Leone Tolosa and Martel d’amore:
a balletto della duchessa discovered
5

Rodolfo Baroncini
L’ufficio delle Tenebre: pratiche sonore della settimana santa
nell’Italia settentrionale tra Cinque e Seicento
71

Christine Jeanneret
Un cahier d’ébauches autographe inédit de Frescobaldi
(F-Pn, Rés. Vmc. 64)
135

Biancamaria Brumana
«Ove per gl’antri infausti».
Miti classici e sventurati amanti
in un manoscritto di cantate romane del tardo Seicento
161

Michael Talbot
A successor of Corelli: Antonio Montanari and his sonatas
211

Paolo Russo
Fedra or Aricia? The rationale of the “cagioni episodiche”
253

Mauro Sarnelli
Gli affetti di Maometto da Voltaire al melodramma di primo Ottocento
289
Comunicazioni

Marco Pesci
Lorenzini fra Parma e Roma.
Nuova luce su Lorenzino ‘bolognese’, Lorenzino ‘fiammingo’,
Lorenzino ‘romano’ e il Cavaliere del liuto
349

Peter Williams
Further remarks on the text of Domenico Scarlatti’s sonatas
361

Libri e musica

Recensioni: JONATHAN GLIXON, Honoring God and the city. Music at the Venetian
confraternities, 1260–1807 (R. Baroncini). W. DEAN SUTCLIFFE, The keyboard sonatas of
Domenico Scarlatti (E. Darbellay). Schede: Art and music in the early modern period.
Essays in honor of Franca Trinchieri Camiz, ed. by K. A. McIver (am). Speaking of
music. Music conferences, 1835–1966 (A. Addamiano). La figura e l’opera di Antonio
Cesti nel Seicento europeo, a c. di M. Dellaborra (am). Niccolò Piccinni musicista
europeo, a c. di A. Di Profio e M. Melucci (S. Gaddini). MURRAY CAMPBELL, CLIVE
GREATED, ARNOLD MYERS, Musical instruments. History, technology, and performance of
instruments of Western music (P. Barbieri). L’arcidiocesi di Gorizia. Organi e tradizioni
organarie nel Friuli Venezia Giulia, a c. di Lorenzo Nassimbeni (P. Barbieri).
Acustica musicale e architettonica, a c. di S. Cingolani e R. Spagnolo (D. Rossi)
Rodolfo Baroncini

L’ufficio delle Tenebre: pratiche sonore della settimana santa


nell’Italia settentrionale tra Cinque e Seicento

1. L’uso estensivo che, fin dal secolo quindicesimo, alcune cappelle ecclesiastiche
dell’Italia settentrionale fecero degli strumenti musicali allo scopo di rendere più
magnificienti e seduttive le celebrazioni liturgiche è un dato che, quantunque at-
tenda ancora di essere definito in tutta la sua complessa fenomenologia, può dirsi
generalmente noto e acquisito dalla odierna storiografia musicologica.1 Sicuramen-
te meno noto invece è che, verso la fine del Cinquecento, tale impiego divenne
così pervasivo dall’investire perfino la liturgia della settimana santa e, precisamente,
l’ufficio del Mattutino e delle Laudi del giovedì, del venerdì e del sabato santo —
ufficio normalmente detto «delle Tenebre» — il quale, per il suo carattere mesto e

1 Sull’argomento si sono espressi di recente, con metodi e risultati differenti, STEPHEN BONTA, The use
of instruments in sacred music in Italy 1560–1700, «Early music», XVIII, 1990, pp. 519–35; LESLIE KORRICK,
Instrumental music in the early 16th-century mass: new evidence, «Early music», XVIII, 1990, pp. 359–70;
GIULIO M. ONGARO, Gli inizi della musica strumentale a San Marco, in Giovanni Legrenzi e la cappella ducale
di San Marco, atti dei convegni (Venezia 24–26 maggio 1990, Clusone 14–16 settembre 1990), a c. di
Francesco Passadore e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 1994, pp. 215–26; MARCO DI PASQUALE, Aspetti
della pratica strumentale nelle chiese italiane fra tardo Medioevo e prima età moderna, «Rivista internazionale
di musica sacra», XVI, 1995, pp. 239–68; ARNALDO MORELLI, The role of the organ in the perfomance practices
of Italian sacred polyphony during the Cinquecento, «Musica disciplina», L, 1996, pp. 239-70; ELENA
QUARANTA, Oltre San Marco. Organizzazione e prassi della musica nelle chiese di Venezia nel Rinascimento,
Firenze, Olschki, 1998; RODOLFO BARONCINI, «In choro et in organo»: strumenti e pratiche strumentali in al-
cune cappelle dell’area padana nel XVI secolo, «Studi musicali», XXVII, 1998, pp. 19–51; ID., Zorzi Trombetta
and the band of piffari and trombones of the Serenissima: new documentary evidence, «Historic Brass Society
Journal», XIV, 2002, p. 59–82; ID., Zorzi Trombetta e il complesso di piffari e tromboni della Serenissima. Per
una storia ‘qualitativa’ della musica strumentale del XV secolo, «Studi musicali», XXXI, 2002, pp. 57–87.
72 RODOLFO BARONCINI

penitenziale era stato, fino a allora, sempre estraneo a qualsiasi tipo di intervento
strumentale, ivi incluso quello dell’organo.2
Ricco di simbolismi e caratterizzato da una scenografia fortemente allusiva, mi-
rante a far rivivere i misteri della passione e della morte di Cristo, l’ufficio delle Te-
nebre era certamente, tra i rituali della settimana santa, quello più suggestivo e se-
guito con maggior devozione dai fedeli. Per tal ragione l’ufficio non si celebrava la
notte del giovedì, del venerdì e del sabato, bensì la sera dei giorni precedenti (mer-
coledì, giovedì e venerdì).3 Tra i canti di mestizia e di penitenza previsti da questo
complesso rituale un ruolo di spicco rivestono, oltre al Benedictus e al Miserere, i re-
sponsori e le lamentazioni di Geremia. Quest’ultime, in particolare, per via del loro
patetismo dolente e penetrante, godettero subito del favore dei compositori. Già
intorno alla metà del Cinquecento l’intonazione polifonica delle lamentazioni pre-
senta, infatti, delle caratteristiche stilistiche proprie e ben definite: andamento silla-
bico, afflato declamatorio e una condotta delle voci essenzialmente omoritmica.
Nonostante che nell’ufficio delle Tenebre fosse normalmente interdetto l’uso
degli strumenti, inediti documenti concernenti alcune importanti chiese dell’Italia
settentrionale, e in particolare dell’area veneto-padana, rivelano che, a partire dal-
l’ultimo decennio del Cinquecento, l’esecuzione polifonica delle lamentazioni e
degli altri brani musicali previsti dalla liturgia delle Tenebre diviene sempre più ela-
borata fino all’intrusione connotativa di uno specifico colore strumentale. Un tim-
bro peculiare, per non dire inconsueto, dacché — come appare subito da una pri-
ma lettura della documentazione — gli unici strumenti impiegati risultano essere

2 Nell’ambito della liturgia del sacro triduo (giovedì, venerdì e sabato santo) l’impiego dell’organo
era consentito soltanto nella messa del giovedì, unico momento lieto del triduo in quanto deputato
alla celebrazione del sacramento eucaristico, e nella messa del sabato; cfr. Caerimoniale episcoporum ius-
su Clementis VIII. pont: max novissime reformatum, Roma, Lepido Faci, 1606, p. 145. Si veda inoltre
quanto osserva in merito GAETANO MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipo-
grafia Emiliana, 1867, vol. LXIV, pp. 302–21, sub voce Settimana santa. I limiti prescritti dalle rubriche
ecclesiastiche in questo periodo dell’anno liturgico all’uso dell’organo e la proibizione all’impiego di
qualsiasi altro tipo di strumento non sembra comunque fossero universalmente e rigorosamente os-
servati. Frequenti trasgressioni di tali divieti sembrano essersi verificate intorno agli anni Sessanta-
Settanta del Cinquecento, se Pio V fu costretto a emanare un severo editto repressivo in materia.
Sulla questione cfr. GIOVANNI DICLICH, Dizionario sacro liturgico, 4 voll., Firenze, Giuseppe Pagani, 1831
[I ed. 1824], vol. II, p. 239, sub voce Settimana santa, nonché il succitato MORONI, Dizionario, vol.
XXXVII, pp. 71–3: 73, sub voce Lamentazione, dove si riprendono le notizie fornite da Diclich.
3 Officium hebdomadae sanctae secundum curiam romanam, Venezia, Nicolò Misserini, 1589, c. 39v; non-
ché MORONI, Dizionario, vol. LXIV, pp. 310-1, sub voce Settimana santa. Questo spiega, peraltro,
l’apparente contraddizione riscontrabile nelle raccolte di lamentazioni apparse tra Cinque e Seicento,
laddove mentre in alcuni casi ci si attiene al Liber usualis denominando i tre giorni in cui si intonano
le lezioni giovedì santo, venerdì santo e sabato santo (o, più frequentemente, feria V, feria VI, sabato
santo), in altri ci si riferisce invece al giorno in cui concretamente si eseguivano le lamentazioni
(mercoledì, giovedì e venerdì santo).
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 73

«viole» (da braccio o da gamba), «arpicordi», e, più tardi, «chitarroni».4 L’anomalia


di questo organico che ha il suo denominatore comune e un indubbio elemento
di omogeneità nell’esser formato da soli strumenti a corda, parrà più evidente a
fronte di quello che, intorno al 1590, era lo strumentario consueto della pratica
musicale ecclesiastica: tromboni, e cornetti, oltre naturalmente all’organo, strumen-
to liturgico per antonomasia, il quale, era anche l’unico ufficialmente ammesso dal-
le rubriche.
Le prime e più esaurienti notizie dell’abbrivio di questo speciale impiego di
strumenti provengono da una serie di scritture contabili delle due principali chiese
di Bergamo: la basilica di Santa Maria Maggiore e il duomo di San Vincenzo. Si
tratta di tre polizze siglate tra il 1587 e il 1597 da Giovanni Florio — all’epoca
maestro di cappella della basilica — concernenti il reclutamento straordinario di
alcuni «suonatori di viola» per l’occorrenza del triduo e di altrettante annotazioni
contabili coeve stese dal «canepario» del duomo riguardanti il pagamento per suo-
natori straordinari e il trasporto di «viole et arpicordo per la musica dell’ufficio
delle Tenebre».5 Una più attenta collazione dei documenti in parola, unitamente al
loro inquadramento entro il contesto degli organici e delle pratiche esecutive allora
in uso in Santa Maria e in San Vincenzo, ci consentono di precisare meglio qualità,
modalità e area di intervento dello strumentario per l’ufficio delle Tenebre.
Se dalla prima polizza, redatta da Florio nel 1587, apprendiamo semplicemente
che due suonatori di viola, Pietro Cerone ed Enea Morari, furono impiegati per
«tre giorni della settimana santa»,6 le due scritture successive, del 1590 e del 1597,
4 Come si vedrà più avanti, l’uso di chitarroni e di liuti nella musica delle Tenebre, benché non do-
cumentabile sulla base di fonti archivistiche, è ampiamente attestato dalle raccolte di lamentazioni e
responsori edite dal 1612 in poi.
5 Doc. 3, 4, 5, 14, 15, 17. Altresì utile alla definizione del quadro è una quarta polizza, più tarda, re-
datta dal suonatore di violino, viola e violone Gioseffo Dalmasoni nel 1628 (doc. 10).
6 Doc. 3. I due erano entrambi stimati e ben noti nell’ambiente musicale bergamasco. «Ms. prè Piero
da Borgo» è infatti — come si evince da altri documenti coevi concernenti Santa Maria Maggiore e
la chiesa di S. Alessandro in Colonna — Pietro Domenico Cerone, l’autore del celebre «tractado» El
melopeo y maestro, Napoli, G.B. Gargano e — L. Nucci, 1613. Cerone, nipote e allievo di un certo
Ludovico, iniziò la carriera come cappellano e tenorista (1591) a Sant’Alessandro in Colonna, la
chiesa più importante dei «borghi» — vale a dire, la parte bassa della città — che era dotata di una
cappella musicale pari, per dimensioni e prestigio, a quella del duomo. Nel 1595, dopo alcuni dissa-
pori con il Consorzio di Sant’Alessandro, Cerone lasciò questa chiesa e fu assunto in Santa Maria
Maggiore, ove fin dal 1590 si era già esibito occasionalmente come strumentista e cantore. Dal 1597
non c’è più traccia della sua presenza in Bergamo, segno che da quest’anno ebbe probabilmente ini-
zio la sua fortunata avventura spagnola e napoletana. Cerone, come è noto, sarà attivo prima in Spa-
gna, al servizio della capella reale, e poi a Napoli ove pubblicherà il suo trattato. Meno noto del pri-
mo, ma altrettanto stimato era Enea Morari. Fratello di Achille (cfr. nota 8) e membro della più illu-
stre famiglia di «suonatori da arco» attiva in Bergamo, Enea fu organista in Sant’Alessandro in Colon-
na dal 1574 al 1583 e quindi nel duomo di San Vincenzo dal 1615 in poi. Per l’inedita documenta-
zione su Cerone cfr. Bergamo, Archivio di Sant’ Alessandro in Colonna, Registro delle parti (1591–
74 RODOLFO BARONCINI

ci aiutano a definire, rispettivamente, la taglia (un «basso» e un «contr’alto») e la


probabile tipologia («da brazzo») delle viole impiegate.7 Sulla base poi di una preci-
sa conoscenza degli organici in pianta stabile di cui allora disponeva Santa Maria
Maggiore si può tranquillamente ipotizzare che, accanto ai due strumentisti invita-
ti, ne suonasse normalmente anche un terzo: Achille Morari, suonatore stabile di
violino e viola della basilica a partire dal 1581.8
Proseguendo in un serrato confronto tra le scritture di Santa Maria e quelle del
duomo emerge, infine, che accanto al consort di tre viole da braccio era previsto, in
sostituzione dell’organo, un «arpicordo», vale a dire una spinetta poligonale,9 e che,
almeno a partire dalla fine degli anni Ottanta, questo peculiare ensemble era abi-
tualmente impiegato nelle due chiese bergamasche per la musica dell’ufficio delle
Tenebre e, in particolare, per l’esecuzione polifonica delle lamentazioni. Da un set-
timo documento, risalente all’epoca di Alessandro Grandi — e dunque assai più
tardo di quelli testè citati, ma di notevole interesse per esser di pugno di uno degli
strumentisti d’arco di più vecchia data di Santa Maria, Gioseffo Dalmasoni, suona-
tore di violino, viola e violone in forza fin dal 1593 — emerge, infatti, che l’inter-

1599), cc. 5 (3 dicembre 1591), 42 (30 aprile 1593), 50 (23 ottobre 1593); e Bergamo, Biblioteca Ci-
vica, Archivio della Misericordia Maggiore (d’ora in avanti: MIA) 1448, Scritture, c. 283; 1389, Spese,
c. 50 (27 agosto 1594); per quel che concerne i suoi servizi come suonatore si vedano, oltre ai doc. 2,
3 in appendice, quelli citati alla nota 7. Su Enea Morari si veda invece, Bergamo, Archivio di S.
Alessandro in Colonna, Registro delle parti (1573–84), cc. 49 (21 dicembre 1574), 270 (19 novembre
1583), 273 (28 dicembre 1583); Bergamo, Archivio Capitolare, reg. 574, Expensae (1600–40), annota-
zioni del 7 agosto, 12 settembre e 26 ottobre 1615.
7 Doc. 2, 3. La familiarità di Pietro Cerone con gli strumenti ad arco di registro grave (basso da brac-
cio e da gamba) è confermata dal fatto che nel gennaio del 1596 il consiglio della basilica gli affidò il
«violon da gamba» o «violone doppio» (un contrabbasso da gamba in Sol) che era stato fatto acquista-
re a Brescia nel settembre del 1595 per le necessità della cappella; cfr. BARONCINI, «In choro et in orga-
no», pp. 34, 47. Sulla tipologia del succitato «violon da gamba» si veda infine una polizza del 1605 re-
datta dal violonista della basilica Gherardo Colleoni (MIA 1390, c. 278, 4 giugno 1605) concernente
l’acquisto di un archetto e la sostituzione di due corde (la sesta «Gsolre» e la prima «Solre») da cui si
deduce chiaramente che lo strumento in possesso della Misericordia Maggiore era un contrabbasso
da gamba in Sol; cfr. LODOVICO ZACCONI, Prattica di musica […], vol. I, Venezia, Girolamo Polo, 1592,
libro IV, cap. LVI, pp. 218–19, e ADRIANO BANCHIERI, Conclusioni nel suono dell’organo, Bologna, eredi di
Gio: Rossi, 1609, p. 54, «violone da gamba».
8 Su Achille Morari si vedano i documenti e la breve scheda biografica riportati in BARONCINI, «In
choro et in organo», pp. 32–3, 45–7.
9 In tale contesto mi sembra utile ricordare che l’organico musicale di Santa Maria disponeva di una
spinetta fin dal 1566. Lo strumento, normalmente collocato nei locali dell’Accademia, la «schola» che
la Misericordia Maggiore aveva fondato per l’istruzione dei suoi chierici, veniva inizialmente utiliz-
zato per la preparazione musicale dei pueri; dal 1570 lo studio della spinetta divenne poi specifica ma-
teria d’insegnamento. Tra i vari obblighi cui erano tenuti gli organisti della basilica, c’era infatti an-
che quello «di insegnare d’arpicordo» ad alcuni chierici. Nel 1573 tra i quattro allievi di «arpicordo»
assegnati alle cure dell’organista Giovanni Battista Morsolino c’era Orazio Scaletta; cfr. MIA 1269,
Terminazioni, cc. 80v–81 (2 settembre 1570); 1270, Terminazioni, c. 40v (23 aprile 1573).
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 75

vento delle viole riguardava specificatamente «la lamentacione» (doc. 10), anche se
ciò non esclude — come vedremo più avanti — che nelle altre sezioni musicali
dell’ufficio (responsori, Miserere e Benedictus) fosse utilizzata la stessa strumentazio-
ne. Un’ulteriore indagine sui documenti consente infine di accertare quali opere,
presumibilmente, furono eseguite in Santa Maria con quella peculiare veste sonora.
Dai superstiti inventari dei «libri di canto figurato» di proprietà della basilica, redat-
ti tra il 1567 e il 1628, risulta una discreta dotazione di musiche per l’ufficio delle
Tenebre, che comprende sei libri di lamentazioni e quattro di responsori (doc. 1, 2,
11). Prescindendo dall’unico volume manoscritto contenente le lamentazioni di
Gasparo Alberti, opera acquisita forse intorno al 1540, quando il compositore pa-
dovano era già da molti anni al servizio della basilica bergamasca,10 il restante corpus
di musiche, verosimilmente tutte a stampa, consta di un primo gruppo di opere
che potremmo definire ‘classiche’ — comprendente le lamentazioni di Giovanni
Contino (1561), di Giovanni Nasco (1561 e 1564) e di Cristóbal de Morales (1564)
— e di un secondo gruppo di opere più recenti e stilisticamente avanzate — com-
prendente le lamentazioni di Marcantonio Ingegneri (1588), di Orazio Vecchi
(1587) e i responsori dello stesso Ingegneri (1588), di Tomaso Pecci (1603) e di
Gregorio Zucchini.11 Il primo gruppo fu acquisito, quasi sicuramente, tra il 1565 e
il 1567 da Pietro Ponzio, all’epoca maestro di cappella di Santa Maria (doc. 1), e,
non per caso, esso comprende proprio quelle stesse sillogi citate dal musicista nel
suo Ragionamento di musica come modelli da seguire nella composizione delle la-
mentazioni.12 Il secondo gruppo fu acquisito, almeno per quel che concerne le due
raccolte di lamentazioni, quasi certamente all’epoca del magistero di Giovanni Flo-
rio, presumibilmente, tra il 1587 e il 1590, esattamente lo stesso periodo a cui risal-
gono le prime testimonianze della prassi in oggetto. Tale coincidenza induce a cre-
dere che proprio nell’esecuzione di opere come le lamentazioni di Ingegneri e di
Vecchi (Tab. A), entrambe da eseguirsi «cum quatuor vocibus paribus»,13 si compis-

10 Sull’Alberti e la sua lunga attività in Santa Maria cfr. CRISTOFORO SCOTTI, Il Pio Istituto Musicale Do-
nizetti in Bergamo, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1901, pp. 60–2, e i numerosi documen-
ti riportati in appendice, e GARY S. TOWNE, Gaspar de Albertis and music at Santa Maria Maggiore in Ber-
gamo in the sixteenth-century, 2 voll., Ph.D. diss., University of California at Santa Barbara, 1985.
11 Dei perduti «Responsori a 8» del bresciano Gregorio Zucchini non si conosce la data di pubblica-
zione e la loro esistenza è testimoniata sontanto grazie agli inventari della Misericordia Maggiore.
Sulla base della produzione pervenutaci di Zucchini si può ipotizzare una datazione di questi respon-
sori oscillante tra il 1600 e il 1615.
12 «Né si deve in simili componimenti far inventione alcuna, o almeno poche, ma solo esprimer le
parole come si vede nelle lamentazioni di Morales, Gioanni Nasco, Gioanni Contino»; cfr. PIETRO
PONZIO, Ragionamento di musica, Parma, Erasmo Viotto, 1588, p. 61.
13 Sull’impiego delle voces pares e sulla presenza in Santa Maria, presumibilmente non casuale, di la-
mentazioni per questa combinazione vocale si veda la discussione al paragrafo 2.
76 RODOLFO BARONCINI

sero le prime sperimentazioni di quella speciale veste sonora derivante dall’uso


congiunto di un corpo di viole e di uno o più strumenti «da penna».
Sebbene le prime chiare attestazioni dell’abbrivio di questa prassi provengano
da Bergamo, sarebbe errato pensare a un fenomeno di tipo locale. Documenti di
poco posteriori, provenienti da Padova e Venezia, e alcune edizioni musicali — di
cui tratteremo più avanti — indirettamente connesse con Brescia e Verona, raffor-
zano piuttosto l’idea di una pratica ampiamente diffusa, il cui epicentro appare lo-
calizzabile entro i domini di terraferma della repubblica di Venezia, ma, con pro-
paggini in tutto il resto dell’Italia settentrionale, come suggeriscono alcune altre te-
stimonianze provenienti da Parma, Modena e Genova.
Eloquenti, in tal senso, sono alcuni documenti concernenti l’attività musicale
della basilica di Sant’Antonio e di altre chiese padovane. La lettera inviata, nel mar-
zo del 1601, dal prefetto della congregazione dei regolari al vescovo di Padova, af-
finché ponesse rimedio alla scandalosa costumanza avviatasi in «alcune chiese di
cotesta città de’ regolari et altre» di celebrare gli uffici di quaresima e particolar-
mente della settimana santa «con musiche di varij instromenti», è indicativa di una
consuetudine ormai generalizzata, alla cui penetrazione non si sottraggono neppu-
re le istituzioni conventuali:14
Intendendosi che in alcune chiese di cotesta città de’ regolari, et altre, si celebrano in questo
tempo di quaresima a certi giorni, et particolarmente la settimana santa gl’offitij con musiche
di varij instromenti ch’hanno più tosto del lascivo che del divoto et servono di ridotto ai gio-
vani con qualche scandalo, è parso bene a questi miei ill.mi signori ch’io avvertisca V.S. a pen-
sare di darvi qualche rimedio, il quale potendo essere meglio considerato da lei sul fatto hanno
ancor voluto ch’io lo rimetta alla prudenza et destrezza di sua. Potrà donque fare in ciò quello
che le parerà opportuno.

Il rigoroso editto repressivo, che su pressione dello zelante prefetto il vescovo fu


costretto a emanare, non valse tuttavia ad eliminare la consuetudine. Lo «scandalo» fu
arginato solo temporaneamente e parzialmente, se già l’anno successivo i presidenti
dell’Arca, visibilmente irritati per il danno di immagine e il calo di fedeli che una
tale proibizione avrebbe arrecato alle loro celebrazioni, corsero ai ripari, facendo leva
su alcune conoscenze altolocate acciocché, almeno nell’officiatura delle compiete
quaresimali, si ripristinasse la consueta prassi vocale-strumentale.15 I documenti con-
tabili della basilica confermano che il contrattacco dei presidenti ebbe successo: nel
1604 si ripresero a arricchire le compiete dei venerdì e delle domeniche di quaresi-

14 Documento cit. in ANTONIO SARTORI, Documenti per la storia della musica al Santo e nel Veneto, a c. di
Elisa Grossato, Vicenza, Neri Pozza, 1977, p. 204, datato 27 marzo 1601.
15 Si veda la lettera del 1 febbraio 1602 inviata dai presidenti dell’Arca a Girolamo Palantieri e la re-
plica di questi del 16 febbraio, cit. in SARTORI, Documenti, pp. 204–5.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 77

ma con il consueto dispiego di strumenti e, alcuni anni dopo, anche l’ufficio delle
Tenebre riprese ad essere adornato da quella peculiare veste sonora, i cui tratti abbia-
mo visto così ben delineati nella documentazione bergamasca.16 Da una polizza di
spese del 1612 emerge infatti che per «la musica della settimana santa» di quell’anno
la cappella antoniana ricorse all’impiego di ben due arpicordi,17 uno dei quali, come
chiarisce un pagamento erogato ad Amadio Freddi, venne affidato alle cure di uno
dei massimi virtuosi di «stromenti da penna» allora attivi a Padova: «Zuan Maria dalli
arpicordi», ovverosia Giovanni Maria Radino, autore del fortunato Primo libro di balli
d’intavolatura d’arpicordo (Venezia, Giacomo Vincenti, 1592).18
La situazione non è diversa se da Padova si passa a Venezia. Dai registri di cassa
della basilica di San Marco risulta che a partire dal secondo decennio del Seicento
era divenuto consueto accompagnare gli uffici del mattutino del mercoledì, del
giovedì e del venerdì santo (ovverosia l’ufficio delle Tenebre) con il clavicembalo e
uno o più strumenti ad arco (doc. 21–24). L’esecuzione al clavicembalo o alla spi-
netta, documentabile per tutto il corso del Seicento e anche oltre, spettava general-
mente al secondo organista, che riceveva per questo incarico un compenso straor-
dinario. Pur mancando precise notizie sull’impiego delle viole — nei documenti di
spesa straordinaria si fa menzione soltanto di un violino19 — non è azzardato cre-
16 Per un’eloquente lista di sonatori e cantori aggiunti, cfr. Padova, Biblioteca Antoniana, Archivio
dell’Arca, busta 1063, Mandati 1604, filza 20, «Musici ch’ànno servito la Quaresima alle compiete et le
feste di Pasqua» (foglio volante). Nella polizza i nominativi dei musicisti, reclutati in rinforzo a quelli
dell’organico stabile della cappella, non sono accompagnati dal rispettivo ruolo strumentale, ma da
un confronto con altri documenti coevi emerge che dei cinque o sei elementi elencati, tre — oltre a
un «terzo organista» — sono sicuramente strumentisti: «Zuane Petorin «violin», «Antonio Borghesan
sonator», «Livio sonator».
17 Doc. 20. Il fatto che nella polizza in oggetto non compaiano pagamenti per suonatori di viola non
deve stupire. La cappella antoniana poteva contare, fin dalla fine del Cinquecento, su almeno due
suonatori da arco stabili. cfr. ANTONIO GARBELOTTO, La cappella musicale di S. Antonio in Padova: profilo
storico-documentario dagli inizi a tutto il ’500, «Il Santo», VI, 1966, pp. 67–126: 76 (ove si riportano docu-
menti concernenti l’assunzione di «Antonio Beltramin dal violin»), e SARTORI, Documenti, pp. 128
(documento del 28 aprile 1592 concernente Girolamo Boni), e 204 (documento del 22 maggio 1600,
in cui si cita un «prete Agostino dal violino»).
18 Di Radino è noto soltanto che fu attivo come organista, clavicembalista e liutista a Padova tra il
1570 e il secondo decennio del Seicento. Nel 1579 il musicista concorse con Diruta, Tacconi, Fabris
e Capabianca per il posto di organista della capella antoniana; dal 1592 al 1598 fu organista della
chiesa di San Giovanni in Verdara; cfr. GIOVANNI TEBALDINI, L’archivio della Cappella Antoniana di Pado-
va, Padova, 1895; HOWARD FERGUSON, Radino, Giovanni Maria, in New Grove dictionary of music and mu-
sicians, London, MacMillan, 2001, vol. 20, p. 728.
19 Doc.22. Va ricordato al riguardo che la terminologia usata dagli scrivani che compilavano i libri di
cassa della basilica di San Marco non distingueva tra violini e viole. Gli unici termini utilizzati dal
1586 in poi sono «violin» e «violon». Termini come «viola da brazzo», «tenor da brazzo» o altri rinve-
nibili con certa frequenza in altri documenti coevi non figurano mai in questi registri, dal che si de-
duce che il termine «violin» — come spesso accadeva nella tradizione terminologica veneziana —
poteva riferirsi sia al violino vero e proprio sia alla viola.
78 RODOLFO BARONCINI

dere, visto il buon numero di suonatori di violino e «viola da brazzo» stabili di cui
disponeva all’epoca la basilica, che la sonorità messa in campo a San Marco per
l’ufficio delle Tenebre fosse del tutto simile a quella descritta nei documenti berga-
maschi. Un’informazione interessante che emerge dalle spese marciane riguarda la
menzione insolitamente precisa del momento dell’ufficio cui la strumentazione in
parola era destinata: «lamentazion della settimana santa», si legge in una annotazio-
ne del 1615, mentre altre due note, del 1650 e del 1656, riportano, rispettivamente,
«per cantar le lettioni» e «per cantar e sonar le lettioni li giorni della settimana san-
ta» (doc. 21, 22, 24). Questo dato confermerebbe l’impressione — già suggerita da
un documento bergamasco sopra citato — che, pur non potendosi escludere che
l’uso di viole e clavicembali fosse esteso a tutti i momenti musicalmente salienti
dell’ufficio, il luogo privilegiato di questa speciale sonorità fossero anzitutto le la-
mentazioni di Geremia.20
Notizie sull’uso degli strumenti durante l’ufficio delle Tenebre, provengono —
come si è già notato — anche da centri al di fuori dell’area fin qui trattata. A Par-
ma, per esempio, un discreto corpus di scritture contabili relative alla cattedrale atte-
sta con una certa regolarità, a partire dal 1612, la presenza di una consistente com-
ponente strumentale per le festività della settimana santa (doc. 29, 30). I «cinque in-
strumentisti» menzionati nei due mandati del 1612 e del 1615 non costituiscono
probabilmente una novità: pur in assenza di prove evidenti, è credibile, infatti, che
la partecipazione dei suonatori al sacro triduo risalisse a svariati anni addietro, dal
momento che nei documenti anteriori al 1612 gli elementi reclutati sono designati
genericamente come «musici» (doc. 25–28). In tal senso, un interessante indizio è
fornito dai capitoli dei musici dell’importante chiesa locale di Santa Maria della
Steccata. In questi capitoli, redatti nel 1603 ma formalizzanti una situazione sicura-
mente precedente, si stabilisce «che [i musici] debbiano cantare li matutini della
settimana santa più solenni che si puote con tutte le voci et instrumenti».21 Se i
documenti di Parma tacciono sul tipo di strumentario impiegato, privandoci così
di una testimonianza completa, essi risultano comunque di non poca utilità, specie
quando, nel fornirci un quadro completo dei servizi musicali svolti nei diversi
giorni e uffici della settimana santa, ci danno conferma dell’attenzione speciale di

20 Per quel che concerne i responsori esistono poche attestazioni e, in verità, un pò tardive; si veda,
per esempio, la raccolta di Francesco Milleville (cfr. tabella B e alla nota 67), mentre per il Miserere vi
sono evidenze documentarie precoci come quelle riportate da JOHN HILL, Oratory music in Florence, I.
Recitar cantando, 1583–1655, «Acta musicologica», LI, 1979, pp. 108–36: 133-4, concernenti la confra-
ternita fiorentina dell’Arcangelo Raffaello, e testimoni musicali di rilievo come l’impegnativo Misere-
re incluso nelle Lamentationi (1612) di Capello di cui più avanti si discuterà in dettaglio.
21 NESTORE PELICELLI, Musicisti in Parma nel secolo XVII, «Note d’archivio per la storia musicale», IX, 1932,
pp. 217–46: 218.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 79

cui godeva l’«officio delle Tenebre».22 Più specifiche, benché episodiche, sono alcu-
ne informazioni provenienti da altre due città emiliane, Modena e Ferrara. La Cro-
naca dello Spaccini, una fonte fondamentale per la ricostruzione del contesto musi-
cale modenese del primo Seicento, riferisce che il 15 aprile 1609, presso la chiesa
dei monaci benedettini cassinensi di San Pietro, alla presenza del duca Cesare d’E-
ste si celebrò con «buonissima musica» l’ufficio del mattutino del mercoledì santo:
all’esecuzione, quasi certamente delle lamentazioni di Geremia, diretta da Paolo
Bravusi, un allievo di Orazio Vecchi, parteciparono, oltre a Luigi Mazzi, discepolo
di Luzzaschi, e al celebre falsettista «Giovanni Luca [Conforti] romano», «una muda
di viole da gamba che sono da Viadana».23 Meno episodiche, sebbene più tardive,
sono le notizie provenienti da Ferrara. Da alcune note di pagamento concernenti
l’attività musicale della locale Compagnia della Morte e Orazione, relative agli anni
1616–1623, risulta come per i mattutini della settimana santa venisse approntata
una particolare strumentazione comprendente chitarroni, violone e altri strumenti
non meglio specificati, verosimilmente clavicembali o spinette, menzionati in alcu-
ni pagamenti effettuati a Ercole Foligni, abituale suonatore e accordatore di stru-
menti da tasto della compagnia ferrarese, in altre occasioni.24

2. Prima di offrire ulteriori evidenze e di discutere gli interessanti riscontri rin-


venibili in alcuni testimoni musicali del primo Seicento, urge a questo punto dar
spazio a qualche riflessione sulle motivazioni che poterono condurre all’istituzione
di una prassi siffatta. La questione può essere posta in due tempi, nella forma cioè
di due quesiti distinti ma strettamente complementari: primo, per quali ragioni gli

22 Da una polizza del 1616 risulta che la spesa sostenuta per la musica delle Tenebre — ovverosia i tre
mattutini che si officiavano la sera del mercoledi, giovedì e venerdì santo — era, se pure di poco, su-
periore a quella sostenuta per la messa della domenica delle Palme e per gli uffici del giovedì mattina
(messa), del venerdì mattina (adorazione della croce e processione) e del sabato mattina (messa); cfr.
doc. 31.
23 GIOVANNI BATTISTA SPACCINI, Cronaca di Modena (1589–1638), ed. mod. a c. di Albano Biondi, Rolan-
do Bussi, Carlo Giovannini, vol. II (1603–1611), Modena, Panini, 1999, p. 368.
24 «16 [aprile 1618] A messer Ercole Fulegnio lire sei per haver accordato l’instromenti la settimana santa
e servito alli ufficii e la notte della giobia santa». «30 [marzo 1619]. A messer Ercole Fulegno lire sei per
haver accordato li instromenti per li uficii della settimana santa». «[10 aprile 1623]. A messer Ercole Fule-
gno per haver servita la compagnia tutta questa settimana santa in accordare stromenti et acomodarli per
li matutini e processione sudetta; pagò Hippolito Bonati £ 6». «Detto [10 aprile 1623]. Al Rosso Setra-
morti per sua portatti inanzi et in dietro doi stromenti imprestati alla compagnia il signor Antonio Gonti
per li offizii della settimana santa et haver portati inanzi et in dietro diversi chitarroni et altri servizii £
1.15. […] Al Muletta dal violone [= Vincenzo Mainardi] £ dodici per sua mercede d’haver servito la
compagnia con il violone a tutti li offizii della settimana santa et processione della giobia a visitare li se-
polcri […]»; cfr. ENRICO PEVERADA, “De organis et cantibus”. Normativa e prassi musicale nella chiesa ferrarese del
Seicento, «Analecta pomposiana», XVII-XVIII, 1992–1993, pp.109–51: 117–8. Ringrazio Arnaldo Morelli per
avermi gentilmente segnalato l’articolo e i documenti sopracitati.
80 RODOLFO BARONCINI

strumenti siano potuti penetrare in una liturgia tradizionalmente luttuosa, austera e


restìa allo sfoggio di qualsiasi tipo di ornamento quale l’ufficio delle Tenebre; se-
condo, e assai più intrigante quesito, per quale motivo questa penetrazione si sia
verificata nella forma di uno strumentario così peculiare ed estraneo all’ordinaria
pratica musicale da chiesa.
Rispondere alla prima domanda non è difficile. Nel corso del Cinquecento e con
crescente determinazione sul finire del secolo si assiste a un uso sempre più smalizia-
to e spregiudicato della polifonia: se la musica è un mezzo utile ad attrarre i fedeli e a
potenziarne la devozione, tanto più essa sarà sofisticata e seduttiva, tanto più ne trar-
ranno vantaggio il culto e il prestigio della chiesa.25 In tal senso, gli strumenti, sia
come elemento d’espressione autonoma, sia come sostegno e decisivo complemento
sonoro per la perfetta riuscita delle esecuzioni vocali, divengono ben presto una
componente irrinunciabile dello spettacolo liturgico. Ad attestarlo, al di là della ricca
dotazione strumentale esibita da tante cappelle, sono gli stessi protagonisti: per esem-
pio, i già citati ministri della basilica antoniana, che — come si è visto — muovono
tutte le leve in loro potere pur di non privare le proprie celebrazioni dell’ormai con-
sueta presenza degli strumenti, «accioché la continua devozione di questo tempio in
tal tempo di devozione non si sminuischi ma anzi più si augumenti».26
In questo contesto non stupisce se anche il rituale delle Tenebre, l’ufficio più
austero e intenso di tutta la liturgia, divenga via via terreno di esibizioni musicali
crescentemente estetizzanti. Un interessante indizio di questo processo di ‘spettaco-
larizzazione’ ci è fornito da una testimonianza, riportata nella prefazione alle La-
mentationes di Paolo Ferrarese del 1565 (Tab. A), in cui si fa riferimento a esecuzio-
ni delle lamentazioni di Geremia a Perugia e ad Arezzo nell’autunno del 1564. Più
che di una semplice testimonianza, si tratta di una severa critica che, secondo l’ano-
nimo frate compilatore della raccolta ed estensore della prefazione, sarebbe stata
espressa in riferimento a queste esecuzioni da Andrea Pampuro, abbate del conven-
to benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia e dedicatario dell’opera:27
25 Sullo statuto della musica in ambito ecclesiastico e sulle sue molteplici funzioni cfr. MAURIZIO
PADOAN, La musica in S. Maria Maggiore a Bergamo nel periodo di Giovanni Cavaccio (1598–1626), Como,
AMIS,1983, pp. 37, 124 nota 4, 136, 137, ove si riportano ampie citazioni di documenti riguardanti
Santa Maria Maggiore del tutto simili a quelle sopracitate della basilica di Sant’Antonio a Padova.
Sulla questione si vedano inoltre i fondamentali contributi di GINO STEFANI, Musica barocca. Poetica e
ideologia, Milano, Bompiani, 1974, e ID., Musica e religione nell’Italia barocca, Palermo, Faccovio, 1975.
26 Al riguardo si veda la lettera indirizzata dai presidenti dell’Arca del 1. febbraio 1602 a Girolamo
Palantieri, ufficiale della congregazione dei Regolari della curia apostolica romana, cit. in SARTORI,
Documenti, p. 204.
27 Sul contesto benedettino della vicenda e sull’importanza della raccolta di Ferrarese si veda JOHN
BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’. Musical style and text selection in north-Italian lamentations settings in
the second half of the sixteenth century, «Journal of the Royal Musical Association», CXVIII, 1993, pp.
167–202: 167–9.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 81

Mi ha persuaso la memoria […] d’un ragionamento che V.S.R. [scil. Andrea Pampuro, abbate
del convento di San Giorgio Maggiore a Venezia] mi fece sei mesi addietro, quando parlando
meco in camera sua dimesticamente […] mi raccontò con quanta noia nel suo per noi ben
aventuroso viaggio da Roma a Venezia, havesse udito la settimana santa cantare in Perugia et in
Arezzo le lamentationi di Geremia profeta con tante gorghe, et con tante moltitudini di voci,
che le erano parute più tosto un confuso strepito et romore ch’una distinta musicha, & pietosa
e divota quale si conviene in questi santi giorni […].

Fautore della prassi più tradizionale, l’abbate lamenta l’intrusione di alcune no-
vità esecutive, quali il ricorso alla pratica diminutiva e una concertazione a voci re-
plicate di forte impatto fonico, reputate a suo giudizio inadeguate allo spirito peni-
tenziale dell’ufficio e d’ostacolo alla comprensione di un testo particolarmente me-
sto e drammatico come quello delle lamentazioni.28 A parte questa ed altre testi-
monianze coeve di concertazioni giudicate sconvenienti,29 segnali altrettanto tangi-
bili e sostanziosi di questo mutamento si colgono nel processo di forte aggiorna-
mento stilistico attraversato dal genere delle lamentazioni a partire dalla metà degli
anni Sessanta, nonché dalla crescente produzione di raccolte musicali per la setti-
mana santa (specialmente di lamentazioni) che si verifica tra il 1580 e il 1600. Già
le lamentazioni di Nasco e Contino, apparse entrambe nel 1561 (Tab. A), esibisco-
no una fluidità che si stacca alquanto dallo stile asciutto, rigidamente accordale e
monotonamente isoritmico della tradizione precedente.30 Ma è soprattutto a parti-
re dagli anni Ottanta che le lamentazioni, in virtù della natura patetica del testo, di-
vengono terreno fertile per la sperimentazione di alcune audacie espressive: croma-
tismi, urti fortemente dissonanti e intervalli melodici inusitati (soprattutto di quar-
28 In tal senso ci sembra che l’interpretazione del passo succitato fornita da BETTLEY, ‘La compositione
lacrimosa’, pp. 167–9, sia viziata da un equivoco di fondo per cui si confondono prassi compositiva e
prassi esecutiva. Sulla scia delle suggestioni presenti nel documento, Bettley sembra infatti considera-
re la pubblicazione della raccolta di Ferrarese e le sue connotazioni stilistiche come una diretta con-
seguenza delle improprie esecuzioni ascoltate da Andrea Pampuro ad Arezzo e a Perugia. In realtà è
assai probabile che le esecuzioni ascoltate e criticate dall’abbate non fossero altro che roboanti con-
certazioni di raccolte famose e stilisticamente non tanto dissimili — come peraltro rileva lo stesso
Bettley — da quelle di Ferrarese, quali quelle di Contino e Nasco, apparse entrambe nel 1561, o di
Morales, una raccolta questa particolarmente diffusa, reputata un classico nel suo genere, edita pro-
prio nel 1564 (Tab. A).
29 Per esempio quelle che ebbero luogo a Lucca nel 1576, caratterizzate, a quanto pare, dall’impiego
di «omnis vocum instromentorumque generis», sulle quali si abbatté la censura del severo pontefice
Pio V; cfr. DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, p. 239, sub voce Settimana santa.
30 Esemplari dello stile in auge nella prima metà del secolo sono, oltre ai modelli fondanti di Trom-
boncino e altri inclusi nella raccolta Lamentationum liber secundum. Auctores Tromboncinus, Gaspar, Era-
smus, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1506, le lamentazioni di Jachet de Mantua (Bologna, Civico Mu-
seo Bibliografico Musicale, ms. Q.23), composte presumibilmente intorno al 1540. Queste ultime, a
testimonianza dei venti innovatori spiranti dagli anni Sessanta in poi, furono date alle stampe nel
1567 in una versione fortemente aggiornata. Per un raffronto tra le due versioni, estremamente
istruttivo della succitata distanza stilistica, cfr. BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, pp. 177–9.
82 RODOLFO BARONCINI

ta diminuita ascendente), presenti solo occasionalmente nelle raccolte di Nasco e


Contino, sono ormai elementi distintivi e obbligati di un genere che Pietro Ponzio
nei suoi Ragionamenti del 1588 descriverà egregiamente in questi termini:31
Lo stile che si tiene nel comporre le lettioni della settimana santa è tale che communemente
[le voci] vanno insieme […] il compositore deve servirsi delle dissonantie, acciò facciano lacri-
mosa la compositione, ché così ricercano le parole; […] si suole alle volte fare ch’una over due
parti facciano movimento per far che sia la compositione alquanto variata.

Le Lamentationes di Michele Varoto, apparse nel 1587 (Tab. A), costituiscono una
buona esemplificazione dello stile avanzato generalmente adottato nell’intonazione
dei testi di Geremia durante l’ultimo ventennio del secolo. Qui la tradizionale
scrittura accordale è ovviamente mantenuta ma, lungi dall’essere presentata nella
forma dell’asciutta isoritmia sillabica degli anni precedenti, appare ora stemperata
dall’inserimento di sezioni contrappuntisticamente più animate. In questo tessuto
calibratamente discontinuo e ulteriormente ravvivato dalla polifonia imitativa delle
iniziali ebraiche, quasi dei refrain contappuntistici intercalanti la veste prevalente-
mente accordale delle strofe, i blocchi rigidamente omoritmici sono strategica-
mente riservati alla declamazione espressiva di alcuni momenti salienti del testo.32
Sul fronte dell’armonia va poi rilevato come dissonanze e inflessioni cromatiche
ricorrano un pò ovunque per sottolineare alla maniera dei madrigali espressioni o
parole particolarmente crude, ma anche — come accade nell’introduzione alle tre
lezioni del sabato santo («De lamentatione Hieremiae») — per annunziare il clima
particolarmente mesto e dolente del testo. L’opera di Varoto, tuttavia, è anche la
prima raccolta di lamentazioni e di musiche per la settimana santa a prevedere
l’impiego degli strumenti, pur nei termini della solita generica formula ad libitum.
Questo fatto ci offre l’occasione per spostare il discorso in un’altra direzione: i bra-
ni musicali dell’ufficio delle Tenebre, incluse le lamentazioni, non furono immuni
dalla tendenza, ormai diffusa nel repertorio da chiesa, a porre una crescente atten-
zione agli aspetti puramente sonori della composizione. Ne è chiaro indizio la
pubblicazione, a partire dagli anni Ottanta, di lamentazioni composte per un orga-
nico superiore alle quattro voci (quelle a cinque di Isnardi, Romano, Varoto, Orfi-
no, Dentice, Massaino, Bonavita, Magri, Iacobetto, Cantoni; e quelle a sei e a otto
di Asola e Guami; cfr. Tab. A) e la presenza sempre più frequente di intonazioni po-
licorali del Benedictus e del Miserere, come accade, per esempio, nelle raccolte di Va-

31 PONZIO, Ragionamento di musica, p. 158. Per un’analisi dello stile di Nasco e Contino, e per uno
sguardo alle ulteriori innovazioni espressive presenti nelle raccolte di lamentazioni apparse nell’ulti-
mo quarto del secolo si veda ancora BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, pp. 176–7, 185–7.
32 È il caso, per esempio, della terza strofa della prima lezione della feria V (giovedì santo) ove la frase
«omnes persecutores eius» è intonata in declamato stretto.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 83

roto, Guami, Magri, Asola e altri (Tab. A). È facile, a questo punto, comprendere le
ragioni dell’ammissione degli strumenti all’ufficio delle Tenebre: essi, semplicemen-
te, sono indispensabili per la perfetta riuscita di composizioni che, persa l’antica au-
sterità, presentano sempre maggiori difficoltà per le voci, ma anche per una com-
piuta e più seducente resa sonora della polifonia.
Fornita una plausibile spiegazione del primo quesito, resta ora da capire la ragione
di scelte tanto peculiari. In genere, viole, spinette, chitarroni e strumenti a corda non
rientravano nella normale prassi della musica da chiesa dell’epoca. È ben noto, infatti,
che l’ossatura degli organici strumentali impiegati nelle principali cappelle ecclesia-
stiche a quel tempo era costituita essenzialmente da strumenti a fiato, come cornetti
e tromboni.33 Si tratta, dunque, di una scelta che, almeno a prima vista, parrebbe pa-
radossale. Sorprende, infatti, che strumenti marcati da forti ed inequivocabili connes-
sioni con il mondo profano fossero ammessi nell’ufficio più austero della liturgia.
Eppure, a ben vedere, in tutto ciò c’è un senso che investe, al di là di questioni di or-
dine pratico, motivazioni più profonde. La spiegazione più immediata è che, essendo
l’ufficio delle Tenebre un rituale del tutto particolare, occorresse una sonorizzazione
non ordinaria che fosse funzionale e al tempo stesso capace di imprimere una pro-
pria specifica impronta sonora. Un compito, questo, difficilmente attuabile col nor-
male strumentario (tromboni, cornetti e organo) a motivo anche del severo divieto
che vigeva in queste occasioni sul suo impiego. La ricerca di un colore particolare,
adeguato al tono lacrimevole e penitenziale dell’ufficio, è già visibile, del resto, nella
preferenza che le intonazioni dei testi di Geremia accordano all’uso delle voci pari.34
Quantunque Bettley curiosamente neghi l’esistenza di una relazione diretta tra l’im-
piego delle «voci mutate» e i testi delle lamentazioni, osservando come tale opzione
potrebbe tutt’al più essere indice di una destinazione monastica o di un’istituzione di
rango inferiore, come confraternite e chiese di piccoli centri,35 resta il fatto che una
33 Ricordiamo, per esempio, che in Santa Maria Maggiore a Bergamo tra 1585 e 1590, periodo in
cui emergono tracce della pratica strumentale delle Tenebre, l’organico in pianta stabile era formato,
oltre che dall’organista, da un violino e tre tromboni. Nelle feste principali il numero dei suonatori
poteva crescere, a seconda dei casi, di due o più elementi per lo più cornetti o tromboni; per esem-
pio, una «polizza» per la festa dell’Assunzione del 1587 documenta l’ingaggio di un cornetto e due
tromboni. Significativo è il confronto tra questa e altre polizze concernenti le feste dell’Assunzione e
della Natività della Vergine, e quelle precedentemente discusse concernenti il triduo delle Tenebre.
Mentre nelle prime, nel caso in cui si richiedano strumenti, figurano esclusivamente cornetti e trom-
boni, nelle seconde figurano richiesti esclusivamente gli strumenti ad arco; cfr. MIA 1273 (1586–1590),
cc. 205r-v (16 gennaio 1590); 1387 (1583–1589), cc. 409 (15 agosto 1587), 503 (15 agosto 1588 e 15
agosto 1589).
34 Sulla nozione di voces pares e sul loro impiego nel repertorio polifonico sacro e profano del Cin-
queceno a scopi espressivi si veda l’ottimo contributo di FRANK CAREY, Composition for equal voices in
sixteenth century, «Journal of musicology», IX, 1991, pp. 300–42.
35 BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, p. 185. Con l’espressione «a voci mutate» (voces mutatae) si in-
tendono le voci pari di registro medio-grave (la combinazione più usuale era ATTB), per il fatto che
84 RODOLFO BARONCINI

percentuale estremamente elevata di intonazioni polifoniche per l’ufficio delle Tene-


bre (lamentazioni, responsori, Improperia ecc.) sia destinato a voci virili (la combina-
zione più ricorrente è AATB).36 Un dato questo che non trova riscontro in altre for-
me liturgiche (messe, mottetti, inni, salmi, litanie), troppo macroscopico per essere
frutto di una scelta casuale e non invece retaggio di una prassi vieppiù consapevole
dell’esigenza di una cifra sonora ed espressiva che fosse congruente al momento li-
turgico. Del resto che l’ esecuzione puramente vocale delle lamentazioni fosse già di
per sé caratterizzata da un timbro peculiare — tendenzialmente scuro e implicante
l’uso delle voci virili — ce lo conferma un trattatista di comprovata militanza nella
musica da chiesa quale Pietro Cerone: 37
[Las lamentaciones] ordinariamente se suelen componer del segundo, quarto y sexto tono per
Be quadrado, porque estos tonos naturalmente son tristes y llorosos, todas vezes se canten con
bozes baxas y muy graves (y mas interveniendo solamente vozes varoniles) y cantando una sola
boz por parte.

Se questa era la prassi squisitamente vocale — prassi che sembra rifuggire da


qualsiasi forma di «stridor» canoro —, si può ben comprendere perché, quando si
iniziò a realizzare le prime sperimentazioni strumentali, queste si realizzassero pre-
valentemente al di fuori dei mezzi convenzionali (cornetti, tromboni e organo), nel
tentativo di esperire una sonorità di segno diverso, distinta e acconcia sotto il profi-
lo del timbro e del registro allo spirito delle Tenebre e dei testi di Geremia. Tali
sperimentazioni diedero comunque i loro frutti, dacché nulla forse meglio della
sonorità un pò cupa e velata, ma al tempo stesso delicata e soave delle viole da
braccio e da gamba di registro medio e grave si adattava ad accompagnare un uffi-
cio la cui corda principale era quella di una luttuoso e sommesso lamento.

da questo tipo di combinazione erano escluse le voci dei fanciulli nelle quali la muta della voce non
aveva ancora avuto luogo.
36 Oltre a ciò va rilevato come la correlazione ipotizzata da BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, p. 185,
tra l’uso delle voces pares e una destinazione di minore importanza appaia, alla luce dei fatti, difficil-
mente sostenibile. Non sono poche, infatti, le raccolte per voci virili che esibiscono destinatari di
rango come ben illustrano, per esempio, quelle di Giovanni Nasco (Venezia, 1561, dedica agli Acca-
demici di Verona), Orazio Vecchi (Venezia, 1587, dedica al vescovo di Modena), Marcantonio In-
gegneri (Venezia, 1588, dedica a Paolo Camillo Sfondrati, membro della più illustre famiglia cremo-
nese), Antonio Buonavita (Venezia, 1600, dedica all’arcivescovo Carlo Antonio Puteo «archiepisco-
po pisano»), Giovanni Croce (Venezia, 1603, senza dedica ma destinate — come dimostra lo stesso
Bettley — alla basilica di San Marco); Ludovico Viadana (Venezia, 1609, dedica al cardinale Scipione
Borghese); e Marco da Gagliano (Venezia, 1630, responsori dedicati ad Alessandro Marzio «archiepi-
scopo fiorentino»). Un ulteriore argomento a detrimento dell’ipotesi avanzata da Bettley può essere
costituito dal fatto che una cappella prestigiosa come quella di Santa Maria Maggiore avesse in dota-
zione un numero preponderante di lamentazioni a voci pari.
37 CERONE, El melopeo y maestro, libro XI, cap. XVI (De la manera de componer los himnos y las lamentaciones
de la semana santa), p. 691.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 85

Sarebbe riduttivo, tuttavia, limitare la nostra ricerca di senso all’unico piano del-
le convenienze pratiche ed estetiche. Che alla base di una prassi così caratteristica
vi possano essere implicazioni più profonde e che, in sintesi, all’origine della scelta
di un determinato tipo di strumenti e della ricerca di una sonorità così peculiare vi
possano essere motivazioni di ordine simbolico è una eventualità suggerita, non
solo dall’intima coerenza del nostro strumentario, costituito — va ricordato — di
soli strumenti a corda, ma anche dalle modalità stesse con cui si officiavano le Te-
nebre; una liturgia — come avverte, per esempio, più volte il Mazzinelli — parti-
colarmente densa di «misteri» in cui ogni oggetto e ogni azione rituale erano cari-
chi di precisi significati simbolici:38
Non è mai senza il suo mistero quello, che si opera nella chiesa, particolarmente in questi
giorni [del sacro triduo]; e s’ingannano costoro che per far troppo l’arguto, fanno il disgustato
delle allusioni, delle figure, de’ misterj.
[L’ufficio divino] che si recita in questi giorni ritiene più d’ogni altro dell’antica simplicità e
più di ogni altro contiene misterj molti ed eccelsi […].Vi è in esso un tal misto di lugubre e di
affettuoso che sente di superna consolazione, e di un santo salutevole orrore riempirsi l’anima,
chi attentamete e divotamente vi assiste.

Si tratta — va premesso — di una serie articolata di gesti, di azioni percepibili


visivamente e uditivamente, di particolari oggetti sacri, riguardanti in alcuni casi
tutta la liturgia della settimana santa, ma che raggiungono un momento di massima
concentrazione nell’ufficio delle Tenebre. Ne enumero alcuni fra i più significativi
nella convinzione che ciò sia essenziale per ben comprendere non solo il simboli-
smo diffuso che aleggiava nei tre mattutini del sacro triduo, ma anche il contesto in
cui si verificavano le esecuzioni musicali. Partendo dagli oggetti, quello più vistoso
e rilevante era il sepolcro effimero che si montava solitamente nell’area del coro.
Simbolo della sepoltura di Cristo e oggetto di forte devozione, il sepolcro era illu-
minato da un sistema di lampade («balloni») piuttosto sofisticato (doc. 6, 9, 19).
Contestualmente all’erezione del sepolcro, si procedeva a spogliare la chiesa di tutti
i suoi ornamenti e a coprire di «panni negri» gli arredi non trasportabili (pale d’al-
tare, crocefissi, statue ecc.), nonché il coro, la cantoria e i palchi eretti appositamen-
te per le esecuzioni musicali (doc. 7, 8, 18, 19, 20). Questa generale apparatura a
lutto, che veniva a modificare in modo sostanziale il normale assetto visivo dell’in-
terno dei luoghi di culto, era ovviamente volta a significare in modo più sensibile il
dolore della chiesa e dei fedeli per la passione e la morte di Cristo.39 Sul fronte
38 ALESSANDRO MAZZINELLI, Uffizio della settimana santa colle rubriche volgari, argomenti de’ salmi, spiegazione delle
cerimonie, e misterj, con osservazioni, e riflessioni divote, Roma, G.M. Salvioni, 1742 [I ed. 1704], pp. 109, 111.
39 La spoliazione e la copertura degli arredi, aggiunge MORONI, Dizionario, vol. LXIV, p. 315, sub voce
Settimana santa, alluderebbe anche al fatto che «Cristo prima della sua passione non si mostrò in pub-
blico ma si tenne nascosto per qualche giorno».
86 RODOLFO BARONCINI

uditivo l’elemento più evidentemente connotativo era costituito — oltre che dal-
l’intonazione sommessa, flebile e interrotta da diverse pause con cui i celebranti re-
citavano l’ufficio — dalla sostituzione del suono festoso e squillante delle campane
con quello sordo e percussivo delle tavolette.40 Oltre che a rievocare la pratica li-
turgica dei primi secoli, l’uso delle tavolette e il conseguente silenzio delle campa-
ne, alluderebbe, secondo i liturgisti, al «silenzio che tennero e al sommo affanno in
cui furono immersi gli apostoli durante la passione e la morte del Salvatore».41 Tra i
vari gesti rituali di natura simbolico-evocativa presenti nella liturgia della settimana
santa, particolarmente suggestivi sono quelli pertinenti, in senso stretto, l’ufficio
delle Tenebre. È questa, in generale, una liturgia già di per sé fortemente simbolica,
essendo in pratica una rappresentazione dei funerali di Cristo.42 Poiché la luce
(Cristo) e le tenebre (la cecità degli uomini) sono le due immagini simboliche
centrali di tutto l’ufficio, l’oggetto ritualmente più significativo è uno speciale can-
deliere di forma triangolare detto «saetta» o, più semplicemente, «triangolo». Evi-
dente simbolo trinitario, il triangolo era posizionato «nel piano del presbiterio in
cornu epistolae» e sormontato su due lati (il terzo fungeva da base) da quindici can-
dele, disposte gradatamente sette per parte più una, la quindicesima, posta sull’api-
ce.43 Tranne quest’ultima, rigorosamente bianca, tutte le altre candele e, talvolta lo
stesso triangolo, erano dipinti di giallo.44 Contestualmente al triangolo altri sei
lumi venivano disposti sull’altare maggiore:45

40 Altresì dette «troccale» o «crotali», le tavolette rimpiazzavano l’uso delle campane dal Gloria della
messa del giovedì santo fino al Gloria della messa del sabato santo. Leggermente diversa era la prassi
del rito ambrosiano ove le campane cedevano il passo ai crotali solo nel venerdì santo. A questa
usanza si riferisce il componimento poetico Descriptio puerorum qui in ultimis maioris hebdomadae diebus,
ligneis malleis pulsant januas domorum, et gradus sacrorum templorum, apparso in GIUSEPPE BERNERI, Poesis
jocosa, Padova, Giuseppe Corona, 1715.
41 MORONI, Dizionario, vol. LXIV, pp. 312–3, sub voce Settimana santa, che in merito alla questione ri-
porta le opinioni di FRANCESCO CANCELLIERI, Le due nuove campane di Campidoglio […] con varie notizie
sopra i campanili e sopra ogni sorta di orologi ed un’appendice di monumenti, Roma, Antonio Fulgoni, 1806,
p. 30, e di ALBAN BUTLER, The moveable feasts, fasts, and other observances of the Catholic Church, London,
C. Kiernan Fullwoods-Rents, 1774.
42 «Tutto l’uffizio è un compianto ed un lamento, e vi si osserva un cert’ordine alquanto simile a
quello che si pratica nell’essequie de’ morti perché ancora in questo vengono come celebrati i fune-
rali del Redentore»; cfr. MAZZINELLI, Uffizio della settimana santa, p. 113. È un concetto questo che
emerge chiaramente anche in molti titoli e prefazioni di edizioni musicali per il sacro triduo. Valga
ad esempio il titolo della raccolta di responsori, piu avanti citata, di Francesco Milleville (vedi nota
67).
43 Si veda la descrizione particolareggiata che ne dà DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, pp. 29–
30, sub voce Mattuttini delle Tenebre.
44 Doc. 12, 13, 18. L’uso delle candele gialle è ricordato anche da BUTLER, The moveable feasts; cfr.
MORONI, Dizionario, vol. LXIV, p. 311, sub voce Settimana santa.
45 DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, p. 30, sub voce Mattuttini delle Tenebre.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 87

Si adornerà l’altar maggiore di un padiglione di color pavonazzo per il mattutino da dirsi nella
feria IV, imperciocché, nei due giorni che seguono, tutti gli altari debono essere affatto spogli e
nudi, senza fiori e immagini de’ santi, o reliquie, e sopra di esso si porranno sei candellieri di
materia oscura colle candele di cera comune; le quali si accenderanno, come pure quelle del
triangolo, le quali si accendono per dinotare la fede nella santissima Trinità, la quale vigeva nel-
la Beata Vergine, negli apostoli e nelle tre Marie, da qualche accolito verso il fine di compieta.

L’importanza del triangolo e dei sei «candellieri di materia oscura» apparecchiati


sull’altare sta nel fatto che essi erano i principali vettori di quello stato di oscurità
progressiva (metaforica e reale) in cui si celebrava normalmente l’ufficio delle Te-
nebre. Alla fine della recitazione di ogni salmo del mattutino e delle laudi una delle
quattordici candele gialle — raffiguranti, secondo una lettura ampiamente condivi-
sa, i dodici apostoli e le tre Marie — veniva smorzata fino a che non rimaneva ac-
ceso un unico lume: quello bianco, posizionato sull’apice, simboleggiante Cristo.46
L’azione stessa dello smorzamento si verificava osservando un ordine preciso:47
[…] il quale accolito finito qualunque salmo del mattutino, e delle laudi, fatta la genuflessione
nel mezzo del presbiterio, estinguerà col solito istrumento una delle candele poste nel predetto
candelliere, incominciando da quella ch’è nell’estremità alla parte dell’evangelio e poi al fine
del secondo salmo, l’altra ch’è pure nell’estremità dalla parte dell’Epistola, e così successiva-
mente, finché compiuti tutti i salmi, ne rimanga quella sola, ch’è nella sommità, la quale deve
rimanere accesa fino al termine dell’oratione dopo il Miserere come diremo in appresso.

All’intonazione del Benedictus il processo di oscuramento riceveva un’ulteriore


accelerazione divenendo, da atto puramente rituale, un evento palpabile. È a questo
punto infatti che tutti i lumi della chiesa vengono spenti, tranne però i sei dell’alta-
re, i quali con una ritualità consimile a quella osservata per lo spegnimento del
triangolo, si estinguono gradatamente durante la recitazione del cantico:48
Frattanto [all’intonazione del Benedictus] si estingueranno tutte le lampade e tutti gli altri lumi
della chiesa, fuorché quelli che arderanno innanzi al santissimo sagramento. Parimenti si estin-
gueranno i cerei dell’altare in questo modo: mentre si canterà il versetto Ut sine timore, l’accoli-
to che spense le candele del triangolo od altri estinguerà il primo cereo, ch’è più lontano dalla
croce in cornu evangelij; al versetto che segue, In sanctitate, si spegnerà il secondo pure più lonta-
no dalla detta croce in cornu epistolae; e così successivamente e alternativamente si smorzeranno
tutti gli altri cerei, in modo che nel fine di tutti i versetti rimangano tutti estinti.

46 In merito alla simbologia attribuita alle candele del triangolo si vedano le opinioni di BUTLER, The
moveable feasts, sinteticamente riportate dal MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol.
LXIV, “Settimana santa”, p. 311, nonché il passo del Mazzinelli riportato poco oltre.
47 DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, p. 30, sub voce Mattuttini delle Tenebre.
48 DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, p. 33, sub voce Mattuttini delle Tenebre.
88 RODOLFO BARONCINI

Conclusa questa seconda fase di oscuramento l’unico lume a restare acceso è la


candela bianca posta sulla sommità del triangolo — quella simboleggiante Cristo
— la quale, alla ripetizione dell’antifona Traditor, «si asconde sotto l’altare dalla parte
dell’epistola» per essere poi ritirata fuori e mostrata alla fine dell’orazione Respice.
Secondo l’interpretazione del Mazzinelli — in seguito ripresa e condivisa da altri
liturgisti — le due fasi di graduale oscuramento alluderebbero al progressivo vacil-
lamento della fede degli apostoli e all’oscuramento del cielo che si verificò alla
morte di Cristo, nonché alle tenebre in cui cadde l’umanità a seguito di questo
evento.49
Si spengono ad una ad una successivamente le candele, perché ove fu vicina la morte del re-
dentore, i discepoli raffreddati nel loro primiero fervore, chi qua chi là fugiaschi e dispersi va-
cillarono nella fede […] e quelli medesimi che lo seguirono sino al Calvario, restarono dall’or-
ride immagini di morte sopraffatti, e agghiacciati dal dolore. La candela che rimane accesa e
che al fine si asconde sotto l’altare ci rappresenta mirabilmente Gesù Cristo.Venne egli ad illu-
minazione del mondo, che da molti secoli giaceva nelle tenebre, e nelle ombre di morte: ma
uomini ingrati e perversi che amavano più le tenebre, che la luce, invece di accorlo lietamente,
fecero tutti gli sforzi colle calunnie, e cogli obbrobrj e con una morte acerbissima e infame di
oscurarlo ed estinguerlo; quando per altro essi credettero che rimaso fosse oscurato ed estinto,
allora fu che resuscitato da morte a vita immortale, più luminoso che prima fu predicato e co-
nosciuto per tutto il mondo. […] A questo allude il cero che tenuto alquanto ascoso, si fa poi
vedere sopra l’altare. Dopo il Benedictus al fin dell’uffizio sono spenti tutti i lumi per significa-
re le tenebre prodigiose, che alla morte del Redentore coprirono tutta la terra: e la funesta ed
ostinata cecità in cui è rimasa l’infelice e proterva sinagoga abbandonata da Dio.

La lenta ma inesorabile discesa delle tenebre — implicante, tra l’altro, che le la-
mentazioni, i responsori e il Benedictus venissero eseguiti in un effetto di luminosità
decrescente e il Miserere in uno stato di oscurità pressoché totale — era conclusa da
un ultimo gesto simbolico, stavolta di natura sonora, che costituiva una sorta di
commento sonoro all’atto, già fortemente allusivo di nascondimento-riapparizione
dell’unica candela bianca accesa:50
Dettosi il Miserere con voce dimessa, l’orazione Respice (senza Dominus vobiscum) da tutti secre-
tamente […], il superiore del coro o il cerimoniere ecciterà lo strepito, il quale significa le te-
nebre col terremoto nella morte di Cristo ovvero lo strepito di Giuda ed il tumulto della cor-
te, perquotendo [sic] colla mano il libro o lo scabello, e similmente faranno tutti gli altri, finché
il predetto accolito, dopo lo spazio di circa un solo Pater noster, riporrà nella sommità del can-
delliere quella candela accesa che avea occultata.

Finita l’orazione si fa un piccolo strepito, si mostra la candela accesa tratta fuori di sotto all’al-

49 MAZZINELLI, Uffizio della settimana santa, pp. 111–2.


50 Le due citazioni seguenti sono tratte rispettivamente da DICLICH, Dizionario sacro liturgico, vol. II, p.
33, par. XIV, e MAZZINELLI, Uffizio della Settimana santa, p. 172.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 89

tare: tutti si alzano e partono in silenzio. Questo piccolo romore che si fa alla fine delle laudi,
rappresenta quella confusione e turbamento di cose che accadde nella morte del Redentore. Si
oscurò il sole, si scosse e tremò la terra; squarciossi da capo al fondo il velo del tempio; si apri-
rono i sepolcri, si spezzarono le pietre, parve andar sossopra il mondo.

In questo contesto così ricco di significati allusivi, è lecito credere che tanto la
scelta di uno speciale strumentario — formato, come si è detto, soltanto da viole,
spinette e chitarroni —, quanto l’idea di una determinata sonorità fossero guidate,
in qualche modo, dalla presenza di precise connessioni simboliche con la figura e la
passione di Cristo. È bene ricordare, in merito al primo punto, che fin dall’epoca
dei padri della Chiesa agli strumenti musicali erano stati attribuiti dei precisi signi-
ficati simbolici, che si mantennero inalterati per tutto il corso del Medioevo e ol-
tre.51 È noto che gli strumenti a corde erano associati alla figura di Cristo e che
arpe, salteri, vielle e liuti accompagnavano gli interventi di Gesù nei drammi litur-
gici.52 Il salterio, in particolare, in virtù della sua forma, era considerato un simbolo
del corpo di Cristo, e l’arpa (e per estensione tutti i cordofoni) per la sua consi-
stenza lignea, era interpretata come una prefigurazione della croce e della passio-
ne.53 Ulteriori indizi in tal senso ci vengono da alcune fonti iconografiche di sog-
getto cristologico. Al riguardo, meritevoli di attenzione mi paiono alcuni affreschi
protocristiani del IV-V secolo, in cui Gesù è raffigurato con la lira, la kitara o l’arpa
al petto,54 come pure alcune immagini mariane del Quattrocento e del Cinque-
cento, dalle quali appare chiaro come la valenza cristologica attribuita ai cordofoni
nell’alto Medioevo continuò a perdurare nei secoli successivi. Spiccano, tra que-
st’ultime, Il giardino dell’Eden, riuscita invenzione di un anonimo maestro tedesco
(fig. 1) in cui il bambino Gesù, assistito da santa Caterina d’Alessandria, suona mu-
nito di due plettri d’osso un salterio a doppia ala (azione interpretabile forse come
una prefigurazione della passione),55 e una Madonna con il bambino e angeli di Piero di
Cosimo (figura 2)56 in cui il bambino tocca scherzosamente — quasi a volerne gui-

51 THÉODORE GÉROLD, Les pères de l’Eglise et la musique, Paris, F. Alcan, 1931, pp. 169–79 (cap. II, Sym-
bolisme et Allégorie).
52 Al riguardo cfr. EDMUND A. BOWLES, The role of musical instruments in medieval sacred drama, «Musical
quarterly», XLV, 1959, pp. 67–84: 76.
53 BOWLES, The role of musical instruments, pp. 76–7.
54 ILDIKÓ EMBER, Music in painting. Music as symbol in European Renaissance and Baroque painting, Budape-
st, Corvina, 1989, pp. 10–1. Ember afferma che almeno cinque esempi di questa peculiare iconogra-
fia sarebbero sopravvissuti.
55 L’opera, una tavoletta eseguita probabilmente intorno al 1410 e conservata a Francoforte presso lo
Städelsches Kunstinstitut, mostra la Madonna e il bambino attorniati da tre santi e tre sante entro un
hortus conclusus.
56 Si tratta della cosiddetta Madonna Cini (Venezia, Galleria Cini), opera eseguita da Piero intorno al
1506, rappresentativa del suo momento più intensamente leonardesco. Dell’opera esistono, oltre a un
disegno a matita rialzato di biacca (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe), altre due
90 RODOLFO BARONCINI

dare il corso — l’archetto di un angelo suonatore di ribeca; un gesto che alla luce del
motto «per lignum crux Christi» (la ribeca come l’arpa era uno strumento ligneo) e
della vocazione al simbolismo e alla pittura cifrata di Piero è lecito interpretare alla
stregua della predetta tavoletta tedesca.57 A conclusione di questa prima tranche di ri-
flessioni di ordine simbolico, è necessario aggiungere come l’accoglienza sempre cre-
scente ottenuta da spinette e clavicembali nella musica delle Tenebre sia forse da
mettere in relazione con l’immagine altamente cristologica del salterio da cui —
come è noto — tutti gli strumenti «da penna» muniti di una tastiera derivavano.
Se è possibile, sulla base degli elementi testè ricordati, credere che la scelta di
viole, spinette, clavicembali e chitarroni fosse frutto, almeno in parte, di un’antica e
perdurante tradizione simbolica, è pure lecito — spostando l’attenzione dalla tipo-
logia degli strumenti al loro effetto timbrico — ritenere che motivazioni di tipo
allusivo si celino dietro il processo di ricerca-ideazione della soavissima concezione
sonora che, appunto, dell’impiego di tale strumentario è il naturale derivato. Una
chiave d’accesso alla comprensione del senso e dell’eventuale simbolismo cristolo-
gico in essa racchiuso ci è fornito da una lettera, densa di istruzioni, acclusa alla
partitura per il clavicembalo delle Lamentazioni a sei voci di Antonio Mogavero,
edite a Venezia nel 1623 (Tab. B). Fedele alla più genuina pratica timbrica delle Te-
nebre, la strumentazione predisposta da Mogavero, comprendente ben sei viole da
gamba (una per ogni voce) e una tiorba, oltre a un clavicembalo, sembra tendere
— come il compositore stesso ripetutamente afferma nella premessa al «pio ac be-
nevolo lectori» (doc. 32) — a un unico obiettivo: la suavitas. Una sonorità velata,
delicata e fusa cui solo i predetti strumenti possono provvedere, al punto che, con
paradossale rovesciamento di una regola di concertazione e di un principio estetico
all’epoca universalmente accettati, si raccomanda che il clamore delle voci umane
(«stridor»), da affidarsi a sei espertissimi cantori, non debba in nessun modo distur-
bare la soavità («suavitas») degli strumenti musicali:

redazioni: la prima (collezione privata) è una variante più tarda con l’aggiunta di un secondo angelo
musicante; la seconda (Firenze, Museo della casa fiorentina di Palazzo Davanzati) è invece una copia
di qualità notevolmente inferiore all’originale.
57 A queste immagini se ne possono aggiungere altre di soggetto cristologico indiretto. Alludo, per
esempio, all’immagine tardomedievale di santa Kümmernis nelle sembianze del Volto Santo di Lucca
e a quella post-tridentina di san Francesco in estasi. Soggetti ove in entrambi i casi il supplizio patito
dai due santi (da intedersi come una metafora della passione di Cristo) appare confortato da un’ese-
cuzione musicale affidata a uno strumento ad arco. Quanto all’estasi di san Francesco, soggetto che,
oltre alla tipologia in parola, connotata dalla presenza di un angelo musicante e normalmente desi-
gnata «san Francesco in estasi consolato da un angelo musicante», prevedeva altre tre varianti icono-
grafiche si veda l’ottimo contributo di PAMELA ASKEW, The angelic consolation of St. Francis of Assisi in
post-Tridentine Italian painting, «The Journal of Warburg and Courtauld Institutes», XXXII, 1969, pp.
280–306.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 91

Neque vero artis dumtaxat, & harmoniae E in questa circostanza ritenni invero di
specimen hic mihi edendum putavi; ve- produrre, non soltanto un saggio d’arte e
rum etiam Chromatum, & variarum in- d’armonia, ma anche di soggetti e di in-
ventionum, quibus verborum vis exprime- venzioni varie, mediante le quali fosse
retur, omnia ad temporis rationem fingen- espressa la forza delle parole, creando e ac-
do, atque accommodando, ut pij una cum comodando ogni cosa in ragione del tem-
peritis animis praestantibus symphoniae le- po [liturgico], di modo che gli animi pii
nocinijs recrearentur. Huius suavitas ex insieme con quelli esperti fossero ricreati
cymbalo praesertim cognosci poterit: ut dagli eccellenti artifici della musica degli
meo quidem iuditio canendi sunt hi threni strumenti. La soavità della quale si potrà
ad cymbalum grave, ac sonorum adiunctis riconoscere, soprattutto, grazie al clavi-
sex panduris (quas barbarum vulgus viola cembalo dacché, in verità, a mio giudizio,
de gamma appellat) & una theorba, aut te- queste lamentazioni sono da eseguirsi con
studine, sexque vocibus doctissimis, quae il clavicembalo, aggiuntovi sei viole da
sic modulentur ut instrumentorum suavi- gamba, una tiorba o un liuto, e sei voci di
tatem suis stridoribus minime obruant. grande esperienza, le quali dovranno essere
Mensuram porro lentam esse oportet, sa- modulate in modo tale che col loro fra-
cris enim neque simphoniae artifitium, ne- stuono non coprano la soavità degli stru-
que cromatum varietas percipi poterit, ne- menti musicali. Sarà opportuno poi che la
que pietati, cui hoc tempore potissimus battuta sia portata lenta, giacché durante le
studemus satisfiet. cerimonie religiose né l’artificio della mu-
sica degli strumenti, né la varietà dei sog-
getti musicali potrà essere percepita, né si
onora la pietà cui in questo periodo prin-
cipalmente ci applichiamo.
Queste sorprendenti prescrizioni di prassi esecutiva — dettate da un composi-
tore pugliese, ma operante per lo più in ambito veneziano58 — ci consentono di
definire meglio la qualità del ‘suono delle Tenebre’. Un suono che, se da un lato,
con la sua accentuazione sul registro medio-grave ha una carattere indubbiamente
funereo, consono all’occasione,59 dall’altro, sembra distinguersi altrettanto per la sua

58 Nativo di Francavilla Fontana (Brindisi), Mogavero fu attivo per oltre due decenni a Venezia ove
svolse l’incarico di maestro di musica del seminario patriarcale, come si apprende dall’edizione di un
libro di messe a cinque voci del 1604 e dalla dedica acclusa alle succitate Lamentazioni del 1623. La
presenza del Mogavero in laguna è ulteriormente attestata da una lettera-diploma inviata da Ferdi-
nando d’Austria a Filippo II re di Spagna, da cui risulta, tra l’altro, che il musicista fu al servizio della
casa d’Austria a Venezia per svariati anni. Oltre alla produzione ecclesiastica, il catalogo di Mogavero
consta anche di alcune raccolte di musica profana (canzonette e madrigali), in gran parte purtroppo
perdute; cfr. STEVEN LEDBETTER, Mogavero, Antonio, in New Grove dictionary of music and musicians, Lon-
don, MacMillan, 1980, vol. XII, pp. 459–60, e LORENZO RUGGIERO, Antonio Mogavero. Vita e opere,
Brindisi, Amici della A. De Leo, 1993.
59 Che il corpo di viole implicato nella concertazione dell’ufficio delle Tenebre fosse tendenzialmen-
te formato da strumenti di taglia mezzana e grave (contralti-tenori, bassi e contrabbassi), in genere
con l’esclusione dei violini, è attestato sia dalle fonti documentarie, sia da alcune edizioni musicali,
92 RODOLFO BARONCINI

delicata trasparenza, secondo quanto possiamo desumere dalle testimonianze archi-


vistiche e dalle edizioni musicali (si veda più avanti la tabella nel paragrafo 3). Una
qualità quest’ultima derivatagli, oltre che dalla partecipazione costante di spinette e
clavicembali, dalla possibilità di rimpiazzare il timbro più incisivo e vigoroso delle
viole da braccio con quello più velato e sommesso delle viole da gamba. Al di là
delle lievi varianti riscontrabili nei documenti, per quanto riguarda sia gli strumen-
ti «da corpo» (arpicordi in luogo di clavicembali, liuti in luogo di chitarroni), sia
quelli ad arco (viole da gamba in luogo di viole da braccio e talvolta violini in luo-
go di viole), la sonorità delle Tenebre sembra dunque fondarsi su una sottile dialet-
tica tra gravitas e levitas tale da diversificarne l’effetto tanto dalla timbrica più tetra e
corposa della concertazione squisitamente funeraria quanto dalla sonorità solare e
un pò trionfalistica della scena olimpico-celeste della prassi degli intermedi. Una
sonorità soave e incorporea — perseguita, nel caso di Mogavero, fino al sovverti-
mento della normale scala di valori tra voci e strumenti — nella quale, visto il
contesto fortemente allusivo che impronta ogni gesto della liturgia delle Tenebre,
non mi pare azzardato scorgere una relazione simbolica con la Christi dulcedo. Tale
espressione fu coniata in epoca medievale contestualmente allo sviluppo di una
spiritualità sempre più cristocentrica e di quel culto dell’umanità di Cristo che
nella contemplazione dei suoi mysteria carnis — indugiante, appunto, in espressioni
che incarnavano e celebravano un grande sentimento di tenerezza («Jesus dulcis et
suavis», «Jesu, Jesu nomen dulce, nomen delectabile», etc.) — vedeva la manuductio
verso la contemplazione della divinità.60 Che la suavitas cui tende Mogavero e, in
generale, la strumentazione delle Tenebre, rinvii all’immagine dulcis et suavis di Cri-
sto è una suggestione al momento non suffragabile da concrete evidenze. Ciò non-
dimeno, che l’idea non sia affatto peregrina lo suggerisce un mottetto di argomen-

come per esempio la raccolta di Giovanni Francesco Capello più avanti discussa in dettaglio. Sotto
questo punto di vista la sonorità delle Tenebre si presenta dunque assai simile a quella normalmente
predisposta, a partire dalla metà del Seicento, per le occasioni funebri. Di particolare interesse, in
proposito, è un documento del 3 novembre 1678 concernente le esecuzioni musicali tenutesi nel
duomo di Brescia in occasione del funerale del vescovo Giovanni Marino Zorzi. Da esso risulta la
partecipazione di un organico strumentale composto da sette viole, un violone, un chitarrone, oltre
naturalmente all’organo. cfr. Brescia, Archivio Capitolare, filza 106, polizza n. 404.
60 Sullo sviluppo della spiritualità cristocentrica e il culto dell’umanità di Cristo cfr. almeno ALOIS
GRILLMEIER, I misteri di Cristo nella pietà del Medioevo latino e dell’epoca moderna, in Mysterium salutis.
Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza, a c. di I. Feiner e M. Löhrer, 12 voll.,
Brescia, Queriniana, 1971, vol. VI L’ evento Cristo, pp. 27 ss.; e ILARINO DA MILANO, La spiritualità cristo-
logica dei Padri apostolici agli inizi del monachesimo, in Problemi di storia della Chiesa. La Chiesa antica, secoli
II-IV, Milano, Vita e pensiero, 1970, pp. 359–507. Sullo specifico concetto della Christi dulcedo cfr.
JOSEPH ZIEGLER, Dulcedo Dei. Ein Beitrag zur Theologie der griechischen und lateinischen Bibel, Münster,
Aschendorff, 1937; EDITH SCHOLL, The sweetness of the Lord. Dulcis and suavis, «Cistercian studies», XXVII,
1992, pp. 359–66; e soprattutto FRANZ POSSET, Christi dulcedo: the “sweetness of Christ” in Western Chri-
stian spirituality, «Cistercian studies», XXX, 1995, pp. 245–65.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 93

to cristologico, poco più tardo, per voce sola e strumenti obbligati di Francesco
Maria Marini: Jesu dulcis memoria. Nel brano, incluso nei Concerti spirituali del 1637,
una cupa voce di contralto è affiancata da «quattro instromenti d’arco» che con
l’effetto supplementare del tremolo raggiungono il colmo della suavitas alle parole
«dulcedo ineffabilis»:61

Es. mus. 1: FRANCESCO MARIA MARINI, Jesu dulcis memoria, in id., Concerti spirituali […],
Venezia, B. Magni 1637.

61 FRANCESCO MARIA MARINI, Concerti spirituali […] concertati a 2, 3, 4, 5, 6, 7 voci et con instrumenti, Vene-
zia, Bartolomeo Magni, 1637. Per la sua insolita strumentazione il brano ha attirato l’attenzione di
JEROME ROCHE, North Italian church music in the age of Monteverdi, Oxford, Oxford University Press,
1984, pp. 87–8, che ne traccia un breve profilo e ne cita alcune significative battute.
94 RODOLFO BARONCINI

3. Resta ora da vedere quante e quali tracce vi siano, oltre a queste testé citate
del Mogavero, di questo tipo di strumentazione nelle raccolte di musica per la set-
timana santa edite tra Cinque e Seicento. È questo un momento particolarmente
sostanzioso della ricerca, poiché se, da un lato, l’analisi della letteratura musicale
aiuta a mettere a fuoco, pur entro gli ovvi processi di mutamento e stilizzazione, il
ruolo e le modalità coi quali si svolgeva l’intervento degli strumenti, dall’altro, la
consapevolezza dell’esistenza di una specifica tradizione esecutiva consente di inse-
rire nel giusto contesto la letteratura medesima, acclarandone aspetti, non solo tim-
brici, fin qui misinterpretati o semplicemente ignorati. Vedremo, dunque, come ta-
luni dettagli di scrittura, ma talora anche aspetti generali del tessuto musicale e del-
la struttura, acquistino senso solo in relazione alla succitata veste sonora.
Segnali di una generica partecipazione strumentale sono già rintracciabili in alcu-
ni testimoni a stampa del tardo Cinquecento. Le lamentazioni di Varoto — come già
si è osservato — dichiarano nel frontespizio di essere «tum viva voce tum omnis ge-
neris instrumentis aptae concinendae». Inoltre, anche una coeva raccolta di Gioseffo
Guami (Tab. a) parrebbe implicare, sulla base di un’attenta considerazione dell’ambi-
tus delle voci superiori, una partecipazione strumentale.62 V’è poi il caso speciale dei
due cicli di lamentazioni di Cavalieri, composti entrambi sul finire degli anni No-
vanta e pervenutici manoscritti,63 che, in virtù della loro veste a tratti monodica, esi-
biscono una parte di basso continuo per uno strumento purtroppo non specificato, e
alcune inequivocabili tracce di una più ampia partecipazione strumentale.64 È solo a
partire dal secondo decennio del Seicento, tuttavia, che ci imbattiamo in più precise
62 Ciò vale soprattutto — come osserva BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, pp. 185–8 — per le sezio-
ni ‘esterne’ del sabato santo, intonate a otto voci in uno stile assai prossimo a quello del concertato
policorale veneziano della fine del sedicesimo secolo. Qui la partecipazione degli strumenti sembra
essere implicitamente richiesta sia dalla combinazione di chiavi particolarmente acuta del primo coro
(Sol2, Sol2, Sol2, Do1), sia dalla reiterata presenza nella parte del cantus di una nota inconsueta ed
estrema per la prassi vocale ecclesiastica dell’epoca come il Sol4.
63 I due cicli sono contenuti nel manoscritto O.31 della Biblioteca Vallicelliana di Roma (= I-Rv),
che consta, appunto, di due parti. La prima comprende un ciclo di lamentazioni e di responsori, la
seconda un altro di lamentazioni. I due cicli di lamentazioni furono eseguiti a Pisa per la corte medi-
cea, nel 1599 e nel 1600, e forse anche a Roma alcuni anni prima (1593–97) presso l’oratorio del Ss.
Crocifisso di San Marcello; cfr. MURRAY C. BRADSHAW, Cavalieri and early monody, «Journal of the Ame-
rican Musicological Society», IX, 1991, pp. 238–53, e WARREN KIRKENDALE, Emilio de’ Cavalieri ‘genti-
luomo romano’, Firenze, Olschki, 2001, pp. 213–32. Per l’edizione moderna di queste composizioni
cfr. EMILIO DE’ CAVALIERI, The lamentations and responsories of 1599 and 1600, ed. by Murray C. Bradshaw,
Neuhausen, Hänssler, 1990.
64 Tali tracce sono rintracciabili nel primo ciclo e, più precisamente, consistono in un breve fram-
mento di tre misure (una scala ascendente di crome da Sol2 a Sol3 con annessa terminazione cadenza-
le) inserito all’inizio della strofa Cogitavit dominus della prima lezione del venerdì santo (I-Rv, O.31,
c. 17r), e in una breve nota di prassi di mano dell’autore inserita a capo dell’iniziale Heth della prima
lezione del sabato santo (ibid., c. 26v), con cui si avverte che la presente lettera può essere cantata e
suonata con un soprano trasportando il secondo soprano un’ottava sotto.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 95

e sostanziose prescrizioni. Nel numero di raccolte a stampa di lamentazioni e respon-


sori edite tra il 1610 e il 1630 (Tab. B), in verità non copiosissimo, è possibile infatti
individuare una discreta percentuale di opere — esattamente sei su tredici — che
confermano quanto esperito attraverso i documenti:

Autore Titolo Numero voci Strumentazione


G.F. CAPELLO Lamentationi, 1612 5 + 2 cori di stru- 4 viole [da braccio] (violetta, viola, vio-
menti + b.c. la, violone), chitarroni e [clavicembalo])
A. BURLINI Lamentazioni, 1614 4 + vl. obbligato + 1 violino, 2 chitarroni o liuti, spinetta o
b.c. clavicembalo
Benedictus a 5
Miserere a 8
V. BONA Lamentationi, 1616 8 (in 2 cori) + b. c clavicembalo e strumenti non specifica-
ti.
A. MOGAVERO Lamentationum, 1623 6 Benedictus a 8 6 viole da gamba, una tiorba o un liuto
Miserere a 8 e clavicembalo
F. MILLEVILLE Responsori, 1624 2, 3, 4 voci pari clavicembalo, tiorba e «simil altro in-
strumento»
G.B. ROSSI Threni Ieremiae, 1628 voce sola clavicembali o altri strumenti [«liuti»]

Tutte le sillogi qui elencate — opera di autori provenienti, coerentemente alla


documentazione discussa nella prima parte del presente lavoro, dall’Italia setten-
trionale o in essa comunque attivi65 — sono, a vario titolo, esemplificative della
pratica sonora delle Tenebre. Se le raccolte di Rossi66 e Milleville (Tab. B), con la

65 Capello, Bona e Burlini erano tutti originari dell’area veneto-padana e ivi operarono per tutto il
corso della loro carriera condividendo talvolta persino le stesse sedi. Bona fu attivo a Brescia nello
stesso periodo in cui vi esordì Capello, e Burlini operò, al pari di Capello, a Venezia (si vedano i ri-
spettivi profili biografici alle note 67, 81 e 84). Di Mogavero e della sua lunga permanenza veneziana
si è già parlato (vedi nota 58), mentre originari dell’Italia settentrionale, benché gravitanti nella sua
parte occidentale, furono pure Giovanni Battista Rossi, nativo di Genova, e ivi per lo più operante
(vedi nota 66), e Francesco Milleville, originario di Ferrara, e poi attivo come maestro di cappella e
organista presso il duomo di Sarzana.
66 Compositore, organista, nonché coltissimo autore di numerose opere filosofiche e religiose, Gio-
vanbattista Rossi (forse parente del servita Lelio Rossi, organista del duomo di Genova e del celebre
Michelangelo Rossi, nipote di questi) apparteneva all’ordine dei chierici regolari somaschi ed è vero-
simile che fosse attivo presso la chiesa genovese dell’ordine. Oltre che di una raccolta di messe a
quattro voci, edita a Venezia nel 1618, e di altra musica sacra rimasta manoscritta, Rossi è autore del
trattato Organo de’ cantori per intender da se stesso ogni passo difficile che si trova nella musica, et anco per im-
parare contrapunto, con alcune cantilene a due, tre, quattro et cinque voci […], Venezia, Bartolomeo Magni,
1618 (ed. anast., Bologna, Forni, 1984), contenente, oltre a svariati brani vocali, quattro canzoni da
sonar; cfr. MAURIZIO TARRINI, Tre sconosciute edizioni musicali del XVII secolo, «Liguria», LVIII, 1991, nn.
8–9, pp. 13–5.
96 RODOLFO BARONCINI

loro ridotta presenza strumentale (limitata al solo impiego del clavicembalo e della
tiorba per il basso continuo), sembrano fornirci un’illustrazione abbreviata del suo-
no delle Tenebre, quelle di Capello, Burlini, Bona e del già citato Mogavero ce ne
consegnano una rappresentazione compiuta, rispondente a quanto descritto nelle
testimonianze documentarie dal momento che richiedono espressamente la con-
certazione con strumenti a corde, «da arco» e «da penna». Spiccano all’interno di
quest’ultimo gruppo le Lamentazioni, Benedictus e Miserere (1612) di Giovanni Fran-
cesco Capello (Tab. B),67 che con il loro ampio e articolato organico (cinque voci,
un coro di quattro viole, un coro di chitarroni e basso continuo) si connotano
come la stilizzazione più autentica e fedele della prassi in questione. Utilizzato qua-
si sempre solisticamente, l’ensemble vocale comprende due soprani, un alto, un te-
nore e un basso; mentre il coro di viole (presumibilmente da braccio, data la mag-
giore disponibilità di questi strumenti in area ecclesiastica e il contesto bresciano
dell’esecuzione) è composto da una «violetta» (notata in chiave di Do2), due viole
(designate entrambe «viola» e notate la prima in Do3 e la seconda in Do4) e un
«violone» (chiave Fa4). Quanto al coro di chitarroni, va osservato che Capello non
indica il numero degli strumenti da impiegarsi — presumibilmente due, come sug-
gerisce una coeva raccolta di lamentazioni di Burlini — e che la loro parte, notata
come di consueto in chiave di basso, segue per lo più quella del continuo.68

67 Frate girolamino della congregazione fiesolana, Capello, benché di origine veneziana, soggiornò
per svariati anni a Brescia. La sua presenza in questa città è attestata dal 1612–13 al 1617–19. A partire
dal 1612–13 egli ricoprì l’incarico di organista presso la basilica delle Grazie, sede della congregazio-
ne fiesolana e tra le principali istituzioni musicali della città. È verosimile dunque che le lamentazio-
ni, venute in luce nell’aprile del 1612 e dedicate non dall’autore ma da Teseo Caponati, forse il prio-
re delle Grazie, ad Antonio Bocco, cólto mansionario del duomo di Brescia, furono composte da
Capello come biglietto da visita in vista di un suo eventuale trasferimento a Brescia presso la citata
basilica delle Grazie. Tutto fa credere, inoltre, che l’opera, pubblicata nella primavera del 1612, fosse
stata eseguita nella settimana santa di quello stesso anno presso la basilica delle Grazie o nel duomo di
Brescia; cfr. JEFFREY KURTZMAN, Some historical perspectives on the Monteverdi Vespers, «Analecta musico-
logica», XV, 1975, pp. 29–86, ID., Giovanni Francesco Capello: an avant-gardist of the early seventeenth cen-
tury, «Musica disciplina», XXXI, 1977, pp. 154–82; ID., The Monteverdi Vespers of 1610: music, context and
performance, Oxford, Oxford University Press, 1999, pp. 146-7, 158-61, 166, JEROME ROCHE, Capello,
Giovanni Francesco, in New Grove, vol. 5, pp. 87-88; ID., North Italian church music, p. 65; RODOBALDO
TIBALDI, Strumenti e forme strumentali nella musica sacra a Brescia nel primo Seicento: le Lamentationi e i
Motetti e dialoghi di Giovanni Francesco Capello, in Liuteria e musica strumentale a Brescia tra Cinque e
Seicento, 2 voll., atti del convegno (Salò, 6–7 ottobre 1990), vol. II, a c. di Rosa Cafiero e Maria Te-
resa Rosa Barezzani, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 1992, pp. 237–95.
68 La parte del continuo non reca nessuna prescrizione se non quella generica di «partitura». Benché
KURTZMANN, Capello, Giovanni Francesco, p. 161; ne dia per scontata la destinazione all’organo, sulla
base delle testimonianze documentarie fin qui illustrate e per analogia con le coeve raccolte di la-
mentazioni sopra elencate, si è portati a ritenere che tale partitura fosse destinata alla spinetta o al cla-
vicembalo, invece che all’organo.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 97

Audace e precoce esponente dello stile monodico in ambito ecclesiastico, Ca-


pello non fu solo un maestro del concertato per poche voci, ma anche un abile re-
gista di quello on large scale.69 Lo mostrano bene queste lamentazioni, in cui le in-
genti forze messe in campo sono dosate con oculata sapienza formale. Capello trat-
ta monodicamente o in forma di duetto, secondo modelli già sperimentati nei Sa-
crorum concentuum, unica, & duabus vocibus (op. I, Venezia, R. Amadino, 1610), le di-
verse strofe in cui si articola ogni lezione come pure le iniziali ebraiche che le pre-
cedono e le concludono, e riserva l’intervento dell’intero ensemble vocale e stru-
mentale alle sole sezioni poste a introduzione e conclusione di ogni lezione.70 Spo-
stando l’attenzione dal piano dell’organizzazione generale a quello più specifico
dell’intervento strumentale non si può fare a meno di rilevare alcune peculiarità
che, se raffrontate con la prassi ordinaria del concertato grandioso dell’epoca, assu-
mono l’aspetto di vere e proprie anomalie. Si tratta di tre punti che nel loro insie-
me diversificano non poco la partitura di Capello da un’opera, indubbiamente fon-
damentale ma di troppo insistito riferimento, come i Vespri (1610) di Monteverdi
che, secondo l’opinione corrente, ne avrebbe invece costituito, sotto tutti i punti di
vista, il modello:71

1. La scelta dello strumentario operata da Capello trova scarse concordanze con


la pratica coeva del mottetto concertato on large scale (policorale o no): in nes-
suno dei grandi mottetti di Giovanni Gabrieli o dei mottetti e dei salmi con-
certati inclusi nei Vespri monteverdiani le parti strumentali sono destinate ai
soli archi (violini, viole e bassi «da brazzo»), vale a dire senza l’apporto dei
cornetti e dei tromboni, decisivo e tradizionale nella musica da chiesa; inoltre,
nessuna delle citate opere prevede l’impiego di un «coro» di chitarroni.72
2. L’organico previsto da Capello, benché ingente — si tratta di un complesso
di quattro viole e un imprecisato numero di chitarroni —, è sprovvisto di
strumenti acuti: manca, infatti, la coppia di violini o di cornetti, così tipica del
concertato grandioso di Gabrieli e di Monteverdi, e caratteristica, altresì, del
mottetto on small scale con strumenti obbligati che fiorirà di lì a poco.73 Tale
69 KURTZMANN, Capello, Giovanni Francesco, p. 161.
70 Tali mottetti sono descritti in KURTZMANN, Capello, Giovanni Francesco, pp. 157–61.
71 È un punto questo su cui insiste più volte KURTZMANN, Capello, Giovanni Francesco, p. 162; ID.,
Some historical perspective, pp. 72–3, e ID., The Monteverdi Vespers of 1610, p. 166.
72 Si vedano, per esempio, proprio le combinazioni strumentali approntate da Monteverdi nei Vespri
nella stringata ma chiara panoramica offerta da ROMANO VETTORI, Il Vespro della Beata Vergine di Monte-
verdi. Organici e presenze strumentali, in Claudio Monteverdi imperatore della musica, a c. di Marco Tiella,
Rovereto, Accademia Roveretana di Musica Antica, 1993, pp. 73–83.
73 La «violetta» di Capello, la parte più acuta del suo ensemble strumentale, è infatti quasi certamente
una viola da braccio di piccola taglia e non un violino. Lo si evince, oltreché dalla stessa nomenclatura
(in altre opere di Capello il violino è richiesto ricorrendo al suo termine appropriato), dalla chiave di
98 RODOLFO BARONCINI

fatto non è privo di conseguenze dacché, contrariamente a quanto avviene


nel concertato grandioso dell’epoca, ove, tranne rari casi, le regioni più acute
sono normalmente affidate agli strumenti, nella partitura di Capello le voci
umane («soprano» e «quinto») si spingono spesso in un registro più acuto di
una quarta, di una quinta e perfino di una sesta di quello toccato dalla parte
piu estrema («violetta») del suo coro di viole.74
3. Le modalità (funzioni e scrittura) con cui Capello utilizza il suo strumentario
risultano, per certi aspetti, differenti dalla norma. È facile constatare infatti
come, al di là delle complessità strutturali della partitura e dell’audacia stilisti-
ca con cui sono trattate le parti vocali, viole e chitarroni fungano essenzial-
mente da fondale sonoro, limitandosi ad accompagnare con discrezione, me-
diante l’ampio ricorso a note pedale, gli ‘a solo’ vocali (vedi ess. 2, 3, 4 e 5) o a
marcare gli incipit e i punti cadenzali nel ‘Tutti’ (Tab. C). L’idea, in sostanza, è
quella di fornire un timbro, un’impronta sonora riconoscibile e pertinente al
carattere dell’ufficio. Non a caso, Capello non sfrutta, come invece fa altrove,
le potenzialità idiomatiche di agilità ed estensione degli strumenti:75 tutto ar-
roccato nel registro medio-grave, il complesso di viole si muove in un ambi-
tus estremamente ristretto (Fa1-Si73) e non c’è, tranne forse che nel Miserere,
alcun tipo di approccio concertante in cui gli strumenti entrino in dialogo o
gareggino con le voci. (Cfr. Esempi 2,3,4).

mezzo soprano con cui è notata la parte e dall’ambitus notevolmente ristretto e moderatamente acuto
entro cui si muove (Si2–Sib3), assai più tipico di una parte di contralto che di una di soprano.
74 Si veda, per esempio, l’attacco del Miserere, dove Soprano e Quinto si muovono rispettivamente,
una sesta e una quarta sopra la violetta. Una moderna trascrizione del Miserere si trova in KURTZMANN,
The Monteverdi Vespers of 1610 and their relationship with Italian sacred music of the early seventeenth century,
Ph.D. dissertation, University of Illinois at Urbana-Champaign, 1972, pp. 1037–45.
75 Per esempio nei Motetti et dialoghi a cinque, sei, sette, et otto con sinfonie, ritornelli et una messa nel fine,
Venezia, Giacomo Vincenti, 1615, e in special modo nei mottetti Attendite popule mei (per canto, te-
nore, basso, due violini, viola e basso continuo) e Salvum me fac Deus (per canto, tenore, basso, quat-
tro strumenti non specificati e basso continuo). Si vedano in merito KURTZMANN, Capello, Giovanni
Francesco, pp. 165–6, e soprattutto TIBALDI, Strumenti e forme strumentali, pp. 259–95 che fornisce una
esaustiva descrizione della raccolta e trascrive integralmente i due pezzi succitati.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 99

Es. mus. 2: G. F. CAPELLO, Lamentazioni, 1612, Mercordì santo, Terza lettione, Iod.

È chiaro, a questo punto, come tutte queste caratteristiche, apparentemente ano-


male se raffrontate con i citati esempi di Monteverdi e di Gabrieli, e con alcune al-
tre opere dello stesso Capello (per esempio, i Motetti et dialoghi del 1615), acqui-
stino invece nuovo e pieno senso una volta restituite al loro vero contesto: la pecu-
liare e ben stabilita pratica sonora delle Tenebre di cui queste Lamentationi, Bene-
dictus e Miserere costituiscono la prima e forse più autentica stilizzazione. A com-
pimento dell’analisi dell’opera di Capello, va aggiunto che gli strumenti, pur
apportando con discrezione un elemento timbrico, assolvono comunque a una
funzione essenziale per l’organizzazione formale delle singole lezioni, da cui pro-
mana tanto una forte intenzione di varietas, con la contrapposizione di elementi
sempre diversi, quanto una spiccata propensione alla creazione di simmetrie co-
struttive (Tab. C).
100 RODOLFO BARONCINI

Es. mus. 3: G. F. CAPELLO, Lamentazioni, 1612, Mercordì santo, Terza lettione, Lamed.

Es. mus. 4: G. F. CAPELLO, Lamentazioni, 1612, Mercordì santo, Prima lettione, Daleth.

Impiegati con parsimonia nell’accompagnamento delle strofe, ove la declama-


zione del testo — affidata a uno o due solisti in uno stile prossimo a quello della
monodia ‘affettuosa’ — è sostenuta per lo più soltanto dal basso continuo, gli stru-
menti intervengono soprattutto nelle sezioni ricorrenti (Tab. C), vale a dire, nel
versetto introduttivo di ogni feria (Incipit lamentatio; De lamentatione Jeremiae), nello
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 101

Jerusalem (il refrain penitenziale che chiude ogni lezione), entrambi eseguiti da tutto
l’organico e, infine, nell’intonazione delle iniziali ebraiche, che, trattate quasi alla
stregua di veri e propri refrains, svolgono un ruolo fondamentale nell’articolazione
simmetrica di ogni singola lezione. Ogni lezione segue, infatti, un proprio schema
da cui dipende la funzionalità degli interventi strumentali. Nella prima lezione del
mercoledì e del giovedì santo, dove tutte le iniziali-refrain sono basate sullo stesso
materiale tematico mutuato dall’originale melodia gregoriana e affidate alla stessa
voce di contralto, l’intervento alternato tra il solo continuo (clavicembalo), e tra le
viole e i chitarroni serve a evitare la monotonia (Tab. C). Viceversa, laddove le ini-
ziali esibiscono materiali e solisti diversi — come per esempio nella terza lezione
del mercoledì santo — l’intervento dello stesso strumentario (viole e chitarroni)
serve a creare un elemento di omogeneità: il senso di refrain, in questo caso, è affi-
dato alla ricorrenza della stessa formula sonora che funge da voltapagina a tre di-
versi duetti vocali.76 La seconda lezione del mercoledì santo presenta un procedi-
mento che è esattamento l’inverso di quello utilizzato in quasi tutte le altre. Pre-
scindendo dalla prima iniziale, Vau («basso con viole»), gli strumenti intervengono
qui nell’accompagnamento delle strofe, lasciando l’intonazione delle iniziali alle
sole voci. Nell’episodio centrale Peccatum peccavit (es. 5), l’accompagnamento delle
viole dà vita a uno sfondo sonoro assai simile a quello che Monteverdi impiega nel
terzo atto dell’Orfeo (Sol tu nobile Dio).77 L’effetto globale, infatti, considerato lo sti-
le declamatorio e affettuoso con cui si muove la voce è quello di un recitativo ac-
compagnato ante litteram.(Esempio 5).

76 Infatti, a conferma della studiata progettualità con cui Capello confeziona ogni lezione, in questa
terza, a differenza di quanto avviene nelle due precedenti (dominate dalla voce sola) le strofe sono
tutte intonate in forma di duetto.
77 CLAUDIO MONTEVERDI, L’Orfeo, Venezia, Ricciardo Amadino, 1609, p. 65. Si tratta precisamente
dell’ultima delle sei terzine su cui si snoda la celebre preghiera di Orfeo a Caronte (Possente spirto).
102 RODOLFO BARONCINI

Es. mus. 5: G. F. CAPELLO, Lamentationi, 1612, Peccatum peccavit.


L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 103

Non mancano in queste lamentazioni nemmeno sezioni puramente strumentali.


Dall’utilizzazione delle iniziali ebraiche in funzione di refrain vocali-strumentali al-
l’inserimento strutturale di veri e propri ritornelli strumentali il passo è breve.
104 RODOLFO BARONCINI

L’occasione è data dall’oratio finale, la terza lezione del venerdì santo, che, mancan-
do delle iniziali ma conservando un’organizzazione del verso altrettanto regolare, è
trattata come un’aria strofica.78 Intonate da un tenore solo nel consueto declamato
espressivo, cinque variazioni vocali si snodano su un basso strofico, connotato a sua
volta da ampie variazioni mensurali.79 Ogni versetto è preceduto e concluso da un
ritornello strumentale in tripla, eseguito la prima e l’ultima volta da tutto l’organi-
co (viole e chitarroni) e nelle quattro riprese interne, ora dalle viole, ora dai chitar-
roni (Tab. C). La semplice ma efficace fattura del ritornello, improntato a una rigi-
da omoritmia e costruito, come tanti inserti monteverdiani, sulla triplice riproposi-
zione dello stesso modulo armonico-melodico, riflette probabilmente la pratica di
verticalizzazione estemporanea con cui tali brani, in un passato recente, ma anche
all’epoca in cui scriveva Capello, venivano all’occorrenza direttamente realizzati da-
gli stessi esecutori.
La presenza di ritornelli e quindi di sezioni puramente strumentali nelle lamen-
tazioni di Capello lascia intendere che all’interno della musica delle Tenebre e, par-
ticolarmente, nelle lamentazioni e nel Miserere gli interventi degli strumenti potes-
sero talora assumere una forma puramente strumentale, considerato anche lo spe-
ciale significato simbolico ad essi attribuito.80 Confermano la consuetudine di una
prassi siffatta gli avvertimenti acclusi alle Lamentazioni a otto voci «con il basso
continuo per il clavicembalo, concertate a doi chori uguali» di Valerio Bona, edite a
Venezia nel 1616 (Tab. B).81 Nella sua breve nota sulla concertazione, posta alla fine
di ciascun libro parte, Bona avverte che, pur potendosi cantare «queste lamentazio-
ni anco senza instromenti, con voci semplici, […] se saranno accompagnate in tut-
to o in parte da strumenti sarà meglio». Purtroppo il tipo di strumenti da impiega-
re non è qui specificato; tuttavia l’origine bresciana del compositore, le sedi in cui
svolse la propria carriera (Brescia, Milano e Verona), e soprattutto, la destinazione
78 Risultato più maturo di un processo di ricerca già avviato da Capello nei Sacrorum concentuum (Op.
I, 1610) col mottetto Consolamini popule mei, questo importante esperimento formale darà i suoi frutti
migliori nei successivi Mottetti et Dialoghi del 1615. Sulla forma quasi strofica di Consolamini e sull’in-
serimento in esso di un refrain ternario si veda KURTZMANN, Capello, Giovanni Francesco, pp. 159–60.
79 I versetti intonati in questo caso sono quattro, ma ad essi si deve aggiungere lo Jerusalem conclusi-
vo, abilmente incorporato nell’aria.
80 Per quel che concerne il Miserere, il dato sembra confermato oltre che dalla notevole interpretazio-
ne che di questo salmo fornisce Capello nella raccolta in parola — il brano presenta una complessa
struttura multisezionale includente anche un ritornello strumentale eseguito alternativamente da viole
e chitarroni — dalla raccolta poco più tarda di Miniscalchi (Tab. B).
81 Bresciano, appartenente all’ordine dei frati minori, Bona fu attivo come maestro di cappella presso
le cattedrali di Vercelli (1592) e Mondovì, quindi fu a Milano (1596), a Brescia (1611–1613), presso
la chiesa di S. Francesco e infine a Verona nella chiesa di S. Fermo per la quale verosimilmente scris-
se queste Lamentationi. cfr. OTTAVIO ROSSI, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia, Bartolomeo Fonta-
na, 1620, p. 500; ANDREA TESSIER, Del p. Valerio Bona o Buona e delle sue opere, «Miscellanea francesca-
na», v, 1890, pp. 52-4; JOSEF-HORST LEDERER, Bona, Valerio, in New Grove, vol. 3, p. 846.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 105

del continuo al clavicembalo, lasciano presumere che fosse assai simile a quella pre-
vista in forma obbligata da Capello. Proseguendo nella lettura della nota «alli corte-
si lettori» delle Lamentationi di Bona (Tab. B) si capisce bene la ragione per cui il
contributo degli strumenti sia così rilevante. Essi con il loro delicato appoggio non
solo potrebbero contribuire alla realizzazione di seducenti episodi in forma pseu-
domonodica, ma, come sembra di capire in riferimento alle lezioni notate in chia-
vette, potrebbero dar vita, per una maggiore varietà, a intere sezioni puramente
strumentali:
Queste lamentationi si possono cantare anco senza instromenti, con voci semplici che faranno
buona riuscita. Se saranno accompagnate da instromenti, o in tutto o in parte, sarà meglio. Et
quando piacesse al maestro di capella di far sonar li instromenti & far cantar una voce sola
qualsivoglia per choro, si sentiranno le parole perfettamente essendo le pause communi. Non
ho voluto poi trasportar nel basso continuo quelle che vanno sonate alla quarta o quinta bassa,
per lasciar l’organista in libertà di sonar come più li gradirà & anco perché in tal caso, se pia-
cesse al maestro di cappella di farle sonar in tono, lo possa fare, ché facendo poi cantar qualche
parte, il basso riuscirà un baritone o tenore, il tenore contralto, il contralto un sopranetto.

Se è prudente attribuire a queste indicazioni un valore locale, limitato a quell’area


padano-veneta oggetto della nostra attenzione, va comunque ricordato che l’esecu-
zione puramente strumentale di una o più lezioni delle lamentazioni non era in
contraddizione con la completezza liturgica dell’ufficio. Come osserva Roche, infatti,
anche quando le parti del proprium della messa venivano rimpiazzate da brani stru-
mentali o da mottetti, il celebrante recitava comunque, a voce bassa, il testo liturgico,
assicurando così sotto il profilo formale lo svolgimento completo dell’ufficio.82 In
merito poi alla pratica della scrittura in chiavette, che Bona impiega per la stesura
della seconda lezione di ogni feria, va osservato come questa, effettivamente, a partire
dal primo Seicento, fosse utilizzata sempre più frequentemente per predisporre un
brano a un’esecuzione strumentale.83 Al di là, di ciò l’elemento sonoro — come atte-
sta pure la scelta di un’intonazione a doppio coro — sembra essere al centro delle
preoccupazioni del compositore bresciano. Se è vero infatti che, onde non porre

82 ROCHE, North Italian church music, pp. 34–5, 38.


83 ADRIANO BANCHIERI, Cartella musicale, Venezia, Giacomo Vincenti, 1614, pp. 112–113; LODOVICO
VIADANA, Cento concerti ecclesiastici a una, a due, a tre, & quattro voci, con il basso continuo per sonar nell’orga-
no, Venezia, Giacomo Vincenti, 1602; in particolare, si vedano i mottetti per voce sola Fratres ego
enim e Accipite et manducate, entrambi caratterizzati da un cantus notato in chiave di violino, che nella
parte del continuo recano espressamente l’indicazione: «Sonando questo concerto co’l cornetto, l’or-
ganista sonarà la quarta alto così»; segue trascrizione della parte del continuo (originariamente in
chiave di basso) una quarta sopra in chiave di baritono. Si veda, inoltre, quanto osserva in merito
Claudio Gallico nella edizione critica (limitata ai mottetti per voce sola) da lui curata dell’opera di
VIADANA, Cento concerti ecclesiastici, Mantova-Kassel, Istituto Carlo D’Arco per la storia di Mantova-
Bärenreiter, 1964, p. 11.
106 RODOLFO BARONCINI

troppi limiti alla eseguibilità dell’opera, il compositore sorvola sul tipo di strumenti
da impiegare, l’obbligo del clavicembalo per il basso continuo è ampiamente indica-
tivo — lo si è già rilevato — di quali dovranno essere eventualmente le sonorità più
appropriate all’occasione. Alcuni aspetti della scrittura del Bona sono, del resto, atti
all’accentuazione di una determinata atmosfera sonora. L’asciutta omoritmia con cui
si muovono le parti, quasi un ritorno alla semplicità isoritmica e alla recitazione silla-
bica del passato, è qui mirata — come avverte lo stesso compositore — a consentire
un’immediata trasformazione pseudomonodica del tessuto plurivocale di partenza.
Ne risulta un dialogo accompagnato, presupponendo — come si consiglia nelle suc-
citate prescrizioni esecutive — la presenza di una voce sola per coro, da cui emerge
non solo una più chiara scansione del testo, ma anche un’accresciuta evidenza e per-
cettibilità di quel soave fondale sonoro — quasi un marchio della musica delle Tene-
bre — alla cui realizzazione concorrono verosimilmente, oltre al prescritto clavicem-
balo, anche viole, violini e chitarroni. Allo stesso modo andranno considerate le lun-
ghe note pedale caratterizzanti il tessuto delle iniziali ebraiche. Qui l’effetto sonoro
che ne deriva — assai prossimo a quello perseguito da Capello negli stessi luoghi —
sembra essere nel complesso ancora più evidente e persuasivo dei discreti melismi
dei due ipotetici solisti cui farebbe da sfondo:

Es. mus. 6: vALERIO BONA, Lamentationi, Feria VI, Terza lezione, Aleph]
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 107

Ma i risultati più sorprendenti su questo specifico fronte li raggiunge forse An-


tonio Burlini in una raccolta di lamentazioni (1614) che si colloca cronologica-
mente a metà tra quella di Capello e quella di Bona. Destinate a quattro voci «con-
certate alla moderna co’l basso continuo per il clavicembalo o spinetta», un violino
obbligato e due chitarroni o due liuti, le Lamentationi di Burlini (Tab. B) esibiscono
un apparato sonoro che, sebbene meno nutrito e lievemente difforme da quelli ri-
chiesti da Capello e da Mogavero (la presenza degli archi è qui ridotta a un solo
violino) appare comunque forgiato entro la tradizione sonoriale delle Tenebre.84
L’opera, come già quella di Capello, merita attenzione per essere emblematica della
rinnovata veste musicale acquisita dalle lezioni di Geremia nel corso dei primi due
decenni del diciassettesimo secolo. Benché l’organico vocale prescelto sia quello
tradizionale a quattro voci (SATB) e siano mantenuti alcuni altri aspetti topici e in-
violabili della «compositione lacrimosa», quali l’andamento tendenzialmente accor-
dale e isoritmico, la partitura di Burlini fa sfoggio di tutte le tecniche proprie del
nuovo mottetto in «stil moderno»: frequenti episodi a voce sola (molte sezioni ini-
ziano con un’esposizione solitistica spesso reiterata da un’altra voce); rapidi scambi
dialogici tra una voce e l’altra funzionali alla movimentazione del tessuto accordale;
frequenti reiterazioni testuali, procedura rara nell’intonazione polifonica delle la-
mentazioni, che hanno l’effetto di infondere a ogni singola strofa un più ampio re-
spiro musicale; e, infine, una certa profusione di figurazioni melismatiche, atte a
rompere la monotonia della recitazione prevalentemente sillabica. Quanto all’uso
degli strumenti lo scopo è, come in Capello, quello di imprimere un colore. La
parte di violino, che tende assai poco a sfruttare il registro acuto dello strumento
(la nota più acuta, toccata peraltro una sola volta, è il Sol4), è per lo più priva di
slanci concertanti. Del resto, laddove Burlini ottiene gli effetti fonicamente più ac-
cattivanti e, per certi versi, paradigmatici del suono delle Tenebre è — come si ac-
cennava in precedenza — nell’ambito dell’intonazione delle iniziali ebraiche che
egli, a conferma di una rinnovata importanza, eleva per estensione e pregnanza
musicale da brevi refrain-voltapagina al rango di ritornelli musicalmente autosuffi-
cienti (nella terza lezione della feria sesta la terza intonazione della lettera Beth si

84 Come preannunciato nel frontespizio dell’opera, la parte del continuo contiene la seguente nota di
prassi: «L’auttore alli virtuosi cantori. Chi haverà commodità di concertare queste mie lamentationi
con gli istrumenti bisogna che faccia una, o due copie del basso continuo, che serviranno per due
chittaroni o lauti, che a questo fine gli ho aggionta la parte per un violino, che riusciranno benissi-
mo: avvertendo che si possono cantare con le voci semplici, con quella misura larga che comporta il
moderno stile al quale in parte mi son accostato per il desiderio ch’ho di servirvi. Graditelo adonque
e vivete felici». Nativo di Rovigo e monaco olivetano, Burlini operò inizialmente nella sua città na-
tale presso il monastero di San Bortolo (Bartolomeo); quindi fu a Venezia (1608), Siena e Ferrara.
cfr. JEROME ROCHE, Burlini, Antonio, in New Grove, vol. IV, p. 635.
108 RODOLFO BARONCINI

estende, per esempio, per ben diciotto misure).85 La propensione a creare delicate e
soavissime atmosfere sonore si scatena segnatamente nella terza lezione della feria
sesta (venerdì santo), indubbiamente la più complessa e riuscita di questo ciclo di
lamentazioni sia per l’evidenza assuntavi dalla voce sola (i primi quattro versetti
sono intonati a turno da ciascuna delle quattro voci in ordine crescente di registro),
sia per l’abile costruzione formale che la sottende. Lo spunto per l’intonazione so-
listica delle strofe è fornito dal testo che in questa terza lamentazione da supplica e
lamento collettivo si trasforma in una accorata perorazione personale (Ego vir vi-
dens). Partendo da questo spunto, Burlini costruisce un’ampia struttura simmetrica
in cui quattro episodi solistici, corrispondenti ai primi quattro versetti dei cinque
complessivamente intonati, sono intercalati da quattro sezioni intonate da tutto
l’ensemble: la seconda e la terza enunciazione della lettera Aleph; e la prima e la se-
conda enunciazione della iniziale Beth. Inoltre, così come la lezione era iniziata con
un duplice solo, vale a dire la prima enunciazione dell’iniziale Aleph e il primo ver-
setto Ego vir videns, essa si chiude con un duplice Tutti, essendo l’ultima iniziale, la
seconda Beth, seguita da un vigorosa intonazione eseguita da tutto l’organico voca-
le e strumentale del versetto In tenebrosis. L’esempio che segue mostra come con
pochi ma studiati mezzi e una tendenziale ripartizione di compiti tra voci e stru-
menti, Burlini ottenga effetti sorprendenti. Su un triplice pedale tenuto da clavi-
cembalo, chitarroni, basso e violino, si levano per terze parallele coppie di voci (so-
prano-contralto e poi contralto-tenore) che reiteratamente producono armonie di
quarta e sesta:

85 Sono dimensioni che colpiscono soprattutto se raffrontate con la brevità normalmente riscontrabile
nelle raccolte coeve (si vedano gli esempi musicali 2–4 e 6, tratti da Capello e Bona), ma anche con
le corrispondenti strofe intonate dallo stesso Burlini nella lezione in parola. Il tradizionale rapporto
dimensionale tra iniziali e strofe o versetti (le strofe sono comprensibilmente sempre assai più estese
delle lettere), appare qui infranto a favore di un maggior equilibrio. Ciò risulta particolarmente evi-
dente nella seconda parte della lezione dove il secondo versetto (Me minavit) di undici misure, è se-
guito da una iniziale (Aleph) di 8, il terzo versetto (Tantum in me) di quattordici misure è seguito da
una iniziale (Beth) di undici, e il quarto versetto (Vetustam fecit) di quindici misure è seguito da una
iniziale (Beth) di diciotto; un’ampiezza superata soltanto dalle ventitré misure del versetto conclusivo
(In tenebrosis).
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 109

Es. mus. 7. ANTONIO BURLINI, Lamentationi, Feria VI, terza lezione, Beth

Se le raccolte fin qui discusse guadagnano qualcosa dall’essere state restituite al


loro naturale contesto, consentendoci di riempire di nuovo senso alcuni dettagli
della loro stesura, nel caso già citato delle lamentazioni di Mogavero la conoscenza
del quadro contestuale con le annesse connessioni simboliche diventa addirittura
110 RODOLFO BARONCINI

essenziale per una piena comprensione dell’opera. Si è già detto della fedeltà e del-
le modalità quasi estreme con cui Mogavero, da buon conoscitore della prassi vene-
ta, si attiene alla peculiare sonorità delle Tenebre, ma non si è detto delle insolite
anomalie che questa raccolta presenta dal punto di vista dello stile e della condotta
delle voci. Scritta in «stilo antico» e priva, dunque, dei modernismi che caratteriz-
zano le lamentazioni di Capello e Burlini, la raccolta di Mogavero si distacca pure
da quella stesura asciutta prevalentemente accordale e sillabica, normalmente osser-
vata nell’intonazione dei testi di Geremia fino a tutto il primo decennio del Sei-
cento. In contrasto con qualsiasi modello, sia precedente sia coevo, la silloge esibi-
sce fin dalle prime battute un’insolita animazione contrappuntistica, al punto che
le sezioni scritte in stile imitativo prevalgono nettamente su quelle omoritmiche.
Se in alcuni brani omofonia e imitazione si alternano in modo equilibrato, dando
vita a un tessuto variegato simile a quello di un madrigale, nella maggior parte dei
casi l’accordalità declamatoria o è riservata al solo enunciato iniziale — quasi una
citazione consapevole di una tradizione compositiva ben stabilita — o è totalmente
eliminata, lasciando il campo aperto a un’imitazione costante e pervasiva, interrotta
solo occasionalmente da alcuni episodi in contrappunto libero. È il caso questo
della prima strofa della lezione seconda del giovedì santo, Et egressa est, ma anche di
molti altri brani che qui sarebbe troppo lungo citare e analizzare in dettaglio (Cfr.
Esempio 8).
Il ricorso alla tecnica canonica per l’intonazione di un versetto della prima le-
zione del sabato santo, Bonus est Dominus («duo cum canone in diapente superius»),
appare emblematico di questa sorprendente predisposizione per il contrappunto
imitativo. Si tratta di una scelta, in apparenza, doppiamente inadeguata, sia per la di-
minuita comprensibilità del testo, sia per l’effetto eccessivamente dilatante che ne
consegue: ben quaranta misure contro le undici composte, per esempio, da Capello
per lo stesso versetto.86 È possibile, del resto, che questa forte accentuazione con-
trappuntistica fosse indotta e in qualche misura richiesta dallo status elevato della
committenza cui l’opera era destinata.87

86 Occorre rilevare che di fronte a un testo particolarmente lungo come quello di Geremia fino ad
allora tutti i compositori avevano evitato qualsiasi forma di intonazione prolissa, optando per una ra-
pida declamazione sillabica e un tessuto tipicamente accordale, visto anche l’elevato contenuto dram-
matico delle lamentazioni. A questa consuetudine Mogavero contravviene clamorosamente, non solo
in questo specifico caso, ma un pò ovunque, considerato l’afflato imitativo che pervade tutta l’opera.
87 L’opera reca infatti una dedica al cardinale Ferdinando d’Austria, fratello di Filippo IV, nonché
«Hispaniarum infanti, cancellario maiori Castellae, sanctae ecclesiae tolesanae Hispaniarum primati»,
un dato che confermerebbe i rapporti intrattenuti da Mogavero con il ramo iberico della casa d’Au-
stria e con la corte madrilegna, presso la quale, come si apprende dalla succitata lettera di istruzioni,
sembra abbia trascorso alcuni anni. Inoltre, nella dedica, particolarmente lunga e densa di notizie, il
compositore accenna al suo lungo servizio presso il seminario patriarcale di Venezia.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 111

Es. mus. 8: ANTONIO MOGAVERO, Partitura Lamentationum, 1623, Feria V, lezione II, Et egressa est
misure 31-79.
112 RODOLFO BARONCINI
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 113

La stessa scelta editoriale di affiancare ai consueti libri parte (non pervenutici) la


partitura completa dell’opera — soluzione inconsueta per l’epoca — potrebbe, a
questo punto, essere stata determinata più dal desiderio di esibire apertamente una
certa abilità di scrittura, che dalle necessità legate alla concertazione sul clavicem-
balo.88 Cionondimeno, prima di considerare la stesura di Mogavero alla stregua di

88 La possibilità che la Partitura lamentationum sia un prodotto editoriale in sé compiuto, alla stregua,
per esempio dell’edizione in partitura dei madrigali di Cipriano de Rore a quattro voci del 1577 o
114 RODOLFO BARONCINI

un’anomalia dovuta a necessità pratiche o dettate dalla committenza o, peggio an-


cora, a una scarsa familiarità con lo stile compositivo comunemente adottato nel-
l’intonazione polifonica delle lamentazioni, mi pare lecito suggerire una spiegazio-
ne alternativa. Attivo per lungo tempo a Venezia, il compositore pugliese dà mostra
— come si è già ricordato — di conoscere bene le tradizioni musicali solitamente
osservate nell’ufficio delle Tenebre, sia quelle di carattere compositivo, come si
evince dai blocchi accordali in stile di falsobordone con cui fa principiare molti dei
suoi brani, sia quelle concernenti quella particolare veste timbrico-sonora che, al-
meno in area padano-veneta, si usava conferire ai canti di questo ufficio. È un dato
quest’ultimo su cui tornare a riflettere poiché forse è proprio la familiarità con
quest’ultima tradizione e la sua radicale realizzazione a dar sfogo e senso alle ano-
malie contrappuntistiche di Mogavero. Nel commentare le istruzioni anteposte al-
l’opera, si è visto come la principale preoccupazione del compositore fosse quella
di ottenere una precisa sonorità, una delicata e un pò rarefatta suavitas, grazie al-
l’impiego degli strumenti prescritti, che, seppure non obbligato e teoricamente ac-
cessorio, appare in realtà chiaramente determinante a tal punto da richiedere il
contrario di quanto normalmente richiesto e praticato dalle convenzioni esecutive
dell’epoca: che il «frastuono delle voci non copra la soavità degli strumenti». Una
simile preoccupazione, tuttavia, non può non avere come conseguenza una dimi-
nuita attenzione per la declamazione del testo: cantato a mezza voce — come sem-
bra potersi desumere dalle indicazioni di Mogavero — la sua comprensibilità appa-
re sacrificata in favore della percezione di un timbro reputato evidentemente di per
sé sufficientemente rappresentativo e significativo del contesto luttuoso. È come se
il timbro, che fin dalla pratica cinquecentesca risulta essere una componente al-
quanto importante nell’intonazione dei canti delle Tenebre, assuma, concentrando-
lo su se stesso, tutto il carico significativo del testo finendo con l’assurgere da ele-
mento accessorio qual era a un ruolo pressoché strutturale. Non è strano, a questo
punto, che in una situazione in cui la declamazione del testo non costituisce più la
preoccupazione principale venga meno, di riflesso, la necessità di un tessuto musi-
cale strettamente omofonico, funzionale alla sua comprensione. Di qui il libero
fluire di una polifonia imitativa che non esita a servirsi dei suoi artifici più caratte-
ristici, quali il canone e il contrappunto doppio, e che talvolta, per ritmi e foggia
dei madrigali di Gesualdo da Venosa del 1613, non può essere accolta sulla base delle seguenti consi-
derazioni: 1) l’opera contiene alla fine anche un Benedictus e un Miserere entrambi concertati a otto
voci di cui in partitura è fornita soltanto la parte del basso, dato questo che parrebbe sufficientemente
indicativo dell’originaria presenza di sei o più libri parte destinati ai singoli esecutori vocali e stru-
mentali; 2) la partitura riporta solo gli incipit testuali, un fatto che renderebbe particolarmente diffi-
coltosa, se non impossibile, l’esatta ricomposizione testuale, data la lunghezza dei vari brani, senza
l’ausilio di specifici libri parte destinati alle singole voci; 3) la raccolta è destinata — come precisa lo
stesso Mogavero nei citati avvertimenti — a una viva esecuzione vocale-strumentale d’assieme.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 115

dei soggetti musicali, assume quasi l’andamento di una canzone da sonar, confer-
mando in tal modo la sua adattabilità all’esecuzione strumentale.
4. Si impongono, a questo punto, alcune riflessioni conclusive. Una prima preci-
sazione è che il ‘suono delle Tenebre’ non fu un fatto limitato ai tre-quattro decen-
ni qui presi in esame, bensì un fenomeno di lunga durata. Da un primo sondaggio
effettuato su alcune fonti documentarie e alcuni testimoni musicali, per lo più ma-
noscritti, della seconda metà del Seicento e del Settecento risulta che la pratica so-
nora delle Tenebre non solo continuò a essere osservata nei suoi luoghi d’origine,
ma si diffuse anche altrove. Se il costume avviato in San Marco, a partire dal 1669,
di assoldare un terzo tastierista per l’esecuzione al clavicembalo delle lamentazioni
è segnale di un ulteriore radicamento,89 la presenza tra lo strumentario settecente-
sco della corte fiorentina di «uno spinettone da orchestra per la settimana santa» è
indice di una diffusione ormai ampia e sovraregionale.90 Ancor più netta è la per-
cezione che si ricava dallo spoglio delle musiche: numerosissimi e di varia prove-
nienza sono i cicli di lamentazioni, i responsori e i Miserere concertati con viole,
violoncelli, cembali e altri strumenti a corda prodotti nel corso del Settecento (Tab.
D); una prassi che appare ancora ben viva e operante, pur con le opportune modi-
fiche, nei repertori per il sacro triduo della prima metà dell’Ottocento (Tab. D).
Una seconda precisazione concerne l’occasionale effetto di riverbero che tale
prassi produsse in altri momenti del sacro triduo e della settimana santa. Un esem-
pio significativo di questo riverbero è fornito dal mottetto per voce sola di Ales-
sandro Grandi O vos omnes incluso nei suoi Motetti a una et due voci con sinfonie d’i-
stromenti partiti per cantare e sonare col chitarrone […] Libro primo, (Venezia, A.Vincenti,
1621). Destinato, come si evince dal testo (una parafrasi degli Improperia del Venerdì
santo), ad essere eseguito all’adorazione della croce, il brano è introdotto e infra-
mezzato da una sinfonia dolente e cromatica che, diversamente dalle sinfonie e da-
gli inserti strumentali degli altri undici mottetti della raccolta (tutti per due violini
e, in un caso, per due violini e «un fagoto»), è da eseguirsi con «tre viole».91 Che
Grandi — per dirla con Monteverdi — non «facesse le sue cose a caso» e che la
strumentazione prescritta fosse il risultato non di una scelta casuale ma della precisa
conoscenza di una prassi di concertazione vocale-strumentale ormai ben radicata, è

89 ELEANOR SELFRIDIGE-FIELD, La musica strumentale a Venezia da Gabrieli a Vivaldi, Torino, ERI, 1980, p.
275, nota 10; e EAD., Venetian instrumental music from Gabrieli to Vivaldi, III ediz., New York, Dover,
1994, p. 347.
90 Firenze, Archivio di Stato, Imperiale e real corte lorenese, filza 3477, Affari diversi della guardaroba, n.
4115, 4 novembre 1797, c.1. Sono debitore di questa informazione a Marco di Pasquale e Giuliana
Montanari.
91 Una trascrizione del mottetto in questione e della relativa sinfonia sono leggibili in MARTIN
SEELKOPF, Das Geistiliche schaffen von Alessandro Grandi, Dissertation, Wurzburg, Julius-Maximilians-
Universität, 1973, Band I, pp. 182–3.
116 RODOLFO BARONCINI

confermato dal fatto che anche la parte vocale del mottetto in parola, stesa in un
asciutto stile sillabico, quasi recitativo, appare ricalcata sullo stile delle lamentazioni
di Geremia (Cfr. Esempio 9).

Es. mus. 9: ALESSANDRO GRANDI, Motetti a una et due voci (1621), O vos omnes, sinfonia «con
tre viole»
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 117

Fatte queste brevi precisazioni, possiamo ora passare ad alcune osservazioni finali
in merito alla prassi. L’aver riesumato attraverso il reperimento e l’osservazione di
una discreta serie di documenti e musiche, fra loro complementari e convergenti,
una realtà sonora fin qui ignorata dalla musicologia storica ha, credo, un primo
non indifferente risultato. Buona parte del repertorio del tardo-Cinquecento e del
primissimo Seicento destinato al sacro triduo, in primis le lamentazioni, che tradi-
zionalmente si ritiene eseguito a cappella, potrà ora essere immaginato — almeno
in alcuni contesti — in una diversa e seducente veste vocale-strumentale. Si tratta
— va ricordato — di una possibilità applicabile anzitutto ai repertori della settima-
na santa prodotti da compositori gravitanti nell’orbita padano-veneta, ma forse im-
maginabile anche per opere di altra provenienza.92 Se dal fronte della prassi passia-
mo a quello delle riflessioni teoriche, ciò che sembra emergere da questa ricerca
— sommando e confrontando i nostri risultati con quanto già si sapeva o si suppo-
neva sull’argomento — è la sorprendente e, per certi versi, spiazzante ricchezza
della pratica musicale del Cinque-Seicento. Una realtà così molteplice e diversifica-
ta dall’indurre chi si accinge a descriverla a ideare modelli storiografici flessibili
che, lungi dall’appiattirne o semplificarne il senso, ne mettano in luce tutte le pie-
ghe. È forse a causa di questa intrigante varietà — che assume spesso la forma di
inaspettate e contrastanti coesistenze, e non solo per diversità di metodo, lettura,
punti di vista e ‘scelte di verità’ — che uno studioso avvertito come John Bettley
prospetta, nel saggio qui più volte citato, una realtà un pò diversa da quella da noi
descritta. Scettico sull’idea che le lamentazioni potessero richiedere un timbro par-
ticolare come le voces pares, in coda al suo articolo Bettley afferma che la partecipa-
zione degli strumenti all’ufficio delle Tenebre era interdetta da un generale veto
ecclesiastico e che anche in quei contesti meno soggetti al controllo della chiesa,
come, per esempio, le confraternite laiche, in cui si praticava una qualche forma di
intervento strumentale, questa non riguardava comunque le lamentazioni in quan-
to, rispetto agli altri testi del sacro triduo, esse detenevano «a far more serious role
in the Tenebre ritual: to inspire repentance for transgressions and induce
devotion».93 A sostegno di questa ipotesi Bettley cita curiosamente la prassi marcia-

92 Tra le musiche per l’ufficio delle Tenebre in possesso della cappella di Santa Maria Maggiore esi-
stevano, per esempio, anche opere di area non settentrionale come le lamentazioni di Morales o i re-
sponsori di Tommaso Pecci (doc. 11). È possibile, tuttavia, che, all’epoca in cui si cominciò a utiliz-
zare gli strumenti, un’opera classica ma certamente vetusta come quella di Morales — presente anche
nell’inventario dei libri di musica della cappella di S. Alessandro in Colonna — non venisse più ese-
guita; diverso è il caso della raccolta di PECCI, Musicae modi in responsoria divini offici feria a 4 et 6 voci
(1603), acquistata molto probabilmente negli anni del magistero di Giovanni Cavaccio, quando l’uso
di impiegare determinati strumenti nell’ufficio delle Tenebre era praticato in Santa Maria da quasi
due decenni.
93 BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, pp. 195–6.
118 RODOLFO BARONCINI

na, che secondo l’Officium dello Stringa del 1597 non avrebbe previsto, almeno uf-
ficialmente, l’impiego degli strumenti, e anche una nota di prassi acclusa alle La-
mentationes di Viadana del 1609, in cui si avverte come «questa sorte di musica che
si recita farà sempre miglior effetto solo quattro buone voci che cantano con gravi-
tà e schietto, che esser accompagnata con istrumenti».94 Tali prove, troppo esigue
per dedurne un’ipotesi generale sull’estraneità alla pratica strumentale dell’ufficio
delle Tenebre e, in particolare, delle lamentazioni, sono tuttavia sufficienti a movi-
mentare un quadro che evidentemente sfugge a rigide schematizzazioni. Se infatti
l’idea generale di una prassi puramente vocale appare clamorosamente smentita da
una rete convergente di fonti archivistiche e musicali, ciò non toglie che in alcuni
contesti di quella stessa area d’elezione da noi esaminata (l’area veneta e medio-pa-
dana) l’uso degli strumenti nell’ufficio delle Tenebre e nell’esecuzione delle lamen-
tazioni non fosse contemplato o fosse contemplato solo occasionalmente e senza
una peculiare connotazione timbrico-simbolica.
Una seconda riflessione, di carattere squisitamente storico-musicologico, con-
cerne il rapporto tra pratica esecutiva e pratica compositiva. È interessante rilevare
come tra le prime messe in opera del ‘suono delle Tenebre’ e il loro assorbimento
in un testo musicale compiuto corra un lasso di tempo invero notevole. Tra le ese-
cuzioni con strumenti allestite in Santa Maria per il triduo del 1587, le prime del
genere di cui siamo a conoscenza, e la pubblicazione delle Lamentationes (1612) di
Capello corrono infatti ben venticinque anni. Questo dato conferma un fenomeno
già noto, ma ancora lontano dall’essere consapevolmente elaborato dalla musicolo-
gia storica. Il fatto, cioè, che alcune innovazioni rilevabili nella letteratura musicale,
entusiasticamente salutate come soluzioni d’avanguardia, frutto della singolare ‘in-
venzione’ di questo o quel compositore, non sarebbero altro che una realizzazione
stilizzata e tendenzialmente tardiva di prassi in vigore svariati anni prima.
Sull’onda di questo fenomeno si può, infine, avanzare un’ipotesi suggestiva, an-
corché bisognosa di ulteriori conferme, circa l’origine della trasformazione mono-
dica verificatasi prima con Cavalieri (1599-1600) e poi con Capello (1612) di un
genere eminentemente polifonico e plurivocale come le lamentazioni. Se è vero
che in alcune chiese dell’Italia settentrionale era pratica comune, fin dalla seconda
metà degli anni Ottanta del Cinquecento, eseguire le lamentazioni con l’ausilio di
viole, clavicembali e altri strumenti a corda, è possibile che, considerato anche il
loro tessuto squisitamente accordale, esse fossero facile terreno di occasionali ridu-
zioni pseudomonodiche; prassi questa che avrebbe poi innescato una forte spinta
in direzione delle successive formalizzazioni per voce sola. Questa ipotesi si accor-
da molto bene con la tesi di Bettley secondo cui gran parte delle presunte innova-

94 BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, pp. 195–6.


L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 119

zioni presenti nelle lamentazioni di Cavalieri (impiego espressivo della dissonanza e


del cromatismo, declamazione in falsobordone, e uso di refrain a scopo unificante)
sarebbero in realtà già presenti nello stile della «composizione lacrimosa» sviluppa-
tosi nell’Italia settentrionale a partire dagli anni Ottanta.95 L’unico tratto in cui «the
north-Italian repertory» non avrebbe anticipato Cavalieri sarebbe appunto in «the
use of solo voice for portion of text»: un aspetto che, alla luce di quanto emerso
dalla nostra ricerca sull’impiego degli strumenti, potrebbe tuttavia essere stato pre-
parato e anticipato nella viva prassi esecutiva.

95 BETTLEY, ‘La compositione lacrimosa’, p. 195.


120 RODOLFO BARONCINI

APPENDICE DOCUMENTARIA

Doc. 1. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1385, Terminazioni, c. 232r, 3 gennaio 1567:

Notta deli libri consignati alla Misericordia per il r.do Pietro Ponzio mastro di capella di Santa
Maria adì 3 zenaro 1567 / […] / Copie n.o 3 di Lamentazioni de Morales, Gia. Nasch et Joan
Contin in tutto libri 13

Doc. 2. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1303, Scritture (Contratti), inventario dei libri
di canto della MIA, c. 812 [redatto verosimilmente nel 1586, con aggiunte inserite tra il
1587 e il 1590]:

Inventario delli libri di musica della giesia di Santa Maria Mazor di Bergamo consignati dalli
magnifici signori deputati della sudetta giesia al sig. Gioan Florio, maestro di capella, cioè / […]
/ Libri quatro di Lamentationi di Gioan Contino coperti di cartone con il sigilllo / Libri qua-
tro di Lamentationi a quatro, cinque e sei voci di Morales coperti di cartone / Libro di carto-
ne con pegorina di d. Gaspar Alberto in foio reale de salmi, lamentationi, e passi per la dome-
nica dell’Oliva / […] / Libri quatro di Responsori di Giacomo Kerle per la settimana santa /
[…] / Libri quatro di Lamentationi dell’Jngieniero coperti di cartone / Responsorij della set-
timana santa libri quattro dell’Ingeniero /

Doc. 3. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1387, Spese (1583-1589), c. 22, s. d. [1587]

Molto mag.co s.r Bortolamio [Madoni] / V.S. sarà contenta sodisfar al r. do ms. prè Piero [Ce-
roni] da borgo [Sant’Alessandro] et a ms. Enea [Morari], quali hanno sonato le viole la setti-
mana santa. / Di V.S. servitor Giovan Florio / / Io Leonardo Salvagno deputato dico che la V. S.
li faccia la sua boletta cioè scuto uno da £ 7 per cadauno. / Io il merit.mo Leonardo Salvagno.

Doc. 4. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1388,Spese (1590-1593), c. 67, 26 maggio


1590

Molto mag.co s.or Bortolomio / Quelli ch’hanno servito 3 giorni della settimana santa sonno
gl’infrascritti:V.S. sarà contenta fargli pagar: / Il r.do ms. prè Piero da borgo sonò il basso / Ms.
Enea Morari sonò il contr’alto. / D. v. s. servitor Giovanni Florio
Il r.do ms. prè Piero al giorno — £ 3-£ 9 / Ms. Enea al giorno — £ 3-£ 9.

Doc. 5. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1389, Spese (1594-1601), c. 9, [aprile 1597]

Per haver adoperato l’organin di ms. Giovan Cavazo tre giorni della settimana santa £ 7 / Ms.
Marc’Antonio Garzerino ha sonato tre giorni della settimana santa una viola da brazo £ 6 /
Giovan Florio / All’organo si dia secondo il solito et al sonator della viola lire sei in tutto /
Hercole Tasso deputato alla chiesa.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 121

Doc. 6. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1390, Spese (1602-1610), c. 18

Laus Deo, 1601, adì 21 aprile / Mastro Zanarigo di Consoli et compagni marangoni die haver
dala Misericordia Maggior da Bergamo, sono per opre fate in giesia de Santa Maria Maggior a
far il sepulchro et altre fatture, cominti adì 12 aprile sarà per tuto al 25 ditto 1601 in diversi
preti come apar qui sotto [segue il numero delle prestazioni svolte dai singoli mastri marango-
ni e dai loro lavoranti].

Doc. 7. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1390, Spese (1602-1610), c. 148v

Adì 5 aprile 1602 / Poliza et notta di tutta la spesa fatta per me prè Hieronimo Pisenti, sacri-
stano maggiore di Santa Maria Maggiore di Bergamo intorno alla chiesa et cose necessarie in
chiesa dal dì 22 novembre del 1602 sino a dì 4 aprile 1603 / […] / Item adì 4 aprile pe dinari
datti al fachino che ha portato li panni negri della settimana santa -— L. - s 6.

Doc. 8. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1390, Spese (1602-1610), c. 282

Adì 25 maggio 1605 / Poliza della spesa fatta da me Hieronimo Pisenti sacristano maggiore di
Santa Maria Maggiore di Bergamo in cose necessarie alla chiesa […]/ Et più adì 15 detto
[marzo 1605] in danari spesi in fare racconciare li panni negri che si sono adoprati in coro et
alla cantoria la settimana santa — L. 2 s. – d. –

Doc. 9. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1390, Spese (1602-1610), c. 567

Adì 20 maggio 1609 / Polizza della spesa fatta da me prè Gieronimo Pisenti sacristano […] dal
dì 2 genaro 1609 fino adì detto in cose necessarie alla chiesa et sacrestia / […] / Et più adì 8
aprile per dinari spesi in oncie 4 bombaso filato […] per far li stupini nelle lampade della chie-
sa et al sepulchro a soldi 4 l’oncia monta — L. – s. 16 d. – / Et più adì 14 detto per dinari spesi
in n.o 100 rampinelli et goucchie da cusire et [Illeggibile] per la 7ttimana Santa.

Doc. 10. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1391, Spese (1614-1630), c. 473, febbraio-
marzo 1628

[Servizi svolti dal suonatore di viola e violone Gioseffo Dalmasoni:] / Adì 2 febraro 1628, ser-
vito alla messa alla messa et vespro [della] Madonna delle candele: offici 2. / Adì 25 marzo, Ma-
donna [Annunciazione], servito il primo vespro et messa et vespro chol violon et viola […]:
offici 3 / Faccio fede io Gio. Batta Ghio come Joseph Dalmasoni lo vidi il giorno della Ma-
donna delle candele in cantoria che suonava il suo ustrimento ed io gli diedi la candela bene-
detta. /Io Gio Batta Ghio / Facio fede io prè Giacinto Andrea Camerata per haver veduto ms.
Gioseffo sudetto a suonare in chiesa come di sopra. / Io prè Giacinto Andrea Camerata […]
Per haver servito il mercordì santo ala lamentacione — L. 2 s. 4 / Per haver fornito la viola di
corda et fato conzar dal lauter una delle dete viole — L. 4 / [in tutto] —— L. 16.10.
122 RODOLFO BARONCINI

Doc. 11. Bergamo, Biblioteca Civica, MIA 1304, Scritture (Contratti), 13 gennaio 1628,
cc. 287r-289v:

Inventario de’ libri del canto figurato consegnati in mano del sig.r Alessandro Grandi maestro
di cappella di S. Maria Maggiore adì 13 gennaio 1628: […] / Passij et lamentationi e responso-
rij / Passij dell’Asola con le Lamentationi a 4 del Vecchi et con le voci pari / Lamentationi /
del Morales a 5 / dell’Ingegnieri a 5 / del Cherli a 5 / del Nasco a 5 / Responsorij / dell’In-
genieri a 4 / di Tomaso Peci a 4 / del Zucchino a 8.

Doc. 12. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1526-1592), reg. 572

Conto delle spese fatte da me Bartholomeo Pigetti canonico et caneparo a nome degli reve-
rendi capitoli [di] San Alessandro e San Vincenzo / Anno 1582 […] / [15 aprile 1582] Datti a
Gerardo custode per haver fatto tinger il triangolo et candelle per la settimana santa, adì 15
ditto - — L. 1 s. 8 d. –

Doc. 13. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1526-1592), reg. 572.

Conto delle spese fatte da me Girardo Terzi canonico et caneparo del presente anno 1586 /
[…] Adì detto [2 aprile 1586] pagati a mastro Andrea indoratore per far tinger le candele per la
settimana santa — L. 1 s.– d. – […].

Doc. 14. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1526-1592), reg. 572

Poliza dele spese comuni fatte per me Lattanzio Bongo canonico et caneparo dell’anno 1590 /
[…] Adì 21 detto [aprile 1590] datti all’organista per pagar quelli che hanno sonato et cantato
nelli officij della settimana santa, come nella sua poliza confermata — L. 13 s. 6 d. –

Doc. 15. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1526-1592), reg. 572

Poliza dele spese comuni fatte per me Lattanzio Bongo caneparo dell’anno 1591 […] / Alli 13
detto [aprile 1591] per haver pagato una poliza di spese minute a ms. prè Gioan custode fatte
la settimana santa — L. 5 s. – d. 6 / […] / Item per haver pagata una poliza confermata dalli r.
ss.ri deputati per quelli che hanno cantato et sonato la settimana santa — L. 14 s. – d. –

Doc. 16. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1569-1599), reg. 573

Poliza delle spese comuni fatte per mi Antonio Suardo canevaro per l’anno 1593 […]/ [21 giu-
gno 1593] A 3 musici che cantorno la settimana Santa et al Corpus Domin — L. 9 s. 12 d. –

Doc. 17. Bergamo, Archivio Capitolare, Expensae (1600-1640), reg. 574

Spese comuni ad ambedue le m. rev. congregationi di San Vincenzo et San Alessandro fatte nella
chiesa da me Angelo Mapello canonico et canevaro della Congregatione de S. Alessandro per
l’anno 1601 […] / [21 aprile 1601] Pagati al reverendo mastro di capella per portatura di viole
et arpicordo per la musica dell’officio delle tenebre — L. 1 s. 12.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 123

Doc. 18. Padova, Basilica del Santo, Archivio dell’Arca, busta 1062, mandato del 1589,
filza 8:

Adi ditto [Primo aprile 1589] / Lire tre spexi per nolo di tele negre si ano meso atorno il pal-
cho si àno fato in gesia per li cantori la setimana santa et soldi 8 ad Alisandro che le porta
inanzi e le tornete in drio val in tutto— L. 3 s. 8 / Adì 6 ditto lire una soldi quatro per tanti
dati al reverendo padre mastro di chapela per tanti lui ano spesi neli fachini li porta inanzi et in
drio instrumenti per sonar nela chapela questa quadragesima val — L. 1 s. 4 […] / Adì ditto
per libre tre onze otto di chandelete zale a s. 20 la libra tolte per quele dano via il custode a
l’altare de l’archa val — L. 3 s. 8.

Doc. 19. Padova, Basilica del Santo, Archivio dell’Arca, busta 1062, mandato del 1597,
filza 13

Adi 31 marzo 1597 per dati ali fachini di tore e porta al santo tavole n.o 10 et do meze piane
per il far il sepulchro – val — L. – s. 8 [seguono spese per diversi oggetti destinati all’allesti-
mento del sepolcro, quali cotone («banbaso»), «olio per le lampade», lampade eccetera].

Doc. 20. Padova, Basilica del Santo, Archivio dell’Arca, busta 1063, mandato del
1612, filza 28, c.47.96
Polliza de spesa de chiesa / Adì ditto [15 aprile 1612] / Per far portar legnami per far il palco
per la musicha della settimana santa, tolto da ms. Martin fu carge n.o 7 a s. 4 l’una -— L. 1 s. 8 /
[…] / Adì 18 ditto [18 aprile 1612] / Per far portar doj arpicordi al Santo per la musica della
settimana santa -— L. - s. 8 / […] / Adì 25 ditto [25 aprile 1612] / Datti ali fachini portò li 2
arpicordi alli gentilhomeni li prestò per le musiche della settimana santa — L. - s. 16 / […] /
Adì 6 ditto [6 maggio 1612] / Datti al reverendo ms. prè Amadio [Freddi] per dar a ms. Zuan
Maria [Radino] dalli arpicordi per la musicha della settimana santa così de ordine [del] mag.co
signor Zorzi Leoni deputato alla musicha — L. 10 / […] / adì 11 ditto [8 giugno 1612] / Per li
fachini portò legnami carge n.o tre per finir de far il pulpito fu fatto alli 18 april per la musi-
cha della settimana santa et per carge sie legnami per far il palco grando per la musicha delle
feste pentecoste e santo Antonio in tutto — L. 1 s. 16 / […] / Adì 30 zugno / Datti alli fachini
portò il legname a ms. Martin tolto imprestido per far il palco per la musicha della settimana
santa et per far il palco per la solenità delle feste Pentecoste e Santo Antonio fu carge n.o 12 a s.
4 l’una. — L. 2 s. 8 /

96 Il «Zuan Maria dalli arpicordi» menzionato in questo documento è senza dubbio da identificare
con Giovanni Maria Radino, padovano, che oltre a Il primo libro d’intavolatura di balli d’arpicordo (Ve-
nezia, Giacomo Vincenti, 1592), edito nello stesso anno anche in una versione per liuto, pubblicò in
antologie un dialogo a otto e una canzone, e nel 1607 curò una raccolta di Concerti per sonare et canta-
re di suo figlio Giulio, prematuramente scomparso, contenente anche brani di Amadio Freddi, all’e-
poca maestro di cappella della basilica del Santo, e di Orindio Bartolini e Marco Laudis della cappella
marciana; cfr. nota 18.
124 RODOLFO BARONCINI

Doc. 21. Venezia, Archivio di Stato, Proc. de supra, Cassier chiesa (1614-22), reg. 8,
nota di pagamento del 3 giugno 1615.

Per spese […] per diversi sonatori et cantori pigliati di più delli ordenarij che servano in ca-
pella […] per uno d. 10 grossi con lire 5 per haver portato lo claviorgano per tal servitio per
servire nelle lamentazion della settimana Santa.

Doc. 22. Venezia, Archivio di Stato, Procuratia de supra, Cassier chiesa (1648-1659), reg.
13, cc. non numerate, registrazione del 27 aprile 1650

Laus deo 1650 a 27 aprile / […] / Per spese della chiesa / a cassa ducati sette, grossi disdotto
contadi al maestro di capella per clavocimbalo e violino tolti la settimana santa in chiesa per
cantare le lettioni come per polizza a n.o 40 — L. 15 - 6

Doc. 23. Venezia, Archivio di Stato, Procuratia de supra, Cassier chiesa (1648-1659), reg.
13, cc. non numerate, registrazione del 22 aprile 1651

Per spese per la chiesa a cassa / ducati sette, grossi 22 contadi al soprascritto [maestro di cappella]
per spesa di due instrumenti tolti di più la setimana santa per cantar li mattutini come per po-
lizza n.o 50 -— L. 15 - 10

Doc. 24. Venezia, Archivio di Stato, Procuratia de supra, Cassier chiesa (1648-1659), reg.
13, cc. non numerate, registrazione del 2 maggio 1656

Per spese per la chiesa / a cassa, ducati undese, grossi nove contadi a […] Zuane Roetta maestro
di capella per haver fatto accomodar il clavicimbalo, et per musici aggionti per cantar, e sonar le
lettioni li giorni della settimana santa, come appar per polizza del ditto giusto l’ordinario a n.o
37 — L. 1 – 2 – 9.

Doc. 25. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1590-
1603), busta 1, cc. non numerate, 12 aprile 1592

1592 alli 12 di aprile


Ill.re […] r.do s.or Ascanio dalla Salla canonico et massaro della fabbrica del duomo vi piacerà
pagare a r.do molto Alessandro Toscho scudi quattro per altri per lui spessi in sodisfar li musici
che hanno cantato li mattutini in questa settimana santa che pigliandone ricevuta vi saranno
fatti boni; dico scudi 4 dano — L. 28 s. 8 d. –

Doc. 26. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1590-
1603), busta 1, cc. non numerate, 26 aprile 1593

1593 adì 26 d’aprile / Ill.stre ecc.mo r.do s.or Ascanio Salla canonico et massaro della fabrica
del duomo vi piacerà pagare al r.do molto Alessandro Toscho scuti quattro per sodisfar li musi-
ci per questa settimana sancta che pigliandone ricevuta vi saranno fatti boni, dico scudi 4
dano — L. 28 s. 8 d. –
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 125

Doc. 27. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1590-
1603), busta 1, cc. non numerate, 15 aprile 1594

1594, adì 15 di aprile / Ill.stre ecc.mo r.do s.or Ascanio Salla canonico et massaro della fabrica
del duomo vi piacerà pagare al r.do ms. Don Giulio de Benedetti ducatoni dieci per sodisfar i
musici per questa settimana santa prossima passata che pigliandone ricevuta se vi farano boni;
dico ducatoni 10
dano — L. 73 s. – d. –

Doc. 28. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1603-
1613), busta 3, cc. non numerate, 16 maggio 1607

Li musici c’hanno servito la settimana santa et le feste di Pascha 1607 / Il Fontana — L. 12 / Il


compagno del Fontana — L. 12 / Il Bosello — L. 12 / Ms. Gio:— L. 12 / Il Malgaro — L.
12 / [in totale] — L. 60 / […]

Doc. 29. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1603-
1613), busta 3, cc. non numerate, 23 maggio 1612

Per la settimana Sancta et le tre feste di pascha

Cinque instrumentisti et tre voci, libre tredici per homo sono £ 104 / e più l’Accorso — £
12 / e più l’Orso — £ 12 / e più il Cantello d. Cesaro - £ 12 […] Tassata in lire cento venti-
cinque / S.r Francesco Barcoli [?] facci il suo mandato al s.r Guilielmo [Dillen] mastro di cap-
pella nostro per li sopradetti denari tassatti, che sono per pagare li musici che hanno servito la
settimana santa et le feste di Pascha, che sarà ben fatto et li bacio le mani / Anzelo can.co Ra-
valloni /
1612 adì 23 maggio […] Ill.mo et m.to r.do sig.re Pietro Maria Prati cancellier et sen.r della fa-
brica del duomo vi piacerà pagare al sudetto ser Guilielmo lire cento venticinque per li [illeg-
gibile] sud. che [illeggibile] £ 125 s. […] Ceare Carnidori / Gasparo Tri[…] / Fulvio Longhi /
Francesco Barcholi canc.r /

Doc. 30. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1603-
1613), busta 3, cc. non numerate, Mandati (1614-1621), busta 4, 27 aprile 1615

Per la musica fatta la settimana santa et le feste di Pascha 1615 nel Duomo di Parma / Cinque
instrumentisti -— L. 65 / Due musici della Madonna — L. 26 / Sei musici del Choro — L. 73
/ — L. 164 / […]

Doc. 31. Parma, Archivio della Fabricceria della basilica cattedrale, Mandati (1603-
1613), busta 3, cc. non numerate, Mandati (1614-1621), busta 4, 9 aprile 1616

[spese per la musica dell’Annunciazione, della settimana santa e delle tre feste di Pasqua] /
1616 per la musica / Il giorno della annuntiata per la messa del vescovo -— L. 20 / La domi-
nica delle palme -— L. 16 / Il mercordì sera [mattutino]— L. 17 / La giobia mattina -— L. 14
/ La giobia sera [mattutino]— L. 17 / Il venerdì mattina -L 14 / Il venerdì sera [mattutino]—
126 RODOLFO BARONCINI

L. 17 / Il sabato mattina— L. 16 / Il giorno di Pascha la mattina -— L. 20 / Il giorno di Pasha


la sera -— L. 20 / Il lunedì mattina -— L. 18 / Il lunedì sera — L. 18 / Il martedì mattina— L.
18 / Il martedì sera -L 18 […]

Doc. 32. ANTONIO MOGAVERO, Partitura Lamentationum Jeremiae prophetae in maiori hebdo-
mada, pro gravi cimbalo modulando, cum sex vocibus […] canticus vero Zacchariae et miserere cum
octo vocibus, Venezia, Alessandro Vincenti, 1623, avvertimenti al lettore:

Pio, ac benevolo lectori


Cum aliquot aetatis annos in aula regis catholici inter tot homines, virtutis ac musices gloria
praestantes peregeram, rogantibus iis, quorum precibus negare nihil poteram, animum ad ter-
tium thonorum librum musicis modulis exprimendum retuli, ut essent qui ea hebdomade,
quae a sanctiimonia ipsa nomen invenit, pietatis gratia canerentur. Neque vero artis dumtaxat,
& harmoniae specimen hic mihi edendum putavi; verum etiam chromatum, & variarum in-
ventionum, quibus verborum vis exprimeretur, omnia ad temporis rationem fingendo, atque
accommodando, ut pij una cum peritis animis praestantibus symphoniae lenocinijs recrearen-
tur. Huius suavitas ex cymbalo praesertim cognosci poterit: ut meo quidem iuditio canendi
sunt hi threni ad cymbalum grave, ac sonorum adiunctis sex panduris (quas barbarum vulgus
viola de gamma appellat) & una theorba, aut testudine, sexque vocibus doctissimis, quae sic
modulentur ut instrumentorum suavitatem suis stridoribus minime obruant. Mensuram porro
lentam esse oportet, sacris enim neque simphoniae artifitium, neque cromatum varietas percipi
poterit, neque pietati, cui hoc tempore potissimum studemus satisfiet. Ijs vero locis quibus in-
strumentorum musicorum copia non erit, voces lestae, & edocumenta eius modi inopiam sup-
plere poterunt. Caeterum has qualescumque lucubrationes meas pijs hominibus accomodatas
esse cupio, qui pro insita virtute instituti mei rationem facile intelligent, quando nihil aliud
mihi est propositum, quam ut hisce concentibus, aliquod in terris, si fieri possit, caelestis sym-
phoniae paradigma audientibus proponam. Et quoniam opus hoc superioribus quidem mensi-
bus ab hac regia aula Venetias ut illic typis mandaretur, transmisi: veritas ne ab aliquo mei no-
minis aemulo interceptum incohatum ve fuerit; excudendum curet, & sibi adscribat; ego vero
labore simul & honore defrauder: omnibus hic testatum fuisse autorem praecipuum esse domi-
num Antonium Mogaverum musicae capelle regalis S. R. Catholicaeque Maiestatis satis cogni-
tum, operae pretium esse duxi.Vale, et diu vale. Matriti.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 127

Tabella A:
Lamentazioni e responsori editi tra il 1561 e il 1602,
citati nel corso dell’articolo
GIOVANNI CONTINO, Threni Hieremiae cum reliquis ad hebdomadae s.ctae officium pertinentibus, Ve-
nezia, Girolamo Scotto, 1561.
GIOVANNI NASCO, Lamentationi a voce pari […] a quatro voci con doi Passij il Benedictus et le sue
antiphone, Venezia, Antonio Gardano, 1561.
PAOLO FERRARESE, Passiones, lamentationes, responsoria, Benedictus, Miserere, multaque alia devo-
tissima cantica ad officium hebdomadae sanctae pertinentia d. Pauli Ferrariensis monachi divi Be-
nedicti, congregationis Cassinensis, Venezia, Girolamo Scotto, 1565.
PAOLO ISNARDI, Lamentationes Hieremiae prophetae, una cum psalmis Benedictus et Miserere: cum
quinque vocibus, Venezia, Figli di Antonio Gardano, 1572.
ALESSANDRO ROMANO, Lamentationi a cinque a voci pari […], Libro primo, Venezia, erede di
Scotto, 1582.
MICHELE VAROTO, Lamentationes Hieremiae prophetae […] tum viva voce tum omnis generis instru-
mentis aptae concinendae cum quinque et octo vocibus, Milano, Eredi Francesco e Simon
Tini, 1587.
ORAZIO VECCHI, Lamentationes cum quattuor paribus vocibus, Venezia, Antonio Gardano, 1587.

MARCANTONIO INGEGNERI, Lamentationes Hieremiae et alia […] quatuor vocibus ijsq. paribus, Ve-
nezia, Ricciardo Amadino, 1588.
GIOSEFFO GUAMI, Lamentationes Hieremiae prophetae una cum Benedictus, et Miserere sex vocum,
Venezia, Giacomo Vincenti, 1588.
VITTORIO ORFINO, Musica nuova. Lamentazioni a cinque voci, libro primo, Ferrara, Vincenzo Gal-
dura, 1589.
FABRIZIO DENTICE, Lamentazioni a cinque voci non più stampate. Aggiuntovi li responsori, antipho-
ne, Benedictus et Miserere, Milano, Eredi di Francesco e Simon Tini, 1593.
PAOLO MAGRI, Lamentationes Jeremiae prophetae […] quae quinis concinuntur vocibus, duo tamen
adijciuntur Psalmi Benedictus et Miserere cum himo ad crucem septem, octo, novem, decem ac
tredecim etiam vocibus concinendi, Venezia, Ricciardo Amadino, 1597.
TIBURZIO MASSAINO, Threnos Jeremiae prophetae in maiori hebdomada decantandas, quinque vocibus,
Venezia, Ricciardo Amadino, 1599.
ANTONIO BONAVITA, Hieremiae Lamentationes magnam in omnium animis pietatem et religionem in
deum excitantes: tribus sacro sanctae hebdomadae diebus partim quatuor partim quinque et iis
paribus vocibus per quam flebiliter decantandae, Venezia, Girolamo Scotto, 1600.
PIETRO AMICO GIACOBETTI, Lamentationes cum omnibus responsorijs in triduo hebdomadae sanctae
nec non passiones in missis dominicae palmarum, et parasceves, quinis vocibus concinendae, Ve-
nezia, Giacomo Vincenti, 1601.
MATTEO ASOLA, Lamentationes Ieremiae Prophetae quae in matutinis feriae quintae, sextae, & sabba-
thi maioris hebdomadae concinuntur, nec non et Zachariae canticum, B.V. Mariae planctus senis
vocibus, Venezia, Ricciardo Amadino, 1602.
128 RODOLFO BARONCINI

SERAFINO CANTONI, Officium hebdomandae sanctae. quinque vocibus decantandum, Milano, Agosti-
no Tradate, 1603.
Tabella B:
Lamentazioni e responsori editi tra il 1610 e il 1630
LODOVICO VIADANA, Lamentationes Hieremiae prophetae […] quatuor paribus vocibus, Venezia,
Giacomo Vincenti, 1610.
GIOVANNI CROCE, Nove lamentationi per la settimana santa a quattro voci, Venezia, Giacomo
Vincenti, 1610.
CARLO GESUALDO, Responsoria et alia ad officium hebdomadae sanctae: sex vocibus, Napoli, Gio-
vanni Giacomo Carlino, 1611.
OTTAVIO VERNIZZI, Responsoria hebdomadae sanctae, Venezia, 1612.

RUGGERO ARGILLIANO, Responsoria hebdomadae sanctae, psalmi, Benedictus et Miserere, una cum
missae, ac vesperis sabbati sancti, in octo vocum concentum redacta, simulque basso generali pro
organo a Rogerio Argilliano de Castro Novo Carfigiano partim composti, Venezia, Giacomo
Vincenti, 1612.
GIOVANNI FRANCESCO CAPELLO, Lamentationi, Benedictus e Miserere da cantarsi il mercordì, giovedì,
e venerdì santo di sera a matutino, concertate a cinque voci et istromenti a beneplacito, Verona,
Angelo Tamo, 1612.
ANTONIO BURLINI, Lamentationi per la settimana santa a quattro voci con un Benedictus a cinque e
due Miserere a due chori il tutto concertato alla moderna co’l basso continuo per il clavicembalo o
spinetta, aggiuntovi una parte per un violino, & il modo di concertarle che è notato nel basso con-
tinuo & in detta parte, Venezia, Giacomo Vincenti, 1614.
VALERIO BONA, Lamentationi della settimana santa con i Benedictus & Miserere per ciascun giorno
[…] commode per le semplici voci & per li istromenti con il basso continuo per il clavicembalo
concertate a doi chori uguali, Venezia, Giacomo Vincenti, 1616.
GUGLIELMO MINISCALCHI, Il salmo Miserere mei Deus concertato a tre voci con sinfonie per l’esposizio-
ne del sant. sacramento et infine doi motetti a 2 voci, Venezia, Bartolomeo Magni, 1622.
ANTONIO MOGAVERO, Partitura Lamentationum Jeremiae prophetae in maiori hebdomada, pro gravi
cimbalo modulando, cum sex vocibus […] canticum vero Zacchariae et Miserere cum octo vocibus,
Venezia, Alessandro Vincenti, 1623.
ANDREA ANGLESIO, Responsori della settimana santa con il passio nella domenica delle Palme a 4 voci
con falsi bordoni a 4 et a 8 per il Miserere et Benedictus. Con il basso continuo, opera terza […]
Venezia, Bartolomeo Magni, 1623.
FRANCESCO MILLEVILLE, Pompe funebri nel mortorio di Christo, responsorij delli matutini la sera nella
settimana santa, quali possono anco servire per motetti in occasione di quaranta hore a 2. 3. e 4.
voci pari, in concerto co’l basso continuo per lo clavicembalo, tiorba o simil’instromento, op. XIIII,
Venezia, Alessandro Vincenti, 1624.
GIOVANNI BATTISTA ROSSI, Threni Ieremiae prophetae super voces gregorianas et Miserere, cum una
voce acuta, vel gravi ad beneplacitum, cymbalis, vel alijs instrumentis concinendi, R. P. D. Io.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 129

Baptista de Rubeis clerico genuense auctore congregationis Somaschae, Secunda editio, Venezia,
Bartolomeo Magni, 1628.
MARCO DA GAGLIANO, Responsoria maioris hebdomadae quatuor paribus vocibus decantanda Marci a
Gagliano musice serenissimus magni Haetruriae ducis praefecti, Venezia, Bartolomeo Magni,
1630.

Tabella C:
Distribuzione dell’organico nelle Lamentationi, Benedictus e Miserere da cantarsi il
mercordì, giovedì, e venerdì santo di sera a matutino, concertate a cinque voci et
istromenti a beneplacito (Verona, Angelo Tamo, 1612) di Giovanni Francesco Capello.
Legenda:
Aleph, Beth, … = episodi con funzione di refrain
TUTTI = sezioni accompagnate dagli strumenti
* = iniziali con uguale materiale tematico
§ = «Tutti» con uguale materiale tematico

Mercoledì Santo Mercoledì Santo


Prima lezione Seconda lezione

Incipit lamentatio TUTTI

Aleph Alto solo* Vau Basso e VIOLE


Quomodo Basso solo Et egressus Alto e CHITARRONI
Beth Alto con VIOLE* Heth Basso solo
Plorans ploravi Tenore solo Peccatum peccavit Quinto con VIOLE
Daleth Alto con CHITARRONI* Teht Basso solo
Via Sion lugent Soprano solo Sordes eius Tenore e CHITARRONI
Jerusalem TUTTI § Jerusalem TUTTI §

Mercoledì Santo Giovedì Santo


Terza lezione Prima lezione

Jod Soprano con VIOLE e De lament. TUTTI


CHITARRONI

Manum sua Tenore e Alto Heth Alto solo*


Caph Basso con VIOLE e Cogitavit Basso solo
CHITARRONI
130 RODOLFO BARONCINI

Omnis populus Basso e Quinto Teth Alto con VIOLE*


Lamed Alto con VIOLE e Sederunt Soprano solo
CHITARRONI

O vos omnes Tenore e basso Caph Alto e CHITARRONI*


Jerusalem TUTTI§ Defecerunt Tenore solo
Jerusalem TUTTI§

Giovedì Santo Venerdì Santo


Terza lezione Oratio

Aleph Canto quinto e Incipit oratio Tenore solo


CHITARRONI*

Ego vir Basso solo RITORNELLO VIOLE e CHITARRONI


Aleph Alto con VIOLE* Recordare Domine Tenore solo
Me minavit Tenore solo RITORNELLO viole
Beth Basso con VIOLE e Haereditas nostra Tenore solo
CHITARRONI*

Vetustam Alto solo RITORNELLO chitarroni


Beth Tenore e basso* Pupilli facti sumus Tenore solo
Aedificavit Soprano solo RITORNELLO viole
Ghimel Alto e tenore* Aquam nostram Tenore solo
Sed et eum Quinto solo RITORNELLO chitarroni
Jerusalem TUTTI§ Jerusalem Tenore solo
RITORNELLO VIOLE e CHITARRONI
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 131

Tabella D:
Musiche per l’ufficio delle tenebre (secoli XVIII e XIX)

Autore Titolo Sec. Organico Ubicazione


Anonimo Lament. giov. santo XVII A vla1 vla2 vla3 bc I-Bof, ms 70B
Anonimo Lament. sab. santo XVII B vlne bc I-Bof, ms 70H
Anonimo Resp. sett. santa XVIII T B vla1 vla2 cb Casalmaggiore, duo-
mo
Anonimo Resp. sett. santa XVIII S A T B vla1 vla2 bc CH-BM ms 7783
Anonimo Resp. ven. santo XVIII S A T B vl1 vl2 vla e I-OS ms B4482
cembalo
G. G. Brunetti Lament. ven. santo XVIII S e cembalo I-Rostirolla ms942
G. G. Brunetti Lament. giov. santo XVIII S A vla1 vla2 b I-VLevi CF. B. 12
G. G. Brunetti Lament. mer. santo XVIII S vla1 vla2 fl dolce1 fl I-VLevi CF. B. 12
dolce2 b -
B. Felici Resp. sett. santa XVIII 6 voci vlc1 vlc2 I-Fa 234-2320
B. Furlanetto Miserere 1784 S1 S2 A B vl1 vl2 vla1 I-Vc busta 29.1
vla2 bc
— L. Leo Resp. sett. santa XVIII S A T B vlc cb I-Nc mus rel 1709
D. Lodi Lamentazioni XVIII T vla1 vla2 b I-Bc ms GG 111
T. Lusignoli Resp. sett. santa XVIII T1 T2 vla1 vla2 fag bc I-VId XLIV. 2
A. Marcori Lamentazione I XVIII B vla1 vla2 b I-PAc Sanv. C. 254
A. Marcori Lamentazione II XVIII B vla1 vla2 b I-PAc Sanv. 256-7
S. Mattei Due responsori 1784 2T B vla1 vla2 fl1 fl2 I-Bsf Mattei II-10
bc
L.A. Predieri Lamentazioni XVIII S T e instrumenti I-Bf fondo ant.405
P. Sarmiento Lezioni 3 giov. santo XVIII S A vla1 vla2 b I-Mc Noseda Q37.2
G. Sarti Miserere XVIII S A T B vla1 vla2 vla3 I-Bsf M.V. XXI. 2
vlc b
F.Vallotti Lezione III ven. S 1737 B vl vla1 vla2 bc I-Pca ex A-V-446
N. Zingarelli Lament. III Geremia XVIII 3T B viole e basso I-Nc mus. rel. 4491
A. Toscani Resp. sett. santa XVIII S A T B fl1 fl2 vla1 I-PAc Sanv. C. 601
vla2 cembalo
G Gherardeschi Resp. a 3 voci 1824 S A T B viole I-Bf MSG Gherar. 1
132 RODOLFO BARONCINI

Autore Titolo Sec. Organico Ubicazione


O. Guidotti Resp. sett. santa XIX S A T B vla1 vla2 vlc I-Rc, A-ms-360
cb harmonium
A. Maiani Benedictus XIX S A T B vla1 vla2 vlc I-Pca ex G II 2837
cb
L. Pratesi Resp. gior. I XIX T1 T2 B coro vla1 I-LIi ms 61
vla2 vlc cb
T. Mabellini Resp. e Benedictus XIX S S T B vla1 vla2 vlc1 Firenze, Guidi
vlc2 cb1 cb2
S. Mercadante Resp. merc. santo XIX S A T B 2vle1 2vle2 I-Nc 24. 1. 8 (7)
2vle3 vlc cb

Rodolfo Baroncini si è laureato all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulle ori-
gini e lo sviluppo del linguaggio violinistico in Italia. In seguito ha continuato le sue ricerche
sugli inizi della storia del violino e sulla prassi esecutiva del Cinquecento e del Seicento. A
questi temi ha dedicato numerosi articoli apparsi in Recercare, Revista de musicologia e
Studi musicali. Sta preparando una monografia su Giovanni Gabrieli. Ha insegnato al-
l’Università di Parma (1994–2001) e attualmente è professore di storia della musica presso il
Conservatorio di Adria.
L’UFFICIO DELLE TENEBRE: PRATICHE SONORE DELLA SETTIMANA SANTA 133

SUMMARY

The fact that from the fifteenth-century on, the widespread use of musical in-
struments in some Northern Italian ecclesiastical chapels rendered liturgical cele-
brations more magnificent and seductive has been generally acknowledged by con-
temporary musicological historiography, although this practice has not been suffi-
ciently explored in all its complexity.
Less well known is that at the close of the sixteenth-century, such practices be-
came so pervasive that musical instruments were included even in the liturgy of
the Holy Week. More precisely, this usage refers to the office of the Matins, and of
the Lauds for Thursday, Friday, and Saturday in Holy Week, more commonly called
Tenebrae for their mournful and penitential tone, which had up to then been free
of the presence of any type of musical instrument, including that of the organ.
Unpublished documents from a considerable number of northern Italian basili-
cas and cathedrals show that from 1580-90, the performance of the Tenebrae gradu-
ally became more elaborate, adding a certain kind of instrumental coloring; the
only permitted instruments were the “viole” (that is, instruments from the violin
or viola da gamba families with a middle or low register) and, as a substitute for
the organ, spinets, harpsichords and chitarrone.
If this particular musical practice can be read as an escamotage — a way of cir-
cumventing a prohibition for those liturgies with regard to instruments more cus-
tomarily used (such as cornetti, trombones and, of course, the organ) —, it is not
unreasonable to discern symbolic elements representing the figure of Christ that
are connected to traditional devotional music tracing back to at least the late Mid-
dle Ages. In any case, the use of viols and of a specific musical register in the tridu-
um of the Holy Week — a practice most widely found in the Po Valley (Bergamo,
Brescia, Padua, Venice, etc.) — is also confirmed in the collections of lamentations
and responsories printed from the early seventeenth-century on. The specific in-
strumental combinations called for in the lamentations of G.F. Capello (1612), V.
Bona (1616), A. Burlini (1614), and A. Mogavero (1623) seem to be a later demon-
stration of a practice that at the time of publication of Capello’s work, was already
twenty years old. This fact could explain the apparently uncommon characteristics
of the aforementioned collections and once again, demonstrate how aspects of cer-
tain compositions generally cited as innovative were in reality the result of earlier
well-established performance practices.
134 RODOLFO BARONCINI

Rodolfo Baroncini graduated from the Università La Sapienza of Rome with a thesis on
the development of the idiomatic repertory for the violin in Italy. He has continued his re-
search on the early history of the violin and its performance in the sixteenth and seventeenth
centuries. He has written a number of articles on this subject for journals such as Recercare,
Revista de musicologia and Studi musicali. He is currently preparing a monograph on
Giovanni Gabrieli. He has taught at the University of Parma (1994–2001) and is currently
professor of music history at the Conservatory of Adria.

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