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Roberto PIA
Thesis ad Doctoratum
Nelle note abbiamo segnalato e spiegato tutti i casi in cui ci siamo discostati
dall’edizione critica e abbiamo emendato gli errori in essa rilevati.
I testi latini qui riportati sono tratti nel loro formato elettronico dal «Thesaurus Musi-
carum Latinarum» del Center for the History of Music Theory and Literature
dell’Indiana University (www.music.indiana.edu), diretto da Thomas J. Mathiesen.
© Roberto Pia
RINGRAZIAMENTI
È difficile in poche righe ricordare tutte le persone che, a vario titolo, hanno
reso possibile la realizzazione di questo lavoro. Per questo motivo ringrazio tutti co-
loro che in questi anni mi hanno animato, segnalando testi e offrendo suggerimenti.
mi sono state vicine negli anni di studio e di ricerca: i professori Luis Miguel Pino
Campos, Angelo Rusconi e Nicola Tangari. Ricordo inoltre il Preside del Pontificio
mia madre Adriana, che non solo mi ha trasmesso l’amore per il latino, la filologia e
lungo e tortuoso percorso. A lei, a mio padre Silvio, che con il suo straordinario ca-
rattere ha fornito la tranquillità per arrivare alla fine, a Elena, mia sposa diletta, che
con me ha vissuto in prima persona tutte le vicende che si sono succedute in questi
R. P.
… adhuc ex parte et in enigmate cer-
nimus, haec etiam disciplina haud ad
plenum habet rationem in hac vita pe-
netrabilem.
Musica enchiriadis, XIX
INDICE
Introduzione
1. I titoli I
2. Attribuzione dell’opera e sua datazione VIII
3. Le edizioni e i codici XIX
4. Le fonti letterarie XXX
5. Gli insegnamenti musicali dei trattati Enchiriadis XXXVIII
5.1. Le notazioni e la scala XXXVIII
5.2. La teoria modale XLVII
5.3. Le consonanze (symphoniae) L
5.4. L’organum LV
5.5. Organizzazione del tempo e durata dei suoni LVIII
6. Nota alla traduzione LXI
Bibliografia LXIII
Traduzione e commento
MUSICA ENCHIRIADIS 1
I. Incipit liber enchiriadis de musica I. Comincia il manuale di musica 1
II. De ptongorum figuris et quare sint ogdecim II. I simboli degli phthongi e perché sono
diciotto 4
III. Unde dicatur tetrachordum finalium et III. Origine della denominazione del tetracordo
ceterorum dei finales e altri argomenti 5
IV. Quare unum solum tetrachordum sub fina- IV. Esiste un solo tetracordo al di sotto dei
libus sit et duo supra finales e due al di sopra 5
V. Quid distet inter autentos et minores tonos V. Differenza tra i modi autentici e i secondari 6
VI. De proprietate sonorum et quotis locis ab VI. La proprietà dei suoni e quanto distano l’uno
invicem distent eiusdem qualitatis soni dall’altro i suoni della medesima qualità 7
VII. Descriptiunculae de sonorum proprietatibus VII. Brevi descrizioni delle proprietà dei suoni a
ad exercendum scopo d’esercizio 9
VIII. Quomodo ex quattuor sonorum vi omnes VIII. Tutti i modi sono prodotti dalla peculiarità
toni producantur dei quattro suoni 11
IX. Quid sit inter ptongos et sonos, inter tonos et IX. Differenza tra phthongi e soni, tra toni e
epogdoos, quid etiam toni et modi sive tropi, epogdoi. i toni e i modi o tropi e anche le
particulae quoque, quid diastema et sistema particulae. Diastema e sistema 17
X. De symphoniis X. Le consonanze 20
XI. Quomodo ex simplicibus symphoniis aliae XI. Dalle consonanze semplici se ne compon-
componantur gono altre 25
XII. Item de eisdem symphoniis XII. Ancora sulle medesime consonanze 29
XIII. De proprietate symphoniarum XIII. Le proprietà delle consonanze 32
XIV. De auctiore diaphonia per diatessaron XIV. La diafonia in diatessaron raddoppiata e
eiusque descriptio relativa spiegazione 34
XV. Diaphoniae auctioris descriptio per diapen- XV. Spiegazione della diafonia al diapente
te raddoppiata 36
XVI. Quid de his Ptolomeum sensisse Boetius XVI. Come Boezio riporta la posizione di Tolo-
narrat meo su questi argomenti 38
XVII. [De ordine consonantiarum, consonantia et XVII. [L’ordine delle consonanze, consonanza e
inconsonantia] dissonanza] 41
XVIII. Quod modo altiora modo summissiora loca XVIII. L’organum procede ora verso ambiti più
organum petat acuti, ora verso ambiti più gravi 43
XIX. Quod in aliquibus rationis huius profundi- XIX. Gli aspetti più profondi di questa disciplina
tas minus sit penetrabilis restano inaccessibili 49
SCOLICA ENCHIRIADIS 52
I. Incipit scolica enchiriadis de musica I. Comincia il manuale scolastico sulla musica 52
II. Incipit pars secunda de symphoniis II. Comincia la seconda parte sulle consonanze 79
III. Incipit pars tertia III. Comincia la terza parte 101
SIGLE
CAO Hesbert, René Jean [i primi due volumi con la collaborazione di R. Pre-
vost], Corpus Antiphonalium Officii, 6 voll., Roma, Herder, 1963-1979
(Rerum Ecclesiasticarum Documenta, Series Maior, Fontes 7-12)
GROVE1 The New Grove dictionary of music and musicians, a cura di S. Sadie, 20
voll., London, Macmillian, 1980
GROVE2 The New Grove dictionary of music and musicians, a cura di S. Sadie, 29
voll., London, Macmillian, 20022
1. I TITOLI
dall’aggettivo greco ™gceir…dioj -on, che si riferisce a tutto ciò che è portato o da
portarsi in mano e, nell’accezione di ‘manuale’ o ‘libro portatile’, era già stato usato
manuale di questo trattato afferma che «il termine corretto enchiridion, calco
evidente del greco ™gceir…dion, definito come brevis libellus o liber manualis (…)
non si trova in nessun codice. Al suo posto e col significato di “manuale” troviamo
invece enchiriadis, termine di origine ignota, non attestato sui lessici» del latino
classico e del latino medievale2 «tanto che, per quanto riguarda il rapporto
potremmo anche pensare che il termine enchiridion non sia mai stato usato e che già
del resto non solo era ben noto nel medioevo in campo musicale, ma anzi si affermò
1
Cfr. Lehmann, Mittelalterliche Büchertitel, 16 sgg.
2
Cfr. Lexicon totius Latinitatis, II; Thesaurus linguae latinae, V 2; Du Cange, Glossarium mediae et
infimae latinitatis, III; Souter, A Glossary of Later Latin to 600 A.D.; Habel - Gröbel,
Mittellateinisches Glossar; Arnaldi - Smiraglia, Latinitatis Italicae Medii Aevi Lexicon, I; Niermeyer,
Mediae Latinitatis Lexicon Minus.
3
Fortunaziano, Ars rhetorica, pp. 9-10.
I
Venendo specificamente ai nostri trattati, in quattro manoscritti del sec. X-XI
volume del RISM (Répertoire International des Sources Musicales), cataloga i codici
4
I manoscritti sono elencati nel cap. 3 (cfr. Sigla codicum pp. XXII-XXVII).
5
«Enchirias normam statuit, cui limmata quartis
Sunt spaciis in parte gravi, praeeunte tonorum
Sorte trium; cum fit quater hic diapenticus ordo,
Qui quadriformis habet quintis regionibus aequum,
Septima post decimam complet hoc chorda, sequenti
Nexa tono. sic ter senas notat arte caracter
Dans tetrachorda quater, quae a se discrimine distant» (MSE, p. 2).
6
«Cap. CIX. Enchiriades, sub persona discipuli interrogantis et magistri respondentis, scripsit
dialogum De ratione musicae, et in tribus libris multiformes musicae regulas explicuit». A questa
teoria fa cenno anche Morin, L’Auteur, p. 345.
7
Fortunaziano, Ars rhetorica, p. 11.
II
Robert Browning, che si è dedicato allo studio della declinazione dei nomi
greci nel Medioevo, rileva la perdita della distinzione delle desinenze e osserva che
nei nomi plurali non si evidenzia più il genere e che, anzi, le forme singolari e plurali
in questo periodo sono spesso uguali8. Probabilmente nella cultura carolingia esisteva
una certa ammirazione per la terminologia greca, ma il suo uso era alquanto
approssimativo.
tradotta «of the Manuals»9, mentre Erickson considera invece enchiriadis come
8
Browning, Medieval and modern greek, p. 65.
9
Cfr. Phillips, Sources, p. 380.
10
Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 14, p. xxiii. Il termine Egceiri£s
appare anche nel margine inferiore del manoscritto M + (cfr. MSE, apparato critico, p. 60).
11
«Fortasse recte: adiectivum Graecum ™gceiridièdhj, i.e. enchiridialis latine» («Forse, per
l’esattezza, l’aggettivo in greco suona encheiridiốdes e in latino enchiridialis»), cfr. MSE, p. 60.
12
Fortunaziano, ibid.
III
Il termine enchiriadis, in conclusione, si è affermato in campo musicale
grazie ai due nostri trattati che avevano la funzione essenziale di libri manuales, cioè
guide per offrire ai cantori informazioni sui fondamenti teorici della musica, oltre che
sarà usato anche da noi nel corso della trattazione, con la consapevolezza che esso
mentre negli altri codici il manuale è trasmesso con incipit diversi13, tra i quali
Schmid sceglie, per aprire la sua edizione, Incipit liber enchiriadis de musica.
manoscritti con alcune varianti, che hanno differenziato le due principali edizioni del
testo. Gerbert presenta infatti il dialogo come Scholia enchiriadis, mentre Schmid
della sua edizione Schmid riporta anche le differenti grafie Scholia14, oltreché
Scola15, citata solamente in due codici (A, K), ed elenca il folto gruppo di manoscritti
che completano il titolo con l’aggiunta di ‘de musica’ o ‘de arte musica’, a cui egli si
è attenuto.
13
Cfr. MSE, apparato critico, p. 3.
14
Cfr. MSE, nota 0, p. 60: «Scholia Ottonis» (G+) e «Scholia Enchiriadis de Arte Musica» (Ad +).
15
Phillips, Sources, p. 8, fa presente che il termine Scola si trova anche nei dialoghi più antichi (cfr.
Alcuino, Grammatica in PL, CI, col. 854B) in riferimento forse all’aula in cui si tenevano i dialoghi
tra il maestro e il discepolo.
IV
Il termine è stato fatto derivare dal greco scÒlion, che compare già nelle
glossario del sec. IX, cioè Scolica graecarum glossarium, consistente in note o
che esistono tre generi di opere scritte (opusculorum), definisce il primo affermando
che «Primum genus excerpta sunt, quae Graece scholia nuncupantur; in quibus ea
quae videntur obscura vel difficilia summatim ac breviter praestinguntur» («Il primo
genere è quello degli ‘estratti’, che in greco sono chiamati scholia, in cui si
Il legame tra la Scolica enchiriadis e le definizioni fin qui citate è molto labile
definizione riportata da Isidoro perché, se è vero che chiarisce molte parti della
chiarisce e amplia il testo precedente. Anzi, pur essendo legata alla Musica
enchiriadis, dalla quale raramente si trova separata nei manoscritti, deve essere
16
Scolica dicuntur causae summatim excerptae et propriae (Si chiamano ‘scoli’ gli estratti citati
brevemente e in modo appropriato).
17
Etymologiae, VI, VIII 1.
V
La Phillips, invece – che considera il dialogo come un insieme di citazioni e
stessa Musica – deduce che Scolica enchiriadis sia un plurale con il significato di
«Excerpts of the Manuals», ossia ‘estratti di manuali’, il titolo secondo lei più
appropriato18.
La derivazione più diretta ed evidente del titolo si rileva invece dal trattato di
più recenti, questo legame è stato messo in evidenza anche dalla Phillips20. Il testo di
enchiriadis Fortunatiani21.
Il titolo Scolica, adottato da Schmid per la sua edizione, appare quindi il più
appropriato, soprattutto alla luce dell’esegesi del manoscritto di Milano (In) che
precisa «De scolica, vel scolastica que exercitium interpretatur quod fit inter
scolares» (Scolica, cioè scolastica, che è considerata come l’esercizio che si fa tra gli
enchiriadis de arte musica» è riportata la glossa «id est exercitiaque fiant inter
scolasticos» (cioè gli esercizi che devono essere eseguiti dagli studenti).
18
Cfr. Phillips, Sources, p. 377 e sgg.
19
Spitta, Die Musica enchiriadis, p. 467.
20
Phillips, Sources, pp. 381-4.
21
Cfr. Fortunaziano, Ars rhetorica, pp. 9-10.
22
Ars rethorica: «Quid est rhetorica? Bene dicendi scientia» («Cos’è la retorica? La scienza di parlar
bene»). Scolica enchiriadis: «Musica quid est? Bene modulandi scientia» («Cos’è la musica? La
scienza di cantar bene»).
VI
Il manuale viene più volte indicato come Scholia (scolia, scholica o scolica)
enchiriadis e ciò, «aggiunto al fatto che spesso negli incipit troviamo invece del
normale singolare (incipit scolica enchiriadis) il verbo alla terza persona plurale
(incipiunt scolica enchiriadis), ha dato adito a quello che (...) sembra essere un
considerata la totale assenza nel testo di elementi che facciano pensare a scholia»23.
“Manuale scolastico”.
23
Fortunaziano, Ars rethorica., pp. 12-3.
24
Senza entrare nella discussione, Susan Boynton, Orpheus myth, p. 62, usa, in riferimento alla
Scolica, il verbo alla terza persona singolare: «Scolica Enchiriadis begins».
VII
2. ATTRIBUZIONE DELL’OPERA E SUA DATAZIONE.
Non c’è nel testo nessuna esplicita dichiarazione del nome dell’autore e le
ipotesi si sono perciò basate sulle dediche e sul nome che appare nel titolo o negli
Tra i nomi ripetuti nelle fonti emergono Hucbald, Otger con le sue varianti
Hotger e Notger25, Odo con le sue varianti Odon, Otho, Obdonis, Oddonis e Ottonis,
Gembloux († 1112) cita gli autori di alcuni trattati musicali, le cui caratteristiche
per secoli a Hucbald di St. Amand e sotto questo nome sono state pubblicate da
Martin Gerbert nella sua edizione del 1784, intitolata appunto Hugbaldi Monachi
25
Questa forma deriva probabilmente dalla lettura errata della lettera H (cfr. Phillips, Sources, nota 8,
p. 5).
26
Hermannus Contractus, Musica, p. 23.
27
Sigebert, Catalogus de viris illustribus, pp. 82-3.
28
Cfr. GS I, p. 152.
VIII
manoscritti da lui esaminati, solo due facevano menzione di Hucbald. Questa
attribuzione fu comunque ritenuta valida fin verso la fine dell’800, quando cioè, nel
1884, lo studioso tedesco Hans Müller, dopo aver condotto ricerche nelle principali
di Odon o di Otger (Notger). Dopo aver cercato di legare a reali figure storiche i
nomi risultanti dai manoscritti, Hans Müller giunse alla conclusione che, senza
anonimo30.
Valenciennes 337 che riportava il nome di un abate Otger, dopo lunghe dissertazioni
identificò questo abate con Théodger, vescovo di Metz († 1120)31. Questa tesi fu
manoscritto di Valenciennes non è l’unico a indicare un abate Otger come autore dei
trattati Enchiriadis32.
29
Cfr. Müller, Hucbalds. Attualmente sono considerati anonimi o di discussa attribuzione, anche se
provenienti da St. Amand o da centri posti sotto la sua influenza culturale, i trattati un tempo attribuiti
a Hucbald: Cita et vera divisio monochordi, Dimensio monochordi, Alia musica, De mensuris
organicarum fistularum, De cymbalorum ponderibus, De quinque symphoniis, Commemoratio brevis
de tonis et psalmis modulandis, Ordo tonorum e Super unum concavum lignum. Più tardo è un altro
trattato pseudo-Hucbaldiano, De organo.
30
Cfr. Müller, Hucbalds, p. 98.
31
Cfr. Nisard, Archéologie, pp. 178-98.
32
Cfr. Morin, L’Auteur, p. 344. Non si può dimenticare che la figura storica identificata da Nisard e
da Kunk, risulta posteriore al manoscritto di Valencienne (sec. X).
IX
Padre E. Soullier, in una lettera al direttore della rivista Musica sacra di
Germain Morin, partendo dagli studi di Müller e degli altri che si erano
dei manoscritti e incentrò le sue ricerche sui nomi di Hucbald, dell’abate Odo e
dell’abate Odger, dedicando a ognuno di essi un ampio capitolo del suo articolo del
189133.
Siccome un solo codice (Na), sbiadito e interpolato, della fine del sec. XI e
una copia incompleta dello stesso manoscritto (Qi), risalente al sec. XV, riportavano
Morin passò quindi a esaminare i codici in cui appariva il nome di Odo con le
sue varianti di Otho, Odon, Obdonis, Othonis, Ottonis34. In alcuni manoscritti, nessuno
dei quali anteriore al sec. XV, Odo era identificato in Oddone di Cluny. Anche Guido
Così, abbandonato anche il nome di Odo senza aver tratto conclusioni valide,
33
Morin, L’Auteur, pp. 345-57.
34
Cfr. Morin, L’Auteur, pp. 348-9.
35
Guido d’Arezzo, Le opere, p. 152.
36
Cfr. Willhelmi Hirsaugensis Musica, in Corpus Scriptorum de Musica, IV, p. 45.
X
Le ricerche, perciò, si rivolsero a quei manoscritti che riportavano questo nome37.
Convinto che tutte le forme in cui il nome era presente nei manoscritti non fossero
nomi i Otger e Odon, Morin individuò in Otgarius, primo abate del monastero di
un ‘abate Hoger’ (e non ‘Noger’), unita alla presentazione del catalogo generale40
che faceva risalire il manoscritto di Chartres al sec. IX-X, rese inaccettabile per
Morin la precedente attribuzione. Nel suo noto articolo Un essai d’autocritique del
1895, scusandosi per la sua scarsa esperienza nell’arte della critica – senza però
personaggio del manoscritto di St. Amand con Hoger, abate del celebre monastero di
Benché Morin si sia tanto adoperato per l’attribuzione dei trattati Enchiriadis,
Waesberghe si è posto due diversi quesiti e si è chiesto, cioè, chi fosse l’Hogerus il
cui nome appare nel manoscritto e se questo Hogerus fosse veramente l’autore
37
Morin, op. cit., p. 352.
38
Anche Mabillon, Annales, formula questa ipotesi, basandosi sulle firme di 4 atti di donazione al
monastero di Tomier.
39
Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques de France. Départments, Tome
XXV, Potiers-Valenciennes, Paris, 1894. L’ascrizione al sec. IX del manoscritto di Valenciennes (A) è
attualmente considerata inesatta e, più correttamente, deve essere spostata al sec. X.
40
Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques de France. Départments, Tome XI,
Chartres, Paris, 1889. Il manoscritto di Chartres (Ca), andato distrutto nel 1944, è attualmente ascritto
al sec. XI.
41
Morin, Un essai, p. 394.
XI
Boecii excerptum et a venerabili abbate Otgero elaboratum è, secondo il
dell’abbazia che voleva celebrare l’importanza della figura del suo abate. L’autore
po’ forzata: «lo scriba di St. Amand, che ha scritto il titolo suddetto mentre il conte
Otger era ancora in vita, era convinto che Otgerus, abate e conte, fosse l’autore, e
l’attribuzione dell’opera a Otgerus, conte di Laon e abate di St. Amand fra il 920-24
e il 952 ca.
Tre anni più tardi Ewald Jammers ha ripreso in considerazione, pur con molte
notevoli differenze come “errori” nel primo trattato e “rettifiche” nel secondo, che
storicamente inconsistente dalla Phillips, la quale è giunta alla conclusione che tutte
le varie attribuzioni posano su basi poco solide e che i due manuali non solo devono
essere considerati anonimi, ma forse non sono neppure prodotti dalla stessa mano e,
42
Cfr. Smits van Waesberghe, Ars musica, pp. 98-9.
43
Jammers, Anfänge, pp. 77-9.
44
Cfr. Phillips, Sources, pp. 6-7.
XII
Anche Raymond Erickson nell’introduzione alla sua traduzione non ha speso
troppe parole sull’attribuzione dei trattati e ha assunto come propria la tesi della
Phillips, sintetizzandone gli esempi con cui ella dimostra che i due manuali
presentano differenze nell’uso dei termini e nello stile, inducendo a pensare che siano
in un articolo pubblicato nel 1997 – convinto che una ricerca più precisa e
approfondita delle fonti potesse condurre alla scoperta dell’autore dei trattati
Enchiriadis e partendo dai codici di cui già gli altri studiosi avevano fatto
menzione – ha ritrovato i nomi di Hucbald, Hoger, Noger, Hotger, Otto, Obdo, Oddo,
questa varietà di attribuzioni che hanno in comune poche sillabe, si è trattato del caso
frequente di errata lettura o trasmissione dei nomi, ai quali sono state associate
incontestabile certezza46.
particolarmente nei monasteri della Francia settentrionale cui l’Abbazia di St. Amand
partecipò attivamente.
*
* *
45
Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, p. xxii.
46
Torkewitz, Entstehung, pp. 156-7.
XIII
Pur conoscendo l’ambiente culturale in cui si sono originati, anche la
datazione dei due trattati non ha ancora trovato una sicura soluzione, soprattutto
perché le due opere non ci sono giunte nella loro stesura originale, ma sono
contenute in manoscritti che spaziano dal sec. IX al sec. XV. Il manoscritto più
antico e più vicino all’archetipo (di cui si è persa la traccia), è contenuto nel codice
We, proveniente dall’abbazia di St. Liudger in Werden e risalente alla fine del sec.
IX, che riporta soltanto frammenti della I parte della Scolica enchiriadis. La prima
Nancy Phillips sostiene che «l’analisi dei contenuti dei trattati e delle loro
fonti suggerisce che uno o l’altro o entrambi i trattati potrebbero essere stati scritti
Non è però ipotizzabile per la Musica enchiriadis una data anteriore all’850,
secondo quarto del sec. IX48. Quest’opera, la più complessa e tecnica di tutti i trattati
intelligenza nell’utilizzarla.
di Giovanni Scoto, ritiene che l’Eriugena abbia subito l’influenza del nostro trattato e
ciò gli consente di affermare che la Musica enchiriadis potrebbe essere stata scritta in
Irlanda prima dell’847, se lo Scoto l’avesse letta prima del suo trasferimento in
47
Phillips, Sources, p. 516.
48
Cfr. Duchez, Jean Scot Eriugène, p. 166.
XIV
Francia49. Questa tesi è stata supportata anche da Peter Dronke che fa affidamento su
una serie di paralleli testuali tra i due trattati50. Smits van Waesberghe, invece, nega
cronologica inversa51.
«contiene qualche fuggevole accenno alla pratica musicale del tempo», ma rileva che
quest’opera «tratta tuttavia il fenomeno musicale solo di riflesso, senza mai entrare in
nella parte che riguarda la musica (...) sono un lavoro di pura filologia»52.
uno dei trattati che fanno da contorno al testo principale. «Fin dalla prima lettura
questa opera si rivela come un prodotto assai più tardivo del modello; è scritto
nuova cultura universitaria che, sotto l’influsso della Scolastica, si affacciava sulla
Raymond Erickson, invece, considerando che la fonte più antica (We) riporta
solo frammenti della Scolica, ipotizza addirittura che questa potrebbe essere anteriore
alla Musica, dal momento che la Scolica presenta molti legami con il De institutione
arithmetica di Boezio, trattato che nel sec. IX era più conosciuto di quello relativo
alla musica54. Anche Fritz Reckow considera la Scolica leggermente anteriore alla
49
Cfr. Handschin, Die Musikanschauung, p. 316 e segg.
50
Dronke, Sequence, p. 43.
51
Smits van Waesberghe, Ars musica, nota p. 96.
52
Ferrari Barassi, I modi ecclesiastici, pp. 20-1.
53
Lera, Sorgenti, p. 53.
54
Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, p. xxi.
XV
Musica, in base a considerazioni sulla dottrina polifonica ivi espressa55, ma
l’opinione della Ferrari Barassi è che «la successione cronologica delle due opere sia
quella più ovvia, (...) altrimenti non si spiegherebbe [nella Scolica] la volontà di
serrata e concisa nel primo trattato: quasi che si volesse dare spiegazione più ampia
ed esauriente a una serie di intuizioni balenate alla mente, e dapprima fissate per
È opportuno dedicare una particolare attenzione, per ciò che riguarda sia la
datazione sia la priorità di composizione dei trattati Enchiriadis, agli ultimi due
cap. XIX, contenente il mito di Orfeo, così come la parte conclusiva del capitolo
precedente in cui inizia un discorso chiaramente filosofico e mistico che si estende anche
a tutto il capitolo seguente, sia un’aggiunta posteriore e fa presente che questo capitolo
l’affermazione “Sunt interdum res, quae minime suum sensum aeque huic et illi tono
attribuant, ita ut si transponantur, aut priorem dulcedinem non servent, aut ad sensum
indecentes fiant” […] è in perfetto accordo con la teoria della possibile trasposizione
di una melodia da un tono a un altro, espressa nel capitolo 8º; inoltre il concetto della
misteriosità del rapporto fra parola e musica e fra musica e affetti umani, concetto
palesemente derivato dallo stesso passo di Fulgenzio che tratta il mito di Orfeo ed
Euridice, è già preannunciato nel precedente cap. 18º, nel quale si conclude
55
Reckow, Organum-Begriff, p. 134.
56
Ferrari Barassi, I modi ecclesiastici, p. 36.
57
Handschin, Die Musikanschauung, p. 321, n. 1 e Chartier, Hucbald, p. 100.
XVI
l’esposizione sull’organum alla quarta […]. Si passa quindi, con perfetta
attorno alla metà del sec. IX, non è applicabile al cap. XIX che si può considerare
un’aggiunta posteriore, intesa come prologo della Scolica, introdotta quando, a metà
del sec. X, le due opere cominciarono ad essere copiate insieme negli stessi
explicit alla fine del cap. XVIII, insieme con un incipit per il cap. XIX, identificato
come prologus59 e asserisce che l’unico altro manoscritto che indica il cap. XIX
Erickson si mostra favorevole alla teoria per cui la parte conclusiva del cap.
XVIII sembra adatta a chiudere il discorso della Musica enchiriadis, mentre il cap.
XIX appartiene veramente alla Scolica e la sua errata collocazione dipende forse
Una conferma a questa ipotesi si riscontra alla fine della Musica enchiriadis,
del «praestantissimus auctor Boetius» che «pandit multa musicae rationis miracula
dimostrandoli tutti con chiarezza mediante l’autorità dei numeri). Ciò ci induce a
pensare che il cap. XIX, secondo l’uso tipico dei trattati medievali, potrebbe
58
Ferrari Barassi, op. cit, p. 55-6. Nel testo riportato abbiamo corretto gli errati riferimenti ai capitoli, già
evidenziati dall’autrice in margine alla fotocopia che gentilmente ci ha inviato.
59
Cfr. Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, p. xxvii e MSE, apparato critico p. 56:
«Explicit liber Otgeri de musica. Incipit prologus enchiriadis».
60
Phillips, Source, pp. 9-15 e 511-6.
61
Erickson, Op. cit., p. xxvii.
XVII
costituire il proemio della Scolica enchiriadis, manuale maggiormente orientato
il mito di Orfeo, che sta tra la Musica e la Scolica, è un espediente che tende a ottenere
l’effetto retorico del contrasto tra le conoscenze teoriche e la pratica del canto dei due
trattati. «Siccome la Scolica Enchiriadis inizia con una discussione sulla conoscenza
necessaria per un peritus cantor, il mito di Orfeo può essere un commento sull’utilità
del trattato che include sia la teoria che la pratica del canto»62. Il termine che indica
Orfeo (oreo phone) come optima vox trasporta il mito nel mondo della pratica reale
della musica, ma riflette tuttavia ideali filosofici, più che pratiche esigenze dei cantori.
Anche Bower ritiene che i discorsi filosofici sul mito di Orfeo siano aggiunte posteriori e
conclude che, essendo i trattati nati e diffusi prevalentemente in ambiente monastico, sia
dimostrare che s’impara la musica per praticarla e non per disquisire su aspetti teorici63.
certa per rispondere definitivamente alle tradizionali domande “dove, quando e chi”
due opere, nate espressamente non solo per scopi teorici, ma per insegnare le leggi
della musica ai discepoli cantori dei monasteri, pur nella loro differente impostazione
e atmosfera spirituale, per le novità apportate trascendono i confini per cui sono state
62
Boynton, Orpheus myth, p. 62 (traduzione nostra).
63
Bower, Reflections, p. 35.
XVIII
3. LE EDIZIONI E I CODICI.
collezioni:
cura di Martin Gerbert, 3 voll., St. Blasien, Typis San-Blasianis, 1784; (Ristampa
Patrologiae cursus completus. Series latina, a cura di Jacques Paul Migne, 221
manoscritti che ci sono stati tramandati. Gerbert, nella prefazione della sua edizione,
attesta che «Nullum vero scriptorem de musica medii aevi frequentius deprehendi,
musica del medievo più frequentemente che la Musica enchiriadis»)65. In realtà solo
64
In realtà il testo riportato dal Migne nel vol. CXXXII della sua Patrologia Latina (1853) non è altro
che una riproduzione dell’edizione di Gerbert.
65
GS I, fol. d.
XIX
Martin Gerbert (1720-1793), eletto abate di St. Blasien nella Foresta Nera nel
1764, iniziò la consultazione dei manoscritti custoditi nella sua abbazia e in quelle
vicine, che conservavano un gran numero di scritti teorici ancora inediti, estendendo
poi la sua ricerca a quasi tutta l’Europa, esclusa l’Inghilterra. La sua edizione, che
soprattutto della mancanza di mezzi tecnici per riprodurli con facilità. Il lavoro del
ricostruito in tempi molto brevi il monastero e la stamperia, nel 1779 ebbe inizio la
pubblicazione dei 3 volumi degli Scriptores ecclesiastici de musica sacra, che hanno
colmato una lacuna immensa e ancor oggi, nonostante i loro limiti, sono una delle
copie più antiche gli era nota. Aveva potuto però servirsi di due codici andati poi
persi: il primo, del sec. XII, distrutto nell’incendio del suo monastero, e il secondo,
vergato su un papiro prima del sec. XIV, perito il 24 agosto 1870 nel corso della
66
Lettere 2250, 2257, 2266, 2270, 5873.
XX
della biblioteca municipale di Strasburgo. Entrambi contenevano solo la Musica
enchiriadis.
Scriptorum de Musica68, e dei due volumi del Répertoire International des Sources
gli studiosi dal curare l’edizione critica dei trattati Enchiriadis, ma questa lacuna è
stata colmata nel 1981 dalla pubblicazione di Hans Schmid, salutata da Michel Huglo
Nella sua edizione, costata circa 30 anni di ricerche – condotte per sua stessa
che aveva a disposizione, per la collazione del testo ha preso in considerazione i 47 più
antichi, riconoscendo che altri codici potrebbero ancora essere nascosti in qualche
67
Holladay, The Musica enchiriadis and Scholia enchiriadis, pp. 12-52.
68
Pubblicato dall’American Institut of Musicology.
69
The Theory of Music from the Carolingian Era up to 1400. Descriptive catalogue of manuscripts
Volume I: [Austria, Belgium, Switzerland, Denmark, France, Luxemburg, Netherlands], Edited by Joseph Smits van
Waesberghe with the collaboration of Peter Fischer and Christian Maas, München-Duisburg, G. Henle, 1961 (B/III/1);
Volume II: [Italy], Edited by Pieter Fischer, München-Duisburg, G. Henle, 1968, (B/III/2).
70
Huglo, Musica et Scholica Enchiriadis, p. 422: «Il n’est pas exagéré de conclure en déclarant que
l’édition de la Musica Enchiriadis par Hans Schmid constitue “l’événement du siècle” dans le domaine
de la musicologie médiévale: avec l’édition de la Musica Disciplina d’Aurélien de Réomé par L. Gushee
(1975), l’édition d’Hucbald par Y. Chartier (1982), la Musica Enchiriadis complète la trilogie des grands
traités de musique issus de Renaissance carolingienne réédités suivant les règles de la critique textuelle».
XXI
biblioteca, ma se anche ciò fosse, questi non altererebbero il testo della sua edizione.
Schmid ha predisposto un apparato critico molto ampio che si articola su tre livelli: a
materiali del testo e, al primo livello, le glosse e le note marginali apportate da anonimi
maestri in occasione dei loro insegnamenti. Nancy Phillips si rammarica però per il
modo in cui l’apparato critico è stato realizzato, poiché lo ritiene «troppo carico e,
quei manoscritti scelti per stabilire il testo e le restanti avrebbero dovuto essere scartate.
(...) Guardando più da vicino i tipi di errori dell’apparato critico vediamo che difetta a
come correzione, ecc.»71. L’apparato critico riporta anche l’indicazione delle fonti
critica di Schmid e, pertanto, le sigle usate per citare i manoscritti sono quelle
riportate nella sua Prefatio. Le segnature e la datazione dei manoscritti, invece, sono
state riviste e attualizzate, alla luce del Lexicon musicum Latinum medii aevi.
SIGLA CODICUM
71
Phillips, Musica et Scolica enchiriadis, p. 139-40.
XXII
B Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, 10078/95, sec. XI, origine:
C Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7212, sec. XIIin (Schmid X/XI),
E Einsiedeln, Stiftsbibliothek, 79 (4. Nr. 70), sec. X (Schmid, sec. XIin), origine:
Einsiedeln
F München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 6409 (olim Freising 209), sec. XI-
XIin (prima del 1012), origine: Tegernsee, provenienza: Augsburg, St. Ulrich e
Afra
H Bamberg, Staatsbibliothek, Varia 1 (olim HJ. IV. 20), sec. X (anno 1000 ca.),
J Bamberg, Staatsbibliothek, Class. 9 (olim HJ. IV. 19), sec. Xex (Schmid, sec.
XIin), origine: Germania del Sud (M. Huglo) – Lorena o Belgio (Hoffman),
L fol. 1-158: Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1342, sec. XI,
palatina di Heidelberg
XXIII
fol. 159-167: St. Paul (Kárnten), Stiftsbibliothek, 29.4.2., sec. XI, origine:
St. Emmeram
Q Cambridge, Corpus Christi College, 260, sec. X (seconda meta; Schmid, sec.
U Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7211, sec. XIex o XIIin, origine:
XXIV
V Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. 55, sec. Xex (Schmid, sec.
X Oxford, Bodleian Library, Canonici Misc. 212 (S.C. 19688), anno 1400 ca.
Ad London, British Library, Add. 17808, sec. XIIin, origine: Nord della Francia o
Germania
Gi Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1315, sec. XV/XVI, origine:
XXV
provenienza: Heilsbronn, Abbazia cistercense di S. Maria
Kr Kraków, Biblioteka Jagiełłonska, 1965 (BB XXIII 8), sec. XI (seconda metà),
Lo London, British Library, Harley 3199, sec. XIex, origine: Francia o Inghilterra,
Montecassino
Na Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7202, sec. XI, origine: Francia
(prima metà), origine: Valle del Reno o Italia del Nord, provenienza: Italia
(sec. XV)
Qi Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II I 406 (olim Magl. XIX. 19), sec.
XXVI
St München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 29770/1, sec. X, origine: Baviera,
Xo Oxford, St. John’s College, 188, sec. XIIIex (Schmid, sec. XIII/XIV), origine:
manoscritti sono elencati in base all’ordine alfabetico delle località in cui sono
conservati.
Nel primo gruppo sono inclusi i codici che contengono il testo completo o
72
RISM: ms. del X in cui sono stati incollati 2 fogli della Musica enchiriadis presi da un manoscritto
del sec. XII (foglio 1 e 117).
XXVII
Al secondo gruppo appartengono quattro codici che verosimilmente un tempo
Lo, Mc.
La lista dei manoscritti è conclusa da quattro codici nei quali sono inserite
73
Cfr. MSE, p. X.
XXVIII
La Phillips considera questo stemma codicum «molto discutibile» per
l’inesatta ubicazione del manoscritto di München (St), un frammento del sec. X, che,
secondo lei, potrebbe essere stato il modello per Bamberg (H), considerando che
questi due codici seguono la stessa disposizione del testo e degli esempi e si ripetono
in entrambi i medesimi errori. Schmid, invece, non rileva nessuna relazione tra i due
manoscritti74.
perspicaci. Le lezioni degli altri codici sono riportate nell’apparato critico per
Schmid dichiara di aver modificato soltanto i passi deteriorati per renderli più
intellegibili e di aver seguito l’ortografia secondo l’uso dei codici più antichi, mentre
l’interpunzione, i cui segni non erano destinati alla lettura, ma alla retorica e non
74
Phillips, Musica et Scolica enchiriadis, p. 139 nota 25.
XXIX
4. LE FONTI LETTERARIE
In epoca tardo latina alcuni autori si erano già occupati di teoria musicale o in
autori sono le fonti a cui attingono i trattati Enchiriadis, che citano a volte i passi
enchiriadis sono75:
75
Nelle note della nostra traduzione saranno puntualmente segnalati i passi parafrasati o citati con i
rispettivi rimandi, dov’è possibile, all’edizione e alla traduzione in italiano. Per agevolare il lettore,
tanto nel testo latino come nella traduzione sono stati inseriti tra parentesi quadra i numeri di pagina
e nelle note anche il numero delle linee dell’edizione critica di Schmid. I numeri romani che nelle
note precedono la pagina si riferiscono ai capitoli della ME e alla parte della SE.
XXX
Alcune opere molto popolari nel sec. IX, contenenti scritti sopra la musica,
grande influenza nel Medioevo77, sono però citati espressamente nel manuale. Anche
nella Scolica (III, 125) si avverte la presenza dell’opera di Calcidio e sono evidenti,
nell’analogia grammaticale con cui inizia il cap. X della Musica enchiriadis che
mette a confronto le lettere dell’alfabeto con gli intervalli musicali, facendo notare
che le lettere unite disordinatamente non formano parole, così come nella musica
Censorino, inoltre, l’autore della Musica enchiriadis trae alcuni termini (sescuplus,
modulandi)80.
76
I, 44 (ed. Bompiani, 192-5).
77
L’analogia tra il linguaggio e la musica si ritrova infatti anche nel De musica di Oddone e nel
Micrologus di Guido d’Arezzo.
78
Scritta nel 238 come dono di compleanno per Quintus Cornelius, mecenate di Censorino.
79
ME X, 23.1-7, da Censorino, De die natali, X, 4-6, (ed. Hultsch, p. 17; ed. Sallman, p. 16;
Rapisarda, testo critico pp. 20-1).
80
Cfr. Phillips, Sources, pp. 273-5.
XXXI
Occasionalmente e senza specifica menzione nei trattati Enchiriadis si
Virgilio, invece, viene citato esplicitamente nel cap. XI della Musica: «in
Virgilio apud Elisium Orpheus obloquitur numeris septem discrimina vocum» («in
Virgilio, Orfeo nei Campi Elisi fa rispondere ai ritmi le sette diverse note
nelle Georgiche (IV, 317) e non nominato nei precedenti miti legati ad Orfeo ed
cui importanza è testimoniata dal fatto che all’opera di questo retore del sec. IV è
dovuto il titolo stesso con cui la Scolica enchiriadis è conosciuta83, nonché la forma
l’Ars rhetorica e la Scolica enchiriadis, che pongono, ognuna nel proprio ambito,
Le definizioni iniziali della Scolica sono anche molto simili a quelle che
principali fonti della Scolica stessa. L’opera agostiniana, anzi, è quella che fornisce
81
Virgilio, Eneide, VI, 646.
82
L’opera di Fulgenzio influisce su molti altri scrittori medievali: Hucbald di St. Amand, Reginone di
Prüm (Epistola de harmonica institutione, sec. X), Werner di S. Blas (Libri defloracionum, sec. XII),
Remigio di Auxerre (Mytographi Vaticani), Aureliano di Réôme (Musica disciplina) e anche
Giovanni Scoto Eriugena. Cfr. Boynton, The Sources and Significance of the Orpheus Myth, pp. 59-
60.
83
Cfr. Introduzione, cap. I, I Titoli.
84
Cfr. SE, nota 1.
XXXII
dialogo era spesso usato a scopo precipuamente didattico nei trattati riguardanti tutte
del tutto impersonali. Lo schema dialogico, sia nel De musica sia nella Scolica, è
molto simile perché, nello stile di una vera conversazione in cui gli interlocutori sono
recte putas...
Benché il De musica non venga mai citato, alcuni termini della Scolica sono
della Scolica88, laddove è riportato un passo del De ordine in cui si dimostra come,
Nella vasta serie di fonti che ispirano l’autore della Musica e della Scolica
enchiriadis sono certamente essenziali le opere di Boezio, che forniscono sia le basi
teoretiche per i rapporti matematici, sia i supporti per la pratica polifonica. Boezio ha
85
La Phillips, Sources, p. 363, afferma che il dialogo della Scolica enchiriadis si presuppone svolto in
un’aula scolastica, mai però descritta.
86
Cfr. SE, nota 43.
87
Cfr. SE, nota 44.
88
Cfr. SE, nota 80.
XXXIII
musica, Boezio è stato oggetto di grande attenzione da parte dell’autore dei trattati
anche nella Musica sono inseriti passi tratti direttamente dal De institutione musica.
da copisti successivi90.
Tolomeo era in disaccordo con i Pitagorici, che sostenevano la non consonanza del
doctor magnificus92, mentre nel cap. XIX è lodato come praestantissimus auctor93
che ha rivelato molti aspetti meravigliosi della teoria della musica, dimostrandoli
Nella prima parte della Scolica non ci sono riferimenti diretti all’opera di
peritus cantor. Nella seconda parte, dove è citato il nome di Boezio94, si incontrano
89
ME XI, 33.29-40, citazione da Boezio, De inst. mus. V, 10 (Friedlein, 360, 11, 7-17).
90
Cfr. Phillips, Sources, p 241, n. 4.
91
De inst. mus. V, 9 (Friedlein, 359, 18-20).
92
ME XVI, 44.11.
93
ME XIX, 59.38.
XXXIV
Agostino, e riorganizzate liberamente, abbreviate e trasformate, dove possibile, in
forma di dialogo. Nei trattati Enchiriadis, d’altra parte, secondo la pratica comune
alla trattatistica medievale, gli autori di riferimento vengono citati solo per ragione
eccezionali.
offre una dettagliata esposizione dei tipi di ineguaglianze, specificando quelli che
sono gradevoli nella musica. Benché la classificazione degli studi del Quadrivio e
molti concetti derivino dalle Institutiones, Cassiodoro non è mai citato e le sue
della terza parte della Scolica. È chiaro che i calcoli e i concetti riportati sono di
consonanza96.
ligas, ut frigora flammis, arida conveniant liquidis...» («Tu leghi gli elementi
attraverso i numeri, in modo che le cose fredde si uniscano alle fiamme, le secche ai
liquidi…»)97 riferita alla traduzione del “Timeo” metonimia per Platone riportata
94
SE II, 107.165, da Boezio, De Inst. arith., I, 1 (Friedlein, 8, 1).
95
Cfr. apparato critico di Schmid, MSE, pp. 118-20.
96
SE III, 132.286, da Boezio, De Inst. mus., I, 32 (Friedlein, 222, 14-22).
97
SE III, 125.172-3 da Boezio De consolatione philosophiae, III, 9b-10f.
XXXV
l’universo e uniscono in armonia gli elementi antitetici. Nella Scolica queste leggi
sono le stesse che identificano le proporzioni degli intervalli usati nella musica.
maggior parte dei concetti teorici sono ampiamente rimaneggiati. Presentati prima in
diagrammi chiarificatori ed esempi pratici ottenuti con l’uso di cordae e fistulae, per
aiutare gli allievi a collegare le idee astratte con la musica reale. Non bisogna infatti
dimenticare che Boezio è un indagatore teorico del fenomeno musicale. Per lui il
vero musicus non è il cantor, e neppure il compositore, ma colui che, con solide basi
scopo principale quello di usare le conoscenze musicali per la formazione del peritus
pratiche, nonché una scala musicale per fornire ai cantori un aiuto a «bene modulari»
e a conoscere l’arte musicale per evitare errori nell’esecuzione. Per questo i trattati
Enchiriadis non sono una compilazione, ma una nuova esposizione della materia.
A partire dal sec. XIX un altro autore, Giovanni Scoto Eriugena, è stato
collegato con la tradizione dei trattati Enchiriadis e si è pensato, anzi, che il filosofo
del sec. IX, famoso per la sua opera De divisione naturae, abbia conosciuto o
melos» che appare in entrambi i trattati, ritenuta come riferimento alla polifonia del
sec. IX. L’interferenza fra le due opere, accettata da Jacques Handschin99, è invece
98
Cfr. Coussemaker, Mémoire, p. 125, Hucbald, p. 310f e Histoire, p. 11.
99
Handschin, Die Musikanschauung, p. 323, suppone che l’Eriugena abbia subito l’influsso della
Musica enchiriadis, trattato che egli presume scritto in Irlanda poco precedentemente o
contemporaneamente al De divisione naturae (anno 850 ca.).
XXXVI
confutata da Walter Wiora100, Ernst Weltner101, Fritz Reckow102, i quali ritengono
accenno alla pratica musicale del tempo, ma il fenomeno musicale è trattato solo di
riflesso, senza mai entrare nel merito dell’aspetto strettamente tecnico o teorico.
Nancy Phillips, invece, sulla scia di Coussemaker e Handschin, dopo aver esaminato
*
* *
fonti a cui attingono, hanno una loro originalità e rappresentano una pietra miliare
100
Wiora, Das vermeintliche Zeugnis des Johannes, p. 33-43.
101
Waeltner, Organicum melos.
102
Reckow, Organum-Begriff, pp. 83-91 e p. 126.
103
Ferrari Barassi, I modi ecclesiastici, pp. 20-1.
104
Cfr. Phillips, Sources, p. 308.
XXXVII
5. GLI INSEGNAMENTI MUSICALI DEI TRATTATI ENCHIRIADIS105
I due trattati, nati nel contesto culturale della cosiddetta “rinascita carolingia”,
in funzione della pratica contemporanea che affronta problemi nuovi: «in primo
luogo una concezione della musica intesa quale struttura che si costituisce mediante
si aprono con la descrizione dei simboli che rappresentano i suoni della scala
utilizzata. Dalle spiegazioni e dagli esempi si può estrapolare l’essenza della teoria
Musica e la Scolica siano passate alla storia perché attestano la più antica discussione
sul canto a più voci, di cui trasmettono i più antichi esempi scritti, non va
musicale.
passaggio tratto dal Commentario al «Timeo» di Platone di Calcidio (I, 44), si afferma
base: nel linguaggio le lettere e nella musica gli phthongi, detti soni in latino.
dei loro nomi, delle proprietà dei suoni che, raggruppati in tetracordi, si succedono
105
La pretesa di questo capitolo non è altra che fornire al lettore una vue d’ensemble sugli
insegnamenti musicali contenuti nella Musica e nella Scolica enchiriadis, senza anticipare, però, ciò
che sarà opportunamente discusso nel commento riportato nelle note a piè di pagina dei trattati in
questione.
106
Guido d’Arezzo, Le opere, p. LXII.
XXXVIII
sempre – di quattro in quattro – nella medesima disposizione (eiusdem conditionis).
Ogni suono di cui si compone un tetracordo, inoltre, possiede una qualità intrinseca
(virtus) che lo rende unico e lo distingue dagli altri. Questa virtus non corrisponde
all’altezza del suono, ma alla relazione intervallare che lo pone in rapporto con il
precedente. Inoltre la virtus di ogni suono, come verrà dimostrato nel cap. VIII,
chiamato deuterus, dista un tono dal protus, il terzo, chiamato tritus, dista un
semitono dal deuterus ed il quarto, chiamato tetrardus, dista un tono dal tritus107.
Questi suoni, collocati uno dopo l’altro, formano – come si è detto – un tetracordo
che può essere replicato, mantenendo la stessa disposizione dei suoni che lo
compongono (tono, semitono, tono), all’infinito. Le possibilità vocali, però, non sono
inesauribili per cui la teoria musicale si limita a un numero fisso di diciotto suoni108,
disgiunti, separati tra loro da un tono. Il primo e più basso costituisce il tetracordo dei
graves; il successivo è il tetracordo dei finales, cui segue il tetracordo dei superiores
e infine quello degli excellentes. Per ultimi rimangono due suoni denominati
residui109.
segni grafici (notae) che li rappresentano sono quasi i medesimi. La loro differenza è
soltanto indicata dalla diversa orientazione dei simboli per notarli. La notazione usata
107
Protus, deuterus, tritus e tetrardus sono termini bizantini mutuati dai teorici dell’età carolingia.
108
Nonostante la coincidenza numerica, non devono essere confusi con i suoni che conformano la
combinazione dei sistemi perfetti dell’antica teoria greca.
109
Cfr. ME, I-II, 4.15-7.17 e SE I, 62.35-63.42 e 83.336-84.347.
XXXIX
è conosciuta come ‘dasiana’110, perché si basa sul segno ├ chiamato anticamente
dasia o daseya e denominato iota perfixus nella Musica e iota transfixus nella
Scolica. Questo segno rappresenta la prima metà della lettera greca H (Ãta)111.
Il primo finalis ha come simbolo una dasia inclinata con una S in cima
Il secondo finalis ha in cima una C capovolta t
s
Il terzo finalis è una iota inclinata
t
Il quarto finalis ha in cima una mezza C
Il tritus nei graves ha come segno grafico una N inclinata , nei superiores una N
112
capovolta e inclinata e negli excellentes una iota attraversata da un trattino .
I due suoni residui sono i simboli del protus e del deuterus coricati di fianco .
110
Uno studio completo e dettagliato della notazione dasiana dei trattati Enchiriadis è stato condotto
dalla Phillips, The Dasia Notation, pp. 157-73 e Sources, cap. XI, pp. 470-97.
111
Non si può dimenticare che la H (Ãta), con grafia abbreviata ├, in origine indicava il segno
d’aspirazione o spirito aspro, ¹ dase‹a (cfr. Suñol, Introduction, p. 402). Già Isidoro di Siviglia,
Etymologiae, I, xix, 9-11, pp. 106-7, fornisce la seguente spiegazione: «[9] Dase‹a, quod interpretatur
aspiratio, id est ubi H littera poni debet, tali figura notatur: ├. [10] Yil», quod interpretatur siccitas, sive
purum, id est, ubi H littera esse non debet, tali nota ostenditur: ┤. [11] Quorum duorum accentuum figuram
Latini ex ipsa littera aspirationis fecerunt. Unde si coniungas has, fecisti eandem aspirationis notam. Rursus
si medium eius apicem scindis, dase‹an et yil»n facis » («[9] Dase‹a, che si interpreta come aspirazione,
ossia come luogo in cui deve essere posta la lettera H, è segnalata con la seguente figura: ├. [10] Yil», che
si interpreta come secchezza, o puro, ossia il luogo in cui non deve comparire la lettera H, si indica con il
seguente segno: ┤. [11] I Latini ricavarono la figura di questi ultimi due accenti dalla stessa lettera
d’aspirazione: così, se congiungi quelli, ecco che dai forma al segno di aspirazione medesimo; al contrario,
se dividi l’apex, ossia la lineetta centrale di questa, ecco che ottieni una dase‹an ed una yil»n»).
112
La Phillips, The dasia notation, p. 159, afferma che: «the selection of two basic forms, the N or the I
[to distinguish visually the semitone], seems inconsistent with the other procedures used to construct this
notation, for either the N or the I could have provided the necessary four symbols. This inconsistency is
an integral part of the text tradition of the Enchiriadis sources». La chiara diversificazione grafica, usata
per distinguere visivamente il tritus, rispecchia dunque l’importanza all’interno del tetracordo della
posizione del semitono, ritenuto «il cuore e l’anima del canto» SE III, 151.590-1.
113
Cfr. ME, II, 7.15-7.
XL
Nel quadro sinottico che segue riportiamo i simboli della notazione dasiana, il
Trascrizione in notazione moderna dei suoni che costituiscono la scala dei trattati Enchiriadis
parti non riflette un ampliamento o una modifica del contenuto, ma una sua
quattro simboli per i finales e solo più avanti al Discipulus vengono proposti i
XLI
illustrare l’absonia114 che produrrebbe il cambio inadeguato del semitono nei
differenti pentacordi (descriptiones 6-22)115, l’uso di simboli dasiani che non sono
ancora stati spiegati. La Phillips ipotizza che alcuni esempi siano da collocarsi in
altra posizione del testo e che questa interpolazione sia il frutto della confusione di
alcuni copisti116.
La scala dasiana, che risulta dalla unione dei tetracordi disgiunti di cui si è già
detto, essendo basata sulla periodicità dei suoni in quinta, non è fondata sull’ottava e
per questo motivo non tutte le ottave sono giuste (SIb-Si, FA-Fa#, Do-do#).
naturale e di aver distrutto la teoria dell’armonia, conclude che, per farla breve, da
qualunque nota si cominci, verso l’alto o verso il basso, la sua corrispondente non
114
Cfr. SE, note 8 e 18.
115
Cfr. SE I, 66-80.
116
Cfr. Phillips, Musica et scolica enchiriadis, p. 137: «I believe that three examples in the Scolica are
from a later state of the text. The first two can be discussed together, for the variant is a simple one,
and the difference between the early and later states of the text is relatively minor. The question at
hand is whether or not the dasia symbols of the higher tetrachords should appear in the examples on
pp. 78 and 80. On p. 78 the Schmid edition goes against the readings of manuscripts A B E F G J K
etc., thus against all but one of the manuscripts he selected on p. X as the basis of his edition».
117
Ermanno Contratto, Musica, pp. 23-24, «Quo in loco quidam Enchiriadis Musicae auctor non
mediocriter erravit, qui ipsa bina septenarium vocum quadrichorda duabus contra naturam
medietatibus separans, ipsius medietatis tropum quod impossibile est duplicavit, et ita produorum
naturali positione tonorum continuum tritonum incurrit, sicque totius monochordi structuram regulari
eius ordine disturbato destruxit, et tam eam quae est secundum antiquos atque modernos, quam eam
quae est secundum ipsius naturae auctoritatem harmoniae speculationem confudit. Sicut enim
omnibus illud opusculum legentibus manifestum esse poterit, nulla quam vel usus habet, vel naturae
constantia exposcit in eius descriptione invenitur specierum constitutio, nulla troporum dispositio,
nulla rata vel plenaria principalium chordarum operatio, nullus in agnitione modorum consequens
ordo, quippe ubi nulla eiusdem dispositionis chorda in octava eadem esse reperitur; quod tamen quia
oporteat et unanimi omnium assertione, et insuperabili naturae veritate comprobatur. Cum enim
propter significandam aequisonantiam omne diapason a qua incipit in eadem litera terminari debeat,
quale est in hac qua de agitur descriptione, quod cum A cecineris, in octavo loco secundum ipsum G
id est tetrardus respondeat, cum B id est deuterum dixeris in octavo A id est protus occurrat; et ut
breviter perstringamus, quamcumque susum vel iusum chordam inceperis, eius similem non in octava
quod oportet, sed in nona potius regione invenias». («A questo proposito ha sbagliato non poco un certo
autore della Musica Enchiriadis che, separando contro natura i due tetracordi di sette note in due metà, ha
raddoppiato il tropo della stessa metà, cosa che è impossibile, e così, invece dei due toni in posizione naturale,
è incorso in un tritono continuo e, in questo modo, ha distrutto la struttura di tutto il monocordo, demolendo il
XLII
d’Arezzo avanza critiche alla notazione dasiana in quanto i simboli che
per produrre una successione di ottave (e doppie ottave) giuste, viene affiancata o
11.2)121.
suo ordine regolare ed ha sconvolto tanto la teoria dell’armonia secondo gli antichi e i moderni quanto quella
che esiste secondo l’autorità della natura stessa. Come infatti potrà essere evidente per tutti coloro che leggono
quell’ “opuscolo”, nell’opera di costui non si trova nessuna definizione delle specie che abbia una qualche
utilità o che la regolarità della natura richieda, nessun ordine dei tropi, nessuna valida e completa funzione
delle principali corde e nessun logico metodo per il riconoscimento dei modi, poiché non si trova che esista
nessuna corda della medesima disposizione nella medesima ottava, cosa che sarebbe opportuna per unanime
riconoscimento e per l’invincibile verità della natura. Poiché infatti per indicare una equisonanza ogni
diapason deve concludersi sulla medesima lettera dalla quale comincia, qual è in quest’opera di cui si discute
la ragione per cui, quando si canta il la (A), all’ottava, al posto di questa, risponde il sol (G), cioè il tetrardus e
quando si canta il si (B), cioè il deuterus, all’ottava si presenta il la (A) cioè il protus. E, per farla breve, da
qualunque corda avrai cominciato verso l’alto o verso il basso troverai la sua simile non all’ottava, come è
necessario, ma alla distanza di una nona».)
118
Cfr. Micrologus, 5.19-23 e Regulae 53-54.
119
Cfr. ME, nota 27.
120
Non va confusa quindi con notazione alfabetica A-G (La-Sol) e non indica un’esatta successione di
suoni, ma è usata solo in senso geometrico per indicare l’intervallo diapason. Le lettere sono sette
perché l’ottava coincide con la prima.
121
Cfr. ME, capp. X-XI.
XLIII
descr. 10.4
descr. 11.2
descr. 11.1
122
Cfr. ME, cap. XI.
XLIV
Nella seconda parte della Scolica ritroviamo la successione alfabetica
dell’alfabeto latino e sono necessarie per chiarire il registro di ogni melodia, poiché
la notazione dasiana si ripete identica per tutte le tre voci rappresentate, dimostrando
L’uso delle lettere per designare le note in una griglia di linee orizzontali
descr. 1
descr. 2
A cominciare dalla descriptio 3, e fino alla 11, gli esempi musicali sono
123
De inst. mus., IV, 14, (Friedlein, 341).
XLV
segni dasiani, eliminati in molti dei manoscritti tardivi. Per cercare di facilitare la
comprensione degli esempi, nel margine sinistro, accanto all’indicazione della vox
principalis (PR.) e della vox organalis (OR.), appaiono i numeri romani (I, IIII, V,
VIII, XI, XII, XV) che indicano la combinazione delle consonanze che conformano i
Poiché spesso si ritiene che il valore dei trattati Enchiriadis risieda nelle
prime descrizioni della polifonia che essi contengono, l’incoerenza tra la scala qui
usate nel canto del sec. IX. Quando però la scala dasiana, a cominciare dal sec. XI,
cedette alla teoria modale basata sull’ottava emergente, le melodie più antiche furono
124
Cfr. Phillips, The dasia notation, pp. 164-7.
XLVI
5.2. La teoria modale
Nonostante i primi abbozzi della teoria modale siano presenti in alcuni tonari
del sec. VIII e nel Musica disciplina di Aureliano di Réôme, sia la Musica sia la
Scolica enchiriadis, non forniscono una definizione specifica della modalità, anche
pratiche ed estetiche grazie alle quali è possibile estrapolare l’extensio modi, il ruolo
e la funzione della finalis, le proprietà modali degli phthongi, i criteri musicali per la
degli 8 modi l’estensione entro la quale la melodia si può muovere. L’ottava, intesa
come insieme delle due consonanze minori125, non lascia intravvedere gli
irrigidimenti scalari che si sarebbero prodotti nei secoli XI-XII. Nei trattati, infatti,
non c’è discussione sulle ottave né sulle formule dei toni salmodici, sebbene la
a) Ogni melodia termina su uno dei quattro suoni del tetracordo dei finales: protus
125
Cfr. ME XI, 31.19 e SE II, 92.24-5.
126
Cfr. SE I, 73.165-75.193.
127
Cfr. ME III, 7.1-8.6.
XLVII
b) I modi o tropi sono definiti come «species modulationum» (strutture
modo130.
d) Il limite grave dei modi autentici e dei loro corrispondenti plagali è fissato una
del loro ambitus che, in un canto simplex et legitimus132, è minore nei modi
plagali dato che nessun modo plagale oltrepassa, salvo rare eccezioni, il quinto
«fino al terzo suono dello stesso nome», ossia fino alla terza riapparizione del
segno che rappresenta la nota finale, il quale si trova nel tetracordo degli
autentico è una nona invece che un’ottava, come viene ribadito nella Scolica
enchiriadis134.
128
Cfr. ME IX, 22.18.
129
Nella ME VIII, 13.1-2 si chiarirà che l’uso di ‘tono’ per ‘modo’ è improprio: «modos, quos abusive
tonos dicimus» («i modi, che impropriamente chiamiamo toni») e nella SE I 79, 229-30 si ritroverà la
stessa definizione che aggiunge come sinonimo di modus anche il termine tropus: «Tropi autem vel
modi sunt, quos abusive tonos dicunt» («I tropi, poi, o modi, sono quelli che impropriamente
chiamano toni »). Cfr. anche ME, note 15 e 26 e SE, note 34 e 67.
130
Cfr. ME V, 1-2 e SE, I, 81.304-82.313.
131
Cfr. ME IV, 8.4.
132
Cfr. ME, nota 17.
133
Cfr. ME V, 9.1-5 e SE I, 85.365-71.
134
SE I, 86, 378-80: «Quia sive altiore sive submissiore voce canatur quodlibet simplex ac legitimum
melos, non nisi ad quintum sonum a finali sono deponitur, nec nisi in nonum usque ascendit»
(«Poiché, sia che si canti in un registro più acuto o più grave, ogni melodia monodica e conforme alle
regole non scende più di una quinta sotto il suono finalis e sale soltanto fino alla nona»).
XLVIII
e) In base ai principi costitutivi della scala dei trattati Enchiriadis i suoni che si
completa. In nessun altro luogo della Musica e della Scolica vengono ripresi i
g) Nel cap. XIX della Musica, in cui la trattazione della teoria musicale cede il
modi ai contenuti delle melodie e informa che esistono dei temi che possono
invece, non possono affatto legare il loro significato a questo o quel modo,
135
Cfr. SE I, 73.159 e 82.319-21. I termini sociales o compares sono adoperati per designare
un’identica qualità di suoni: protus-protus, deuterus-deuterus, ecc. (cfr. anche ME nota 18 e fig. nota
21). Nella SE il termine sociales appare due volte: la prima è usato in riferimento alla quinta sopra la
finale, come si verifica di norma; la seconda, invece, accompagnato dal termine compares, è riferito
alla quarta, considerata una affinità parziale: «Sociales autem suos quisque sonus non solum quintis
habet regionibus, sed et quartis locis alios sibi quaerit compares, qui tertiae simphoniae locus est»
(«Ogni suono non solo ha i suoi affini alla quinta, ma se ne cerca anche altri alla quarta, che è la
posizione della terza consonanza »).
136
Nella parte conclusiva della SE III, 155 il Discipulus chiede al Magister di chiarire un suo dubbio
sull’argomento: «Siccome la categoria del medesimo tropo non è percepita come diversa in una serie
melodica (melum) di toni e semitoni, pur essendoci lo stesso ordine, e siccome la disposizione di
questa serie non ritorna alla distanza di un’ottava, io ti chiedo perché i suoni in ottava concordano con
il medesimo tropo».
137
Cfr. ME IX, 22.20.
138
Cfr. ME, nota 45.
139
Cfr. ME XIX, 28.9-31.
XLIX
5.3. Le consonanze (symphoniae)140
Dopo aver evidenziato nei primi capitoli la qualità di ognuno dei suoni che
danno origine alla scala dasiana, la forma grafica dei simboli che rappresentano i
tutti i suoni (…) si fondono in modo ugualmente soave, né, se vengono accostati a
determinati suoni, infatti, a certi particolari intervalli possono dar vita alle
consonanze.
problematica antichissima, che gli studiosi moderni fanno risalire fino ai tempi della
Grecia classica, ma l’attenzione con cui tutti i termini della questione sono messi in
chiaro può forse indicare che l’argomento era in qualche misura nuovo e misterioso
accordo di suoni diversi congiunti tra loro»142 e, all’inizio della seconda parte della
Scolica, alla richiesta diretta del Discipulus, il Magister risponde che una consonanza
140
Il lemma symphonia sarà tradotto sempre con ‘consonanza’, con la consapevolezza che sunfwn…a
è esattamente equivalente a cum sonantia. Già Boezio, De int. mus., V, 10, 17-8 (Friedlein, 360) usa i
termini symphonia e consonantia, attribuendo loro lo stesso significato: «diapente symphonia iuncta
diapason consonantiae» e l’Inchiriadon 197, 266 lo rende esplicito: «Nunc de simphoniis, id est de
consonantiis, videamus».
141
Lera, Sorgenti, p. 51.
142
ME, X, 23.5-6.
143
SE, II, 90.1
L
La presentazione delle consonanze nella Musica enchiriadis ricalca lo schema
fondamentali partendo dalla più piccola fino alla più grande: comincia infatti dal
entrambe)145, al contrario di ciò che fanno la Scolica enchiriadis (II, 90.2) e Guido
accurata che nella Scolica (II, 90), dove il Magister si limita a segnalare l’estensione
consecutivi si dispongono uno dopo l’altro (in ordine quattuor sit sonorum
compositio). Nell’esempio che illustra questa spiegazione (fig. 10.1), non vi è traccia
come una progressione di salti per quarta e come rassegna di quattro suoni in
armoniosamente alla quinta (a quinto loco concordes sibi voces respondeant) e l’uso
del verbo respondēre, che nei trattati Enchiriadis nei contesti polifonici indica una
144
Cfr. ME, nota 52.
145
Cfr. ME, X, 6-8.
LI
che si tratta di una sovrapposizione di suoni in quinta146. Come si è già detto, gli
relazione modale (o qualità specifica). Per questo motivo alla quinta risponderà
le due precedenti e, come sottolinea il Magister, «essendo più facile e più evidente
delle altre, è chiamata massima e prima delle consonanze»147, per cui i suoni che la
(aequisoni).
Tutto ciò rende evidente l’inadeguatezza della scala dasiana. Come si è visto,
infatti, i segni della notazione dasiana si ripresentano, sia pure con diversi
146
Cfr. ME, note 56 e 57. Anche la SE, II, 92 riconosce che la consonanza diapente «autem est, ubi
per quintanas regiones vel alia post aliam sumitur vel in unum ambae dicuntur» («si realizza
nell’ambito di una quinta, intonando le note una dopo un’altra oppure cantando simultaneamente le
due note estreme» e lapidariamente conclude «Hoc ergo modo est simpliciter diapente pangere»
(«questo è il modo in cui si realizza un canto semplice in diapente»).
147
Cfr. SE II, 92.
148
La dimostrazione che il diapason più diatessaron è una consonanza costituisce l’oggetto del cap.
XVI della Musica enchiriadis.
149
Cfr. ME, XI, 32.24-33.29.
150
Boezio, De inst. mus. V, 10 (Friedlein, 360, 11, 7-17), basata su Tolomeo, Harmonica, I, 6.
LII
orientamenti, alla 5ª e alla 9ª. Questa notazione, perciò, si adatta perfettamente alle
spiegazioni teoriche dei modi dei trattati Enchiriadis, ma non è compatibile con la
consonanza, l’autore dedica all’argomento l’intero cap. XVI, in cui presenta la teoria
Nella terza parte della Scolica enchiriadis, il Magister intende dimostrare che
gli stessi principi matematici che sono alla base dello studio dell’aritmetica, della
151
Cfr. ME, XI, 33.29-36.
152
Cfr. ME, XI, 33.40-34.45.
153
Cfr. Boezio, De inst. mus., II, 27.
154
Cfr. Tolomeo, Harmonica, I, 6.
155
Cfr. ME, XVI, 43.1-3 e 44.10-47.39.
156
I concetti matematici sono spiegati compiutamente nel saggio di Fabio Bellissima, in Gaffurio,
Theorica musice, pp. XXIX-XLVIII, e nella pubblicazione della García Pérez, El número sonoro, pp. 39-
52.
157
Cfr. SE, III, 115.1-7.
158
Cfr. SE, III, 118.39-45.
159
Cfr. SE, III, 118.50-119.54.
160
Cfr. SE, III, 123.133-125.161.
LIII
Il Magister conclude che il rapporto doppio superbiparziente (8:3), è
delle forme composite in diatessaron, dove – come vedremo nel capitolo seguente –
161
Cfr. SE, III, 127.210-128.216.
LIV
5.4. L’organum
l’Inchiriadon, che non usa mai né organum né diaphonia, ricorre al polisemico vox.
Nella Scolica, invece, l’organum non viene designato con i lemmi appena citati ed è
Gli elementi costitutivi della diaphonia sono la vox principalis, detta anche
spesso indicata con organum164, che è la linea melodica che le viene aggiunta al di
l’organum in diapente non richiede una trattazione molto dettagliata e può essere
alla quinta inferiore. Per questo motivo, forse, l’autore della Musica enchiriadis non
162
Essendo il nucleo centrale e la novità della teoria musicale esposta nei trattati di cui ci stiamo
occupando, l’organum è stato oggetto, ovviamente, di una trattazione ampia e dettagliata nelle note
che costituiscono il commento della Musica e della Scolica enchiriadis. Qui, pertanto, ci limitiamo a
ordinare i concetti basilari che i nostri manuali, pur non seguendo un ordine sempre preciso,
sviluppano dettagliatamente in capitoli e momenti diversi.
163
Cfr. ME, XIII, 37.1-6.
164
In entrambi i trattati Enchiriadis, infatti, il termine organum viene usato dall’autore con due
distinte accezioni: come pratica del cantare simultaneo e come sinonimo di vox organalis. Cfr. anche
ME, note 88 e 94.
165
SE II, 92-3: «Principalem enim vocem absolutam cantionem dico, organalem vero, quae huic
subiungitur symphoniae ratione» («Io chiamo dunque vox principalis la melodia data (absoluta),
mentre chiamo organalis quella che le viene aggiunta al di sotto, in base alla legge della
consonanza»).
LV
considerando sufficiente la descriptio 12.1, anticipata nel capitolo sulle consonanze.
Anche la Scolica non si dilunga sulla spiegazione del cantare simultaneo in quinta e,
Magister conclude sinteticamente affermando che «Hoc ergo modo est simpliciter
diapente pangere»166.
non si accordino perfettamente come nelle altre e il Magister gli risponde che alla
consequentia per cui la vox organalis non può procedere parallelamente alla
principalis, dal momento che in questo intervallo non si ripresenta lo stesso modo167.
La spiegazione si trova nella Musica enchiriadis, che asserisce che una melodia non
può essere trasportata a quattro livelli tonali consecutivi senza cambiarne il modo168.
come diabolus in musica) si utilizzano, oltre agli intervalli di quarta giusta, anche
intervalli più piccoli per cui la vox organalis non è più una semplice trasposizione al
grave della cantio, ma acquista una fisionomia autonoma, grazie a una diversa legge
naturale che gli è propria (sua quadam naturali lege)170. Per questa ragione, per
evitare il tritono che si produrrebbe tra il tritus (che si trova sotto il tetrardus ) e
166
SE, I, 92.29.
167
Cfr. SE, II, 105.131-4.
168
Cfr. ME, XII, 35.15-9.
169
Cfr. ME, XVII, 48.5-14.
170
Cfr. ME XVIII, 52.18 e SE II, 97.54-5 e 102.88-9.
LVI
il deuterus , quando la vox principalis tocca il deuterus, la vox organalis
sottostante non può nel corso della frase scendere sotto il suono tetrardus. Pertanto
sia all’inizio che alla fine, non può spingersi sotto questo suono e, nella parte finale,
due capitoli e fornisce un solo esempio per ogni spiegazione. Nel cap. XIV della
Musica l’autore, inoltre, afferma che anche nell’organum le voci umane possono
mescolarsi fra loro non solo a due a due o a tre a tre, ma anche con strumenti
musicali173.
sette al diatessaron, esemplificate 11 volte con il versetto Nos qui vivimus174. Tutte le
Nella forma semplice la vox organalis è collocata una quinta (diapente) o una
171
Cfr. ME, nota 116.
172
L’autore menziona che una voce puerile può essere utilizzata per raddoppiare all’ottava sia la
cantio sia la vox organalis.
173
Cfr. ME, nota 100. Nella SE è invece assente ogni riferimento agli strumenti musicali.
174
Questo versetto – tratto dal Ps. 113 (115B), 18 – è stato studiato dalla Phillips, Sources, pp. 449-50.
LVII
5.5. Organizzazione del tempo e durata dei suoni
dell’organum nel sec. IX in merito al tempo e alla durata dei suoni, su cui la
L’espressione modesta morositas, presente sia nella Musica sia nella Scolica,
lascia intravvedere che la performance del canto monodico era più rapida di quella
della diaphonia.
Scolica, invece, prima di addentrarsi a trattare l’abbellimento del canto, offre una
descrizione di come qualsiasi melodia possa essere cantata ritmicamente. Il fatto che
con sicurezza se il numerose canere sia applicabile solo al canto monodico o sia
Numerose canere significa «stare attenti a usare durate più lunghe o più brevi
dove è necessario, fare attenzione a come usarle, facendo in modo che alcune sillabe
siano brevi, altre lunghe» prestando «attenzione a quali suoni debbano essere
sede, non c’é traccia di un’alternanza di valori all’interno della melodia. In sostanza,
canto, solo variata dagli allungamenti finali; quando si voglia accelerare o rallentare
175
La stessa affermazione comparirà, sempre a proposito della consonanza diatessaron, nella SE II,
97.56.
176
SE I, 86.
LVIII
il tempo, i valori devono essere dimezzati o raddoppiati. Che si tratti qui del tempo
della scansione e non già della diversificazione interna delle durate (eccetto le
caratteristiche della melodia. Può sembrare strano che una questione di per sé
semplice sia presentata in maniera così complessa. Il fatto è che gli Scolica stanno
canto a più voci, ma che interessa anche alcuni teorici della monodia. Le indicazioni
proposte dal trattato (...) adombrano una prassi apparentemente ridotta a un’isocronia
di massima»177.
Nell’antifona Ego sum via, presa come esempio per spiegare il significato del
numerose canere, il testo del canto è sormontato dalla notazione dasiana e dai segni
metrici:
«Solo le ultime note delle tre sezioni sono lunghe; le rimanenti sono brevi.
Cantare ritmicamente significa dunque misurare le durate stabilite con i suoni lunghi
e brevi, e non prolungarle o contrarle qua e là (per loca) più di quanto è opportuno,
ma contenere la voce entro la legge della scansione, cosicché la melodia possa finire
con il ritmo con cui è cominciata»178. Per variare il tempo, cioè per dare alla melodia
177
Guido d’Arezzo, Le opere, pp. LXI-II.
178
SE I, 88.
LIX
Per istruire il Discipulus e fornirgli un esempio, il Magister comincia a
cantare scandendo i piedi e lo invita a imitarlo: «Age canamus exercitii usu, plaudam
quale tempo è adatto per questa o per quella melodia. Infatti è meglio che una
melodia sia cantata più velocemente, un’altra invece diventa più dolce se cantata più
lentamente. È bene però riconoscere subito, in base alla stessa struttura della
tempo appropriato, che sia adatto a ogni melodia, cioè in ragione del tempo, del
si impiegherà anche l’altezza stessa appropriata al tempo, con note chiare e soavi.
Con osservazioni di questo genere si otterrà una musica decorosa e ben costruita.
dolcezza ai canti»181.
179
SE I, 86-7. Cfr. anche SE, nota 44.
180
Queste affermazioni richiamano l’ultima parte del cap. XIX della ME. Questa è la seconda e ultima
volta in cui nella Scolica enchiriadis appare l’espressione extrinsecus occurrens. Le condizioni che
intervengono dall’esterno non sono soltanto quelle riferite alla velocità dell’esecuzione,
all’appropriata altezza dei suoni, ma anche al fatto che ogni melodia deve essere eseguita in ragione
del tempo, del luogo, delle varie circostanze e dei diversi stati d’animo.
181
SE, II, 89.420-8.
LX
6. NOTA ALLA TRADUZIONE
nell’edizione critica di Hans Schmid e, per agevolare il lettore, tanto nel testo latino
come nella traduzione sono stati inseriti tra parentesi quadra i numeri di pagina e
nelle note anche il numero delle linee dell’edizione stessa. I numeri romani che
nelle note precedono la pagina si riferiscono ai capitoli della Musica e alla parte della
Scolica. Nelle note, inoltre, abbiamo anche segnalato e spiegato tutti i casi in cui ci
siamo discostati dall’edizione critica ed abbiamo emendato gli errori in essa rilevati.
Non si può dire che i trattati Enchiriadis siano stati concepiti con finalità
lessico che spesso ci ha posti di fronte a una sintassi involuta e a una terminologia a
Alcuni termini non sono stati tradotti (phthongus, epogdous, colon, comma,
multitudo, magnitudo, ecc.) perché nel testo assumono un valore pregnante; altri,
invece (protus, deuterus, tritus, tetrardus, ecc.) sono stati conservati nella lingua
originale perché nel tempo si sono cristallizzati nella terminologia specifica del
traduzione di termini tecnici solo quando si é ritenuto di poterlo fare senza ingenerare
confusione o senza tradire il significato autentico del lemma latino. Nella traduzione,
inoltre, si trovano in corsivo termini ed espressioni tolte dal testo latino che sono
racchiuse tra parentesi tonde o, se non tradotte, come parte del testo.
LXI
Quanto alla struttura argomentativa e alla sintassi, in generale si è cercato di
subordinazioni, sono stati però a volte frazionati in più periodi italiani per agevolarne
stile dell’autore.
dialogica sono discussi e approfonditi gli argomenti esposti nel primo trattato.
l’interlineatura.
enchiriadis and Scolica enchiriadis. Per mantenerci il più aderente possibile alle
descriptiones dell’edizione critica abbiamo ribaltato nella Musica gli esempi delle figg.
10.2, 12.2 e nella prima parte della Scolica quelli delle figg. 3, 4, 15, 17. Nei
diagrammi a lambda della Scolica (SE I, figg. 6-13) abbiamo aggiunto i simboli della
notazione dasiana che facilitano la comprensione della spiegazione del Magister. Nella
fig. 17.1 della Musica, inoltre, abbiamo corretto l’erratum del testo [s]quallidique.
LXII
BIBLIOGRAFIA
FONTI
LXIII
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origine: sconosciuta, derivato da un manoscritto realizzato secondo un modello
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Fi Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham 1051, sec. XIVin
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Montecassino
LXIV
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B. Bischoff), sec. Xex (Schmid). origine: Corbie, provenienza: Parigi, St.
Germain des Prés (lat. 1094)
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Tr Cambridge, Trinity College, R.15.22 (944), sec. XII (1130–1160 o 1175–
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Un Cambridge, University Library, Gg. v. 35 (cat. 1567), sec. XIex origine:
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We Düsseldorf, Universitätsbibliothek, H 3, sec. IX, origine e provenienza:
Werden, St. Liudger
Xo Oxford, St. John’s College, 188, sec. XIIIex (Schmid, sec. XIII/XIV), origine:
Inghilterra, provenienza: Christophorus Carreus; Nicolas Lymbe
Zo Solothurn, Stadtarchiv, 10, sec. X (prima metà), origine: sconosciuta,
provenienza: Abbazia di Schönenwerd
*
* *
Musica et scolica enchiriadis una cum aliquibus tractatulis adiunctis recensio nova
post Gerbertinam altera ad fidem omnium codicum manuscriptorum, a cura di
Hans Schmid, Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission,
München, Bayerische Akademie der Wissenschaften - Beck, 1981, Band 3,
(Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission, 3)
Patrologiae cursus completus. Series latina, a cura di Jacques Paul Migne, 221 voll.,
Paris, Garnier, 1844-1904, vol. CXXXII, pp. 957-1026
LXV
DIZIONARI E LESSICI
Le grand Gaffiot
Gaffiot, Félix, Dictionnaire latin-français: Le grand Gaffiot, Paris, Hachette,
2000
LXVI
Niermeyer, Mediae Latinitatis Lexicon Minus
Niermeyer, Jan Frederik, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, (Lexique latin
médiéval - Medieval Latin Dictionary - Mittellateinisches Wörterbuch)
composuit J. F. Niermeyer; perficiendum curavit C. van de Kieft; adiuvante G.
S. M. M. Lake-Schoonebeek, Leiden, E.J. Brill, 1976 (seconda edizione rivista
da J.W.J Burgers, Leiden-Boston, Brill, 2002)
LXVII
AUTORI E TRATTATI MEDIEVALI
Agostino, De Musica
Augustinus, Aurelius, De Musica, a cura di G. Marzi, Firenze, Sansoni, 1969
(Classici della Filosofia Cristiana, 1)
Agostino, De ordine
Augustinus, Aurelius, De ordine libri II (per il testo latino cfr. Migne,
Patrologia Latina, XXXII, 977-1020, Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum
Latinorum, LXIII, 121-185 e Corpus Christianorum, Serie Latina, XXIX, 89-
137)
Alia musica
Alia musica. Traité de musique du IXe siècle. Édition critique commentée avec
une introduction sur l’origine de la nomenclature modale pseudo-grecque au
Moyen-Age par Jacques Chailley, Parigi, Centre de documentation
universitaire et Société d’édition d’enseignement supérieur réunis, 1965
(Publications de l’Institut de Musicologie de l’Université de Paris, 6)
Cassiodoro, Institutiones
Cassiodorus, Aurelius, Institutiones musicae, seu excerpta ex eiusdem libro,
de artibus ac disciplinis liberalium litterarum in Scriptores ecclesiastici de
musica sacra potissimum ex variis Italiae, Galliae & Germaniae codicibus
manuscriptis collecti et nunc primum publica luce donati, a cura di Martin
Gerbert, 3 voll., St.-Blasien, Typis San-Blasianis, 1784; (Ristampa anastatica,
Hildesheim, Georg Olms Verlag, 1990), Vol. I, pp. 15-9.
LXVIII
Censorino, De die natali
Censorinus, De die natali liber ad Q. Caerellium, a cura di Fridericus
Hultsch, Leipzig, Teubner Verlag, 1867
Censorinus, De die natali liber ad Q. Caerellium, accedit Anonymi cujusdam
Epitoma disciplinarum (Fragmentum Censorini), a cura di Nicolaus
Sallmann, Leipzig, Teubner, 1983
Censorinus, De die natali liber ad Q. Caerellium, Prefazione, testo critico,
traduzione e commento a cura di Carmelo A. Rapisarda, Bologna, Pàtron,
1990
Commemoratio brevis
Commemoratio brevis de tonis et psalmis modulandis, in MSE, pp. 157-178
Fulgenzio, Opera
Fulgentius, Fabius Planciades, Opera, a cura di Rudolf Helm & Jean Preaux,
Stuttgart, Teubner, 1970
Grammatici latini
Grammatici latini ex recensione Henrici Keilii, a cura di Heinrich Keil
Leipzig, Teubner, 1855-80, 7 voll.
Inchiriadon
Inchiriadon (Musicae Enchiriadis elaboratio dicta parisiensis), in MSE pp.
187-205
LXIX
Isidoro di Siviglia, Etymologiae
Isidorus Hispalensis Episcopus, Etymologiarum sive Originum libri XX, a cura
di W. M. Lindsay, Oxford, Oxford University Press, 1911 (ristampa 1985);
traduzione in lingua italiana: Isidoro di Siviglia, Etimologie o Origini, a cura di
Angelo Valastro Canale, Torino, UTET, 2004, 2 voll.
Musica enchiriadis
Musica enchiriadis, in MSE, pp. 3-59
Scolica enchiriadis
Scolica enchiriadis, in MSE, pp. 60-156
LXX
OPERE COLLETTIVE, MONOGRAFIE, SAGGI E ARTICOLI
Atkinson, “Harmonia”
Atkinson, Charles M., “Harmonia” and the “Modi, quos abusive tonos dicimus”
in Trasmissione e recezione delle forme di cultura musicale. Atti del XIV
congresso della Società Internazionale di Musicologia, Bologna, 27 agosto – 1º
settembre 1987, Ferrara – Parma 30 agosto 1987, III: Free Papers, a cura di A.
Pompilio – D. Restani – L. Bianconi – F. A. Gallo, Torino, EDT, 1990, pp. 485-
500
Bower, Reflections
Bower, Calvin M., “Adhuc ex parte et in enigmate cernimus ...” Reflections on
the Closing Chapters of Musica enchiriadis, in Music in the mirror: reflections
on the history of music theory and literature for the 21st century, a cura di
Andreas Giger e Thomas J. Mathiesen, Lincoln [Neb.] and London, University
of Nebraska Press, 2002, pp. 21-44
LXXI
Colk Santosuosso, Polyphony notated by daseian and letter notations
Colk Santosuosso, Alma, Polyphony notated by daseian and letter notations, in
Le notazioni della polifonia vocale dei secoli IX-XVII. Antologia – Parte
prima, secoli IX-XIV, a cura di Maria Caraci Vela, Daniele Sabaino e Stefano
Aresi, Pisa, ETS, 2007, pp. 1-10
Correa Pabón, Numerus-Proportio en el De Musica de San Agustín
Correa Pabón, Guillermo León, Numerus-Proportio en el De Musica de San
Agustín, Tesi Dottorato inedita, Università di Salamanca, 2009
Coussemaker, Histoire
Coussemaker, Edmond de, Histoire de l’harmonie au Moyen Âge, Paris,
Didron, 1852
Coussemaker, Hucbald
Coussemaker, Edmond de, Hucbald, moine de St. Amand, et ses traités de
musique, Douai, Société d’agriculture, sciences et arts, 1841
Coussemaker, Mémoire
Coussemaker, Edmond de, Mémoire sur Hucbald et sur ses traités de musique,
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Dronke, Peter, The Beginnings of the Sequence, «Beiträge zur Geschicte der
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Duchez, Marie Elisabeth, Jean Scot Eriugène premier lecteur du De institutione
musica de Boece?, in Eriugena: Studien zu seinen Quellen, a cura di Werner
Beierwaltes, Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1980, pp. 165-87
Erickson, Boethius, Eriugena, and the Neoplatonism
Erickson, Raymond, Boethius, Eriugena, and the Neoplatonism of Musica and
Scolica Enchiriadis, in Musical Humanism and Its Legacy: Essays in Honor of
Claude V. Palisca, a cura di Naney K. Baker e Barbara R. Hanning, New York,
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Erickson, Musica enchiriadis
Erickson, Raymond, Musica enchiriadis, Scolica enchiriadis, voce in
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Ferrari Barassi, Elena, I modi ecclesiastici nei trattati musicali dell’età carolingia.
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Lera, Luigi, Le sorgenti della polifonia: una ricerca avventurosa, «Diastema»,
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Müller, Hans, Hucbalds echte und unechte Schriften über Musik, Leipzig,
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Nisard, Théodore, Archéologie musicale et le vrai chant grégorien, Paris,
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Ostheimer, Die Niederschrift von Musik mit Dasiazeichen. Untersuchungen zur
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Phillips, Nancy, Classical and Late Latin Sources for Ninth-Century Treatises
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Reckow, Fritz, Organum, voce in GROVE2, 18, pp. 671-95
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Reckow, Fritz, Organum-Begriff und frühe Mehrstimmigkeit, «Forum
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Williams, Peter, Organ, voce in GROVE1, 13, pp. 710-79
LXXVI
TRADUZIONE E COMMENTO
[Musica enchiriadis] 1
[3] <cap. I> INCIPIT LIBER ENCHIRIADIS DE MUSICA [3] I. COMINCIA IL MANUALE DI MUSICA
Sicut vocis articulatae elementariae atque individuae partes sunt litte- Come le lettere dell’alfabeto sono le componenti2 elementari e indivisibili del
rae, ex quibus compositae syllabae rursus componunt verba et nomina linguaggio (vox articulata) e le sillabe da queste composte compongono a
eaque perfectae orationis textum, sic canorae vocis ptongi, qui Latine loro volta i verbi e i sostantivi che formano il tessuto di un discorso compiuto,
dicuntur soni, origines sunt et totius musicae continentia in eorum così gli phthongi3, detti soni in latino, sono le basi del canto (vox canora) e il
ultimam resolutionem desinit. Ex sonorum copulatione diastemata, contenuto di tutta la musica, in ultima analisi, è riconducibile ad essi4.
porro ex diastematibus concrescunt systemata; soni vero prima sunt Dall’unione dei suoni si generano gli intervalli e dagli intervalli i sistemi mu-
1
Il titolo Musica enchiriadis appare con qualche variazione e in alcuni casi con l’attribuzione a un presunto autore solo in un numero ridotto di codici. Il trattato risulta infatti
senza titolo in 15 manoscritti, compreso A, considerato il più antico e il più vicino all’archetipo (cfr. Introduzione, I titoli, Attribuzione dell’opera e sua datazione e MSE, nota critica,
p. 3). Anche i titoli e le numerazioni dei capitoli, già presenti nell’edizione di Gerbert, sono aggiunte posteriori (cfr. Phillips, Sources, nota 26 pp. 137-8).
2
D’accordo con Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 2, p. 1, il termine partes non è stato tradotto come ‘parti’, ma come ‘componenti’, per evitare la confusione con
le categorie grammaticali, tradizionalmente conosciute come ‘parti del discorso’.
3
Nonostante che nel testo dei trattati Enchiriadis appaia ptongus, abbiamo preferito la grafia phthongus, traslitterazione esatta del vocabolo greco fqÒggoj. Nella nostra traduzione
abbiamo rispettato la distinzione tra sonus – termine generico, assimilabile al pressoché sinonimo vox (cfr. nota 39) – tradotto con ‘suono’ e phthongus, lasciato invariato per indicare
i suoni che «legitimis ab invicem spaciis melo sunt apti».
4
«L’analogia tra struttura del linguaggio e struttura della musica, di probabile origine pitagorica, enunciata in alcuni dialoghi di Platone, sviluppata da due seguaci di Aristotele,
Aristosseno e Adrasto, fu trasmessa al mondo latino dal commento di Calcidio alla traduzione del Timeo platonico» (Gallo, La polifonia, p 3). Il passo I, 44 (ed. Bompiani, 192-5)
che è la base di tutto l’incipit della ME, sarà liberamente ripreso anche da Guido d’Arezzo (Micrologus, 15, 2-4).
«Etenim quem ad modum articulatae vocis principales sunt et maximae partes no- «Come, infatti, i sostantivi e la forme verbali rappresentano le componenti fondamentali e le parti
mina et verba, horum autem syllabae, syllabarum litterae, quae sunt primae voces principali che costituiscono il linguaggio articolato, e lo stesso può affermarsi delle sillabe in rap-
indiuiduae atque elementariae ex his enim totius orationis constituitur continentia porto alle parole e delle lettere, che sono suoni fondamentali, semplici ed elementari, in rapporto
et ad postremas easdem litteras dissolutio pervenit orationis ita etiam canorae alle sillabe – da questi elementi dipende, infatti, in ultima analisi il contenuto di un intero discorso,
vocis, quae a Graecis emmeles dicitur et est modis numerisque composita, principa- che può essere scomposto in elementi via via più semplici, fino a giungere alle stesse lettere, in
les quidem partes sunt hae, quae a musicis appellantur systemata. Haec autem ipsa modo del tutto analogo, nel linguaggio musicale, che è detto dai Greci emmeles, che risulta da una
constant ex certo tractu pronuntiationis quae dicuntur diastemata, diastematum por- combinazione di numeri e ritmi, sono ritenuti componenti principali quelli che i musicologi [sic]
ro ipsorum partes sunt pthongi, qui a nobis vocantur soni; hi autem soni prima sunt definiscono systemata. Queste componenti, a loro volta, sono costituite da determinati segmenti di
fundamenta cantus». suono, definiti dai musicologi diastemata; parti di questi diastemata sono, a loro volta gli pthongi,
che noi chiamiamo ‘suoni’ e che costituiscono, per così dire, il fondamento del canto».
«Il parallelismo tra l’atomizzazione della voce nel fonema alfabetico e quella del suono nella nota musicale può essere considerato un luogo comune della trattatistica medievale»
(Capuano, I segni della voce infinita, p. 141). Cfr. anche ME, cap. VII e inizio cap. X (nota 52).
1
fundamenta cantus. Ptongi autem non quicumque dicuntur soni, sed sicali5. I suoni, dunque, sono i fondamenti primari del canto. Ora, non tutti i
qui legitimis ab invicem spaciis melo sunt apti. Eorum quidem sic et soni sono chiamati phthongi, ma solo quelli che, disposti tra loro a distanze
intendendo et remittendo naturaliter ordo continuatur, ut semper [4] appropriate, sono adatti al canto. E per la precisione, salendo e scendendo in
quattuor et quattuor eiusdem conditionis sese consequantur. At singuli modo naturale, si forma una serie di suoni che si succedono sempre [4] di
horum quattuor sic sunt competenti inter se diversitate dissimiles, ut quattro in quattro mantenendo la medesima disposizione (eiusdem conditio-
non solum acumine differant et gravitate, sed in ipso acumine et gravi- nis). Questi quattro [suoni], però, presi singolarmente, risultano così dissimili
tate propriam naturalitatis suae habeant qualitatem, quam rursus his l’uno dall’altro nella loro reciproca diversità, che non solo si distinguono per
singulis ratum ab invicem acuminis et laxionis spacium format. acutezza e gravità, ma, nella stessa acutezza e gravità ognuno possiede la
Exempli gratia hae in ordine ipsorum notae: qualità propria della sua natura, determinata dalla mutua distanza fissata so-
pra e sotto ogni singolo suono6. Come esempio questi sono, in ordine, i segni
grafici che li rappresentano (notae):
Primus qui et gravissimus Grece protos dicitur, vel ar- Il primo e il più grave è quello chiamato in greco
choos; protus o archous.
Secundus deuteros, tono distans a proto; Il secondo, chiamato deuterus, dista un tono dal protus.
Tertius tritos, semitonio distans a deutero; Il terzo, chiamato tritus, dista un semitono dal deuterus.
Quartus tetrardus, tono distans a trito. Figura 1.1 Il quarto, chiamato tetrardus, dista un tono dal tritus.
descr. 1
Horum continua multiplicatione sonorum infinitas texitur, et tamdiu qua- Dalla loro continua ripetizione si intesse una serie infinita di suoni che si
ternis quaterni eiusdem conditionis succedunt, donec vel ascendendo vel succedono a lungo nella medesima disposizione a gruppi di quattro fino a
descendendo deficiant. quando, ascendendo o discendendo, non possono andare oltre7.
5
Dĭastēma e systēma sono termini della teoria musicale greca e non vengono definiti che al cap. IX della ME. In questo contesto diastema deve essere inteso nella sua accezione di
intervallo, mentre systema è «da intendere come successione ordinata di intervalli di spatia (spazio fra due linee ma anche locus, topos dello spazio sonoro immaginario) che genera
graficamente un vero e proprio diagramma di linee parallele entro cui viene iscritto e fatto scorrere il testo da cantare» (Capuano, I segni della voce infinita, p. 143).
6
Come già fa notare Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 6, p. 2, il concetto di conditio che viene usato nella ME e nella Scolica enchiriadis (SE) si riferisce
tanto alla distribuzione dei suoni in un tetracordo, quanto alla relazione modale esistente tra essi (cfr. anche nota 81). Anche l’Inchiriadon rimarca che la differenza tra i suoni che
conformano il tetracordo non dipende solo dalla loro altezza relativa, ma anche dalla «cuiusdam proprietatis qualitate» (189.50-1), cioè dalla «proprietate naurae» (189.57).
7
Le possibilità vocali, infatti, non sono inesauribili e l’Inchiriadon (189.60-1) precisa che «ascendendo in nimium acumen extenuantur, vel descendendo usque in silentium defi-
ciant» («salendo, per l’eccessiva acutezza vengono meno o discendendo si esauriscono fino a giungere al silenzio»). Anche nella SE I, 63.60-70 si afferma che «quaternae socialiter
sibi diversae voculae tamdiu competente sibi successione coherent, donec vel nimium attenuatae deficiant vel gravatione conticescant» («i suoni diversi intercorrelati tra loro di quat-
tro in quattro, sono collegati in una successione appropriata finché o si esauriscono perché troppo acuti o tacciono perché troppo gravi»).
2
[5] Così:
[5] Ita:
8
Ogni suono di cui si compone un tetracordo possiede una qualità intrinseca (virtus) che lo rende unico e lo distingue dagli altri. Questa virtus non corrisponde all’altezza del suono,
ma alla relazione intervallare che lo pone in rapporto con il precedente (questa è la spiegazione che l’autore fornisce della fig. 1.1). Inoltre la virtus di ogni suono, come verrà dimo-
strato nel cap. VIII, determina la potestas (proprietà specifica) degli otto modi. Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 8, p. 3, considera i termini, virtus, pote-
stas, vis, proprietas e qualitas come termini essenzialmente sinonimi e anche Turroni Monti, Musica enchiriadis, nota 9, p. 109, indica come sinonimi in questo passo i lemmi quali-
tas, virtus e potestas. Nella nostra traduzione rendiamo qualitas con «qualità propria», virtus con «qualità intrinseca», potestas con «proprietà specifica o carattere» e vis (propria)
con «peculiarità».
9
Cfr. nota 38.
10
Schmid dispone i diagrammi e il testo su due colonne e Phillips, Sources, p. 51, fa notare che questa disposizione è caratteristica dei manoscritti più antichi. Nella fig. 1.3
l’autore dispone i suoni che conformano la scala propria dei trattati Enchiriadis, composta da quattro tetracordi (graves, finales, superiores, excellentes) disgiunti (separati da un
tono), a cui si devono aggiungere i due suoni residui, che nel Inchiriadon 190.82 sono denominati ultimi. Tutti i tetracordi presentano la stessa struttura intervallare, formata da
Tono - Semitono - Tono (T - S - T), come riporta la fig. 1.1.
3
[6] <cap. II> DE PTONGORUM FIGURIS ET QUARE SINT OGDECIM [6] II. I SIMBOLI DEGLI PHTHONGI E PERCHÉ SONO DICIOTTO
Igitur quia, ut dictum est, eiusdem conditionis quattuor et quattuor natura Poiché dunque, come si è detto, la natura ha fissato i [suoni] a gruppi di quattro
statuit, ita et notae pene sunt eaedem. Solummodo tetracordorum diffe- nella medesima disposizione, così anche i segni notazionali [che li rappresenta-
rentia versis in varium karacteribus indicatur. no] sono quasi gli stessi. L’unica differenza tra i tetracordi consiste nel diverso
orientamento delle [loro] forme grafiche (karacteres).
Il primo finalis o terminalis ha come grafia una dasia11 ├ inclinata con una S in cima, così:
Il secondo finalis ha in cima una C capovolta, così:
Il terzo finalis è una semplice I iota inclinata, così:
Il quarto finalis ha in cima una mezza C, così:
I graves sono i finales retroversi, così: t s t
I superiores sono i finales capovolti, così: t s t
Gli excellentes sono i graves capovolti, così: t s t
Excepto trito, qui in gravibus notam habet N inclinum , in superiori- Fa eccezione il tritus, che nei graves ha come segno grafico una N inclinata
bus N versum et inclinum , in excellentibus iota perfixum . Duo [7] , nei superiores una N capovolta e inclinata e negli excellentes una iota
residui signa habent iacentis proti et deuteri. Sunt omnes XVIII, attraversata da un trattino . I due [7] suoni residui presentano gli
quo videlicet singuli extremam suam symphoniam attingant, id est stessi segni grafici del protus e del deuterus, ma coricati su un fianco. In tutto
quindecimum sonum, unde post dicetur. Sunt et alia plura plurium sono diciotto, affinché, come è chiaro, i singoli [suoni] possano raggiungere
sonorum signa inventa antiquitus, sed nobis a facilioribus ordiendum. la loro consonanza più lontana12, cioè il quindicesimo suono, come si dirà in
seguito13. Esistono anche molti altri segni per rappresentare i suoni, creati nei
tempi antichi, ma per noi è meglio cominciare dai più facili14.
11
Le caratteristiche di questa scala sono evidenziate dalla notazione usata, chiamata ‘dasiana’, che si basa sul segno ├ denominato qui iota perfixus e nella SE I, 84.346 iota tran-
sfixus. Il segno che dà il nome alla scala rappresenta una delle due metà della lettera greca H (Ãta), chiamate anticamente dasia o daseya (├) e psilé (┤). «A proposito di questi segni
che in qualche modo ricordano quelli di Alypio va evidenziata la loro natura permutativa: dalla prima serie si ricavano le altre mediante rotazioni su un asse orizzontale e poi vertica-
le» (Capuano, I segni della voce infinita, p. 142). Cfr. anche Introduzione, Le notazioni e la scala.
12
Il termine symphonia, usato qui per la prima volta, sarà definito nel cap. X e nella nostra traduzione sarà indicato sempre come ‘consonanza’ (cfr. nota 50), senza necessariamente
implicare il concetto di simultaneità. Solo i primi quattro suoni della scala (corrispondenti al tetracordo dei graves) possono formare una quindicesima (extrema symphonia) senza
oltrepassare le note del sistema: «IIIIor priores, quia secundum nomina non sunt plures quam IIIIor» (N).
13
ME, cap. XI.
14
L’esposizione si conclude con una affermazione che attesta la conoscenza dell’autore di altre notazioni, i cui simboli gli appaiono troppo complessi. Sicuramente si riferisce alle
antiche notazioni descritte da Boezio, De inst. mus., IV, 3-4 (Friedlein, 308-14) così come suggerisce una glossa del manoscritto P: «quemadmodum in Boetio exemplum videmus»
(«come vediamo in Boezio a mo’ d’esempio»). Boezio, però, si preoccupa di non modificare i simboli della notazione per trasmetterli esattamente come erano nell’antichità: «Nos
vero cavemus aliquid ab antiquitatis auctoritate transvertere» («Noi ci atterremo strettamente all’autorità degli antichi») De instit. mus. IV, 3 (Friedlein, 309, 19). L’Inchiriadon 190.
196-8 ribadisce l’intenzione di evitare le complessità delle notazioni più antiche e la predilezione per la dasiana, considerata più facile: «Fuerunt quoque et aliae plures plurium sono-
rum vel cordarum notae antiquitus inventae, quibus evitatis has faciliores hic inserere curae fuit» («sono esistite anche molte altre notazioni per più suoni o corde, inventate
nell’antichità, ma avendole escluse, ci siamo preoccupati di introdurre qui quelle più facili»).
4
<cap. III> III. ORIGINE DELLA DENOMINAZIONE DEL TETRACORDO DEI FINALES
UNDE DICATUR TETRACORDUM FINALIUM ET CETERORUM E ALTRI ARGOMENTI
Terminales sive finales dicuntur, quia in unum aliquem ex his quat- I [suoni] terminales o finales sono così chiamati perché ogni melodia deve
tuor melos omne finiri necesse est. Etenim primi toni melum et su- finire su uno di questi quattro. Infatti, una melodia in primo modo (tonus)15
biugalis sui sono archoo regitur et finitur. Secundus tonus cum e nel suo subordinato (subiugalis)16 è retta e conclusa dal suono archous
subiugali suo sono deutero regitur et finitur. Tertius eiusque su- [Re]. Il secondo modo con il suo subordinato è retto e concluso dal suono
biugalis [8] sono trito regitur et finitur. Quartus cum suo subiugali deuterus [Mi]. Il terzo e il suo subordinato [8] è retto e concluso dal suo-
sono tetrardo regitur et finitur. Vocatur autem autentus maior qui- no tritus [Fa]. Il quarto con il suo subordinato è retto e concluso dal suono
libet tonus, plagis minor. tetrardus [Sol]. Ogni modo maggiore quindi è chiamato autentico (au-
tentus) e ogni modo minore è chiamato plagale (plagis).
Finales seu terminales soni sub se habent unum tetracordum, quod I [suoni] finales o terminales hanno sotto di sé un solo tetracordo, che è
dicitur gravium, supra se autem duo, id est superiorum et excellentium detto dei graves, mentre sopra ne hanno due: il tetracordo dei superiores e
cum residuis duobus sonis, videlicet quod simplex et legitimus cantus quello degli excellentes, a cui vanno aggiunti i due suoni residui, e ciò per-
inferius non descendit quam usque ad sonum quintum a finali suo, in ché, evidentemente, un canto monodico (simplex) e conforme alle regole
primo dumtaxat tono et secundo ab archoo vel proto finali usque in (legitimus) non scende sotto il quinto suono dalla sua finalis17. Per la preci-
15
Il termine tonus a volte indica un intervallo tra due note e perciò sarà tradotto come ‘tono’ (cfr. nota 41) in contrapposizione al ‘semitono’. Quando invece indica un modo eccle-
siastico o una categoria melodica, sarà tradotto, come qui, con ‘modo’. Nel cap. VIII della ME si chiarirà che l’uso di ‘tono’ per ‘modo’ è improprio: «modos, quos abusive tonos
dicimus» («modi, che impropriamente chiamiamo toni») e nella SE I, 79.229-30 si ritroverà la stessa definizione che aggiunge come sinonimo di modus anche il termine tropus (cfr.
ME, nota 26 e SE note 34 e 67): «Tropi autem vel modi sunt, quos abusive tonos dicunt» («I tropi, poi, o modi, sono quelli che impropriamente chiamano toni »). Mai, comunque,
tonus è usato come sinonimo di phthongus, vox o sonus. Il termine modus, invece, altamente polisemico, quando indica un modo ecclesiastico sarà tradotto con ‘modo’; quando inve-
ce è usato genericamente sarà tradotto nella forma che meglio si confà al contesto.
16
Abbiamo preferito tradurre subiugalis con il termine ‘subordinato’ per non anticipare il termine ‘plagale’, definito solo alla fine del capitolo.
17
Simplex et legitimus nel manoscritto P sono così spiegati (cfr. Schmid, note 1 e 2, p. 8): «Simplex cantus dicitur sine organo» («Si definisce canto ‘semplice’ quello senza orga-
num»), e «legitimus, qui mensuram sibi inditam non excedit» («legittimo [i.e. conforme alle regole] quello che non supera l’ambito assegnatogli»). Il manoscritto N definisce legiti-
mus «qui non transit suum terminum ascendendo et descendendo» («[il canto] che non supera il proprio limite ascendendo e discendendo»). Gli stessi termini ricorrono in un conte-
sto identico nella SE I, 86.379: «simplex ac legitimum melos». In questo passo l’autore stabilisce il limite grave dell’ambito dei modi autentici e dei loro corrispondenti plagali, fissa-
to una quinta sotto la finalis comune.
5
eundem gravem , in tertio et quarto a deutero finali usque in eun- sione, nel primo e nel secondo modo [un canto] discende dal [Re] ar-
dem gravem , in quinto et sexto a trito finali usque in eundem [9] chous o protus finalis fino al corrispondente suono dei graves [SOL], nel
gravem , in septimo et octavo a tetrardo finali usque in eundem terzo e quarto modo, [discende] dal deuterus finalis [Mi] fino al corri-
gravem . At vero in acumine a quocumque finali sono usque in ter- spondente gravis [La], nel quinto e sesto dal [Fa] tritus finalis fino al
tium eiusdem nominis sonum efferri valet, id est usque in excellentes. corrispondente [9] gravis [Sib], mentre nel settimo e ottavo dal [Sol]
tetrardus finalis fino al corrispondente gravis [Do]. Per quanto riguarda il
limite superiore, tuttavia, è consentito salire da qualunque finalis fino al
terzo suono dello stesso nome, ossia fino agli excellentes18.
<cap. V> QUID DISTET INTER AUTENTOS ET MINORES TONOS V. DIFFERENZA TRA I MODI AUTENTICI E I SECONDARI (PLAGALI)
Praeterea cum eodem sono autentus quisque tonus et qui sub ipso est re- Inoltre, siccome ogni modo autentico e quello che gli sta sotto (i.e. il suo
gantur et finiantur, unde et pro uno habentur tono, in hoc tamen differunt, plagale) si reggono e terminano sul medesimo suono, in virtù di ciò sono
quod minoribus tonis minora in elevando sunt spacia, et inferior quisque considerati un solo modo. Differiscono tuttavia in quanto nei modi secon-
tonus non nisi ad quintum usque sonum a finali sono ascendit, sed et hoc dari l’ambito ascendente è minore e nessun modo inferiore oltrepassa,
raro. salvo rare eccezioni, il quinto grado dalla finalis19.
18
Il ‘terzo suono dello stesso nome’ si riferisce alla terza riapparizione del nome del segno che rappresenta la nota, cioè protus, deuterus, tritus e tetrardus che, rispetto al tetracordo
dei finales, si trova nel tetracordo degli excellentes. Secondo questa teoria l’ambitus superiore di ogni modo autentico è una nona invece che un’ottava. Nella SE I, 86, 378-80 si
ripresenta questa affermazione: «Quia sive altiore sive submissiore voce canatur quodlibet simplex ac legitimum melos, non nisi ad quintum sonum a finali sono deponitur, nec nisi
in nonum usque ascendit» («Poiché, sia che si canti in un registro più acuto o più grave, ogni melodia monodica e conforme alle regole non scende più di una quinta sotto il suono
finalis e sale soltanto fino alla nona»). Questo è vero solo per i modi autentici, poiché il limite superiore per i modi plagali come sarà definito nel capitolo immediatamente succes-
sivo è limitato alla quinta.
19
Nella traduzione di questo capitolo abbiamo rispettato i termini usati dal nostro autore per riferirsi ai modi plagali, indicati come minores, in quanto ‘secondari’ o inferiores per
sottolineare la posizione rispetto al corrispondente modo autentico. Da qui in poi, indipendentemente dal lemma usato, tradurremo sempre minor, inferior o subiugalis (cfr. nota 16)
con plagale. La regola relativa al limite superiore dei modi plagali, qui sbrigativamente enunciata, è più accuratamente esposta nell’Inchiriadon 191.115-21: «Praeterea cum ab eo-
dem sono autentus quisque tonus et qui sub ipso est regantur et finiantur, in hoc differunt, quod quorumque inferiorum tonorum angustiora sunt spacia, nec superiorem eiusdem no-
minis sonum a quoquam finali suo subiugali tono attingere licitum est, sed infra ipsum morandum; hoc enim ius proprium inferiorum est, licet aliquotiens evenit superiorem parum-
per tangere» («Inoltre, benché tutti i modi autentici e tutti quelli che si trovano al di sotto di essi (i.e. i loro plagali) si reggano e si concludano sul medesimo suono, differiscono tuttavia
perché l’ambito ascendente di tutti i modi minori è più limitato e non è lecito raggiungere da qualunque finale il suono superiore del medesimo nome da parte del suo plagale, ma ci si
deve fermare al di sotto; questa infatti è la legge propria dei modi inferiori, benché qualche vota capiti che un modo plagale, anche se raramente, tocchi i superiores»).
6
[10] <cap. VI> DE PROPRIETATE SONORUM ET QUOTIS LOCIS AB INVICEM [10] VI. LA PROPRIETÀ DEI SUONI E QUANTO DISTANO L’UNO DALL’ALTRO I
DISTENT EIUSDEM QUALITATIS SONI SUONI DELLA MEDESIMA QUALITÀ
Igitur quem in his studere delectat, det operam, quatinus propriam Chi si diletta in questi studi, dunque, si sforzi di comprendere fino a che
cuiusque soni vim calleat dinoscere, dehinc in miscendis sonis quo- punto sia possibile distinguere la peculiarità (vis propria)20 di ogni suono
tumcumque ptongum sive in gravem seu in acutam partem celeriter e, in seguito, a riconoscere senza esitazione, tra i suoni disposti senza or-
capere, ut, et virtute et karactere quotus quisque sit sonus a sono, li- dine, ogni phthongus sia al grave sia all’acuto. Potrà così riconoscere con
quido contempletur. Omnis sonus musicus habet in utramque sui par- sicurezza la distanza tra un suono e l’altro, in base alla loro qualità intrin-
tem quinto loco suaemet qualitatis sonum, tertio loco in utrumque la- seca (virtus) e alla loro forma grafica (karacter). Ogni suono musicale ha
tus sonum eundem, et quem in hoc aut illo latere secundum habet, in alla quinta inferiore e alla quinta superiore un suono della medesima carat-
altero habet quartum. Dandum quoque aliquid eis est, qui minus adhuc teristica21, e ritrova il medesimo suono anche alla terza inferiore e superio-
in his exercitati sunt, quo vel in noto quolibet melo sonorum proprias re. Ogni suono, alla seconda inferiore o superiore, ritrova il suo equivalen-
discant discernere qualitates vel ignotum melum ex nota eorum quali- te alla quarta dalla parte opposta22. Bisogna offrire anche qualche consi-
20
Il manoscritto N definisce il significato di vis propria: «vis propria proti est, ut supra se habeat tonum, deuteri semitonium et haec est propria vis» («la peculiarità del protus consi-
ste nel fatto che sopra di sé ci deve essere un tono, quella del deuterus un semitono e questo è il significato di ‘propria vis’»).
21
Nei manoscritti E e D si afferma che questa è una falsa regula, che viene rettificata dicendo: «habet suae qualitatis caracterem, non sonum» («ha la forma grafica della sua qualità,
non il suono»). L’Inchiadon 192, 136 invece, in luogo della qualitatis sonum, preferisce nominis sonum. Per chiarire graficamente il concetto, riportiamo la descriptio 2
dell’Inchiriadon (191):
22
Per rendere evidente la spiegazione, finalizzata all’identificazione dei suoni attraverso la loro affinità tetracordale, si segua lo schema sotto riportato, in cui i nomi delle note sono
indicati con le loro iniziali:
La corrispondenza dei suoni alla quinta, che sta alla base tanto della notazione dasiana come della scala dei trattati Enchiriadis, sarà criticata da Guido (cfr. Micrologus, 5, 19-23 e
Regulae, 53-54) il quale sostiene che questa notazione «ingenera la falsa impressione di un’identità sonora fra i suoni in quinta, mentre nella realtà, l’identità si verifica esclusiva-
mente fra i suoni in rapporto di ottava» (Guido d’Arezzo, Le opere, nota 81, p. XLVI). Cfr. anche Introduzione, Le notazioni e la scala.
7
tate et ordine per signa investigare. Non parum enim ad investigatio- glio a coloro che, fino a questo momento, sono meno avvezzi a questi
nem hanc [11] proficit, dum singulorum ipsorum per vicinos sonos esercizi, affinché imparino a distinguere in qualsiasi melodia conosciuta le
Greca suo ordine modulantur vocabula hoc modo: qualità proprie dei suoni oppure a decifrare una melodia sconosciuta dalla
qualità e dall’ordine [dei suoni] attraverso i segni grafici. E in questa ri-
cerca [11] giova non poco cantare uno dopo l’altro (suo ordine) i nomi
greci dei singoli segni passando per i suoni contigui, in questo modo23:
descr.
Figura 6.1
23
In questo capitolo l’autore della ME passa dalla teoria alla pratica e insegna come distinguere la vis propria (peculiarità) di ogni suono e come associare a orecchio la sua virtus
(qualità intrinseca) e il suo karacter (forma grafica), usando come riferimento i suoni del tetracordo dei finales. Ciò si concretizza nell’esempio (fig. 6.1), che Erickson, Musica en-
chiriadis and Scolica enchiriadis, nota 15, pp. 5-6, considera «puzzling», cioè confuso e fa notare «That the series begins with tritus suggests an incomplete set of examples». Più
chiari sono invece gli esempi proposti dalla SE III, 153-4ff e dall’Inchiriadon 191, 125-6ff, dove le sequenze discendenti e ascendenti sono presentate in modo più coerente:
8
cap. VII DESCRIPTIUNCULAE DE SONORUM PROPRIETATIBUS VII. BREVI DESCRIZIONI DELLE PROPRIETÀ DEI SUONI
AD EXERCENDUM A SCOPO D’ESERCIZIO
Sic itaque sonus quisque dum suo semetipsum nomine canit, facile in Così dunque, quando si intona ogni suono con il suo proprio nome, nel
canendo sentitur, quis ille vel ille sit. Exemplo sit inferius descriptum cantarlo ci si rende conto facilmente di quale suono sia. Si prenda come
carmen, quod superscriptae syllabis notae musicae modulantur ipsa- esempio il canto riportato qui sotto, in cui le grafie musicali poste sopra le
rum desuper notarum appellationibus adsignatis ad hunc modum. sillabe sono intonate con i nomi collocati sopra le grafie stesse, in questo
modo24:
24
Per illustrare il suo nuovo sistema di notazione l’autore ha scelto i primi quattro versi del «carmen» Rex caeli in una trascrizione in cui il testo, suddiviso in sillabe, è inserito in una
griglia e su ogni sillaba sono collocati i segni della notazione dasiana, sormontati a loro volta dal nome del segno stesso. Come fa notare Erickson, Musica enchiriadis and Scolica
enchiriadis, nota 16, p. 6, Schmid tenta di correggere la forma confusa e piena di errori delle fonti più antiche (compresa A), «which probably derive from the miscopying of a model
that had to be read by rotating the exemplar ninety degrees». La riorganizzazione delle frasi del testo operato da Schmid è stata criticata da Dronke, Types of Poetic Art in Tropes, il
quale contesta anche l’affermazione di Phillips - Huglo, The Versus Rex caeli, pp. 39-41, che il versus sia una sequenza. Il carmen sarà ripreso nei capitoli XVII e XVIII e fungerà da
vox principalis per illustrare le speciali procedure richieste nell’organum alla quarta. Negli esempi (fig. 17.1 e 18.1) gli incisi «squalidique soli» e «maris undisoni», in concordanza
con le fonti manoscritte, sono invertiti. In realtà il testo completo e la melodia, come fa presente Phillips, Sources, p. 463, sono conosciuti attraverso una sola fonte, Bamberg Var. 1.
La Phillips, inoltre, afferma che Rex caeli non doveva essere familiare agli scribi e che probabilmente era stato scelto per dimostrare la nuova notazione dasiana «precisely because it
was unknown» (ib, p. 464), proprio perché gli allievi imparassero a decifrare i suoni di un ignotum melum. Lo schema è presentato come esempio anche nell’Inchiriadon 188, 33-6ff:
Qui i segni dasiani sono posti sopra le sillabe, ma senza diagrammi lineari o griglie. Cantando ogni suono con il nome annotato sopra ogni sillaba, il Discipulus poteva così capire di
quale suono si trattasse.
9
[12] [12]
[13] Sed dum forte in sono aliquo dubitatur, quotus sit, tum a semitoniis, [13] Se per caso, però, si è in dubbio sull’identità di qualche suono, allora,
quibus constat semper deuterum tritumque disiungi, toni in ordine rimen- partendo dai semitoni i quali, come è noto, separano sempre deuterus e
tur et mox, quis ille fuerit, agnoscetur, donec sonos posse notare vel ca- tritus è bene esaminare i suoni25 disponendoli uno dopo l’altro e subito
nere non minus quam litteras scribere vel legere ipse usus efficiat. Et si riconoscerà quale sia il suono in questione, fino a quando, a furia di
haec utcumque dicta sint ad studia incipientium adiuvanda. esercitarsi, si riuscirà a rappresentare o cantare i suoni con la stessa facilità
con cui si scrivono o si leggono le lettere dell’alfabeto. E queste istruzioni,
comunque, vanno date per aiutare lo studio dei principianti.
25
Per cercare di evitare la ripetizione del termine sonus, l’autore ricorre impropriamente a tonus, prontamente rettificato dalla glossa del manoscritto N: «toni “pro soni”». Questo
chiarimento permette di comprendere facilmente il passo senza dover giustificare la necessità di ricorrere alla «possibilità di dividere l’intera scala per semitoni dando un’indicazione
generica talmente ordinaria da fare immaginare che la mancanza delle inerenti istruzioni pratiche si debba al fatto che la suddivisione per semitoni lungo la scala fosse un procedi-
mento comune e/o chiarito nell’explicatio orale» (Casadei Turroni Monti, Musica enchiriadis, nota 31, p. 113). L’esercizio pratico sopra descritto pone in rilievo che per identificare
con esattezza i differenti suoni è necessario rapportarli con i semitoni vicini.
10
<cap. VIII> VIII. TUTTI I MODI SONO PRODOTTI DALLA PECULIARITÀ DEI
QUOMODO EX IIIIor SONORUM VI OMNES TONI PRODUCANTUR QUATTRO SUONI
Demonstrandum nunc, quomodo haec quattuor ptongorum vis modos, Si deve ora dimostrare come la peculiarità dei quattro phthongi regoli i
quos abusive tonos dicimus, moderetur, et fiat dispositio talis: Sternantur modi, che impropriamente chiamiamo toni26, e come si ottenga tale dispo-
in ordine veluti quaedam cordae e sonorum notis singulis e [14] regione sizione. Tracciamo in ordine delle linee rette simili a corde [14] che parta-
positis procedentes. Sint autem cordae vocum vice, quas eae significent no da ciascuno dei segni grafici dei suoni posti verticalmente27. Queste
notae. Inter quas cordas exprimatur neuma quaelibet, utputa huiusmodi: linee sostituiranno poi i suoni che quei segni esprimono. Su queste linee
rappresentiamo una melodia (neuma)28 qualsiasi come, per esempio:
Figura 8.1
descr. 1
Dunque, per confermare sia uditivamente che visivamente ciò che si sta dicendo,
Ergo ut, quod dicitur, et audiendo et videndo comprobetur, alia rursus facciamo un altro piccolo esempio usando la stessa melodia. In modo analogo,
descriptiuncula per neumam eandem fiat. Similiter enim cordis a parte in infatti, tracciate le linee da parte a parte, trascriviamo per quattro volte una dopo
partem ductis quaterna inter cordas series continuatim describatur, ita ut l’altra la melodia tra le linee, in modo tale che ogni serie (i.e. linea melodica) sia
26
Il termine tonus è stato usato dal secolo VIII in riferimento agli otto modi ecclesiastici e questa ambiguità si è protratta nel tempo e ha reso necessaria la chiarificazione del termine
modus, non solo qui, ma anche nella SE (cfr. SE, note 34 e 67). Uno studio specifico su questo argomento è stato presentato da Atkinson, “Harmonia”, pp. 485-500. L’autore ricono-
sce che al tempo della ME la terminologia era influenzata da Boezio, che già aveva generato l’ambiguità tra il termine tonus (derivato dal greco tÒnoj) e i termini modus e tropus
(cfr. Boezio, De inst. mus. IV, 15, (Friedlein, 341, 19-21): «modi, quos eosdem tropos vel tonos nominant»). Queste difficoltà e incertezze nell’uso dei termini che, coinvolgendo
anche Boezio, maestro a cui attingono tanto i trattati Enchiriadis che Guido d’Arezzo, creano ambiguità che il termine abusive cerca di mitigare. La definizione di tonus e modus o
tropus si incontrerà nel cap. IX della ME (cfr. nota 44).
27
Questo è il primo degli esempi in cui i segni dasiani, riportati nel margine sinistro, sono associati a delle linee (cfr. Ostheimer, Die Niederschrift von Musik mit Dasiazeichen, p.
53), che non devono però essere confuse con un pentagramma, perché in primo luogo il loro numero varia secondo la necessità della spiegazione e inoltre solo le linee sotto le sillabe
(non gli spazi interlineari) sono usate per collocare le differenti note della melodia. Spesso il termine linea è sostituito da corda, che va inteso come metafora per indicare un dia-
gramma lineare la cui invenzione non è rivendicata né da Hucbald, né dall’autore della Musica enchiriadis. La Phillips, Source, p. 215, ascrive a Boezio, De inst. mus. (Friedlein,
207-12, 217-8, ecc.) l’origine dei diagrammi che usano le linee come se fossero le corde (nervi) della cetra. Nella SE, invece, le corde (come le canne) sono i corpi vibranti che gene-
rano i suoni che il Discipulus è invitato a usare per mettere in pratica le spiegazioni del Magister.
28
Abbiamo tradotto neuma con “melodia” seguendo l’uso dell’Inchiriadon 195-6 che impiega indifferentemente, nello stesso contesto, i due termini come se fossero sinonimi. An-
che nel cap. XIX il testo conferma la validità della nostra scelta dimostrando che il termine, ai tempi in cui fu scritta la Musica enchiriadis, veniva usato in questa accezione. Il primo
testo in cui appare il termine neuma, infatti, è il Liber de ordine Antiphonarii (C. 18, n. 7, 10) di Amalario (verso la metà del sec. IX) laddove descrive l’esecuzione del responsorio
Descendit del mattutino di S. Giovanni Evangelista. Già in questo testo il termine designa una melodia, composta da larghissimi melismi che si ripetevano tre volte (trifarium neuma)
sulla prima sillaba dell’inciso fabricae mundi.
11
unaquaeque series suo proprio sit insignita colore. Primae quidem neu- distinta da un suo proprio colore29. Certamente la serie della prima melodia ini-
mae series a sono incipiat et in sonum finiat. Secunda a sono in- zierà dal suono [la] e finirà sul suono [Re]. La seconda comincerà dal suo-
choet et sono compleatur. Tertia incipiat a sono et in [15] sonum no [si] e finirà sul suono [Mi]. La terza inizierà sul [do]30 e [15] finirà sul
desinat. Quarta a sono ordiatur et in sono consistat, ita: [Fa]. La quarta comincerà dal suono [re] e si concluderà sul [Sol], così:
Hae quattuor descriptiunculae, dum solo ab invicem semitonio vel tono Questi quattro brevi esempi, che distano tra loro solo un semitono o un tono
id est armonico spacio distant, eo solo a genere in genus singulae trans- intero31, cioè un intervallo armonico, grazie a questo solo intervallo sono
ponuntur. Primam dispositionem cum cecineris, poteris dinoscere, quia via via trasposti da un modo (genus) a un altro32. Dopo aver cantato la pri-
vis primi soni primi toni virtutem creet, qui protus autentus dicitur. ma disposizione, potrai riconoscere perché la peculiarità del primo suono
Secundam cum cecineris, senties tonum deuterum a sono deutero gu- [Re] crea la qualità intrinseca del primo modo, che è detto protus autentico.
29
Questo è il primo dei due passi della ME in cui alle linee melodiche inserite nei diagrammi lineari vengono assegnati colori diversi con il proposito di aiutare i discepoli a ricono-
scere con facilità una melodia quando è trasportata a quattro livelli tonali consecutivi. Quest’utile procedura didattica si ripresenta anche nel cap. XII 36, 2f in cui l’autore consiglia
di usare colori diversi, fino a giungere alla trasposizione in quinta che chiude l’esercizio. Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 19, p. 8, appoggiandosi alle
considerazioni della Phillips, Source, p. 216, stranamente afferma che «the earliest manuscripts apparently used different colors for different lines». Molto più logico e aderente al
testo, invece, è quanto afferma Rusconi: «non sono le linee ad essere colorate, ma i trattini che disegnano la melodia» (Guido d’Arezzo, Le opere, p. XLVI). Le «series» che si rap-
presentano «inter cordas» sono infatti le linee melodiche che sono generate dai trattini che vanno da una linea all’altra.
30
Nell’edizione critica di Schmid il segno grafico del tritus del tetracordo dei superiores è erroneamente scambiato con quello del tritus dei finales . L’errore qui è stato emendato.
31
Come ha già fatto rilevare Casadei Turroni Monti, Musica enchiriadis, nota 38, p. 114, «a parte il didascalico “semitonium non plenum toni intervallum” […] ricopiato da ME, 9,
21, Inchiriadon sta accuratamente lontano dal semitono» e nel passo «Hae IIIIor descriptiunculae solo ab invicem epogdoo vel tono, id est armonico inter cordas spacio distant, solo
quoque genere in genus singulae transponuntur» (195, 212-4) l’equivalenza tonus = epogdous, che nel nostro trattato sarà spiegata nel cap. IX, è da considerarsi come
«un’indicazione generica dell’intervallo tra suoni contigui» (ib.).
32
Il manoscritto N chiarisce: «I.e. a modo in modum» («cioè da un modo all’altro»).
12
bernari. Tertiam assumens videbis similiter in sono trito triti toni con- Dopo aver cantato la seconda ti accorgerai che il modo deuterus è retto dal
sistere potestatem. Quartam cum fueris modulatus, intelleges toni tetrardi suono deuterus [Mi]. Passando alla terza, vedrai analogamente che la pe-
genus a sono tetrardo procedere. culiarità del modo tritus risiede nel suono tritus [Fa]. Dopo aver cantato la
quarta, capirai che il modo tetrardus ha origine dal suono tetrardus [Sol].
[16] Igitur primae modulationi quaecumque primi toni mela aptari pote- [16] Tutte le melodie del primo modo33 e del suo plagale, dunque, potranno
runt et subiugalis sui. Sua similiter secundae. Sua similiter tertiae. Sua adattarsi alla prima melodia. Lo stesso principio vale per quelle del secon-
similiter quartae, ad subiecta singulorum exempla. Quae dupliciter ad do, per quelle del terzo e del quarto, come si può costatare nei sottostanti
evidentiorem intellectum describere conatus sum, et linealiter quidem esempi relativi a ogni singolo modo. Per una più chiara comprensione ho
veluti cordarum usu et singillatim notarum adpositione per syllabas. tentato di illustrare queste relazioni secondo due procedimenti: sia per mez-
zo di linee, usate come se fossero delle corde, sia mediante l’apposizione
dei simboli grafici a ciascuna delle sillabe34.
33
Nonostante le spiegazioni precedenti (e la definizione del capitolo seguente), ritroviamo l’uso improprio di tonus al posto di modus.
34
L’Inchiriadon 196, non si serve di diagrammi lineari e propone gli stessi esempi usando solo i segni dasiani collocati sulle sillabe. Come per la ME gli esempi – uno autentico e
uno plagale – guidano il Discipulus a comprendere il corretto passaggio di una melodia da un modo ad un altro per mezzo dello spostamento di un tono o di un semitono.
13
MODULATIO AD PRINCIPALEM PROTUM MODUM ET SUBIUGALEM EIUS MELODIA NEL MODO PROTUS AUTENTICO E SUO PLAGALE35
35
Ogni esempio consiste di tre parti: un alleluia, che stabilisce la forma autentica del modo delimitato dalla 5ª giusta, una frase nella forma autentica del modo e una frase nella for-
ma plagale. Come è stato fatto presente da Werner, The Psalmodic Formula “Neannoe” and Its Origin, p. 95 (che cita Fleischer, Neumen-Studien, II, 60), «the same tonic formula of
the noannoeane serves for the Alleluia as well. The Musica Enchiriadis refers constantly to this tonic formula in presenting the modes. This formula, in reality, is a musical paradigm
of the author of the Musica Enchiriadis, employing as underlying texts both Alleluia and Nonnanoeane, without distinction».
Gli esempi sono tratti dalle seguenti antifone (Cfr. CAO):
PROTUS:
DEUTERUS:
TRITUS:
TETRARDUS:
Per l’analisi delle melodie, delle loro fonti, delle varianti e delle varie versioni cfr. Phillips, Sources, pp. 424-40.
14
[17] [17]
Sequitur modulatio ad principalem deuterum modum et subiugalem eius. Segue una melodia nel modo deuterus autentico e suo plagale.
[18] [18]
Sequitur modulatio ad principalem tritum modum et subiugalem eius. Segue una melodia nel modo tritus autentico e suo plagale.
15
[19] Sequitur modulatio ad principalem tetrardum modum et subiugalem eius. [19] Segue una melodia nel modo tetrardus autentico e suo plagale.
36
La Commemoratio brevis 163 chiarisce con maggior precisione che queste formule «non sunt verba aliquid significantia, sed syllabae ad investigandam melodiam aptae».
L’Inchiriadon 197 presenta le otto melodie-tipo schematizzate e la SE I, 77.215 e segg. usa il «neuma regularis» come esempio per spiegare le trasposizioni
modali che si generano innalzando, di grado in grado, la melodia dal protus al tetrardus, per culminare l’esercizio sul protus del tetracordo superiore.
«Il sistema teorico della M. E. consente all’autore di analizzare le formule apechematiche (formule d’intonazione da apprendersi a memoria per imparare a riconoscere un modo da
un altro): una tale analisi, con la quale ogni suono della formula viene fatto corrispondere a un segno della scala dasiana, rende inutili le formule apechematiche e sancisce il loro
superamento. Ormai il senso del modo non è più ancorato a determinate melodie o formule da ripetere mnemonicamente, ma è dato da una successione di suoni distribuiti secondo
regole ben precise: è proprio questo che l’autore vuole dimostrare quando trasporta la stessa melodia su diversi gradi della scala dasiana; infatti, cambiando il suono finale e la dispo-
sizione interna degli intervalli, si ottiene una melodia di un altro modo» (Scarpetta, Musica Enchiriadis, p. 274).
16
<cap. IX> QUID SIT INTER PTONGOS ET SONOS, INTER TONOS ET EPOGDOOS, IX. DIFFERENZA TRA PHTHONGI E SONI, TRA TONI E EPOGDOI.
QUID ETIAM TONI ET MODI SIVE TROPI, PARTICULAE QUOQUE, QUID I TONI E I MODI O TROPI E ANCHE LE PARTICULAE. DIASTEMA E SISTEMA37
DIASTEMA ET SISTEMA
37
Per ridurre la difficoltà che presuppone l’uso esatto della terminologia viene presentato, nel capitolo che chiude la prima parte della ME, un interessante glossario sulle voci chiave,
indispensabili per comprendere correttamente il trattato. In realtà il capitolo avrebbe dovuto essere collocato all’inizio dello stesso, come avviene nell’Inchiriadon 187, che presenta,
salvo minime varianti (da noi segnalate in corsivo), lo stesso testo della ME:
ME: Inchiriadon:
Armonia est diversarum vocum apta coadunatio. In quibus vocibus quia plerumque so- Armonia est diversarum vocum apta coadunatio. In quibus vocibus quia plerumque so-
nos et ptongos indifferenter accipimus, sonos et [21] ptongos, tonos et epogdoos, quae nos et ptongos indifferenter accipimus, nec sonos et tonos itemque tonos et epogdoos,
singulorum sit proprietas, intimandum. Sonus quarumque vocum generale est nomen, quae tamen singulorum sit proprietas, intimandum. Sonus quarumque vocum generale
sed ptongos dicimus vocis canorae sonos. Tonus est spacii legitima magnitudo a sono in est nomen, sed ptongos dicimus vocis canorae sonos. Tonus est spacii legitima magnitu-
sonum. Hocque spacium musicorum sonorum, quia in sesquioctava proportione est, do a sono in sonum, hoc est spatium musicorum sonorum; quia in sesquioctava propor-
Greco nomine dicitur epogdous. Namque ut sescupla sive sesqualtera vel emiolia pro- tione est, Greco nomine epogdous dicitur. Namque ut sescupla, vel sesqualtera, seu
portio dicitur, quando maius minoris medietate superat, sesquitertia, ubi maius tertia emiolia proportio vocatur, quando maius minoris medietate superatur, sesquitercia, ubi
minoris parte precellit, sesquiquarta, dum minus quarta sui portione a maiore transcendi- maius tertia minoris parte praecellitur, sesquiquarta, dum minus quarta sui proportione a
tur, sesquiquinta, dum quinta parte alterum altero maius est, sesquisexta, dum sexta, maiore transcenditur. Sesquiquinta, cum parte quinta alterum maius est. Sesquisexta,
sesquiseptima, dum septima, ita sesquioctava comparatione sonus ad sonum sese habet, dum sexta. Sesquiseptima, dum septima. Ita sesquioctava comparatione sonus sono al-
dum gravioris altior in se quantitatem teneat et octavam insuper eius partem. tior exstat, dum gravioris in se quantitatem continet et octavam eius insuper partem.
Semitonium non plenum toni intervallum. Idem interdum limma vel diesis dicitur. Verum toni proprie dici possunt vocum proprietates, quae ex his spatiis deformantur.
Semitonium non plenum toni intervallum, id est limma, vel diesis dicitur.
Uno studio specifico ed esaustivo sull’intero capitolo è stato condotto da Traub, Zum neunten Kapitel der Musica enchiriadis, pp. 211-7.
38
Il termine armonia appare già all’inizio della ME I, 5.39, legato ai quattro suoni che determinano il carattere dei modi «Horum sociali diversitate tota adunatur armonia». La sua
definizione, che per importanza apre questo capitolo, sarà riconfermata dal Magister nella Scolica I, 106.155: «Armonia putatur concordabilis inaequalium vocum commixtio» (cfr.
SE, nota 70).
39
Il lemma polisemico vox, che prevalentemente traduciamo con ‘suono’ (in conformità con l’Inchiriadon che lo sostituisce frequentemente con sonus), talvolta conserva il suo si-
gnificato essenziale di ‘voce’ e, a volte, quando il contesto lo richiede, assume il valore di ‘termine’, ‘vocabolo’. Questa ambivalenza è presente in modo evidente nella parte iniziale
di questo capitolo. Nel secondo capitolo del Micrologus Guido d’Arezzo distingue il suono notato – ovvero il segno che esprime il suono, detto nota – dal suono ‘in sé’ detto vox
(cfr. Guido, Le opere, p. XLVIII).
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canorae sonos. Tonus est spacii legitima magnitudo a sono in sonum. canto40. Tonus è la distanza regolare tra suono e suono41. E questo spazio tra
Hocque spacium musicorum sonorum, quia in sesquioctava proportione due suoni musicali, poiché è in rapporto di sesquiottava, è chiamato con il
est, Greco nomine dicitur epogdous. Namque ut sescupla sive sesqualtera nome greco di epogdous. Inoltre, quando il [termine] maggiore supera il
vel emiolia proportio dicitur, quando maius minoris medietate superat, minore di una metà, la proporzione è detta sescupla, sesquialtera o emiolia.
sesquitertia, ubi maius tertia minoris parte precellit, sesquiquarta, dum È detta invece sesquiterza quando il maggiore è più grande del minore di
minus quarta sui portione a maiore transcenditur, sesquiquinta, dum quin- una terza parte; sesquiquarta quando il minore è superato dal maggiore di
ta parte alterum altero maius est, sesquisexta, dum sexta, sesquiseptima, una quarta parte; sesquiquinta quando l’uno è più grande dell’altro di una
dum septima, ita sesquioctava comparatione sonus ad sonum sese habet, quinta parte; sesquisesta quando lo è di una sesta; sesquisettima di una set-
dum gravioris altior in se quantitatem teneat et octavam insuper eius par- tima; e allo stesso modo un suono è nella proporzione sesquiottava quando
tem. Semitonium non plenum toni intervallum. Idem interdum limma vel il più acuto contiene in sé il più grave e lo supera di un ottavo42. Semitonus
diesis dicitur. è un intervallo di tono non completo. Talvolta è chiamato limma o diesis43.
[22] Modi vel tropi sunt species modulationum, de quibus supra dictum [22] I modi o tropi44, di cui sopra si è detto, sono specie di strutture melodi-
est, ut protos autentus vel plagis, deuteros autentus vel plagis, sive modus che, come il protus autentico o plagale, il deuterus autentico o plagale, il
Dorius, Frigius, Lidius, et ceteri, qui ex gentium vocabulis sortiti sunt modo dorico, frigio o lidio, ecc., che sono termini derivati dal nome proprio
40
L’autore ribadisce quanto già enunciato all’inizio del trattato (I, 3.7-8): «Ptongi autem non quicumque dicuntur soni, sed qui legitimis ab invicem spaciis melo sunt apti».
41
In questo contesto, ovviamente, tonus dev’essere inteso nella sua accezione di ‘intervallo di tono intero’ (whole tone per Erickson) tra due suoni contigui. L’Inchiriadon, 187.15-6
aggiunge e precisa che «toni proprie dici possunt vocum proprietates, quae ex his spatiis deformantur», dimostrando che il tono è la legitima spacii magnitudo da cui dipendono le
vocum proprietates.
42
La sescupla o sesquialtera o emiolia è la proporzione che contiene l’unità più 1/2, cioè il rapporto 3:2.
La sesquiterza contiene l’unità più 1/3, cioè il rapporto 4:3.
La sesquiquarta contiene l’unità più 1/4, cioè il rapporto 5:4.
La sesquiquinta contiene l’unità più 1/5, cioè il rapporto 6:5.
La sesquisesta contiene l’unità più 1/6, cioè il rapporto 7:6.
La sesquisettima contiene l’unità più 1/7, cioè il rapporto 8:7.
Sesquiottava o epogdous contiene l’unità più 1/8, cioè il rapporto 9:8.
Nella terza parte della SE i rapporti qui enumerati saranno classificati come superparticolari.
43
La definizione del semitono richiama chiaramente quella di Boezio, De instit. Mus. II, 28 (Friedlein, 260, 21-5): «Videntur enim semitonia nuncupata, non quod vere tonorum sint
medietates, sed quod sint non integri toni, huiusque spatii, quod nunc quidem semitonium nuncupamus, apud antiquiores autem limma vel diesis vocabatur» («I semitoni sono così
chiamati, a quanto sembra, non perché siano la vera metà di un tono, ma piuttosto perché non sono toni interi. L’intervallo che ora chiamiamo appunto semitono anticamente era
detto limma o diesis»). Limma, ǎtis procede dal greco l…mma e diesis, ĕos (acc. in, abl. i) da d…esij. Il calcolo dell’entità del semitono, con cui prosegue Boezio, sarà oggetto di ap-
profondimento nella terza parte della SE.
44
Anche il binomio modus e tropus fonda le sue radici sulla «fragile […] ratio boeziana presa nella morsa di una terminologia mai impiegata con severo criterio filologico: vi com-
paiono infatti – ad indicare paralleli o identici significati – i termini modi, tropi, toni» (Boezio, De inst. mus., p. 64). L’Inchiriadon 187.17-8 prescinde del termine tropus, ma non
evita tuttavia l’ambiguità con tonus: «Modi sunt species modulationum […] ex tonorum genitura prodeuntes».
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nomina. Particulae sunt sua cantionis cola vel commata, quae suis finibus di popoli45. Le particulae (i.e. gli incisi) di una melodia, sono i cola o com-
cantum distingunt. Sed cola fiunt coeuntibus apte commatibus duobus mata entro i cui confini un canto è articolato46. Propriamente i cola sono
pluribusve, quamvis interdum est, ubi indiscrete comma sive colon dici formati unendo opportunamente due o più commata, benché ci siano casi in
potest. At ipsa commata per arsin et thesin fiunt, id est levationem et po- cui si può parlare indistintamente di comma e colon47. I commata stessi si
sitionem. Sed alias simplici arsi et thesi vox in commate semel erigitur ac originano per arsis e thesis, cioè per l’elevazione e per l’abbassamento [del-
deponitur, alias sepius. Discrimen autem inter summam et infimam vo- la voce]48. Certe volte, però, in un comma la voce si alza e si abbassa una
cem commatis appellatur diastema. Quae diastemata nunc quidem minora sola volta per un’unica arsis e thesis, altre volte lo fa più spesso. La distanza
sunt, ut est illud, quod vocamus tonum, nunc maiora, ut duum triumve ac poi tra il suono più acuto e il più grave di un comma è chiamato diastema.
deinceps aliquot tonorum habentia intervallum. Porro autem sicut cola Questi diastemata a volte possono essere più piccoli come è quello che
commatibus constant, sic [23] commatum spacia dicimus diastemata. chiamiamo tono e a volte più ampi, come quelli che hanno un intervallo
Quae in colis vero spacia fuerint vel integro quolibet melo, sistemata no- formato da due, tre e anche più toni. Inoltre, poi, come i cola sono composti
minamus. da commata, così [23] chiamiamo diastemata gli spazi sonori dei commata.
Definiamo invece sistemata gli spazi sonori che si trovano nei cola, o in
qualsiasi melodia completa49.
45
I modi, qui definiti come ‘specie di strutture melodiche’, vengono elencati abbinando i nomi bizantini e quelli etnici, senza presentare però una corrispondenza completa. Si deve
segnalare che in nessun altro luogo della ME e della SE vengono ripresi i termini dorico, frigio o lidio, sempre sostituiti da protus, deuterus, tritus. L’Inchiriadon 204, 460-4, invece,
riutilizza l’abbinamento dei nomi etnici, aggiungendo nella descriptio 14, senza averlo precedentemente menzionato, il termine mixolidius, corrispondente al tetrardus.
46
Cōlŏn, dal greco kîlon che significa ‘membro di un verso’ e commata, nominativo plurale di comma, dal greco kÒmma, che significa ‘inciso di un periodo’.
47
L’intercambiabilità dei termini risale già alla teoria grammaticale e retorica latina. Il retore africano Vittorino (metà sec. IV) indica che colon è spesso usato erroneamente per
comma: «abusive autem etiam comma dicitur colon» («abusivamente, però, il colon è chiamato anche comma»). Cfr. Keil, Heinrich [ed.], Grammatici latini ex recensione Henrici
Keilii, Leipzig, Teubner, 1855-80, v. VI, 54 5f. Più tardi, però, Isidoro di Siviglia, Etymologiae, II, XVIII, 1, definisce chiaramente il significato dei termini: «Componitur autem in-
struiturque omnis oratio verbis, comma et colo et periodo. Comma particula est sententiae. Colon membrum. Periodos ambitus vel circuitus. Fit autem ex coniunctione verborum
comma, ex commate colon, ex colo periodos». («La struttura di ogni discorso si compone di parole, comma, colon e periodo. Di un enunciato il comma costituisce un inciso, il colon
un membro, il periodo l’ambito o circuito: il comma consta di più parole, dal comma ha origine il colon, dal colon il periodo»). Nonostante queste precisazioni e gli esempi che se-
guono, la confusione terminologica della ME induce a pensare che il nostro autore avesse una conoscenza superficiale o frammentaria del trattato di Isidoro. Anche la SE I, 83.329-
333, dopo aver definito colon e comma conclude affermando che «Tamen est interdum, ubi indifferenter colon sive comma dici potest» («Qualche volta, tuttavia, usiamo indifferen-
temente i termini colon o comma»).
48
In epoca medievale il binomio arsis-thesis si riferisce all’andamento della vox al di fuori di ogni contesto metrico o ritmico. Cfr. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, III, XX, 9: «Arsis
est vocis elevatio, hoc est initium. Thesis vocis positio, hoc est finis». («Il termine arsis indica l’elevazione della voce, cioè il momento in cui l’emissione della voce ha inizio. Il
termine thesis indica l’abbassamento della voce, cioè il momento in cui l’emissione ha termine»).
49
I manoscritti G, K, L puntualizzano che, mentre diastema è il nome generico di un intervallo tra suoni, «systema non potest esse quam in diapason. Diastema vero inter duas aut III
vel IIII cordas», «il sistema non può esistere che nel diapason. Il diastema, invece, tra 2 o 3 o 4 corde».
19
<cap. X> DE SYMPHONIIS X. LE CONSONANZE50
Praemissae voces non omnes aeque suaviter sibi miscentur nec quoquo Non tutti i suoni di cui abbiamo appena parlato si amalgamano in modo
modo iunctae concordabiles in cantu reddunt effectus. Ut litterae, si inter ugualmente soave, né, se vengono accostati a caso, producono nel canto
se passim iungantur, sepe nec verbis nec syllabis concordabunt copulan- effetti51 armoniosi. Come le lettere, se vengono congiunte l’una con l’altra
dis, sic in musica quaedam certa sunt intervalla, quae symphonias possint alla rinfusa, spesso non riescono a formare né parole né sillabe, allo stesso
efficere. Est autem symphonia vocum disparium inter se iunctarum dulcis modo nella musica vi sono solo determinati intervalli che possono dar vita
concentus. Simphoniae simplices ac primae sunt tres, quibus reliquae alle consonanze. La consonanza è infatti il gradevole accordo di suoni
componuntur. Ex quibus una est, quam diatessaron vocant, altera diapen- diversi congiunti tra loro. Le consonanze semplici o fondamentali sono tre
te, tertia diapason. e da queste si formano tutte le altre. La prima di queste si chiama diates-
saron, la seconda diapente e la terza diapason52.
50
Cfr. Introduzione, Le consonanze. Nella nostra traduzione abbiamo preferito usare ‘consonanza’ invece di ‘sinfonia’ soprattutto per uniformarci all’attuale terminologia musicale.
D’altra parte l’etimologia greca sunfwn…a equivale esattamente a quella latina cum sonantia. Già Boezio, De int. mus., V, 10, 17-8 (Friedlein, 360) di fatto assume come intercam-
biabili i termini symphonia e consonantia: «diapente symphonia iuncta diapason consonantiae». Anche l’Inchiriadon 197, 266 sottolinea l’equivalenza dei due termini: «Nunc de
simphoniis, id est de consonantiis, videamus». Nei trattati Enchiriadis, come è già stato evidenziato nella nota 12, il termine symphonia (o simphonia) non implica necessariamente il
concetto di simultaneità. Un interessante studio diacronico sulla consonanza è stato condotto dalla García Pérez, El concepto de consonancia, che dedica il cap. 3.1 ai primi trattati
polifonici dei secoli IX-XI (pp. 148-62).
51
L’Inchiriadon 197.258 sostituisce effectus con affectus. Sul binomio effectus/affectus, cfr. ME, nota 130.
52
L’inizio del capitolo si rifà a Censorino, De die natali, X, 4-6, (ed. Hultsch, p. 17; ed. Sallman, p. 16; Rapisarda, testo critico pp. 20-1):
«4. (...) Sed non promisce voces omnes cum aliis ut libet iunctae concordabiles in «4. (...) Ma non tutti i suoni, quando vengono combinati con altri in modo casuale ed
cantu reddunt effectus. 5. Ut litterae nostrae, si inter se passim iungantur et non arbitrario, producono nel canto effetti armoniosi. 5. Come le nostre lettere, se vengono
congruenter, saepe nec verbis nec syllabis copulandis concordabunt, sic in musica messe insieme alla rinfusa e senza che si adattino tra loro, spesso non riescono a formare
quaedam certa sunt intervalla, quae symphonias possint efficere. 6. Est autem sym- parole né sillabe, allo stesso modo nella musica vi sono solo certi intervalli specifici che
phonia duarum vocum disparium inter se iunctarum dulcis concentus. Symphoniae possono dar vita alle consonanze. 6. La consonanza è infatti il gradevole accordo di due
simplices ac primae sunt tres, quibus reliquae constant: una duum tonorum et hemi- suoni diversi tra loro congiunti. Le consonanze semplici, o fondamentali, sono tre e da
tonni habens di£stema, quae vocatur di¦ tess£rwn, alia trium et hemitonii, quam queste sono formate tutte le altre: la prima, che ha un intervallo (di£stema) di due toni e
vocant di¦ pšnte; tertia est di¦ pasîn, cuius diastema continet duas priores». un semitono, è detta diatessaron; la seconda, di tre toni e un semitono è detta diapente;
la terza è il diapason, il cui intervallo contiene i primi due» (traduzione nostra).
L’Inchiriadon, 197. 261-2 nel definire la symphonia rimane più aderente al testo di Censorino: «Est autem symphonia duarum vocum disparium inter se iunctarum dulcis concentus».
20
[24] Diatessaron interpretatur ex quattuor, quod vel quartanas ad invicem [24] Diatessaron si traduce «ex quattuor» (cioè «formato da quattro suo-
resonat voces vel in ordine quattuor sit sonorum compositio, utputa si ad ni»), poiché ha luogo quando le voci sono tra loro in rapporto di quarta,
subiectam descriptionem aut remittas usque in quartum quemlibet sonum oppure quando quattro suoni consecutivi si dispongono uno dopo l’altro.
aut quattuor in ordine recenseas ita: Se per esempio si esamina lo schema sottostante [risulta evidente che] si
può procedere sia per salto di quarta da un suono qualsiasi, sia passando in
rassegna i quattro suoni in successione, così53:
DESCRIPTIO DIATESSARON SYMPHONIAE ESEMPIO DELLA CONSONANZA DIATESSARON.
descr. 1
Figura 10.1
Ita in utramvis partem quaterna varietate procedunt ac rursus nova pro- Così [i suoni] procedono in entrambe le direzioni54 secondo quattro diver-
cessione redeunt. se varietà [modali] e di nuovo si ripresentano in una nuova progressione55.
53
In tutto il passo non vi è traccia della verticalità intervallare, ma, al contrario, la consonanza diatessaron viene descritta come una progressione di salti per quarta e come rassegna
di quattro suoni in successione. L’autore, infatti, «non è in grado di indicare un movimento musicale che possa valorizzare questo intervallo, né gli potrebbe passare per la mente di
fornire un esempio di melodia parallela a due voci che proceda per quarte; non gli resta che concludere in breve il paragrafo e cominciare a descrivere la quinta» (Lera, ib.).
54
«Ascendendo vel descendendo» (N).
55
L’esempio riportato nella fig. 10.1 (così come il successivo, fig. 10.2), avrebbe potuto culminare con la quarta varietà modale, come nell’Inchiriadon 198-9. Si chiude, invece, con
la trasposizione alla quinta ove il modo che apre l’esercizio si ripresenta di nuovo nel tetracordo dei superiores.
21
[25] Diapente interpretatur ex quinque, quod vel quinque sonorum cone- [25] Diapente si traduce «ex quinque» (cioè «formato da cinque suoni»), o
xione constet vel a quinto loco concordes sibi voces respondeant ad su- perché si forma dall’unione di cinque suoni consecutivi, oppure perché le
biectas descriptiones has. voci si rispondono56 armoniosamente alla quinta57, come si può osservare
nei seguenti esempi.
DESCRIPTIO DIAPENTE SYMPHONIAE. ESEMPIO DELLA CONSONANZA DIAPENTE.
56
Il verbo latino respondēre, nei trattati Enchiriadis, in un contesto monodico indica la relazione tra due note successive, dove la seconda ‘risponde’ alla prima. In un contesto poli-
fonico, invece, indica una ‘corrispondenza’ tra due note che risuonano simultaneamente (cfr. SE, nota 9).
57
L’Inchiriadon 198.270-1 specifica che «diapente, […] ex V dicitur, eo quod vel V sonorum in ordine compositio sit vel potius collatio quintorum ad quintos» («diapente, si tradu-
ce “ex quinque”, o perché è una successione di cinque suoni consecutivi (in ordine), o piuttosto, perché è una sovrapposizione di [suoni] in quinta»).
58
Cfr. nota 18 e la figura della nota 21.
22
[26] ITEM ALIA DESCRIPTIO DIAPENTE [26] ECCO UN ALTRO ESEMPIO DEL DIAPENTE.
Sic et diapason, quod ex omnibus interpretatur, octavi ad octavum fit Così anche il diapason59, che si traduce «ex omnibus» (che comprende tutti i
consonantia duas superiores in suo sistemate continens. Quae simphonia suoni), è una consonanza che si realizza tra suoni in rapporto di ottava e con-
ideo ex omnibus dicitur, quod antiqui non plus quam octo cordis uteban- tiene nel suo sistema60 le due precedenti. Questa consonanza perciò è detta ex
tur. In hac ergo non tam consonae voces quam aequisonae dici possunt et omnibus perché gli antichi61 non usavano più di otto corde62. In questa con-
in ea vox denuo innovatur. Quod dum promptius in instrumentis musicis sonanza, dunque, i suoni possono dirsi non tanto consonanti quanto piuttosto
appareret, si non tamen adfuerint, teneat [27] alius vocem in sono quoli- equisonanti63 e in essa il suono di nuovo si ripete [all’ottava]64. Ciò è più fa-
bet aliusque sive sursum sive iusum quattuor et quattuor in ordine rime- cilmente percepibile negli strumenti musicali65; se però non ve ne fossero a
tur. Dum novissimus sonuerit, senties eum ad primum, id est octavum ad disposizione, è sufficiente che [27] un cantore (alius) mantenga la voce su un
59
«Si passa ora, finalmente, a descrivere l’intervallo di ottava: il tono estremamente prudente e diplomatico dell’argomentazione suggerisce che l’intero capitolo sia stato davvero
concepito nell’ordine più naturale, partendo dall’ottava e scendendo verso la quinta e la quarta» (Lera, Sorgenti, p. 52).
60
Cfr. nota 49.
61
Cfr. nota 126.
62
Il termine diapason procede da ¹ di¦ pasîn cordîn sunfwn…a che indica la scala di tutte le otto corde (o note) dell’antica cetra, oltreché l’intervallo d’ottava tra le corde estre-
me. Boezio, De instit. musica, I, 20 (Friedlein, 205-12) traccia una breve storia dell’evoluzione parallela della scala e della cetra. Lo stesso concetto è riproposto nella SE II, 90.8
«Diapason Grece, Latine interpretatur ex omnibus, eo quod octo solas cordas antiqua cithara continebat» («Diapason è termine greco; in latino suona «ex omnibus» (che comprende
tutti i suoni), perché l’antica cetra conteneva solo otto corde»). Erickson, Musica enchiriadis and Scolica enchiriadis, nota 26, p. 15, invece, cita studi letterari e archeologici (Martha
Maas e Jane McIntosh Snyder, Stringed Instruments of Ancient Greece, p. 203), i quali giungono alla conclusione che «the kithara, properly speaking, never had more than seven
strings».
63
Il concetto di equisonanza, che si ritrova nella SE II, 90.14-6, giunge ai trattati Enchiriadis attraverso Boezio, il quale a sua volta attinge da Tolomeo: «Siguiendo por tanto las
enseñanzas de Ptolomeo contenidas en Boecio, la octava es considerada una repetición del sonido grave. Es el intervalo básico de medida, y a partir de él es como si todo se repitie-
ra» (García Pérez, El concepto de consonancia, p. 150).
64
Nella traduzione seguiamo l’indicazione fornita dal manoscritto N: «Eadem est octava quae prima» («l’ottava è uguale alla prima»).
65
Per l’uso degli strumenti musicali cfr. nota 100.
23
octavum, perfectam consonantiam reddere. Igitur quod his aequisonis suono qualsiasi, mentre un altro, salendo o scendendo, esplori i suoni uno
vocibus modulatur, huiusmodi fit conlatione hoc modo: dopo l’altro di quattro in quattro. Quando risuonerà l’ultimo, si sentirà che
questo produce una consonanza perfetta nei confronti del primo, esattamente
alla distanza di un’ottava. Se dunque l’ottava (quod) si canta con queste voci
equisonanti, si ottiene una relazione di questo tipo:
DESCRIPTIO DIAPASON ESEMPIO DEL DIAPASON66
66
Nella descriptio del diapason la serie alfabetica A-G che si trova nel margine sinistro dell’esempio evidenzia l’equisonanza dei suoni in ottava (A-A). La notazione dasiana non è
in grado di segnalare le note necessarie per produrre una successione di ottave giuste (i.e. diapason), e perciò soltanto la melodia superiore del diagramma è accompagnata da questa
notazione (cfr. Introduzione, Le notazioni e la scala).
24
[28] <cap. XI> QUOMODO EX SIMPLICIBUS SYMPHONIIS [28] XI. DALLE CONSONANZE SEMPLICI SE NE COMPONGONO ALTRE67
ALIAE COMPONANTUR
Da queste consonanze semplici se ne compongono altre: diapason più
Ex his quidem simplicibus aliae simphoniae componuntur, ut diapason et diatessaron68, diapason più diapente, disdiapason, detto anche disdipla-
diatessaron, diapason et diapente, disdiapason, quae et disdiplasion; utpo- sion. Se ad esempio a due voci maschili che consonano al diapason se ne
te si duabus virilibus vocibus per diapason consonantibus tertia puerilis aggiunge una terza puerile equisonante [alla seconda], allora di conse-
aequisona adiungatur, sic denique acutissima et gravissima disdiapason guenza la più acuta e la più grave formano tra loro un disdiapason e que-
ad se invicem reddunt, quam simphoniam quindecima conlatae regione ste voci, insieme, risuonano come consonanza alla quindicesima, mentre
consonant, media autem diapason ad utrasque respondet, ut haec descrip- la voce intermedia risponde alle altre due al diapason69, come dimostra
tio designat: questo esempio:
[29] DESCRITIO EORUM QUAE DICUNTUR [29] ESEMPIO DELLE COMBINAZIONI DI CUI STIAMO PARLANDO70
67
Le consonanze qui enumerate si ritrovano nella II parte della SE.
68
Il diapason più diatessaron sarà l’oggetto di discussione del cap. XVI.
69
Come ha messo in evidenza Rusconi (Guido, Le opere, nota 33, p. 66-7), la fonte primitiva di questa esemplificazione, che sarà ripresa anche da Guido d’Arezzo nel suo Microlo-
gus (5, 11-3), è Hucbald, De harmonica institutione (GS, I, 107): «Nam ultima syllabarum, quae octavo loco a prima deponitur, si comparetur cum ipsa prima, eodem modo sonabit,
quamvis voce haec virili, illa puerili» («Infatti l’ultima delle sillabe, che si colloca all’ottavo posto rispetto alla prima, sonerà allo stesso modo, sebbene questa con voce d’uomo,
l’altra di fanciullo»). L’Inchiriadon 198.283-8 non specifica subito la natura della terza voce che può essere aggiunta «seu gravior graviori, seu celsior celsiori» e solo come esempio
la attribuisce a un «puerilis canor».
70
Anche in questa descriptio l’autore si serve della serie alfabetica per poter rappresentare gli intervalli senza intopparsi con gli inconvenienti della scala dasiana, che saranno evi-
denziati nel passo successivo.
25
[31] Sane non ab uno tantum quolibet sono ad quartum vel quintum aut [31] Certamente, una consonanza non è prodotta soltanto da un qualsiasi
octavum consonantia fit, sed soni pene singuli et ad gravem et ad acutam suono che si trovi alla quarta, alla quinta o all’ottava. Quasi tutti i suoni
partem quartis a se sonis diatessaron et singuli quintis respondent diapen- alla quarta, infatti, sia al grave sia all’acuto, formano un diatessaron e tutti
te, et sonus quisque in utramque partem ad octavum a se sonum diapason i suoni alla quinta producono un diapente, mentre tutti i suoni in ottava
resonat. Quique rursus, id est in utramque partem octavi, sicut ad medium fanno risuonare un diapason in entrambe le direzioni71. Questi ultimi,
diapason, ita, ut dictum est, ad se invicem quinto decimo loco resonant d’altra parte – cioè quelli che si trovano in ottava all’acuto e al grave ri-
disdiapason. Fitque, ut semper diapason spacium diatessaron ac diapente spetto al