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EDIZIONI ETS
a cura di
Francesca Menchelli-Buttini
Edizioni ETS
Questo volume viene stampato grazie al contributo dell’Associazione Auser Musici
e del Progetto Tesori Musicali Toscani
© Copyright 2007
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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www.edizioniets.com
Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884671837-2
LA MONODIA IN TOSCANA
ALLE SOGLIE DEL XVII SECOLO
INDICE
Presentazione 9
Siglario
Indici 139
7
PRESENTAZIONE
9
LA MONODIA IN TOSCANA ALLE SOGLIE DEL XVII SECOLO
10
PRESENTAZIONE
sitore toscano attivo come organista e maestro di cappella soprattutto a San Mi-
niato (1603-1607), Prato (1608-1612) e Pisa (dal 1613), a testimoniare l’ampia
tradizione di studi che reca un apporto ragguardevole al recupero e alla ricostru-
zione storico-geografica della cultura musicale, spesso riconsiderando pagine
consegnate al silenzio degli archivi e delle biblioteche, in convergenza con le
istanze dell’impresa dell’edizione degli opera omnia. Brunelli coltiva una cospi-
cua varietà di forme e di generi d’uso, quali la polifonia profana, il repertorio sa-
cro concertato e la monodia; approfondisce negli esercizi e nei trattati gli aspetti
della prassi didattica ed esecutiva concernenti in specie l’insegnamento del canto
e dell’arte del contrappunto; intrattiene rapporti di stima e di collaborazione con
altri illustri protagonisti della vita musicale, come certifica l’inclusione nei tre li-
bri di Arie, Scherzi, Madrigali e Canzonette di composizioni di monodisti quali
Allegri e Calestani (Piero Gargiulo).
Avendo dato conto sommariamente dell’indice, risulta infine doveroso un cen-
no ad alcuni interventi del convegno non pervenuti in forma scritta e dunque
esclusi, purtroppo, dagli atti. Il problema della rappresentazione dell’«Io poetico»
rispetto alle diverse opportunità stilistiche che il canto a voce sola sviluppa nei
primi trent’anni del XVII secolo, dal declamato allo stile-aria, ha costituito la cor-
nice di una ricerca più particolareggiata sulle intonazioni monodiche dei sonetti
del Petrarca (Tim Carter). La modernità delle tecniche compositive nel Prato di
Sacri Fiori (1612) di Brunelli, di contro al persistente pregiudizio critico di un at-
teggiamento conservatore, è risultata emergere dalla contaminazione di modelli
propri della musica sacra con tecniche importate dal repertorio profano e dalla
sperimentazione di organici diversi (Joachim Steinheuer). Al di là di questioni
specifiche di prassi esecutiva, lo scherzo a tre voci «Interrotto sospir» di Brunelli
ha posto alcuni interrogativi attraverso cui testare il punto controverso del mo-
mento generativo della poesia per musica (fra danza, testo e testo intonato), della
necessaria cautela di fronte ai tentativi di definizione terminologica e formale
(scherzo, madrigale ecc.) e della trascrizione in versi dei testi destinati alla musica,
vista l’irregolarità metrica che a questa data li contraddistingue (Marco Mangani).
Un sincero ringraziamento va al Progetto Tesori Musicali Toscani e al Mo Car-
lo Ipata, che hanno reso possibile la pubblicazione del volume.
Francesca Menchelli-Buttini
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Siglario
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LUCA AVERSANO
gua italiana risalgono alla seconda metà del XVI secolo. Nella sua traduzione
manoscritta dell’Onomasticon di Pollùce, del 1574, l’umanista Giorgio Bartoli ri-
calca il greco “monodia”. Il GDLI cita invece l’opera a stampa Della poetica
(Baldini, Ferrara 1586) di Francesco Patrizi da Cherso (1529-1597):
Dico monodia, non per lo canto di un solo de’ coreuti, che con questo nome dicem-
mo che fu detto, né per la monodia lamentevole di Saffo, ma per quella monodia la quale
Platone distinse contro alla corodia, la quale dicemmo essere canto di tutto il coro, in
quelle parole che di suo adducemmo di questa sentenza.2
In altro luogo della stessa opera, ancora in riferimento a Saffo, il Patrizi scrive
che la poetessa: «Compose eziandio giambi e epigrammi e elegie e monodie, che
erano canto lamentevole» (I-I-71).
I passi di Patrizi introducono le due accezioni principali del termine “mono-
dia” in epoca rinascimentale e barocca. La prima, come vuole Platone, intende
monodia nel significato più ampio e generico di “canto solistico”. Dunque non
solo il monologo cantato in metro lirico sulla scena da un personaggio per lo più
femminile o dal corifeo, in contrapposizione al “dialogo”, recitato in metro giam-
bico o trocaico, e alla “corodia”, canto del coro; monodia è anche canto dei cita-
redi, dei rapsodi, perfino una linea melodica suonata soltanto con uno strumento:
2 Grande dizionario della lingua italiana, a c. di Salvatore Battaglia e poi di Giorgio Bar-
beri Squarotti, UTET, Torino 1961-2002, X, s.v.
3 Platone, Leges (347), 764e.
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IL TERMINE E IL CONCETTO DI MONODIA
Per quanto dunque ho osservato, e discorso altrove, gli Antichi non solevano nelle lo-
ro Musiche far cantare più arie insieme, almeno di ordinario; anzi quell’istesso, che can-
tava un cantore, lo cantavano tutti (intendendo de’ Canti Corici, e Chorodie, e non delle
Monodie) o fosse all’unisono, o all’ottava, o in altra distanza, come quelli, che stimavano
il parlare, e la Poesia parte molto più principale della Musica, che non fanno i Moderni;
4 Niccolò Tommaseo, Bernardo Bellini et alii, Dizionario della lingua italiana nuovamente
compilato, Società l’Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1865-1879, V, s.v. La cura
dei termini musicali del dizionario era stata affidata a Luigi Felice Rossi. Si veda, in materia,
Ilaria Bonomi, Luigi Felice Rossi principale redattore delle voci musicali del Tommaseo-Bellini,
«Lingua nostra», 51 (1990), pp. 66-72.
5 Il Trattato della musica scenica e l’Appendice, scritti tra il 1633 e il 1635, sono disponibili
alle pagine 1-144 della ristampa (Forni, Bologna 1974) del volume edito a Firenze nel 1763
De’ trattati di musica tomo secondo [...] ne’ quali si esamina e dimostra la forza e l’ordine della
musica antica e per quale via ridur si possa alla pristina efficacia la moderna, a c. di Anton Fran-
cesco Gori (Stamperia imperiale).
6 Giovanni Battista Doni, Compendio del trattato de’ generi e de’ modi nella musica. Con
un discorso sopra la perfettione de’ Concenti, Fei, Roma 1635.
7 Giovanni Battista Doni, Annotazioni sul compendio del trattato de’ generi e de’ modi,
Fei, Roma 1640.
15
LUCA AVERSANO
[…] per le Monodie, o melodie d’una sola aria, e per un solo cantore; e parimente per
le Chorodie, cioè canti d’una sola aria, per cantarsi a coro all’unisono, o all’ottava, si po-
trà eleggere hor questo, hor quel genere, e Tuono, puro, e semplice; adoprando nella sin-
fonia instrumentale le corde anco d’altri generi, e Tuoni secondo l’occorrenza; […].9
A ben vedere, però, Doni accoglie la più generica definizione di Platone, giac-
ché lascia intendere che le monodie possano essere anche suonate da strumenti:
Ora, che si è a bastanza detto della Melodia, e del Ritmo, sì delle Monodie, e Canti
scenici, come del Coro; resta, che si consideri quale doverebbe essere la maniera del
Concento, ovvero Contrappunto ne’ Cori per la parte delle voci, e degl’instrumenti, e
nelle Monodie per gl’instrumenti soli; […].10
[…] circa le musiche Choriche ho nel mio Trattato sopra la Musica Scenica considera-
to molte cose importanti, e non osservate da nessuno: ch’io non starò a ripetere in questo
luogo: dove mi son proposto solamente di scoprire alcuni miei pensieri intorno le musi-
che a una voce sola (che anticamente si dicevano Monodie; o semplici, ch’elle fussero; o
accompagnate con l’instrumento) e quelle, che di più voci si compongono; alle quali in
parte conviene il nome di Chorodie, usato da Platone, et altri antichi autori. Or per fug-
16
IL TERMINE E IL CONCETTO DI MONODIA
gire gl’equivochi (i quali facilmente si prendono in quelle facoltà che hanno carestia di
vocaboli) dissi in parte; poiché per tal nome debbiamo intendere veramente quelle musi-
che, che si cantano da più Cantori (il che significa la voce Choro) in qualunque modo ciò
si faccia; ma propriamente quelle nelle quali tutti i cantanti proferiscono insieme l’istesse
voci, e sillabe, come la maggior parte dovea farsi ne gl’antichi Chori; et hoggi si pratica
nel canto piano delle Chiese: queste possono essere di due sorti; percioché o vi si canta
da tutti l’istessa Aria, o sia all’unisono, o all’ottava; come ne’ suddetti canti Ecclesiastichi;
o pure diversa; ma però unitamente, con l’istessi tempi; e con proferirsi le medesime pa-
role insieme da tutte le Parti [...].11
Se Doni usa monodia in senso piuttosto generico, quando vuole invece rinvia-
re a una semantica più precisa e tecnificata, fa impiego della forma attributiva,
soprattutto nella locuzione “stile monodico”, che divide in tre classi: la prima è
lo “stile narrativo”, in cui i personaggi riferiscono di un evento (es. «Per quel va-
go boschetto» nell’Euridice musicata da Peri, 1600); la seconda è lo “stile specia-
le recitativo”, che corrisponde alla recitazione degli antichi rapsodi e che si trova
nei prologhi (es. «Io che d’alti sospiri», Euridice) o nell’intonazione delle stanze;
alla terza classe appartiene invece lo “stile espressivo”, il più idoneo alla rappre-
sentazione scenica in quanto serve alla comunicazione degli affetti (es. il Lamen-
to di Arianna di Monteverdi). Doni nomina poi anche lo “stile madrigalesco”, in
cui rientrano, per la loro semplicità melodica, le arie, le canzonette e le ballate
(canzoni a ballo).
Nelle intenzioni di Doni, dunque, lo stile monodico, adatto al teatro musicale,
non corrisponde affatto, tout court, allo stile del recitar cantando, con cui entra
invece spesso in polemica, come nel Trattato della musica scenica:
[…] se noi intendiamo che un’azione si canti tutta in quello stile, che secondo alcuni è il
vero recitativo, e da’ giudiziosi compositori si usa solo nelle narrazioni, e ragionamenti sen-
z’affetto, il quale si trattiene assai nelle medesime corde, e fa poca diversità di aria; o anco
di quello, che imita, anzi esprime giustamente quei medesimi accenti che si fanno nel parla-
re quotidiano; dico che a continuarlo troppo a di lungo, presto verrebbe in fastidio. E se
dunque queste azioni cantate dilettano, come veramente fanno, ciò nasce perché i musici
accortisi, che quella troppa semplicità non riusciva bene, si allontanano assai da quello sti-
17
LUCA AVERSANO
le. E sebbene tutto chiamano Recitativo, intendendo ogni melodia, che si canti a voce sola;
è però molto differente, dove si canta formatamente quasi alla guisa de’ madrigali, e dove
regna quello stile semplice, e corrente, che si vede in due lettere amorose pubblicate dal
Monteverdi col suo lamento d’Arianna, e il racconto della morte di Orfeo nell’Euridice.12
[…] potrà ora ogni maestro di cappella impiegare in questi salmi l’una e l’altra specie
nelle quali divide Aristotile la musica [...] valendosi ne’ recitativi, come faceano gli anti-
chi ne’ diverbii, della prima tenue e nuda che sufficientemente si forma ne’ soli metri, e
della seconda più ornata che prende nome di melodia nelle arie, come gli antichi ne’ can-
tici, monodie, strofe, antistrofe ed epodi praticavano.13
Così, nel 1788, anche le Rivoluzioni del teatro musicale di Stefano Arteaga:
Cosa era la Melopea degli Antichi? Prima di rispondere bisogna distinguere tra la Me-
lopea che apparteneva ai Recitanti, e quella del Coro. Quella dei recitanti si distingueva
in Diverbio, che corrispondeva al nostro dialogo, e Monodia ch’era lo stesso, che i nostri
monologhi, o soliloqui.14
18
IL TERMINE E IL CONCETTO DI MONODIA
Il ritorno di fiamma della monodia, così come la sua precedente eclissi, è forse
da mettere in relazione con il fatto che l’opera in cui Doni tratta estesamente del-
la monodia melodrammatica, il Trattato della musica scenica, venne pubblicata
soltanto nel 1763, nell’edizione curata da Anton Francesco Gori.15 Sempre del
Doni e sempre nel 1763 era poi stata pubblicata, a cura dello stesso Gori e di
Giovanni Battista Passeri, anche la Lyra Barberina (1624-1647). Si può pertanto
presumere che l’uscita di queste edizioni abbia generato nuova attenzione per gli
studi doniani, conseguentemente per la terminologia da lui impiegata.
Resta comunque il fatto che per più di un secolo il tecnicismo “monodia” pa-
re scomparire dalla musicografia italiana, anzi, per meglio dire, sembra non aver-
vi mai attecchito, nemmeno prima di Doni. Una riprova viene dalla circostanza
che gli stessi padri della monodia – i vari Peri, Caccini, Galilei ecc. – tra il XVI e
il XVII secolo non usarono mai la parola, né nei loro scritti, né nelle titolazioni
delle loro composizioni, preferendole termini quali “cantilena”, “canto”, “aria”,
“canzone” e così via. SBN Musica segnala i primi titoli contenenti il termine mo-
nodia soltanto nel XX secolo. Il vastissimo corpus della LIZ offre, come prima
attestazione, l’enfasi tardottocentesca del dannunziano Trionfo della morte
(1889-1894):
Ella cantava il suo dolore con un ritmo che si elevava e si abbassava constantemente
come la palpitazione cordiale. Era l’antica monodìa che da tempo immemorabile in terra
d’Abruzzi le donne cantavano su le spoglie dei consanguinei.16
Accanto ai significati fin qui considerati di “canto a solo, con o senza accom-
pagnamento di strumenti” e di “lamento, compianto”, oggi il termine monodia
viene usato, come sanno i musicologi, anche per indicare una maniera di com-
porre o eseguire in cui una parte reale, di una o più voci o strumenti, prevalga
sulle altre, aggregate in successioni armoniche di natura essenzialmente accorda-
le. Il suo antonimo non è “corodia”, ma “polifonia”, nel senso fiammingo, con-
trappuntistico, di intreccio complesso e poliritmico di voci diverse.
Quando nasce, dunque, questo ulteriore uso estensivo? La prima occorrenza
15 Cfr. nota 5.
16 Gabriele D’Annunzio, Il trionfo della morte, Treves, Milano 1899, p. 420.
19
LUCA AVERSANO
che pare andare in tale direzione semantica non è italiana, ma latina, del latino
di un autore tedesco, Johann Heinrich Alsted, il quale nel 1630 contrappone la
“monodia”, cioè la “melodia simplex”, alla “melodia composita”, ossia al con-
trappunto.17 Sugli stessi binari si muove Athanasius Kircher, altro autore ger-
manico di penna latina, che nel 1650 oppone alla “monodia” il neologismo
“polyodia”:
Duplex cantus in Ecclesia Catholica usurpatus hucusque fuit ecclesiasticus, sive can-
tus firmus vel planus. Deinde cantus figuratus, quorum utrumque non male monodicum
et polyodicum dicimus. Ille monodicus dicitur, quod omnes idem canticum sub iisdem
intervallis concinant; hic polyodicus, quod pluribus diversisque harmonice dispositis vo-
cibus concinatur.18
Kircher viene seguìto da numerosi scrittori di area tedesca, fino alla significati-
va canonizzazione operata dal lessico di Johann Gottfried Walther, del 1732, in
cui monodia può valere anche da sinonimo di corodia, ovvero di canto corale
omofonico od omoritmico.19 Su questa linea di sviluppo semantico, la discrimi-
nante tra monodia e poliodia sembra essere non tanto il numero delle voci,
quanto la comprensibilità del testo verbale. Lo stesso Doni si era avvicinato a
questa tendenza, contrapponendo l’oscurità testuale del concento polifonico alla
chiarezza verbale della monodia:
Or chiara cosa è ch’il concento ne’ Madrigali, è più pieno, sonoro, e soave; perché le
voci sono in maggior numero; le consonanze più variate; e l’aria più dilettevole, per que-
gli artifitii di fughe, etc. Ma quelli che sostengono la parte delle Monodie dicono che la
perfettione della Musica consiste nel bello e gratioso cantare; e nel fare intendere tutti i
sentimenti del poeta; senza che le parole si perdino; e non nella pienezza, e soavità del
Concento: il quale più sonoro senza fallo si può fare con instrumenti artificiali, per es-
17 Johann Heinrich Alsted, Encyclopedia omnium scientiarum septem tomis distincta, Cor-
vinus, Herborn 1630, cit. in Wolf Frobenius, Monodia, in Handwörterbuch der musikalischen
Terminologie, nach Hans H. Eggebrecht herausgegebenen von Albrecht Riethmüller, 12. Aus-
lieferung, Steiner, Stuttgart 1984/1985.
18 Athanasius Kircher, Musurgia universalis sive Ars magna consoni et dissoni […], Eredi
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IL TERMINE E IL CONCETTO DI MONODIA
sempio Pifferi, che con le voci humane: e dato poi che nella soavità le Monodie restasse-
ro al disotto, non è ciò, (dicone essi) di tal conseguenza, che la buona intelligenza delle
parole non fia molto più essentiale, et importante: non essendo il fine della Musica il Di-
letto; ma la commotione de gl’Affetti.20
21
LUCA AVERSANO
Il Verdi ha, in generale, assai trascurato i recitativi nelle sue Opere; e pure nel recitati-
vo è più facile al maestro di far valere il suo ingegno nell’espressione musicale, non es-
sendo legato dall’obbligo di certe simetrie, ed altre regolarità. Il recitativo è la vera sor-
gente dell’Opera. Egli fu in Firenze che venne la prima volta creato, verso la fine del
16 1/4 secolo. Vincenzo Galilei, padre del celebre Galileo, fu il primo a scrivere, in modo
espressivo, ad una voce sola, musicando quei versi di Dante che riguardano il conte Ugo-
lino. Giulio Caccini ne imitò l’esempio: e così fecero Jacopo Peri ed altri. Il successo di
queste monodie fece nascere il pensiero ad una dotta ed illustre brigata, che raccoglievasi
in casa di Jacopo Corsi, di porre in musica un dramma intero in stile recitativo. Ottavio
Rinuccini fu il poeta, il Peri ed il Caccini i musicisti. In questo modo la Dafne fu la prima
Opera in musica, o meglio il primo tentativo di Opera.22
Negli scritti del filosofo Antonio Tari compare invece per la prima volta mo-
nodia nell’altro senso, più generale, di tecnica compositiva. Siamo nel 1882:
più antichi fino ai nostri giorni, Coronati, Roma 1823 (edizione originale francese, Essai sur l’hi-
stoire de la musique en Italie depuis les temps les plus anciens jusqu’à nos jours, 1822), pp. 53-54.
22 Abramo Basevi, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi, Tofani, Firenze 1859, p. 266.
23 Antonio Tari, Saggi di estetica e metafisica (1882), Laterza, Bari 1911, pp. 94-95.
22
IL TERMINE E IL CONCETTO DI MONODIA
In proposito ricorderemo che fu istituito un confronto tra questi due poeti dei suoni
[Johann Sebastian Bach e Giovanni Pierluigi da Palestrina]: idea errata! Si volle anzi da-
re la palma al cantor di S. Tomaso, senza tener conto ch’egli nacque quasi un secolo dopo
spirato il Palestrina, e che tra l’uno e l’altro erasi avuta una grande rivoluzione e trasfor-
mazione musicale, e cioè l’origine della monodia fiorentina […].24
Gli autori citati, Basevi, Tari e Galli, erano buoni conoscitori della cultura te-
desca. Solo una casuale coincidenza? Bisognerà cercare ulteriori conferme, ma
pare che sullo sviluppo semantico del termine “monodia” nell’Italia dell’Ottocen-
to abbia pesato l’influenza della contemporanea, imperante Musikwissenschaft,
anche con il contributo della mediazione francese.
Proviamo ora a tirare le somme. Dalla variegata panoramica proposta emerge
sinteticamente una semplice caratteristica: la forte polisemia del termine in og-
getto. Chi è avvezzo a frequentare la letteratura musicale non se ne meraviglierà
più di tanto: il fenomeno è comune. Tuttavia si può individuare, nella vicenda se-
mantica della parola, un elemento peculiare: essa è soggetta ad una polisemia,
per così dire, “gravitazionale”. Mi spiego. Al centro di tutti i vari significati di
“monodia” sembra stare l’impiego nel senso generico di “canto solistico” che ne
fa Platone nelle Leges (vedi sopra). Di qui partono e si discostano tutte le altre
accezioni, in senso restrittivo o estensivo. Così la monodia indica a volte, in ma-
niera riduttiva, la semplice voce solistica, anche soltanto il mero “lamento”. Altre
volte implica invece, per estensione, l’accompagnamento degli strumenti, fino a
prevedere che siano gli strumenti stessi a suonare il canto. Sempre in senso
estensivo, monodia indica ancora un’espressione solistica che vale per espressio-
ne di una sola linea melodica, suonata o cantata da più esecutori, ampliando in
tal modo il proprio spettro semantico fino al significato di tecnica di composizio-
ne monodica, opposta al contrappunto imitativo.
È allora il momento delle considerazioni finali, che ci riportano – come pro-
messo – al punto iniziale: monodia come termine e come concetto. In Italia esi-
steva da sempre l’idea di monodia, ma per lungo tempo la terminologia non ha
mai fatto correntemente uso di questa parola per identificarla, almeno fino agli
24 Amintore Galli, Estetica della musica, ossia del bello nella musica sacra, teatrale e da con-
23
LUCA AVERSANO
ultimi anni del XIX secolo. Ad esempio, per designare la tecnica compositiva
opposta al contrappunto si impiegava un’altra dicitura: stile o composizione
“ideale”. Come il Manfredini:
Ma quanto è preferibile la Musica dei bravi// Maestri moderni, (nel qual numero però
vanno ammessi eziandio Pergolesi, Leo, Durante, Hasse, Galuppi, Jomelli, Trajetta, e va-
ri altri, che hanno contribuito moltissimo a migliorarla, ed hanno lasciati dei monumenti,
che saranno sempre buoni, e belli, benché scritti molti anni sono;) i quali Maestri adat-
tando, e unendo l’armonia alla melodia; lo stile imitativo, all’ideale, e variato; l’arte alla
natura ec. la lor musica non riesce così uniforme e stucchevole, ma piace istessamente ai
versati nell’arte, e agl’inesperti?25
25 Vincenzo Manfredini, Difesa della musica moderna e de’ suoi celebri esecutori, Trenti,
24
PHILIPPE CANGUILHEM
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE
NEL CINQUECENTO: DAL “CANTO ALLA LIRA”
AL “CANTO ALLA BASTARDA”
1 Mi riferisco qui ai titoli seguenti: Federico Ghisi, Alle fonti della monodia: due nuovi
brani della Dafne e il Fuggilotio musicale di Giulio Caccini, Fratelli Bocca, Milano 1940;
Alfred Einstein, The Italian Madrigal, Princeton University Press, Princeton 1949, II, pp. 836-
849; Claude V. Palisca, Vincenzo Galilei and Some Links Between ‘Pseudo-Monody’ and
‘Monody’, «The Musical Quarterly», 46 (1960), pp. 344-360; Nino Pirrotta, Li due Orfei, Ei-
naudi, Torino 1975; Howard Mayer Brown, The Geography of Florentine Monody: Caccini
at Home and Abroad, «Early Music», 9 (1981), pp. 147-168; John W. Hill, Oratory Music in
Florence, I: Recitar Cantando, 1583-1655, «Acta Musicologica», 51 (1979), pp. 108-136. Tra i
numerosi studi di Tim Carter dedicati ai monodisti fiorentini (Peri, Corsi, e Caccini), cfr. in
particolare On the Composition and Performance of Caccini’s Le nuove musiche (1602), «Early
Music», 12 (1984), pp. 208-217, e Giulio Caccini’s Amarilli, mia bella: Some Questions (and
a Few Answers), «Journal of the Royal Musical Association», 113 (1988), pp. 250-273. Sul
termine monodia, usato per la prima volta in un trattato musicale da Pietro Cerone nel 1613,
cfr. John H. Baron, Monody: A Study in Terminology, «The Musical Quarterly», 54 (1968),
pp. 462-474.
2 Per Napoli, cfr. l’articolo di Brown citato alla nota 1. Per Roma, cfr. John W. Hill, Roman
Monody, Cantata and Opera from the Circles around Cardinal Montalto, 2 voll., Clarendon
Press, Oxford 1997. Per la musica spagnola, cfr. Id., L’accompagnamento rasgueado di chitarra:
25
PHILIPPE CANGUILHEM
Il mio scopo non sarà di offrire una sintesi delle teorie più recenti, o di pro-
porre un’inchiesta di tipo storiografico. Vorrei più semplicemente mettere in luce
alcuni aspetti di questa storia che sono stati, fino ad oggi, o trascurati o poco stu-
diati. Parlerò dunque per cominciare della fortuna del canto con la lira a Firenze
nel corso del Cinquecento, quindi mi rivolgerò all’apporto teorico di Vincenzo
Galilei; un terzo ed ultimo punto riguarderà il contributo pratico del Galilei, e
una sua possibile influenza sull’opera musicale di Jacopo Peri e di Giulio Caccini.
1.
Il canto solo è sempre stato praticato a Firenze, almeno sin dal tempo di Lo-
renzo il Magnifico. Per citare (e tradurre) Anthony Cummings, «la pratica del
canto solo all’improviso con il liuto, la lira o la viola era assolutamente centrale
nell’esperienza musicale della Firenze quattrocentesca»;3 essa era legata alla figu-
ra di Marsilio Ficino e alla sua promozione del canto con la lira. Nel primo Cin-
quecento, questa tradizione si mantiene attraverso personaggi quali Leonardo da
Vinci o il suo allievo Atalante Migliorotti. Il canto con la lira da braccio sarà poi
praticato a Firenze nella prima metà del secolo, particolarmente nel contesto del-
le numerose rappresentazioni teatrali, nelle quali i prologhi venivano spesso can-
tati da Apollo o da un’altra figura della mitologia servendosi di “arie da cantar”,
per lo più adatte a recitare l’ottava rima.4 Nonostante il progressivo abbandono
dello strumento nella seconda parte del Cinquecento, e la sua sostituzione sulle
scene col lirone, l’idea del canto sulla lira rimase viva nelle menti fiorentine, at-
traverso la sua associazione simbolica con il periodo “sacro” laurenziano. Così
un possibile modello per il basso continuo dello stile recitativo?, in Rime e suoni alla spagnola, a
c. di Giulia Veneziano, Alinea, Firenze 2003, pp. 35-58.
3 Anthony Cummings, The Politicized Muse. Music for Medici Festivals, 1512-1537, Prince-
ton University Press, Princeton 1992, p. 37: «the practice of extemporaneous solo singing to
the lute, lyre, or viol was absolutely central to the musical experience of fifteenth-century
Florence». Cfr. anche le pp. 37-41.
4 Per riferimenti a prologhi cantati con la lira nel 1539 e nel 1548, cfr. Howard Mayer
Brown, Sixteenth-Century Instrumentation: The Music for the Florentine Intermedii, American
Institute of Musicology, Roma 1973, p. 45. La lira era ancora usata per accompagnare inter-
medi nel 1558, come indicato in I-Fn ms. Palatino 256.
26
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
poteva esprimersi Piero Caponsacchi alla fine del secolo XVI nel suo Sommario
della vita di Marsilio Ficino:
Non usò di studiare fisso più che due ore per volta, ma rimetteva si spesso su’ libri, e
intanto con l’esempio di Pittagora s’era ricreato con la Lira dilettandosi di quel suono
pur assai, imparato bene la musica da putto, cantandovi su versi di Poeti gustevoli, e dei
composti da sè proprio. Onde conducendosi in ville de’ suoi più intriseci, o altri nobili,
erali ricordato talor condur seco la Lira per diporto comune; quindi la mentova tanto
nelle Pistole; la qual Lira venuta poi in mano di Bartolommeo Romuleo, legista di qual-
che nome ai tempi nostri, si conservò per memoria.5
Questo testo stampato a Firenze nel 1604 documenta il ricordo vivo che Fici-
no aveva lasciato in piena epoca granducale. Quel che vorrei sottolineare è che
nella memoria fiorentina la lira si era mantenuta non solo come immagine simbo-
lica bensì nella pratica. Non di per sé, perché lo strumento non veniva quasi più
suonato negli ultimi decenni del Cinquecento;6 si trovano invece notizie che mo-
strano come il “colore timbrico” della lira potesse essere ricordato conservando
l’associazione della voce sola con le sonorità di strumenti ad arco.
Comincerò dal famoso quarto intermedio composto da Francesco Corteccia
per la commedia rappresentata durante le feste del 1539, organizzate in occasio-
ne delle nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo.7 Sappiamo come questo ma-
5 Sommario della Vita di Marsilio Ficino Raccolto da Messer Piero Caponsacchi Filosofo
Aretino, in Filippo Valori, Termini di mezzo rilievo e d’intera dottrina, Marescotti, Firenze
1604; ed. mod. a c. di Gustavo C. Galletti, Philippi Villani liber de civitatis florentiae famosis
civibus, Mazzoni, Firenze 1847, p. 264. Su Piero Caponsacchi, morto nel 1591, cfr. ad vocem
il Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1975, XVIII,
pp. 668-669, in cui si accenna al Sommario (redatto nella seconda metà del Cinquecento). Su
Bartolomeo Romuleo o Romoli, morto nel 1588, insegnante di diritto nello Studio di Pisa, cfr.
la voce di Giulio Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Pomatelli, Ferrara 1722, p. 84.
6 Sulla trasformazione “sociale” della lira da braccio da strumento mitologico a strumen-
to “popolare”, cfr. il mio Naissance et décadence de la lira da braccio, «Pallas», 57 (2001),
pp. 41-57.
7 Un resoconto dettagliato e un’edizione moderna delle musiche eseguite durante le feste
si trovano nel libro di Andrew C. Minor e Bonner Mitchell, A Renaissance Entertainment,
University of Missouri Press, Columbia 1968.
27
PHILIPPE CANGUILHEM
drigale fosse cantato grazie alla didascalia sulla partitura che precisa: «O begli
anni del’oro a quatro voci sonata a la fine del terzo atto da Sileno con un violone
sonando tutte le parti, et cantando il soprano».8 Non a caso, qualche anno ap-
presso il violista veneziano Silvestro Ganassi ricorderà che uno dei più famosi
virtuosi della sua epoca, capace di accompagnarsi polifonicamente sulla viola
mentre canta una parte, è fiorentino: «ti sera mostrato uno madregal di sonar e
cantar con ditta viola. Et perche in tal prattica el ce ne duoi Valenti hoggi di che
e uno Messer Iuliano Tiburtino & un altro Messer Lodovico Lasagnino Fiorenti-
no […]».9 Recenti ricerche negli archivi fiorentini consentono di affermare che,
con ogni probabilità, fu proprio Lodovico Lasagnino a cantare e suonare il ma-
drigale di Francesco Corteccia quella sera del luglio 1539. «Lodovico di Prospe-
ro musico» appare su due ruoli della corte del duca Alessandro, redatti nel luglio
1535 e nel marzo 1536.10 Le fonti che possono documentare la vita musicale fio-
rentina tra il 1530 e il 1540 sono così rare da impedire una ricostruzione delle vi-
cende biografiche e artistiche del musicista, che viene citato spesso, però, nella
corrispondenza di alcuni degli esponenti maggiori della vita intellettuale fiorenti-
na di quegli anni. Così Benedetto Varchi, fuoriuscito a Padova, scriveva tre mesi
dopo le nozze del duca al suo allievo Carlo Strozzi rimasto a Firenze: «che mi
raccomandiate à Piero Migliorotti [...] & cosi al Tribolo & al Bronzino, à m.o
Lodovico, & à simili virtuosi in qual si voglia cosa, & molto mi piace usiate simili
pratiche quando sete fuora de gli studi».11 Due mesi più tardi, lo stesso Varchi
menzionerà al suo caro amico Luca Martini «il Tribolo, il Lasagnino, il Bronzino,
et molti altri ingegnosissimi vostri, et miei amici»: questa ultima testimonianza
consente di identificare il «Lodovico musico» della corte di Alessandro e il
«maestro Lodovico» frequentato da Varchi e dai suoi amici con il violista ap-
8 La notizia, che appare sulla partitura originale, Musiche fatte nelle nozze, Gardano, Ve-
nezia 1539, è riprodotta da Howard Mayer Brown, Instrumental Music Printed Before 1600: A
Bibliography, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1965, p. 63.
9 Silvestro Ganassi, Lettione seconda, Venezia 1543, cap. XVI. Su Giuliano Buonaugurio
da Tivoli, detto Tiburtino, musico del papa, cfr. James Haar, The “Fantasie et recerchari” of
Giuliano Tiburtino, «The Musical Quarterly», 59 (1973), pp. 223-238.
10 ASFI Carte Strozziane serie I, 13, cc. 12 e 14.
11 Ivi, 136, cc. 104-105, lettera del 25 ottobre 1539.
28
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
Doni, visibilmente stupito dal livello di questi musicisti («in verità io n’ho udi-
te molte ne luoghi che tengono maggior principato che una Pistoia, le quali a un
gran pezzo non erano si buone»), non esita a nominarli, e così sappiamo il nome
del violista, un certo «Raffaello Orafo di liuto, & sopra la viola quattro & cinque
parti».15
Proseguendo, possiamo richiamare la testimonianza di Cosimo Bartoli, che
presenta nella sua celebre pubblicazione uscita nel 1567 il violista e compositore
12 La lettera di Varchi (Padova) a Luca Martini (Firenze) del 31 dicembre 1539 è conser-
vata in I-Fn ms. II.278, c. 1.
13 ASFI Carte Strozziane serie I, 137, cc. 161v-162, lettera del 20 novembre 1540. In un
prossimo volume sulla vita musicale fiorentina sotto i duchi Alessandro e Cosimo intendo
pubblicare i documenti che si riferiscono a Lodovico Lasagnino e ai suoi colleghi musicisti
della corte fiorentina tra il 1530 e il 1570.
14 Anton Francesco Doni, Fiori della Zucca, Marcolini, Venezia 1553, p. 72. Alessandro Ma-
legonnelle (1492-1555), senatore dal 1537, era stato eletto nell’Accademia Fiorentina il 27 gen-
naio 1542. Cfr. Michel Plaisance, L’accademia e il suo principe, Vecchiarelli, Roma 2004, p. 111.
15 Anton Francesco Doni, Fiori cit., pp. 76 e 78. Il convito finisce «con alcuni versi cantati
sopra una lira all’improviso da uno ch’io non gli voglio far nome» (p. 82).
29
PHILIPPE CANGUILHEM
16Il lungo passaggio che Cosimo Bartoli dedica alla musica è stato pubblicato in edizione
moderna con un commento di James Haar, Cosimo Bartoli on Music, «Early Music History»,
8 (1988), pp. 37-79. Il giudizio su Striggio si trova a p. 63, stranamente senza l’ultima frase,
che viene però riproposta da Warren Kirkendale, The Court Musicians in Florence during the
Principate of the Medici. With a Reconstruction of the Artistic Establishment, Olschki, Firenze
1993, p. 82. Pubblicato nel 1567, il passaggio sulla musica sembra riportare una conversazione
tenutasi verso il 1555, cioè prima dell’arrivo di Striggio alla corte fiorentina, avvenuto nel
1559.
17 Nino Pirrotta, Li due Orfei cit., pp. 226-227, ne propone un’edizione moderna.
18 Cfr. la sua «Lettera a G.B. Doni sull’origine del melodramma» del 1634, pubblicata da
Angelo Solerti, L’origine del melodramma, Fratelli Bocca, Torino 1903, p. 145.
30
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
2.
Sappiamo che il “nobile fiorentino” Vincenzo Galilei, nel suo Dialogo della
musica antica et della moderna apparso nel 1581, ma redatto già nel 1579, critica
duramente il contrappunto, e invita i contemporanei a tornare a una pratica mu-
sicale in cui si canta da solo al suono del proprio strumento. Non spiega mai, pe-
rò, quale possa essere l’equivalente moderno del “canto alla cithara” dei poeti
antichi, che ritiene degno di essere imitato. Palisca, in un noto articolo, mise in
luce i legami che uniscono da un lato il repertorio delle arie da cantare e delle
villanelle, e dall’altro la monodia ideata da Galilei. Leggendo uno dei suoi ultimi
trattati rimasto manoscritto, redatto verso il 1590, e intitolato Dubbi intorno a
quanto io ho detto dell’uso dell’Enharmonio, con la solutione di essi, Palisca si ri-
feriva a un passaggio che toccava quest’argomento:
Olimpo fu uno degli illustri Musici che siano mai stati; non solo dico io nella cosa del-
la Tibia et nel cantare ad essa ma ne comporre cantilene et arie in tanta eccellenza, che si
mantennero dopo esso molti secoli in grandissima reputatione […] quanto poi che le
dette sue arie non ricercassero più di tre o quattro corde et voci, neanco questo repugne-
rà a quanto io ho detto sempre che la cosa sia intesa nel vero suo sentimento: atteso che
ancora hoggi molte delle mostrate arie o non aggiungono, o non trapassano la quantità di
sei corde; come sarebbe per essempio la parte del soprano di Come t’haggio lasciato vita
mia, ti parti cor mio caro, la brunettina mia, la pastorella si leva per tempo, l’aria comune
della terza rima, quella della romanesca, et nelle altre.19
19 Claude V. Palisca, Vincenzo Galilei and Some Links cit., propone una traduzione inglese a
p. 348. Il testo originale qui riprodotto è pubblicato da Frieder Rempp, Die Kontrapunkttraktate
Vincenzo Galileis, Arno Volk, Köln 1980, pp. 181-182.
31
PHILIPPE CANGUILHEM
ma vedo sin di qui, che l’ignoranza o l’invidia farà dire ad alcuni maligni, che le musi-
che d’Olimpo sendo simile all’aria della Girometta et a quella di Gianbrunaccio e’ forse
ch’elle fussino maravigliose; et cosi verranno a deridersi et dagli antichi musici et di me an-
cora nel tempo medesimo; a quali io replicherò, che tra le cantilene più famose circa la bel-
lezza dell’aria de moderni contrapuntisti ci si annoveranno Pur viv’il bel costume, Si gioio-
so, qui cadde un bel pastore, occhi miei che vedesti, aspro core, fuggi speme mia fuggi.20
Questo passo, parzialmente citato ma non sfruttato da Palisca nel suo studio,
è complementare al primo, in quanto l’autore presenta questa volta i modelli de-
gni di essere seguiti.21 Ad una ricerca sommaria risultano tutti madrigali a quat-
tro o cinque voci, per la maggior parte composti a Firenze nella seconda metà
del Cinquecento: «Fuggi speme mia» fa riferimento a un pezzo dello Striggio,
composto per un intermedio del 1565. Nella seconda edizione del suo trattato
Fronimo, pubblicata nel 1584, Galilei aveva già accennato a questo madrigale,
con il seguente giudizio: «quella tanto affetuosa & dotta musica a cinque voci
dell’immortale Alessandro Striggio, che esprime con tanto meraviglioso affetto
quei versi cosi mesti».22 Tornando indietro, «Aspro core» fa senz’altro riferimen-
to al madrigale di Adriano Willaert, anch’egli presente nella seconda edizione
del Fronimo: «il famoso Adriano, nel principio della sua dotta musica che gia
compose a sei voci, sopra quel sonetto del Petrarcha che comincia Aspro core, e
selvaggio, & cruda voglia».23 Per ambedue i madrigali, Galilei usa l’espressione
«dotta musica», che certamente non avrebbe adoperato per qualificare «Tu ti
parti cor mio caro» o «La pastorella si leva per tempo». La lista comprende an-
che «Occhi miei che vedesti», che deve riferirsi al madrigale a cinque voci pub-
corsivo è mio). Il madrigale di Striggio è stato studiato da Howard Mayer Brown, Psyche’s
Lament: Some Music for the Medici Wedding in 1565, in Words and Music: the Scholar’s View: a
Medley of Problems and Solutions compiled in Honour of Tillman Meritt, a c. di Laurence Ber-
man, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1972, pp. 1-28.
23 Vincenzo Galilei, Fronimo cit., p. 13 (il corsivo è mio).
32
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
blicato da Cristofano Malvezzi nel 1583, mentre «Qui cadde un bel pastore» ap-
pare nel quinto libro (postumo) a cinque voci di madrigali di Alessandro Striggio
(1597).24 Infine, «Si gioioso» e «Pur viv’il bel costume» figurano adespoti in un
manoscritto galileiano, arrangiati per voce e liuto. La loro musica a quattro voci
si avvicina allo stile del madrigale a note nere degli anni ’40 del Cinquecento.25
Ecco i modelli: tutti madrigali polifonici, di Striggio, Malvezzi e Willaert.
Quindi non sembra che ci sia incompatibilità tra ideale monodico e contrappun-
to.26 D’altronde, che Galilei non pensasse che le villanelle potessero fungere da
modello alla scrittura della monodia ai suoi tempi risulta chiaro da un passaggio
tratto dal Dialogo della musica antica et della moderna: «vengo à trattare della
quarta & ultima sorte de sonatori di Liuto, di tasti, & de Musici de nostri tempi
reputati dal vulgo […] Altri pure di questo istesso ordine, annoverati indegna-
mente dal vulgo tra i Musici; perche canteranno in essi strumenti mille sciocchez-
ze sporche & disoneste, & moveranno con tal mezzo à riso, ma à pianto mai […]
& vengono poi da esso celebrati per nuovi Orfei & Amfioni».27 Tre anni più tardi,
l’insegnante Fronimo, dopo aver dato le intavolature di madrigali al suo allievo
Eumatio, gli consiglierà: «Avertite ch’io non ve le dò per che voi le sonate solo per
fuggir l’otio, come si fa delle Napolitane, & altre si fatte baie».28
Gli ultimi scritti teorici di Vincenzo Galilei lasciano dunque aperta la possibi-
24 «Qui cadde un bel pastore» è stato anche musicato da Michelangelo Cancineo nel 1590
[RISM 159021, p. 29], ma è molto improbabile, vista la data di compilazione del trattato di
Galilei e i suoi stretti legami con Striggio, che il musicista fiorentino si riferisse a questo ma-
drigale. Il testo «Occhi miei che vedesti» è stato anch’esso scelto da altri compositori oltre a
Malvezzi, ma la versione di quest’ultimo doveva essere molto diffusa a Firenze per apparire in
versione per voce e liuto in due fonti fiorentine della fine del Cinquecento, nel cosiddetto ma-
noscritto Cavalcanti (B-Br II.275, c. 54v) e nel Libro di canto e liuto di Cosimo Bottegari
(I-MOe ms. C 311, fol. 2).
25 Palisca ne dà un’edizione moderna nel suo articolo Vincenzo Galilei’s Arrangements cit.,
«modern historians […] often regard the polyphonic madrigal and the solo song as represen-
ting diametrically opposed stylistic and aesthetic poles».
27 Vincenzo Galilei, Dialogo della musica antica et della moderna, Marescotti, Firenze
33
PHILIPPE CANGUILHEM
3.
Gli esempi di musica monodica conservati nei manoscritti di Vincenzo Galilei
sono arrangiamenti di musica d’altri: sappiamo anche che egli scrisse più compo-
sizioni per voce e insieme di viole da gamba tra il 1581 e il 1582, dunque mono-
dia con accompagnamento polifonico; è però impossibile conoscere quali fossero
i rapporti tra la voce e gli strumenti.
L’unico esempio a me noto di una musica monodica composta da Galilei e
oggi sopravvissuta è un brano inserito nella seconda edizione del Fronimo
(1584), che Galilei presenta con parole tali da non lasciare dubbi sul fatto che,
pur apparendo in partitura a quattro voci, il brano è concepito fin dall’inizio
per voce e strumento. Ecco il riferimento al brano nel corso del dialogo: «Vo-
glio prima che passiamo piu oltre, intavolare in vostra presentia una mia canzo-
ne a tre, & alquanti rossi di uno In exitu che gia composi a quattro voci per can-
tare sul liuto la parte piu grave».29 Seguono prima la canzone a tre e poi diversi
versetti del salmo «In exitu Israel», sul quale si torna subito dopo, con questa
precisazione che riguarda l’interpretazione: «avvertite adunque nel cantarlo, che
quando il basso fa pausa, d’entrare in quel mentre nella parte del tenore, acciò
venghino cantate tutte le parole insieme con l’intero senso di esse secondo che
le vedete scritte».30
Bisogna anzitutto sottolineare che Galilei sostiene di aver composto il salmo a
quattro parti per cantarlo sul liuto. È una conferma dell’importanza del contrap-
punto nella pratica monodica fiorentina, anche quando non si tratta dell’arran-
34
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
31 Il caso dovette già presentarsi per Francesco Corteccia nel 1539, visto che conosceva
certamente in anticipo il modo in cui il suo brano sarebbe stato eseguito: questo non gli impe-
dì di scriverlo e pubblicarlo a quattro parti vocali.
32 Le musiche sono apparse in edizione moderna in Musique des intermèdes de La Pellegrina,
35
PHILIPPE CANGUILHEM
Es. 1
Vincenzo Galilei, Fronimo (1584), p. 18.
36
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
Es. 2
Vincenzo Galilei, Fronimo (1584), p. 20.
37
PHILIPPE CANGUILHEM
tale pratica nella vita musicale fiorentina, quando durante gli intermedi del 1565
suonò un «sotto basso di viola aggiunto sopra le parti», secondo le parole di
Anton Francesco Grazzini. Ci sarà poi Duritio Isorelli, detto “della viola”, che
parteciperà agli intermedi del 1589 sonando un basso di viola bastarda, «in tale
strumento eccellente».35
Risale proprio a questa circostanza il più noto esempio di canto alla bastarda
concepito in ambito fiorentino: si tratta del canto di Arione, «Dunque fra torbi-
de onde», messo in musica e cantato da Jacopo Peri nel quinto intermedio.36
Nell’esempio musicale 3 ho cercato di evidenziare il percorso della voce solista
all’interno della polifonia. Nonostante il fatto che la parte cantata da Peri fosse
inserita nel libretto di tenore quando il madrigale fu pubblicato nel 1591, e che
tutto il canto sia originariamente scritto in chiave di Do 4, vediamo come Peri or-
ni molto più volentieri la parte di basso. A prescindere dalla doppia eco e dallo
stile di diminuzione decisamente più sviluppato da Peri, sia il modello polifonico
a quattro voci sia il modo di seguire la parte di basso sono somiglianti in ambe-
due i brani. Questo tipo di canto si avvicina agli esempi che Giulio Caccini pub-
blicherà nelle Nuove musiche del 1614, chiamandoli «arie per Tenore che ricerchi
le corde del basso». In qualche modo, abbiamo visto che il salmo di Galilei e l’a-
ria di Peri potrebbero essere «arie per basso che ricerchi le corde del tenore».37
Simili tentativi sono interessanti in quanto propongono un’altra specie di pra-
tica monodica tratta da una polifonia rispetto a quella più familiare: se ammettia-
mo per esempio che «Amarilli mia bella» di Caccini sia nato prima come madri-
gale a sei voci (e questo non è certo), la monodia comunque ritiene il soprano
come voce cantata, essendo trasformate le altre voci in basso continuo. Questo
35Per Striggio, cfr. Howard Mayer Brown, Sixteenth-Century Instrumentation cit., p. 98.
Per Isorelli, cfr. Warren Kirkendale, The Court Musicians in Florence cit., pp. 280-284.
36 La seconda edizione del Fronimo (1584) è dedicata a Jacopo Corsi, allievo di Vincenzo
1562 Maffei segnala che «se ne trovano alcuni, ch’il basso, il tenore e ogni altra voce, con mol-
ta facilità cantano; e fiorendo, e diminuendo, con la gorga, fanno passaggi, hora nel basso,
hora nel mezzo, et hora nell’alto, ad intendere bellissimi». Cfr. Richard Wistreich, Giulio Cesare
Brancaccio cit., p. 222, che propone un’articolata e documentata discussione del “canto alla
bastarda” fino alla p. 251.
38
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
39
PHILIPPE CANGUILHEM
Es. 3
Jacopo Peri, «Dunque fra torbide onde», bb. 26-37.
40
MONODIA E CONTRAPPUNTO A FIRENZE NEL CINQUECENTO
tipo di arrangiamento monodico è il più diffuso a Firenze e in Italia alla fine del
Cinquecento, come illustrano Cosimo Bottegari e tanti altri.38 Ma qui principal-
mente il basso, a volte il tenore, e più raramente il contralto costituiscono il ma-
teriale melodico della voce che canta. Anzitutto, la scelta della voce di basso ci
ricorda l’affermazione di Galilei nel suo Dialogo stampato nel 1581: «che la parte
grave sia veramente quella che dà l’aria alla cantilena».39
Alla luce di ciò, possiamo riconsiderare la famosa testimonianza del marchese
Vincenzo Giustiniani, quando ricorda che certi cantanti, verso l’anno 1575, co-
minciarono a intonare musiche con una estensione vocale di 20 voci: è molto
probabile che cantassero “alla bastarda” musiche polifoniche a quattro o cinque
voci, le quali danno la possibilità di mostrare un’estensione vocale straordinaria
molto più facilmente che semplici arie come quelle pubblicate da Rocco Ro-
dio.40 E per tutte queste ragioni, non giurerei con John Hill che il grande can-
tante napoletano Giulio Cesare Brancaccio non eseguisse nel 1585, nelle stanze
di Paolo Orsini, i madrigali composti da Scipione Dentice, che allora lo accom-
pagnava al cembalo, per il motivo che «questi madrigali contrappuntistici non
sono fatti per essere cantati con canto e strumento».41 Anzi, la presente lettura
delle fonti fiorentine conferma che la musica polifonica “colta” non era così lon-
tana dalla monodia: fin dal 1530 in poi, da Lodovico Lasagnino e Corteccia fino
a Peri e Caccini, passando per Striggio e Galilei, le testimonianze alludono alla
permanenza di tecniche interpretative che, al di là dell’aspetto “contrappuntisti-
co” delle fonti conservate, consentivano di cantare ogni tipo di polifonia – e non
solo le villanelle e le arie – in forma monodica. Un ultimo segno di queste pra-
tiche si può trovare nel carteggio dell’ambasciatore mediceo presso la corte
38 Sul canto al liuto fiorentino, cfr. la tesi di Richard Falkenstein, The Late 16th-century
Repertory of Florentine Lute Music, Ph. D., State University of New York at Buffalo, 1997.
39 Vincenzo Galilei, Dialogo della musica cit., p. 76. Cfr. anche Silvestro Ganassi, Lettione
seconda cit., cap. X: il basso è «la più degna parte di tutte l’altre».
40 Sulle arie di Rodio spesso considerate anticipatrici della monodia con basso continuo,
cfr. Howard Mayer Brown, Caccini at Home and Abroad cit., passim. Per una recente discus-
sione della testimonianza di Giustiniani, cfr. John W. Hill, Roman Monody cit., pp. 84-118.
41 John W. Hill, Roman Monody cit., p. 81: «they did not perform any of Dentice’s surviving
vocal compositions, all of which are contrapuntal madrigals unsuited to solo performance».
41
PHILIPPE CANGUILHEM
42 ASFI Mediceo del Principato 2890 (lettere non numerate). L’estratto è stato pubblicato
con lieve divergenze da Edmond van der Straeten, La musique aux Pays-Bas avant le XIXe
siècle, Van Trigt, Bruxelles 1867-1888, VI, p. 143.
43 Scipione delle Palle fu al servizio dei Medici dal 1560 al 1569. Su di lui, cfr. Warren
Kirkendale, The Court Musicians in Florence cit., pp. 100-101. Il suo ruolo nella nascita della
monodia è stato per la prima volta evidenziato da Nino Pirrotta, Li due Orfei cit., pp. 220-224 e
da Howard Mayer Brown, Caccini at Home and Abroad cit., passim. Nessun musicista di nome
Spina è menzionato sui ruoli medicei nel 1567. Tim Carter mi suggerisce che Canigiani potreb-
be riferirsi a Baccio Palibotri Malaspina, destinato a diventare cantante di corte nel 1579. Sa-
rebbe dunque la prima testimonianza su questo castrato, nato nel 1545, che figura nei docu-
menti fiorentini per la prima volta dieci anni più tardi, nel 1577. Se si trattasse di Baccio Pali-
botri, un rapporto insegnante-allievo con Scipione delle Palle non sarebbe da escludere. Su
di lui e sulla sua carriera alla corte medicea, cfr. Warren Kirkendale, The Court Musicians in
Florence cit., pp. 118-119.
42
JOHN WALTER HILL
LA MONODIA IN TOSCANA:
NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Poco più di cinquant’anni fa, due dissertazioni in lingua inglese sugli inizi del-
la monodia barocca italiana apparvero quasi simultaneamente: Italian Secular
Song from 1600 to 1635 di Nigel Fortune (Ph.D. diss., Gonville and Caius College,
Cambridge University 1953), e The Origins of the Baroque Solo Song di William
Porter (Ph.D. diss., Yale University 1962). Benché l’intento dei due lavori fosse
diverso, entrambi includevano un ampio esame dei manoscritti monodici entro il
rispettivo ambito cronologico. Naturalmente, nel mezzo secolo che è seguito, so-
no usciti altri importanti studi sulla monodia italiana. Basti pensare al fondamen-
tale libro in due volumi di Silke Leopold, Al modo d’Orfeo: Dichtung und Musik
im italienischen Sologesang des frühen 17. Jahrhunderts (Laaber-Verlag, Laaber
1995), che riesamina gran parte del materiale già trattato, in particolare da For-
tune, e che contiene un catalogo completo delle fonti a stampa. Ma il testo della
Leopold non provvede un’analisi in parallelo delle fonti manoscritte. In verità,
dopo i tentativi pionieristici di Fortune e Porter non vi è stato un ulteriore studio
generale sui manoscritti monodici o, almeno, non ve n’è stato alcuno che pones-
se al centro dell’attenzione le fonti manoscritte di monodia toscana.
Questo intervento mi ha quindi offerto l’occasione di valutare le possibilità di
un’ulteriore indagine delle fonti manoscritte di monodia in Toscana alle soglie
del secolo XVII. Non potrò beninteso presentare una ricerca dettagliata e com-
pleta. Il mio intento è quello di offrire alcune idee, indicazioni e risultati prelimi-
nari che possano incoraggiare altri studiosi a riavvicinarsi allo studio dei mano-
scritti toscani di monodia, in quanto portatori di informazioni ancora inedite sul-
la storia di questo ricco e affascinante repertorio.
Mi rallegro del fatto che sia Nigel Fortune sia William Porter vivano ancora.
Ho incontrato il Professor Fortune solo una volta, molti anni fa, ma vedo il Pro-
fessor Porter una o due volte all’anno. Durante il nostro più recente incontro, gli
ho comunicato il titolo di questo convegno e della mia relazione. Mi ha doman-
dato che cosa intendessi con la parola “monodia”. Gli ho risposto che, a questo
43
JOHN WALTER HILL
punto, gli specialisti nel campo sono giunti a un consenso sul termine,
in senso moderno, senza preoccuparsi troppo del suo uso iniziale.1 La voce
“monody” scritta da Fortune e rivista da Tim Carter per la seconda edizione del
New Grove Dictionary of Music and Musicians dichiara ragionevolmente che il
repertorio comprende canti «per voce sola e continuo dall’inizio del genere alla
fine del secolo XVI, sino all’emergere della cantata da camera». Allo scopo del-
l’esame delle fonti manoscritte, peraltro, ritengo utile precisare che le monodie
barocche italiane ci sono pervenute anche con intavolature di liuto invece del
basso continuo, come intavolature di liuto pure e semplici, in notazione su rigo
come pure in intavolatura alfabetica per chitarra, come testo solo con intavolatu-
ra per chitarra, in notazione per tastiera di più di un tipo, e perfino come testo
senza alcuna notazione musicale. Inoltre, alcuni tipi di canto italiano a solo che
rientrano nella categoria della monodia ci sono pervenuti in parti a sé stanti – ba-
sti pensare ai canti per gli intermedi fiorentini, alle villanelle e canzonette napo-
letane, e ai vari tipi di “musiche ariose”, incluse le “arie per cantare sonetti, terza
rima, ottava rima” e così via.2 Vorrei cioè dimostrare che il presupposto secondo
il quale l’accompagnamento per basso continuo è la condizione sine qua non del-
la monodia barocca italiana e che altre forme di notazione sono o arrangiamenti
o anticipazioni (“pseudomonodia”) è un’interpretazione puramente retrospetti-
va. Come specialisti, dovremmo tutti ammettere che durante i decenni intorno al
1600 svariate forme di notazione per la monodia furono in uso, e che diversi tipi
di monodia, in virtù della loro stessa natura e tradizione, erano assai meno di-
pendenti dalla notazione rispetto alla maggior parte degli altri generi musicali
dell’inizio del Seicento.
Una più vasta prospettiva delle forme di notazione della monodia barocca ita-
liana ci condurrà a un più ampio esame delle fonti manoscritte. Infatti, alcune
delle nuove scoperte più significative effettuate dopo le dissertazioni di Fortune
e Porter hanno riguardato manoscritti che non presentano solo la parte vocale e
il basso continuo in notazione su rigo. Basti pensare, ad esempio, al manoscritto
1 Il suo uso iniziale era l’argomento di John H. Baron, Monody: A Study in Terminology,
«Musical Quarterly», 54 (1968), pp. 462-474. Vedi qui il saggio di Luca Aversano.
2 Cfr., ad esempio, Nino Pirrotta, Li due Orfei: da Poliziano a Monteverdi. Con un saggio
critico sulla scenografia di Elena Polovedo, Eri, Torino 1969.
44
LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
177 nella Biblioteca Universitaria di Bologna, portato alla luce nel 1988 da Tim
Carter,3 al manoscritto di Cracovia inventariato per la prima volta da Kirsch e
Meierott nel 1992,4 o ai vari manoscritti per liuto ritrovati da Victor Coelho.5 In
realtà, scoperte di manoscritti monodici sono state compiute così frequentemen-
te in tempi recenti che al momento attuale non ne esiste ancora un elenco com-
pleto e aggiornato. La lista tentata da Susan Parisi nel 1997 ne registra quaranta-
cinque;6 il database computerizzato di fonti monodiche che ho creato a partire
dal 1985 comprende sessantaquattro manoscritti.
Al momento di scrivere il programma fondamentale per il mio database di
monodie, circa vent’anni fa, ho incluso un’insolita caratteristica che non mi sento
di raccomandare con troppa convinzione ad altri studiosi in procinto di creare
indici di repertori di qualunque tipo. Il mio programma cerca concordanze non
semplicemente recuperando esatte coincidenze ma stendendo una serie di possi-
bilità in ordine di somiglianza con l’esempio in questione. Ho usato questo data-
base per identificare nuove concordanze con le fonti manoscritte di monodie to-
scane, in preparazione di questo mio intervento.7 Questa non è certo la sede per
presentare tutte quelle da me riconosciute, ma vorrei almeno offrire alcuni esem-
pi indicativi.
3 Tim Carter, Caccini’s Amarilli, mia bella: Some Questions (and a Few Answers), «Jour-
nal of the Royal Musical Association», 113 (1988), pp. 250-273.
4 Dieter Kirsch e Lenz Meierott, Berliner Lautentabulaturen in Krakau: Beschreibender
Katalog der handschriftlichen Tabulaturen für Laute und verwandte Instrumente in der Biblioteka
Jagiellonska Krakow aus dem Besitz der ehemaligen Preußischen Staatsbibliothek Berlin, Schott,
Mainz 1992 (Schott Musikwissenschaft, 9).
5 Victor A. Coelho, The Players of Florentine Monody in Context and in History, and a
Newly Recognized Source for Le nuove musiche, «Journal of Seventeenth-Century Music», 9
(2003), online; Id., Public Words and Private Context: Lorenzo Allegri and the Florentine Inter-
medi of 1608, in Luths et luthistes en Occident, Cité de la Musique, Paris 1999, pp. 121-132;
Id., The Manuscript Sources of Seventeenth-Century Italian Lute Music, Garland, New York
1995.
6 Susan Parisi, Bologna Q 27 IV/V: A New Manuscript Source of Italian Monody and Can-
zonette, «Studi musicali», 26 (1997), pp. 73-104.
7 Il programma è descritto in John W. Hill e Tom Ward, Two Relational Databases for
Finding Text Paraphrases in Musicological Research, «Computers and the Humanities», 23
(1989), pp. 105-111.
45
JOHN WALTER HILL
8 Cfr. William Porter, A Central Source of Early Monody: Brussels, Conservatory 704,
«Studi musicali», 12 (1983), pp. 238-279; 13 (1984), pp. 139-167.
9 Non citato da James Chater, Il pastor fido and Music: A Bibliography, in Guarini: la
musica, i musicisti, a c. di Angelo Pompilio, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1997, pp. 157-
183.
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Giulio
Romano
Fig. 1
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JOHN WALTER HILL
Fig. 2
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Fig. 3
49
JOHN WALTER HILL
Fig. 4
50
LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
considerazione solo quindici. Tra gli elementi più importanti che emergono da
un confronto su questo assai più vasto numero di documenti è quello che varie
fonti manoscritte di monodia fiorentina, comprese tre nella Biblioteca Nazionale
di Firenze, contengono un numero sostanzioso di lavori romani.10 Ciò dovrebbe
indurci a rimettere in discussione il luogo comune che la monodia nacque a Fi-
renze e da lì si diffuse in altre città. Ritengo che intorno al 1615 i monodisti fio-
rentini avessero già assorbito una notevole influenza romana.
Sia Fortune sia Porter studiarono la musica contenuta in manoscritti monodi-
ci, ed entrambi furono estremamente acuti e precisi, specialmente considerando
la loro giovane età all’epoca delle dissertazioni e lo stato della ricerca e delle co-
noscenze allora esistenti. Inoltre, Porter studiò i manoscritti come documenti, al-
meno entro i limiti del possibile, se si tiene conto del fatto che li esaminò sola-
mente in forma di copie microfilmate.
I microfilm, ovviamente, non mostrano in genere caratteristiche fisiche come
il tipo di carta e la filigrana. Eppure quest’ultimo tipo di studio, ancora poco svi-
luppato rispetto ai manoscritti monodici, offre un potenziale notevole. Per esem-
pio, la carta usata per diversi fra i più interessanti manoscritti monodici fiorenti-
ni ha la stessa filigrana della carta impiegata nei libri dei conti di casa di Jacopo
Corsi (cfr. figura 5). Briquet ha trovato questa filigrana dal 1573 al 1598 a Roma,
Udine, Siena, Lucca, e Reggio Emilia, ma non a Firenze, presumibilmente per-
ché non ricorre nei libri di amministrazione della corte granducale toscana. Car-
ta con questa filigrana fu aggiunta al libro dei conti di Corsi conservato presso
l’Archivio di Stato di Firenze, Guicciardini-Corsi-Salviati 409, solamente nel se-
condo fascicolo, a cominciare dal 12 dicembre 1593. I manoscritti musicali con
questa filigrana contengono monodie solo in forma di intavolature per liuto o ar-
monizzazioni per tastiera, mai come voce con basso continuo.
Potrebbero pertanto questi manoscritti musicali essere stati originati entro la
cerchia di Corsi? Forse la scrittura può offrirci una risposta. Ad esempio, il ma-
noscritto per liuto Magliabechiana XIX.30 contiene un particolare stile calligra-
fico dall’aspetto irregolare (cfr. figura 6). Possiamo estrarne il testo e confrontar-
10 Vedi le concordanze in John W. Hill, Roman Monody, Cantata, and Opera from the
Circles around Cardinal Montalto, Clarendon Press, Oxford 1997, I, pp. 357-413.
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JOHN WALTER HILL
Fig. 5
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Fig. 6
lo, a sua volta, con la grafia di Jacopo Corsi stesso, Jacopo Peri, Piero Strozzi, e
Vincenzo Galilei. La grafia di Giulio Caccini non è ancora stata identificata, e
per ora non posso affermare con certezza che alcuna delle sue lettere sia stata
scritta di suo pugno. Come si può osservare nei seguenti esempi, la grafia di Ma-
gliabechiana XIX.30 non assomiglia a quella di Corsi, Peri, o Strozzi, ma è simile
a quella di Galilei (cfr. figura 7). Tra i dettagli che conferiscono a entrambe le
grafie il loro caratteristico aspetto irregolare è una delle forme della lettera “L”
(cfr. figura 8). Inoltre, la gamma di formazioni dei numeri nelle intavolatu-
re per liuto di Magliabechiana XIX.30 corrispondono alla gamma di formazio-
ni presenti nelle intavolature manoscritte di Galilei aggiunte alla sua copia del
Fronimo.11 La stessa gamma di formazioni di numeri d’intavolatura si trova nel
manoscritto Bruxelles 704 (cfr. figura 9).
Florentine Lute Song, Ph.D. diss., University of New York at Buffalo, 1997, c. 40, asserisce che
la scrittura in questo manoscritto è di Vincenzo Galilei, salvo quella dei fogli 1r e 2r, che Fal-
kenstein crede appartenere a una seconda mano. A mio parere anche questa grafia va attribui-
ta a Galilei. Tuttavia, per evitare dubbi e controversie, gli esempi in questo articolo sono rica-
vati da altri fogli e non dai due messi in dubbio da Falkenstein.
53
JOHN WALTER HILL
Jacopo Corsi
Jacopo Peri
Piero Strozzi
Fig. 7
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Fig. 8
Galilei, supplemento
I-Fn Magl. XIX.30 B-Bc Codex 704
ms. al Fronimo
Fig. 9
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JOHN WALTER HILL
Se, come sembra, Vincenzo Galilei scrisse le intavolature per liuto degli ac-
compagnamenti monodici in Magliabechiana XIX.30 e nel manoscritto Bruxel-
les 704, questo fatto accresce l’importanza di tali accompagnamenti e di altri si-
mili presenti in manoscritti fiorentini. Nel mio articolo del 1983 avevo già osser-
vato che la libertà con cui questi accompagnamenti intavolati usano quinte e ot-
tave consecutive corrisponde al rifiuto di Galilei delle regole che le vietano, co-
me egli dichiarò nel suo trattato sul contrappunto.12
Per ragioni analoghe sarebbe interessante scoprire chi vergò la musica conser-
vata in altri manoscritti monodici fiorentini. Per vari decenni ho dedicato molto
tempo all’identificazione della scrittura in questi documenti, senza ancora rag-
giungere la conclusione della mia ricerca. La grafia nella grande antologia Ma-
gliabechiana XIX.66 rimane ancora un mistero. Nella fase finale della prepara-
zione di questo intervento, tuttavia, ho confrontato sistematicamente la grafia
nella più recente antologia manoscritto Barbera con esempi nella mia ampia col-
lezione di autografi di musicisti fiorentini. William Porter aveva già stabilito che
il manoscritto Barbera fu steso da due mani diverse, che chiamava Mano “A” e
Mano “B”. Sono d’accordo con lui, nonostante la Mano “A” risulti assai variabi-
le per quanto riguarda il grado di formalità e il rango di formazioni di lettere
(cfr. figura 10).
A partire dallo stile più formale della Mano A, ho iniziato un confronto con la
grafia dei principali musicisti fiorentini coinvolti negli inizi della monodia. Una
lettera di Giulio Caccini, per quanto forse non di suo pugno, mostra una simile
curvatura, ma occhielli più stretti e punte più aguzze (cfr. figura 11). La mano di
Vincenzo Galilei è assai più irregolare rispetto alla Mano A nel manoscritto Barbe-
ra (cfr. figura 12). Jacopo Corsi usava un repertorio diverso di formazioni di lette-
re e un ampio movimento laterale nella creazione di talune lettere, come la “g” e la
“p” (cfr. figura 13). Giovanni Bardi scriveva con una calligrafia irregolare comple-
tamente diversa da quella del manoscritto Barbera (cfr. figura 14). La scrittura di
Emilio de’ Cavalieri è caratteristica per la frequente forma appuntita dei suoi oc-
chielli, come si può osservare nelle parole «ben», «servitio», «dar», «subito», e
12 John W. Hill, Realized Continuo Accompaniments from Florence, c 1600, «Early Music»,
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Fig. 10
Giulio Caccini
Fig. 11
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Vincenzo Galilei
Fig. 12
Jacopo Corsi
Fig. 13
«servire» nella figura 15. Vittoria Archilei scrisse le sue molte lettere in un corsivo
irregolare che ha poco in comune con la più controllata Mano A del manoscritto
Barbera (cfr. figura 16). La grafia di Piero Strozzi è più curva rispetto alla Mano A,
e molti dei suoi occhielli sono assai più chiusi (cfr. figura 17). Il poeta Giovanni
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Giovanni Bardi
Fig. 14
Emilio de Cavalieri
Fig. 15
Vittoria Archilei
Fig. 16
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JOHN WALTER HILL
Piero Strozzi
Fig. 17
Fig. 18
Battista Strozzi scriveva con una grafia più aperta e diritta sempre curva all’insù da
sinistra a destra (cfr. figura 18). La scrittura di Jacopo Peri ha un aspetto più ango-
loso ed aperto, e la cima della sua lettera “D” appuntita a sinistra è sempre più
chiusa di quella presente nella Mano A (cfr. figura 19). Le cime della lettera “D”
di Marco da Gagliano, appuntite a sinistra, sono ancora più chiuse regolarmente
di quelle di Peri, e la sua scrittura è ancora più diritta; i suoi tratti verticali sono
più pesanti di quelli della mano A (cfr. figura 20).
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Jacopo Peri
Fig. 19
Marco da Gagliano
Fig. 20
vate presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, si trovano adesso nella Biblioteca di
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JOHN WALTER HILL
Fig. 21
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LA MONODIA IN TOSCANA: NUOVI APPUNTI SUI MANOSCRITTI
Man mano che paragonavo più lettere di Francesca Caccini a Virginio Orsini
con pagine scritte dalla Mano A nel manoscritto Barbera, il mio interesse ed en-
tusiasmo crescevano. Si confronti, ad esempio, l’iniziale maiuscola “D” nella let-
tera con altre due nella pagina del manoscritto Barbera (cfr. figura 22). Nella let-
tera successiva, l’iniziale maiuscola M è ornata con un forte movimento verso
l’alto, ma in sostanza le sue curve sono quasi identiche alla “M” maiuscola nell’e-
sempio dal manoscritto Barbera (cfr. figura 23).
Non appena fatti questi confronti, mi sono subito messo in contatto telefonico
con la Professoressa Suzanne Cusick della New York University, che ha appena
completato un libro su Francesca Caccini. «Era abitudine di Francesca Caccini
scrivere le sue lettere di proprio pugno», le ho domandato immediatamente.
«Senza dubbio», mi è stato risposto, «anche se scriveva a Virginio Orsini in ma-
niera molto ordinata e formale, ed a Michelangelo Buonarroti con scrittura assai
più affrettata e informale». Infatti, vi è una tale varietà calligrafica nelle lettere di
Francesca Caccini che a prima vista verrebbe spontaneo escludere l’appartenen-
za a una stessa mano. Ma il mio attento esame delle lettere conferma l’altrettanto
dettagliato studio della Cusick. Tale conclusione si può giustificare anche consi-
derando 1) che le lettere furono scritte nell’arco di trentasei anni, 2) che furono
scritte da sedi diverse come Firenze, Roma, Pisa, Genova, Lione, e Parigi, 3) che
includono passi di scrittura assai disordinata e informale certo non attribuibile a
uno scrivano di professione.
La varietà di stili calligrafici nelle lettere di Francesca Caccini coincide con la
varietà di stili presenti nelle pagine redatte dalla Mano A nel manoscritto Barbe-
ra (cfr. figura 24).
Grazie a una coincidenza per me fortunata, Porter ha stabilito che tutte que-
ste pagine furono scritte dalla Mano A senza prendere in considerazione chi le
avesse redatte. E la Cusick ha scoperto che tutte quelle lettere furono scritte da
Francesca Caccini senza mai confrontarle con il manoscritto Barbera. Pertanto, il
difficile quesito dell’unità calligrafica nella Mano A Barbera e nelle lettere di
Casa Buonarroti, sempre a Firenze. Le lettere sono citate e trascritte con precisione nella pre-
gevole tesi di Janie Cole, Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568 1647): a Musician’s Poet in
Seicento Florence, Ph.D. diss., Royal Holloway, University of London 1999.
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JOHN WALTER HILL
Francesca Caccini
Fig. 22
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Francesca Caccini
Fig. 23
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Fig. 24
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Fig. 26 Fig. 27
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nella forma generale ma anche nell’angolo preciso descritto dai due tratti vertica-
li. Nel caso della lettera “e”, l’aspetto interessante è la curvatura in basso a sini-
stra. Le curve sono particolarmente simili nella lettera “C”, in alto, a sinistra, e in
basso a destra. Lo stesso avviene con la lettera “D”, per non menzionare l’ovvia
somiglianza dello svolazzo sotto ai due tratti che formano la lettera. La similarità
cruciale nei due esempi della lettera “M” si trova esattamente nella forma e curva
dell’ultimo tratto di penna a destra. Nella parola “mia”, si osservi l’affinità nella
forma dei due spazi prima e dopo la lettera “I”. Tutti e sette gli esempi della
maiuscola “I” mostrano rapporti assai simili di deviazione dalla linea verticale
rappresentata dall’occhiello superiore e inferiore. Nella maiuscola “V”, l’angolo
cruciale è quello formato dalla parte più piatta del tratto di penna preliminare a
sinistra e la direzione prevalente del tratto verticale sul lato sinistro. Ciascuna del-
le abbreviazioni della parola “per” mostra la stessa complessa formazione in due
tratti di penna: il primo con angolazione verso il basso da destra a sinistra termi-
na con un occhiello completamente chiuso e con un tratto parzialmente all’indie-
tro; il secondo inizia in cima con un minuscolo occhiello preliminare e termina
con un occhiello aperto al centro dell’abbreviazione.
Nella figura 27, la lettera “R” in entrambe le fonti presenta la stessa serie di cur-
ve. La posizione della punta più aguzza in ciascuna curva è esattamente identica.
La seconda serie di esempi mostra altresì la lettera “H”, un’insolita formazione
della maiuscola nella grafia di quest’epoca. La lettera “f” appare in svariate forme
sia nelle lettere sia nel manoscritto Barbera. Questa è una delle più caratteristiche,
in cui l’angolo dell’occhiello appuntito al centro, sulla sinistra, è chiaramente simi-
le. Nella parola “cantar” è analoga la forma degli occhielli inferiori che collegano
le lettere. Lo stesso si può dire a proposito della parola “nelle” o “nel”: la curva
che collega le lettere “n” ed “e” è assai somigliante, come pure l’angolo della cur-
va appuntita in fondo alla lettera “l”.
In base alla mia analisi, pertanto, si giunge alla conclusione che Francesca Cac-
cini è la copista della Mano A di Porter nel manoscritto Barbera. Ritengo inoltre
che Francesca sia la copista di diversi altri manoscritti monodici fiorentini. Mi si
consenta una breve dimostrazione. Vorrei anzitutto sottolineare come lo stile di
notazione musicale di Francesca nel manoscritto Barbera sia ancora più soggetto
a variazioni della sua maniera di scrivere parole. Il suo approccio all’aggiungere
aste che connettono note, ad esempio, si potrebbe descrivere come arbitrario o
69
JOHN WALTER HILL
estemporaneo (cfr. figura 28). Francesca usa inoltre due maniere completamente
diverse di scrivere la chiave di basso in Fa, entrambe visibili su una stessa pagina
(cfr. figura 29). Tenendo presente questo stile di variazione, ho scelto di confron-
tare la maiuscola “D” in una pagina di Magliabechiana XIX.23 con l’iniziale “D”
in una delle lettere di Francesca Caccini (cfr. figura 30). Due coppie di pagine del
manoscritto Barbera e di Magliabechiana XIX.24 con la stessa musica mostrano
ovvie similarità, che ho indicato con quadrangoli (cfr. figure 31 e 32). Analoga-
mente, ecco affiancate pagine del manoscritto Barbera e di Magliabechiana
XIX.25 (cfr. figura 33).
Tre serie di pagine corrispondenti del manoscritto Barbera e della prima parte
di Magliabechiana XIX.114 ci portano alla conclusione che Francesca Caccini ha
copiato anche questa sezione (cfr. figure 34, 35, e 36).
Fig. 28
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Tipo 1
Tipo 1
Tipo 2
Tipo 2
Tipo 2
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Visto che Giulio si vanta dell’abilità di Francesca nello scrivere «quei passaggi
d’invenzione, che altri si possa immaginare, e con essi i migliori affetti», sarà pro-
ficuo confrontare le sue copie di opere preservate altrove al fine di isolare esempi
dei suoi passaggi d’invenzione e di affetti. Forse il seguente raffronto dell’avvio
di «Questo giel questo foco» come appare nel manoscritto Barbera con la versio-
ne conservata in Magliabechiana XIX.66 costituisce un esempio, almeno dei
«migliori affetti» (cfr. figura 37). Giulio Caccini scrisse la lettera riportata di sopra
al ritorno da Roma, dove era stato per un certo tempo con Francesca e altri mem-
bri della famiglia. La coincidenza dell’attività di copista musicale da parte di Fran-
cesca con il soggiorno a Roma può aiutarci a spiegare perché vari manoscritti da
lei copiati contengano numerose monodie romane accanto a quelle fiorentine. In
realtà, pare che Francesca abbia rappresentato un importante tramite attraverso
cui la monodia romana divenne nota a Firenze all’inizio del secolo XVII.
Francesca Caccini come infaticabile ed esperta copista di musiche e di lettere
appare nel trattato di Cristoforo Bronzini, Della dignità e nobilità della donna,
del 1622. Citerò dalla versione manoscritta, che è più lunga:14
14 La versione manoscritta, che copre ventiquattro “giorni” di discorso anziché gli otto
“giorni” della versione a stampa, comprende ventisei volumi, segnati I-Fn Magl. VIII, 1513-
1538, con un indice negli ultimi quattro volumi, 1535-1538.
79
JOHN WALTER HILL
80
MARGARET MURATA
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
We are all familiar with ground bass patterns that are commonly grouped as
“bassi ostinati”, such as the folia, the romanesca, the Ruggiero and the ciaccona.
Stemming from popular music, their earliest manifestations have not been easy
to uncover.1 But whatever the individual origins of these basses, by the early Sei-
cento those origins no longer seemed to matter, although the patterns with more
than two component phrases, such as the Ruggiero and bergamasca, probably
retained their associations with song. Consisting of regular phrases, such basses
easily supported new songs with similarly equal-length (isometric) lines. Other
basses like the ciaccona and folia have only one or two shorter repeating units
and retain a characteristic strong sense of meter – a trait we often describe as
“dance-like”. Vocal lines set to them can easily and attractively move in congru-
ent phrases or engage in cross phrasing. We are also familiar with the notion of
both melodies and/or chord successions functioning as arie, that is, as promiscu-
ously suitable models for reciting fixed poetic forms like the Spanish romance or
Italian ottava or sonetto, more or less all’improviso. Such arie typically take on
the rhythm of poetic scansion. This, too, can yield musical forms with isometric
phrases; but individual poetic lines can also be rhythmically “distended” in per-
1 Richard Hudson’s extensive work on four ostinato patterns culminated in his The Folia,
the Saraband, the Passacaglia, and the Chaconne: The Historical Evolution of Four Forms that
Originated in Music for the Five-Course Spanish Guitar, 4 vols., American Institute of Musicol-
ogy, Neuhausen-Stuttgart 1982. Hudson, Alexander Silbiger, and Giuseppe Gerbino con-
tributed to the relevant articles on “ostinato” and “ground bass” in the New Grove Dictionary
of Music and Musicians, 2nd rev. ed., Macmillan, London 2001-2002 (www.grovemusic.com).
Silbiger’s most recent contribution to their appearances in the keyboard repertory is Alexander
Silbiger, On Frescobaldi’s Recreation of the Chaconne and the Passacaglia in The Keyboard in
Baroque Europe, ed. Christopher Hogwood, Cambridge University Press, Cambridge 2003,
pp. 3-18. I would like to thank Professors Hudson and Silbiger for their astute and indispensa-
ble comments on earlier versions of this paper.
81
MARGARET MURATA
2 Alexander Silbiger, Passacaglia, in New Grove Dictionary of Music and Musicians cit.,
s.v.
3 Girolamo Frescobaldi, Primo libro d’arie musicali per cantarsi nel gravicembalo, e tiorba,
Landini, Firenze 1630; facsim. ed. SPES, Firenze 1982, pp. 32-35. Richard Hudson edited it
in his Passacaglio and Ciaccona: From Guitar Music to Italian Keyboard Variations in the 17th
Century, UMI Research Press, Ann Arbor 1981, Ex. 25, pp. [199-203].
4 Girolamo Frescobaldi, Primo libro d’arie musicali cit., pp. 31-32.
82
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
would seem to be closer to the kinds of songs that could have used instrumental
ritornelli. To be a vocal passacaglia, must the bass be predominantly and persist-
ently the same melodic phrase as well as a harmonic ostinato? This is not even
the case with Frescobaldi’s own «aria di passagaglia».
In the context of instrumental music, Silbiger forbears from equating forms
like the passamezzo, romanesca, and ciaccona with either chordal or melodic-
bass formulas solely, in part because single attributes on their own are common
and migratory elements of the language of sixteenth-century music. Although
genres, then, may be identified by recurring complexes of attributes, it is also
conceivable that some common idioms never become so special as to provoke
recognition by name. Was Frescobaldi’s «aria di passagaglia» elaborating a sim-
ple bass that everyone already knew? If so, where are its antecedents? Or was it
the case that in the course of 30 or more years a general notion of pasacalles and
a variable practice became reduced to a single musical figure in triple meter, a
process we begin to witness in «Così mi disprezzate?».
John Hill has shown that accompaniments on Spanish guitar in sixteenth-cen-
tury Spain and Naples could have influenced the style of continuo performance
in early Florentine monody. The guitar chords were sometimes widely and irregu-
larly spaced over several syllables of text, a feature of continuo accompaniments
to the solo madrigals and recitatives of Peri and Caccini.5 The present inquiry in-
to passacagli in vocal music also begins with the guitar but goes instead in the di-
rection of canzonetta. Its starting point is consideration of the guitar pasacalles as
we know them from the first decades of the Seicento, in two of their early as-
pects: 1) as riprese or ritornelli, and 2) as sets of transposed phrases known as pas-
sacagli seguiti. These are short successions of chords, usually of equal length, per-
formed in chains or cycles.6 Because most notated examples of riprese and
5 This resemblance was first observed by John W. Hill in his Roman Monody, Cantata,
and Opera from the Circles around Cardinal Montalto, 2 vols., Oxford University Press, Ox-
ford 1997, chapter 3. It is further explored, with additional examples, in his L’accompagna-
mento rasgueado di chitarra: un possibile modello per il basso continuo dello stile recitativo?, in
Rime e suoni alla spagnola, ed. Giulia Veneziano, Alinea, Firenze 2003, pp. 35-57.
6 They were first published extensively in Richard Hudson, Passacaglia cit., nos. 13, 29,
41, 43, 44. There are others not so designated in their sources.
83
MARGARET MURATA
passacalli appear in printed tutors, scholars have considered them exercises writ-
ten down for beginners to practice chord progressions in different transpositions.
That may well be the case for series of similar passacalli diverse. Passacagli seguiti,
however, are well joined and have both phrase groupings and harmonic markers
for phrase shifts that resonate in the vocal repertory, as will be shown later.
7 Tyler now has pushed back the emergence of Italian alfabeto chord symbols to the last
decades of the sixteenth century (as seen in I-Bu ms. 177/IV); see James Tyler and Paul
Sparks, The Guitar and its Music from the Renaissance to the Classical Era, Oxford University
Press, Oxford 2002, pp. 39-45.
8 Juan Carlos Amat, Guitarra española de cinco órdenes..., Lérida 1626 and 1627, based on a
lost 1596 first edition. Pitches are given in terms of octave registers. “Middle C” is C4; the step
below is B3, the step above D4. For the principal sources on guitar tuning, see Gary R. Boye,
Performing Seventeenth-Century Italian Guitar Music: The Question of an Appropriate Stringing,
in Performance on Lute, Guitar and Vihuela, ed. Victor A. Coelho, Cambridge University Press,
Cambridge 1997, pp. 180-194. Amat’s tuning is the same given in Girolamo Montesardo, Nuova
inventione di intavolatura, Marescotti, Firenze 1606 and implied in Foriano Pico, Nuova scelta di
84
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
this tuning with the possibility of true bass pitches was favored in the north of Italy
until well past the mid-century.9 A 1626 treatise by Luis Briçeno represents Span-
ish and often southern Italian practice. It has all five courses tuned in unison, but
with the third course tuned down a fifth from the second, instead of up a fourth.
This makes the middle course a step lower than the open fifth course (yielding A3-
D4-G3-B3-E4). It also shrinks the total range of the instrument, as the interval be-
tween the lowest and highest open courses is only a major sixth.10 None of this af-
fects the pitches (pitch classes) in any chord, but it can change which pitch is the
lowest-sounding tone in a chord. Thus for the same left-hand fingering, a G-major
chord in Amat’s tuning sounds as a G6 chord of six tones that cover a range of a
thirteenth, but with Briçeno’s all-unison tuning, it comes out as a G root-position
triad covering the space of an octave. In strictly chordal textures, then, chord qual-
ity was important and registral order negligible; notional inversions had no voice-
leading implications. Speaking from experience, James Tyler observes, «When the
chords are played on a guitar without bourdons [octave strings in any course], any
inversions are virtually inaudible. Even on a Baroque guitar strung with bourdons,
the effect is still one of nearly inversion-free block harmonies».11 Thomas Chris-
tensen puts it more positively by saying, «The rich and percussive resonance of the
guitar courses allowed a chord’s functional sonority to remain essentially constant
no matter which particular note happened to be on the bottom».12
sonate..., Paci, Napoli 16[9]8, who gives no indications of octave tunings for any courses. For a
list of tuning sources, see Gary R. Boye, Performing Seventeenth-Century Italian Guitar Music
cit., pp. 193-194 and James Tyler, The Guitar and its Music cit., appendix II, pp. 184-186. See al-
so Massimo Preitano, Gli albori della concezione tonale: aria, ritornello strumentale e chitarra
spagnola nel primo Seicento, «Rivista Italiana di Musicologia», 29 (1994), pp. 27-88.
9 Gary R. Boye, Performing Seventeenth-Century Italian Guitar Music cit., p. 192.
10 A third system tunes only the fourth course in octaves, giving it the lowest-sounding
string (yielding A3-D3-G3-B3-E4). Tyler and Boye both agree that this octave tuning of the
4th course only first appears in Antoine Carré’s Livre di guitarre (Paris 1671). Ivano Cavallini
and Hudson use the “Amat” tuning in their transcriptions; James Tyler, The Guitar and its
Music cit., p. 40 transcribes the alfabeto symbols using the “Briçeno” tuning.
11 Ibidem.
12 Thomas Christensen, The Spanish Baroque Guitar and Seventeenth-Century Triadic Theory,
85
MARGARET MURATA
Ex. 1
Marco Antonio Aldigatti, «Passacalli diverse», in Gratie et affetti amorosi (Venezia 1627),
p. 3. Two passacalli with chord positions on five-course guitar (Amat-type tuning). Uni-
sons are not indicated. Every measure has three strokes, down-up-down.
86
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
the Passacaglia cit., p. 16, from ms. Prontera 1 (private collection, Lecce), which contains six
passagalli.
87
MARGARET MURATA
16Thomas Christensen, The Spanish Baroque Guitar cit., p. 4, calls this the «paradigmatic
structure of the Spanish passacalle», but it is the basis of the earlier Italian ripresa or ritornello,
and is the component of other arie such as the bergamasca and Ruggiero. Chord content alone
does not determine these varieties. Boye has recently argued that Pico’s print, though datable
to 16[9]8, is a poorly printed plagiarism of Millioni’s posthumous Nuova corona d’intavolatura
di chitarra spagnola of 1661; Gary R. Boye, The Case of the Purloined Letter Tablature: The Sev-
enteenth-Century Guitar Books of Foriano Pico and Pietro Millioni, in «Journal of Seventeenth-
Century Music», 11 (2005) at <http://www.sscm-jscm/jscm/v11/no1/boye/html>.
17 Ivano Cavallini, Sull’opera Gratie et affetti amorosi di Marcantonio Aldigatti (1627),
«Quadrivium», 19 (1978), pp. 145-302. Marcantonio Aldigatti, Gratie et affetti amorosi, can-
zonette a voce sola, Gardano, Venezia 1627; facsim. ed. Ivano Cavallini, AMIS, Bologna 1979
(Antiquae Musicae Italicae Studiosi, 2).
88
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Ex. 2
Marco Antonio Aldigatti (1627), «Passacalli diverse», p. 3. Transcribed from alfabeto
tablature, “normalized” to root position and figures added.
89
MARGARET MURATA
In these, the second group of each pair either changes the major or minor quali-
ty of the IV chord, or, take note, substitutes a subtonic or mediant (given in bold)
18 See the transcriptions from Giovanni Ambrosio Colonna, Intavolatura di chitarra alla
spagnuola (Colonna, Milano 1620), in Richard Hudson, Passacaglia cit., nos. 11, 33, and 39a.
Colonna issued a compilation of his four volumes under the same title (Gariboldi, Milano
1637; repr. Forni Editore, Bologna 1971).
19 Richard Hudson, Passacaglia cit., no. 27, p. 23, from Carlo Milanuzzi, Secondo scherzo
delle ariose vaghezze (Vincenti, Venezia 1622). Here in these and subsequent diagrams,
rhythm and stroke indications have been omitted.
90
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
for the opening chord of the second phrase. Milanuzzi’s two-phrase progressions
are not only passeggiati; they represent the minimum for passacagli seguiti.
Hudson 29b: BbM - EbM - Eb-FM - BbM | FM-Gm - DM-EbM - Bb-FM - Bb |20
For the more elaborate set of chords that is Hudson’s Example 29b, from a
Florentine manuscript, it is necessary to know their rhythmic organization. In the
third bar, the Eb and F chords sound a short-long pattern (underlined) that is
then echoed in the chord pairs FM-Gm and DM-EbM, as well as the penultimate
Bb-FM (underlined). The four-bar cycle of two closed phrases is not altered.
Rhythmic variety. The Aldigatti and other examples in Hudson’s studies am-
ply illustrate that before 1640, the four-chord/four-bar basis of passacagli was not
restricted to one chord per bar. Hudson pointed out that passacagli used as ritor-
nelli could be in duple or triple meter, since ritornelli would need to be in the
meter of the song to follow. He supplies two duple meter examples from
Benedetto Sanseverino’s Intavolatura facile (Milan 1620).21 The teaching exam-
ples are most frequently in triple meter (with down-down-up stroke patterns)
and often with the opening tonic forming a two-beat “anacrusis”. With such an
anacrusis, the opening tonic would seem extended, even though the remaining
chords still fall on the next three downbeats. In triple meter, a chord change
could come on the second “beat” of a bar, as in Hudson’s Ex. 29b above. This
goes hand in hand, as it were, with the down-down-up stroke pattern. Phrase
one of Hudson 29b simply displaces a chord change by a beat. When there are
embellishing chords, as in the second phrase, color and accent create a set of
two-chord replications that is almost stronger than the underlying chord scheme.
The variable placement of the defining chords within the four-bar phrases again
makes the guitar passacagli different from the later “descending tetrachord” osti-
nato. Indeed, the closer one looks at the four-bar guitar passacaglia in its capaci-
ty as an instrumental ritornello, its adoption as an ostinato seems less and less
obvious. Yet several of the early guitar sources offer a manner of performing pas-
sacagli that does consist of repeated, if varied, passacaglia phrases.
91
MARGARET MURATA
One pair of 4-bar phrases cadences to G minor; the third moves to A minor,
and the fourth phrase returns to G minor. Note how the two internal phrase
shifts are marked by harmonic “disjunction”: Gm to FM marks the shift from
phrase 1 to phrase 2; Gm is succeeded by AM between phrases 2 and 3! Similar
shifts up and down a step occur earlier in Pietro Millioni’s Mutanze di passacaglij
of 1627 (Hudson no. 44). A G-minor statement occurs as a ritornello in phrases
1, 4, and 7. Phrases 2 and 3 cadence to Am; phrases 5 and 6 to FM.
Three pieces entitled «Aria de passacallo» occur in the volumes of Colonna’s
Intavolatura, appearing among the «suonate» and not the generic exercises.24
They illustrate well the main point here that chains of passacagli easily form the
basis for larger, non-additive forms. In the Colonna examples, the «Aria de pas-
sacallo» from his second book consists of four 4-bar passacagli passeggiate, two
to BbM and two to Gm, but the second phrase uses shifted chords, which gives
Book I; Hudson 39b), p. 52 (from Book II), p. 57 (from Book III; Hudson 45). Hudson dis-
cussed them in Richard Hudson, Passacaglio and Ciaccona cit., pp. 38-40. The aria in Book I
of 1620 (Hudson 39b) is given at two pitch levels, the first closing to G minor, the second to A
minor.
92
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
its closing Bb chord (N3 fingering) quite a different interval structure and sonor-
ity than the previous Bb tonic (H fingering). Similarly, the third phrase demands
shifted chords BbM-FM | Gm-CM | Gm-DM | up to the DM dominant in “nor-
mal” position that closes to G minor. The «Aria de passacallo» from Colonna’s
Book three has three repeated strains of 1 + 2 + 2 mutating cycles (Hudson no.
45). Using shifted chords, it opens and closes in B minor. The aria in Colonna’s
first book of 1620 takes a binary form (Hudson no. 39b, p. 27).
In the binary example represented above, after eight bars of the basic cycle in
Bb (which are repeated), phrases 3, 4, and 5 cadence to FM, Cm, and Gm, not
returning to any phrase in Bb. The mutanze are pivot-chord modulations from
later theory. Each closing major triad is altered to serve as the minor subdomi-
nant in the following phrase. For the fifth and final phrase, the C-minor tonic of
phrase 4 briefly moves to an Eb-major chord and back (instead of altering to a
temporary CM chord). This audibly signals the new phrase and the mutanza, as
in the other modulations. Colonna’s use of the term “aria” in these two examples
could have meant two things. The aria could be simply the basic passacaglia for-
mula. But the title and location of these arie among the «suonate» also suggest
that the combination of statements created a composition, that is, something
more than an open-ended ritornello. In the 1620 first edition, the piece is among
those associated with specific individuals. The «Aria de passacallo» is dedicated
to a singer (cantore) at Santa Maria della Scala in Milan.
As ritornelli, not only the simple but also the more elaborated passacagli
would have been in the ears of both amateur and professional guitarists. There is
no reason to imagine that musicians inclined to write down their music (com-
posers) would not also have known these patterns, this rasgueado idiom. The va-
riety of passacagli in the guitar tutors points to 1) harmonic improvisation as nor-
mative within the plain chordal framework; 2) a four-bar phrase structure with-
93
MARGARET MURATA
out predictable metric placement of the internal chords, except for 3) a tonic
chord in the fourth bar;25 and 4) the potential of utilizing a repetitive series as
the basis for the invention of arie. Rather than calling passacagli perfunctory or
too labile to constitute a genre, we can regard them as a resource that encour-
aged “composition” and could form the basis for songs or dances. The search
here, then, is no longer for any stepwise descending bass line, but rather for the
use of passacagli seguiti as a type of aria, whether named as such or not.
25Instrumental variations on the passacaglia with tonic chords in the fourth bar in
Richard Hudson, Passacaglia cit., are notably not for the keyboard. Pieces with closing tonic
chords are Hudson, no. 50 for lute by Alessandro Piccinini (1639), and for guitar, no. 51 by
Antonio Carbonchi (1640); no. 52 by Michelangelo Bartolotti in minor and in major (1640);
and no. 53 by Giovanni Paolo Foscarini (ca. 1640).
26 Richard Hudson et alii, Bergamasca, in New Grove Online at <www.grovemusic.com>,
The Coferati version seems likely to have been “Italianized”, since it lacks the tronco line endings
that would surely have been in any bergamasque text.
94
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
GM CM DM GM
zentil’ hom della vallada,
GM CM DM GM
quel che t’ama senza fin?
GM CM DM GM
Ma voraf far colaziù,
GM CM DM GM
se t’ha fatt’i maccharù.
What makes the song a bergamasca, of course, are not the repeating chords
that make up its accompaniment but the succession of similar melodic phrases in
duple meter that carry the song’s poetic lines. Any pair of ottonari could success-
fully be sung over two statements of the chord cycle, using any two melodic
phrases that sounded “complementary”. In this case, the identity of both melody
and harmony as a duple-meter bergamasca is stronger than the relation of the
song to a passacaglia vamp.
The bergamasca on an unchanging ostinato can be compared with Marco
Marazzoli’s air for the bergamasco Zanni, who sings it in the 1639 Roman opera
Chi soffre speri (Ex. 3).28 Its ritornello is the passacaglia chord scheme of the air,
leading into the first four lines, which are sung straightforwardly as two phrase-
pairs over the bass pattern. Note, however, that phrases two and four in Maraz-
zoli’s setting begin with the tones A-B in the bass line, in place of a single G
chord, joining the two phrases as in pairs of seguiti. The closing two lines of the
song are sung twice, in order to create a second half that also consists of four
phrases in eight measures. But instead of continuing with the ostinato in C,
Marazzoli transposes two statements in the manner of the passacagli seguiti at the
same time that he altered the two-bar units of the basic cycle. Measures 11-12
break the harmonic pattern, after which measures 13 and 14 contain not one,
but two one-bar passacaglia units, one to A minor “hooked” into one to D ma-
jor. This, in turn, hooks sequentially onto the same progression in back in G (m.
15). One-bar repetitions then smoothly ease back into the original ritornello pat-
tern, which remains at the lively double-time rate.
28 Transcribed from I-Rvat Fondo Barb. lat. 4386; facsim. ed., New York, 1982, Act 2,
95
MARGARET MURATA
Ex. 3
Marco Marazzoli, from Chi soffre speri (Rome 1639). Zanni’s bergamasca, Act 2, scene 4,
I-Rvat Fondo Barb. lat. 4386, ff. 114v-115.
96
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Anonymous, «Mal cambio par che sia» (7.11.7.11). Richard Hudson repro-
duces a folio from a manuscript source of ca. 1630, of a kind that still remains on
the margins of musical research.29 These are song texts with only guitar chords
indicated in alfabeto tablature. For 27 of the songs in the manuscript, alfabeto
progressions of four chords marked «Pass» are given as ritornelli. In the case of
«Mal cambio par che sia», the chords GM-CM-DM-GM are indicated as a ritor-
nello for its four quatrains. The guitar chords given to accompany the song itself
also consist of four chords per vocal phrase (the rhythm is unknown).
Pass[acaglia]: GM - CM - DM - GM
GM Am GM
Mal cam- bio par che si- a
GM CM DM - GM
que- sto che iò con voi, a- ni- ma mi- a:
FM Dm EM - Am
poi ch’io vò da- to il co- re
Am CM DM - GM
e voi mi da- te in re- com- pen-sa un fio- re.
29 Richard Hudson, Passacaglia cit., Plate II, p. xlv, from I-Vnm ms. 11701, f. 44v (olim
Ital. Classe IV, no. 1910); listed in James Tyler, The Guitar and its Music cit., p. 95 as having
belonged to Francesco Riccio.
97
MARGARET MURATA
that all songs for which passacagli serve as the ritornello will continue this pat-
tern in their accompaniments! But another example is the «Seguedillas muy
faciles» immediately following the twelve pasacalles given in Luis Briçeno’s guitar
tutor of 1626. The verses are preceded by the instruction to play the ninth
pasacalle, which is the chord progression DM-GM-AM-DM. The song, which
scans 7.5+7.5 syllables, continues with this progression in the accompaniment:
DM GM-AM DM GM AM - DM
No me case mi madre con hom- bre ga- lan :||
DM AM DM GM - AM - DM
que se haçe la bar-ba a lo es- car- ra- man. :||30
Briçeno’s stanza is made of basic, but more than sufficient, materials, and it
may have been a vivacious, rhythmic song, needing nothing other than rasguea-
do pasacalles accompanying a tenor with a mock wail in his voice. Like an ostina-
to bergamasca, Briçeno’s seguedillas use no transposed statements. «Mal cambio
par che sia», with one transposed statement, has a more articulated form, but it
is also a poem with a less popular flavor.
Kapsberger, «La vita alberga» (10.5.5 + 11.5.6 ). Kapsberger’s villanella «La vi-
ta alberga dov’è bellezza» was published with alfabeto chords for the Spanish
guitar, as well as with a continuo bass line (Ex. 4).31 It is built on passacaglia cy-
cles that have no extra chords. The irregular stanza of 10.5.5 + 11.5.6 syllables is
regularized to four rustic, closed, four-bar phrases in the triple meter associated
with passacagli. The cycles transpose from FM, to CM, to Gm, and back to FM.
(A refrain that is not in Ex. 4 follows each of the three stanzas; it is sung over re-
peated cadences to FM, much like the closing phrases in Marazzoli’s bergamas-
ca). Certain stepwise movements in the continuo bass line are necessarily absent
when the aria is performed with guitar accompaniment alone. The effect, howev-
er, would be certainly unsurprising and also appropriate, given the pastoral na-
30 Luis de Briçeno, Metodo muy facilissimo para aprender a tañer la guitarra a lo español,
Ballard, Paris 1626; facsim. ed. Minkoff, Geneve 1972, p. 15; rhythm omitted.
31 Johannes Hieronymus Kapsberger, Libro secondo di villanelle a 1.2.&3. voci con l’alfa-
beto per la chitarra spagnola, Robletti, Roma 1619; facsim. ed. SPES, Firenze 1982, p. 4.
98
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Ex. 4
Johann Hyeronimus Kapsberger, «La vita alberga», in Libro secondo di villanelle ... con
l’alfabeto per chitarra spagnola (Roma 1619), p. 4, verse lines 1-6; guitar chords transcri-
bed over original b.c.
99
MARGARET MURATA
32 «Natural proprietà delle Gratie è l’andar’ ignude, ne perciò avviene ch’elle dalla nudità
va raccolta ... parte quarta, Salvadori, Venezia 1625. The text appears with guitar chords only
in the Casalotti manuscript, which I have not seen (GB-Lbl Add. ms. 36877, f. 128). A solo
lute setting not related to the tune in Rontani’s print is I-Rvat Fondo Barb. lat. 4145, f. 12v.
100
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
101
MARGARET MURATA
Ex. 5
Anonymous, «Aure placid’ e volanti», in Raffaello Rontani, Varie musiche ... libro primo
(Firenze 1614), p. 17, first of four stanzas.
102
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
34 Giulio Caccini, Nuove musiche e nuova maniera di scriverle, Pignoni e C., Firenze 1614;
mod. ed. H. Wiley Hitchcock, A-R Editions, Madison 1978; Antonio Brunelli, Arie, scherzi,
canzonette, e madrigali ... Libro primo, op. 9, Vincenti, Venezia 1613.
103
MARGARET MURATA
35 Spotted by Anne MacNeil in I-Fn Magl. XIX.25, ff. 20v-21 (private communication).
36 Silke Leopold, Al modo d’Orfeo. Dichtung und Musik im italienischen Sologesang des
frühen 17. Jahrhunderts, 2 vols., Laaber-Verlag, Laaber 1995 (Analecta Musicologica, 29), II,
pp. 129-381.
37 Giulio Caccini, Nuove musiche cit.; Giovanni Francesco Capello, Madrigali et arie a
voce sola, Vincenti, Venezia 1617; facsim. ed., New York 1986, p. 18. The Capello consists of
equal phrases to FM, CM, Dm (or DM) and FM. Labelled “aria”, it is comparable to, though
simpler than, Kapsberger’s «La vita alberga». On melodic expansions of passacaglia bass lines,
see Richard Hudson, Passacaglia cit., p. xvii. These “expanded” formations are widely present
in canzonettas before 1620, but need to be examined in actual metric and phrase contexts.
Tracking them goes beyond the initial step essayed here.
38 Silke Leopold, Al modo d’Orfeo cit., II lists the text of this canzonetta under “Senari e
endecasillabi” and gives its scansion as 11.11.6.6.6; the shorter lines, however, are heard be-
cause of the rhymes. The Milanuzzi print gives them as short lines. Leopold discusses the aria
in I, pp. 99-100 and gives a modern edition in II, Ex. 3, p. 4.
104
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Ex. 6a
Giulio Caccini, «Amor ch’attendi», in Le nuove musiche e nuova maniera di scriverle (Fi-
renze 1614), mm. 1-2, with guitar chords from I-Fn Magl. XIX.25, fol. 20v.
Ex. 6b
Antonio Brunelli, «Amor ch’attendi», in Arie, scherzi etc. op. 9, Book I/5 (Venezia 1613),
aria, transcribed in Karen Knowlton, The Secular Works of Antonio Brunelli, Ph.D. diss.,
Kent State University, 1983.
105
MARGARET MURATA
lanuzzi’s «L’alma mi strugge» seems quite different from the preceding examples.
Truly scherzoso, the stanza consists of eleven extremely short lines arranged over
the equivalent of four passacagli seguiti which are quite passeggiati. The staff
marked “model” in Ex. 7 reduces the chords specified by the alfabeto tablature to
their basic passacaglia design. Here Milanuzzi’s guitarist needs to play a chord on
every beat. This makes quite a vivacious effect, possibly with a downstroke and
upstroke on each beat. As in the previous example by Brunelli, it is the regularity
of the phrasing marked by cadences that resembles a set of mutanze di passacagli.
Ex. 7
Carlo Milanuzzi, «L’alma mi strugge», in Quarto scherzo delle ariosi vaghezze, op. 11 (Ve-
nezia 1624), p. 12, first of three stanzas; guitar chords transcribed from alfabeto tablature.
106
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Ex. 8a
Antonio Brunelli, «Grazie e glorie al Re del cielo», in Arie scherzi etc., op. 9, Book I/12
(1613), aria spirituale, transcribed in Karen Knowlton, The Secular Works of Antonio
Brunelli cit.
107
MARGARET MURATA
Ex. 8b
Antonio Brunelli, «Mi command’ Amor tiranno», in Arie scherzi, etc., op. 9, Book I/16
(1613), aria, transcribed in Karen Knowlton, The Secular Works of Antonio Brunelli cit.
108
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Berti, «Tante guerre e tanti danni» (8.5t.8.5t.5.8). Berti’s 1624 Cantade et arie
were published with guitar chords. One last aria here illustrates how smoothly
the closed, 12-beat unit can shape the new lyric strophes.39 In «Tante guerre e
tanti danni», two pairs of an ottonario plus a quinario tronco, which amount to
twelve syllables of text, are set in a 12-beat sequence: the ottonario moves to the
IV chord, the quinario tronco provides the cadence; that is, the GM chord on
«danni» is IV in D major; in sequence, the FM chord on «affanni» is a fourth
away from C major.
Am EM Am | DM GM | Dm AM | DM
Tante guerre e | tanti danni | a un cor fe- | del?
GM DM GM | CM FM | CM GM | CM
Hor quai pene e | quali affanni | Havrà un ru- | bel,
The flavor of the poem is querulous; the first and last phrases hover in the
39 Giovanni Pietro Berti, Cantade et arie ad una voce sola…, Vincenti, Venezia 1624; facsim.
109
MARGARET MURATA
Ex. 9
Giovanni Pietro Berti, «Tante guerre e tanti danni», in Cantade et arie (Venezia 1624),
pp. 30-31, first of four stanzas; guitar chords transcribed from alfabeto symbols.
110
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
“minor” mode, but they both end on major chords (according to the guitar tab-
lature), once again as if in complicit recognition of the artificiality of the text or
simply in amusement.
Frescobaldi, «Se l’aura spira» (5.5.5.5t + 5.5.5.5t) and «Così mi disprezzate?»
(7.7.7.7.7.7). Does the hunt for guitar passacagli in vocal music illuminate the
two Frescobaldi arias that began this search? One strong similarity is the regular
four-bar phrasing in both, in a familiar lyric triple meter. But unlike the songs
with mutanze di passagagli, both Frescobaldi arias emphasize melodic variation
in the vocal line. Although embellishments are not precluded for those canzonet-
tas for which we only have one stanza of music, melismatic additions would ob-
scure the rhythms and possibly soften the crispness of the harmonic changes,
which lend so much vivacity to these songs. A stronger and more obvious differ-
ence, however, are the phrases in both Frescobaldi arias that end with dominant
chords, unlike the closed phrases that characterize passacagli seguiti (and also
Colonna’s «Arie de passacallo»).
The first extended phrase of «Se l’aura spira» slides down a descending tetra-
chord and ends on a strong D, dominant-function chord, not on a tonic. It is not
followed by a tonic chord when the next phrase opens. Despite the stepwise de-
scending bass, Frescobaldi’s first, eight-bar phrase is more like the first phrase of
the passamezzo antico than a passacaglia (Ex. 10). The second phrase of «Se l’au-
ra spira» then neither jumps to III in m. 9 nor repeats m. 1 as the head of a com-
plementary phrase, resolving the dominant of m. 8. Frescobaldi instead re-stated
the DM dominant in m. 9, just as he used the same FM chord in mm. 4 and 5,
making a liaison between first two four-bar subphrases.
Gm | Dm | Gm | FM—| - FM | Gm | Cm | DM - -
Se l’aura | spira tut-| ta vez- | zosa, | La fresca | rosa ri- | dente | sta.
- - - DM | DM | Gm | FM | CM Dm | Cm | DM |G ||
La siepe om-| brosa di | bei sme-| raldi | D’estivi | caldi ti-| mor non | ha.
111
MARGARET MURATA
course lute alone by Ronn McFarlane with soprano Julianne Baird, on The Italian Lute Song,
Dorian DOR-90236 (1996). The stately, archaic flavor of the harmony comes out in James
Bowman’s two-and-a-half minute performance with harpsichord and gamba on James Bow-
man, Airs italiens & cantates, Arion ARN 68516 (rec. 1987, released in 1988 and 2000).
112
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
Ex. 10
Girolamo Frescobaldi, «Se l’aura spira», in Primo libro d’arie musicali (Firenze 1630),
pp. 31-32, aria in tre parti (in variation); four models for the bass.
Ex. 11
Girolamo Frescobaldi, «Aria di passagaglia», in Primo libro d’arie musicali (Firenze 1630),
p. 32, mm. 1-4.
113
MARGARET MURATA
43 John W. Hill, Frescobaldi’s Arie and the Musical Circle around Cardinal Montalto, in
Frescobaldi Studies, ed. Alexander Silbiger, Duke University Press, Durham (NC) 1987, pp.
157-194: 190-192.
44 Here uniquely, however, Frescobaldi’s passacaglia unit is three bars in length (each is
numbered in the source), but because adjacent pairs are similar, the listener effectively hears
six-bar phrases. Modern eds. in Richard Hudson, Passacaglia cit., no. 48, pp. 31-34; Girolamo
Frescobaldi, Keyboard Compositions Preserved in Manuscripts, ed. William R. Shindle, American
Institute of Musicology, s.l. 1968 (Corpus of Early Keyboard Music, 30/3, no. 14), pp. 46-49.
45 The sources of Hudson’s dominant-ending passacagli are largely I-Fr mss. 2793, 2804,
and 2849, and I-Fn Landau Finaly 175; James Tyler, The Guitar and its Music cit., pp. 78-80;
91-92, connects them all to one copyist, Francesco Palumbi. See also Id., The Role of the
Guitar in the Rise of Monody, «Journal of Seventeenth-Century Music», 9 (2003) at <http://
www.sscm-jscm/v9/no1/Tyler.html>, parag. 2.10-11. I have not been able to consult the un-
published dissertation of Massimo Preitano which discusses these sources (among others):
Massimo Preitano, L’accompagnamento strumentale dell’aria a Firenze nella prima metà del Sei-
cento, 2 vols., Università di Pavia, 1991-92; Id., Gli albori della concezione tonale cit., pp. 45-51.
114
GUITAR PASSACAGLI AND VOCAL ARIE
four lines are set in five cycles that all close to GM, although not congruently
with the poetic lines:
Beltà sempre non regna,
→DM-GM |
e s’ella pur v’insegna
→DM-
a dispreggiar mia fé,
-GM | →AM-DM-
cre - dete pur a me,
-GM | →DM-GM |
che s’oggi m’anci- de- te,
→DM-GM | →BM | Em
doman vi pentire- te.
→BM | Em
For the last two lines of the sestet, however, two more cycles shift to E minor,
but with the BM dominants in their fourth bars. The fact that «Così mi disprez-
zate?» does not stick to its original passacaglia phrase in D minor was likely not
either a melodic or a harmonic innovation on Frescobaldi’s part, whether or not
he knew Colonna’s earlier «Arie de passacallo». The inconsistency of his pas-
sacaglia units, however, in terms of harmonic-rhythmic markers contributes to
the bumpy, unsettled quality of each of the stanzas in aria style.
John Hill found «no single model or precedent for Frescobaldi’s “Aria di pas-
sacagli”».46 Nevertheless, the short-breathed, light-hearted insouciance we have
seen in some of these earlier songs is a characteristic of «Così mi disprezzate?»,
along with “variability” rather than “obstinacy” in the sounding bass line. This is
successfully projected in Julianne Baird’s 1996 performance accompanied by a
ten-course lute, which takes a lively tempo and a tone both petulant and mock-
ing.47 The next arias on the passacaglia bass both appeared in 1633 and, like
115
MARGARET MURATA
48 «Usurpator tiranno» by Giovanni Felice Sances (in Richard Hudson, Passacaglia cit.,
no. 49) and «O Dio, che veggio?» by Martino Pesenti (in Silke Leopold, Al modo d’Orfeo cit.,
II, no. 57). The Pesenti is termed «cantato sopra il passacaglio»; its contrasting sections, in-
cluding the instrumental ritornello, appear to be on three formations of the passacaglia. It is
clearly the representation of a mad woman (named Eurilla by the narrator, who speaks only in
the closing section). I have elsewhere interpreted the Sances setting as a parody of an amateur
lute-player venting his lovesickness in song.
116
PIERO GARGIULO
BRUNELLI SACRO E PROFANO
1 Cfr. Fabio Rossi, Qualche problema di lessicografia e di lessicologia musicale, in Tra le no-
te. Studi di lessicologia musicale, a c. di Fiamma Nicolodi e Paolo Trovato, Edizioni Cadmo,
Fiesole 1996, pp. 1-21: 17.
2 Silverio Picerli, Specchio primo di musica, Beltrano, Napoli 1630, p. 89.
3 Giovanni Maria Bononcini, Musico Prattico, Monti, Bologna 1673, p. 41.
4 Cfr. Piero Gargiulo, Antonio Brunelli teorico e compositore, in Musiche d’ingegno. Studi
117
PIERO GARGIULO
per Antonio Brunelli da Santa Croce, a c. di Piero Gargiulo, Pacini Editore, Pisa 1999, pp. 15-
26: 25, nota 41. Il volume raccoglie gli atti dell’incontro di studio svoltosi il 19 dicembre 1998
(contributi di Piero Gargiulo, Michela Zackova Rossi, Marco Mangani, Carlo Ipata, Emiliano
Ramacci) e riproduce l’inedito originale dell’atto di nascita di Brunelli (19 dicembre 1577), ri-
trovato nell’Archivio della Curia di San Miniato, grazie alle ricerche promosse e condotte nel-
l’autunno 1998 dall’Assessorato alla Cultura di Santa Croce.
5 Per le citazioni di Sebastien de Brossard (Dictionnaire de Musique, Ballard, Paris 1703,
«Catalogue des auteurs qui ont ecrit», s.n.p.), Giuseppe Ottavio Pitoni (Notitia de’ contrapun-
tisti e compositori di Musica, I-Rvat ms. 1725 ca., pp. 375-376), Giovanni Battista Martini
(Esemplare o sia saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo, Dalla Volpe,
Bologna 1774-1775, I, p. 86), Giuseppe Baini (Memorie storico-critiche della vita e delle opere
di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Società Tipografica, Roma 1828, II, p. 27), riferite al con-
tributo teorico e alla formazione “romana” di Brunelli, cfr. Piero Gargiulo, Antonio Brunelli
cit., p. 25, note 42-43. Ringrazio Mariateresa Dellaborra per avermi segnalato la citazione di
Brunelli nell’Esemplare di Martini.
118
BRUNELLI SACRO E PROFANO
nelli. La qual città è vicina e confinante alla civilissima città d’Orvieto, che si gloria et ha
pregio d’essere patria di V. S. Illustrissima. [...]6
Dopo un breve periodo di apprendistato in area laziale (la famiglia si era tra-
sferita a Bagnoregio, nei pressi di Viterbo), appare più che probabile il suo tiro-
cinio didattico a Roma (forse dal 1588) sotto la guida di Giovanni Maria Nanino,
di cui egli si dichiara allievo insieme ai fratelli Anerio, Giovannelli e Soriano (tut-
ti insigni esponenti della scuola palestriniana). Visse e operò in vari centri tosca-
ni, in cui alternò l’attività di compositore al costante servizio di organista e mae-
stro di cappella: S. Miniato (1603-1607), Prato (1608-1612) e Pisa, dove giunse
nel 1613 su specifica richiesta della Congregazione dei Cavalieri di S. Stefano.
Proprio durante il soggiorno pisano fu spesso protagonista dei numerosi intratte-
nimenti musicali allestiti per il granduca Cosimo II, oltre che ospite della corte
medicea nella stessa Firenze dal 1614 al 1616. Definitivamente a Pisa dal 1617,
continuò ad espletare il suo incarico dedicandosi in particolare all’insegnamento,
svolto a favore della nutrita schiera di allievi che nella Chiesa di S. Stefano furo-
no alle sue dipendenze.
È autore di varia produzione sacra e profana, vocale e strumentale, di ambito
polifonico e monodico (15 raccolte, di cui 5 perdute), pubblicata tra il 1605 e il
1621.
La sua figura si pone da un lato come quella di un convinto assertore dei pre-
cetti teorico-pratici della polifonia di scuola romana (con particolare riferimento
al contributo di Palestrina) e dall’altro di un sicuro estimatore delle nuove espe-
rienze monodico-strumentali, che proprio a Firenze e in ambito toscano egli eb-
be modo di collaudare, grazie anche alla sua amicizia con Giulio Caccini e alla
collaborazione con Peri, ovvero gli autori della prima opera in musica (Euridice,
1600).
A distinguere e qualificare ulteriormente l’operato del santacrocese concorre
poi la nutrita serie di personaggi cui si correla in varia misura il suo itinerario ar-
tistico. Giovanni Maria Nanino, suo insigne precettore degli anni formativi,
omaggiato nelle Regole et dichiarationi («Deliberai darle fuori non solo per ho-
norar la memoria del Sig. Giovanni Maria Nanino mio eccellentissimo precettore
119
PIERO GARGIULO
[morto nel 1607], quantunque io mi reputi al minimo di tanti suoi valenti scolari,
ma per far giovamento alli studiosi di tale scienza»); citati nelle Regole sono an-
che il pratese Pesciolini «huomo per certo singularissimo», da cui Brunelli assi-
mila nozioni e modalità della tecnica contrappuntistica;7 Caccini, dedicatario dei
Canoni musicali sopra un soggetto solo del 1612 («[...] io che molte volte in Roma
dal Sig. Gio. Maria Nanino mio Precettore ho sentito maravigliosamente lodarla
e celebrarla per le stampe [...]»).8
Caccini quasi certamente ne perorò l’assunzione per la prima nomina a orga-
nista in terra toscana (a San Miniato dal 1603 al 1608); Carlo Bocchineri, giuri-
sta, poeta e accademico della Crusca fu autorevole mèntore per la nomina a Pra-
to e autore di sette testi intonati da Brunelli nel Primo e Secondo Libro di Arie e
Scherzi; l’orvietano “Balì” Saracinelli, alto dignitario della corte medicea, dedica-
tario del Terzo Libro di Scherzi e Arie e autore nella stessa silloge di «parole com-
poste [...] per maggior fortuna e favore delle mie musiche», scrisse testi poetici
per le monodie di Peri (che gli dedica nel 1609 le sue Varie Musiche), Allegri
(nelle Musiche del 1618, NV 49), Calestani e Brunelli.
Da ricordare sono anche altri protagonisti della vita musicale coeva, con cui
Brunelli seppe coltivare rapporti di stima, amicizia e collaborazione: l’insigne
7 Di Biagio Pesciolini (1536-1611) si conoscono due raccolte di Madrigali (a 5-6 voci del
1563 e a 6 del 1581) e altrettante sillogi di varia produzione sacra (Missae, Motecta, Canones,
Magnificat a 5-6-8-10-12 voci), edite rispettivamente nel 1599 e nel 1605. Anche Bocchineri,
perorando la candidatura di Brunelli a magister di Prato, menziona «messer Biagio Pesciolini»
tra quegli «huomini periti [...] della professione» che possono addurne «relatione degne di fe-
de». Il canonico è citato in Giuseppe Ottavio Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti cit., Parte Sesta,
pp. 375-376 tra gli epigoni di scuola romana e del magistero palestriniano: più precisamente,
tra coloro che hanno praticato lo stile polifonico cosiddetto “pieno”, cioè a due-tre cori senza
strumenti. Cfr. Meraviglioso et armonico concento. Studi e ricerche per Biagio Pesciolini, Atti
dell’Incontro di Studio (Prato, 14 dicembre 1996), a c. di Roberto Becheri, Editore Agenzia
Verde, Prato 2002 (I quinterni, Collana di studi musicali).
8 A Caccini Brunelli dichiara di sentirsi legato da «antica familiarità et osservanza». Dopo
aver tracciato un profilo del suo maestro e mecenate artistico (Scipione delle Palle) e aver ri-
badito Nanino come suo primo maestro, la dedica dei Canoni Musicali si conclude con queste
parole: «Vengo con l’universal concorso a darle quel tributo d’onore che mi concede l’antica
familiarità et osservanza verso di lei, indirizzandole questi miei Canoni [...] e molto più per un
grand’affetto».
120
BRUNELLI SACRO E PROFANO
reggiano Alfonso Fontanelli;9 il coreografo Agnolo Ricci (cui nel Terzo Libro so-
no dedicati i balli «Del bell’Arno in su la riva», un «Ballo per sonar solo senza
cantare» e la Corrente «Belle donne i vostri amanti»), “inventore” di quel Ballo
della Cortesia (1614) per le cui musiche si registra la collaborazione di Brunelli
con Peri, in occasione di una “festa” a Palazzo Pitti ideata da Michelangiolo
Buonarroti il Giovane;10 Francesca Caccini, definita «maestra di bene e gratiosa-
mente cantare», ispiratrice dello splendido mottetto «O dulce nomen Iesu» (a lei
dedicato nei Fioretti spirituali del 1621)11 oltre che esperta conoscitrice delle sue
mano, la quale come maestra di bene e gratiosamente cantare, e come tale, e per altre nobilissi-
me qualità e virtù, è conosciuta et ammirata dal mondo, havendo più volte gustato del concer-
to loro, può fare di quanto ho raccontato a voi, benigni lettori, piena et indubitata fede».
121
PIERO GARGIULO
musiche («havendo più volte gustato del Concerto loro»); Artemisia Torri, dedi-
cataria dei Varii Esercizi (1614), cantante di «tanto profitto» e di «raro ingegno»,
come rileva lo stesso Brunelli incaricato di affinarne l’esercizio vocale; i ben noti
monodisti toscani Allegri e Calestani, inclusi con un brano ciascuno nel Secondo
Libro di Scherzi e Arie.
I. L’approccio personale
Ho conosciuto Brunelli come trattatista oltre un ventennio fa: le prime ricer-
che mi guidarono a lui come autore su cui svolgere la tesi di diploma di Paleo-
grafia e Filologia Musicale.12 A dettare la scelta furono non solo la scarna biblio-
grafia (e dunque l’opportunità di indagare su un terreno ancora non esplorato),
ma soprattutto l’obiettivo di verificare quanto e in che misura l’interesse dei co-
siddetti “musici speculativi” (i teorici attivi tra Cinque e Seicento) si associasse
alla passione didattica e all’intento di rafforzare le esigenze di una corretta prassi
esecutiva, come appunto nel caso di Brunelli, di cui è pienamente attestata la du-
plice qualifica di trattatista e compositore.
Di qui le ricerche finalizzate alla biografia anche per risolvere quel dubbio.
Quanto mai gratificante, in proposito, è stato il reperimento della data di nascita
di Brunelli, cui un lavoro di spoglio nell’Archivio della Curia di San Miniato (op-
portunamente promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Santa Cro-
ce) ha consentito di approdare: l’indicazione 20 dicembre 1577 non si distanzia
molto da quel «1575 ca.» già confermato come presumibile nella voce enciclope-
dica a suo tempo redatta,13 in cui per primo documentavo i natali santacrocesi di
Brunelli, negatigli da tutte le fonti consultate a favore di una presunta discenden-
za laziale (da Bagnoregio o Viterbo) o genericamente toscana (con eventuale rife-
rimento a Pisa o a Firenze).14
12 Piero Gargiulo, Antonio Brunelli trattatista: le Regole utilissime (1606) e le Regole et Di-
tati e quindici raccolte musicali, di cui sei perdute) e per le varie citazioni riprodotte in nota
cfr. Piero Gargiulo, Antonio Brunelli trattatista cit., passim.
14 La più attenta lettura di un passo della dedica a Ferdinando Saracinelli (nel Libro Terzo
122
BRUNELLI SACRO E PROFANO
123
PIERO GARGIULO
15 Cfr. Piero Gargiulo, Da Banchieri a Berardi: la ricezione di Palestrina nei trattati di scuo-
la bolognese (1609-1693), in La ricezione di Palestrina in Europa fino all’Ottocento, a c. di Ro-
dobaldo Tibaldi, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1999 (Strumenti della Ricerca Musicale, 5).
La compilazione del trattato («copiato da Fra Giuseppe Maria Babini da Faenza») segue inte-
gralmente la redazione brunelliana, riportando nella medesima successione e per le medesime
finalità didattiche (impiego di tempi e proporzioni nella scrittura polifonica) gli esempi estratti
dalle già citate messe palestriniane. Le Regole utilissime sono comunque citate in quasi tutti i
dizionari storici (da Fetis a Walther, da Gerber a Eitner, da Schmidl a Riemann).
16 Cfr. la nota 5.
124
BRUNELLI SACRO E PROFANO
padroni miei a darle fuori per giovamento d’altri, mi son lasciato a questo persuadere.17
[1606] Ora io non sarò arrogante, che io presuma nella scienza della musica arrivar di
gran lunga alla perfezione di tanti celebri huomini della nostra età in questa professione
singularissimi, de’ quali io mi contenterei per molto tempo essere scolare.18
[1610] Havendo apresso di me altre regole più riservate e recondite, nelle quali io
tratto d’alcuni contrappunti doppi di altri (per quanto ho visto) non ancora insegnati e
da pochi intesi o così oscuramente accennati, che più tosto confondono che acquietino
l’animo [...]19
[1612] [...] bisogna haver termine di contrappunto [...] et anco esser cantore squisito
[...] intendendo però che quelli che vogliono cantare sieno sicuri e che habbiano intelli-
genza della maniera del ben cantare.20
17 BruRU, p. 5.
18 Ibidem.
19 BruRD, [p. 5].
20 BruAS1, p. 3.
21 Si veda la testimonianza dell’erudito e bibliofilo fiorentino Giovanni Cinelli, che inclu-
de Brunelli tra i non numerosi compositori degni di figurare nell’Indice degli Scrittori Toscani
(1655 ca.), in La Toscana Letterata ovvero Istoria degli Scrittori Toscani (I-Fn Magl. IX.67, Pri-
ma Parte, c. 164). Nella monumentale opera si elencano (accomunati dalla generica qualifica
di “scrittori”) poeti, letterati, pittori, scultori e musicisti, tra cui figurano Bardi, Peri, Caccini,
Bati, Vitali. Presentando Brunelli come «Pisano Maestro di Cappella del Ser.mo Gran Duca»,
Cinelli aggiunge che egli «dette in luce molte opere, delle quali ho vista la Prima parte delli
Fioretti Spirituali». Brunelli aveva affrontato il repertorio sacro concertato già con il Prato di
Sacri Fiori Musicali (BruPS), edito nel 1612 con il «Basso continuato per sonar nell’Organo» e
125
PIERO GARGIULO
126
BRUNELLI SACRO E PROFANO
in tempo binario e ternario che valorizzano opportune cesure di raccordo tra te-
sto e intonazione musicale. Fa eccezione «Anima mea liquefacta est» (per mezzo-
soprano), in cui la particolare suggestione dei versetti (liberamente adattati dal
Canticus Canticorum) si traduce nell’uso prolungato di melismi, ritmi puntati e
cromatismi di intensa espressività, anche mirando ad accentuare il risalto di spe-
cifche immagini testuali.
Medesima dovizia di fioriture melodiche è possibile riscontrare nei brani per
organico a due voci, in cui soprattutto i registri di soprano e alto sono impegnati
da un costante fluire di complesse formulazioni melodiche, corredate da trilli
(indicati in partitura), serrate sincopazioni e intrecci imitativi, come soprattutto
in «Regina coeli laetare» e «Ave Virgo gratiosa», ma anche in «Pulchra est amica
mea» (per tenore e basso), ancora estratto dal Canticus Canticorum; altrove (ad
esempio in «Dulcis amor Iesu» e «O Maria domina nostra») la musica cede a to-
ni più declamati o, relativamente al raddoppio delle voci maschili (i due tenori di
«Iste Sanctus pro lege Dei» o i due bassi di «Benedicam Domino»), a espressioni
di più disteso stile sillabico.
Ad un impianto più equamente articolato tra conduzione omoritmico-accor-
dale (assai evidente in «O dulcissima crux» a 5) e dosate combinazioni di spunti
imitativi (come in «Cantemus Domino» a 3 e in «Veni sponsa Christi» e «Exalta-
bo te Domine» a 4) si ispirano poi i brani a più voci. Emerge tra essi «O dulce
nomen Iesu», in cui il marcato solismo del soprano si contrappone al “tutti” vo-
cale alternando episodi in stile recitativo ad ampi respiri virtuosistici (come la se-
quenza di 56 semicrome consecutive sulla prima sillaba del termine «gloria»),
che certo motivano la dedica del brano «alla molto illustre Francesca Caccini, fi-
gliola del signor Giulio Romano», salutata – si è detto – da Brunelli nella prefa-
zione come «maestra di bene e gratiosamente cantare», oltre che esperta cono-
scitrice delle sue musiche («havendo più volte gustato del Concerto loro»).
Analoga suggestione, rafforzata dal contrasto tra una coppia di voci e l’insie-
me vocale-strumentale, può cogliersi nell’articolazione di «Sancta Maria, regina
pia»: esordio (“tutti”), rispettive entrate dei solisti (soprano e alto), sezione in
duo, conclusione (ancora affidata al “tutti”). Sembra quasi che il brano rifletta e
interpreti gli orientamenti stilistici più caratterizzanti del repertorio brunelliano:
polifonia (ribadita per altro negli unici due titoli a cappella, «Lumen ad revela-
tionem gentis» e «Pueri hebraeroum», entrambi di chiara impronta palestrinia-
127
PIERO GARGIULO
na), monodia accompagnata (tra intima espressione del recitativo e vibranti aper-
ture al solismo virtuosisitico), corredo strumentale (valorizzato anche da una Sin-
fonia e una Canzona per archi).
E proprio in tale contesto, debitore in pari misura alla scuola romana e allo
stile fiorentino (ma pure a certo repertorio sacro concertato di area nord-italiana,
sui modelli di Banchieri e Viadana), trova emblematica collocazione l’intera sillo-
ge dei Fioretti, quale ultimo contributo di Brunelli a «nuove compositioni» crea-
te – come egli stesso non manca di chiarire ai lettori – per «aprir gl’occhi e le
menti per ricercar in esse con ogni sottigliezza ogni minima imperfezione».
Al periodo pisano e all’eterogenea produzione che lo connota risale anche la
fortunata circolazione del mottetto «Tibi laus, tibi gloria» a 3 voci e b.c. (già edi-
to nel Prato di Sacri Fiori) in tre importanti edizioni collettive, legate alla diffu-
sione del magistero palestriniano in area tedesca (adattamento dei mottetti lati-
ni all’uso liturgico protestante) e arricchite (per cura di Victorinus, Donfried e
Reininger) dalla presenza di Agazzari, Felice Anerio, Banchieri, Cifra, Croce,
Marenzio, Monteverdi, Viadana quali autori italiani più selezionati.23
23 Siren coelestis a 2-3-4 voci, curata da Georg Victorinus (RISM 16162, con la ristampa di
16223, per 98 brani di 47 autori); la seconda parte dei Promptuarii musici concentus ecclesiasti-
cos a 2-3-4 voci, curata da Johannes Donfried (RISM 16232, con 233 brani di 65 autori) e Deli-
ciae sacrae musicae (RISM 16262, con 173 brani di 58 autori), curata da Johann Reininger. Da
notare l’inclusione di Brunelli nella seconda collectio citata (che comprende anche «O bone
Iesu, o piissime Iesu» di Monteverdi), in cui la stessa terminologia proposta dal titolo chiarisce
il contrapporsi di una più eclatante concezione di polisonorità vocale-strumentale («concen-
tus») alle più misurate risorse di un impianto mottettistico, come ad esempio nelle «sacrae
harmoniae» di un altro celebre Promptuarium (16111 e 16123, 16132, 16171 per le rispettive
Seconda, Terza e Quarta parte), curato da Abraham Schadaeus. Johannes Donfried assembla
quasi 700 Concentus ecclesiastici a 2-4 voci. Cfr. Promptuarii musici concentus ecclesiasticos II.
III. et IV. vocum cum basso continuo & generali, organo applicato, e diversis, iisque illustrissimis
et musica laude praestantissimis hujus aetatis authoribus Pars Prima [...] (16222), Altera
(16232), Tertia (16271), tutte edite a Strasburgo.
128
BRUNELLI SACRO E PROFANO
[...] intendendo però che quelli che vogliono cantare sieno sicuri e che habbiano intelli-
genza della maniera del ben cantare.24
[1614] E se alcuno non ha cognitione del ben cantare [...] vada ai maestri a farsi inse-
gnare il modo che deve tenere per esercitarsi, ma però dai maestri che intendino la vera e
buona maniera, perché spesse volte alcuni si danno ad intendere di possederla et guasta-
no li scolari totalmente, che difficil cosa è poterli poi ridurre al vero modo. (Dedica a Co-
simo II) [...] perché un maestro che non possiede qualche termine di contrappunto, diffi-
cilmente potrà insegnare bene. Il perché lo taccio e lo lascio considerare ai professori del
contrapunto.25
[1616] Ma come potranno questi mantenere appresso agli intelligenti con la loro igno-
rante opinione [...] che il contrappunto non sia poesia armonica [...]? Ma d’altra parte so-
no da essere scusati per due principali ragioni: l’una è che ne siano ignoranti, l’altra che
non sanno far distinzione tra musico e cantore. (Dedica a Ferdinando Saracinelli).26
Presenze illustri
Di Caccini sono le arie «Se ridete gioiose» e «Tua chioma oro simiglia»; di Pe-
ri l’aria in quattro parti «O dell’alto Appenin figlio sovrano»; di Allegri e di Ca-
24 BruAS1, p. 3.
25 BruVE, p. 5.
26 I tre Libri di Scherzi comprendono ventisei brani nel Primo, ventidue nel Secondo e
ventisei nel Terzo, calcolando in quest’ultimo anche la versione strumentale del citato «Del
bell’Arno» e le intonazioni corrispondenti alle quattro “parti” in cui sono articolati due balli.
Dal computo è escluso il canone d’apertura del Libro Terzo, il cui titolo («Studentes expian-
tur») redarguisce bonariamente i discenti. Incluso nel Ruolo mediceo («nella classe di diversi
provisionati») dal luglio 1606, Saracinelli fu alto dignitario della corte, insignito di vari titoli:
cameriere segreto, «Balì di Volterra» (ovvero Cavaliere dell’Ordine Superiore di Malta), gran
cancelliere della Religione di Santo Stefano. La sua partecipazione agli spettacoli di corte fio-
rentini e pisani è registrata dal 1611 al 1628 con varie mansioni (Angelo Solerti, Musica, ballo
e drammatica cit., pp. 61, 65, 85, 89, 91, 97, 105, 108, 179, 203): come danzatore (in maschera-
te e balletti di Gagliano e Peri), come coreografo e musicista (per L’arrivo di Amore in Toscana
del 1615), come poeta (per i testi di numerosi balletti, musicati da Allegri e da Francesca Cac-
cini), come sovrintendente delle musiche (per la rappresentazione sacra Regina Sant’Orsola di
Salvadori-Gagliano del 1624 e per il balletto La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina del
1625, di cui scrive anche il testo per la Caccini).
129
PIERO GARGIULO
lestani rispettivamente i madrigali «Tu piangi al mio partire» e «Ohimè che trop-
po è vero»; di Bettini le tre arie «Quando vide pria d’Alcide il valor», «Su dal
ciel l’aure recando fa sonar» e «Occhi belli, occhi celesti, d’amor nido». Quasi
certamente su segnalazione di Brunelli e su parere positivo di Gagliano e Peri, il
pratese Bettini27 fu nominato nel 1618 organista di Santo Stefano de’ Cavalieri in
Pisa «nel sonare senza concerto, come in concerto»; il primo dei suoi tre brani
citati tradisce dal testo una probabile destinazione all’intrattenimento di corte,
come parrebbe anche confermare la dedica al granduca Cosimo II. Un altro suo
brano («O primavera gioventù de l’anno», su testo di Guarini) è conservato nel-
l’unica silloge di Calestani, edita nel 1617 (Madrigali et arie per sonare e cantare
nel Chitarrone, Leuto o Clavicembalo a una e due voci).28
Ciò che colpisce di Brunelli è la duttilità, la capacità di misurarsi con le con-
notazioni tecniche, stilistiche ed espressive proprie dei vari repertori. Come nei
vari libri di Scherzi è brillante, intimo, virtuosistico, nel Prato e nei Fioretti egli sa
essere solenne, mistico, intenso. E anche strumentista preparato, raffinato, atten-
to a commisurare le esigenze delle voci all’accompagnamento; attento anche ad
indicare la corretta prassi esecutiva.
Un brano profano (il madrigale «Godi felice Alfea» a 2 voci e b.c., composto
«per il ritorno delle Serenissime Altezze in Pisa») viene invece accolto nell’unica
raccolta pervenuta (1617) del lucchese Calestani, a sua volta già ospitato da Bru-
nelli, insieme al fiorentino Allegri e al pratese Bettini.
27 Cfr. Tim Carter in New Grove Dictionary of Music and Musicians cit., II, p. 664.
28 Solo venti dei settanta testi poetici raggruppati complessivamente dalle tre sillogi di Arie
e Scherzi sono attribuiti: Bocchineri (9), Chiabrera (4), Saracinelli (3), Sannazaro (1), Rinuccini
(1), Benedetti (1) e Marino (1). L’aria «La pastorella mia spietata e rigida» (Sannazaro) conta
tre intonazioni (due nel Libro Primo, a 1 e a 2 voci; una a 3 nel Secondo); del madrigale «Tu
piangi al mio partire» (Saracinelli), musicato da Allegri nel Libro Secondo, si registra nel Terzo
anche l’intonazione brunelliana, sempre “a voce sola”. Il testo di «Vezzosetta pastorella» è in-
cluso come anonimo in Fabio Varese, Canzoni, a c. di Angelo Stella, Massimo Baucia, Renato
Marchi, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1979, p. 123. Ringrazio Antonio Vassalli che mi ha
gentilmente fornito quest’ultima informazione in base ai materiali del REPIM (Repertorio del-
la poesia italiana in musica dal 1500 al 1650) in allestimento per conto dell’Istituto di Studi Ri-
nascimentali di Ferrara; sempre a Vassalli devo l’informazione sull’aria «Se ridete gioiose» di
Caccini, basata sul testo di Gabriello Chiabrera (in Rime, Pavoni, Genova 1599, p. 80).
130
BRUNELLI SACRO E PROFANO
Pare dunque, alla luce di quanto fin qui esposto, di poter attestare per Brunel-
li l’effettiva valenza di alcuni giudizi che, superando certa consuetudine di elogio
reverenziale, ne esaltano i requisiti più consoni al suo comporre: non solo l’epi-
grafe dell’ottava in versi latini («Prosperi Tatij Civis Florentini») anteposta alle
musiche del Prato di Sacri Fiori («Ad Antonium Brunellium musicum eccellentis-
simum. Tantum tu reliquis, tractant qui Musica praestas distabit quantum ma-
gnus ab exiguo») e la lusinghiera espressione con cui i “Cavalieri” pisani lo pre-
sentavano all’attenzione del granduca Cosimo II («Questo Antonio Brunelli, ol-
tre all’esser buonissimo compositore, ha ancora alla stampa diverse cose di suo
che sono stimate»), ma soprattutto il convinto apprezzamento che il “cruscante”
Carlo Bocchineri gli manifesta, in un passo del discorso pronunciato davanti alle
autorità di Prato per ribadirne la plausibile candidatura alla nomina del 1608.29
Per concludere, siamo qui di fronte a un autore che non si stanca di rivendica-
re il giusto spazio da concedere alla didattica, alle mansioni di “vero maestro”.
Una professionalità che viene prima di ogni altro, corredata da accuratezza di
studi, riconoscimento ai propri precettori, preparazione ed esperienza guadagna-
ta sul campo, con il repertorio e la “speculazione” teorica.
In più l’attestazione sempre maggiormente netta e verificata dell’interesse di
Brunelli per quei modelli rispettivi di Concerti ecclesiastici (Banchieri 1595 e Via-
dana 1602, presenti nelle tre edizioni collettive estere citate di sopra – cfr. la nota
23 – per l’inclusione del mottetto brunelliano) che nel primo ventennio del Sei-
cento ispireranno la produzione polivocale «cum basso pro organo» di una larga
schiera di epigoni (come Molinaro nei Concerti a 2-4 voci del 1605 e in quelli a
1-2 del 1612, Cima nel 1610, Grandi con i vari libri di Motetti concertati tra il
1610 e il 1616). Emerge, nell’approccio di Brunelli alla varietà dei repertori co-
evi, la capacità di misurarsi con le connotazioni tecniche, stilistiche ed espressive
proprie dei vari generi. Se nei tre Libri di Scherzi e Arie egli sa essere a un tempo
brillante, intimo, virtuosistico (tanto da meritarsi egregie citazioni a modello
comparativo),30 nei Fioretti egli si rivela solenne, mistico, intenso, come anche
131
PIERO GARGIULO
Appendice 1
Produzione di Brunelli (pubbl. Vincenti, Venezia s.d.i.)
Opere perdute
BruE = Esercizi a 2 voci, Marescotti, Firenze 1605
BruMO1 = Mottetti a 2 voci. Libro I, Marescotti, Firenze 1607
BruMO2 = Mottetti a 2 voci. Libro II, Marescotti, Firenze 1608
BruC = L’affettuoso invaghito. Canzonette a 3 voci, Marescotti, Firenze 1608
BruMA1 = I fiori odoranti. Madrigali a 3 voci. Libro Primo, 1609
BruMA2 = Le fiammette d’ingenio. Madrigali a 3 voci. Libro Secondo, 1610
Opere sacre
BruPS = Prato di Sacri Fiori Musicali. Per una voce sola e per più fino a Otto
voci per Concerti, 1612
BruSC = Sacra Cantica singulis, bini, ternmis, quatrenis vocibus modulata, una
cum gravi voce ad organum, 1617
BruMIS = Missae tres pro defunctis quarum prima et secunda quaternis vocibus,
tertia vero septenis concinuntur, item Improperia senis et Miserere quaternis voci-
bus; quae omnia, excepta prima et secunda missa, sine organo non modulantur, et
simul cum gravi voce ad organum sunt, 1619
sione di Brunelli tra i più qualificati monodisti di area toscana, insieme a Belli, Benedetti, Bo-
nini, Bucchianti, Francesca e Giulio Caccini, Calestani, Peri, Rasi, Rontani, Visconti, Vitali);
Lorenzo Bianconi, Il Seicento, 2ª ed., EDT, Torino 1991, pp. 228-229 (sul confronto con Mon-
teverdi per «Non havea Febo ancor» di Rinuccini); John Whenham, Duet and Dialogue in the
Age of Monteverdi, UMI Research Press, Ann Arbor 1982, I, pp. 121-122, 126, 169, 190 (per
le citazioni di alcune arie a dialogo e scherzi).
132
BRUNELLI SACRO E PROFANO
BruFS = Prima Parte delli Fioretti Spirituali a 1. 2. 3. quattro & cinque voci per
concertare nell’Organo, Magni, Venezia 16262 [perduta è la prima edizione del
1621]
Opere teorico-didattiche
BRUE = Esercizi a 2 voci, Marescotti, Firenze 1605 (perd.)
BRURU = Regole utilissime per li scolari che desiderano imparare a cantare sopra
la pratica della musica, Timan, Firenze 1610
BRURD = Regole et dichiarationi di alcuni contrapunti doppii utili alli studiosi
della musica et maggiormente a quelli che vogliono far contrapunti all’improvviso.
Con diversi Canoni sopra un solo canto fermo, Marescotti, Firenze 1610
BRUVE = Varii Esercitii per una o due voci, cioè Soprani, Contralti, Tenori et
Bassi; per i quali si potrà con facilità acquistare la dispositione per il cantare con
passaggi; e per esercitio di Cornetti, Traverse, Flauti, Viole, Violini et simili stru-
menti, con alcuni ruggieri a dua soprani per sonare, Pignoni, Firenze 1614
BRUCV = Canoni varii musicali sopra un soggetto solo, Vincenti, Venezia 1612
Opere profane
BruCV = Canoni varii musicali sopra un soggetto solo, 1612
BruAS1 = Arie, Scherzi, Canzonette, Madrigali a Una, Due e Tre voci per Sonare
e Cantare. Libro Primo, 1613
BruSA2 = Scherzi, Arie, Canzonette e Madrigali a una, due e tre voci per sonare e
cantare con ogni sorte di stromenti. Libro Secondo, 1614
BruVE = Varii Esercitii per una o due voci, cioè Soprani, Contralti, Tenori et
Bassi; per i quali si potrà con facilità acquistare la dispositione per il cantare con
passaggi; e per esercitio di Cornetti, Traverse, Flauti, Viole, Violini et simili stru-
menti, con alcuni ruggieri a dua soprani per sonare, Pignoni, Firenze 1614
BruSA3 = Scherzi, Arie, Canzonette e Madrigali a una, due e tre voci per cantare
sul Chitarrone et stromenti simili. Libro Terzo, 1616
133
PIERO GARGIULO
Appendice 2
Rassegna di documenti e testimonianze archivistiche su Brunelli
Carlo Bocchineri («Dottore di Leggi e Accademico della Crusca»), la cui figlia Alessandra an-
dò in sposa a Francesco Rasi nel 1621, è ricordato come poeta degli intermedi allestiti per le
nozze di Maria Maddalena e Cosimo II de’ Medici (1608) e come autore di un’orazione fune-
bre per la morte di Ferdinando I; oltre ai sette testi intonati da Brunelli, il suo madrigale «Fi-
gliol del sole, fratel d’aprile» venne musicato dal piacentino Francesco Maria Lamoretti nel
Primo Libro de’ Madrigali Concertati a 2-3-4 voci del 1621 (NV1375).
134
BRUNELLI SACRO E PROFANO
135
PIERO GARGIULO
Appendice 332
ANTONIO BRUNELLI
Piano editoriale
SERIE I: MUSICA PROFANA
– Arie, Scherzi, Canzonette, Madrigali a 1-2-3 voci per sonare e cantare. Libro Pri-
mo (1613), a cura di Marco Mangani, ETS, Pisa 2001
– Scherzi, Arie, Canzonette e Madrigali a 1-2-3 voci per sonare e cantare con ogni
sorte di stromenti. Libro Secondo (1614)
– Scherzi, Arie, Canzonette e Madrigali a 1-2-3 voci per cantare sul Chitarrone et
stromenti simili. Libro Terzo (1616). Brani sparsi in sillogi di altro autore (1617)
32 Per ragioni di ordine finanziario legate alla disponibilità del Comune di Santa Croce
sull’Arno, ma relative alla più generale situazione di stallo che grava attualmente sulle Ammi-
nistrazioni comunali e sugli Assessorati alla Cultura, ha subito qualche ritardo la pubblicazio-
ne del secondo volume degli opera omnia, Prato di Sacri Fiori musicali. Per una voce sola e per
più sino a Otto voci per Concerti. Con il basso continuato per sonar nell’organo (Venezia 1612),
a c. di Joachim Steinheuer, ETS, Pisa. Se ne auspica la ripresa nel prossimo autunno.
136
BRUNELLI SACRO E PROFANO
– Sacra Cantica singulis, binis, ternis, quaternis vocibus modulata (1617). Mottetti
sparsi in antologie (1616-1626)
– Missae tres pro defunctis [...] item Improperia et Miserere [...] (1619)
– Prima Parte delli Fioretti Spirituali a 1-2-3-4-5 voci per concertare nell’Organo
(1626)
137
INDICI
INDICE DEI NOMI
141
LA MONODIA IN TOSCANA ALLE SOGLIE DEL XVII SECOLO
142
INDICI DEI NOMI
143
LA MONODIA IN TOSCANA ALLE SOGLIE DEL XVII SECOLO
144
INDICI DEI NOMI
145
LA MONODIA IN TOSCANA ALLE SOGLIE DEL XVII SECOLO
146
INDICE DEI MANOSCRITTI
ASFI Carte Strozziane serie I, 13: 28n I-Fn ms. Magliabechiano IX.67: 125n
ASFI Carte Strozziane serie I, 136: 28n I-Fn ms. Magliabechiano XIX.23: 70, 72
ASFI Carte Strozziane serie I, 137: 29n I-Fn ms. Magliabechiano XIX.24: 70, 73,
ASFI Guicciardini-Corsi-Salviati 409: 51 74
ASFI Mediceo del Principato 2890: 42n I-Fn ms. Magliabechiano XIX.25: 70, 75,
104, 104n, 105
ASPO Archivio Storico del Comune, I-Fn ms. Magliabechiano XIX.30: 51-56
Diurni n. 216: 134 I-Fn ms. Magliabechiano XIX.45: 87n
ASPO Archivio Storico del Comune, I-Fn ms. Magliabechiano XIX.66: 52, 56,
Diurni n. 562: 135 78, 79
ASPO Patrimonio Ecclesiastico, Opera I-Fn ms. Magliabechiano XIX.114: 70, 76,
del Cingolo, n. 1035: 134, 135 78
I-Fn ms. Magliabechiano XIX.115: 52
B-Bc Codex 704: 46, 47, 53, 55, 56 I-Fn ms. Magliabechiano XIX.144: 77
I-Fn ms. Magliabechiano XIX.168: 52
B-Br II.275 (ms. Cavalcanti): 33n
I-Fn ms. Palatino 256: 26n
GB-Lbl Add. 36877 (ms. Casalotti): 100n I-Fr ms. 2793: 114n
GB-Lbl ms. Tenbury 1019: 46, 48 I-Fr ms. 2804: 114n
I-Fr ms. 2849: 114n
I-Bc ms. Q 27 IV: 46-48 I-Fr ms. 2951: 91n
I-Bu ms. 177: 45, 84n I-LEp ms. Prontera 1: 87n
I-Fc ms. Barbera: 10, 46, 49, 50, 56-58, I-MOe ms. C 311: 33n
61-71, 73-79
I-PEc ms. 586: 92n
I-Fn ms. II.278: 29n I-Rvat ms. 1725 ca.: 118n
I-Fn ms. Landau Finaly 175: 114n I-Rvat Fondo Barb. lat. ms. 4145: 100n
I-Fn ms. Landau Musica 2: 53n, 54 I-Rvat Fondo Barb. lat. ms. 4386: 95n, 96
I-Fn ms. Magliabechiano VIII.1513-1538:
79n I-Vnm ms. 11701: 97n
147
Finito di stampare nel mese di maggio 2007
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com