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AUTOEFFICACIA PERCEPITA EMOTIVA
E INTERPERSONALE
E BUON FUNZIONAMENTO SOCIALE
L’AUTOEFFICACIA PERCEPITA
Il presente studio è stato parzialmente finanziato tramite contributi della Johann Ja-
cobs Foundation, del CNR e del MURST a Gian Vittorio Caprara, della Spencer Founda-
tion e della Grant Foundation ad Albert Bandura.
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vengono messi direttamente alla prova. Attraverso la riflessione sulle
conseguenze della propria condotta la persona prende coscienza delle
opportunità e dei vincoli che la relazione coll’ambiente comporta.
La condotta è dunque ciò che certifica concretamente i rapporti tra
la persona e l’ambiente, ma è la riflessione sulla condotta ciò che con-
sente la continua rinegoziazione di tali rapporti e che fa sì che l’indi-
viduo possa svolgere una parte sempre più attiva nel farsi artefice del
proprio destino. È infatti la capacità di capitalizzare sull’esperienza,
cioè la capacità di trarre vantaggio dalla riflessione su di sé, sull’am-
biente e sulle conseguenze delle proprie azioni, ciò che si traduce in
un senso di efficacia personale suscettibile di massimizzare il proprio
bilancio personale tra costi e benefici.
Su queste premesse è maturata la teoria che riconosce nelle convin-
zioni di autoefficacia formidabili indicatori della capacità del soggetto
di orchestrare al meglio il proprio rapporto con la realtà, traendo il
massimo vantaggio dalle sue potenzialità e dalle opportunità ambien-
tali. L’autoefficacia percepita corrisponde al grado in cui una persona
ritiene di essere all’altezza di determinate situazioni, di risolvere con
successo certi problemi, di essere capace di far fronte a varie difficol-
tà, di poter resistere a talune avversità. Con tale nozione ci si riferisce
alla convinzione, che deriva dall’esperienza, di dominare con successo
determinate attività.
Tale nozione si distingue chiaramente da quella di autostima. Men-
tre l’autoefficacia riguarda i giudizi della persona sulle proprie capaci-
tà personali in uno specifico dominio, l’autostima si riferisce invece a
giudizi generali di apprezzamento verso se stessi. L’autoefficacia inol-
tre presenta importanti differenze anche con la nozione di competen-
za. Mentre quest’ultima fa riferimento al possesso di abilità che ren-
dono possibile la messa in atto di una condotta, l’autoefficacia fa rife-
rimento alla capacità di orchestrare le diverse abilità in corsi di azione
appropriati, e di eseguirle con successo soprattutto in presenza di cir-
costanze difficili.
Dal momento che le stesse persone possono avere un alto senso di
efficacia per talune attività e non per altre, è appropriato trattare di
sistemi di convinzioni che funzionano come elementi cruciali di moti-
vazione e di autoregolazione rispetto a specifiche sfere di competenza.
In quanto tali essi rendono conto delle mete che l’individuo si pone,
della persistenza del suo impegno e del controllo che l’individuo è in
grado di esercitare sui propri rapporti coll’ambiente in specifici ambi-
ti di azione. È intuitivo che le persone sono poco attratte da mete che
ritengono irraggiungibili e che sono inclini a desistere dal cimentarsi
con attività o situazioni che presentano ostacoli che esse percepiscono
come troppo difficili o onerosi. Numerose ricerche attestano che le
convinzioni di autoefficacia influenzano lo sviluppo e l’adattamento
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agendo direttamente sui processi cognitivi, motivazionali e volizionali.
Tali convinzioni influenzano il livello di aspirazione e la persistenza
dell’impegno, le mete che le persone si prefiggono di raggiungere e le
loro reazioni di fronte alle frustrazioni, la qualità dei processi di pen-
siero, la ricerca e l’attribuzione delle cause nel caso di successo e di
insuccesso, la vulnerabilità allo stress e alla depressione.
Mentre gli studi sperimentali attestano il ruolo «causale» delle con-
vinzioni di autoefficacia, queste si rivelano elementi decisivi di succes-
so in una varietà di contesti educativi, familiari, occupazionali, sporti-
vi. Generalmente le persone con un basso senso di autoefficacia, a
motivo di come percepiscono se stesse e l’ambiente, tendono a sotto-
stimare potenzialità ed opportunità, esagerano le difficoltà ed esaspe-
rano le avversità, spesso si predispongono al fallimento e diventano le
vittime complici delle proprie aspettative. Al contrario, le persone con
un alto senso di efficacia percepiscono le difficoltà come occasioni
per mettere alla prova le proprie capacità, hanno alti livelli di aspira-
zione, si impegnano a fondo e non concedono spazio a ruminazioni e
ripensamenti nelle attività che intraprendono, focalizzandosi sui pro-
blemi mirano all’impiego migliore delle loro abilità e delle risorse di-
sponibili, si riprendono facilmente dagli insuccessi badando a rime-
diare più che a giustificare o ad amplificare le proprie insufficienze.
Numerosi studi indicano che le credenze relative alla propria auto-
efficacia si costruiscono e stabilizzano entro l’adolescenza (Flammer,
1995). In questa fase della vita, caratterizzata da una messa in discus-
sione degli equilibri personali (sia da un punto di vista biologico, che
personale e familiare) la convinzione degli adolescenti di poter speri-
mentare livelli crescenti di autoefficacia negli ambiti cruciali per il
loro sviluppo (dalla relazione con il mondo sociale, al controllo delle
emozioni, alla riuscita scolastica) è un fattore cruciale per un buon
adattamento psico-sociale.
Come ha osservato Bandura, nessuno dei meccanismi attraverso cui
opera il sistema del sé è più centrale e pervasivo delle convinzioni che
le persone hanno nelle proprie capacità di esercitare controllo sul
proprio modo di funzionare e sulle richieste e pressioni ambientali. È
perciò verosimile che tali convinzioni siano le espressioni più qualifi-
cate di quel sistema autoreferenziale e autoregolato con il quale si
identifica il senso di identità personale, che dà continuità e coerenza
alle diverse espressioni della personalità, che guida la condotta e che
orienta tutto il rapporto della persona coll’ambiente.
Sarebbe però un errore perdere di vista la specificità delle varie
convinzioni di autoefficacia e guardare ad esse come alle espressioni
di un generale senso di competenza come quello di cui ha trattato
White (1959). È vero che varie convinzioni di autoefficacia sono spes-
so correlate, per cui alla percezione di un alto senso di efficacia in un
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ambito di attività corrispondono analoghe percezioni di efficacia in al-
tri ambiti. Ma ciascuna convinzione è pertinente ad una specifica sfe-
ra di competenza, deriva dalle opportunità che all’individuo sono sta-
te offerte di mettere a prova particolari abilità, e riflette la sua capaci-
tà di trarre vantaggio dall’esame della propria condotta e della pro-
pria esperienza per un ambito comunque circoscritto di problemi e si-
tuazioni. Ciascuna convinzione è l’espressione di un percorso evoluti-
vo particolare, resta ancorata a specifici scambi che hanno contraddi-
stinto il rapporto della persona coll’ambiente, dei quali rispettivamen-
te riflette le potenzialità e le abilità, da un lato, e i vincoli e le oppor-
tunità, dall’altro.
Sarebbe parimenti un errore ricondurre le varie convinzioni di effi-
cacia personale ad uno o più tratti perdendone di vista i caratteri che
distinguono l’elaborazione di Bandura rispetto ai tradizionali indirizzi
della psicologia dei tratti. L’ancoraggio concreto ad abilità, situazioni
ed itinerari evolutivi particolari si associa infatti alla convinzione che
il senso di autoefficacia percepita sia l’esito di una costruzione, più
che l’espressione di una disposizione, che esso si appoggi a processi
che si organizzano in strutture nel corso dell’ontogenesi, che esso sia
sempre suscettibile di modifica in accordo con le potenzialità dell’in-
dividuo e le opportunità dell’ambiente. Soprattutto costituisce un ele-
mento distintivo della teoria sociale-cognitiva rispetto alla tradizionale
psicologia dei tratti guardare alle differenze individuali non come ad
espressioni di ipotetiche entità originali, fattori o disposizioni, che se-
gnano in partenza il corso di un’esistenza, ma come alle espressioni di
un sistema personale di relazione col mondo, autoreferenziale ed au-
toregolantesi, che si costruisce e costantemente si ridefinisce nel corso
del tempo.
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Non vi è una misura multi-uso dell’autoefficacia percepita e risulta-
no con essa incompatibili i vari strumenti che, nello sforzo di cogliere
aspetti di essa ad ampio spettro di applicabilità, finiscono coll’affidarsi
ad asserzioni troppo generiche per afferrare le effettive convinzioni e
rendere conto dei determinanti soggettivi (i sentimenti, le valutazioni e
le anticipazioni che si traducono in giudizi di efficacia personale) che
si ritiene sorreggano la condotta delle persone nelle diverse situazioni.
È perciò raccomandabile predisporre strumenti specifici per i vari
ambiti di competenza che si intendono indagare, conformemente agli
scopi che si intendono perseguire. Vanno quindi individuate le condot-
te che sono effettivamente rilevanti per il conseguimento del successo e
dalle quali le persone possono effettivamente trarre una misura della
propria efficacia. Ciò generalmente comporta l’individuazione per ogni
ambito di un repertorio di attività cui possono anche corrispondere di-
stinti sensi di competenza, ciascuno con una diversa incidenza sul sen-
so di efficacia complessivo rispetto all’ambito considerato.
Per gli interventi in ambito educativo e per la ricerca in ambito
evolutivo Bandura ha originalmente proposto sette scale per la misura
dell’autoefficacia percepita rispettivamente per: 1) il successo scolasti-
co, 2) la regolazione dell’apprendimento scolastico, 3) lo svolgimento
di attività ricreative, 4) la capacità di resistere alle pressioni dei com-
pagni (autoefficacia regolativa), 5) la capacità di soddisfare le aspetta-
tive altrui, 6) la capacità di instaurare e mantenere relazioni sociali, 7)
la capacità di sostenere il proprio punto di vista nel rapporto con gli
altri. Tali scale sono state tradotte e validate in italiano e largamente
impiegate per fini di ricerca (Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pasto-
relli, 1996; Pastorelli, Caprara e Bandura, 1998).
Nel caso dell’autoefficacia percepita nel raggiungimento del succes-
so scolastico, ad esempio, sono state considerate le convinzioni circa la
capacità di riuscire nello studio delle diverse materie scolastiche (italia-
no, storia, matematica, ecc.). I risultati dell’analisi fattoriale sui dati
tratti da ampie popolazioni hanno suggerito di trattare l’autoefficacia
percepita per le varie materie come aspetti di una stessa dimensione e
perciò hanno legittimato un unico punteggio di autoefficacia scolastica
risultante dal sommare indistintamente l’autoefficacia percepita nelle
varie materie. Ciò tuttavia non esclude che a livello individuale possa-
no emergere differenze non irrilevanti nei livelli di efficacia percepita
per le varie materie (un bambino può ritenere di esser molto capace in
italiano, ma meno in matematica o in storia) tali da raccomandare va-
lutazioni distinte per ciascuna di esse. Evidentemente una stessa misu-
ra assume rilievo diverso e comporta differenti cautele quando è im-
piegata per indagare i nessi tra costrutti in popolazioni, rispetto a
quando è impiegata per valutare differenze intraindividuali o per mo-
nitorizzare i cambiamenti di una persona nel corso del tempo.
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Per indagare i nessi tra autoefficacia percepita e vari indicatori di
adattamento e disadattamento sociale dell’adolescente, l’autoefficacia
nel raggiungimento del successo scolastico e nella regolazione dell’ap-
prendimento scolastico è stata considerata espressione di una più ge-
nerale autoefficacia scolastica. Parimenti la capacita di soddisfare le
aspettative altrui, la capacità di instaurare e mantenere relazioni socia-
li e la capacità di sostenere il proprio punto di vista nel rapporto con
gli altri sono state considerate espressioni di una più generale autoef-
ficacia sociale. Tali aggregazioni sono state suggerite dai risultati del-
l’analisi fattoriale e sono parse pienamente giustificate nel contesto di
studi longitudinali tesi a valutare il valore predittivo delle varie
espressioni di autoefficacia personale su un’ampia popolazione di
bambini. Esse sono però meno giustificate quando la misura di auto-
efficacia mira a valutazioni dettagliate e articolate della percezione che
un individuo ha dei propri punti di forza e debolezza, e alla messa a
punto di piani individuali di sviluppo dell’autoefficacia. In questi casi,
infatti, possono risultare determinanti differenze tra percezioni di effi-
cacia che, a livello di popolazioni, possono essere completamente oc-
cultate dalle elevate correlazioni tra percezioni di autoefficacia in am-
biti diversi. È intuitivo che, se un bambino ha un alto senso di effica-
cia in storia e non in matematica, non necessariamente un ulteriore
rafforzamento del primo aiuta ad irrobustire il secondo, che deve per-
ciò diventare il bersaglio di un trattamento educativo specifico.
Una volta definiti gli ambiti ed individuati i comportamenti rispet-
to ai quali valutare la percezione di autoefficacia, questa va confronta-
ta con situazioni che effettivamente mettano alla prova le capacità
personali offrendo ai soggetti la possibilità di graduare il loro senso di
autoefficacia e di indicare in quale misura essi ritengono di essere ca-
paci. È intuibile che è di poca utilità prospettare situazioni nelle quali
non vi sono difficoltà da superare, che non comportano alcuna possi-
bilità di mettersi alla prova e che ognuno ritiene di essere in grado di
affrontare con successo. Vanno perciò individuati situazioni, eventi,
impedimenti, problemi non impossibili, ma tali da richiedere un ele-
vato coinvolgimento personale e tali da costituire un banco di prova
della propria capacità di autoregolazione e di controllo sulla realtà
esterna.
Infine è opportuno prestare attenzione alle asserzioni che formano
le diverse scale. Queste debbono essere chiare e il formato di risposta
deve effettivamente consentire di stimare il grado in cui una persona
è capace di fare una determinata attività o di dominare una determi-
nata situazione (o il grado in cui una persona è convinta di essere ca-
pace), e non il grado (o la frequenza) in cui una persona preferisce,
ritiene che si debba fare o è incline a fare una certa attività.
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L’AUTOEFFICACIA EMOTIVA
776
Ritiro
depressivo
Comportamento
prosociale
FIG. 1. Modello concettuale dei nessi di influenza tra autoefficacia e indicatori di catti-
vo e buon adattamento psicologico-sociale.
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METODO
I soggetti che hanno partecipato alla ricerca sono 162 maschi e 162
femmine di età compresa tra i 14 e i 18 anni, con un’età media pari a
15.6 per i maschi e a 15.7 per le femmine. I soggetti frequentavano le
scuole superiori (con l’eccezione di 19 ragazzi che effettuavano attivi-
tà lavorative) a Genzano, paese di circa 30.000 abitanti situato a circa
40 chilometri da Roma. Genzano rappresenta un «microcosmo» della
più ampia popolazione per quanto concerne le caratteristiche socio-
economiche dei suoi abitanti. I soggetti appartengono ad un campio-
ne longitudinale che è stato individuato ed esaminato nell’ambito di
una ricerca iniziata nel 1987 (per ulteriori dettagli si vedano Caprara,
1996 e Caprara e Pastorelli, 1993). I soggetti sono stati contattati tra-
mite telefono e invitati a partecipare alla ricerca. Il 90% dei soggetti
contattati ha accettato di partecipare.
I soggetti che hanno accettato di partecipare alla ricerca sono stati
suddivisi in gruppi di circa 50 unità e sono stati invitati a presentarsi
a due incontri tenutisi nei locali di una scuola media di Genzano. In
questi incontri (ciascuno dei quali di durata approssimativa di 3 ore)
ai soggetti è stata somministrata una batteria comprendente numerosi
questionari. La somministrazione dei questionari è stata supervisionata
da 3 laureandi, 2 tirocinanti e 1 ricercatore, i quali avevano il compito
di fornire eventuali chiarimenti e di controllare il normale svolgimen-
to delle operazioni di somministrazione. L’ordine di somministrazione
dei questionari è stato casualizzato per ogni gruppo di partecipanti. I
soggetti infine hanno ricevuto 20.000 lire come compenso per il lavo-
ro da loro svolto.
Strumenti
778
ecc.). La scala ha presentato un coefficiente alpha di Cronbach pari a
.75.
Gli item delle due scale prevedono un formato di risposta a 5 posi-
zioni e fanno parte di un più ampio questionario (che comprende 45
item) per la misura dell’autoefficacia percepita rispetto a diversi domi-
ni comportamentali (vedi Bandura et al., 1996). Come accennato pre-
cedentemente, le scale sono state identificate tramite analisi fattoriali e
sono risultate fortemente correlate con differenti indicatori di adatta-
mento e disadattamento psicologico e sociale in età scolare e nell’ado-
lescenza (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 1999).
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da affermazioni inerenti alla capacità di gestire le emozioni positive
(felicità, entusiasmo, tenerezza, affetto, gioia, contentezza, compren-
sione, empatia). Il secondo fattore è risultato saturato da affermazioni
inerenti alla capacità di gestire le emozioni negative (scoraggiamento,
frustrazione, tensione, malumore, sconforto, rimorso, malinconia, rab-
bia, fastidio, panico). I due fattori sono risultati significativamente
correlati (r = .41). Per le analisi discusse in questo studio sono stati
considerati i punteggi fattoriali nei due fattori ruotati, la attendibilità
dei quali, misurata tramite i coefficienti di correlazione multipla al
quadrato, è risultata pari a .94 e a .92 (coefficienti maggiori di .70 in-
dicano fattori attendibili e stabili, vedi Tabachnik e Fidell, 1989).
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ragazzo/a ad aiutare e supportare gli altri, condividere le proprie cose
con gli altri, mostrarsi cooperativo (Caprara e Pastorelli, 1993). Il
coefficiente alpha di Cronbach è risultato pari a .83.
781
rametri stimati), con valori compresi tra 1 e 3 ad indicare un buon
adattamento (Bollen, 1989; Corbetta, 1992; Joreskog e Sorbom,
1993). L’indice CFI valuta la riduzione nella mancanza di adattamen-
to (misfit) di un modello «bersaglio» rispetto ad un modello in cui
non viene specificata alcuna struttura (cioè, tutte le correlazioni tra le
variabili sono uguali a 0). Di solito, valori maggiori o uguali a .90 in-
dicano un buon adattamento del modello ai dati. L’indice RMSEA è
un criterio che prende in considerazione l’errore di approssimazione
nella popolazione, cioè la mancanza di adattamento del modello alla
matrice di covarianza della popolazione. Valori tra 0 e .05 indicano
un fit eccellente, mentre valori tra .05 e .08 indicano un fit accettabi-
le, valori superiori a .08 infine indicano che il modello non è consi-
stente con i dati empirici (Browne e Cudeck, 1993).
RISULTATI
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Internalizzazione Depressione
(85) 52*
93 (77)
FIG. 2. Modello empirico dei nessi di influenza tra autoefficacia e indicatori di cattivo
e buon adattamento psicologico-sociale.
Nota: I parametri relativi ai maschi sono quelli fuori delle parentesi, quelli relativi
alle femmine sono nelle parentesi. Tutti i valori sono statisticamente significativi
(p < .05) tranne quelli sottolineati. L’asterisco (*) indica una differenza significativa
(p < .05) tra i parametri dei maschi e quelli delle femmine.
3 In realtà nei tre nessi supplementari specificati le variabili indipendenti sono i ter-
mini di errore dell’autoefficacia nella gestione delle emozioni negative, dell’autoefficacia
nella gestione delle emozioni positive, e dell’autoefficacia regolativa. Questa particolare
parametrizzazione degli effetti, definita come «nonstandard models» (vedi Bentler,
1990b, 1995), consente di esaminare l’effetto unico della variabile esaminata, indipen-
dentemente dall’effetto della variabile latente che essa contribuisce a misurare. Per sem-
plificare la discussione e la rappresentazione di tali effetti, nella figura 2 e nel testo non
verrà fatto riferimento a questa particolare parametrizzazione.
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Il ruolo dell’autoefficacia interpersonale risulta cruciale. Maggiore è
la percezione della propria efficacia minore è la tendenza dei ragazzi a
sperimentare stati di disagio come la depressione, il ritiro sociale, l’an-
sia, minore è la tendenza a intraprendere comportamenti antisociali, e
maggiore la tendenza a mettere in atto comportamenti prosociali. Par-
ticolarmente rilevante risulta anche il ruolo che l’autoefficacia regola-
tiva svolge, indipendentemente dalla più generale variabile «latente»
dell’efficacia interpersonale, nel contrastare il coinvolgimento in com-
portamenti antisociali (per cui, più i ragazzi sono convinti di essere
capaci di resistere alle pressioni dei pari ad intraprendere comporta-
menti antisociali, meno risultano esservi effettivamente coinvolti). Ri-
sulta importante e significativo anche il contributo della capacità di
gestire le emozioni positive nel sostenere le condotte prosociali (anche
in questo caso si tratta di un contributo «unico» e indipendente dal-
l’azione della variabile latente della «autoefficacia emotiva»). Infine,
limitato al solo sotto-campione femminile è il ruolo della capacità di
gestire le emozioni negative nel contrastare la tendenza al ritiro de-
pressivo (cioè, più si è convinti di essere capaci di gestire le emozioni
negative, minore è la tendenza al ritiro).
Il ruolo dell’autoefficacia emotiva risulta cruciale nel sostenere di-
rettamente l’autoefficacia interpersonale, ma è soltanto indiretto (me-
diato cioè da quest’ultima) rispetto alle tre variabili dipendenti. A
questo riguardo, i coefficienti relativi agli effetti indiretti dell’autoeffi-
cacia emotiva sono risultati tutti elevati e significativi: l’impatto sul ri-
tiro sociale è pari a –.36 nei maschi e a –.41 nelle femmine; l’impatto
sul comportamento antisociale è pari a –.39 nei maschi e a –.31 nelle
femmine; l’impatto sul comportamento prosociale è pari a .44 nei ma-
schi e a .47 nelle femmine.
Per quanto riguarda le differenze di genere, i coefficienti che sono
risultati significativamente differenti tra maschi e femmine sono quelli
che riguardano: il nesso dall’autoefficacia interpersonale al comporta-
mento antisociale (maggiore nei maschi); il nesso dall’autoefficacia
nella gestione delle emozioni negative al ritiro depressivo (maggiore
nelle femmine); la saturazione della depressione sul ritiro depressivo
(maggiore nelle femmine); la correlazione tra ritiro depressivo e com-
portamento antisociale (maggiore nei maschi). Tutti gli altri coeffi-
cienti riportati nella figura 2 non sono risultati significativamente dif-
ferenti rispetto al genere.
DISCUSSIONE
784
ciale degli adolescenti e suggeriscono importanti indicazioni al fine di
prevenire e contrastare esperienze e comportamenti ad alto rischio.
Questo studio infatti conferma e approfondisce quanto riscontrato ne-
gli studi precedenti. Vengono sostanzialmente confermate sia l’in-
fluenza dell’autoefficacia regolativa rispetto al comportamento antiso-
ciale sia l’influenza dell’autoefficacia sociale rispetto al ritiro depressi-
vo. Quest’ultima tuttavia è verosimilmente sussunta dalla autoefficacia
interpersonale. Costituisce un elemento di novità l’influenza esercitata
dall’autoefficacia interpersonale sul comportamento prosociale.
Viene dunque ben corroborata l’ipotesi che la convinzione di saper
gestire con efficacia i propri rapporti interpersonali, sapendo instaura-
re e mantenere relazioni con gli altri e sapendo resistere alle pressioni
trasgressive degli altri, sia un elemento protettivo ai fini del proprio
adattamento e sviluppo psicologico sociale. Da un lato il senso della
propria efficacia interpersonale pone al riparo da sentimenti depressi-
vi e fa da argine a tentazioni antisociali, dall’altro esso rafforza e pro-
muove un orientamento favorevole nei confronti delle altre persone
che intuitivamente si riverbera positivamente su tutta la vita di rela-
zione della persona (Caprara, Barbaranelli, e Pastorelli, in corso di
stampa).
Certamente il contributo più innovativo di questo studio è costitui-
to dall’influenza che l’autoefficacia emotiva mostra di avere rispetto
alle altre variabili considerate. L’autoefficacia emotiva infatti influenza
decisamente l’autoefficacia interpersonale e attraverso questa estende
la sua influenza a tutte e tre le variabili dipendenti considerate. Inol-
tre la convinzione di saper regolare con efficacia gli affetti negativi in-
fluenza direttamente il ritiro depressivo delle femmine, mentre la con-
vinzione di saper regolare con efficacia i propri affetti positivi influen-
za direttamente il comportamento prosociale di maschi e femmine. La
porzione di varianza spiegata dal modello, sia per maschi che per
femmine, ne fa un importante punto di riferimento per eventuali in-
terventi preventivi ed educativi.
Il rafforzamento dell’autoefficacia interpersonale è critico per pro-
muovere l’orientamento prosociale e contrastare il ritiro depressivo e
il comportamento antisociale. Il rafforzamento dell’autoefficacia emo-
tiva è d’altro canto prioritario per rafforzare l’autoefficacia interperso-
nale e ancor più contrastare gli esiti negativi e favorire quelli positivi.
Mentre la capacità di regolare gli affetti negativi appare cruciale per
contrastare le tendenze depressive, soprattutto nelle femmine, la capa-
cità di esprimere gli affetti positivi influenza significativamente il com-
portamento prosociale di maschi e femmine.
Il modello proposto è adeguatamente avvalorato dai risultati, ma
non esclude altri modelli. A questo proposito tra i modelli alternativi
che abbiamo esaminato l’unico veramente competitivo con quello
785
proposto è un modello che riconduce autoefficacia emotiva e autoeffi-
cacia interpersonale ad una unica dimensione latente e che pone in
particolare risalto l’influenza esercitata da tale dimensione sui diversi
esiti considerati. Riteniamo tuttavia che questo modello alternativo, al
di là degli indici statistici di adeguatezza simili a quelli del modello
proposto, sia più debole teoricamente e meno rilevante praticamente.
Non è inverosimile che autoefficacia emotiva e autoefficacia inter-
personale siano riconducibili ad un’unica dimensione di autoefficacia
dal momento che coll’avanzare dello sviluppo è plausibile che il con-
solidamento del senso della propria identità, comporti un aumento
delle correlazioni tra le varie espressioni del proprio senso di efficacia.
È infatti ragionevole attendersi che le varie espressioni del sé, e perciò
che anche le varie convinzioni di autoefficacia, diventino coll’avvici-
narsi all’età adulta più stabili, congruenti e reciprocamente vincolanti.
Sono d’altro canto intuibili le difficoltà di districare operativamente
l’intreccio di sentimenti di autoefficacia che in realtà operano di con-
certo. È infatti verosimile che come la regolazione degli affetti in-
fluenza la relazione interpersonale, questa a sua volta influenza la re-
golazione degli affetti. È però debole un modello che lascia nell’indi-
stinto di un’unica dimensione i processi e le strutture che sottendono
le convinzioni di autoefficacia connesse alla gestione degli affetti e alla
gestione delle relazioni.
Sul piano teorico, non trascuriamo l’interesse degli argomenti che
potrebbero suggerire di porre l’autoefficacia interpersonale in posizio-
ne di antecedente dell’autoefficacia emotiva, tuttavia siamo inclini a
ritenere più convincente l’ipotesi che pone la capacità di gestire le
proprie emozioni alla base della propria capacità di instaurare e gesti-
re buone relazioni interpersonali. I dati su cui si basa questo studio
tuttavia sono di natura cross-sectional e quindi non consentono l’esa-
me di tale nesso in una prospettiva longitudinale. Articolare la nostra
indagine in quest’ultima prospettiva è ciò che intendiamo effettuare
nel prosieguo della nostra ricerca.
Sul piano pratico riteniamo preferibile un modello che sottraendo
all’indistinto i nessi tra le variabili di autoefficacia indagate meglio
può porne in risalto le specifiche componenti affettive, cognitive e
comportamentali. In ogni caso, quali che siano le soluzioni prefe-
rite in ordini a tali problemi, non possiamo che attenderci indicazioni
più precise dalla continuazione della ricerca.
Costituisce però un dato di inequivocabile rilievo l’influenza che
l’autoefficacia esercita come elemento di auto-protezione rispetto al
buon funzionamento psicologico e sociale degli adolescenti. La per-
centuale di varianza spiegata dalle varie forme di autoefficacia è consi-
derevole per maschi e per femmine e, quali che siano i modelli che si
intendono privilegiare, è indubitabile che sono le convinzioni di auto-
786
efficacia che debbono essere irrobustite e perciò essere il bersaglio
prioritario dei vari interventi preventivi, educativi e correttivi. Soprat-
tutto sviluppando le capacità e le convinzioni dei giovani di essere al-
l’altezza delle varie situazioni si possono infatti creare i meccanismi
interni di autoprotezione e di autopromozione indispensabili per af-
frontare con successo i vari compiti che la vita comporta. Tra le capa-
cità e le convinzioni di essere all’altezza delle situazioni è difficile im-
maginare altre più importanti di quelle connesse alla regolazione degli
affetti e dei rapporti interpersonali.
APPENDICE
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787
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