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Il Mulino - Rivisteweb

Gian Vittorio Caprara, Eugenia Scabini, Claudio Barbaranelli, Con-


cetta Pastorelli, Camillo Regalia, Albert Bandura
Autoefficacia percepita emotiva e interpersonale
e buon funzionamento sociale
(doi: 10.1421/271)

Giornale italiano di psicologia (ISSN 0390-5349)


Fascicolo 4, dicembre 1999

Ente di afferenza:
Università di Napoli Federico II (unina)

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AUTOEFFICACIA PERCEPITA EMOTIVA
E INTERPERSONALE
E BUON FUNZIONAMENTO SOCIALE

GIAN VITTORIO CAPRARA, EUGENIA SCABINI,


CLAUDIO BARBARANELLI, CONCETTA PASTORELLI,
CAMILLO REGALIA E ALBERT BANDURA

Università di Roma «La Sapienza», Università Cattolica di Milano e Stanford University

Riassunto. Questo contributo presenta un nuovo costrutto, l’autoefficacia percepita


emotiva, intesa come la capacità di far fronte ad una varietà di situazioni suscettibili di
innescare diverse reazioni emotive, e perciò la capacità di regolare i propri affetti positi-
vi e negativi. Con la definizione di tale costrutto e con la messa punto di una scala per
la sua misura si è inteso esaminare il ruolo che la dimensione affettiva ha rispetto al
buon funzionamento psicologico-sociale. A tale fine è stato esaminato un modello di
equazioni strutturali in cui ritiro sociale di tipo depressivo, comportamento antisociale
e comportamento prosociale costituiscono le variabili dipendenti sulle quali la percezio-
ne della propria efficacia emotiva agisce sia direttamente, sia indirettamente attraverso
la mediazione dell’autoefficacia percepita interpersonale, già esaminata in altri studi. I
risultati confermano parzialmente l’influenza diretta dell’autoefficacia percepita emotiva
sulle variabili dipendenti esaminate, e ne corroborano pienamente l’influenza mediata
dall’autoefficacia percepita interpersonale.

L’AUTOEFFICACIA PERCEPITA

Il rinnovato interesse della ricerca psicologica per i fenomeni con-


nessi alla sfera del sé ed ai processi che presiedono al costruirsi del-
l’identità personale ed al funzionamento di una agenzia interna di au-
toregolazione trovano nella percezione di efficacia personale un co-
strutto di importanza cruciale per rendere conto dei meccanismi attra-
verso i quali l’individuo, interagendo con la realtà, prende coscienza
di sé e contribuisce attivamente a creare le condizioni del proprio svi-
luppo.
Il costrutto si inscrive in una teoria che prende in esame i fonda-
menti social-cognitivi del pensiero e dell’azione e trova nell’opera di
Bandura i fondamenti teorici, i sostegni empirici e sperimentali e l’ela-
borazione più compiuta (Bandura, 1986, 1997). La teoria costituisce
uno degli sviluppi più fecondi della teoria dell’apprendimento sociale
di cui conserva l’enfasi sulle determinanti sociali della personalità, e di

Il presente studio è stato parzialmente finanziato tramite contributi della Johann Ja-
cobs Foundation, del CNR e del MURST a Gian Vittorio Caprara, della Spencer Founda-
tion e della Grant Foundation ad Albert Bandura.

GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA / a. XXVI, n. 4, dicembre 1999 769


cui rappresenta un superamento per la centralità che assumono in
essa i processi cognitivi e autoreferenziali nel quadro di un nuovo pa-
radigma: il determinismo reciproco triadico.
Secondo il nuovo paradigma ogni manifestazione psichica è sempre
la risultante di un reciproco determinarsi di persona, situazione e com-
portamento, che assume forme diverse nel corso della vita e nelle di-
verse circostanze. La persona è portatrice di un potenziale di bisogni,
inclinazioni e capacità la cui espressione è largamente determinata dal-
le situazioni. Le situazioni sono fonti di sollecitazioni, di vincoli e di
opportunità che a loro volta sono largamente determinate dagli indivi-
dui. I comportamenti che gli individui pongono in atto e che le situa-
zioni rendono possibili a loro volta esercitano un’azione trasformativa
su entrambi. Inizialmente è verosimile che l’ambiente, soprattutto so-
ciale, eserciti una influenza decisiva nel fornire occasioni, modelli, e
standard che promuovono lo sviluppo delle diverse strutture interne
di autoregolazione e di relazione col mondo. Successivamente è so-
prattutto la capacità di autodirigersi e di trarre vantaggio dall’esperien-
za che determina il consolidamento di una identità personale e lo svi-
luppo di una capacità autonoma di controllo su di sé e sull’ambiente.
Rappresentano assunti fondamentali del nuovo paradigma la con-
vinzione che l’apparato mentale sia eminentemente proattivo e che
ciascun individuo svolga una parte attiva nella costruzione della sua
personalità. È infatti una proprietà della natura umana che lo svilup-
po corrisponda ad una crescente capacità di ridurre i condizionamenti
dell’organismo e dell’ambiente, esercitando un maggiore controllo sul
primo ed agendo trasformativamente sul secondo, attenuando le pres-
sioni e cogliendo le opportunità di entrambi. Ed è una proprietà fon-
damentale della mente umana concorrere attivamente allo sviluppo di
se stessa cercando e creando le occasioni che maggiormente possono
metterne alla prova e realizzarne il potenziale. Capacità di simbolizza-
zione, di apprendimento vicario (inteso come la capacità di apprende-
re dall’esperienza altrui, ovvero dall’osservazione di ciò che accade
agli altri), di autoregolazione, di riflessione sulla propria esperienza e
sugli esiti della propria condotta, di anticipazione, di comunicazione
simbolica, di selezione e trasformazione dell’ambiente estendono
enormemente la possibilità di esercitare un controllo personale sulla
propria vita.
Il nuovo paradigma segna un distacco decisivo rispetto agli assunti
della teoria dell’apprendimento sociale e prospetta una soluzione alle
controversie che per oltre un ventennio hanno opposto personologi e
situazionisti, all’insegna di un interazionismo in cui alla condotta vie-
ne accordato uno statuto del tutto speciale rispetto alle interazioni tra
persona e ambiente. Attraverso la condotta la persona si confronta di-
rettamente coll’ambiente e prende coscienza degli aspetti di sé che

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vengono messi direttamente alla prova. Attraverso la riflessione sulle
conseguenze della propria condotta la persona prende coscienza delle
opportunità e dei vincoli che la relazione coll’ambiente comporta.
La condotta è dunque ciò che certifica concretamente i rapporti tra
la persona e l’ambiente, ma è la riflessione sulla condotta ciò che con-
sente la continua rinegoziazione di tali rapporti e che fa sì che l’indi-
viduo possa svolgere una parte sempre più attiva nel farsi artefice del
proprio destino. È infatti la capacità di capitalizzare sull’esperienza,
cioè la capacità di trarre vantaggio dalla riflessione su di sé, sull’am-
biente e sulle conseguenze delle proprie azioni, ciò che si traduce in
un senso di efficacia personale suscettibile di massimizzare il proprio
bilancio personale tra costi e benefici.
Su queste premesse è maturata la teoria che riconosce nelle convin-
zioni di autoefficacia formidabili indicatori della capacità del soggetto
di orchestrare al meglio il proprio rapporto con la realtà, traendo il
massimo vantaggio dalle sue potenzialità e dalle opportunità ambien-
tali. L’autoefficacia percepita corrisponde al grado in cui una persona
ritiene di essere all’altezza di determinate situazioni, di risolvere con
successo certi problemi, di essere capace di far fronte a varie difficol-
tà, di poter resistere a talune avversità. Con tale nozione ci si riferisce
alla convinzione, che deriva dall’esperienza, di dominare con successo
determinate attività.
Tale nozione si distingue chiaramente da quella di autostima. Men-
tre l’autoefficacia riguarda i giudizi della persona sulle proprie capaci-
tà personali in uno specifico dominio, l’autostima si riferisce invece a
giudizi generali di apprezzamento verso se stessi. L’autoefficacia inol-
tre presenta importanti differenze anche con la nozione di competen-
za. Mentre quest’ultima fa riferimento al possesso di abilità che ren-
dono possibile la messa in atto di una condotta, l’autoefficacia fa rife-
rimento alla capacità di orchestrare le diverse abilità in corsi di azione
appropriati, e di eseguirle con successo soprattutto in presenza di cir-
costanze difficili.
Dal momento che le stesse persone possono avere un alto senso di
efficacia per talune attività e non per altre, è appropriato trattare di
sistemi di convinzioni che funzionano come elementi cruciali di moti-
vazione e di autoregolazione rispetto a specifiche sfere di competenza.
In quanto tali essi rendono conto delle mete che l’individuo si pone,
della persistenza del suo impegno e del controllo che l’individuo è in
grado di esercitare sui propri rapporti coll’ambiente in specifici ambi-
ti di azione. È intuitivo che le persone sono poco attratte da mete che
ritengono irraggiungibili e che sono inclini a desistere dal cimentarsi
con attività o situazioni che presentano ostacoli che esse percepiscono
come troppo difficili o onerosi. Numerose ricerche attestano che le
convinzioni di autoefficacia influenzano lo sviluppo e l’adattamento

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agendo direttamente sui processi cognitivi, motivazionali e volizionali.
Tali convinzioni influenzano il livello di aspirazione e la persistenza
dell’impegno, le mete che le persone si prefiggono di raggiungere e le
loro reazioni di fronte alle frustrazioni, la qualità dei processi di pen-
siero, la ricerca e l’attribuzione delle cause nel caso di successo e di
insuccesso, la vulnerabilità allo stress e alla depressione.
Mentre gli studi sperimentali attestano il ruolo «causale» delle con-
vinzioni di autoefficacia, queste si rivelano elementi decisivi di succes-
so in una varietà di contesti educativi, familiari, occupazionali, sporti-
vi. Generalmente le persone con un basso senso di autoefficacia, a
motivo di come percepiscono se stesse e l’ambiente, tendono a sotto-
stimare potenzialità ed opportunità, esagerano le difficoltà ed esaspe-
rano le avversità, spesso si predispongono al fallimento e diventano le
vittime complici delle proprie aspettative. Al contrario, le persone con
un alto senso di efficacia percepiscono le difficoltà come occasioni
per mettere alla prova le proprie capacità, hanno alti livelli di aspira-
zione, si impegnano a fondo e non concedono spazio a ruminazioni e
ripensamenti nelle attività che intraprendono, focalizzandosi sui pro-
blemi mirano all’impiego migliore delle loro abilità e delle risorse di-
sponibili, si riprendono facilmente dagli insuccessi badando a rime-
diare più che a giustificare o ad amplificare le proprie insufficienze.
Numerosi studi indicano che le credenze relative alla propria auto-
efficacia si costruiscono e stabilizzano entro l’adolescenza (Flammer,
1995). In questa fase della vita, caratterizzata da una messa in discus-
sione degli equilibri personali (sia da un punto di vista biologico, che
personale e familiare) la convinzione degli adolescenti di poter speri-
mentare livelli crescenti di autoefficacia negli ambiti cruciali per il
loro sviluppo (dalla relazione con il mondo sociale, al controllo delle
emozioni, alla riuscita scolastica) è un fattore cruciale per un buon
adattamento psico-sociale.
Come ha osservato Bandura, nessuno dei meccanismi attraverso cui
opera il sistema del sé è più centrale e pervasivo delle convinzioni che
le persone hanno nelle proprie capacità di esercitare controllo sul
proprio modo di funzionare e sulle richieste e pressioni ambientali. È
perciò verosimile che tali convinzioni siano le espressioni più qualifi-
cate di quel sistema autoreferenziale e autoregolato con il quale si
identifica il senso di identità personale, che dà continuità e coerenza
alle diverse espressioni della personalità, che guida la condotta e che
orienta tutto il rapporto della persona coll’ambiente.
Sarebbe però un errore perdere di vista la specificità delle varie
convinzioni di autoefficacia e guardare ad esse come alle espressioni
di un generale senso di competenza come quello di cui ha trattato
White (1959). È vero che varie convinzioni di autoefficacia sono spes-
so correlate, per cui alla percezione di un alto senso di efficacia in un

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ambito di attività corrispondono analoghe percezioni di efficacia in al-
tri ambiti. Ma ciascuna convinzione è pertinente ad una specifica sfe-
ra di competenza, deriva dalle opportunità che all’individuo sono sta-
te offerte di mettere a prova particolari abilità, e riflette la sua capaci-
tà di trarre vantaggio dall’esame della propria condotta e della pro-
pria esperienza per un ambito comunque circoscritto di problemi e si-
tuazioni. Ciascuna convinzione è l’espressione di un percorso evoluti-
vo particolare, resta ancorata a specifici scambi che hanno contraddi-
stinto il rapporto della persona coll’ambiente, dei quali rispettivamen-
te riflette le potenzialità e le abilità, da un lato, e i vincoli e le oppor-
tunità, dall’altro.
Sarebbe parimenti un errore ricondurre le varie convinzioni di effi-
cacia personale ad uno o più tratti perdendone di vista i caratteri che
distinguono l’elaborazione di Bandura rispetto ai tradizionali indirizzi
della psicologia dei tratti. L’ancoraggio concreto ad abilità, situazioni
ed itinerari evolutivi particolari si associa infatti alla convinzione che
il senso di autoefficacia percepita sia l’esito di una costruzione, più
che l’espressione di una disposizione, che esso si appoggi a processi
che si organizzano in strutture nel corso dell’ontogenesi, che esso sia
sempre suscettibile di modifica in accordo con le potenzialità dell’in-
dividuo e le opportunità dell’ambiente. Soprattutto costituisce un ele-
mento distintivo della teoria sociale-cognitiva rispetto alla tradizionale
psicologia dei tratti guardare alle differenze individuali non come ad
espressioni di ipotetiche entità originali, fattori o disposizioni, che se-
gnano in partenza il corso di un’esistenza, ma come alle espressioni di
un sistema personale di relazione col mondo, autoreferenziale ed au-
toregolantesi, che si costruisce e costantemente si ridefinisce nel corso
del tempo.

LA MISURA DELL’AUTOEFFICACIA PERCEPITA

L’autoefficacia percepita («perceived self efficacy») concerne le


convinzioni («beliefs») che le persone hanno di possedere le capacità
(«capabilities») necessarie per il conseguimento di terminati risultati
(«attainments»). Le persone hanno diverse percezioni della propria ef-
ficacia rispetto a diverse aree di competenza e nei diversi ambiti nei
quali si declina la loro vita. Il sistema di convinzioni circa la propria
efficacia personale corrisponde perciò ad un insieme differenziato di
credenze, valutazioni e aspettative circa la possibilità di cimentarsi
con successo in una varietà di situazioni che possono indifferentemen-
te riguardare la difesa e la promozione della salute, la gestione delle
relazioni interpersonali nella famiglia e nella società, le realizzazioni
personali in ambito educativo o lavorativo.

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Non vi è una misura multi-uso dell’autoefficacia percepita e risulta-
no con essa incompatibili i vari strumenti che, nello sforzo di cogliere
aspetti di essa ad ampio spettro di applicabilità, finiscono coll’affidarsi
ad asserzioni troppo generiche per afferrare le effettive convinzioni e
rendere conto dei determinanti soggettivi (i sentimenti, le valutazioni e
le anticipazioni che si traducono in giudizi di efficacia personale) che
si ritiene sorreggano la condotta delle persone nelle diverse situazioni.
È perciò raccomandabile predisporre strumenti specifici per i vari
ambiti di competenza che si intendono indagare, conformemente agli
scopi che si intendono perseguire. Vanno quindi individuate le condot-
te che sono effettivamente rilevanti per il conseguimento del successo e
dalle quali le persone possono effettivamente trarre una misura della
propria efficacia. Ciò generalmente comporta l’individuazione per ogni
ambito di un repertorio di attività cui possono anche corrispondere di-
stinti sensi di competenza, ciascuno con una diversa incidenza sul sen-
so di efficacia complessivo rispetto all’ambito considerato.
Per gli interventi in ambito educativo e per la ricerca in ambito
evolutivo Bandura ha originalmente proposto sette scale per la misura
dell’autoefficacia percepita rispettivamente per: 1) il successo scolasti-
co, 2) la regolazione dell’apprendimento scolastico, 3) lo svolgimento
di attività ricreative, 4) la capacità di resistere alle pressioni dei com-
pagni (autoefficacia regolativa), 5) la capacità di soddisfare le aspetta-
tive altrui, 6) la capacità di instaurare e mantenere relazioni sociali, 7)
la capacità di sostenere il proprio punto di vista nel rapporto con gli
altri. Tali scale sono state tradotte e validate in italiano e largamente
impiegate per fini di ricerca (Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pasto-
relli, 1996; Pastorelli, Caprara e Bandura, 1998).
Nel caso dell’autoefficacia percepita nel raggiungimento del succes-
so scolastico, ad esempio, sono state considerate le convinzioni circa la
capacità di riuscire nello studio delle diverse materie scolastiche (italia-
no, storia, matematica, ecc.). I risultati dell’analisi fattoriale sui dati
tratti da ampie popolazioni hanno suggerito di trattare l’autoefficacia
percepita per le varie materie come aspetti di una stessa dimensione e
perciò hanno legittimato un unico punteggio di autoefficacia scolastica
risultante dal sommare indistintamente l’autoefficacia percepita nelle
varie materie. Ciò tuttavia non esclude che a livello individuale possa-
no emergere differenze non irrilevanti nei livelli di efficacia percepita
per le varie materie (un bambino può ritenere di esser molto capace in
italiano, ma meno in matematica o in storia) tali da raccomandare va-
lutazioni distinte per ciascuna di esse. Evidentemente una stessa misu-
ra assume rilievo diverso e comporta differenti cautele quando è im-
piegata per indagare i nessi tra costrutti in popolazioni, rispetto a
quando è impiegata per valutare differenze intraindividuali o per mo-
nitorizzare i cambiamenti di una persona nel corso del tempo.

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Per indagare i nessi tra autoefficacia percepita e vari indicatori di
adattamento e disadattamento sociale dell’adolescente, l’autoefficacia
nel raggiungimento del successo scolastico e nella regolazione dell’ap-
prendimento scolastico è stata considerata espressione di una più ge-
nerale autoefficacia scolastica. Parimenti la capacita di soddisfare le
aspettative altrui, la capacità di instaurare e mantenere relazioni socia-
li e la capacità di sostenere il proprio punto di vista nel rapporto con
gli altri sono state considerate espressioni di una più generale autoef-
ficacia sociale. Tali aggregazioni sono state suggerite dai risultati del-
l’analisi fattoriale e sono parse pienamente giustificate nel contesto di
studi longitudinali tesi a valutare il valore predittivo delle varie
espressioni di autoefficacia personale su un’ampia popolazione di
bambini. Esse sono però meno giustificate quando la misura di auto-
efficacia mira a valutazioni dettagliate e articolate della percezione che
un individuo ha dei propri punti di forza e debolezza, e alla messa a
punto di piani individuali di sviluppo dell’autoefficacia. In questi casi,
infatti, possono risultare determinanti differenze tra percezioni di effi-
cacia che, a livello di popolazioni, possono essere completamente oc-
cultate dalle elevate correlazioni tra percezioni di autoefficacia in am-
biti diversi. È intuitivo che, se un bambino ha un alto senso di effica-
cia in storia e non in matematica, non necessariamente un ulteriore
rafforzamento del primo aiuta ad irrobustire il secondo, che deve per-
ciò diventare il bersaglio di un trattamento educativo specifico.
Una volta definiti gli ambiti ed individuati i comportamenti rispet-
to ai quali valutare la percezione di autoefficacia, questa va confronta-
ta con situazioni che effettivamente mettano alla prova le capacità
personali offrendo ai soggetti la possibilità di graduare il loro senso di
autoefficacia e di indicare in quale misura essi ritengono di essere ca-
paci. È intuibile che è di poca utilità prospettare situazioni nelle quali
non vi sono difficoltà da superare, che non comportano alcuna possi-
bilità di mettersi alla prova e che ognuno ritiene di essere in grado di
affrontare con successo. Vanno perciò individuati situazioni, eventi,
impedimenti, problemi non impossibili, ma tali da richiedere un ele-
vato coinvolgimento personale e tali da costituire un banco di prova
della propria capacità di autoregolazione e di controllo sulla realtà
esterna.
Infine è opportuno prestare attenzione alle asserzioni che formano
le diverse scale. Queste debbono essere chiare e il formato di risposta
deve effettivamente consentire di stimare il grado in cui una persona
è capace di fare una determinata attività o di dominare una determi-
nata situazione (o il grado in cui una persona è convinta di essere ca-
pace), e non il grado (o la frequenza) in cui una persona preferisce,
ritiene che si debba fare o è incline a fare una certa attività.

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L’AUTOEFFICACIA EMOTIVA

Con questo contributo intendiamo presentare un nuovo costrutto,


l’autoefficacia emotiva, intesa come la capacità di far fronte ad una
varietà di situazioni suscettibili di innescare diverse reazioni emotive,
o, in altri termini, come la capacità di regolare i propri affetti positivi
e negativi. L’identificazione di tale costrutto si inscrive in un progetto
di ricerca longitudinale che negli ultimi dieci anni ha interessato di-
verse coorti1 di ragazzi inizialmente esaminati nella scuola elementare
e successivamente seguiti nel corso della pre-adolescenza e dell’adole-
scenza allo scopo di individuare i principali predittori ed indicatori di
adattamento e disadattamento psico-sociale.
Studi precedenti hanno già illustrato i risultati più importanti sino-
ra conseguiti, ponendo in rilievo il ruolo determinante delle varie for-
me di autoefficacia originalmente individuate da Bandura e alle quali
si è fatto riferimento nel sostenere traiettorie evolutive con esito posi-
tivo. La percezione della propria efficacia scolastica è risultata deter-
minante per il conseguimento del successo scolastico (Bandura et al.,
1996); la percezione della propria efficacia interpersonale e sociale è
risultata determinante nel contrastare esiti depressivi (Bandura, Pasto-
relli, Barbaranelli e Caprara, 1998; Caprara, Scabini, Barbaranelli, Pa-
storelli e Regalia, 1999); la percezione della propria efficacia nel resi-
stere alle pressioni esercitate dai compagni verso attività trasgressive e
rischiose (efficacia autoregolativa) è risultata determinante nel contra-
stare comportamenti delinquenziali (Caprara, Scabini, Barbaranelli,
Pastorelli, Regalia e Bandura, 1998).
Con la definizione del costrutto di efficacia emotiva, e con la messa
a punto di una scala per la misura della percezione della propria effi-
cacia nel «gestire» le emozioni, abbiamo inteso affrontare direttamen-
te il ruolo che la dimensione affettiva ha nella sfera delle percezioni di
autoefficacia, e perciò approfondire i nessi tra percezione della pro-
pria efficacia emotiva e buon funzionamento psicologico-sociale. In
questa prospettiva, dopo avere accertato le caratteristiche psicometri-
che della scala per la misura dell’autoefficacia emotiva, abbiamo inte-
so esaminare il ruolo di questo nuovo costrutto nel quadro di un mo-
dello concettuale che capitalizza sui risultati delle ricerche cui si è ac-
cennato, nelle quali è stato avvalorato il ruolo determinante dell’auto-
efficacia regolativa e dell’autoefficacia sociale nei confronti della de-
pressione e del comportamento antisociale.
Il modello che questo studio ha esaminato è quello riportato in fi-

1 Le coorti, nella nostra ricerca longitudinale, vengono definite in funzione della


classe scolastica frequentata dal ragazzo (ad esempio, la coorte dei ragazzi in I media
nel 1994).

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Ritiro
depressivo

Autoefficacia Autoefficacia Comportamento


emotiva interpersonale antisociale

Comportamento
prosociale

FIG. 1. Modello concettuale dei nessi di influenza tra autoefficacia e indicatori di catti-
vo e buon adattamento psicologico-sociale.

gura 1. In tale modello ritiro sociale di tipo depressivo, comporta-


mento antisociale e comportamento prosociale costituiscono le varia-
bili dipendenti sulle quali la percezione della propria efficacia emotiva
esercita una duplice influenza: diretta e indiretta, attraverso la media-
zione dell’autoefficacia interpersonale (definita dall’autoefficacia rego-
latoria e dall’autoefficacia sociale). Diversamente dagli studi preceden-
ti, l’autoefficacia regolativa e l’autoefficacia sociale sono state conside-
rate espressioni di una comune dimensione latente che abbiamo chia-
mato autoefficacia interpersonale, suscettibile di influenzare significa-
tivamente tutte e tre le variabili dipendenti considerate. È parso dun-
que plausibile ricondurre ad un più comprensivo senso di autoeffica-
cia interpersonale sia la convinzione di essere capaci di resistere a
pressioni sociali trasgressive e pericolose ed ipotizzare una forte con-
nessione tra la percezione della propria efficacia intepersonale da un
lato e il ritiro depressivo, il comportamento antisociale e il comporta-
mento prosociale dall’altro. È parso quindi plausibile assegnare alla
convinzione di essere in grado di regolare i propri affetti un ruolo de-
terminante sia rispetto alla convinzione della propria efficacia inter-
personale, sia rispetto ai diversi esiti considerati, ed assegnare alla
percezione della propria efficacia interpersonale un ruolo importante
di mediazione tra la percezione della propria efficacia emotiva e i me-
desimi esiti.

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METODO

Soggetti e procedure di somministrazione

I soggetti che hanno partecipato alla ricerca sono 162 maschi e 162
femmine di età compresa tra i 14 e i 18 anni, con un’età media pari a
15.6 per i maschi e a 15.7 per le femmine. I soggetti frequentavano le
scuole superiori (con l’eccezione di 19 ragazzi che effettuavano attivi-
tà lavorative) a Genzano, paese di circa 30.000 abitanti situato a circa
40 chilometri da Roma. Genzano rappresenta un «microcosmo» della
più ampia popolazione per quanto concerne le caratteristiche socio-
economiche dei suoi abitanti. I soggetti appartengono ad un campio-
ne longitudinale che è stato individuato ed esaminato nell’ambito di
una ricerca iniziata nel 1987 (per ulteriori dettagli si vedano Caprara,
1996 e Caprara e Pastorelli, 1993). I soggetti sono stati contattati tra-
mite telefono e invitati a partecipare alla ricerca. Il 90% dei soggetti
contattati ha accettato di partecipare.
I soggetti che hanno accettato di partecipare alla ricerca sono stati
suddivisi in gruppi di circa 50 unità e sono stati invitati a presentarsi
a due incontri tenutisi nei locali di una scuola media di Genzano. In
questi incontri (ciascuno dei quali di durata approssimativa di 3 ore)
ai soggetti è stata somministrata una batteria comprendente numerosi
questionari. La somministrazione dei questionari è stata supervisionata
da 3 laureandi, 2 tirocinanti e 1 ricercatore, i quali avevano il compito
di fornire eventuali chiarimenti e di controllare il normale svolgimen-
to delle operazioni di somministrazione. L’ordine di somministrazione
dei questionari è stato casualizzato per ogni gruppo di partecipanti. I
soggetti infine hanno ricevuto 20.000 lire come compenso per il lavo-
ro da loro svolto.

Strumenti

Nella presente ricerca sono state considerate le seguenti variabili.

Autoefficacia sociale. È misurata da una scala di 13 item che riguar-


dano la capacità del ragazzo di formare e mantenere relazioni sociali,
di gestire differenti tipi di conflitti interpersonali, di soddisfare le
aspettative altrui e di fare valere le proprie opinioni con gli altri. La
scala ha presentato un coefficiente alpha di Cronbach pari a .87.

Autoefficacia regolativa. È misurata da una scala di 5 item che ri-


guardano la capacità del ragazzo di resistere alle pressioni esercitate
su di lui dai pari per coinvolgerlo in attività a rischio (fumare, bere,

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ecc.). La scala ha presentato un coefficiente alpha di Cronbach pari a
.75.
Gli item delle due scale prevedono un formato di risposta a 5 posi-
zioni e fanno parte di un più ampio questionario (che comprende 45
item) per la misura dell’autoefficacia percepita rispetto a diversi domi-
ni comportamentali (vedi Bandura et al., 1996). Come accennato pre-
cedentemente, le scale sono state identificate tramite analisi fattoriali e
sono risultate fortemente correlate con differenti indicatori di adatta-
mento e disadattamento psicologico e sociale in età scolare e nell’ado-
lescenza (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 1999).

Autoefficacia emotiva. È misurata da una scala di 80 item (vedi Ap-


pendice) che, tramite un formato di risposta a 5 posizioni, mirano a
valutare la capacità del ragazzo di etichettare, monitorare, riconosce-
re, discriminare, esprimere, valutare, conoscere e sperimentare le pro-
prie ed altrui emozioni al fine di usarle come guida per il proprio
pensiero e per le proprie azioni. Gli item sono stati sviluppati consi-
derando i seguenti domini «emozionali»: a) autoefficacia nel compren-
dere le emozioni, cioè riconoscere e monitorare le proprie emozioni e
quelle altrui; b) autoefficacia nello sperimentare le emozioni in modo
adattivo, cioè controllare le proprie emozioni negative, ed esprimere
quelle positive; c) autoefficacia nell’utilizzare le emozioni, cioè gestire
le emozioni connesse alla realizzazione del compito, e dare e chiedere
aiuto per la risoluzione di problemi2.
Sugli 80 item è stata effettuata un’analisi fattoriale con il metodo
dei fattori principali, seguita dallo scree test degli autovalori (Cattell e
Vogelman, 1977) per stabilire il numero di fattori presenti nella solu-
zione, e da rotazione obliqua Oblimin. In questo modo è stato possi-
bile individuare 2 dimensioni latenti che spiegavano circa il 30% della
varianza complessiva degli item. Il primo fattore è risultato saturato

2 Come opportunamente sottolineato da un referee anonimo, il concetto di autoeffi-


cacia emotiva da noi considerato presenta elementi in comune con quanto definito da
Saarni (1988) come «competenza emotiva». La stessa Saarni, del resto, con tale costrut-
to intende prendere in esame esplicitamente non solo il possesso di determinate abilità
connesse con il riconoscimento e l’espressione delle emozioni, ma anche le «dimostra-
zioni di autoefficacia nel contesto delle transazioni sociali che elicitano emozioni» (p.
116). In questo dominio la nozione di autoefficacia si riferisce a «come le persone pos-
sono rispondere emotivamente e applicare simultaneamente e strategicamente la pro-
pria conoscenza sulle emozioni e sulle loro espressioni, a relazioni con gli altri, in modo
da negoziare gli scambi interpersonali e regolare inoltre le proprie esperienze emotive»
(p. 116). Specifico del nostro contributo è comunque l’approccio alla costruzione degli
item, e quindi alla misura del costrutto, in termini di capacità percepita di effettuare
con successo i comportamenti esaminati, nello specifico dominio che viene preso in
considerazione. Come risulta dall’Appendice, infatti, gli item della nostra scala sono co-
struiti in modo da avere risposte a domande specificate secondo la formulazione
«Quanto sei capace di...».

779
da affermazioni inerenti alla capacità di gestire le emozioni positive
(felicità, entusiasmo, tenerezza, affetto, gioia, contentezza, compren-
sione, empatia). Il secondo fattore è risultato saturato da affermazioni
inerenti alla capacità di gestire le emozioni negative (scoraggiamento,
frustrazione, tensione, malumore, sconforto, rimorso, malinconia, rab-
bia, fastidio, panico). I due fattori sono risultati significativamente
correlati (r = .41). Per le analisi discusse in questo studio sono stati
considerati i punteggi fattoriali nei due fattori ruotati, la attendibilità
dei quali, misurata tramite i coefficienti di correlazione multipla al
quadrato, è risultata pari a .94 e a .92 (coefficienti maggiori di .70 in-
dicano fattori attendibili e stabili, vedi Tabachnik e Fidell, 1989).

Comportamento delinquenziale. È misurato da un scala di 22 item


per i maschi e 19 per le femmine contenuta nel Child Behavior Check-
list di Achenbach e Edelbrock (1978). Gli item, tramite un formato di
risposta a 3 posizioni, misurano un ampio spettro di comportamenti
trasgressivi, quali rubare, imbrogliare, mentire, distruggere le cose,
utilizzare alcool e droghe. Il coefficiente alpha di Cronbach per que-
sta scala è risultato pari a .87 per i maschi e .86 per le femmine.

Abuso di sostanze. È misurato da una scala di 6 item che, tramite un


formato di risposta a 2 posizioni, consentono di valutare la quantità di
uso di alcol, sigarette, marijuana e altre droghe nell’ultimo anno. Il
coefficiente alpha di Cronbach per questa scala è risultato pari a .70.

Depressione. È misurata dalla scala sviluppata da Beck et al. (1961).


Essa comprende 21 item che, tramite un formato di risposta a 2 posi-
zioni, valutano la presenza di sintomi depressivi di tipo affettivo, co-
gnitivo, motivazionale e fisiologico. Il coefficiente alpha di Cronbach
è risultato pari a .89.

Internalizzazione. È misurata da un scala di 29 item per i maschi e


33 per le femmine, contenuta nel Child Behavior Checklist di Achen-
bach e Edelbrock (1978). Gli item, tramite un formato di risposta a 3
posizioni, misurano disturbi quali l’ansia, il ritiro sociale, l’auto-di-
struttività, l’ossessività-compulsività. La versione originale della scala
comprendeva anche item inerenti alla depressione, che sono stati eli-
minati dal calcolo del punteggio totale nell’Internalizzazione, per non
creare ridondanze con la scala di depressione di Beck. Il coefficiente
alpha di Cronbach è risultato pari a .88 sia per i maschi sia per le
femmine.

Comportamento prosociale. È misurato da una scala di 10 item che,


tramite una formato di risposta a 3 posizioni, valutano la tendenza del

780
ragazzo/a ad aiutare e supportare gli altri, condividere le proprie cose
con gli altri, mostrarsi cooperativo (Caprara e Pastorelli, 1993). Il
coefficiente alpha di Cronbach è risultato pari a .83.

Analisi dei dati

La plausibilità delle relazioni tra i costrutti delineate nella figura 1


è stata esaminata tramite la tecnica dei modelli di equazioni strutturali
(Bollen, 1989; Corbetta, 1992), implementata tramite il programma
EQS (Bentler, 1995). Le analisi sono state effettuate tramite «modelli
su gruppi multipli», in cui le stesse relazioni tra le variabili sono state
stimate simultaneamente sul gruppo dei maschi e su quello delle fem-
mine. Questa tecnica consente di esaminare la plausibilità di uno stes-
so modello su più gruppi contemporaneamente, tenendo conto delle
caratteristiche specifiche dei singoli gruppi, le quali verrebbero perse
in un’analisi effettuata sul gruppo totale risultante dall’unione dei di-
versi gruppi considerati. In questo approccio è possibile inoltre esami-
nare l’equivalenza tra i differenti gruppi tramite vincoli di eguaglianza
(equality constraints) che impongono valori uguali per le stime dei pa-
rametri nei diversi gruppi (Byrne, 1994; Scott-Lennox e Scott-Len-
nox, 1995). Nel programma EQS la plausibilità di questi vincoli di
eguaglianza viene valutata dal test dei Moltiplicatori di Lagrange (LM
test), che per ogni vincolo esamina l’ipotesi nulla che i parametri
«vincolati» siano uguali nei gruppi considerati. Valori del test ai quali
si associa un livello di probabilità superiore a .05 confermano l’ipotesi
nulla di eguaglianza dei parametri vincolati nei gruppi esaminati si-
multaneamente.
Secondo un approccio «multidimensionale» alla valutazione del-
l’adattamento (fit) dei modelli (vedi Tanaka, 1993) sono stati conside-
rati i seguenti indici: a) l’indice chi-quadrato (␹2) e il rapporto chi-
quadrato/gradi di libertà (␹2/df); b) l’indice comparativo di adatta-
mento (Comparative Fit Index, CFI, Bentler, 1990a); c) il Root Mean
Square Error of Approximation (RMSEA; Steiger, 1990). Come sugge-
rito da vari autori (Byrne, 1994; Corbetta, 1992) il ␹2 può essere con-
siderato più come una misura di adattamento, che come un test stati-
stico. Conseguentemente, il suo valore è un indice della corrisponden-
za tra la matrice di covarianza riprodotta in base al modello, e la ma-
trice di covarianza campionaria. Tuttavia, la sua dipendenza dall’am-
piezza del campione rende alquanto probabile ottenere valori elevati
in campioni con numerosità elevata, e valori bassi in campioni con
numerosità bassa. Il rapporto tra ␹2 e gradi di libertà può essere
utilizzato come misura alternativa di adattamento, che tiene in consi-
derazione anche la complessità del modello (ovvero del numero di pa-

781
rametri stimati), con valori compresi tra 1 e 3 ad indicare un buon
adattamento (Bollen, 1989; Corbetta, 1992; Joreskog e Sorbom,
1993). L’indice CFI valuta la riduzione nella mancanza di adattamen-
to (misfit) di un modello «bersaglio» rispetto ad un modello in cui
non viene specificata alcuna struttura (cioè, tutte le correlazioni tra le
variabili sono uguali a 0). Di solito, valori maggiori o uguali a .90 in-
dicano un buon adattamento del modello ai dati. L’indice RMSEA è
un criterio che prende in considerazione l’errore di approssimazione
nella popolazione, cioè la mancanza di adattamento del modello alla
matrice di covarianza della popolazione. Valori tra 0 e .05 indicano
un fit eccellente, mentre valori tra .05 e .08 indicano un fit accettabi-
le, valori superiori a .08 infine indicano che il modello non è consi-
stente con i dati empirici (Browne e Cudeck, 1993).

RISULTATI

La figura 2 presenta i risultati del modello esaminato. Il modello è


composto dalle seguenti variabili: a) autoefficacia emotiva: è una varia-
bile latente misurata dalle due variabili osservate «autoefficacia nella
gestione delle emozioni positive» e «autoefficacia nella gestione delle
emozioni negative»; b) autoefficacia interpersonale: è una variabile la-
tente misurata dalle due variabili osservate «autoefficacia sociale» e
«autoefficacia regolativa»; c) ritiro sociale di tipo depressivo: è una va-
riabile latente misurata dalle due variabili osservate «depressione» e
«internalizzazione»; d) comportamento antisociale: è una variabile la-
tente misurata dalle due variabili osservate «comportamento delin-
quenziale» e «abuso di sostanze»; e) comportamento prosociale: è una
variabile latente misurata da un singolo indicatore, la scala di compor-
tamento prosociale; seguendo le indicazioni di Bollen (1989), la satura-
zione della variabile osservata sulla variabile latente è stata fissata a 1,
mentre il suo termine di errore è stato fissato a 1 meno il valore del
coefficiente di attendibilità della scala. Ciò ha consentito di tenere sot-
to controllo l’errore di misura e di ottenere stime più attendibili per i
parametri del modello in cui compariva il comportamento prosociale.
Nel modello esaminato inizialmente si è ipotizzato che l’autoeffica-
cia emotiva influisse su: ritiro sociale, comportamento antisociale e
comportamento prosociale sia direttamente, sia indirettamente tramite
la mediazione dell’autoefficacia interpersonale. Tuttavia, soltanto i nes-
si indiretti sono stati supportati dall’evidenza empirica. Il modello che
viene presentato nella figura 2 prospetta quindi nessi di influenza di-
retta soltanto tra l’autoefficacia interpersonale e le tre variabili dipen-
denti. Per ottenere migliori indici di adattamento è stato inoltre neces-
sario specificare i seguenti nessi supplementari: a) dall’autoefficacia

782
Internalizzazione Depressione
(85) 52*
93 (77)

Autoefficacia –01* Ritiro


Emozioni negative ( –40) depressivo
Autoefficacia
sociale
–50 73*
71 (59) 80 (68) (–48) (46)

Autoefficacia 72 Autoefficacia –54 Comportamento


emotiva (86) interpersonale (–35) antisociale
–27
(–35) 97 (42)
84 (77) 72 (63) (95) 46
Comp. Abuso di
61 Delinquenziale sostanze
Autoefficacia (54)
Autoefficacia Regolativa 17 Comportamento
Emozioni positive (23) prosociale

FIG. 2. Modello empirico dei nessi di influenza tra autoefficacia e indicatori di cattivo
e buon adattamento psicologico-sociale.
Nota: I parametri relativi ai maschi sono quelli fuori delle parentesi, quelli relativi
alle femmine sono nelle parentesi. Tutti i valori sono statisticamente significativi
(p < .05) tranne quelli sottolineati. L’asterisco (*) indica una differenza significativa
(p < .05) tra i parametri dei maschi e quelli delle femmine.

nella gestione delle emozioni negative al ritiro depressivo; b) dall’auto-


efficacia nella gestione delle emozioni positive al comportamento pro-
sociale; c) dall’autoefficacia regolativa al comportamento antisociale3.
Il modello in figura 2 è risultato sostanzialmente compatibile con i
dati osservati, presentando i seguenti indici di adattamento: ␹2 (48,
N = 309) = 127.92, ␹2/df = 2.7, CFI = .91, RMSEA = .07. Per quanto
riguarda la percentuale di varianza delle variabili dipendenti spiegata
dal modello, essa è risultata pari al 25% per i maschi e al 39% per le
femmine nel caso del ritiro depressivo, al 36% per i maschi e al 25%
per le femmine nel caso del comportamento antisociale, al 40% per i
maschi e al 35% per le femmine nel caso del comportamento proso-
ciale.

3 In realtà nei tre nessi supplementari specificati le variabili indipendenti sono i ter-
mini di errore dell’autoefficacia nella gestione delle emozioni negative, dell’autoefficacia
nella gestione delle emozioni positive, e dell’autoefficacia regolativa. Questa particolare
parametrizzazione degli effetti, definita come «nonstandard models» (vedi Bentler,
1990b, 1995), consente di esaminare l’effetto unico della variabile esaminata, indipen-
dentemente dall’effetto della variabile latente che essa contribuisce a misurare. Per sem-
plificare la discussione e la rappresentazione di tali effetti, nella figura 2 e nel testo non
verrà fatto riferimento a questa particolare parametrizzazione.

783
Il ruolo dell’autoefficacia interpersonale risulta cruciale. Maggiore è
la percezione della propria efficacia minore è la tendenza dei ragazzi a
sperimentare stati di disagio come la depressione, il ritiro sociale, l’an-
sia, minore è la tendenza a intraprendere comportamenti antisociali, e
maggiore la tendenza a mettere in atto comportamenti prosociali. Par-
ticolarmente rilevante risulta anche il ruolo che l’autoefficacia regola-
tiva svolge, indipendentemente dalla più generale variabile «latente»
dell’efficacia interpersonale, nel contrastare il coinvolgimento in com-
portamenti antisociali (per cui, più i ragazzi sono convinti di essere
capaci di resistere alle pressioni dei pari ad intraprendere comporta-
menti antisociali, meno risultano esservi effettivamente coinvolti). Ri-
sulta importante e significativo anche il contributo della capacità di
gestire le emozioni positive nel sostenere le condotte prosociali (anche
in questo caso si tratta di un contributo «unico» e indipendente dal-
l’azione della variabile latente della «autoefficacia emotiva»). Infine,
limitato al solo sotto-campione femminile è il ruolo della capacità di
gestire le emozioni negative nel contrastare la tendenza al ritiro de-
pressivo (cioè, più si è convinti di essere capaci di gestire le emozioni
negative, minore è la tendenza al ritiro).
Il ruolo dell’autoefficacia emotiva risulta cruciale nel sostenere di-
rettamente l’autoefficacia interpersonale, ma è soltanto indiretto (me-
diato cioè da quest’ultima) rispetto alle tre variabili dipendenti. A
questo riguardo, i coefficienti relativi agli effetti indiretti dell’autoeffi-
cacia emotiva sono risultati tutti elevati e significativi: l’impatto sul ri-
tiro sociale è pari a –.36 nei maschi e a –.41 nelle femmine; l’impatto
sul comportamento antisociale è pari a –.39 nei maschi e a –.31 nelle
femmine; l’impatto sul comportamento prosociale è pari a .44 nei ma-
schi e a .47 nelle femmine.
Per quanto riguarda le differenze di genere, i coefficienti che sono
risultati significativamente differenti tra maschi e femmine sono quelli
che riguardano: il nesso dall’autoefficacia interpersonale al comporta-
mento antisociale (maggiore nei maschi); il nesso dall’autoefficacia
nella gestione delle emozioni negative al ritiro depressivo (maggiore
nelle femmine); la saturazione della depressione sul ritiro depressivo
(maggiore nelle femmine); la correlazione tra ritiro depressivo e com-
portamento antisociale (maggiore nei maschi). Tutti gli altri coeffi-
cienti riportati nella figura 2 non sono risultati significativamente dif-
ferenti rispetto al genere.

DISCUSSIONE

I risultati di questo studio avvalorano l’influenza che le convinzioni


di efficacia personale esercitano sul funzionamento psicologico e so-

784
ciale degli adolescenti e suggeriscono importanti indicazioni al fine di
prevenire e contrastare esperienze e comportamenti ad alto rischio.
Questo studio infatti conferma e approfondisce quanto riscontrato ne-
gli studi precedenti. Vengono sostanzialmente confermate sia l’in-
fluenza dell’autoefficacia regolativa rispetto al comportamento antiso-
ciale sia l’influenza dell’autoefficacia sociale rispetto al ritiro depressi-
vo. Quest’ultima tuttavia è verosimilmente sussunta dalla autoefficacia
interpersonale. Costituisce un elemento di novità l’influenza esercitata
dall’autoefficacia interpersonale sul comportamento prosociale.
Viene dunque ben corroborata l’ipotesi che la convinzione di saper
gestire con efficacia i propri rapporti interpersonali, sapendo instaura-
re e mantenere relazioni con gli altri e sapendo resistere alle pressioni
trasgressive degli altri, sia un elemento protettivo ai fini del proprio
adattamento e sviluppo psicologico sociale. Da un lato il senso della
propria efficacia interpersonale pone al riparo da sentimenti depressi-
vi e fa da argine a tentazioni antisociali, dall’altro esso rafforza e pro-
muove un orientamento favorevole nei confronti delle altre persone
che intuitivamente si riverbera positivamente su tutta la vita di rela-
zione della persona (Caprara, Barbaranelli, e Pastorelli, in corso di
stampa).
Certamente il contributo più innovativo di questo studio è costitui-
to dall’influenza che l’autoefficacia emotiva mostra di avere rispetto
alle altre variabili considerate. L’autoefficacia emotiva infatti influenza
decisamente l’autoefficacia interpersonale e attraverso questa estende
la sua influenza a tutte e tre le variabili dipendenti considerate. Inol-
tre la convinzione di saper regolare con efficacia gli affetti negativi in-
fluenza direttamente il ritiro depressivo delle femmine, mentre la con-
vinzione di saper regolare con efficacia i propri affetti positivi influen-
za direttamente il comportamento prosociale di maschi e femmine. La
porzione di varianza spiegata dal modello, sia per maschi che per
femmine, ne fa un importante punto di riferimento per eventuali in-
terventi preventivi ed educativi.
Il rafforzamento dell’autoefficacia interpersonale è critico per pro-
muovere l’orientamento prosociale e contrastare il ritiro depressivo e
il comportamento antisociale. Il rafforzamento dell’autoefficacia emo-
tiva è d’altro canto prioritario per rafforzare l’autoefficacia interperso-
nale e ancor più contrastare gli esiti negativi e favorire quelli positivi.
Mentre la capacità di regolare gli affetti negativi appare cruciale per
contrastare le tendenze depressive, soprattutto nelle femmine, la capa-
cità di esprimere gli affetti positivi influenza significativamente il com-
portamento prosociale di maschi e femmine.
Il modello proposto è adeguatamente avvalorato dai risultati, ma
non esclude altri modelli. A questo proposito tra i modelli alternativi
che abbiamo esaminato l’unico veramente competitivo con quello

785
proposto è un modello che riconduce autoefficacia emotiva e autoeffi-
cacia interpersonale ad una unica dimensione latente e che pone in
particolare risalto l’influenza esercitata da tale dimensione sui diversi
esiti considerati. Riteniamo tuttavia che questo modello alternativo, al
di là degli indici statistici di adeguatezza simili a quelli del modello
proposto, sia più debole teoricamente e meno rilevante praticamente.
Non è inverosimile che autoefficacia emotiva e autoefficacia inter-
personale siano riconducibili ad un’unica dimensione di autoefficacia
dal momento che coll’avanzare dello sviluppo è plausibile che il con-
solidamento del senso della propria identità, comporti un aumento
delle correlazioni tra le varie espressioni del proprio senso di efficacia.
È infatti ragionevole attendersi che le varie espressioni del sé, e perciò
che anche le varie convinzioni di autoefficacia, diventino coll’avvici-
narsi all’età adulta più stabili, congruenti e reciprocamente vincolanti.
Sono d’altro canto intuibili le difficoltà di districare operativamente
l’intreccio di sentimenti di autoefficacia che in realtà operano di con-
certo. È infatti verosimile che come la regolazione degli affetti in-
fluenza la relazione interpersonale, questa a sua volta influenza la re-
golazione degli affetti. È però debole un modello che lascia nell’indi-
stinto di un’unica dimensione i processi e le strutture che sottendono
le convinzioni di autoefficacia connesse alla gestione degli affetti e alla
gestione delle relazioni.
Sul piano teorico, non trascuriamo l’interesse degli argomenti che
potrebbero suggerire di porre l’autoefficacia interpersonale in posizio-
ne di antecedente dell’autoefficacia emotiva, tuttavia siamo inclini a
ritenere più convincente l’ipotesi che pone la capacità di gestire le
proprie emozioni alla base della propria capacità di instaurare e gesti-
re buone relazioni interpersonali. I dati su cui si basa questo studio
tuttavia sono di natura cross-sectional e quindi non consentono l’esa-
me di tale nesso in una prospettiva longitudinale. Articolare la nostra
indagine in quest’ultima prospettiva è ciò che intendiamo effettuare
nel prosieguo della nostra ricerca.
Sul piano pratico riteniamo preferibile un modello che sottraendo
all’indistinto i nessi tra le variabili di autoefficacia indagate meglio
può porne in risalto le specifiche componenti affettive, cognitive e
comportamentali. In ogni caso, quali che siano le soluzioni prefe-
rite in ordini a tali problemi, non possiamo che attenderci indicazioni
più precise dalla continuazione della ricerca.
Costituisce però un dato di inequivocabile rilievo l’influenza che
l’autoefficacia esercita come elemento di auto-protezione rispetto al
buon funzionamento psicologico e sociale degli adolescenti. La per-
centuale di varianza spiegata dalle varie forme di autoefficacia è consi-
derevole per maschi e per femmine e, quali che siano i modelli che si
intendono privilegiare, è indubitabile che sono le convinzioni di auto-

786
efficacia che debbono essere irrobustite e perciò essere il bersaglio
prioritario dei vari interventi preventivi, educativi e correttivi. Soprat-
tutto sviluppando le capacità e le convinzioni dei giovani di essere al-
l’altezza delle varie situazioni si possono infatti creare i meccanismi
interni di autoprotezione e di autopromozione indispensabili per af-
frontare con successo i vari compiti che la vita comporta. Tra le capa-
cità e le convinzioni di essere all’altezza delle situazioni è difficile im-
maginare altre più importanti di quelle connesse alla regolazione degli
affetti e dei rapporti interpersonali.

APPENDICE

ESEMPI DI ITEM PER LA MISURA DELL’AUTOEFFICACIA PERCEPITA EMOTIVA

Autoefficacia percepita nella gestione delle emozioni positive

Quanto sei capace di:


Capire quali sono i tuoi sentimenti nei confronti degli altri
Divertirti in compagnia dei tuoi amici
Riconoscere le emozioni che provi quando stai facendo qualcosa che
ti piace
Rallegrarti del successo di una persona amica

Autoefficacia percepita nella gestione delle emozioni negative

Quanto sei capace di:


Dissimulare il malumore
Non offenderti se i tuoi amici ti prendono in giro
Tollerare l’antipatia degli altri nei tuoi confronti
Controllare l’ansia di fronte ad una minaccia

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[Ricevuto il 26 novembre 1997]


[Accettato il 6 luglio 1998]

Summary. Aim of this contribution is to present a new construct: perceived emotional


self-efficacy, defined as the perceived ability to cope with a variety of situations that
may produce different emotional reactions, i.e. the perceived ability to regulate one’s
own positive and negative affects. A scale has been developed to measure this construct
and a study has been conceived to examine the role perceived efficacy plays with re-
gard to psychological adjustment. To this aim we tested a structural equation model in
which depressive social withdrawal, antisocial conduct and prosocial behavior were
considered as dependent variables that were influenced by perceived emotional self-ef-
ficacy both directly and indirectly through perceived interpersonal self-efficacy. Results
confirmed in part the direct influence of perceived emotional efficacy on the dependent
variables, and fully corroborated its indirect influence through perceived interpersonal
self-efficacy.

La corrispondenza va inviata a Gian Vittorio Caprara, Università di Roma «La Sa-


pienza», Dipartimento di Psicologia, Via dei Marsi 78, 00185 Roma, e-mail:
caprara@axrma.uniroma1.it

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