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PSICOLOGIA DEGLI ATTEGGIAMENTI E DELLE OPINIONI

CAPITOLO 1
CHE COSA SONO GLI ATTEGGIAMENTI

1.1. ORIGINI DELLO STUDIO DEGLI ATTEGGIAMENTI

Lo studio degli atteggiamenti ha focalizzato un forte interesse da parte degli psicologi sociali.
In alcuni studi, gli atteggiamenti coincidono con una valutazione globale di un oggetto, in altri
sono la sintesi di indicatori di natura emotiva, cognitiva e comportamentale, in ulteriori studi
sono riferiti a preferenze o ad attivazioni emotive in qualche direzione o ad opinioni espresse
nei confronti di oggetti complessi. Il termine atteggiamento è stato utilizzato per la prima volta
nella ricerca da due sociologi: Thomas e Znaniecki, che nel 1918 pubblicarono i risultati della
loro ricerca sui contadini polacchi emigrati in diversi paesi europei e negli Stati Uniti. I due
autori affermano che il rapporto di dipendenza reciproca tra la cultura e gli individui può essere
colto se si interpretano i problemi attraverso l’individuazione di valori sociali e
atteggiamenti. I valori sociali sono costituiti da ogni oggetto che ha un significato in
connessione con determinate azioni dell’individuo (es. uno strumento di lavoro, una
moneta).Gli atteggiamenti sono definiti come processi della coscienza individuale che
determinano l’azione. Gli autori si riferiscono ad uno stato emozionale che causa il
comportamento; utilizzano come esempio la fame come atteggiamento che causa il
comportamento di ricerca del cibo. Per gli autori l’atteggiamento determina l’azione. Una
posizione molto innovativa, in quanto, la sociologia era dominata dalla negazione che
Durkheim aveva opposto alla nozione di <stato psicologico> come possibile spiegazione del
comportamento umano.
Gordon Allport nel primo manuale di psicologia sociale apparso nel 1935, afferma che
l’atteggiamento è il concetto più distintivo e indispensabile della psicologia sociale
contemporanea. Secondo Allport l’atteggiamento è uno stato mentale o neurologico di
prontezza, organizzato attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica
sulla risposta dell’individuo nei confronti di ogni oggetto e situazione con cui entra in relazione.
Si tratta di una definizione piuttosto generica, poiché può corrispondere a molteplici stati. Si
parla di uno stato non direttamente osservabile, ma da inferire sulla base della risposta
individuale che esso influenza: è una variabile interveniente tra lo stimolo e la risposta.
L’approccio individualistico traspare anche nel compendio su tale tema, pubblicato nel 1993 da
Alice Eagly e Shelley Chaiken, secondo le quali l’atteggiamento è una tendenza psicologica
espressa attraverso la valutazione di una particolare entità con qualche genere di favore o
sfavore. Tendenza psicologica si riferisce ad uno stato interno della persona, e valutazione si
riferisce ad ogni classe di risposta valutativa, sia essa manifesta o non osservabile, cognitiva,
affettiva o comportamentale.William McGuire ha tracciato la storia della fortuna che lo studio
degli atteggiamenti ha conosciuto nella psicologia sociale in tre periodi differenti. Il primo
risale agli anni ’20-30, in cui gli studiosi mettono a punto le tecniche di misurazione degli
atteggiamenti, si costruiscono le più diffuse scale di atteggiamento. L’atteggiamento è visto
come un continuum di valutazione di un dato oggetto, lungo il quale si possono ordinare i
soggetti interpellati. Altro argomento preso in considerazione è la relazione tra atteggiamento
e comportamento. L’interesse privilegiato per il costrutto <atteggiamento> viene sostituito a
poco a poco da quello per la dinamica di gruppo e per i processi che avvengono nei gruppi.
Il secondo periodo di interesse particolare per lo studio degli atteggiamenti si apre in
concomitanza con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa nel periodo della guerra
fredda. Ingenti investimenti federali sono destinati allo studio delle modalità con cui gli
atteggiamenti possono essere modificati in contesti comunicativi. McGuire individua due stili di
indagine privilegiati in questa fase: lo stile convergente, un approccio induttivo che parte
dall’osservazione dei fenomeni per arrivare alla teoria. Vengono effettuate molte ricerche
empiriche nelle quali vengono manipolate molte variabili indipendenti al fine di individuare
quali elementi del processo comunicativo influiscono sulle probabilità che il ricevente modifichi
il suo atteggiamento iniziale.
Lo stile divergente, è l’applicazione di una teoria ad una varietà di fenomeni, secondo un
approccio deduttivo; vengono manipolate poche variabili indipendenti il cui effetto viene
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osservato sulle variabili dipendenti, ovvero gli atteggiamenti finali. E’ il caso della teoria della
dissonanza cognitiva di Festinger. Lo studio degli atteggiamenti conosce la sua più
profonda crisi nel decennio 65-75, e si sviluppa il cosiddetto approccio della <social
cognition> volto ad individuare le strutture ed i processi che riguardano l’elaborazioni delle
informazioni.
La terza fase considera gli atteggiamenti come una struttura cognitiva ed è orientata ad
individuarne le sue proprietà. La ricerca non si limita ai singoli atteggiamenti, ma è sempre più
orientata ai sistemi di atteggiamenti e le altre strutture cognitive personali. Nel 2000 Terry e
Hogg hanno sintetizzato tre ragioni per le quali lo studio degli atteggiamenti ha assunto
importanza nella psicologia sociale attuale:

1. gli atteggiamenti costituiscono <l’apoteosi della cognizione sociale>, in quanto costrutto


non osservabile della cognizione, che si apprende, si modifica e si esprime in un contesto
sociale;
2. sul piano pratico, gli atteggiamenti facilmente espressi attraverso risposte ai questionari,
sono le fonti di informazione sulle quali si costruiscono le teorie psicosociali del
comportamento;
sul piano politico, gli atteggiamenti costituiscono una possibilità di applicazione delle
concettualizzazioni psicosociali alla realtà.

1.2. ATTEGGIAMENTI E OPINIONI:UNA DISTINZIONE

Nel linguaggio comune i termini <atteggiamento> e <opinione> vengono usati spesso in modo
intercambiabile, riferendosi alla valutazione o alle prese di posizione che si esprimono durante
gli scambi comunicativi. I sociologi privilegiano il termine <opinione> mentre nella letteratura
scientifica di approccio psicosociale si utilizza prevalentemente il termine <opinione>. Alcuni
studiosi hanno ipotizzato tre differenze strutturali.
La prima riguarda il livello di manifestazione della risposta all’oggetto. Per Thurstone ,
visto che gli atteggiamenti non sono osservabili, le opinioni verbalizzate sono ciò che permette
agli psicologi di inferirli. Gli atteggiamenti sarebbero tendenze latenti a rispondere
positivamente o negativamente nei confronti di un oggetto; l’opinione è l’osservazione empirica
di un referente concettuale, ovvero di un atteggiamento. Hovland e colleghi sostengono che le
opinioni sono risposte verbali ad una situazione-stimolo nella quale emerge qualche questione
generale. Gli atteggiamenti, sono invece risposte implicite strettamente legate alle opinioni,
che orientano l’individuo ad avvicinare o evitare un dato oggetto. Per altri studiosi, dal
momento in cui empiricamente concepiamo l’opinione come un indicatore dell’atteggiamento,
non ha senso distinguerli concettualmente.
La seconda differenza strutturale riguarda la base dei due costrutti. L’atteggiamento sarebbe
ancorato nella dimensione affettivo-emotiva (mi attrae/non mi attrae); mentre l’opinione
sarebbe basata su credenze di ordine cognitivo ( giusto/non giusto).
La terza distinzione riguarda la natura degli oggetti a cui fanno riferimento i costrutti.
L’atteggiamento è concepito come un orientamento permanente a rispondere in modo
favorevole o sfavorevole ad una classe di stimoli, mentre l’opinione sarebbe una risposta
specifica ad una particolare questione di interesse collettivo. Anche Jaspars e Fraser hanno
sostenuto che l’atteggiamento è una variabile latente che organizza un corpus di opinioni,
quindi l’atteggiamento è l’istanza generatrice e organizzatrice delle opinioni. Nonostante ciò le
persone esprimono opinioni anche su questioni che non conoscono, assurde o sulle quali non
hanno nessun atteggiamento preliminare di riferimento. Inoltre è possibile rilevare opinioni non
coerenti rispetto ai relativi atteggiamenti, anche quando questi ultimi sono disponibili.
L’espressione delle opinioni è soggetta a pressioni sociali; esprimere un’opinione ampiamente
condivisa ha un costo psicologico minore dell’esprimere un’opinione poco popolare. Quando le
persone tendono a sovrastimare il livello di consenso sulle proprie opinioni,poiché è indice
della loro correttezza si ha il cosiddetto <effetto di falso consenso>. Esprimere una
posizione ha spesso dei significati che attengono alla identificazione tra l’individuo e la
categoria delle persone che la pensano come lui.

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Oggetto di studio privilegiato della psicologia sociale è il costrutto atteggiamento, e le opinioni
sono posizioni specifiche ad uno stimolo di interesse collettivo, almeno in parte orientate da
atteggiamenti.

1.3 GLI ATTEGGIAMENTI SONO DELLE PREFERENZE?

Secondo molti psicologi, quando l’essere umano si pone in relazione con il proprio ambiente
fisico e sociale, e comincia a formarsi una conoscenza di esso, lo fa, prima ancora che su una
base descrittiva, su una base emotiva. Nel 1907 Wundt sostiene che elementi affettivi si
attivano prima che qualsiasi cosa possa essere percepita dal sistema cognitiva. Zajonc nel
1980 riprende e afferma questo primato <delle preferenze sulle conoscenze> in un articolo <le
preferenze non hanno bisogno di inferenze>. Egli sostiene che la dimensione affettiva
accompagna sempre il pensiero, non è vero l’inverso. Anche nel ricordo è evidente il primato
della dimensione emotiva, quando cerchiamo di ricordare una persona, un evento, un film
richiamiamo alla mente prima il fatto che c’è piaciuto o meno e poi le sue caratteristiche. La
prima reazione emotiva dell’organismo non è ancora un atteggiamento, ma è in grado di
influenzare i successivi processi cognitivi attraverso i quali l’individuo arriva a mettere a fuoco
l’oggetto. In linea con Zajonc, molti studiosi ritengono che gli individui valutano in modo
automatico gli stimoli che incontrano; altri ritengono si tratti di un livello grezzo di
classificazione entro le categorie sicuro/minaccioso.

1.4 . GLI ATTEGGIAMENTI SONO DELLE COGNIZIONI?

Altri modelli partono dal riconoscimento del ruolo essenziale che gli elementi cognitivi giocano
nel definire gli atteggiamenti. Il modello concettuale paradigmatico di questo approccio è
quello dell’aspettativa-valore formulato da Fishbein e Ajzen. La parte centrale di questo
modello è l’idea che l’atteggiamento di un individuo verso un oggetto è costituito dalla sintesi
delle credenze salienti che egli possiede su quell’oggetto. Una credenza è la probabilità
soggettiva che un oggetto abbia un dato attributo: ogni credenza associa un attributo ad un
oggetto con una certa probabilità soggettiva (l’aspettativa). A questa associazione l’individuo
assegna un valore. L’atteggiamento si ricava dal prodotto tra le probabilità soggettive di
trovare determinati attributi nell’oggetto e il valore assegnato a ciascun attributo.
(atteggiamento = aspettativa x valore). Due persone che esprimono posizioni diverse circa lo
stesso oggetto possono partire dal considerare le stesse credenze, ma assegnare ad esse una
diversa probabilità di realizzazione e un diverso valore. Il modello implica che l’atteggiamento
si crea automaticamente ed inevitabilmente appena l’attore sociale si forma delle credenze su
un oggetto e le sue caratteristiche. Solo le credenze accessibili, quelle cioè facilmente attivabili
alla memoria, ad un momento dato contribuiscono a formare l’atteggiamento.

1.5 CONCEZIONI MULTICOMPONENTI

La maggior parte degli studiosi concepisce gli atteggiamenti come costrutti basati su più di una
componente. Questa concezione definisce gli atteggiamenti come la valutazione globale di
un oggetto, derivata da risposte affettive, cognitive e comportamentali. In un’ottica
multicomponente si sottolinea la necessità di distinguere tra valutazione e affect. Il termine
affect indica i sentimenti e le emozioni che le persone sperimentano in relazione all’oggetto.
Un’altra fonte è costituita dalle credenze circa le caratteristiche che l’entità possiede.
Un’ulteriore fonte ci deriva dai comportamenti che abbiamo messo in atto nel passato con
l’oggetto in questione. Nel modello tripartitico degli atteggiamenti, si sostiene che gli
atteggiamenti sono un costrutto psicologico costituito da tre componenti: una componente
cognitiva, una affettiva/emotiva e una comportamentale.
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La componente cognitiva riguarda le informazioni e le credenze che gli individui possiedono
a proposito dell’oggetto a cui si volge l’atteggiamento; quella affettiva riguarda la relazione
emotiva che l’oggetto suscita, e quella comportamentale concerne le azioni di avvicinamento
o esitamento rispetto allo stesso oggetto. Zanna e Rempel (1988) riprendono le tre
componenti per definire l’atteggiamento come la categorizzazione di un oggetto-stimolo lungo
una dimensione valutativa, e ciò avviene attraverso tre classi di informazioni: informazioni
cognitive, affettive/emotive e informazioni su comportamenti passati o sulle intenzioni
comportamentali. Quindi si possono conservare in memoria la valutazione globale così come le
singole componenti. Eagly e Chaiken considerano le tre componenti come classi di risposte
valutative che non sempre possono essere colte in maniera distinta sul piano empirico.
L’insieme complessivo delle risposte determina la valutazione globale dell’oggetto, anche se il
peso di ciascuna componente è variabile. Ad es. possiamo avere nei confronti dei candidati
politici vari atteggiamenti: alcuni basati sulla credenza circa la competenza, l’onestà, altri
basati sulla simpatia o antipatia che la persona ci provoca solo apparendo in tv. In generale,
uno studio condotto in America, ha mostrato che la grande maggioranza degli atteggiamenti
ha una base prevalentemente emotiva piuttosto che cognitiva.

1.6 . GLI ATTEGGIAMENTI SONO DEI VALORI?

I valori sono definiti come obiettivi astratti, come la libertà, l’uguaglianza, che le persone
assumono come principi guida generali della propria esistenza in tutte le sue sfaccettature. Per
Eagly e Chaiken i valori sono atteggiamenti che hanno per oggetto obiettivi relativamente
astratti e scopi dell’esistenza umana. I valori hanno natura prescrittivi; sono convinzioni circa
ciò che è desiderabile e fungono da standard rispetto ai quali giudichiamo le condotte e le
nostre e altrui scelte e regoliamo le nostre azioni. Per Rokeach i valori si riferiscono ai fini,
mentre gli atteggiamenti ad oggetti. Secondo alcuni studiosi dell’opinione pubblica, i valori si
collocano in una posizione intermedia tra costruzioni ideologiche coerenti e opinioni specifiche
su temi particolarmente discussi.

CAPITOLO 2
STRUTTURA E FUNZIONI DEGLI ATTEGGIAMENTI

2.1. COME SI FORMANO

Alcuni studiosi sostengono che alcune preferenze precederebbero l’esperienza con l’ambiente,
sarebbero inscritte nel mostro patrimonio genetico. Si può addirittura ipotizzare che si
trasmettano e si rafforzino i geni alla base delle preferenze che ottimizzano l’adattamento
all’ambiente e che potenziano la sopravvivenza e la riproduzione della specie. Esempi di
preferenze che possono avere anche una origine presociale sono l’attrazione maschile per le
caratteristiche femminili associate alla fertilità, così come l’attrazione femminile per le
caratteristiche maschili associate al vigore, o le preferenze per alcuni cibi e sapori. Eagly e
Chaiken notano che non si tratta di atteggiamenti veri e propri, che iniziano a formarsi
soltanto nell’incontro con l’oggetto, come risposta valutativa ad esso. La formazione degli
atteggiamenti necessita dell’esperienza diretta o indiretta con l’oggetto. I psicologi sociali non
hanno considerato l’ influenza dei geni sulla determinazione degli atteggiamenti, in quanto
queste preferenze presociali vengono investite di significati sociali, strutturate da esperienze
personale e norme culturali, fattori che spiegano in modo più preciso le differenze fra le
posizioni che gli individui assumono. I processi di formazione degli atteggiamenti si classificano
in tre famiglie:
1. l’esperienza diretta con l’oggetto;
2. l’osservazione dell’esperienza altrui con l’oggetto;
3. la comunicazione sull’oggetto.
Il contatto diretto con l’oggetto permette all’individuo di raccogliere informazioni sulle sue
caratteristiche, formarsi delle credenze e delle valutazioni che confluiscono in un
atteggiamento. McGuire sostiene che l’atteggiamento si forma per lo più sulla valutazione di
una caratteristica particolarmente saliente in un contesto ad un momento dato, e se l’individuo
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non ritiene soddisfacente l’esito di questo processo, prende in considerazione altri aspetti dello
stesso oggetto. L’esperienza diretta con un oggetto di atteggiamento nuovo ci porta a
confrontarli con altri oggetti simili, a categorizzarlo in classi note. Quando siamo di fronte ad
un oggetto sconosciuto cerchiamo di farlo rientrare, per analogia, in categorie note per poter
arrivare ad un atteggiamento su di esso. Quello che Zajonc ha denominato effetto di mera
esposizione è l’esito della sola percezione visiva di uno stimolo: l’esposizione ripetuta ad uno
stimolo induce qualche genere di reazione emotiva. La mera esposizione ripetuta di un
individuo ad uno stimolo è una condizione sufficiente per provocare un atteggiamento più
favorevole verso questo stimolo. Per verificare questa ipotesi Zajonc presenta quattro
esperimenti. Nei primi tre si utilizza lo stesso paradigma sperimentale: ai partecipanti viene
mostrata una sequenza di 12 stimoli per la durata di 2 secondi ognuno e con 5 diverse
frequenze. Nei tre esperimenti cambia il tipo di stimolo mostrato. In tutti e tre gli studi i
risultati indicano che il giudizio di gradevolezza dello stimolo aumenta quanto più numerose
sono state l’esposizione ad esso. Per Zajonc ne deriva che uno stimolo sconosciuto in prima
battuta provoca una reazione immediata di paura. Per sostenere tale interpretazione, il quarto
esperimento introduce la misura della risposta cutanea elettro-galvanica. Dopo aver applicato
degli elettrodi alle dita dei partecipanti, Zajonc rileva che ogni presentazione successiva dello
stesso stimolo fa effettivamente diminuire il grado di reazione nervosa e dopo 7/8 esposizioni
la curva della reazione raggiunge la forma asintotica. L’esposizione ripetuta rende lo stimolo
più familiare, ed è su tale effetto che si basano molte pubblicità soprattutto quelle a stampa.
La familiarità ci consente di riconoscere rapidamente lo stimolo. Negli studi di Zajonc
l’individuo è posto di fronte ad uno stimolo nuovo, per lui l’unica fonte di informazione è la
propria percezione sensoriale dell’oggetto.
Sono state condotte molte ricerche che hanno utilizzato il paradigma sperimentale di Zajonc,
alcune sono state condotte al di fuori del laboratorio con stimoli presenti nell’ambiente,
assumendo come variabile relativa alla frequenza di esposizione misure riportate dagli stessi
partecipanti. Bornstein ha condotto una metanalisi su 134 articoli fra il 1968 e il 1987 , per
un totale di 208 esperimenti alla ricerca originaria di Zajonc. L’articolo di Bornstein circoscrive
chiaramente alcune caratteristiche del fenomeno.
 Caratteristiche dello stimolo. Le ricerche hanno utilizzato vari tipi di stimoli (parole,
foto, poligoni,oggetti reali, disegni)Lo spostamento dell’atteggiamento verso il polo positivo
associato all’aumento della frequenza di esposizione emerge chiaramente in tutti i casi,
tranne in quello dei disegni.
 Presentazione degli stimoli. Dopo un certo numero di esposizioni l’atteggiamento
favorevole aumenta in modo più moderato. La presentazione di sequenze eterogenee di
stimoli produce un effetto più forte rispetto a quelle omogenee. Inoltre l’esposizioni inferiori
ad un secondo per ogni stimolo provocano effetti più forti rispetto ad esposizioni più
prolungate. Il riconoscimento consapevole non è un prerequisito, in quanto l’effetto emerge
in modo più forte quando l’individuo non è in grado di percepire consapevolmente l’oggetto.
 Misurazioni delle variabili. Ogni tipo di misura ha consentito di evidenziare in modo
statisticamente significativo l’influenza della frequenza di esposizione. Il lasso di tempo tra
esposizione e misura dell’atteggiamento varia, nell’insieme degli esperimenti, da qualche
minuto a due settimane, ed è in quest’ultimo caso che si ottiene l’effetto più chiaro.
 Variabili relative agli individui. Le persone che ottengono alti punteggi sulle misure di
bisogno di approvazione, ricerca di sensazioni, tolleranza per l’ambiguità e ansia manifesta
mostrano un più forte aumento del favore rispetto alle persone con bassi punteggi su
queste stesse scale. Per i bambini si riscontra un effetto contrario: più si aumenta il
numero delle esposizioni più l’oggetto viene giudicato in modo negativo.

Anche negli adulti esiste un <punto di noia>, un punto oltre il quale la ripetizione
dell’esposizione riduce il favore verso lo stimolo. (es. ascoltare una canzone molte volte di
seguito ci viene a noia ). Affinché appaia l’effetto di mera esposizione, ulteriore condizione è
che lo stimolo sia inizialmente positivo o neutro. Il contesto entro il quale osserviamo uno
stimolo nuovo influisce sulla nostra risposta affettiva. Il condizionamento valutativo si
verifica quando lo stimolo neutro si presenta insieme ad un altro stimolo già connotato
positivamente o negativamente. Le prime ricerche su questo effetto sono gli esperimenti sui
cani condotti da Pavlov. Lo sperimentatore nutriva i cani in laboratorio con carne in polvere
dopo aver suonato una campanella. Dopo qualche giorno in cui l’associazione sistematica
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campanella-cibo veniva sottoposta ai cani, questi iniziavano a salivare al solo suono della
campanella. Possiamo formarci atteggiamenti anche senza averne un contatto diretto con
l’oggetto, o senza partecipare all’evento, ma osservando il comportamento degli altri rispetto
all’oggetto o all’evento. Gli atteggiamenti e le opinioni, come i comportamenti, possono essere
il prodotto di un processo di apprendimento che si basa, secondo Bandura, sull’imitazione. Il
bambino osserva le persone intorno a lui esprimere delle posizioni e delle valutazioni, osserva
poi le conseguenze che provoca in termini di raggiungimento di approvazione o riprovazione
sociale. La valutazione può essere ripetuta ed entrare a far parte del suo repertorio. Anche gli
adulti osservano i comportamenti e gli atteggiamenti altrui, soprattutto in situazioni poco
familiari, e traggono conclusioni nello specifico contesto sociale. In molti casi secondo
Bem,l’atteggiamento si forma attraverso l’osservazione del proprio comportamento nei
confronti dell’oggetto. Secondo la sua teoria dell’autopercezione i soggetti arrivano a
conoscere i propri atteggiamenti, le emozioni e altri stati interiori parzialmente inferendoli
dall’osservazione dei propri comportamenti esterni e/o delle circostanze nelle quali questi
comportamenti si attuano.
Quando i segnali sono ambigui, deboli o ininterpretabili, l’individuo si trova nella stessa
posizione funzionale di un osservatore esterno, quindi di un osservatore che deve basarsi
necessariamente sugli stessi segnali esterni per inferire gli stati interiori dell’individuo. Per
Bem, le persone non hanno diretto accesso ai propri stati interiori. Durante l’infanzia,
l’individuo si esercita a riconoscere alcuni di questi stati e ad associare ad essi un termine
descrittorio. E’ in grado di riconoscere la presenza dello stato interiore, ma non sempre è in
grado di definirlo e interpretarlo senza ricorrere a segnali osservabili dall’esterno, come, per
esempio, il comportamento. Ne deriva che dall’osservazione del proprio comportamento egli
ricava informazioni dalle quali prende il via la strutturazione dell’atteggiamento. In mancanza
di esperienza personale con un oggetto, possiamo formarci atteggiamenti, quando altri ci
parlano della loro esperienza (se non ho mai provato il bagno turco,e non ho mai pensato se
mi piacerebbe farlo, qualora qualcuno me ne parli in modo entusiasmante, sicuramente mi
faccio un’idea positiva). Un fattore cruciale nella psicologia sociale è il ruolo delle altre persone
nella formazione e nel mantenimento degli atteggiamenti e delle opinioni. Festinger,
sottolinea la necessità che abbiamo di confrontare le nostre posizioni su questioni che hanno
un riflesso sociale con quelle di altre persone che riteniamo simili a noi. Poiché manca uno
standard oggettivo, la posizione degli altri viene utilizzata come uno standard di confronto.
Possiamo formarci un atteggiamento, a partire da quando qualcuno ci comunica, ma il nostro
atteggiamento può anche essere l’esito di influenza normativa,che gli altri significativi
esercitano su di noi. In questo caso il nostro atteggiamento è un modo di rafforzare
un’appartenenza ad un gruppo sociale che ci sta a cuore.

2.2. A CHE COSA SERVONO

Perché le persone si formano e mantengono degli atteggiamenti? Tale quesito caratterizza


l’approccio funzionalista, quello finalizzato ad individuare le funzioni che gli atteggiamenti
assolvono per l’individuo, ovvero i bisogni psicologici che gli atteggiamenti soddisfano
.L’approccio funzionalista allo studio degli atteggiamenti ha origine in due opere pubblicate
verso la fine degli anni ’50: la prima è quella di Smith, Bruner e White; la seconda è un lungo
articolo di D.Katz. Entrambi si chiedono” perché le persone si formano delle opinioni?”

Per Smith, Bruner e White, gli atteggiamenti assolvono una o più tra le tre funzioni.

1. Percezione dell’oggetto: l’atteggiamento è una sintesi delle caratteristiche positive e


negative di un oggetto che serve per orientare le azioni di avvicinamento o allontanamento
nei confronti di quell’oggetto.
2. Adattamento sociale: la funzione svolta da quegli atteggiamenti che si accompagnano ad
identificare alcune categorie sociali o a distinguersi da esse (orientamento positivo verso
elementi che sottolineano una appartenenza, come un simbolo comune ai membri di un
gruppo).

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3. Esternalizzazione: finiamo per sviluppare un atteggiamento negativo nei confronti di un
compito che non riusciamo ad affrontare, è la funzione degli atteggiamenti che proteggono
il Sé da conflitti interni.

Daniel Katz propone una tipologia di funzione che comprende quattro tipi.

1. Funzione strumentale, adattiva o utilitaria: gli individui sviluppano atteggiamenti


favorevoli verso gli oggetti associati alla soddisfazione dei bisogni e sfavorevoli verso gli
oggetti che comportano costi. Gli atteggiamenti diventano dei mezzi per raggiungere degli
scopi desiderati ed evitare quelli indesiderati. La formazione dell’atteggiamento si basa
sulla percezione dell’utilità dell’oggetto.
2. Funzione ego-difensiva: in alcuni casi, gli atteggiamenti permettono di proteggere
l’individuo da fattori interiori, come l’ansia, e da minacce esterne, come situazioni
competitive o un fallimento in un compito importante.
3. funzione di espressione dei valori:gli atteggiamenti che esprimiamo dicono che genere
di persone siamo, a quale sistema di valori ci riferiamo (per es. un atteggiamento
favorevole verso un partito x poiché persegue la giustizia sociale, anche se l’applicazione
delle sue politiche mi penalizza).
4. Funzione di conoscenza: gli individui si formano credenze anche per dare un significato e
una organizzazione ad un universo altrimenti caotico. Gli stereotipi, svolgono tale funzione,
in quanto semplificano la complessità dell’informazione.
Fino agli anni 80, il problema di capire quali sono le funzioni degli atteggiamenti, rimane
trascurato ed emerge l’esigenza di integrare questo aspetto con approcci sociocognitivi più
centrati sulle modalità di formazione e cambiamenti degli atteggiamenti.
Secondo Maio e Olson (2000), le ricerche empiriche hanno mostrato quanto la funzione
primaria e basilare degli atteggiamenti è quella di semplificare le interazioni con
l’ambiente, ovvero di rappresentare rapidi indicatori dell’opportunità di avvicinare/evitare un
oggetto. Tale funzione va dall’orientamento alla formulazione dei giudizi sociali, alla presa di
decisione, all’azione. Altro tema comune è la distinzione tra atteggiamenti strumentali e
simbolici. Gli atteggiamenti strumentali sono quelli che consentono di classificare gli oggetti
secondo la loro potenzialità nel promuovere gli interessi del Sé. Quelli simbolici sono quelli
legati all’espressione di una immagine di sé desiderata, di una appartenenza sociale e alla
potenzialità di classificare gli oggetti a seconda che promuovano o minaccino i valori personali.
Possiamo formare e mantenere un atteggiamento che svolge funzione sia strumentale che
simbolica. Le persone poste di fronte ad una pubblicità, sono maggiormente influenzate dalle
argomentazioni che sottolineano la funzione strumentale o simbolica dell’atteggiamento
associato all’oggetto. Gli stessi atteggiamenti possono svolgere funzioni diverse per individui
diversi. Da ciò è stata formulata l’ipotesi della corrispondenza, la quale prevede che un
individuo sia più facilmente influenzabile dalle argomentazioni che corrispondono alla funzione
che l’atteggiamento svolge per quell’individuo. Ciò non esclude che la funzione di un
atteggiamento possa cambiare nel tempo, anche se difficile coglierne i cambiamenti, in quanto
si è restii ad ammettere che un atteggiamento ha una funzione simbolica primaria, per non
apparire superficiali ( possedere il cellulare inizialmente era considerato come un simbolo di
status, poi ha prevalso la funzione strumentale). Russel Fazio, sostiene che la funzione di
percezione dell’oggetto comprende tutte le altre associate agli atteggiamenti; il solo fatto di
possedere un atteggiamento è utile all’individuo perché possa orientarsi nei confronti
dell’oggetto in questione. Gli atteggiamenti assolvono tale funzione quanto più esso è
accessibile.

2.3. QUESTIONI DI FORZA

La forza degli atteggiamenti è una caratteristica strutturale generale che include diversi
aspetti e che ha diverse implicazioni circa le funzioni che l’atteggiamento può svolgere. Petty
e Krosnick (1995) definiscono un atteggiamento forte, quando è durevole e provoca un
impatto. La durevolezza riguarda sia la stabilità anche in assenza di tentativi di
cambiamento, sia la resistenza, nel caso in cui tali cambiamenti si verifichino. L’impatto è
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l’influenza che l’atteggiamento esercita sui processi di elaborazione delle informazioni e sul
comportamento. Gli autori classificano gli attributi legati alla forza degli atteggiamenti in
quattro classi:
1. aspetti intrinseci all’atteggiamento (estremismo);
2. l’accessibilità o la ricchezza delle informazioni che ne costituiscono la base;
3. credenze soggettive, il coinvolgimento personale, il grado di certezza;
4. le modalità attraverso cui l’atteggiamento si è formato, (per esperienza diretta con
l’oggetto o attraverso un lungo processo di informazioni).

2.3.1. L’ACCESSIBILITA’
Fazio ei suoi collaboratori propongono di concepire gli atteggiamenti come una struttura
cognitiva costituita da legami in memoria fra la rappresentazione di un oggetto e la
valutazione. Il livello d’accessibilità si riferisce alla facilità o difficoltà di richiamare alla
memoria questo legame, quando l’individuo si trova di fronte all’oggetto. Il gruppo di ricerca
ha condotto numerose ricerche, in cui ha rilevato che ad un numero maggiore di esposizione
corrispondevano risposte espresse in modo pi rapido. Il grado di accessibilità di un
atteggiamento è determinato da diversi fattori. La frequenza, è il fattore più importante tra
quelli relativi alle caratteristiche individuali. Le caratteristiche culturali e ideologiche del
contesto contribuiscono a far sì che un atteggiamento sia più o meno accessibile, per esempio
le prescrizioni normative implicite di una società rendono gli atteggiamenti pertinenti a quella
prescrizione più accessibile di altri. Più gli atteggiamenti sono accessibili, tanto più riescono ad
assolvere alla loro funzione, ovvero quella di orientare la conoscenza. L’atteggiamento è una
delle strutture cognitive che filtrano la percezione e l’interpretazione della situazione.
 Un atteggiamento accessibile attrae l’attenzione verso l’oggetto quando questo è presente
nel contesto. In un esperimento i partecipanti mesi di fronte ad un gran numero di oggetti,
tendevano a ricordare quelli per i quali avevano un atteggiamento accessibile. In situazioni
complesse, quello che vediamo dipende dal fatto di avere atteggiamenti in memoria nei
confronti di alcuni stimoli e non di altri.
 Gli atteggiamenti accessibili orientano la categorizzazione degli stimoli. A seconda della
categoria, lo stimolo assume una connotazione valutativa (per esempio se una persona ha
un atteggiamento molto accessibile rispetto ai prodotti salutisti, tenderà a categorizzare lo
yogurt tra i prodotti salutisti piuttosto che tra quelli caseari; colui che ha una forte
avversione verso i prodotti caseari, tenderà a categorizzare lo yogurt proprio in tale
categoria).
 Gli atteggiamenti accessibili orientano la presa di decisione e ne potenziano la qualità della
decisione presa. Di fronte ad una scelta tra alternative, se l’individuo non dispone di un
atteggiamento accessibile in memoria, sarà costretto a formarsi prima una
rappresentazione dello stimolo che sarà influenzata dalle caratteristiche salienti in quel
momento e in quel contesto.
 Gli atteggiamenti accessibili consentono all’individuo di mantenere risorse cognitive libere
per affrontare altri compiti stressanti.

2.3.2 L’ESTREMISMO

Gli atteggiamenti estremi sono più forti rispetto a quelli meno estremi, in quanto sono più
predittivi del comportamento e più resistenti a tentativi di influenza. Cosa fa sì che gli individui
assumano posizioni estreme nei confronti di un oggetto? L’estremismo è un aspetto
interessante della forza degli atteggiamenti per la sua rilevanza sociale.; gli studi che
riguardano tale aspetto sono stati condotti prevalentemente in ambito politico. Per Abelson i
temi fortemente associati a identità di gruppi rilevanti, hanno una maggiore probabilità di
suscitare posizione estreme. Gli atteggiamenti possono diventare estremi attraverso 13
processi diversi. Dal punto di vista cognitivo, molte ricerche hanno dimostrato che la semplice
induzione a pensare ripetutamente ad una questione, come l’induzione a ripetere l’espressione
di un atteggiamento, provocano uno spostamento della posizione individuale verso l’estremo.
Pensare ad una questione o ripetere la propria posizione contribuiscono a rafforzare il legame
fra l’oggetto e la sua valutazione, la convinzione che l’individuo associa a quella posizione e a
8
rendere l’atteggiamento altamente accessibile. Questi aspetti sono associati all’estremismo del
giudizio. Coloro che possiedono già un atteggiamento relativamente forte esposti ad
informazioni miste tendono a selezionare, prestare attenzione e interpretare queste
informazioni in modo distorto in direzione del sostegno del loro atteggiamento iniziale. Una
posizione moderata sembra derivare da una formulazione della rappresentazione dell’oggetto
in memoria basata sugli elementi; mentre la posizione radicale sia il risultato di una
rappresentazione configurazionale dell’oggetto. Abeson sottolinea il ruolo dei fattori sociali nel
rendere estremi gli atteggiamenti: la discussione di gruppo tra coloro che esprimono
atteggiamenti simili tra loro provoca polarizzazione. Anche il confronto tra gruppi genera
occasione di polarizzazione degli atteggiamenti . Eventuali insulti che provengono da un
outgroup e le manifestazioni di lealtà nei confronti del proprio gruppo provocano una
radicalizzazione delle posizioni rilevanti per l’appartenenza di gruppo. In alcune situazioni
l’essere radicali è una norma sociale implicita che prescrive quali sono le posizioni adeguate
per le persone che si riconoscono in un determinato gruppo.

2.4. QUESTIONI DI STRUTTURA INTERNA:ATTEGGIAMENTI UNIPOLARI,


BIPOLARI,AMBIVALENTI

Gli atteggiamenti tradizionalmente sono stati rilevati come una posizione su un continuum
bipolare, ma tale dimensione bipolare non sempre corrisponde con la forma che assume
l’atteggiamento nella memoria dell’individuo. Pratkains sostiene che la struttura interna degli
atteggiamenti può essere unipolare o bipolare. Se è unipolare l’atteggiamento assumerebbe
la forma di un continuum che separa una posizione neutra da una connotata. Se è bipolare, ci
sarà una posizione pro separata da una contro lo stesso oggetto. Per gli oggetti socialmente
controversi, quali l’aborto, la pena di morte, al di là della posizione specifica assunta
dall’individuo, la rappresentazione dell’oggetto contiene anche le informazioni rifiutate. La
teoria del giudizio sociale è una delle rare teorie che ha postulato esplicitamente gli
atteggiamenti come costrutti in modo bipolare. Il livello di ambivalenza è un importante
aspetto che riguarda la struttura interna degli atteggiamenti. Il termine ambivalenza utilizzato
a partire dai primi del ’900 in psichiatria per indicare uno dei sintomi della schizofrenia, e poi
da Freud in riferimento al conflitto emozionale suscitato da qualche genere di oggetto
(amore/odio verso le autorità).

Nella psicologia sociale il suo utilizzo ha origine da alcune considerazioni metodologiche svolte
da Kaplan sul significato del punto intermedio nelle scale di risposta agli item che misurano
l’atteggiamento. Lo studioso ipotizzava che il punto intermedio potesse essere utilizzato da
persone diverse, inoltre ipotizzava che le scale di risposta provocassero una confusione tra
indifferenza e ambivalenza. L’ambivalenza è colta dalle persone come u no stato diverso
dall’incertezza, dall’indifferenza e dalla moderazione. Con oggetti di atteggiamenti complessi,
quali per esempio la fecondazione assistita, non sempre siamo in grado di esprimere una
valutazione globale decisamente unilaterale; spesso l’oggetto ci sembra sia positivo che
negativo. La coesistenza tra valutazioni positive e negative nell’atteggiamento che una persona
ha nei confronti di un oggetto è il minimo comune denominatore delle varie definizioni che
sono state date del termine <ambivalenza attitudinale>. Katz e i suoi colleghi affermano
che l’ambivalenza, è una caratteristica pervasiva dell’atteggiamento razziale dei bianchi
americani nei confronti dei neri. I neri sono visti sia come devianti che come svantaggiati: la
prima rappresentazione provoca una reazione di avversione, mentre la seconda una reazione
di comprensione. Parallelamente il costrutto è stato esteso a qualsiasi genere di atteggiamento
e riferito sia a ciascuna singola componente dell’atteggiamento sia al rapporto tra le
componenti.
Nell’ambivalenza intracomponenente possiamo avere ambivalenza cognitiva, quando
l’individuo attribuisce caratteristiche positive e negative allo stesso oggetto. Si ha ambivalenza
emotiva, quando l’oggetto suscita contemporaneamente emozioni positive e negative.
L’ambivalenza intercomponente fa riferimento alla diversa valutazione sui due piani
(mangiare dolci fa ingrassare -attributo negativo-mi piace -emozione positiva-). Nelle ricerche
che prendono in considerazione l’ambivalenza, vengono spesso usati i termini di conflitto o
tensione emotiva come sinonimi di ambivalenza. C’è una differenza tra i fenomeni psicologici a
9
cui questi termini si riferiscono: la dissonanza cognitiva induce uno stato emotivo negativo che
motiva ad una sua rimozione nel breve periodo, l’ambivalenza può essere mantenuta anche nel
lungo periodo, poiché le componenti opposte possono essere attivate selettivamente a seconda
del contesto. Altro elemento di differenza è che la dissonanza cognitiva deriva dal rapporto tra
un elemento cognitivo dell’atteggiamento e un elemento esterno alla struttura, spesso il
comportamento, mentre l’ambivalenza riguarda unicamente il rapporto tra elementi inclusi
nella stessa struttura attitudinale. Dal punto di vista strutturale, l’alta ambivalenza si associa
prevalentemente a scarsa accessibilità, moderazione e scarsa certezza. Da ciò ne deriva che
l’atteggiamento non sia molto funzionale ad orientare la conoscenza e il comportamento. Molti
risultati mostrano che il carattere di ambivalenza spinge l’individuo ad una elaborazione
approfondita delle informazioni. Quando esprimiamo una posizione derivante da un
atteggiamento ambivalente nei confronti di un oggetto, significa che non siamo molto sicuri
della posizione assunta, per questo siamo più disposti a considerare altre informazioni in modo
approfondito. Maio e Olson considerano la funzione degli atteggiamenti ambivalenti come una
questione ancora irrisolta. Questo genere di atteggiamenti servono una funzione adattiva,
grazie alla loro flessibilità strutturale, che consente di esprimere la propria posizione
enfatizzando quella componente che meglio si accorda con il contesto normativo specifico,
senza per questo sentirsi incoerenti. Non è ancora chiaro che gli atteggiamenti ambivalenti
siano più o meno modificabili in seguito alla esposizione di una comunicazione persuasiva
rispetto ad atteggiamenti meno ambivalenti. Jonas, Bromemer e Diehl (2000) ipotizzano
una forte resistenza degli atteggiamenti ambivalenti, poiché la base di questi include già
elementi nella direzione della posizione sostenuta dal messaggio. Le ricerche di Maio e Olson
(2000) non evidenziano alcuna differenza significativa tra il cambiamento che una
comunicazione persuasiva provoca sugli individui ambivalenti rispetto a quello che provoca a
quelli meno ambivalenti verso gli orientali. Al contrario gli studi di Broemer evidenziano tale
effetto solo sui messaggi costruiti con frame negativo. La ricerca di Hodson, Maio e Eesses,
mostra che le persone ambivalenti nei confronti delle politiche di welfare si esprimono
maggiormente in accordo con la posizione sostenuta dalla maggioranza , rispetto alle persone
non ambivalenti.
I risultati dei sondaggi, inoltre agiscono sulla percezione di normatività di una data posizione
influenzano così quella larga parte di popolazione che di fronte ad oggetti sociali complessi si
forma atteggiamenti ambivalenti.
Cavazza e Butera sostengono l’ipotesi della flessibilità adattiva assicurata dall’ambivalenza,
mostrando che le persone ambivalenti, cambiano il proprio atteggiamento sulle dimensioni
esplicitamente citate nel messaggio di fronte ad un messaggio persuasivo di tipo normativo( da
un sondaggio emerge che la maggioranza degli studenti come te ritiene che..); mentre non lo
modificano su aspetti ad esse associate ma non esplicitate (dimensioni indirette).Le persone
poco ambivalenti, di fronte allo stesso messaggio mostrano resistenza, o addirittura
polarizzazione della posizione preliminare per le dimensioni dirette, ma tendono a modificare il
proprio giudizio in direzione del messaggio su aspetti indirettamente connessi alle
argomentazioni in esso contenute. L’espressione del giudizio sulla dimensione diretta è quella
regolata dalle norme sociali, la dimensione indiretta può soddisfare altre funzioni
dell’atteggiamento, come quella della difesa del Sé o della stabilità. La tesi della coincidenza
tra complessità e ambivalenza non può essere sostenuta su basi empiriche:la coesistenza degli
elementi opposti che cogliamo attraverso i metodi di misura dell’ambivalenza si associa in
modo sistematico con bassi livelli di sicurezza, bassa accessibilità e una certa moderazione.
Al contrario, è pensabile che se un oggetto è conosciuto bene, tanto da essere rappresentato
in memoria in una struttura cognitiva complessa, i giudizi che riguardano tale oggetto
dovrebbero essere associati a sicurezza e alta accessibilità.

CAPITOLO 3
Come si studiano gli atteggiamenti e le opinioni

3.1 Si possono misurare gli atteggiamenti e le opinioni?

Gli atteggiamenti e le opinioni non sono osservabili dall’esterno ;il modo più semplice di
cogliere l’atteggiamento di una persona è quello di interrogarla in proposito. Possiamo
chiederle di riportare la sua posizione come grado di accordo con una affermazione. Usare il
10
metodo dell’item singolo è molto economico,ma poco efficiente è meglio usare insiemi di item
che rilevano vari aspetti dello stesso atteggiamento e costituiscono così una scala.
In psicologia ci sono due tradizioni di misurazione:lo scaling psicofisico e quello
psicometrico. Il primo individua le relazioni esistenti fra gli attributi di uno stimolo fisico(es.il
suono)e le sensazioni psicologiche che questi producono nelle persone .Una tecnica di
misurazione degli atteggiamenti di questo tipo è la scala di Thurstone.Si costruisce una scala di
stimoli su una dimensione psicologica di valutazione,proprio come le tecniche psicofisiche
scalano gli stimoli fisici(diversi livelli di suono).Gli atteggiamenti però sono propri delle
persone, quindi è necessario collocare le persone sul continuum dell’atteggiamento.
Il secondo quantifica attributi che non hanno un referente fisico es. l’intelligenza. L’individuo
risponde ad una serie di item concepiti come aspetti dell’attributo generale che si intende
cogliere. Il punteggio (somma o media)che l’individuo ottiene sull’insieme delle risposte
costituisce la sua posizione circa quell’attributo. Le persone sono quindi collocate direttamente
sul continuum sulla base del punteggio. Gli strumenti che si basano su questo tipo di approccio
sono:la scala di Likert e il differenziale semantico.
Secondo il metodologo Alberto Marradi, lo scaling psicofisico applicato allo studio degli
atteggiamenti è un primo passo verso una vera e propria misurazione degli atteggiamenti.

3.2 MISURE DIRETTE MULTI-ITEM:LE SCALE

La scala di Thurstone
Nel 1928 Thurstone pubblica un articolo Gli atteggiamenti possono essere misurati,nel quale
per la prima volta cerca di dimostrare la possibilità di applicare le proprietà dello scalling
psicofisico alla quantificazione degli atteggiamenti. Da questa tesi egli sviluppa il metodo
degli intervalli apparentemente uguali. Questo strumento oggi è utilizzato pochissimo
nelle pratica della ricerca per la complessità e per lo sforzo che richiede la costruzione di
questo genere di scala. Si comincia col raccogliere un gran numero di affermazioni (gli item)
che esprimono vari gradi di favore/sfavore nei confronti dell’oggetto-target. L’insieme di queste
affermazioni dovrebbe coprire l’intero continuum che va dall’estremo favore all’estremo
sfavore,inclusi i punti neutri. Queste affermazioni vengono sottoposte al giudizio di un gruppo
di giudici che devono collocarle sul continuum indipendentemente dalla propria opinione. La
collocazione può variare in base ad una curva normale il cui apice è costituito dalla media di
tali collocazioni. La media diventa il valore di quell’item sulla scala(cioè il suo punteggio
scalare).
La validità della scala era stata spesso testata utilizzando stimoli relativamente
neutrali,rispetto ai quali cioè le persone non manifestavano forti motivazioni alla difesa delle
proprie opinioni.
Le prime ricerche condotte in questo ambito hanno infatti rilevato che l’assunto di
indipendenza dei giudici nel compito di categorizzazione delle opinioni non può essere ritenuto
valido se si considerano oggetti di una certa rilevanza sociale. Sherif e Hovland (1961) sono
partiti dall’idea che anche quando gli individui si ritrovano di fronte ad una serie di stimoli per i
quali non esiste uno standart esplicito di giudizio, essi tendono a costruire una sorta di scala
psicologica. Il giudizio circa lo stimolo risulta formulato in termini di appartenenza e non
appartenenza alle categorie che costituiscono tale scala di riferimento. Il compito più facile
sembra essere quello di categorizzare le opinioni più estreme;la collocazione delle posizioni
intermedie appare più variabile da individuo a individuo. Se poi una persona ha un forte
atteggiamento sul tema,tende ad utilizzare il proprio atteggiamento come un ‘ancora nella
collocazione delle altre posizioni.
La posizione personale impone una struttura al continuum valutativo che influenza la
percezione delle opinioni altrui. In particolare Sherif e Hovland(1961)parlarono di”latitudine di
accettazione” e “latitudine di rifiuto”. Entro la latitudine di accettazione l’individuo tende a
sottostimare la discrepanza fra la propria posizione e quella contenuta in
un’affermazione(effetto di assimilazione);se, al contrario,quest’ultima cade nella latitudine di
rifiuto,egli tende a sovrastimare la differenza fra essa e la propria posizione(effetto di
contrasto). Spesso fra le due si evidenzia anche una zona di non impegno(non committal).

La scala di Likert
11
La scala di Likert e il differenziale semantico,sono le scale di atteggiamento più usate. Likert in
una monografia del 1932,propose di raccogliere una serie di affermazioni (item) che
esprimono posizioni favorevoli e sfavorevoli nei confronti dell’oggetto(in questo caso si dice che
la scala è bilanciata. A ciascuna frase si fa seguire un formato di risposta che gradua il livello di
accordo. Spesso i formati di risposta prevedono 5 o 7 passi e vanno da “del tutto in
disaccordo”a “del tutto d’accordo”. Ad ogni intervallo o passo nella scala di risposta si
attribuisce un codice es.da 1 a 5 o 7,ricordando che il codice più alto indica sempre il massimo
grado di favore nei confronti dell’oggetto. La somma,o la media dei punteggi che un individuo
totalizza sugli insiemi degli item costituisce la sua posizione sul continuum valutativo e la
rende confrontabile con quella di altri individui che hanno risposto alla stessa scala.
Esempio scala pag. 63 del testo

IL DIFFERENZIALE SEMANTICO

Il differenziale semantico fu proposto per la prima volta da Osgood,Suci e Tannenbaum


(1957) ed è una lista di coppie di aggettivi bipolari separati da 5 o 7 passi e presentati in
ordine casuale; è uno strumento che rileva la componente emozionale dell’atteggiamento
verso l’oggetto. Ad ogni risposta viene attribuito un codice e successivamente le risposte
vengono sottoposte all’analisi fattoriale finalizzata ad individuare delle sottodimensione o
fattori entro le quali gli item si raggruppano sulla base delle risposte degli intervistati. Da
questa analisi emergono tre fattori che raggruppano gli item: valutazione (es.
bello/brutto),potenza(es. forte/debole) e attività (es. stabile/instabile).Il vantaggio di questa
scala è che non comporta alcuno sforzo di costruzione,infatti può essere applicata ad una
varietà di oggetti.
Esempio differenziale semantico pag. 65

UN CASO PARTICOLARE DI MULTI-ITEM:LE MISURE SEMIAPERTE

Esses e G.Maio(2002),propongono di utilizzare misure semi aperte(openended)per rilevare in


modo separato la componente emotiva e quello cognitiva degli atteggiamenti,ma secondo gli
autori lo stesso procedimento può essere usato anche per la componente comportamentale.
Nella prima fase bisogna chiedere ai partecipanti di esprimere liberamente quali sono le
caratteristiche(per la componente cognitiva)attribuite all’oggetto e le emozioni (per la
componente emotiva)suscitate da esso. I partecipanti devono utilizzare una parola o una frase
breve;solitamente vengono indicate 12 righe per ogni componente. Una volta generate le
risposte libere ogni partecipante deve stabilire la valutazione una per una,dando un punteggio
che va da un polo negativo es. -3 ad uno positivo es. +3 specificando che 0 indica una
emozione neutra.
Questa procedura si riferisce al modello aspettativa-valore di Ajzen e Fishbein (1980) che
fa risalire la misura dell’atteggiamento all’ integrazione fra ogni attributo e la sua
valutazione,ma in più tiene conto anche delle emozioni(e delle loro valutazioni) riportate dai
partecipanti stessi. I dati che si ottengono possono essere utilizzati sia per analisi quantitative
sia per analisi del contenuto. Per le analisi quantitative,si può ottenere un punteggio
individuale per ciascuna componente sia del la somma delle valenze attribuite,sia della
media(somma divisa per il numero di risposte date dall’individuo).Anche per ottenere un
punteggio globale di atteggiamento si può utilizzare la somma dei punteggi delle due
componenti oppure la loro media.
Le risposte libere possono essere sottoposte all’analisi del contenuto,attraverso una loro
categorizzazione.Ciò è utile per confrontare il contenuto degli atteggiamenti verso diversi
target(es.2 minoranze etniche).Si possono ricavare anche indici che riguardano le caratteristiche
strutturali dell’atteggiamento. Il contenuto della domanda che si pone ai partecipanti di una ricerca
non è culturalmente specifico, dato che sono i partecipanti stessi a generare il contenuto degli
item.
Ciò la rende facilmente utilizzabile in ricerche trans-culturali e anche per rilevare
atteggiamenti,stereotipi e pregiudizi nei confronti di gruppi sociali e minoranze etniche.
Esempio rilevazione con strumento semiaperto pag. 68-69
12
3.3 PROBLEMI DI AFFIDABILITA’ E VALIDITA’

Dopo aver definito la scala,bisogna accertarsi che essa sia valida e attendibile.
L’attendibilità è definita come il grado di accordo fra tentativi indipendenti di misurare lo
stesso concetto. Nel campo della misurazione degli oggetti fisici il metro utilizzato è
attendibile,è nel campo dei costrutti psicologici che si pone il problema e in cui l’errore di
misurazione ha un’ampiezza superiore. Uno strumento allora risulta attendibile quando rende
minimo questo errore. Attualmente l’attendibilità si misura prevalentemente in termini di
coerenza interna dello strumento;essa viene verificata tramite il coefficiente Alfa di
Cronbach ,che consente di valutare l’opportunità di eliminare uno o più item dalla misurazione
del costrutto,quando questi contribuiscono al decremento della coerenza interna.
La validità fa riferimento alla capacità della scala di misurare quel particolare atteggiamento
che è al centro dell’interesse di ricerca. Perché una scala sia valida la sua attendibilità è
condizione necessaria ma non sufficiènte
I dati che si ricavano devono essere coerenti con altre misure dello stesso costrutto(validità di
costrutto convergente)e distinte da misure di costrutti diversi (validità di costrutto divergente)
Secondo Roccato (2003)l’uso delle scale per la rilevazione degli atteggiamenti si basa su due
presupposti.
 Che i dati raccolti siano fedeli,cioè rappresentino fedelmente la realtà
 Che le risposte date da intervistati diversi siano confrontabili
Roccato sostiene che le risposte alle scale di atteggiamenti di vario genere possono essere
funzione di stili di risposta soggettivi definiti response bias che possono essere di due tipi: il
primo fa riferimento al contenuto degli item,cioè le persone tendono a rispondere in modo da
comunicare agli altri,ma anche a se stessi un’immagine di sé positiva,producendo l’effetto della
desiderabilità sociale (si verifica una maggiore probabilità di avere risposte in linea con quelle
che l’intervistato percepisce essere le norme implicite e condivise in un dato contesto;il
secondo tipo di distorsione nelle risposte riguarda le caratteristiche strutturali del questionario
e le caratteristiche sociali dell’intervistato.
Ciò porta all’effetto della acquiescenza tendenza a dichiararsi sempre d’accordo,a prescinere
dal contenuto dell’ item.
Entrambi questi tipi di distorsione rendono i dati non fedeli e le risposte non confrontabili.

3.4 RILEVARE L’AMBIVALENZA

Ci sono degli strumenti che si fondano sulla preliminare rilevazione delle sue componenti;ciò
consente di ottenere indici della sovrapposizione fra elementi negativi e positivi nei confronti
dello stesso oggetto, ovvero l’ambivalenza. Per quantificare l’ambivalenza ci sono tecniche di
tipo diretto e indiretto. Le prime consistono nel chiedere alle persone di riferimento
l’esperienza soggettiva dell’ambivalenza con un singolo item. Le seconde arrivano alla
formulazione di un punteggio di ambivalenza a partire da una serie di item unipolare positivi e
negativi. Thompson,Zanna e Griffin(1995)ritengono che il modo più attendibile consista nel
chiedere ai partecipanti di riportare in batterie di item indipendenti l’intensità di valutazione di
vari aspetti. Il livello di ambivalenza risulta dal calcolo dei punteggi secondo la formula:
(P+N)/2- [P-N ]
dove P è la somma dei punteggi sugli item positivi e N è la somma dei punteggi sugli item
negativi.
Nella categoria delle tecniche indirette rientra anche l’indice che si ricava dallo strumento semi-
aperto di Maio,Bell e Esses(1996),che consente di calcolare sia l’ambivalenza
intracomponente,sia quella intercomponente. La formula per l’indice di ambivalenza
intracomponente é:P+N-2*[ P-N] + costante
Per calcolare l’ambivalenza intercomponente:[A]+[B]-2[ A+B]+ costante
dove A e B sono il favore netto(positivi-negativi) di ciascuna componente dell’atteggiamento.

3.5 RILEVARE L’OPINIONE PUBBLICA: I SONDAGGI

13
Il sondaggio è uno strumento diretto di rilevazione delle opinioni,ha lo scopo di cogliere la
distribuzione delle opinioni di una data popolazione su un dato oggetto,attraverso la
somministrazione di un questionario standardizzato a un campione rappresentativo di quella
popolazione. Il sondaggio nasce negli Stati Uniti negli anni ’30;in Italia il primo sondaggio è
stato effettuato dalla Doxa nel 1948 in occasione del referendum per sancire la forma dello
stato italiano,ma effettivamente si diffuse solo dagli anni ’70 per ragioni di mercato e dagli anni
’90 per scopi politici.
Il sondaggio si inserisce in un approccio di tipo descrittivo che consente di quantificare il
numero delle persone che esprimono una data posizione,l’intensità con cui la esprimono e le
caratteristiche socioanagrafiche di queste persone. Il sondaggio viene usato anche per
elaborare campagne pubblicitarie efficaci(marketing commerciale),monitorare l’andamento del
consenso che raccolgono gli schieramenti politici o i loro leader(marketing politico).In Italia
sono molti gli istituti privati che offrono questo servizio. La somministrazione dei questionari
avviene per lo più per via telefonica e con il supporto di software che permettono di porre le
domande e costruire contemporaneamente un primo data-base di dati grezzi(sistema Cati o
Capi in caso di somministrazione in modalità faccia a faccia).
Bisogna dunque pianificare una serie di operazioni.
 Definizione dell’unità di analisi,cioè la popolazione target della quale ci interessa
conoscere la posizione
 Costruzione il questionario
 Test del questionario per evidenziare eventuali errori
 Costruzione del campione da intervistare
 Rilevazione
 Pulizia dei dati grezzi
 Elaborazione dei risultati

La costruzione del campione è un passeggio molto importante,bisogna infatti scegliere un


campione effettivamente rappresentativo e il metodo più semplice per farlo è l’estrazione
casuale dei nominativi dall’elenco completo della popolazione. Si parla di campione
stratificato,quando viene selezionato un campione che rispecchia fedelmente alcune
caratteristiche specifiche della popolazione.
Spesso il termine sondaggio viene usato impropriamente anche quando la raccolta delle
opinioni non prevede un preciso piano di campionamento es. rilevazioni effettuate attraverso
siti internet o trasmissioni televisive.
Anche il sondaggio è vulnerabile agli effetti della desiderabilità sociale e a tutti i tipi di
response bias

3.6 MISURE INDIRETTE

Per ovviare ai problemi che si evidenziano nell’uso delle scale di atteggiamento,sono stati usati
strumenti di tipo indiretto per la rilevazione degli atteggiamenti. Un primo tipo di misura
indiretta consiste nell’interferire l’intensità e la direzione dell’attivazione emotiva che l’oggetto
suscita nelle persone dall’ampiezza e dal tipo di reazioni fisiologiche es. pressione arteriosa o
dilatazione delle pupille. Sappiamo che ad un aumento dell’attività dei muscoli delle guance
corrisponde una risposta positiva allo stimolo;ma questi sono strumenti di rilevazione molto
costosi.
Vengono usati anche metodi di misura implicita sopratutto nell’ambito dello studio degli
stereotipi e dei pregiudizi,rispetto ai quali l’effetto della desiderabilità sociale delle risposte è
particolarmente rilevabile. In questo modo si è in grado di fornire una stima dell’atteggiamento
senza chiedere direttamente alla persone di esprimerlo verbalmente. In questo modo i risultati
sono liberi da influenze di desiderabilità sociale.

14
IL PRIMING

L’uso del priming consiste nel presentare ai partecipanti alla ricerca uno stimolo-target
decisamente negativo o positivo dopo essere stati esposti ad uno stimolo prime rispetto al
quale si vuole cogliere l’atteggiamento. Se il prime ha per l’individuo una valenza congruente
con quella dello stimolo-target
( positivo-positivo o negativo-negativo),i tempi di risposta saranno più rapidi,mentre se ha una
valenza incongruente(negativo-positivo o positivo-negativo)il tempo per la risposta sarà
maggiore.

LO IAT

Il metodo implicito più conosciuto è lo Iat (Implicit association test) sviluppato da


Greenwald,McGhee e Nosek(1998).I partecipanti alla ricerca devono completare due compiti di
categorizzazione:
1)disporre in due categorie gli elementi che appaiono sullo schermo di un computer es. fiori e
insetti,usando due tasti;
2)premere uno dei due tasti utilizzati prima,se la parola che appare sullo schermo è positiva o
l’altro se la parola è negativa.
Possono verificarsi delle situazioni in cui i due compiti prevedono un uso congruente dei tasti o
situazioni in cui l’uso dei tasti è incrociato. In questo secondo caso il tempo necessario ai
partecipanti per la categorizzazione degli stimoli risulta più lungo. desiderabilità sociale delle
risposte è particolarmente rilevabile. In questo modo si è in grado di fornire una stima
dell’atteggiamento senza chiedere direttamente alla persone di esprimerlo verbalmente. In
questo modo i risultati sono liberi da influenze di desiderabilità sociale.

IL PRIMING

L’uso del priming consiste nel presentare ai partecipanti alla ricerca uno stimolo-target
decisamente negativo o positivo dopo essere stati esposti ad uno stimolo prime rispetto al
quale si vuole cogliere l’atteggiamento. Se il prime ha per l’individuo una valenza congruente
con quella dello stimolo-target
( positivo-positivo o negativo-negativo),i tempi di risposta saranno più rapidi,mentre se ha una
valenza incongruente(negativo-positivo o positivo-negativo)il tempo per la risposta sarà
maggiore.

LO IAT

Il metodo implicito più conosciuto è lo Iat (Implicit association test) sviluppato da


Greenwald,McGhee e Nosek(1998).I partecipanti alla ricerca devono completare due compiti di
categorizzazione:
1)disporre in due categorie gli elementi che appaiono sullo schermo di un computer es. fiori e
insetti,usando due tasti;
2)premere uno dei due tasti utilizzati prima,se la parola che appare sullo schermo è positiva o
l’altro se la parola è negativa.
Possono verificarsi delle situazioni in cui i due compiti prevedono un uso congruente dei tasti o
situazioni in cui l’uso dei tasti è incrociato. In questo secondo caso il tempo necessario ai
partecipanti per la categorizzazione degli stimoli risulta più lungo.
Moltissime ricerche hanno mostrato la validità della misura IAT nell’espressione della
preferenza per il proprio ingroup.Inoltre si è rilevato che quando si tratta di stereotipi e
pregiudizi le correlazioni fra due tipi di misure effettivamente sono basse,mentre diventano
significative quando l’oggetto è meno connotato socialmente.
Olson e Fazio(2003) segnalano che i dati ricavati da diverse tecniche di misura indiretta non
correlano fra di loro. Le basse correlazioni potrebbero essere dovute al fatto che lo IAT non
rileva l’attenzione che si produce alla vista dello stimolo,ma le associazioni che si attivano all’
esposizione della etichetta della categoria. Le misure dello IAT possono essere influenzate
anche da connotazioni sociali condivise:anche quando una persona non ha atteggiamenti
15
negativi verso un oggetto che socialmente è sempre presentato in modo
negativo,l’associazione con il polo negativo può risultare familiare quindi veloce da riconoscere.
Olson e Fazio fanno notare che con le misure indirette, l’individuo ha maggiori difficoltà ad
associare un dato oggetto con la categoria “piacevole”rispetto a quella “spiacevole” non implica
necessariamente che non sappia di avere un atteggiamento negativo verso l’oggetto.
Esistono anche modalità dirette per cogliere atteggiamenti impliciti e strumenti indiretti per
rilevare atteggiamenti espliciti.
Tipo di atteggiamento
Implicito Esplicito
Diretta Risposte prodotte in Scale di
condizioni di atteggiamento(QUESTIONARI)
Tipo
pressione temporale
misurazione
o carico cognitivo
Indiretta Misure Test proiettivi
dell’attivazione
emotiva,IAT,priming

3.7 FOCUS GROUP

Il focus group è uno strumento di ricerca nell’approccio qualitativo e anche per lo studio di un
sistema di credenze socialmente condiviso. Si tratta di una discussione di gruppo su un tema
preciso e definito a priori(focus)sulla base degli obiettivi della ricerca. I partecipanti sono
invitati ad intervenire nella discussione,esprimendo il proprio punto di vista,coordinati e
stimolati da un conduttore non direttivo,il cui ruolo consiste principalmente nell’assicurarsi che
tutti abbiano la possibilità di esprimersi in modo libero da critiche e valutazioni e che tutti i
punti d’interesse siano trattati in maniera esauriente. Nel farlo si avvale di una guideline cioè
una lista di aspetti da toccare nella sequenza psicologicamente appropriata per quel gruppo.
Esempio Guideline pag. 83-84

La guideline può prevedere uno o più compiti strutturati che offrono l’occasione di stimolare la
discussione. Quello che si ottiene è un prodotto di quel gruppo;l’unità di analisi è il gruppo. Nel
corso della discussione i partecipanti confrontano opinioni,prendono in considerazione aspetti
che non avevano considerato in altre occasioni,negoziano il significato di riferimento simbolici
comuni e li producono. La situazione gli produce situazioni reali in cui le persone si
confrontano(la conversazione,il confronto delle opinioni nei bar,sugli autobus ecc.).
La discussione viene registrata su supporti audio(spesso anche video per analizzare indice di
comunicazione non verbale). Poi sarà de-registrata in modo fedele e sottoposta ad analisi sul
piano contenutistico o strutturale. Una modalità di analisi è :l’analisi del contenuto semantico.
Questo implica l’intervento di almeno due persone,normalmente allo scuro degli obiettivi e
delle ipotesi della ricerca,che classificano in modo indipendente le produzioni linguistiche dei
partecipanti,secondo una griglia di codifica messa a punto dal ricercatore sulla base del
materiale raccolto.
Esempio griglia di codifica pag. 87
La griglia di codifica viene messa a punto sulla base degli obiettivi della ricerca,dello schema
delle domande e alla luce del materiale ottenuto;é costituita da aree tematiche a cui vengono
attribuiti codici in modo da raccogliere tutti i contributi che sono stati espressi nei vari gruppi
relativamente a quella area. Questa procedura consente di illustrare le posizioni che sono
emerse. L’analisi del contenuto può essere condotta in modo automatico,grazie all’applicazione
di appositi software es. NUD-IST,ATLAS.
Anche l’analisi strutturale può essere condotta con il supporto di appositi software come
ALCESTE che consente di individuare dei nuclei tematici o delle classificazioni di enunciati sulla
base della omogeneità dei termini al loro interno. L’esito dell’analisi è costituito da un numero
ridotto di classi che rappresentano”mondi lessicali”caratterizzati da uno specifico vocabolario.
L’analisi del contenuto e quella lessicale possono essere integrate,visto che traggono dai dati
informazioni diverse fra loro. Nelle ricerche centrate sugli atteggiamenti,sia in quelle di base
sia in quelle applicate,l’utilizzo dei focus group può essere progettato come una delle fasi
dell’indagine,ed essere integrato con analisi di dati quantitativi. Può costituire la prima fase
16
della ricerca,quella nella quale il ricercatore si propone di individuare gli aspetti a cui le
persone fanno riferimento quando parlano dell’oggetto allo studio per poter strutturare in
modo adeguato uno strumento di ricerca quantitativa(es.formulare gli item di una scala di
atteggiamenti). Oppure può essere incluso in una fase successiva alla rilevazione
quantitativa,come approfondimento del significato che le persone associano a prese di
posizione particolarmente frequenti o inattese.

CAPITOLO 4
ATTEGGIAMENTI,STEREOTIPI E PREGIUDIZI

4.1 Quando l’oggetto di atteggiamento è un gruppo

La psicologia sociale si è molto dedicata allo studio degli atteggiamenti nei confronti dei
gruppi,tenendo presente che la distinzione principale che l’individuo fa a questo proposito è
quella fra i gruppi a cui appartiene (gli ingroups) e gli altri(gli outgroups). Gli stereotipi e i
pregiudizi sono esiti possibili delle attività di percezione,rappresentazione e valutazione di
gruppi e categorie sociali. Allport(1254)definiva lo stereotipo come una credenza esagerata
associata ad una categoria.
Gaertner e Dovidio(1986)definiscono lo stereotipo come un insieme di associazioni fra un
gruppo e un certo numero di caratteristiche descrittive. Quando si realizza un ulteriore
passaggio,quello cioè di attribuire le stesse caratteristiche ad un membro sconosciuto di quel
gruppo,si parla di pregiudizio.
Gran parte della letteratura psicosociale riconduce la spiegazione di stereotipi e pregiudizi a
fenomeni legati ai gruppi. Katz e Braly (1933) durante una loro ricerca che aveva lo scopo di
individuare i contenuti degli stereotipi verso alcune categorie sociali definite sulla base della
nazionalità,dell’etnia o della religione,giunsero alla conclusioni che gli stereotipi si
sviluppassero e diffondessero più nella comunicazione interpersonale(attraverso leggende e
dicerie) o mediata,piuttosto che nel corso dell’esperienza personale diretta. Il termine
stereotipo stava ad indicare una sorta di “patologia del pensiero”,di rappresentazione troppo
rigida e semplificata della realtà.
A tal proposito,Adorno e i suoi colleghi(1950),condussero una ricerca empirica che aveva
l’obiettivo di dimostrare che l’origine di stereotipi,pregiudizi e discriminazioni è da ricondurre
ad una sindrome di personalità,ovvero la personalità autoritaria.
Henri Tajfel sosteneva che stereotipi e pregiudizi non sono patologie di pensiero,ma esiti di
normali processi del pensiero umano.;stereotipi e pregiudizi emergono grazie a fattori cognitivi
e motivazionali e che il contesto sociale immediato influenza le risposte individuali nei confronti
dei membri dell’outgroup.
Il primo fattore cognitivo alla base dello stereotipo è il processo di categorizzazione.
Attraverso la categorizzazione,gli esseri umani semplificano e ordinano la complessità
dell’ambiente e delle informazioni che da esso provengono. Questa operazione comporta che le
differenze sfuocate fra elementi siano fatte diventare più nette per definire l’appartenenza ad
una o un’altra categoria. La sovrastima delle differenze intercategoriali sono il prodotto di
questa esigenza di demarcare le categorie. Sono effetti che emergono quando l’individuo
percepisce gli oggetti fisici,ma anche quelli sociali. Quando si parla di confronti fra categorie a
cui apparteniamo e quelle a cui non apparteniamo,gli effetti sembrano emergere in modo
asimmetrico. La tendenza a sovrastimare la somiglianza intracategoriale è particolarmente
accentuata quando il giudizio riguarda l’outgroup:gli altri ci sembrano più o meno tutti uguali e
lontani dalle nostre esperienze quotidiane:i cinesi,gli zingari,i mussulmani e così via. Il
cosiddetto effetto di omogeneità dell’outgroup (Jones,Wood e Quattrone) è in parte dovuto
ad una scarsa familiarità:noi vediamo bene che i membri del nostro gruppo sono tutti
diversi,ne abbiamo una conoscenza diretta,mentre non conosciamo i membri delle altre
categorie. L’effetto non è sempre presente,ma dipende dal contesto sociale.
Per quanto riguarda i fattori motivazionali,le teorie di Tajfel e Turner e dei loro collaboratori
suggeriscono che l’elaborazione degli stereotipi deriva dalla motivazione alla difesa del Sé,della
propria autostima e dell’immagine positiva del proprio gruppo. L’identità delle persone deriva
in parte dall’appartenenza a gruppi e categorie sociali. L’essere membro di un gruppo
contribuisce a definire chi sono. Tajfel afferma che la consapevolezza di appartenere ad un

17
gruppo unitamente al valore emotivo che l’individuo attribuisce a questa appartenenza
costituisce l’identità sociale.
La motivazione al raggiungimento e al mantenimento di una identità sociale positiva spinge gli
individui ad utilizzare il confronto fra i gruppi per arrivare ad una rappresentazione positiva del
proprio gruppo(favoritismo per l’ingroup).Molte ricerche empiriche hanno utilizzato il
paradigma dei gruppi minimi,i singoli partecipanti vengono indotti a pensare di essere stati
assegnati ad uno fra due gruppi senza che questo abbia alcun senso particolare per la loro
esperienza. Essi devono poi distribuire risorse fra un membro del proprio gruppo e un membro
dell’altro gruppo,potendo scegliere fra varie strategie di distribuzione possibili. Da questi studi
si evince che i partecipanti preferiscono differenziare i due gruppi fra loro,piuttosto che favorire
l’uno o l’altro.
In un’ottica sociocognitiva ,gli stereotipi sono concepiti come strutture cognitive che
contengono una conoscenza semplificata della realtà e le aspettative associate al
comportamento dei membri di un gruppo. Gli stereotipi contengono le stesse caratteristiche e
le stesse funzioni che hanno le strutture cognitive. Inoltre più una persona avrà un
orientamento pregiudiziale nei confronti di una categoria,tanto più sarà propensa ad attivare lo
stereotipo relativo ogni volta che se ne presenti l’occasione.
Secondo Tajfel(1981) lo stereotipo diventa stereotipo sociale quando non solo l’oggetto è
sociale (una categoria o un gruppo),ma anche il suo contenuto è condiviso da un gran numero
di persone.
La condivisione fa sì che soltanto lo stereotipo sociale possa soddisfare funzioni diverse da
quelle puramente cognitive;facilita l’elaborazioni di spiegazioni di eventi
complessi,emotivamente coinvolgenti;consente la giustificazione di azioni nei confronti degli
individui in quanto membri di una categoria;fornisce una differenziazione positiva dell’ingroup
anche quando si trovi in una posizione sfavorevole.

4.2 FORMAZIONE DEGLI STEREOTIPI

L’errore fondamentale di attribuzione fa riferimento ad una tendenza pervasiva a spiegare


un comportamento altrui,o un evento sociale,più su la base di inferenze sulle caratteristiche
personali dell’attore sociale(spiegazione disposizionale)che sulla base delle circostanze entro le
quali il comportamento è stato attuato(spiegazione situazionale). Quando ci troviamo di fronte
ad eventi che riguardano una categoria sociale tendiamo a spiegarli individuando le cause nelle
disposizioni interne stabili delle persone.
La correlazione illusoria si definisce come la tendenza a percepire una sistematica co-
occorrenza fra due variabili anche quando in realtà non c’è alcuna connessione fra esse. Si
tratta di un effetto distorsivo dovuto al fatto che la nostra attenzione è particolarmente attratta
dagli elementi rari.
Es. Nell’informazione giornalistica solo i comportamenti rari (per lo più negativi) fanno notizia
e quando riguardano un membro di una minoranza questo dato viene comunicato insieme alla
notizia. Anche quando non abbiamo una conoscenza diretta di persone che appartengono a
questa minoranza siamo portati ad elaborare giudizi sulla categoria,sulla base di questi
elementi. L’effetto scompare se l’individuo che elabora il giudizio fa egli stesso parte del
gruppo di minoranza.
Gli individui apprendono gli stereotipi che sono condivisi in un dato contesto culturale. E’
indubbio che gli stereotipi siano in buona parte trasmessi direttamente nel corso della
socializzazione da parte della famiglia, del gruppo,dei mezzi di comunicazione di massa. Il
veicolo privilegiato della trasmissione culturale degli stereotipi è senza dubbio il linguaggio.

4.3PERCHE USIAMO GLI STEREOTIPI ?

La prima funzione degli stereotipi è quella di semplificare la realtà.


Altra importante funzione motivazionale nell’uso degli stereotipi è stata individuata e
sviluppata da Jost e Banaji (1994);usiamo gli stereotipi come giustificazione,cioè usiamo
un’idea per fornire legittimità o sostegno ad un’altra idea o a qualche comportamento.
La funzione giustificatrice degli strereotipi si esercita su tre livelli:
autogiustificazione,giustificazione del gruppo e giustificazione del sistema.

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Sul piano dell’Ego,la difesa del Sé, gli individui si formano stereotipi per giustificare la propria
posizione sociale o il proprio comportamento nei confronti degli altri. Questa concezione ha
caratterizzato approcci che hanno utilizzato una prospettiva psicoanalitica allo studio di
stereotipi e pregiudizi (come Adorno e colleghi,1950). In base a questa prospettiva,la
formazione di stereotipi e pregiudizi consente di proiettare su target esterni conflitti interiori.
In base alla ricerca di Katz e Braly 1993,le persone possiedono stereotipi anche di gruppi con i
quali non hanno mai avuto contatti e che quindi non indurrebbero l’esigenza di giustificazione.
La funzione di giustificazione del gruppo diventa evidente nel quadro della teoria dell’identità
sociale(Tajfel e Turner 1979). Le persone formulano stereotipi per consolidare la
rappresentazione positiva dell’ingroup e distinguerlo dagli outgroups. I gruppi competono
nell’ambiente sociale per ottenere risorse materiali e simboliche:gli stereotipi nei confronti dei
gruppi svantaggiati servono dunque per giustificare gli esiti di questa competizione. Anche i
membri di gruppi svantaggiati si formano stereotipi su altri gruppi svantaggiati che assumono
come termine di confronto. La teoria dell’identità sociale riconosce che i gruppi svantaggiati
interiorizzano le norme dei gruppi di maggiore potere accanto a quelle specifiche del proprio
gruppo. Jost e Banaji approfondiscono questo aspetto proponendo di distinguere una funzione
di giustificazione del sistema esercitata dagli stereotipi. In questa prospettiva anche gli
stereotipi negativi dell’ingroup e quelli positivi dell’outgroup svolgono una funzione: quella di
giustificare lo status quo e le differenze sociali.

4.4 TIPI DI PREGIUDIZI


Pettigrew e Meertens(1995) distinguono fra pregiudizio manifesto e latente:il primo fa
riferimento all’espressione aperta di atteggiamenti negativi verso altri gruppi;il secondo invece
consiste nell’adeguare l’espressione manifesta alle norme implicite di correttezza e
tolleranza,ma anche nell’accentuare le differenze culturali fra il proprio gruppo e un gruppo di
minoranza. Il pregiudizio manifesto si esprime e viene giustificato principalmente in riferimento
a due aree semantiche. La prima è la minaccia che l’outgroup costituisce per l’ingroup(es.
l’amministrazione comunale assegna le case agli immigrati quando non ce ne sono abbastanza
per gli italiani). La seconda fa riferimento al rifiuto del contatto con i membri
dell’outgroup(es.lavorare in posizione subordinata ad un membro dell’outgroup). Il pregiudizio
latente si coglie,secondo gli autori,in tre forme socialmente compatibili:la difesa dei valori
tradizionali,l’esagerazione delle differenze culturali,la negazione di emozioni positive. Gli autori
hanno condotto una ricerca in 4 paesi(Francia,Olanda,Germania e Gran Bretagna) e hanno
classificato le persone in tre gruppi sulla basa dei punteggi ottenuti sulle due componenti:i
bigotti,ottengono punteggi alti di pregiudizio manifesto e latente;i sottili ,che non si esprimono
esplicitamente sulla dimensione manifesta,ma ottengono alti punteggi sulla componente
latente;i veri egalitari che hanno punteggi bassi in tutte le aree.
Diversamente Dovidio e Gaertner(1986) ritengono che le persone che non manifestano
apertamente pregiudizi non nascondano consapevolmente le proprie risposte reali. Queste
persone possono esprimere sinceramente posizioni aperte nei confronti dei membri degli
outgroups,ma possono avere rappresentazioni negative delle minoranze radicate nell’inconscio
e sviluppate nel corso della socializzazione,grazie all’esposizione agli stereotipi negativi che
sono presenti nella cultura di appartenenza. Gli autori parlano di pregiudizio avversivo per
indicare reazioni di ansia e disagio che si concretizzano in comportamenti freddi e di
evitamento nelle occasioni di contatto con membri di altri gruppi.
Esistono diverse tecniche di rilevazione delle risposte attitudinali sulle quali le persone non
hanno un controllo diretto,o pur avendolo in teoria,non vi prestano attenzione. Tra le tecniche
ideate per indagare stereotipi e pregiudizi,la più creativa è quella di Boca(1997):the famous
person task: Questo paradigma sperimentale prevede la presentazione di nomi di personaggi
famosi(con reputazione positiva e negativa),mescolati con nomi sconosciuti ai partecipanti che
devono categorizzarli come appartenenti all’ingroup o all’outgroup. I risultati delle ricerche
condotte con questo paradigma mostrano che le persone impiegano relativamente più tempo
per categorizzare i personaggi negativi dell’ingroup e quelli positivi dell’ougroup,sia quando
questi vengono presentati con il solo nome sia quando la presentazione avviene attraverso la
fotografia. Per es.,partecipanti settentrionali tendevano a riconoscere personaggi settentrionali
positivi e personaggi meridionali negativi,mentre per i partecipanti meridionali accadeva
l’inverso.

19
4.5 STEREOTIPI E PREGIUDIZI SI POSSONO CONTROLLARE O MODIFICARE?
L’attivazione degli stereotipi è connessa con la codifica categoriale della persona-stimolo.
Tuttavia ogni persona che incontriamo può essere classificata secondo vari criteri entro diverse
categorie. Es. nel bar dove faccio colazione il barista è un ragazzo indiano:la categorizzazione
che viene usata dagli avventori che vogliono formarsi un’impressione, può essere di genere(è
un maschio),quella di generazione(è un ragazzo),quella professionale(è un barista),oppure
quella etnica(è un indiano) e molte altre.
Le varie categorie possono portare alla formulazione di stereotipi contrapposti,negativi rispetto
ad una data appartenenza e positivi rispetto ad un’altra. Le ricerche mostrano che quando
abbiamo un’interazione positiva con la persona- target,attiviamo prevalentemente la
categorizzazione ci porta a contenuti stereotipici positivi,inibendo così quelli negativi. Lo
stereotipo negativo non scompare,infatti un’interazione negativa con la stessa persona,lo
avrebbe attivato.
Lo stereotipo positivo associato ad un gruppo può rapidamente trasformarsi in
negativo,l’opoerazione inversa è molto meno probabile,dato che le persone percepiscono i
tratti negativi come più diagnostici.
In sintesi,gli stereotipi sono piuttosto stabili,ciò non significa che non possano cambiare. Essi
cambiano in primo luogo in quanto prodotti sociali,quindi attraverso processi sociali,ovvero a
processi che si collocano più a livello delle relazioni fra i gruppi che a quello intraindividuale.
Allport(1954) aveva formulato l’ipotesi del contatto secondo la quale l’interazione fra gruppi
crea le condizioni per il superamento delle tensioni e delle ostilità fra i gruppi e ciò porta con sé
l’attenuazione dei pregiudizi e il mutamento delle conoscenze stereotipiche reciproche. Allport
riconosceva comunque che la semplice convivenza di diversi gruppi nello stesso luogo in realtà
provocava tensioni più forti e ostilità(es. i quartieri misti nella città di Chicago).
L’autore specifica quattro condizioni necessarie perché il contatto porti a migliori
rappresentazioni reciproche.
1. Il sostegno sociale e istituzionale. Le relazioni fra i gruppi devono avvenire in un
quadro istituzionale che pone esplicitamente e sostiene obiettivi di integrazione e
sanziona i comportamenti che vanno in direzione contraria(es. nella scuola)
2. Contatto profondo e duraturo. Le interazioni devono essere frequenti,durature
profonde in modo che si creino delle relazioni significative fra i membri di diversi gruppi.
3. Status paritetico fra i membri che interagiscono. Se le persone di ogni gruppo
dominante interagiscono con quelle di gruppo dominato entro ruoli che riproducono
questa differenza,l’esito può essere quello di rafforzare i pregiudizi.
4. Cooperazione fra i gruppi per uno scopo comune. La dipendenza reciproca per il
raggiungimento di un obiettivo comune crea l’occasione per sviluppare relazioni più
amichevoli.
L’efficacia di questa teoria è stata chiarita molto bene dalla ricerca sul campo di
Sherif(1966). Brown precisa che l’esito di tale cooperazione deve essere positivo.
Diversamente,la causa dell’esito negativo verrebbe attribuita al membro del gruppo
stigmatizzato,concorrendo così al rafforzamento dei pregiudizi reciproci.

Ricerche successive hanno mostrato che l’origine del pregiudizio non deve essere fatta risalire
solo ad una mancanza di conoscenza reciproca,ma anche al processo di categorizzazione
sociale.
In quest’ottica sono state individuate diverse strategie come:
 La decategorizzazione (Brewer e Miller 1984): il contatto dovrebbe favorire
interazioni percepite ad un livello interpersonale,cioè quello al quale le persone si
percepiscono come individui unici e irripetibili.
 La categorizzazione incrociata(Deschamps e Doise 1978):visto che le persone
sono portatrici di molteplici appartenenze sociali,fare leva sulle appartenenze comuni
fra gli interlocutori serve ad attenuare gli effetti negativi della categorizzazione.
La ricategorizzazione consiste nel rendere saliente una categorizzazione sovraordinata o
uno scopo o destino comune ad ingroup e outgroup. Molte ricerche mostrano che il richiamo ad
un’identità comune riduce la probabilità di osservare discriminazioni basate sulla razza e
aumenta i comportamenti interrazziali positivi. Inoltre è possibile mantenere i due livelli di
identità(quello dell’ingroup e quello del gruppo sovraordinato)contemporaneamente salienti.

20
CAPITOLO 5
Dagli atteggiamenti ai comportamenti

5.1 CONOSCERE GLI ATTEGGIAMENTI CONSENTE DI PREVEDERE I COMPORTAMENTI?

È ormai consolidata l’idea che gli atteggiamenti non sono gli unici predittori dei comportamenti.
Infatti, intorno agli anni 60 si e sviluppato un filone di ricerca che indagò a quali condizioni si
evidenziava una relazione tra att e compoetameto.Krauss attraverso una rassegna condotta
con le tecniche della metanalisi, mostrò che ci sono delle basse correlazioni tra att e comp. A
causa di due problemi:le metodologie impiegate, e l’esistenza di variabili moderatrici.
Per quanto riguarda il primo problema troviamo la critica di Fishbein e Ajzen che rilevarono
che: secondo il principio di compatibilità che gli indicatori d’att e comp sono compatibili quando
sono rilevati allo stesso livello di specificità .Quindi ad un atteggiamento che deve essere
espresso in termini generali non, può corrispondere un comportamento specifico.
Per quanto riguarda le variabili moderatrici esse, ci permettono di capire a quali condizioni la
relazione tra att e comportamento sono + o – strette. Tali variabili possono essere:
Caratteristiche degli att, caratt del comportamento sull’oggetto;caratteristiche personali , o
situazionali.
I risultati più rilevanti della metanalisi sono: possono predire il comportamento in modo
significativo att stabili accessibili formati per esperienza diretta coerenti nella componete
affettiva , atteggiamenti forti.

5.2 I MODELLI DI RELAZIONE FRA ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI

5.2.1 LA TEORIA DELL’AZIONE RAGIONATA


Il primo e più citato modello teorico che lega att e comportamento viene formulato intorno agli
anni 70, proprio quando si andava formando l’idea che le persone non si comportano in
accordo con i propri attegg, mostrando una immagine dell’uomo non del tutto razionale.
Fishbein e Ajzen, formulano la teoria dell’azione ragionata e riaffermano la razionalità
dell’uomo. infatti l’idea centrale di tale teoria e che la causa più prossima del comportamento
sia l’intenzione soggettiva di intraprenderlo. l’intenzione è la pianificazione dello sforzo ed è
determinata da due fattori:atte verso il comp, e le norme soggettive. Queste ultime sono la
percezione che l’individuo ha attuando quel dato comportamento circa le aspettative degli altri
per lui significativi. Dunque il comportamento è una funzione dell’intenzione che è a sua volta
una valutazione soggettiva di quel comp e la percezione della valutazione che danno gli altri
significativi. Ad un ulteriore livello di analisi, l’atteggiamento verso i comportamento e
determinato dalla credenze comportamentali(cioè dall’insieme delle conseguenze previste
dall’individuo in relazione alla messa in atto di un comportamento ) , mentre le norme
soggettive sono determinate dalle credenze normative(cioè dalla percezione o conoscenza delle
preferenze di altri significativi insieme anche alla motivazione di dover compiacere agli altri).
Esempio- il fatto che una persona pensi che il frequente uso di carni alzi il colesterolo nel
sangue è una credenza comportamentale; valutare negativamente un consumo eccessivo di
carne è l’atteggiamento verso il comportamento, sapere che i propri familiari sono orientati
verso uno stile di vita sano è una credenza normativa:ritenere di accontentar i propri familiari
è una norma soggettiva
Secondo tale teoria il cambiamento del comportamento si verifica attraverso l’esperienza
diretta o la comunicazione persuasiva.
Però in tale teoria c’è un limite :venivano presi sono i comportamenti volontari, cioè sotto il
controllo dell’ individuo. Cosi in seguito Ajzen, formula una teoria del comportamento
pianificato.

5.2.2 LA TEORIA DEL COMPORTAMENTO PIANIFICATO


Tale teoria prende in considerazione anche i comportamenti che non sono sotto il pieno
controllo individuale.
Esempio:guidare la macchina fino a casa è un’ azione controllata, ma non possiamo controllare
il fatto che potrebbero esserci degli imprevisti .
Il livello di controllo sulle azioni è influenzato da una serie di fattori che sono:i fattori personali
che possono essere le abilità necessarie, le forti emozioni e pulsioni( lo sfogo del pianto è
21
un’emozione forte che non si riesce facilmente a controllare. Fra I fattori situazionali si può
considerare l’opportunità di cui una persona dispone.quindi l’attuazione di un comportamento
può essere concepita come uno scopo il cui raggiungimento presuppone un certo grado di
incertezza.
Rispetto alla teoria precedente, questa include un ulteriore elemento:la percezione del
controllo sull’azione., ovvero la percezione della facilità o difficoltà di attuare il comportamento.
Quindi l’intenzione soggettiva è determinata da 3 fattori:l’atteggiamento verso il
comportamento , le norme soggettive la percezione di controllo comportamentale. Tale fattore
che a sua volta è una funzione delle credenze, circa il proprio controllo può basarsi su
esperienze passate dell’individuo.quindi in generale le persone intendono attuare un
comportamento se la loro personale valutazione di questo è favorevole(atteggiamento verso il
comportamento ), se pensa che altri importanti l approveranno (norme soggettive)e se
credono che le risorse e le opportunità richieste saranno disponibili (percezione di controllo
comportamentale).

5.2.3 UN MODELLO A DUE VIE: IL MODE


Fazio propone un modello a due vie :motivation and opportunity as determinants.si tratta di un
modello coerente con la tendenza che si andava sviluppando nelgli anni 80 nella psicologia
sociale, che riteneva che il livello di motivazione inneschi processi cognitivi di natura
differenziata.
Il mode prevede che gli atteggiamenti e i comportamenti siano messi i relazione attraverso
due processi :la presenza o meno di un’analisi consapevole delle alternative di
comportamento.nel caso di assenza di un’analisi consapevole il comportamento si genera
spontaneamente dalla percezione immediata della situazione. Quindi in tale modello è
importante la Motivazione che attraverso il timore dell’errore motiva il soggetto sociale a
prendere in considerazione in analitico le informazioni disponibili. Ma la motivazione non è
sufficiente, per procedere ad una elaborazione approfondita bisogna che ci siano anche il
tempo e le risorse cognitive per l’elaborazione la cosiddetta Opportunity.
Esempio: alcuni ricercatori davano ai partecipanti delle info generali su due grandi negozi di
elettrodomestici (brown e smith) e alcuni dettagli sul reparto macchine fotografiche.le
informazioni erano incongruenti:davano una idea positiva del negozio Brown mentre per il suo
reparto di macchine fotografiche venivano date info negative, invece per il negozio smith era il
contrario. Il compito dei partecipanti era quello di dover decidere dove acquistare macchine
fotografiche.a metà dei partecipanti era detto che le loro decisioni sarebbero state confrontate
con altri partecipanti e che essi avrebbero dovuto spiegare le ragioni delle loro scelte. (timore
dell’errore, quindi alta motivazione ad evitare errori.). All’altra metà non era detto nulla di
questo.
Per quanto riguardava l’opportunity, a metà partecipanti erano dati 15 secondi per raggiungere
la decisione, mentre gli altri potevano utilizzare tutto il tempo possibile.
i risultati mostrano che i partecipanti con alta motivazione e debole pressione temporale,
scelgono il negozio con un buon reparto di macchine fotografiche, mentre dove la motivazione
e l’opportunità sono basse, i partecipanti scelgono sulla base di info generali sul negozio.
La conclusione di tal esempio è che in condizioni di alta motivazione ad evitare errori di
giudizio e ad un’alta possibilità di aver del tempo per riflettere abbastanza prima di decidere
(opportunità) la decisione viene presa considerando tutte le informazioni disponibili ovvero i
prò e i contro.
Invece quando la motivazione e il tempo a disposizione sono bassi il comportamento è
determinato dalla percezione immediata della situazione,cioè basta una generale valutazione
positiva del negozio per arrivare ad una conclusione rapida.

CAPITOLO 6
IL CAMBIAMENTO DEGLI ATTEGGIAMENTI E DELLE OPINONI

6.1 FONTI DI CAMBIAMENTO


Nonostante ciò che afferma il CONSERVATORISMO COGNITIVO(che l’individuo pone una mag
attenzione alle informazioni coerenti con le sue credenze e valutazioni), gli atteggiamenti
possono subire dei cambiamenti nel corso del tempo,se sollecitati da pressioni esterne.Gli

22
atteggiamenti si possono modificare nel corso dell’esperienza e grazie al fatto che la messa in
atto dei comportamenti propri e altrui modifica il campo entro il quale l’individuo agisce.

6.2 LA PERSUASIONE
I primi studi sulla persuasione vennero svolti nel 1942 da Carl Hovland,professore di Yale,per
valutare le campagne persuasive diffuse x raccogliere il consenso della popolazione alla
partecipazione americana alla seconda guerra mondiale.Il suo programma di ricerca partiva da
3 assunti teorici di base.
1. La com. persuasiva è quel tipo di comunicazione che riguarda quesiti che non possono
essere risolti attraverso una verifica diretta e presentano conclusioni alle quali si
possono manifestare opinioni diverse.
2. Le opinioni come le abitudini derivano da apprendimenti che tendono a mantenersi fino
a quando l’individuo non compie un’esperienza di apprendimento sostitutivo.
3. Un individuo sostituisce la propria opinione con quella prospettatagli dopo l’esposizione
al msg persuasivo solo se vengono associati, a questa nuova opinione,degli incentivi.
La persuasione è la capacità di far cambiare idea di indurre a cambiamenti di atteggiamenti
.Infatti l’esposizione ad una com. persuasiva è un’esperienza di apprendimento delle
informazioni veicolate dalla comunicazione stessa.

Nella comunicazione persuasiva ci sono tre classi principali di stimoli:


1) La fonte del messaggio che deve avere la caratteristica della credibilità affidabilità,
familiarità,e riguarda le caratteristiche osservabili.
2) Il setting in cui il ricevente è esposto alla comunicazione, ovvero l’ambiente entro il
quale si svolge la comunicazione
3) Il contenuto della comunicazione che deve essere credibile.
La mancanza di uno di questi tre stimoli provoca il fallimento della persuasione.
A partire dal programma di ricerca di Hovland, si sn sviluppate 2 teorie:
1. Paradigma dell’elaborazione dell’informazione di McGuire
2. Approccio della risposta cognitiva di Petty,Orson e Brock

6.2.1 IL PARADIGMA DELL’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI


McGuire elabora la teoria del processo cognitivo precedente che si strutturava in 3 fasi che si
susseguivano in sequenza temporale:
1. Attenzione rivolta al msg
2. La comprensione del suo contenuto
3. Accettazione della conclusione
Secondo tale paradigma di dell’elaborazione dell’informazione il processo di
persuasione poteva essere colto in 6 fasi:
1) Esposizione del ricevente al messaggio
2) L’attenzione al suo contenuto
3) La comprensione dei contenuti
4) Accettazione della posizione sostenuta dal massaggio.
5) Memorizzazione della nuova opinione
6) Comportamento.
Era necessario affinché la persuasione avesse l’impatto sul ricevete che tali fasi si verificassero
tutte.
Occorre infatti che:
1. La persona sia posta concretamente nella situazione in cui il msg viene presentato e lo
percepisca.
2. Una volta assicurata l’attenzione,
3. il ricevente deve essere in grado di capire il contenuto del msg.
4. Il ricevente formula un certo gradi di accordo, necessario xchè egli modifichi la propria
opinione nella direzione prevista dal msg
5. La nuova opinione deve essere memorizzata Per poi poter essere utilizzata in una situazione
in cui è richiesto un dato comportamento.
Questo modello è configurato come una catena di risposte,ognuna delle quali porta con sé un
certo grado di incertezza.

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I fattori studiati in relazione alla persuasione,come caratteristiche della fonte, differenze
individuali come l’intelligenza…)all’interno del modello sn delle variabili che influenzano la
probabilità che ciascun passaggio si verifichi.
Sul piano empirico è molto difficile scindere le varie fasi,xchè l’una implica l’altra.
Ciò era estremamente difficile ecco perché tale paradigma è stato semplificato in due fasi:
1) Ricezione che comprende attenzione e comprensione.
2) accettazione

Il modello semplificato è stato espresso anche sotto forma di equazione:


P(I)=P (R ) X P(A)
La probabilità di essere influenzati dal msg persuasiviP(I) è uguale al prodotto dell probabilità
di ricevere adeguatamente il msgP(R ) per la probabilità di accettarene le conclusioni P(A)
Per McGuire l’importanza relativa di ricezione e accordo varia in dipendenza da fattori di
contesto.(es ricezione assume un peso mag se il msg è + complesso)
Il potere predittivo di questo modello,diminuisce molto quando ci troviamo fuori da laboratori
sperimentali dove ci sono molte più distrazioni.

6.2.2. Approccio alla risposa cognitiva


La prospettiva degli studiosi di Yale vede il ricevente in un ruolo passivo, in quanto non
prendono in considerazione la risposta soggettiva del ricevente alla comunicazione. Greewald
mette in discussione il modo di vedere il ricevente passivamente, sottolineando l’importanza
della rielaborazione dei contenuti del messaggio da parte del ricevente. Quest’idea viene
sviluppata successivamente da Petty, Ostrom e Brock affermano che l’impatto persuasivo è
determinato soprattutto dalla natura delle risorse cognitive del ricevente, non negando cmq la
necessità di apprendimento e l’importanza delle fasi. Loro associano l’apprendimento
all’interpretazione dei contenuti.La relazione soggettiva fa da mediatore fra l’esposizione ad un
msg e l’effettivo cambiamento degli atteggiamenti relativi.
Secondo questo approccio il ricevente mette in relazione l’informazione del messaggio con le
credenze che egli già possiede, si ha una vera e propria rielaborazione. Tanto più un
messaggio è in grado di rievocare pensieri favorevoli, tanto più il messaggio sarà persuasivo.
Le cognizioni generate in risposta al msg persuasivo determinerebbero sia la direzione sia
l’ampiezza del cambiamento.
Per potere studiare empiricamente sull’attività di rielaborazione del messaggio gli autori hanno
sviluppato la tecnica della lista dei pensieri consiste nel presentare ai partecipanti il
messaggio persuasivo, rilevare la misura di atteggiamento nei confronti del tema in questione,
poi chiedono ai partecipanti di scrivere la lista dei pensieri e delle idee che sono venuti in
mente durante l’esposizione. Queste liste vengono poi codificate da giudici indipendenti per
capire se i soggetti sono favorevoli o sfavorevoli al contenuto del messaggio.Questa tecnica
però non permette di individuare la quantità e la direzione delle risposte,per questo che sono
state introdotte tecniche di rilevazione psicofisica.
Concepire il processo di persuasione in termini di risposta cognitiva porta ad un orientamento
culturale che sottolinea l’importanza dell’attività cognitiva individuale di rielaborazione dei
contenuti proposti.
In seguito ad altri studi si notò che fattori di distrazione nelle situazioni persuasivi possono
facilitare l’accettazione di una comunicazione contro-attitudinale.
Quando un individuo viene posto di fronte ad un messaggio contro-attitudinale comincia
un’attività mentale di contro-argomentazione; se questa viene impedita da fattori esterni di
distrazione la resistenza alla comunicazione si indebolisce favorendo l’accettazione del
messaggio.Le estensioni della lista dei pensieri è correlata negativamente con il grado di
accettazione della posizione sostenuta nel msg.
Osterhouse e Brock affermano chela contro-argomentazione prende il via quando il ricevente si
trova esposto ad un msg che sostiene posizioni la cui accettazione avrebbe conseguenze
personali negative o che contraddicono fortemente la sua opinione in un ambito a forte
implicazione personale.
LA DISTRAZIONE FACILITA L’ACCETTAZIONE DEL MSG SOLO SE INTERFERISCE CON
L’ATTIVITA’ DI RIELABORAZIONE DEI CONTENUTI,NON CONO LA RICEZIONE DEL MSG.

24
6.2.3 I modelli a due percorsi

Negli anni ’80 vennero pubblicati negli Stati Uniti due proposte teoriche, accumunati dal fatto
che il cambiamento degli atteggiamenti possa essere l’esito di due processi di natura diversa:
 Modello della probabilità di elaborazione ELM: di Petty e Cacioppo
Modello euristico-sistematico di Chaiken e colleghi
Modello della probabilità di elaborazione ELM: di Petty e Cacioppo prevedono che di
fronte ad un messaggio persuasivo l’atteggiamento può cambiare attraverso due diversi
processi: il percorso centrale e il percorso periferico.
Il percorso centrale è un processo di elaborazione attento alle argomentazioni e alle
informazioni del messaggio, richiedendo un alta capacità di risorse cognitive:
attenzione, comprensioni delle argomentazioni, confronto e integrazione fra le
informazioni e le credenze che l’individuo ha già e quelle presentate dal messaggio,
elaborazione di una nuova valutazione.
Il percorso periferico è un processo basato su elementi che non hanno direttamente a
che vedere con le argomentazioni, ma con il modo in cui sono presentate; per es
l’attrattività della fonte, musiche piacevoli, colori vivaci…questi sono anche detti indici
periferici.
I due fattori importanti che determinano le conclusioni sono la motivazione che fa riferimento
all’importanza che il messaggio ricopre per il ricevente; e l’abilità cognitiva che sono le
capacità stabili dell’individuo come l’intelligenza e le competenze tecniche necessarie;
condizioni che influiscono sullo sforzo cognitivo dell’individuo come i rumori o altri segnali che
attirano l’attenzione; e il grado di comprensibilità del messaggio stesso.
Secondo questo modello quando una persona è motivata e capace di elaborare il contenuto
informativo di una comunicazione,l’eventuale cambiamento di atteg è il risultato del percorso
centrale di elaborazione; quando invece il ricevente non è motivato non attua uno sforzo
cognitivo al tema, il cambiamento di atteg è il risultato di un percorso periferico.
La rilevanza personale,la qualità delle argomentazioni,il livello di expertise della fonte sono
degli elementi che manipolano il livello di motivazioni.
La manipolazione del livello di motivazione rende +o- probabile l’elaborazione degli elementi
centrali(la forza delle argomentazion)oppure l’affidamento a segnali periferici(expertise di una
fonte) in un processo a risparmi di energie.
I due processi quello centrale e quello periferico, possono essere pensati come i due estremi di
un continum di elaborazione a cui corrisponde anche una variazione dell’importanza che
assumono gli elementi centrali e quelli periferici.
Quando l’individuo procede ad un ‘analisi approfondita,gli elementi periferici non esercitano
effetti,viceversa quando l’individuo raggiunge la sua conclusione attraverso il percorso
periferico,gli elementi centrali perdono la loro efficacia.
Modello euristico-sistematico di Chaiken e colleghi. Anche questo modello prevede due
processi attraverso i quali l’individuo per arrivare alle conclusioni di accettare o meno la tesi
del messaggio. Il primo processo è quello sistematico che riguarda l’elaborazione
approfondita dei contenuti del messaggio, che corrisponde al processo centrale del modello
precedente. Il secondo processo è quello euristico che consiste nel raggiungere un’opinione
finale attraverso l’applicazione di un’euristica che è una regola di decisione ad es: se un
prodotto costa molto significa che è di buona qualità; permette di risparmiare energie cognitive
perché si basa sulle esperienze precedenti.
E’ una strategia a risparmio di energie cognitive resa possibile dal fatto che nel corso dei
esperienze precedenti l’individuo ha appreso una regola euristica come modalità per arrivare
ad un giudizio valido.
Anche nel processo euristico sistematico, le capacità cognitive e la motivazione sono fattori
fondamentali
A differenza del modello precedente le due modalità di elaborazioni non si escludono a
vicenda;l’effetto finale è l’esito congiunto dei 2 processi.Se le conclusioni di entrambe le
modalità vanno nella stessa direzione si ha un giudizio finale molto forte,oppure in caso
contrario si verificherà un impatto attenuante.
L’applicazione di una regola euristica può orientare la percezione e la interpretazione selettiva
dell’informazioni.
I due modelli hanno degli elementi di discontinuità:
25
mentre il percorso dell’elaborazione sistematica coincide con quello centrale.Il percorso
periferico dell’ELM può essere pensato come un insieme di processi caratterizzati da
elaborazione minima,fra le quali si può comprendere anche l’utilizzo delle euristiche ma
nn solo.
 L’ELM si fonda sulla mutua esclusione dei 2 percorsi ,quello euristico-sistematico si basa
sull’indipendenza e interdipendenza.
I cambiamenti avvenuti all’elaborazione degli argomenti (percorso centrale o sistematico )
sono più persistenti dal punto di vista temporale e hanno una maggiore resistenza alle altre
persuasioni rispetto ai cambiamenti che derivano dal percorso periferico(o euristico)

6.2.4 Un modello ad un percorso

Nel 2000 Kruglanski e colleghi propongono il processo di cambiamento degli atteg in termini
unimodali. Questi autori affermano che il cambiamento di atteg avviene come qualsiasi altro
processo di formazione dei giudizi: verifica dell’ipotesi e generazioni di inferenze a partire da
informazione o evidenze,che la persona percepisce come rilevanti. La verifica dell ip. O delle
inferenze avviene attraverso il ragionamento sillogistico “se…allora…”. Le evidenze rilevanti
sono formate dalle credenze vicine al giudizio che si deve formulare e che l’individuo possiede
già in memoria ed è in grado di attivare, e da i segnali che può ricavare nel caso della
comunicazione persuasiva.
Questi autori non distinguono segnali di tipo centrali o periferici, tutti sono concepiti come casi
speciali delle evidenze persuasive.
In questo modello si prevede che il processo d’elaborazione sia unico,ciò che varia è
l’estensione del processo stesso cioè la durata della verifica delle ipotesi. Tale durata dipende
dalle motivazioni personali e dall’abilità cognitiva. Loro nell’abilità cognitiva distinguono
aspetti di software (disponibilità e accessibilità in memoria delle informazioni rilevanti come le
credenze che formano la premessa mag del sillogismo) e hardware ( l’energia cognitiva
disponibile rispetto al carico cognitivo che viene richiesto per esempio: fonti di distrazione o
rumore aumentano il carico cognitivo e diminuiscono la possibilità di elaborazione
approfondita.)Solo l’aspetto hardware influenze l’estensione del processo di elaborazione;quelli
software sono necessari quando l’individuo formula una conclusione in maniera veloce.
Riguardo alla motivazione gli autori affermano che ne possono esistere differenti che agiscono
sulla probabilità di dare avvio all’elaborazione. Più si è motivati e più si applica il processo di
elaborazione delle informazioni relativo alle fonti è approfondito.L’elaborazione approfondita
non si applica ad una classe particolare di informazioni se non a quelle che il ricevente
considera pertinenti e rilevanti rispetto al giudizio che deve formulare.Da vari studi si è
osservato che una scarsa motivazione personale all’elaborazione approfondita delle
informazioni disponibili porta i partecipanti a formulare i loro giudizi tendo conto di poche
informazioni particolarmente salienti.

6.3 L’effetto della corrispondenza (Matching effect)

La comunicazione persuasiva,per essere veramente tale,deve incontrare le caratteristiche


strutturali e funzionale degli atteggiamenti bersaglio.
Il matching effect, tradotto in effetto di corrispondenza, indica l’influenza che si esercita nella
condizione in cui la comunicazione persuasiva fa leva sugli elementi che caratterizzano
l’atteggiamento. Tale effetto si declina sia sul piano funzionale che su quello strutturale. L’ip di
corrispondenza funzionale prevede che i tentativi di persuadere saranno tanto più efficace
quanto più il messaggio fa leva sull’atteggiamento dell’individuo.Molti studi hanno provato
quest’ip, impiegando la scala di automonitoraggio di Snyder e la tipologia di persone che da
essa deriva.
Le persone ad alto monitoraggio sono quelle che nelle relazioni interpersonali vorrebbero
sempre rispettare le norme del contesto sociale in cui vivono, per queste persone gli attegg
svolgono una funzione di adattamento sociale. Le persone a basso automonitoraggio
preferiscono che il proprio comportamento rifletta sempre la loro natura, per loro gli attegg
hanno una funzione espressiva dei valori.
La rilevanza funzionale del msg per l’individuo può influenzare sia il modo in cui egli analizza le
argomentazioni, sia la profondità dell’analisi.
26
Il msg funzionalmente rilevante viene analizzato in modo tendenzialmente positivo,xchè la
funzione prevalente influenza il contenuto degli atteg.

Le persone elaborano in modo più approfondito le informazioni che corrispondono alla


funzione attitudinale rispetto a quelle che nn corrispondono; nel senso che se il messaggio è
vicino alle nostre credenze e ai nostri attegg sarà più persuasivo.L’effetto della corrispondenza
è mediato dalla percezione della qualità dei msg e l’effetto non si riflette solo
sull’atteggiamento ma anche sul comportamento realmente messo in atto.Un effetto di
corrispondenza nella persuasione è stato evidenziato anche sul piano strutturale.Gli
atteggiamenti possono essere classificati :
1. A base emotiva:quando la valutazione globale che li esprime è molto vicina alla
connotazione che deriva dalla componente emotiva
2. A base cognitiva quando la valutazione globale che li esprime è molto vicina alla
connotazione che deriva dalla componente cognitiva.
Questa distinzione è stata usata anche x identificare i msg persuasivi.
La corrispondenza strutturale prevede che una comunicazione persuasiva basata su
elementi cognitivi vs emotivi risulterà più efficace sulla componente attitudinale
corrispondente rispetto alla componente non corrispondente. Se l’atteggiamento è basato su
una delle 2 componenti sarà + facilmente modificabile attraverso il msg corrispondente.
Dopo vari esperimenti (pag 152) si è osservato che il messaggio di tipo emotivo provoca più
cambiamenti negli atteggiamenti a base emotiva rispetto agli atteggiamenti di base cognitiva;e
l’effetto di corrispondenza si rivela nn significativo nella condizione sperimentale in cui viene
utilizzato il msg di tipo cognitivo.
Considerando tale effetto di corrispondenza,si può ipotizzare che si verifichi una maggiore
probabilità di influenza quando:
 Il msg persuasivo è bilaterale(quando sostiene una posizione e confuta quella avversa)
e la struttura dell’atteggiamento del ricevente è bidimensionale.
 Il msg è ad argomentazione unilaterale e la struttura del ricevente è unidimensionale.

6.4 Il ruolo dei fattori sociali

Gli studi condotti sul cambiamento degli attegg si sono spesso focalizzati su processi cognitivi
individuali trascurando spesso i fattori sociali.
Gli effetti persuasivi possono assumere connotazioni diverse in base alla fonte che li
provoca(ingroup o outgroup).In generale i msg provenienti dall’ingroup hanno un mag impatto
persuasivo(pag 154)
Alcune ricerche indicano che quando un individuo ascolta un messaggio provenente da una
fonte con la quale condivide un’appartenenza sociale può utilizzare l’informazione come un
segnale euristico oppure considerare il messaggio come rilevante e quindi attuare un’attenta
analisi di contenuto. Nel primo caso si attiva un processo di identificazione dove il
cambiamento è transitorio; nel secondo caso si ha un cambiamento stabile frutto dell’analisi
approfondita.
E’ molto importante anche lo status del gruppo di appartenenza di fonte e
ricevente.L’appartenenza categoriale della fonte non induce di per se un’elaborazione
differenziata delle informazioni che essa veicola.Far parte di un gruppo dominante porta ad
accettare una data posizione soltanto sulla base del fatto che essa è sostenuta da una fonte
che si ritiene credibile.
Una serie di studi di Cavazza e Covizzi affermano che l’esposizione in gruppo favorisce una
maggiore elaborazione dei contenuti, anche a persone scarsamente coinvolte rispetto al tema
del messaggio; il confronto fra i membri del gruppo fornisce ai singoli partecipanti ulteriori
contenuti rilevanti rispetto al messaggio.
Il gruppo, famiglia o altri, sono un luogo in cui si rendono disponibili contenuti alternativi e
schemi interpretativi anche differenti rispetto al messaggio proposto

6.5 La teoria della dissonanza cognitiva

27
La teoria parte dal fatto che l’individuo ha la necessità di mantenere la coerenza fra opinioni e
le credenze riguardanti se stesso, il proprio comportamento e l’ambiente.
Se due cognizioni sono attinenti, ma non coerenti fra loro (es.credo che mettere il casco può
salvare la vita, ma avvolte non lo metto) la dissonanza crea uno stato di disagio emotivo che
l’individuo vuole riportare in equilibrio. Per farlo occorre ridurre la dissonanza attraverso
diverse strategie:
■ Modificare l’elemento dissonate meno resistente al cambiamento (es.iniziare ad utilizzare
sempre il casco)
■ Modificare le credenze attraverso l’esposizione selettiva alle informazioni, (l’individuo tenderà
a ricordare meglio le informazioni che mettono in dubbio l’efficacia del casco nel prevenire
gravi incidenti).
Il cambiamento di atteggiamento risulta massimo quando la ricompensa esterna è appena
sufficiente per ottenere la condiscendenza all’attuazione del comportamento contro-
attitudinale,ma non abbastanza elevata per giustificarlo.
Soltanto se l’individuo ha la sensazione di aver attuato liberamente i comportamento
dissonante con il suo atteggiamento sarà motivato a cambiare quest’ultimo.Ma in realtà è
un’illusione di libertà,xchè la pressione esterna è sempre presente, ed è costituita dal fatto che
la richiesta viene generalmente avanzata da una persona percepita come status superiore a
quello del partecipante in un dato setting(il laboratorio)
Cooper e Fazio sostengono che la dissonanza nasce dalla consapevolezza dell’individuo di aver
provocato conseguenze non desiderate.
La persona mette in atto un comportamento contro-attitudinale, stabilisce quali sono le
conseguenze, se ci sono conseguenze indesiderate stabilisce a chi o a che cosa può essere
data la colpa (se l’individuo attua liberamente il comportamento dissonante con il suo attegg
sarà motivato a modificarlo, se invece si sente costretto la dissonanza sarà attribuita a fattori
esterni: ho agito in quel modo perché qualcuno o qualcosa mi ha costretto a farlo
Aronson che la dissonanza emerge quando il comportamento contro attitudinale messo in atto
è in contrasto von il concetto di sé che l’individuo ha
Steel sostiene che la causa della dissonanza risiede nella minaccia al se e che per ridurla
bisogna restaurare un senso di integrità di se,non ristabilire un ‘immagine di sé positiva.
Alcune ricerche mostrano che persone con alta autostima,a cui sia data la possibilità di
riflettere su di sé prima del comportamento contro attitudinale,sn meno vulnerabili alle
conseguenze dell’induzione sperimentale rispetto alle persone con bassa autostima.
Negli ultimi anni è stato rilevato,in seguito ad alcune ricerche che il fenomeno della dissonanza
cognitiva ,in situazioni di gruppo può produrre esiti diversi dal cambiamento dell’atteggiamento
o del comportamento.Quando il comportamento contro-attitudinale è compiuto in gruppo,i
singoli individui tendono a percepire una responsabilità diffusa per le conseguenze dei propri
atti e quindi la dissonanza non provoca cambiamenti.Il senso di diffusione di responsabilità per
le conseguenze del proprio comportamento modera l’effetto di riduzione della dissonanza.

CAP.7
DAGLI ATTEGGIAMENTI ALLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI

7.1 Quanto di individuale e quanto di collettivo?

Gli attegg sono stati studiati per decenni come rappresentazioni individuali della realtà ,che
ricoprono per l’individuo funzioni fondamentali,come quella di guidare il comportamento. La
risposta individuale ad ogni stimolo non dipende soltanto dalle proprietà dell’oggetto e dalla
situazione che lo circonda, ma anche dalla rappresentazione soggettiva di quello stimolo per
quella persona.
L’individuo mette in atto un comportamento a partire da rappresentazioni del suo mondo
interiore (credenze e preferenze), ma anche da rappresentazioni del mosso sociale (aspettative
che costituiscono norme). La cultura, le appartenenze a gruppi sono fattori che formano,
mantengono e modificano gli attegg. E determinano il loro livello di condivisione.
Moscovi negli anni’60, mentre negli Stati Uniti lo studio degli attegg era quasi interamente
dedicato ai processi di cambiamento, diffonde in Europa l’importanza di capire perché molte
persone, pur mantenendo posizioni diverse, condividano la stessa visione del mondo.Nella sua

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opera + famosa riporta una ricerca svolta in Francia,sul modo in cui la psicoanalisi è stata
accolta dal pubblico francese.
Inizialmente l’autore utilizza il termine “rappresentazioni sociali” per indicare la trasformazione
di un prodotto strettamente scientifico in prodotto comune. Successivamente i termine
rappresentazioni sociali è utilizzato per indicare quei processi di credenze condivise che
permettono alle persone di comunicare, capirsi, sviluppare delle valutazioni,orientarsi nelle
pratiche quotidiane con l’ogg.
Questa teoria viene bene illustrata nelle monografie dell’autore. Nella prima parte l’autore
individua i processi attraverso i quali la teoria freudiana viene rielaborata nel senso
comune:oggettivizzazione (attribuzione di un aspetto iconico all’oggetto astratto, la sua
concretizzazione) e ancoraggio incorporazione dell’oggetto astratto in categorie familiari,
classificandoli in categorie proprie, ma condivise anche nel suo ambiente sociale e nella sua
cultura).
Nella seconda parte l’autore afferma che opinioni attegg e stereotipi esprimono le
rappresentazioni sociali dipendenti dai sistemi di comunicazione che le generano e le
diffondono.
Moscovi ha analizzato poi, il modo in cui diversi tipi di stampa si sono espressi riguado alla
psicoanalisi:
►Stampa a grande diffusione trasmette informazioni che riceve dagli specialisti per colmare
la curiosità e l’interesse del pubblico, non prende una posizione a riguardo, si tratta di un
sistema chiamato diffusione e che induce l’espressione nel pubblico di rappresentazioni
sociali sotto forma di opinioni;
►Stampa di matrice cattolica confronta l’oggetto nuovo con una visione del mondo
organizzata e costruita su credenze sociali. Adatta il sapere psicanalitico alla religione per
aiutare i lettori ad assumere una posizione su aspetti che possono essere accettati o che
devono essere rifiutati. Tale sistema è definito di propagazione dove le rappresentazioni sono
in forma di attegg intesi come posizione consapevole, critica e interessata nei confronti
dell’oggetto;
►Stampa comunista dà vita ad un sistema di comunicazione definita propaganda dove ci
sono due visioni del mondo una vera e l’altra falsa incompatibili tra loro, questa genere di
rappresentazione dicotomica nasce dall’ esigenza di aiutare i lettori ad assumere una
posizione netta corretta. Il prodotto di questa rappresentazione sono definiti stereotipi.
Per Moscovi le rappresentazioni sociali sono sistemi cognitivi, una vera e propria teoria con
sistemi di valori e credenze che servono per ordinare il mondo consentendo agli individui di
orientarsi in lui e fornire un codice che permette lo scambio sociale.

7.2 DUE EPISTEMOLOGIE O UNA INTEGRAZIONE POSSIBILE?

Fraser (1994) propende per l’idea che le teorie sugli atteggiamenti e quella sulle
rappresentazioni sociali siano due possibilità fra altre di studiare le credenze diffuse. Secondo
Moscovici, - il concetto di rappresentazioni sociali potrebbe sostituire quello di opinione o
immagine, che sono relativamente statici e descrittivi – ma è impossibile oggi attribuirgli tale
posizione.
Polmonari sviluppa una tesi proposta da Markova, secondo cui le due nozioni, nonostante
siano integrabili, abbiano una differenza epistemologica. Lo studio degli atteggiamenti si è
riferita ad una logica binaria basata sulla diade soggetto/oggetto, mentre l’approccio delle
rappresentazioni sociali adotta una prospettiva ternaria:soggetto/oggetto/alter. Quando si
costituisce una relazione tra il soggetto e l’oggetto, gioca un ruolo fondamentale l’alter, cioè le
norme sociali, la cultura, i gruppi sociali. Markova la definisce epistemologia dialogica,
poiché è negli scambi comunicativi che le persone costruiscono la realtà alla quale fanno
riferimento. Le rappresentazioni sociali consistono in un processo dialogico di ricostruzione e di
creazione di realtà e significati sociali a proposito di fenomeni che assumono forte rilevanza
sociale per gruppi o collettività diverse. Per Polmonari, le nozioni di opinione, atteggiamento e
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stereotipo possono essere ridefinite e trattate in modo coerente con una epistemologia
dialogica. Ogni atteggiamento, è un aspetto di una rappresentazione sociale che può essere
ricostruita se si precisa il terreno condiviso di conoscenza su cui la presa di posizione
individuale si esprime ed il sistema di valori e significati sociali a cui essa è ancorata.
C’è un rapporto di inclusione tra rappresentazioni sociali e atteggiamento. Su tale base anche
Moscovici afferma che un atteggiamento è un aspetto delle rappresentazioni e che essa è ciò
che tiene insieme i vari item di una scala di atteggiamento; l’atteggiamento e la
rappresentazione di un oggetto sono interdipendenti. Fraser nel definire le rappresentazioni
sociali come sistemi strutturali di credenze, e l’atteggiamento come qualcosa di più limitato e
focalizzato indubbiamente propende per una soluzione di integrazione. Secondo la teoria delle
rappresentazioni sociali le credenze diffuse non restano nella testa degli individui, ma si
trasformano in riti, foto, articoli che possono essere elementi dello studio come le risposte
individuali. La social cognition non dà importanza al contenuto specifico della conoscenza e
alle origini sociali delle strutture cognitive. Non è necessario che l’oggetto sia socialmente
rilevante. Anche quando si studiano gli atteggiamenti in relazione alla motivazione (il
coinvolgimento e l’interesse con l’oggetto) è sempre un fatto individuale e non una distanza
dall’oggetto che caratterizza il gruppo o la categoria di appartenenza in relazione ad altri
gruppi e ad altre categorie che rende quell’oggetto più o meno desiderabile. Le
rappresentazioni sociali sono contemporaneamente contenuto e processo. Nella teoria di
Moscovici il processo si caratterizza dalla sua dimensione sociale e collettiva. Inoltre una
rappresentazione si genera se un gruppo si trovi confrontato ad un oggetto complesso o
sconosciuto e che l’appropriazione pratica di questo oggetto abbia delle vere implicazioni
sociali.
Lo sviluppo della teoria ha approfondito due aspetti: quello relativo al consenso (quanto e in
che cosa sono consensuali queste costruzioni sociali?) e quello relativo alla struttura (è
possibile individuare una forma comune a tutte le elaborazioni rappresentazionali?) Ci sono
due sviluppi teorici: uno ideato dagli studiosi dell’Università di Aix orientato alla struttura della
conoscenza oggettiva e condivisa che dà luogo alle rappresentazioni; l’altro ideato
all’Università di Ginevra, orientato ad indagare i modi in cui gli attori sociali elaborano e
organizzano la conoscenza della realtà, per individuare l’articolazione fra condivisione della
realtà simbolica e livello di consenso.

7.3ATTEGGIAMENTI E RAPPRESENTAZIONI SOCIALI IN UN’OTTICA SOCIODINAMICA

“Studiare l’ancoraggio degli atteggiamenti nei rapporti sociali che li generano significa studiarli
come delle rappresentazioni sociali”W. Doise
Il fatto che diversi individui esprimano atteggiamenti simili non può essere ricondotto ad un
parallelismo casuale,ma ad un ancoraggio comune nei rapporti sociali.
Nel pensiero di Doise e colleghi(Clémence,Lorenzi-Cioldi),nel rapporto fra l’individuo e il
mondo,l’alter, prende le forme di un metasistema sociale che regola il funzionamento cognitivo
individuale. Il metasistema opera attraverso principi organizzatori che variano a seconda della
posta in gioco che l’oggetto specifico costituisce per i gruppi che lo pensano. Gli psicologi sociali
hanno il ruolo di svelare i nessi fra le regolazioni sociali effettuate dal metasistema e i
funzionamenti cognitivi individuali. Lo studio delle rappresentazioni sociali attiene allo svolgimento
di questo ruolo.
Doise definisce le rappresentazioni sociali come principi organizzatori di prese di posizioni regolate
dalle appartenenze sociali nei confronti di oggetti socialmente rilevabili.

30
Doise definisce questa ottica come costruttivismo psicologico:gli scambi sociali,la
comunicazione,i rapporti sociali influenzano(regolano) il funzionamento cognitivo e contribuiscono
al raggiungimento di una definizione comune della realtà sociale.
Lo studio delle rappresentazioni sociali deve osservare tre passaggi.
Ricostruire il campo di riferimento comune;una sorta di carta geografica organizzata
attraverso dimensioni simboliche a cui tutti fanno riferimento quando parlano o pensano o si
rapportano all’oggetto e in cui troviamo le oggettivazioni,cioè le traduzioni dell’astratto in
concreto,iconico. Di fronte ad un oggetto nuovo o che assume nuova rilevanza,le persone
costruiscono un insieme di significati simbolici condivisi nel corso delle conversazioni quotidiane
che avvengono nei bar,sugli autobus...Grazie a questi riferimenti comuni le persone possono
comprendersi e situare le differenze di posizione personale.
1. Individuare le prese di posizione –questo è il piano che più si avvicina al concetto degli
atteggiamenti. Le persone privilegiano alcune dimensioni simboliche su altre,sono
favorevoli a questo e contrari a quest’altro. Le prese di posizione si generano in rapporto al
campo di riferimento comune. Si reintroduce così l’idea della variazione:gli individui
riconoscono l’esistenza di determinare credenze sull’oggetto,ma aderiscono in modo
variabile a diverse credenze. Le prese di posizione sono regolate da principi organizzatori.
2. Le rappresentazioni sociali fanno riferimento a sistemi simbolici,di valore,ad
esperienze psicologiche condivise all’interno di gruppi. Nel paesaggio costituito dal
campo di riferimento comune,gli individui trovano la propria posizione nei confronti
dell’oggetto vicino a quella di determinati individui e lontano da altri. Si definiscono così
delle variazioni sistematiche ancorate alle posizioni dei gruppi nell’universo simbolico di
riferimento.
Doise e i suoi colleghi per esemplificare il loro modello,hanno fatto ricorso ad una metafora
illuminante. Nel pensare ai paesi del mondo e alla loro distribuzione sul territorio tutti facciamo
riferimento alle dimensioni simboliche definite dai punti cardinali(campo di riferimento comune).
Ciascuno può poi pensare alla connotazione politica di uno dei due assi (che separa i paesi
dell’est da quelli occidentali)o alla connotazione economica dell’altro asse(che separa i paesi del
sud del mondo da quelli del nord). L’uso politico e quello economico sono principi organizzatori.
L’uso privilegiato di una di queste dimensioni è sicuramente legata alla posizione politico-
ideologica che il paese del soggetto pensante ricopre rispetto ad altri paesi.
Due ricerche in particolare si sono occupate di approfondire questi passaggi. La prima fa parte
di un ampio programma di ricerca avviato e coordinato dallo stesso Doise insieme ai suoi
collaboratori sul tema dei diritti umani. La seconda è stata condotta da Emiliani e Molinari sulla
rappresentazione dello sviluppo infantile.
Nella prima ricerca le persone tendono a raggruppare gli articoli della Dichiarazione dei diritti
umani in due grandi categorie. La prima categoria raggruppa i diritti più sociali insieme a quelli
individuali di base;la seconda raggruppa i diritti individuali,i principi e alcuni articoli che
riguardano l’ordine sociale. Nella seconda fase,gli studiosi si sono poi dedicati ad individuare i
principi organizzatori delle differenze individuali.
Emergono quattro tipi di rispondenti che si differenziano per il rapporto fra atteggiamenti e
credenze circa la responsabilità per il rispetto dei diritti:i simpatizzanti,che sono convinti di
avere responsabilità personali per il rispetto dei diritti e che il governo può fare molto in
proposito;gli attivi, che esprimono alta autoefficacia,ma scarsa fiducia nelle possibilità delle
istituzioni;gli scettici,che esprimono un senso di bassa efficacia personale e scarsa fiducia;i
filogovernativi,che esprimono un senso di scarsa autoefficacia,ma alta fiducia in quello che può
fare il governo.
Nella terza fase della ricerca si indagano gli ancoraggi. Le ipotesi riguardano l’ancoraggio ad un
sistema gerarchico di valori e l’ancoraggio alle appartenenze nazionali

Ricerche Emiliani-Molinari,si propongono di delineare le rappresentazioni sociali dello sviluppo


dei bambini. Uno studio è stato dedicato alla individuazione del campo di riferimento comune e
ha coinvolto donne con o senza figli. I risultati mostrano che le partecipanti condividono un
ampio campo di riferimenti simbolici comuni,che possono essere raggruppati in quattro
concezioni:il carattere come dono di natura,il temperamento,l’interazione affettiva,il
determinismo sociale.
Le madri concepiscono il carattere dei bambini come un dono naturale e il temperamento come
dato biologico. Successivamente le studiose hanno approfondito questo tema,ipotizzando che
31
madri con diverse inserzioni sociali avrebbero espresso posizioni diverse fra loro(ancoraggio
all’inserzione sociale). I risultati mostrano che queste donne,quando pensano al bambino in
generale,ricorrono a spiegazioni di tipo interazionista(all’idea cioè che autonomia,intelligenza...
si acquisiscano nel corso delle interazioni con gli adulti),mentre quando parlano dei propri figli
privilegiano spiegazioni che chiamano in causa il dono di natura,come a prendere le distanze da
una responsabilità troppo diretta nel processo di crescita dei figli. Le insegnanti ,per esprimere
sia esiti positivi che negativi,ricorrono più delle altre a spiegazioni di tipo interazionista. Le
autrici concludono che il principio di identità (essere madre,insegnante,donna senza figli) e il
sentimento di responsabilità sono principi organizzatori di questa elaborazione sociale.

7.4 ATTEGGIAMENTI E RAPPRESENTAZIONI SOCIALI IN UN’OTTICA STRUTTURALISTA


La definizione di rappresentazione sociale fatta propria dalla scuola di Aix pone l’accento sulla
struttura ed entra nel problema del rapporto con il concetto di atteggiamento. Una
rappresentazione sociale èun insieme organizzato e gerarchico di giudizi, atteggiamenti ed
informazioni che un dato gruppo sociale elabora a proposito di un oggetto. Le rappresentazioni
sono interiorizzate dai membri, generate e condivise, sono visioni del mondo che dipendono
dalla loro storia, dal contesto sociale nel quale sono immersi e dai valori ai quali si riferiscono.
Gli studiosi di Aix sostengono che ogni rappresentazione sociale è organizzata attorno ad un
nucleo centrale, che ne determina il significato e l’organizzazione, costituisce la base sociale
e collettiva, è una componente non negoziabile, che determina la natura dell’oggetto della
rappresentazione. Il nucleo ha diverse funzioni:
 funzione stabilizzatrice, in quanto il nucleo è la parte consensuale e non negoziabile,
assicura stabilità e coerenza della rappresentazione;
 funzione generatrice, assicura il significato degli elementi che ne fanno parte e a quelli
che sono in relazione con il nucleo centrale senza farne parte;
 funzione organizzatrice, in quanto il nucleo è l’organizzatore degli elementi periferici.

Gli elementi contenuti nel nucleo hanno due proprietà:


 la salienza quantitativa, cioè glie elementi su cui si concentra il maggior grado di accordo;
 la necessità qualitativa, ovvero gli elementi senza i quali cambia la natura della
rappresentazione.
Le rappresentazioni sociali sono composte, secondo questi studiosi, da una serie di elementi
centrali, non negoziabili, strettamente dipendenti dalle caratteristiche degli individui, dei gruppi
sociali e del contesto. Il contesto costituisce la parte periferica della rappresentazione. Al
nucleo appartengono gli elementi che necessariamente definiscono l’oggetto di
rappresentazione; al sistema periferico gli elementi che generalmente fanno parte della
rappresentazione. La rappresentazione di uno stesso oggetto, non può essere identica per
tutti, senza riferimento al contesto sociale in cui si esprime. La parte periferica assicura
l’evoluzione della rappresentazione stessa, in quanto gli elementi periferici che sono quelli più
in relazione con il contesto subiscono i cambiamenti che, nel lungo periodo,possono intaccare
anche il nucleo centrale, e di conseguenza la rappresentazione globale.
Flament (1982) ha studiato la rappresentazione sociale del gruppo ideale, il quale è tale
quando non c’è gerarchia tra i membri del gruppo e c’è convergenza di opinione tra gli stessi
membri. Valuta la probabilità che un gruppo di amici con opinioni diverse possa essere un
gruppo ideale, o che un gruppo di amici che non hanno lo stesso status all’interno del gruppo,
possa essere considerato un gruppo ideale. I risultati mostrano che se c’è una gerarchia non si
può avere un gruppo ideale, mentre in caso di divergenza di opinioni tra i membri, il gruppo
può essere ideale. Nelle rappresentazioni sociali si possono riconoscere aspetti normativi, ossia
valori di riferimento per i gruppi sociali che li utilizzano; essi guidano la formulazione dei giudizi
e delle valutazioni sugli oggetti . Di fronte ad oggetti sociali nuovi e ambigui o meno conosciuti,
siamo in grado di formulare giudizi, utilizzando questi aspetti delle rappresentazioni. Ci sono
anche aspetti funzionali relativi al rapporto tra l’oggetto e le pratiche sociali, che guidano
l’azione e definiscono quali sono i comportamenti adeguati rispetto all’oggetto della
rappresentazione.
Moliner propone di distinguere il nucleo dagli elementi centrali , ed anche la funzione
descrittiva o valutativa degli elementi. Secondo Moliner e Tafani, le componenti valutative della
rappresentazione formano la struttura soggiacente dell’atteggiamento. Per mostrare il legame
tra atteggiamento e componenti valutative delle rappresentazioni sociali, hanno condotto un
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esperimento con studenti universitari. I partecipanti nella fase preliminare dovevano scegliere
tra 20 item, i 5 che secondo loro potevano completare la frase: < penso che acquisire una
istruzione superiore dovrebbe…> e altri 5 con < ...non dovrebbe>.
Nella fase sperimentale veniva chiesta l’opinione generale dei partecipanti sull’acquisire una
istruzione superiore. I risultati mostrano che atteggiamenti diversi sono basati su diverse
componenti valutative. Per tanto anche questi autori considerano le rappresentazioni come
una piattaforma generatrice di atteggiamenti. Essi ipotizzano che se il cambiamento
dell’atteggiamento riguarda una componente valutativa di tipo centrale, corrisponde ad una più
generale trasformazione della rappresentazione, ciò non accade se trattasi di un atteggiamento
generato sulla base di una componente periferica. Rateau (2000) ha inteso portare le prove
empiriche di una articolazione gerarchica tra ideologie, rappresentazioni sociali, atteggiamenti
e opinioni. L’autore nota che i cattolici e i comunisti studiati da Moscovici, avevano lo stesso
atteggiamento negativo verso la psicoanalisi e risultava generato da diverse rappresentazioni
sociali. Le ideologie, per molti autori sono il contesto delle rappresentazioni, in quanto
l’ideologia non ha al centro un oggetto specifico, ma ricopre un carattere di generalità. Per
Rateau, l’ideologia è un dispositivo generatore e organizzatore di rappresentazioni sociali che
riguardano oggetti specifici. In una serie di esperimenti effettuati per testare l’esistenza di una
gerarchia; i risultati hanno dimostrato che i partecipanti rifiutano di riconoscere il gruppo ideale
se è fatto di amici, non c’è gerarchia, c’è comunanza di opinioni, ma è affiliato ad una
associazione che fa riferimento all’ideologia del male. Se il gruppo, invece, è affiliato ad una
associazione che fa riferimento alla ideologia del bene, anche la messa in discussione di un
elemento centrale non impedisce l’attivazione della rappresentazione del gruppo ideale. Un
oggetto nuovo, o di nuova rilevanza sociale, diventa oggetto di rappresentazione solo quando
si ancora ad un insieme di significati primari. L’ideologia genera un certo tipo di
rappresentazione che guida la formulazione degli atteggiamenti, per tanto l’ideologia è
principio organizzatore di rappresentazioni sociali.

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