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Metodologia della ricerca sociale

Libro I: I paradigmi di riferimento

Capitolo 1. I paradigmi della ricerca sociale


Thomas Kuhn negli anni ’60 del ‘900 ha proposto una definizione del concetto di paradigma, usato in
filosofia sia da Platone che da Aristotele.
La riflessione di Kuhn ha per oggetto lo sviluppo storico delle scienze. Secondo Kuhn la scienza si divide in
scienza normale e scienza matura. Egli rifiuta una concezione della scienza di carattere cumulativo e lineare,
secondo Kuhn esistono anche dei momenti rivoluzionari. La scienza normale è quella fase scientifica in cui
un paradigma si sviluppa e assume nozioni di carattere cumulativo, la scienza matura si ha quando questo
paradigma viene rovesciato e rivoluzionato.
Cosa intende Kuhn per paradigma? Paradigma=prospettiva teorica condivisa e riconosciuta dalla
comunità scientifica fondata su acquisizioni precedenti di una determinata disciplina che opera nella
ricerca in termini di individuazione e scelta dei fatti da studiare, sulla formulazione delle ipotesi e tecniche
di ricerca empirica.
Per analizzare il carattere storico delle prospettive teoriche (positivismo, neopositivismo e postpositivismo)
dobbiamo definire tre questioni di ricerca sociale.
Ontologica: riguarda la natura l’oggetto di studio. Che cosa si può conoscere della realtà sociale? La realtà
sociale è una cosa in se stessa o una rappresentazione dei soggetti?
Epistemologica: riguarda il rapporto tra il soggetto studiante e l’oggetto studiato.
Metodologica: riguarda il come, ovvero la strumentazione tecnica del processo cognitivo conoscitivo.

Le tre questioni sono intrecciate fra loro non solo per le risposte che danno della natura della realtà sociale
ma anche perché è difficile distinguerne i confini.
Positivismo.
Ontologia: Esiste una realtà sociale oggettiva esterna all’uomo (es, fatti sociali Durkheim) ed è conoscibile
con leggi generali causa-effetto.
Epistemologia. Studioso della realtà sociale e realtà sociale sono indipendenti, l’agency non influenza la
struttura. L’indagine avviene attraverso leggi generali causa-effetto (leggi naturali). Viene riconosciuta
l’importanza del dato come elemento esterno e immodificabile.
Metodologia. I metodi e le tecniche della ricerca derivano dalle scienze naturali (empirismo classico). Il
metodo sperimentale è induttivo e sperimentale, fondato su manipolazione e controllo delle variabili.

Neopositivismo e postpositivismo
La visione positivista ha visto svilupparsi al proprio interno un processo di aggiustamento mosso dalla
consapevolezza dei propri limiti e dal tentativo di superarli. Una prima revisione ottocentesca prende il
nome di positivismo logico che ha dato origine al neopositivismo. Questo movimento si formò attorno ai
cosiddetti membri del circolo di Vienna.
Epistemologia: lo studioso non è più separato dalla realtà sociale studiata. Si ha la consapevolezza degli
elementi di disturbo introdotti sull’oggetto studiato dal soggetto studiante e dell’effetto di reazione che ne
può derivare.
Metodologia: si ha un’apertura ai metodi qualitativi, diventa importante la comunità scientifica per la critica
e l’acquisizione di dati.
Interpretativismo

Si deve al filosofo Wilhelm Ditlthey la nascita dell’interpretativismo con l’obiettivo di rendere autonome le
scienze sociali dalle scienze naturali. Secondo la sua Introduzione alle scienze dello spirito Dithley distingue
scienze naturali dalle scienze dello spirito (sociali). Mentre infatti, studiando le scienze naturali si osserva
una realtà esterna, quando si studiano le scienze dello spirito bisogna attuare un processo di comprensione
data l’interazione tra il soggetto studiante e l’oggetto studiato.

Ontologia: il mondo è conoscibile solo tramite il significato che il soggetto studiante gli conferisce. Non
esiste il mondo oggettivo (costruttivismo). Il mondo conoscibile è soggettivo, varia fra gli individui
(relativismo).
Epistemologia: scompare la separazione fra soggetto studiante e oggetto studiato.
Metodologia: le tecniche di ricerca sono qualitative.

La radicalizzazione di entrambi gli approcci può avere gravi conseguenze. L’estremizzazione dell’approccio
positivista pone le premesse per un processo di riduzione progressiva della portata della ricerca,
inaridendola sul dato empirico a limitandola a una pura descrizione dello stesso. Mentre all’opposto estremo
del soggettivismo pone in discussione l’esistenza stessa della realtà sociale. Un recente sviluppo del
paradigma interpretativo ha posto le basi del cosiddetto postmodernismo, che si esprime in una sorta di
rifiuto della visione tradizionale della scienza, intesa come ordine e razionalità, semplicità e
generalizzabilità, a favore del paradosso, della contraddizione della opacità, dell’esaltazione delle differenze.

Capitolo 2. Ricerca quantitativa e ricerca qualitativa


In questo capitolo vengono analizzate due ricerche eseguite intorno agli anni ’80 che utilizzano, una il
paradigma neopositivista, la seconda il paradigma interpretativo.

2.1 Robert J. Sampson e John Laub <<Crime in the Making>>

In questa ricerca i due autori studiano la nascita e lo sviluppo del comportamento criminale. Sostengono che
bisogna prendere in considerazione sia l’età infantile che l’età adulta per spiegare determinati comportamenti
antisociali. E’ un’analisi secondaria fondata sulle ricerche di Sheldon e Eleanor Glueck.
In base a questa ricerca (Glueck):
● vengono presi a campione due gruppi di giovani maschi bianchi negli anni ’50 del Massachusets; i
primi vengono selezionati da una casa di correzione, gli altri dalla scuola pubblica.
Questa ricerca aveva lo scopo di studiare il comportamento deviante di 500 ragazzi normali, sostenendo però
che non vi fossero interferenze in età adulta.
L’insieme delle informazioni rilevate da Glueck è disomogeneo ma viene codificato distinguendo tra
variabili di base (povertà, disgregazione familiare ecc..) e variabili di processo (famiglia, scuola, lavoro). Le
seconde vengono imputate da Sampson e Laub come responsabili del comportamento deviante.
I due autori (Sampson e Laub) usano due tipologie di variabili, le variabili strutturali di base che
influiscono sul comportamento deviante indirettamente, e le variabili processuali che influiscono sul
comportamento deviante direttamente. Nove variabili strutturali di base e cinque variabili processuali
familiari.
La variabile dipendente della ricerca è il comportamento deviante. Attraverso l’analisi statistica dei dati e
della retta di regressione multipla, osservano come le variabili strutturali di base non incidano direttamente
sul comportamento deviante. (aspettative confermate).

2.2 Islands in the street

La ricerca di Jankowski è un esempio di osservazione partecipante, egli decide fin dall’inizio che il suo
studio deve essere comparato per capire quello che le gang hanno in comune e ciò che invece è specifico di
ognuna di esse. Sceglie di comparare gang di diverse città.
La ricerca di Jankowski è originale nel metodo, interpretativo, privo di una riflessione su tesi e letterature
precedenti ma basato sull’esperienza personale dell’autore. Egli non analizza le gang come comportamento
deviante ma come un ordine sociale alternativo a cui aderiscono i giovani delle slums proprio perché offrono
un ordine sociale che la comunità tradizionale non gli garantisce. Le gang sono definite come sistema sociale
quasi-privato e quasi-segreto, prive di burocrazia, con una leadership legittimata che perseguono gli interessi
dei membri (erogazione servizi) e della stessa organizzazione.
A questo si aggiunge il terzo elemento necessario alla sopravvivenza della gang, il sostegno della comunità
locale.
Jankowski risponde alla domanda chi entra in una gang e perché?
Le motivazioni sono sei:
a) incentivi materiali: si entra nelle gang per ricavare soldi regolari in maniera illegale;
b) divertimento: il club (gang) è un luogo di svago e passatempo;
c) rifugio e nascondiglio: la gang offre anonimato a chi ne ha bisogno (ex trafficanti illegali);
d) protezione fisica: offre protezione fisica nei sobborghi metropolitani;
e) luogo di resistenza: i membri entrano in una gang per sfuggire alla vita senza speranza dei genitori;
f) impegno comunitario: l’appartenenza ad una gang diventa tradizione familiare

Le differenze tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa possono essere meglio comprese se si esaminano
separatamente per le quattro fasi della ricerca empirica:
a) Disegno della ricerca: la differenza tra ricerca quantitativa e qualitativa sta principalmente nel
disegno strutturato e predefinito, con ipotesi logicamente dedotte dalla teoria nel primo caso, e con il
piano di lavoro interattivo della ricerca qualitativa. L’atteggiamento del ricercatore quantitativo è
neutrale rispetto all’oggetto studiato, mentre nella ricerca qualitativa si ha empatia e identificazione.
b) Rilevazione delle informazioni: la ricerca quantitativa ragiona sul campionamento e il campione
rappresenta l’universo studiato, la ricerca qualitativa non si pone problemi di standardizzazione né di
rappresentatività e preferisce la trattazione disomogenea dei casi a seconda delle situazioni;
c) Analisi dei dati: la ricerca quantitativa si fonda sull’analisi delle variabili per formare matrici di
dati, la ricerca qualitativa studia e analizza i soggetti per comprenderli.
d) Produzione dei risultati: la ricerca quantitativa produce generalizzazioni, mentre quella qualitativa
è attenta alle specificità dei propri risultati e all’analisi comparata delle rilevazioni.

Libro II. Le tecniche quantitative

Capitolo 1. Traduzione empirica della teoria

Le fasi della ricerca empirica dell’analisi quantitativa sono cinque. La prima fase riguarda la teoria,
assunto generale astratto di partenza. La seconda riguarda l’ipotesi, proposizione specifica dedotta dalla
teoria generale. La terza fase tratta la rilevazione empirica ovvero la raccolta dei dati attraverso un processo
di operativizzazione dei concetti che l’ipotesi collega.
La terza fase si divide in due sottofasi, l’operativizzazione e l’individuazione degli strumenti. La quarta fase
riguarda l’analisi dei dati raccolti. Le informazioni sono i materiali empirici che vengono raccolti durante
l’osservazione del fenomeno studiato, i dati sono le informazioni organizzate e catalogate in modo ordinato.
La quinta fase è costituita dalla presentazione dei risultati attraverso un processo di interpretazione delle
analisi statistiche fatte nella quarta fase.
Si definisce teoria come un insieme di proposizioni organicamente connesse che si pongono a un elevato
livello di astrazione e generalizzazione rispetto alla realtà empirica, le quali sono derivate da regolarità
empiriche e dalle quali possono essere derivate delle previsioni empiriche.
Si definisce ipotesi una proposizione che implica una relazione fra due o più concetti che si colloca su un
livello inferiore di astrazione e di generalità rispetto alla teoria e che permette una traduzione della teoria in
termini empiricamente controllabili.

In un processo di ricerca sociale diventa dunque evidente l’importanza di trasformare una teoria in
un’ipotesi per garantirne la controllabilità e la validità empirica. Come si attua questo processo?
A volte si ricorre alla teoria dopo aver analizzato i dati, per spiegare un fatto anomalo o un risultato
inaspettato. La rilevazione (come nel caso sopra di Sampson e Laub), può avvenire prima delle ipotesi per
ragioni di forza maggiore, questo è il caso dell’analisi secondaria.

Con il termine concetto indichiamo il contenuto semantico dei segni linguistici e delle immagini mentali. Sta
a significare (dal latino) l’azione di ordinare il molteplice sotto un unico atto di pensiero. L’ipotesi è
un’insieme di concetti che vengono correlati tra di loro. Questi diventano i “mattoni della teoria” ed è
attraverso l’operativizzazione dei concetti che si realizza la traduzione empirica della teoria generale.
Operativizzazione= trasformare i concetti in variabili empiricamente controllabili.

Per far si che i concetti diventino variabili bisogna attribuirgli la proprietà di oggetto, bisogna farli
diventare concreti. (povertà=reddito, potere=numero dipendenti ecc…). I concetti che assumono una
proprietà si chiamano unità di analisi. Queste proprietà assumono stati diversi sugli oggetti ai quali
afferiscono. Successivamente bisogna stabilire delle regole per la traduzione di un concetto in operazioni
empiriche.
Il terzo passaggio consiste poi nell’applicare le regole ai casi concreti studiati. I concetti si operativizzano e
diventano variabili analizzabili quantitativamente.
Quindi…

Concetto 🡪 Proprietà 🡪 Variabile=Analisi empirica

Le unità di analisi possono differenziarsi. Esistono unità di analisi rappresentate da individui o da dei
collettivi. Si distinguono poi unità di analisi e unità di rilevamento. L’unità di rilevamento si colloca ad un
livello inferiore rispetto all’unità di analisi. Unità di analisi possono essere gruppi, organizzazioni, eventi,
istituzioni ecc..
Si chiamano casi gli esemplari di una data unità di analisi inclusi in una determinata ricerca. L’unità di
analisi è astratta, il caso è concreto.
Un concetto una volta operativizzato prende il nome di variabile. Esse si possono distinguere in:
a) Variabili non manipolabili e manipolabili: la prima riguarda le variabili che non sono modificabili
dal ricercatore, la seconda le unità di analisi che sono controllate dal ricercatore;
b) Variabili dipendenti e indipendenti: quelle indipendenti influiscono quelle dipendenti;
c) Variabili latenti e osservate: le prime sono variabili non direttamente osservabili in quanto
rappresentano concetti molto generali o complessi;
d) Variabili individuali, collettive: tra le variabili collettive abbiamo quelle aggregate e quelle globali.

La definizione operativa comporta dunque una limitazione e un impoverimento del concetto, ma il pericolo
che essa porta con se non sta in questa ineliminabile riduttività ma nella sua reificazione.
Reificazione= da oggetto concreto a astrazione.
Il processo di operativizzazione è dunque un atto arbitrario e soggettivo che rappresenta anche il criterio di
oggettività della ricerca scientifica perché permette ad altri ricercatori di replicarla.

La classificazione precedente delle variabili rappresenta la caratteristica logico-matematica ovvero


l’insieme delle operazioni che possono essere eseguite sulle variabili (e quindi sull’analisi di dati già
rilevati). Per quanto riguarda invece la natura delle operazioni empiriche effettuate durante la rilevazione dei
dati, le variabili si classificano in nominali, ordinali e cardinali.
Variabili nominali. Quando la proprietà da registrare assume stati discreti e non ordinabili. Stati discreti,
ovvero che la proprietà può assumere una serie di stati infiniti (salta da uno stato all’altro senza passaggi
intermedi) non ordinabili.
Possiamo adoperare funzioni matematiche di disuguaglianza e uguaglianza ma non possiamo mettere in
gerarchia le variabili. Come procedura di operativizzazione si usa la classificazione. Gli elementi devono
essere esaustivi, essere caratterizzati da mutua esclusività e da divisione. Ad ogni categoria viene dato un
valore, e un nome (per quello nominali).

Variabili ordinali. La proprietà da registrare assume stati discreti ordinabili. La procedura di


operativizzazione è l’ordinamento. A differenza delle variabili nominali, dunque, le variabili ordinali non
possono essere analizzate in ordine casuale ma deve esservi presente un criterio ordinatore.
Le variabili possono essere ordinali per due motivi. O perché derivano da proprietà costituite da stati discreti
e ordinabili, o perché sono state registrate rispettando una sequenza. Possono essere effettuate operazioni di
comparazione

Variabili cardinali. Sono variabili per le quali i numeri che ne identificano le modalità non sono delle
semplici etichette ma hanno un pieno significato numerico. Si possono effettuare operazioni di somma e di
sottrazione fra i valori. Si possono effettuare due tipi di processi di operativizzazione: la misurazione e il
conteggio.
Si effettua la misurazione quando la proprietà misurata è continua e le variabili possiedono un’unità di
misura prestabilita.
Si effettua il conteggio quando la proprietà da registrare è discreta ed esiste un’unità di conto elementare
ripetuta più volte nella proprietà dell’oggetto.

Scaling. Le variabili cardinali possono essere dunque ottenute mediante misurazione o conteggio. Le prime
sono le più comuni nella ricerca sociale. Ma come si operativizzano la religiosità all’orientamento politico,
all’autoritarismo, alla depressione, alla coesione sociale ecc? Come si trasformano le opinioni, gli
atteggiamenti e i valori in variabili? Attraverso lo scaling.
Esempi di tecniche di scaling sono i termometri dei sentimenti (da sinistra a destra) per gli orientamenti
politici. L’obiettivo è quello di avvicinarsi a delle misurazioni nelle quali la distanza fra due valori sia nota.

Indicatori. Pe dare una definizione operativa di un concetto si utilizzano gli indicatori. Sono concetti
specifici traducibili in termini osservabili. Proprio perché specifici, sono in grado di cogliere solo un aspetto
della complessità di un concetto generale. Risulta dunque la necessità di ricorrere a più indicatori per rilevare
operativamente lo stesso concetto.
Un indicatore poi può essere connesso a più concetti. Marradi parla di parte indicante e parte estranea. La
traduzione empirica di un concetto non direttamente osservabile passa dunque al vaglio di cinque fasi:
a) Articolazione del concetto in dimensioni
b) Scelta degli indicatori
c) Operativizzazione indicatori
d) Formazione indici

Nel processo che conduce dai concetti alle variabili, si possono compiere diversi tipi di errore, e tali errori
rappresentano lo scarto fra concetto e variabile. Tali errori possono essere sistematici o casuali. Il valore vero
di un concetto è quello non osservato e non osservabile.
Si può dire:
Valore osservato= valore vero+ errore sistematico+ errore accidentale
Errore= valore osservato-valore vero= errore sistematico + errore accidentale

L’errore sistematico è un errore costante che si presenta in tutte le rilevazioni. L’errore accidentale è
variabile da rilevazione a rilevazione. L’errore può comparire nelle fasi di indicazione e operativizzazione.
Nella prima fase si tratta di errori sistematici, in questo caso l’indicatore copre malamente il concetto e
quindi abbiamo un difetto nel rapporto di indicazione.
L’errore compiuto nella fase di operativizzazione può essere sistematico o accidentale. In particolare nelle
fasi di selezione, rilevazione e trattamento dei dati.
a) Selezione: l’errore è sistematico e di copertura;
b) Errore di rilevazione che può derivare dall’intervistatore, dall’intervistato, dagli strumenti e dal
modo di somministrazione dell’intervista;
c) Errore nel trattamento dei dati nella codifica, trascrizione, memorizzazione, supporto informatico di
elaborazione ecc….

L’attendibilità ha a che fare con la riproducibilità del risultato e segnala il grado con il quale una certa
procedura di traduzione di un concetto in variabile produce gli stessi risultati in prove ripetute con lo stesso
strumento di rilevazione oppure con strumenti equivalenti.

La prima forma di attendibilità studiata è la stabilità temporale. Attraverso la tecnica del test retest permette
di controllare le accidentalità che variano da momento a momento della somministrazione.
Per sopperire ai limiti della stabilità temporale si fa riferimento alle tecniche dell’equivalenza:
a) Suddivisione a metà: l’attendibilità è data dalla correlazione fra due metà dello stesso test;
b) Forme equivalenti (parallel forms): due test sono detti paralleli quando si presuppone misurino lo
stesso valore vero sottostante differendo soltanto per l’errore casuale.
c) Coerenza interna: gli errori non solo possono comparire tra test e test ma anche tra le stesse
domande; le misure di coerenza interna (alfa di Cronbach) stimano la correlazione delle risposte a
ogni domanda con le risposte a tutte le domande;

La validità fa invece riferimento al grado con il quale una certa procedura di traduzione di un concetto in
variabile effettivamente rileva il concetto che si intende rilevare.

Data la difficoltà nel validare una ricerca scientifica, sono state proposte diverse tecniche di convalida
corrispondenti a diversi tipi di validità (sempre dalle ricerche psicometriche):
a) Validità del contenuto: indica il fatto che l’indicatore o gli indicatori prescelti per un certo concetto
coprano effettivamente l’intero dominio di significato del concetto. Si può convalidare logicamente
scomponendo analiticamente il concetto studiato;
b) Validità per criterio: non riguarda la corrispondenza interna tra indicatore e concetto ma tra
indicatore e criterio esterno. Il criterio può essere rappresentato da un indicatore già accettato come
valido o da un fatto oggettivo di carattere comportamentale;
La validità per criterio si può distinguere in:
a) Validità predittiva: correlare un dato dell’indicatore con un evento ad esso logicamente successivo;
b) Validità concomitante: l’indicatore è correlato con un altro indicatore rilevato nello stesso
momento temporale;
La validità concomitante può essere poi validità per gruppi noti: l’indicatore viene applicato a soggetti dei
quali sia nota la posizione sulla proprietà da rilevare.

I manuali di psicometria riportano un terzo tipo di validità. La validità di costrutto, un misto tra validità del
contenuto e di criterio. Si intende la rispondenza di un indicatore alle attese teoriche (contenuto) in termini di
relazioni con altre variabili (criterio).

Capitolo 3-4. L’inchiesta campionaria

L’interrogazione è la via obbligata per esplorare motivazioni, atteggiamenti, credenze, sentimenti,


percezioni, aspettative. Quest’operazione si chiama “rilevare informazioni interrogando”.
Per inchiesta campionaria (survey) intendiamo un modo di rilevare informazioni interrogando gli stessi
individui oggetto della ricerca appartenenti ad un campione rappresentativo, mediante una procedura
standardizzata di interrogazione allo scopo di studiare le relazioni esistenti tra le variabili.
Per poter analizzare i dati è necessario che le domande e le risposte siano standardizzate. A differenza del
sondaggio (indagine esplorativa), l’inchiesta campionaria va oltre la realtà sociale interrogata cercando di
raggiungerne le origini e i meccanismi causali.
Si distingue dal sondaggio per l’esistenza di un’ampia problematica teorica e per l’ampiezza dei temi toccati.
Bisogna inoltre distinguere tra inchiesta campionaria e qualitativa.
Combinando, infatti, le caratteristiche delle domande e delle risposte (libere o standardizzate) si ottengono
tre tipologie di rilevazione per interrogazione:
a) Questionario (quantitativa), domanda e risposta standardizzate; (analizzato nel cap.3)
b) Intervista strutturata (qualitativa), domanda standardizzata e risposta libera;
c) Intervista libera (qualitativa), domanda e risposta libere;

Il ricercatore, quando decide di adottare l’inchiesta campionaria, si trova di fronte a problemi di natura
ontologica, epistemologica e metodologica secondo la dicotomia degli approcci.
Approccio oggettivista vs costruttivista. Oggettivismo abbiamo visto vi è una separazione tra il ricercatore
e la realtà sociale studiata; costruttivista il contrario.
Nell’inchiesta campionaria il dilemma apre la questione sul rapporto tra intervistato e intervistatore.
Nell’approccio oggettivista il rapporto deve essere completamente spersonalizzato. In merito sono stati
elaborati codici di comportamento ai quali l’intervistatore deve attenersi. L’intervistatore non deve essere
freddo e distaccato, ma non deve neanche risultare familiare all’intervistato.
Il rapporto conoscitivo, tuttavia, non può basarsi sull’osservazione oggettiva (critica di Gilli). L’oggetto
studiato cambia quando interagisce con l’intervistatore. L’intervistatore partecipa direttamente alla
produzione della risposta dell’oggetto studiato. (misto costruttivismo oggettivismo)

Approccio uniformista vs individualista. Il secondo dilemma mette a confronto le posizioni uniformista e


individualista. Esistono delle uniformità empiriche e delle regolarità dei fenomeni sociali (uniformista)
che possono essere classificate e standardizzate. La prospettiva individualista sottolinea l’ineliminabile
rilevanza delle differenze interindividuali.
Questo problema si traduce nella difficoltà di standardizzazione dello strumento di rilevazione. Secondo i
critici i limiti del questionario è la standardizzazione, esso considera tutti i destinatari dotati di eguale
sensibilità, prontezza e maturità e ignora la caratteristica diseguale della società. Secondo Gilli, il
questionario livella sul livello dell’uomo medio ogni strato di realtà sociale particolare.
Bisogna trovare un minimo comune determinatore. Lo strumento deve diventare neutrale. Le risposte
vengono ritenute comparabili per il motivo che gli intervistati sono stati sottoposti tutti alle stesse domande e
in situazioni uniformi. (invarianza dello stimolo)

E’ il comportamento verbale un’affidabile fonte di esplorazione della realtà sociale? (par 3)

Si analizzano tre questioni di fondo, la desiderabilità sociale, la mancanza di opinioni e l’intensità delle
opinioni espresse.

Desiderabilità sociale. È la valutazione, socialmente condivisa, che in una certa cultura viene data a un certo
atteggiamento o comportamento individuale. Se un atteggiamento è fortemente connotato in senso positivo o
negativo in una certa cultura, una domanda che abbia questo come oggetto può dare luogo a risposte
fortemente distorte. Il soggetto intervistato teme di essere giudicato ed egli attribuisce a se stesso il
comportamento che collettivamente è ritenuto migliore.
Mancanza di opinioni. Capita spesso che l’intervistato, interrogato su un tema che non conosce o sul quale
non si è fatto un’opinione, risponda a caso per evitare di confessare di non avere un’opinione in merito.
Intensità.

Struttura delle domande. Le domande possono essere classificate in base al loro contenuto, in tre classi, a
seconda che riguardino le proprietà sociografiche di base, atteggiamenti e comportamenti. Con riferimento
alla loro forma possiamo distinguere fra domande aperte e domande chiuse.
Il modo col quale una domanda è formulata può fortemente influenzare la risposta. Per evitare errori nella
loro formulazione viene proposta una serie di suggerimenti relativi al linguaggio, sintassi, sequenza,
contenuto, focalizzazione nel tempo, numero alternative di risposta, modi di affrontare i problemi della
desiderabilità sociale e della mancanza di opinione.
Talvolta delle domande dal contenuto abbastanza simile vengono formulate nello stesso modo e presentate in
blocco all’intervistato. In questo modo si risparmia tempo e spazio, si rende più agevole all’intervistato la
comprensione del meccanismo di risposta, si migliora la validità delle risposte e si facilita la costruzione di
indici di sintesi delle domande appartenenti alla batteria.

La raccolta delle informazioni è preceduta dalle seguenti operazioni: interviste esplorative preliminari, pre-
test di collaudo del questionario, preparazione degli intervistatori e contatto con le persone da intervistare.

….cap 4…..

Al ricercatore sociale si presentavano, pochi anni fa, tre modi fondamentali di somministrare un
questionario: l’intervista faccia a faccia, l’intervista telefonica e il questionario autocompilato. A questi si
aggiunge il questionario telematico che presenta tutta una sua serie di specificità.
L’intervista faccia a faccia ha rappresentato lo strumento di rilevazione principale per i primi decenni della
ricerca sociale, ma oggi è poco utilizzata nelle ricerche di larga scala per i suoi costi proibitivi. L’intervista
telefonica riduce i tempi e i costi di rilevazione, ma oggi presenta il grave problema che i suoi campioni non
sono rappresentativi per la diffusione dei cellulari. L’intervista telematica presenta il vantaggio dei costi
ridottissimi ma gli svantaggi del campione limitato a utenti di internet e della autoselezione dei partecipanti.
Una via d’uscita può essere rappresentata dai sistemi misti di rilevazione che combinano i diversi modi,
passando in successione da quelli più semplici a quelli più costosi col crescere delle difficoltà di
raggiungimento dei soggetti.

Gli studi diacronici sono quelli che si prolungano nel tempo, avendo per obiettivo lo studio del
cambiamento sociale. Vengono realizzati in maniera più semplice replicando nel tempo la stessa rilevazione
su campioni diversi di individui; oppure in maniera più complessa replicando anche in questo caso la
rilevazione, ma sugli stessi soggetti.
Gli studi del primo genere sono studi trasversali, i secondi studi longitudinali.
Si chiamano inchieste trasversali in quanto realizzano una sezione trasversale della popolazione studiata in
un dato momento. Ognuna di queste è una fotografia statica e istantanea della popolazione.
Le più famose inchieste trasversali sono quelle nazionali dei National election studies post elezioni.
Nel 1940 Lazarsfeld studiò lo stesso campione della popolazione dell’Ohio per verificare l’influenza della
propaganda elettorale per sei mesi consecutivi. Nasce l’inchiesta longitudinale (chiamata in inglese panel).
Questa comporta vari rischi tra cui l’alta mortalità del campione sottoposto alla ricerca, la breve durata e
l’influenza delle precedenti rilevazioni.

L’analisi secondaria consiste in una nuova analisi dei dati di un’inchiesta campionaria già precedentemente
effettuata. Si distingue dall’analisi primaria (analisi originale dei dati di una ricerca) e dalla meta-analisi
(analisi dei risultati di molteplici ricerche).

La qualità e la completezza della ricerca bibliografica condiziona la rilevanza dei risultati empirici. La
ricerca bibliografica è oggi facilitata dalla diffusione di banche dati bibliografiche e dagli abbonamenti
online alle riviste specializzate. Il processo di internazionalizzazione della ricerca e lo sviluppo
dell’informatica hanno portato allo sviluppo di istituzioni preposte all’archiviazione e distribuzione di file di
dati finalizzati all’analisi secondaria.

Capitolo 5. La tecnica delle scale (non frequentanti)

Col termine tecnica delle scale indichiamo una serie di procedure messe a punto dai ricercatori sociali per
operativizzare concetti complessi. Una scala è un insieme coerente di elementi che sono considerati come
indicatori di un unico concetto più generale. L’elemento è il singolo componente; la scala è l’insieme degli
elementi. In sociologia e in psicologia sociale l’applicazione più comune delle scale è rappresentata dalle
cosiddette scale di atteggiamenti. La tecnica delle scale produce delle variabili quasi cardinali, nel senso che
esse presentano proprietà assai prossime a quelle delle variabili cardinali.
In una domanda chiusa con risposte ordinate, le categorie di risposta possono essere: semanticamente
autonome, oppure possono presentare una parziale autonomia semantica, oppure ancora possono essere del
tipo delle scale autoancoranti. Nei primi due casi vengono generate delle variabili ordinali; nel terzo una
variabile quasi-cardinale.
Quando le risposte sono semanticamente autonome vuol dire che ognuna ha un suo intrinseco significato
compiuto che non necessita di essere messo in relazione con il significato di altre risposte.

La denominazione scala di Likert copre un’ampia varietà di scale, dette additive in quanto il punteggio
della scala deriva dalla somma dei punteggi dei singoli elementi dai quali la scala è composta. La
costruzione di una scala di Likert si compone di quattro fasi: formulazione delle domande, somministrazione,
analisi e verifica del grado di coerenza interno. Il grado di coerenza può essere espresso mediante un valore
(alfa) misurato secondo la formula dell’alfa di Cronbach:

Dove k è il numero degli elementi della scala e r la loro correlazione media. Perché una scala sia accettabile
alfa deve risultare almeno 0.70 (valore sempre compreso tra 0 e 1).

Lo scalogramma di Guttman è una scala cumulativa. È cumulativa nel senso che è costituita da elementi
di difficoltà crescente e si presume che il soggetto che dà una risposta affermativa a una certa domanda abbia
dato risposta affermativa a tutte le domande che la precedono. La scalabilità di una domanda viene misurata
dal coefficiente di riproducibilità:

Le fasi dello scalogramma di Guttman sono le stesse delle scale di Likert con qualche piccola differenza:
a) Nella fase di formulazione le risposte in Guttman devono avere la forma binaria (0-1);
b) Nella fase di somministrazione si ha dunque una velocità maggiore di compilazione;
c) Nella fase di analisi viene valutata la scalabilità (non la coerenza interna) attraverso la formula
soprastante;

Il differenziale semantico di Osgood è stato concepito per indagare il significato dei concetti, passando
non attraverso la descrizione soggettiva data dagli intervistati, ma attraverso le associazioni fra questi
concerti e altri presentati in maniera standardizzata. Attraverso questa tecnica Osgood (dio porco)
individuò tre fondamentali dimensioni (aggettivi) che sottostanno ai giudizi sui concetti: valutazione,
potenza, attività.

Capitolo 6. Le fonti statistiche ufficiali (non frequentanti)

Il primo importante studio basato sulle statistiche ufficiali fu quello di Emile Durkheim Le Suicide,
condotto alla fine del XIX secolo. Sulla base dei tassi di suicidio nelle varie nazioni europee Durkheim
riuscì a corroborare empiricamente la sua complessa teoria sull’integrazione sociale, teoria che risulta tuttora
valida e stimolante.

Le statistiche ufficiali tradizionali differiscono dagli altri dati normalmente utilizzati nella ricerca sociale per
quattro aspetti:
a) La produzione: le statistiche sono raccolte dalla pa e prodotte da normali procedure amministrative;
b) Le unità di analisi: non sono rappresentate da individui ma da aggregati territoriali di individui (si
parla di dati aggregati);
c) Il contenuto: consiste nella registrazione di eventi o fatti per cui gli atteggiamenti, le opinioni e le
motivazioni sono di norma escluse;
d) L’ampiezza delle rilevazioni: fanno riferimento all’intera popolazione e non ad un suo campione
Fra le caratteristiche determinanti le fonti statistiche vanno annoverati il fatto che esse sono prodotte da
organismi pubblici e che si riferiscono ad aggregati territoriali (comuni, province, regioni, stati…)
La rivoluzione informatica ha fortemente modificato la forma attraverso la quale l’Istat diffonde i suoi dati,
spostando il canale di comunicazione dai volumi cartacei agli archivi informatizzati interrogabili online.
All’utente si offre l’opportunità di comporre tabelle e grafici personalizzati, agendo sulle variabili, i periodi
di riferimento e la base territoriale. C’è anche la possibilità di accedere ai microdati, cioè dati sugli individui
quando l’indagine è stata condotta mediante interrogazione individuale (censimenti).

Le statistiche ufficiali italiane prodotte dall’Istat vengono brevemente descritte dopo averle classificate a
seconda del loro contenuto in: statistiche generali, popolazione, giustizia, sanità, assistenza e previdenza,
giustizia, istruzione e cultura, lavoro, consumi, reddito e benessere, elezioni.
Il Sistema di indagini sociali multiscopo dell’Istat ha lo scopo di raccogliere informazioni su quegli aspetti
della società che non sono documentati dalle tradizionali statistiche di fonte amministrativa. I dati sono
raccolti a livello individuale. Per cui si possono non solo misurare fenomeni sociali, ma anche effettuare
correlazioni fra le variabili.

Libro III. Tecniche di ricerca qualitativa

Capitolo 1. I modi della ricerca sociale (non frequentanti)

1. I modi della ricerca sociale: osservazione, esperimento, simulazione


La ricerca sociale è una ricerca scientifica condotta e realizzata nel dominio delle scienze sociali
Possiamo distinguere la ricerca empirica, che produce le sue teorie e le verifica facendo esperienza del
proprio oggetto, e la ricerca teorica, che produce le proprie teorie spaziando, però, tra i risultati della ricerca
empirica e lo sviluppo autonomo di modelli e ipotesi. La distinzione che viene fatta tra ricerca empirica e la
ricerca teorica, serve solo a distinguerle e, quindi, ad analizzarle dato che, nella realtà, poggiano l’una
sull’altra.
Ricolfi definisce la ricerca empirica come una successione di operazioni per produrre risposte a domande
sulla realtà. Questa definizione, da un lato, estende gli interrogativi che possono aiutare l’attività cognitiva
del domandarsi, del ragionare, dunque, domande e non solo ipotesi; dall’altro, delimita gli obiettivi
epistemici cui la ricerca empirica può aspirare.
Lo scopo dell’attività scientifica è quello di rispondere agli interrogativi sulla realtà.

Le fasi che costituiscono la ricerca empirica sono:

• Progettazione dello studio

• Costruzione della documentazione empirica


• Analisi dei materiali empirici
• Comunicazione dei risultati
Queste fasi, nella ricerca quantitativa hanno una relazione lineare, mentre, nella ricerca qualitativa sono
legate da una relazione circolare.
La ricerca sociale ricorre a tre procedure empiriche:

• Osservazione: il ricercatore fa esperienza dell’oggetto di ricerca attraverso l’ascolto e producendo i


fenomeni di cui vuole fare esperienza. L’esperienza del ricercatore viene oggettivata nel documento che
racchiude tutti i dati dell’osservazione, il questionario, le interviste; questo documento verrà, poi,
sottoposto ad analisi. L’osservazione basata sull’ascolto è importante per la ricerca sociale, in quanto, la
documentazione empirica è prodotta facendo uso di interviste discorsive o strutturate.

• Esperimento: è lo strumento per il controllo delle ipotesi causali; è un procedimento che richiede:
1. Variazione contemporanea di variabile indipendente (causa) e variabile dipendente (effetto);
2. Controllo delle variabili terze, cioè accertare che la relazione causa-effetto non sia influenzata da altre
variabili.

Queste variabili sono soddisfatte con il modello sperimentale classico, come hanno dimostrato Liebert e
Baron, che hanno condotto uno studio su di un gruppo di bambini; i due studiosi volevano controllare
l’ipotesi di una relazione causale tra esposizione a programmi televisivi violenti e adozione di comportamenti
aggressivi.
Nello studio di questi due psicologi, la variabile indipendente è la presenza di scene violente nelle
trasmissioni televisive, i ricercatori, infatti, espongono alcuni bambini a questo tipo di trasmissione
televisiva, questi bambini costituiscono il gruppo sperimentale, mentre gli altri bambini che guardano
trasmissioni sportive, costituiscono il gruppo di controllo.
I due psicologi ipotizzano che, la relazione tra esposizione a una “cattiva televisione” e l’adozione di
comportamenti aggressivi, possa essere influenzata da diversi fattori, come l’età, il genere e l’appartenenza
sociale di ogni bambino; per tenere sotto controllo questi fattori, chiamati variabili terze, i ricercatori si
assicurarono che la loro presenza all’interno dell’osservazione fosse quanto più possibile prossima nei due
gruppi di bambini. Ciascun gruppo fu costituito con la medesima proporzione di maschi e di femmine, di
bimbi piccoli e meno piccoli, di bimbi provenienti dai diversi ceti sociali considerati nello studio ripartiti nei
due gruppi attraverso una procedura chiamata “randomizzazione”. Liebert e Baron misero a punto delle
procedure che avevano lo scopo di individuare i cambiamenti nella propensione dei bambini ad assumere
comportamenti aggressivi. Confrontando il livello di aggressività rilevato nel gruppo sperimentale e il livello
di aggressività rilevato nel gruppo di controllo i ricercatori conclusero che la loro ipotesi causale risultava
rinforzata: l’esposizione ad una cattiva televisione accresce l’aggressività dei bambini.
Lo strumento dell’esperimento, però, in molti ambiti della ricerca sociale risulta inapplicabile, o per ragioni
pratiche, o per ragioni etiche, spesso per ragioni metodologiche: l’artificialità che l’esperimento introduce
nello studio dei fenomeni sociali può compromettere sensibilmente i risultati cui giunge.
Si ritiene sia meglio condurre l’esperimento sul campo, utilizzato spesso per la ricerca valutativa, quindi per
la valutazione, ed è comune indicare questi esperimenti con gli appellativi di “quasiesperimento” e,
distinguiamo il “quasi-esperimento sul campo”, in cui il ricercatore manipola la variabile indipendente
(trattamento) ma non ha pieno controllo delle variabili terze, e il “quasiesperimenti naturale”, in cui viene
meno il controllo sulle variabili terze e la manipolazione della variabile indipendente.
L’esperimento è uno strumento che viene applicato nella ricerca quantitativa, valorizzando al meglio le sue
caratteristiche; viene anche applicato nella ricerca qualitativa come il quasiesperimento sul campo spesso
utilizzato da Garfinkel (esperimenti di violazione) esperimenti che rovesciano il normale atteggiamento
analitico delle scienze sociale. Gli esperimenti di Garfinkel avevano l’obiettivo di mostrare gli argomenti che
fanno da sfondo all’interazione sociale. Per arrivare a tale obiettivo, mise in scena degli atteggiamenti che
violavano le regole dell’interazione sociale: violando una regola tacita, la si rende visibile.
Esperimento metodologico di La Piere.
Negli anni ’30 La Piere ospitò uno studente cinese e sua moglie; erano gli anni della guerra fredda e negli
Stati Uniti vi era una profonda ostilità nei confronti delle persone che vivano in un paese comunista. La Piere
sfruttò questa situazione per condurre uno studio sul rapporto tra pregiudizio e discriminazione sociale. Ogni
volta che, con i due amici, si recava in un albergo o in un ristorante, mandava la coppia a prenotare una
stanza o un tavolo.
Vennero serviti in 184 locali e non ricevettero un trattamento discriminatorio; invece, su 251 strutture
alberghiere e ristoranti solo 1 rifiutò l’ospitalità alla coppia cinese.
Dopo sei mesi La Piere inviò ai titolari delle strutture un questionario con la domanda “Accetteresti individui
di razza cinese come ospiti nella tua azienda?” e in 118 risposero “No” alla domanda; La Piere trasse la
convinzione dell’assenza di un rapporto causale tra atteggiamenti e comportamenti
(tra pregiudizio e discriminazione); il risultato è lo scostamento tra il dire e il fare che va in una direzione
controintuitiva: le persone agiscono meglio di quanto dichiarano.
Il campione di questi questionari non è rappresentativo della popolazione delle aziende visitate.
Studio dei processi di etichettamento dei malati mentali di Rosenham.
Rosenham era convinto che le categorie sociali di salute e malattia mentale poggiassero solo in misura ridotta
su dati obbiettivi e che l’attribuzione a un individuo dello status di malato fosse più una costruzione sociale.
Si chiede se nella definizione della diagnosi di un malato mentale contino di più il contesto o le
caratteristiche dei pazienti. Otto collaboratori di Rosenham chiesero di farsi ricoverare rivolgendosi ad alcuni
ospedali in cinque città degli Stati Uniti; gli pseudo pazienti si recavano all’accettazione lamentando di
“sentire le voci”. Gli otto vennero tutti ricoverati e nonostante avessero immediatamente interrotto la messa
in scena si vennero trattenuti a lungo per essere poi dimessi.
Rosenham allora progettò una controprova: comunicò all’equipe medica di un ospedale che conosceva la
ricerca di Rosenham e che riteneva impossibile che questi errori potessero accadere tra le sue mura “che nei
successivi 3 mesi uno o più pseudo pazienti avrebbero tentato di essere ammessi” lo disse ma non lo fece. In
quel periodo su 193 pazienti 41 vennero dichiarati simulatori.
La natura del legame tra questi due esperimenti e il disegno sperimentale e che in entrambi gli studi il
ricercatore esercita una manipolazione selettiva della variabile indipendente.
Nell’esperimento di La Piere i soggetti furono sottoposti ad due trattamenti: nel primo caso a variabile
indipendente manipolata era costituita dall’interazione con una coppia di cinesi; nel secondo caso
l’esposizione a uno stimolo verbale con le domande del questionario.
Anche lo studio di Rosenham prevede la manipolazione di due variabili indipendenti a due diverse
popolazione.
La Piere sottopone ad due diversi trattamenti lo stesso gruppo sperimentale mentre Rosenham ricorda due
gruppi sperimentali. In entrambi i casi il controllo delle variabili terze è nullo perché i ricercatori si limitano
a prendere nota dei fattori che intervengono a modellare il setting dei loro esperimenti. Questo si coglie
nell’assenza di un gruppo di controllo.

1.2.Simulazione
Nella simulazione, i ricercatori osservano o sottopongono a un trattamento una copia dell’oggetto riprodotta
al computer. Con la simulazione il ricercatore non osserverà il soggetto, ma degli “agenti” che riprodurranno
in digitale i processi mentali dei soggetti. Questi agenti hanno un patrimonio d’informazioni dell’ambiente in
cui dovranno muoversi e sono corredati di “script” procedurali (se-allora) attraverso i quali si darà il via
all’azione.
Gli script e le informazioni sull’ambiente possono essere estratti dalla descrizione di un caso reale;
informazioni e script possono variare durante la simulazione e il ricercatore avrà la possibilità di osservare
l’effetto delle scelte operate dagli agenti.
La simulazione può dare un contributo alla costruzione di una rappresentazione dei fenomeni sociali più
accurata in due modi:

• Permettendo l’articolazione di modelli teorici concepiti per rappresentare i fenomeni sociali;


• rendendo possibile controllare la coerenza dei modelli. La coerenza è il requisito più importante per la
descrizione dei fenomeni sociali, rappresentazione che la comunità scientifica può ritenere adeguata.

La rappresentazione di un fenomeno sociale può contenere due o più asserti che sono riferiti allo stesso
oggetto e che qualificano questo stesso oggetto in diversi modi. La simulazione permette il controllo di
coerenza e modelli per non fare “inceppare” il programma.
Uno di questi due asserti è la coerenza interna di una rappresentazione che finirà con l’essere considerata
adottabile dalla popolazione.
L’osservazione sociale sulle interazioni sociali condotta su persone reali, sarebbe onerosa. L’alternativa, fatta
di interviste individuali, non evidenza l’interazione bensì rende disponibili informazioni sulla
rappresentazione che ogni individuo si è fatto dell’interazione e che pensa sia opportuno riferire
all’intervistatore.
La seconda asserzione è rappresentata dalla possibilità di raffigurare i processi sociali e di elaborare modelli
dinamici. La simulazione al computer risolve il problema della staticità (X è causa di Y; il principio implica
che il cambiamento di X sarà seguito dal cambiamento di Y. Il processo del cambiamento del tempo, non è il
focus della teoria). La simulazione deve specificare cosa influenza cosa in vari momenti nel tempo; deve
dirigere l’attenzione verso il modo in cui opera quel processo.
Interazione e processo permettono di accedere a una classe di fenomeni sociali la cui spiegazione, per
Popper, costituisce il compito principale delle scienze sociali, mentre gli effetti perversi, costituiscono il
cuore della sociologia di Boudon, che crea una classe di “effetti individuali o collettivi” che sono il risultato
di una fusione di comportamenti individuali che non sono stati inclusi negli obiettivi perseguiti dagli attori.
Gli effetti di Boudon possono essere:

• Non desiderabili anche se desiderabili


• Non desiderati e indesiderabili
Gli effetti perversi costituiscono un caso speciale per ciò che, nella simulazione, viene chiamata
“emergenza”. A Boudon si deve un importante contributo sugli effetti perversi della democratizzazione del
sistema educativo.
La simulazione permette di effettuare esperimenti sociali, anche quelli che vanno contro l’etica, conservando
la propria innocenza morale. È inoltre, possibile, condurre esperimenti e, in questo ambito, vi sono delle
procedure di controllo dei “condizionali contro-fattuali”, asserti condizionali che definiscono le conseguenze
di un’antecedente che non si è dato. Pag 46
Sempre con la simulazione, è possibile condurre esperimenti nel presente o proiettati nel futuro. I vantaggi di
questo esperimento si vedono negli esperimenti con un elevato numero di agenti, che vengono disegnati
pensando al caso di un perfetto isolamento tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo, e pensando al caso
di qualche forma specifica di contaminazione reciproca.
Ricorrere alla simulazione implica la costruzione di un modello del fenomeno sociale che si sta studiando;
questa operazione si chiama modelling e implica la scelta dei tratti dell’oggetto d raffigurare e una sua
semplificazione radicale, in modo da delimitare la portata delle conclusioni fatte con la simulazione. Il
ricercatore, nel costruire il proprio modello deve rendere espliciti alcuni assunti ontologici che guidano la sua
ricerca e a dire cos’e per lui l’attore sociale.
Le rappresentazioni dei fenomeni sociali messe a punto con tecniche di ricerca qualitativa sono espresse in
modo discorsivo o in narrazioni o in “teorie puramente verbali”. La traduzione di queste rappresentazioni
permette di controllare la coerenza delle conclusioni e permette una loro ulteriore articolazione. La
simulazione da l’opportunità di contribuire all’arricchimento dei contributi teorici elaborati con le tecniche di
ricerca qualitativa.

1.3.Distinguere i modi della ricerca sociale


Una volta definiti esperimento, osservazione e simulazione, è possibile individuare i criteri che permettono la
distinzione tra essi.
L’assenza di una manipolazione selettiva è controllata dalle variabili rilevanti consente di separare
l’esperimento da una osservazione. A seconda dell’oggetto delle procedure scientifiche, oggetto in corpore
vili o oggetto in vitro, distinguiamo due accezioni: osservazioni ed esperimento.
Se la scelta ricadrà sull’oggetto in corpore vili avremo l’esperimento in senso proprio, condotto su oggetti
reali. Se, invece, la scelta ricadrà su oggetti in vitro si avrà la sperimentazione numerica o analogica,
condotta su oggetti informatici costruiti e manipolati con la simulazione.
A questo corrisponde la distinzione tra osservazione in senso proprio e l’osservazione analogica.

2. L’osservazione: una tassonomia delle tecniche di costruzione della documentazione empirica


(non frequentanti)
L’osservazione è la procedura più diffusa nelle scienze sociali per la costruzione della documentazione
empirica mentre l’utilizzo dell’esperimento come strumento della ricerca sociale viene inibito da diverse
ragioni di tipo etico, pratico ed epistemico.
Poiché la simulazione produce teoria, a dispetto della documentazione empirica, essa ha permesso lo
sviluppo delle tecniche di osservazione all’interno di molte discipline, così come la loro differenziazione.
È possibile tracciare in molti modi la mappa dei metodi. Quelli più promettenti si basano sulla
considerazione delle fasi di ricerca in cui si mostrano chiaramente le specificità di ogni tecnica: costruzione
della documentazione empirica e l’analisi.
Classificare le tecniche di osservazione, in base alle specificità relative alla fase della documentazione
empirica, conduce a risultati divergenti rispetto a quelli ottenuti dal piano dell’analisi. La classificazione
delle tecniche osservative si sviluppa, dunque, concentrando l’attenzione sulle procedure di costruzione della
documentazione empirica, trascurando le caratteristiche di ogni tecnica nella fase di analisi.
La ricerca cognitiva sarà qui privilegiata rispetto quella operativa (mossa da interessi pratici, produzione di
conoscenza per soddisfare un bisogno ad esempio ricerca-azione, ricerca-azione partecipata, approccio
clinico, ricerca valutativa). Essa è priva di interessi pratici, è mossa dagli interessi descrittivi. Tutto ciò
deriva dallo scopo di delineare una mappa delle principali tecniche di ricerca qualitativa.
La prima distinzione rilevante pone:

• L’osservazione di comportamenti, che si applicano all’azione di individui e gruppi;

• L’osservazione dei prodotti di comportamenti, contenuti in un documento.


Questa distinzione corrisponde a quella che Duverger fa tra:

• Osservazione documentale, cui assegna le procedure osservative che si applicano su di un insieme di


documenti;

• Osservazione diretta, cui assegna le procedure osservative (osservazione estensiva e osservazione


intensiva) e le procedure che eleggono a unità di osservazione o da individui singoli, o da individui in
gruppo.

Con le due proposte di classificazione si ottiene una tassonomia, una forma di classificazione basata su due o
più criteri di classificazione. Possiamo distinguere tre classi di oggetto: individui, collettivi/gruppi,
documenti naturali.
L’espressione documenti naturali ha come oggetto di osservazione solo documenti prodotti da individui o
gruppi con scopi diversi dalla ricerca scientifica. All’insieme dei documenti naturali appartengono anche
documenti con un carattere più formale come gli atti giudiziali, amministrativo o statistico. I documenti
naturali sono divisi in:

• Documenti segnici, cioè testi scritti, documenti conici, documenti audiovisivi, ipertesti e i documenti
che combinano scritti, i conici e audiovisivi, ma anche documenti di tipo amministrativo;

• Documenti non segnici, cioè i manufatti costitutivi della cultura materiale di una società.
Nell’osservazione documentaria si pone attenzione al linguaggio delle cose, per cogliere le forme di
rappresentazione dell’agire e le tracce dell’agire. Le diverse tecniche vanno distinte considerando il livello di
strutturazione dello schema di rilevazione impiegato, e le condizioni in cui l’osservazione viene condotta,
insieme alla natura della relazione osservativa.

2.1.Tecniche per l’osservazione di individui


Le tecniche per l’osservazione di individui hanno a capo le forme di intervista impiegate nella ricerca
sociale. Il registro adottato considera le procedure di costruzione della documentazione empirica; la
distinzione più rilevante tra le tecniche di intervista può essere colta considerando la forma assunta dalla
comunicazione tra intervistatore e intervistato e la forma della relazione osservativa.
Possiamo distinguere:

• Intervista strutturata;
• Intervista discorsiva, suddivisa in: intervista guidata (semi-struttura) e intervista libera (non strutturata).

Nell’intervista strutturata l’interazione tra intervistatore e intervistato è governata dal questionario (strumento
osservativo). L’intervistatore deve però formula le domande, mentre le risposte vengono formulate in modo
non rigido dall’intervistato. L’intervistatore è obbligato a porgere a ogni caso in studio le stesse domande,
ma in base alle esigenze può cambiarne l’ordine.
Nell’intervista libera la relazione tra intervistatore e intervistato diventa come una conversazione ordinaria;
l’intervistatore pone dei temi all’intervistato per poi lasciarlo libero di sviluppare il tema. L’intervistatore
assume un ruolo di ascoltatore e le domande hanno una funzione maieutica per l’intervistato.
L’intervista discorsiva è condotta con due finalità:

• sollecitare una narrazione da parte dell’intervistato (un’intervista narrativa/biografica);

• raccogliere informazioni su valori, rappresentazione sociali, profilo di personalità degli intervistati


(un’intervista tematica).

Le procedure di osservazione prevedono che l’intervistato risponda alle domande attraverso un esercizio di
auto-osservazione e svolga i compiti cognitivi senza l’aiuto dell’intervistatore.
Si rinuncia all’intervistatore per contenere i costi di raccolta della documentazione empirica, ciò comporta
una diminuzione della qualità della documentazione poiché solo alcuni individui sono in grado di svolgere
correttamente i compiti cognitivi che gli vengono assegnati. Di conseguenza bisogna pensare a queste forme
d’intervista come procedure sub-ottimali. Nei casi di indagini che hanno come obiettivo la rilevazione
dell’uso del tempo quotidiano da parte delle popolazioni, l’assenza dell’intervistatore è necessaria, infatti
viene chiesto agli individui di annotare le attività svolte durante la giornata.
Vi sono poi 2 tecniche di osservazione dei collettivi;
• L’intervista di gruppo, in cui il ricercatore conduce brevi interviste discorsive individuali, facendo
rispondere i singoli alla presenza degli altri membri del gruppo. I singoli subiscono così la pressione
normativa del gruppo; qui l’attenzione del ricercatore si concentra sull’impatto che la pressione
normativa del gruppo esercita sull’espressione delle opinioni individuali.

• L’auto-etnografia, tecnica di costruzione della documentazione empirica che valorizza l’esperienza che
il ricercatore fa in un specifico contesto sociale al quale accede attraverso l’esercizio dell’introspezione.

2.2.Tecniche per l’osservazione di collettivi


Le tecniche per l’osservazione dei collettivi permettono di cogliere l’interazione sociale (oggetto specifico
della sociologia - Blumer). Si possono distinguere le diverse tecniche di osservazione di collettivi
considerando le caratteristiche dell’ambiente in cui viene condotta l’osservazione e considerando la natura
della relazione che lega osservatore e oggetto di studio.
Il primo criterio separa le tecniche di osservazione che vengono applicate in un ambiente naturale, in cui
l’interazione sociale viene rappresenta nei contesti in cui quotidianamente prende forma, dalle tecniche di
osservazione applicate in un ambiente artificiale, in cui l’interazione sociale viene osservata in un ambiente
appositamente costruito dall’osservatore.
Il secondo criterio è l’intrusività che si applica solo alle tecniche utilizzate in un ambiente naturale che
scombussolano l’oggetto in cui si applicano. Questo succede ogni volta che i soggetti sono consapevoli
dell’attenzione del ricercatore (effetto Hawthorne), che può indurre nei soggetti in studio cambiamenti del
loro comportamento. Questi cambiamenti vengono etichettati come reattività e nelle situazioni più
compromessi i soggetti mettono in scena una rappresentazione appositamente inautentica. Ciò si lega alla
distinzione tra dati operativi che, documentano le conversazioni e le attività spontanee che l’etnografo
osserva o alle quali prende parti durante le osservazioni. Sono dati che si riferiscono ai problemi quotidiani di
informatori impegnati nella loro normale attività. I dati presentativi, che si riferiscono a quelle apparenze che
informatori si sforzano di sostenere agli occhi dell’etnografo dei colleghi e collaboratori di vario grado, sono
dati che hanno un carattere ideologico.
Questi due criteri permettono di individuare tre insiemi di tecniche:

• l’insieme delle tecniche di osservazioni intrusive (l’osservazione partecipante e lo shadowing);


• l’insieme delle tecniche di osservazioni non intrusive (l’osservazione naturalistica);

• le tecniche di osservazione di collettivi in un ambiente artificiale (focus group, l’osservazione di


laboratorio e i giochi).

Osservazione partecipante.

L’osservazione partecipante è il cuore della ricerca etnografica che combina un insieme composito di
tecniche di osservazione. Una ricerca può essere definita etnografica se parte della documentazione empirica
che a sua volta viene prodotta ricorrendo all’osservazione partecipante.

Shadowing
Lo shadowing è una tecnica di osservazione dell’interazione sociale basata su un individuo che il ricercatore
segue come un’ombra; il ricercatore fa esperienza delle interazioni sociali in cui l’individuo è coinvolto. La
presenza dell’osservatore facilita nel soggetto la rottura con l’atteggiamento naturale e rende possibile
osserva le routines quotidiane da un punto di vista critico. Lo shadowing è una tecnica di osservazione tra le
più intrusive e il fatto che il ricercatore segua costantemente il soggetto fa si che questa tecnica possa essere
applicata solo in alcuni contesti di ricerca dove l’individuo è in grado di tollerare la presenza intrusiva del
ricercatore.
Lo shadowing si applica insieme ad altre tecniche di osservazione come l’osservazione partecipante è può
essere impiegato come tecnica a sé stante conducendo a una o più osservazioni concentrate sulle interazioni
che fanno perno sugli individui in studio.
Un esempio di shadowing è la ricerca condotta da Marianella Sclavi, una comparazione tra sistema scolastico
italiano e statunitense condotta seguendo una studentessa italiana e una studentessa statunitense.

Osservazione naturalistica
L’osservazione naturalistica è una tecnica di osservazione non intrusiva che non richiede la cooperazione dei
soggetti in studio; l’attenzione cade sui comportamenti direttamente osservati.
La mediazione linguistica dell’osservatore ha un ruolo modesto; l’interazione sociale viene descritta sulla
base dei comportamento osservati dallo studioso che utilizza in misura limitata il dialogo. Le dichiarazioni
verbali dei soggetti sono considerati più come eventi da spiegare che come elementi della spiegazione; vi è
l’impossibilità di ricorre a procedure member-validation in cui il giudizio dei soggetti in studio costituisce il
criterio con cui viene valutata la plausibilità degli asserti che descrivano l’interazione sociale.
L’osservazione naturalistica può essere condotta ricorrendo a:
• Procedure formalizzate, impiegate per accrescere la rappresentatività dei comportamenti osservati o per
fare in modo che l’osservatore non tragga le proprie conclusioni dall’osservazione di moduli
comportamentali accidentali. Sia gli individui oggetto di osservazione, sia gli eventi su cui puntare
l’attenzione, vengono scelti in base a procedure probabilistiche riconducibili a procedure di
campionamento utilizzate nell’esperimento o nell’inchiesta campionaria; anche gli eventi vengono scelti
con procedure probabilistiche alle quali si associa una moltitudine di procedimenti di stesura dei protocolli
osservativi.

• Le procedure non formalizzate, si basano su procedure di scelta delle unità di osservazione e forme di
annotazione dei comportamenti osservati in tutto e per tutto simili a quelli impiegati nell’osservazione
partecipante.

I giochi
I giochi sono procedure concepite per osservare interazione sociale in condizioni quasisperimentali. Bruschi
definisce il gioco come un sistema di ricerca per osservare le attività di un gruppo che svolge determinati
compiti; il gioco si realizza attraverso la definizione dei compiti da parte del ricercatore, e l’esecuzione di tali
compiti da parte dei partecipanti. Il ricercatore si limita a stabilire le regole e il contesto, mentre, i
partecipanti sono liberi di esprimersi e quasi sempre hanno la consapevolezza di essere osservati.
Lo sviluppo di un gioco può essere ricondotto alla combinazione di 7 passi: Messa a punto del copione in
base all’obiettivo scientifico, determinazione delle procedure di osservazione e registrazione delle
informazioni, organizzazione del gioco, conduzione del gioco, rilevazione delle informazioni, analisi della
documentazione empirica e controllo dei risultati in relazione all’obiettivo.
L’osservazione dell’interazione sociale nel gioco è condotta con modalità riconducibili alle modalità delle
osservazioni naturalistica; all’osservazione segue un’intervista individuale con i soggetti.
Uno degli esempi di applicazione di questa tecnica di ricerca e lo studio di Alberto Melucci, condotto su
quattro movimenti collettivi (un movimento è un’azione collettiva che manifesta un conflitto attraverso la
rottura dei limiti di compatibilità del sistema di riferimento su cui si situa l’azione) dell’area metropolitana
milanese: movimento delle donne, movimento ecologista, movimento giovanile e movimento della nuova
coscienza.
La ricerca di Melucci si propone di ricostruire le logiche d’azione di queste aree del movimento e ricorre a
un insieme di procedure empiriche tra cui i giochi. Ai giochi partecipa un gruppo per ogni movimento, che
viene identificato in base a considerazioni teoriche (i gruppi costituiscono un campione a scelta ragionata). I
gruppi vengono invitati a partecipare a una serie di sedute in un ambiente predisposto; il setting è una sala di
riunioni con le sedie disposte a semicerchio e una telecamera mobile per la registrazione; un ricercatore
guida la seduta sedendo di fronte al gruppo mentre altri due ricercatori fungono da osservatori degli aspetti
verbali e non verbali dell’interazione.
A ogni gruppo vengono proposti tre giochi ideati per cogliere la logica dei processi decisionali
l’organizzazione e la divisione del lavoro e la leadership.
I copioni dei tre giochi sono:
• L’isola: viene posta la domanda “Siete dei naufraghi in un’isola deserta; potete notare che vi sono
alberi, animali e frutti; la terra più vicina è a 200 km; cosa fate?”

• TV: “Avete un canale televisivo per una settimana; cosa fate?”

• Foto: “Vi è stato chiesto di presentare il vostro gruppo per un servizio fotografico con 10 immagini;
sceglietele”
L’osservazione di laboratorio o osservazione in condizione controllate
È una procedura tra osservazione naturalistica ed esperimento di laboratorio (che è caratterizzato dalla
combinazione di manipolazione della variabile sperimentale e controllo delle variabili terze).
Nell’osservazione di laboratorio i soggetti interagiscono in un’ambiente artificiale che, per i soggetti, svolge
una funzione simile alla funzione esercitata dalla manipolazione dello stimolo in un contesto sperimentale.
Nell’osservazione di laboratorio il controllo di variabili terze è più contenuto; questa procedura osservativa è
utilizzata in psicologia e psicologia sociale.
Le tecniche di osservazione dei collettivi possono essere utilizzate sia per la ricerca qualitativa sia per la
ricerca quantitativa; sono tecniche qualitative l’osservazione partecipante, il focus group, lo shadowing e i
giochi; l’osservazione naturalistica invece costruisce la propria documentazione empirica attraverso
procedure formali e procedure informali; l’osservazione di laboratorio si colloca tra le tecniche quantitative.

2.3.Tecniche per l’osservazione di documenti naturali


Alla classe dei documenti naturali appartiene un insieme di oggetti che costituiscono il prodotto di
comportamenti (individuali o collettivi) non provocati dall’osservatore. I documenti naturali vengono divisi
in due classi: i testi, che sono documenti semplici ed hanno un’intenzione comunicativa, e i manufatti, che
sono documenti non segnici e che non possiedono un’intenzione comunicativa.
Non è sempre facile attribuire un documento alla categoria dei testi o dei manufatti, un esempio sono gli
abiti: “Possiamo dire che negli abiti è assente ogni intenzione comunicativa?” Segnico o non segnico sembra
il registro entro cui viene letto l’abito”.
Se consideriamo la lettera di un immigrato, questa può essere letta come un testo di cui cogliere le intenzioni
comunicative, ma anche come un manufatto da cui trarre indicazioni sulle condizioni di vita del suo
estensore (colui che l’ha prodotto), dunque l’attenzione cadrà sulle caratteristiche dei materiali che possono
suggerire le caratteristiche del luogo e della realtà sociale in cui la lettera è stata scritta.
In sociologia poche ricerche sono basate solo sull’osservazione di documenti naturali; un esempio di queste
ricerche è lo studio di Grimaldi sugli ex voto in Piemonte; la ricerca si basava sull’osservazione e l’analisi di
quasi 3500 tavolette votive raccolte e fotografate nei santuari e nelle cappelle campestri del Piemonte.
L’utilizzo dell’osservazione dei documenti naturali è più frequente nelle fasi istruttorie del processo di
ricerca e nelle fasi più mature come complemento per l’interpretazione dei materiali empirici a disposizione;
è il caso della ricerca storica per la quale l’osservazione di documenti naturali assorbe la quasi totalità delle
procedure empiriche, mentre i sociologi possono impiegare i documenti naturali per le loro analisi come
fanno gli storici, agli storici non è data la possibilità di generare i materiali empirici su cui condurre l’analisi.
Nelle ricerche etnografiche l’osservazione di documenti naturali costituisce il primo strumento di
socializzazione alla cultura ospite e accompagna tutte le fasi del lavoro sul campo.
L’utilizzo di queste tecniche di osservazione non viene sempre messo in un registro che rispetta il loro status
di tecniche di costruzione della documentazione empirica. Spesso l’osservazione dei documenti naturali
viene fatta coincidere con la loro raccolta e con la loro analisi lasciando in ombra l’operazione intellettuale
che contraddistingue queste tecniche di osservazione come tecniche di costruzione della documentazione
empirica, la critica del documento come un passo che precede l’analisi dei materiali e che indica i margini
d’errore delle conclusioni che il ricercatore può trarre.
La critica del documento (critica delle fonti) si poggia su due questioni: l’autenticità della fonte e la
credibilità dell’informatore. Per lo storico è importante avere a disposizione tutti gli elementi empirici ed
extra empirici utili a stabilire se le informazioni contenute in un documento possono essere vere o false; le
stesse considerazioni si applicano all’osservazione documentaria condotta dal sociologo.
È importante sottoporre il documento ad uno scrutinio critico che qualifichi il documento, cioè verifica che il
documento risponde ad esigenze simili a quelle che ispirano la ricerca dell’autenticità o la ricerca della
critica esterna in storia, e l’identità dell’autore/artefice del documento, qualificare l’identità (individuale o
collettiva) dell’autore di un testo o dell’artefice di un manufatto corrisponde alla ricerca della credibilità o
alla critica interna della ricerca storica.
La qualificazione del documento richiede l’acquisizione delle informazioni per stabilire se il documento è
autentico o no; occorrerà stabilire se il documento è originale o è una riproduzione e se si tratta di una
riproduzione totale o parziale; sarà importante stabilire il tempo e il luogo d’origine del documento e il
milieu sociale in cui è stato prodotto.
La connotazione sociale di chi o coloro che hanno prodotto il documento rappresenta il primo passo verso la
qualificazione dell’identità del suo autore/artefice. È importante avere alcuni informazioni sull’identità del
suo estensore, i valori che lo ispirano e gli interessi da cui muove; tutto questo vale anche per i documenti
prodotti da più persone e in questo caso bisogna avere delle informazioni sulle relazioni che legano gli
artefici e sulla misura in cui il documento esprime le istanze di ciascuno, bisognerà interrogarsi sul fine per
cui il documento è stato creato.
La considerazione congiunta delle caratteristiche del documento, dell’identità del suo autore e della catena di
comunicazione che lo lega a un destinatario permette di circoscrivere l’insieme delle domande cognitive alle
quali il documento è in grado di rispondere.
Qualificazione del documento e identità dell’autore, l’analisi critica trasforma le informazioni racchiuse nel
testo o nel manufatto in dati suscettibili di analisi; tra l’osservazione documentaria e la ricerca storica e
l’osservazione documentaria nelle scienze sociali vi è una differenza: nell’analisi critica e nella lettura del
documento il sociologo, lo psicologo, l’antropologo, lo scienziato politico e l’economista possono trarre
profitto dall’osservazione diretta della cultura che ha prodotto i documenti che si stanno analizzando, a
queste figure è permesso di interrogare l’autore del documento che si sta studiando, di osservare la trama
delle relazioni di cui l’autore è parte e di arricchire la propria interpretazione di quella realtà sociale
confrontando le informazioni ottenute dal documento e le informazioni ottenute in altri modi.

3. L’intervista discorsiva
L’intervista è lo strumento più diffuso per la costruzione della documentazione empirica; è una forma di
conversazione in cui due o più persone hanno un’interazione verbale con l’obbiettivo di raggiungere un
traguardo cognitivo già concordato in precedenza.
L’intervista è asimmetrica: l’intervistatore decide gli obbiettivi cognitivi della conversazione ponendo delle
domande all’intervistato che deve rispondere con sincerità. L’intervista di ricerca è un evento comunicativo
che spinge l’intervistato ad abbandonare il proprio atteggiamento naturale.
Si possono distinguere diversi tipi d’intervista in base alla forma di comunicazione che viene assunta tra
intervistatore e intervistato. In base al comportamento linguistico dell’intervistato, distinguiamo:

• Intervista discorsiva, in cui l’intervistato risponde con parole proprie alle domande dell’intervistatore,
costruendo la propria argomentazione.

• Intervista strutturata, in cui l’intervistato risponde alle domande dell’intervistatore utilizzando le parole che
provengono da un copione predefinito che gestisce il comportamento verbale dell’intervistatore.

Maria Concetta Pitrone dice che l’intervista strutturata pone un problema di natura etica in quanto toglie
tempo all’intervistato che è costretto ad accettare le regole linguistiche poste con il questionario al fine di
ottenere risposte su argomenti e problemi che non conosce e/o che non gli interessano; ciò corrisponde ad
una forma di violenza che produce effetti indesiderati intaccando la sincerità e la sicurezza.
L’intervista discorsiva assume due forme:
• Intervista guidata, in cui l’intervistatore conduce la conversazione seguendo una traccia che contiene un
insieme di temi, ordinati secondo un ordine che guida il percorso cognitivo dell’intervistato; l’intervistatore
lascia all’intervistato la libertà di sviluppare i temi.

• Intervista libera, in cui l’intervistatore si limita a porre all’intervistato il tema della conversazione,
disponendosi in un atteggiamento di ascolto lasciando che l’intervistato costruisca da solo il discorso.

Nell’intervista discorsiva si danno al ricercatore un insieme di informazioni che riguardano l’intervistato, e


che forniscono al ricercatore un discorso in cui si colgono forme espressive presenti nell’utilizzo di un gergo
o di un idioma specifico, e nell’utilizzo e accostamento di parole a tempi verbali scelti per esprimere
un’azione. Si può cogliere la posizione dell’intervistato attraverso i modi in cui si avvicina o si allontana da
ciò che dice; può, infatti, cambiare la sua presenza prendendosi con un “IO” la responsabilità di un’azione,
oppure, può prendere distanza e lasciare spazio ad altri “LORO”. È ancora possibile percepire dei conflitti
interiori che vengono segnalati da lapsus linguistici.
In base a ciò che si ottiene attraverso le interviste discorsive, abbiamo due posizioni che animano un dibattito
incentrato sul “Come leggere i discorsi dell’intervista discorsiva?”:

• Posizione testualista, Demaziele e Dubar osservano che l’intervista discorsiva consegna al ricercatore
parole che costituiscono un insieme di “definizioni della situazione vissuta”; da queste definizioni si
prende ciò che è condivisibile e si inizia un processo di costruzione di un discorso all’interno di una
intervista discorsiva. Vi è un lavoro ermeneutico con cui l’intervistato legge quel testo che è la sua azione e
porge all’intervistatore la sua interpretazione personale. Secondo Demaziele e Dubar, bisogna ordinare
questi materiali classificando i discorsi e non gli individui.

• Posizione realista; per Bertaux il corpus testuale che contiene i racconti di vita, contiene informazioni che
permettono di cogliere un particolare frammento di realtà storico-sociale.

Posizione realista e posizione testualista, sottolineano il carattere complesso dei discorsi costruiti con le
interviste discorsive.
Il corpus testuale che possiede il ricercatore è un insieme di forme discorsive; in questi testi ci sono indizi
che permettono di ricostruire personalità e quadro cognitivo degli intervistati; vi sono anche elementi che
danno informazioni intersoggettive sulle caratteristiche di una cultura.
Non c’è una via di preferenza per la costruzione e l’analisi dei materiali, ma è importante stabilire prima che
tipo d’informazioni si vuole ottenere dalle interviste discorsive, in modo da progettare in modo coerente una
strategia di raccolta e analisi dei materiali.
Ci sono tre forme principali dell’utilizzo dell’intervista discorsiva nella ricerca sociale:

• l’intervista discorsiva come unica tecnica di ricerca per la costruzione della documentazione empirica,
questo accade in molti studi riconducibili all’approccio biografico.

• l’intervista discorsiva utilizzata con un ruolo minore insieme ad altre tecniche di ricerca; accade spesso con
la combinazione di inchieste campionarie e intervista discorsiva, che ha il compito di contribuire per
specificare le domande cognitive, per collaudare il questionario attraverso il pretest (studio pilota).

• l’intervista discorsiva utilizzata alla pari con altre tecniche di ricerca qualitativa o quantitativa:
triangolazione.

Triangolazione: il termine originariamente indica la procedura che permette di localizzare un punto


inaccessibile combinando l’informazione ottenute da due diverse procedure di localizzazione.Nella ricerca
sociale vi sono 4 diverse accezioni del termine triangolazione, basate su una diversa lettura della metafora
topografica.
Realismo ingenuo. La prima accezione dà una lettura quasi letterale alla triangolazione che, permette di
individuare la vera posizione dell’oggetto preso di mira e di stabilirne il vero stato su di una proprietà non
direttamente rilevabile (tratto culturale).
Realismo critico. La seconda accezione vede nella triangolazione una procedura da cui è ragionevole
aspettarsi un’indicazione sull’autonomia ontologica dell’oggetto, dalle procedure di rilevazione impiegate; è
il ricorso a più tecniche di costruzione della documentazione empirica che offre al ricercatore le ragioni per
credere che l’oggetto cui si applicano, abbia uno statuto indipendente, cioè che non è un artefatto dovuto
all’utilizzo di tecniche di osservazioni diverse. Nel caso dell’intervista strutturata questo problema può
presentarsi come il problema delle “nonattitudes”, cioè persone che percepiscono il colloquio d’intervista
come una specie d’esame in cui devono mostrarsi informati e competenti; se a una di queste persone viene
proposto un tema sul quale non hanno opinione, se gli si da l’opportunità di cavarsela con una risposta vaga,
possiamo prevedere che quella risposta vaga sarà la risposta dell’intervistato. Nell’intervista discorsiva si ha
una stima più accurata accostando alle informazioni tratte dalle interviste strutturate, le informazioni
consegnate da un numero congruo di interviste discorsive; l’intervista discorsiva, infatti raccoglie risposte e
impone a chi deve rispondere di articolare un discorso mostrando la propria competenza; l’analisi di questi
discorsi permette di separare l’espressione autentiche dalle espressioni ottenute da un questionario, ottenendo
un’immagine più accurata dell’opinione pubblica.
Triangolazione riflessiva. Nella terza accezione l’impiego congiunto di più tecniche aiuta il ricercatore a
stabilire quali conclusioni è legittimo a trarre dalla documentazione empirica ottenuta da ogni tecnica
utilizzata. Qui la triangolazione serve a individuare i limiti specifici di ciascuna tecnica di rilevazione, limiti
colti con la documentazione empirica. L’analisi dei materiali raccolti con le interviste può fornire delle
indicazioni sui limiti della rappresentazione del gruppo che consegna l’osservazione partecipante; in modo
analogo l’osservazione partecipante può indicare i punti cechi dell’altra tecnica (intervista discorsiva, queste
due procedure suggeriscono a quali conclusioni e legittimo arrivare con la documentazione empirica
costruita con l’intervista discorsiva e l’osservazione partecipante).
Triangolazione del pensiero post-moderno. La triangolazione diventa una procedura applicata nel momento
in cui i materiali empirici vengono messi in forma con la scrittura (cristallizzazione). La variante post-
moderna della triangolazione prevede la rappresentazione dell’oggetto che si applica attraverso l’uso di
forme espressive, allo scopo di mostrare il lavoro di costruzione dell’oggetto compiuto dalla scrittura e di
moltiplicare le immagini dell’oggetto. Questa procedura ha trovato espressioni in alcune pubblicazioni, come
il libro di Margery Wolf, in cui la Wolf porge al lettore tre diverse rappresentazioni del proprio oggetto,
accostando tre tipi di narrazione modellati sullo stile della comunicazione scientifica, note etnografiche e
della letteratura.
L’intervista discorsiva può essere applicata nello studio di tutto ciò che ha a che fare con il mondo interno
degli individui e con ciò che sta dentro la loro testa, ma non può essere applicato allo studio dell’interazione
sociale di cui permette solo di cogliere i riflessi all’interno delle rappresentazioni dei singoli individui.

3.1.Il disegno della ricerca


3.1.1. La definizione della domanda cognitiva
Il punto di partenza di ogni ricerca sociale è la definizione della domanda cognitiva con cui s’intende
rispondere, che non deve assumere la forma di ipotesi, né l’ambito in cui si indaga deve essere circoscritto in
un insieme di definizioni operative.
Nella ricerca qualitativa i concetti che orientano lo studio si chiamano concetti sensibilizzanti; secondo questi
termini, bisogna formulare la domanda cognitiva dalla quale inizia una ricerca basata sull’utilizzo
d’interviste discorsive.
Non serve un’ipotesi, ma una domanda cognitiva ben impostata.
3.1.2. Gli intervistati
La domanda cognitiva definisce la prima fase del disegno della ricerca, cioè la definizione del profilo dei
soggetti da interpellare e la forma dell’intervista più appropriata. Scegliere gli individui da intervistare
prevede:

• Individuazione del tipo d’intervistato appropriato


• Definizione della procedura empirica che permetterà di raggruppare il numero adeguato di individui con le
giuste caratteristiche

• Definizione di un piano di campionamento o, in caso di un ristretto gruppo di individui, l’organizzazione di


un’agenda delle interviste discorsive condotta su tutti i casi che formano il gruppo.

Si ricorre ad un campione quando risulta impossibile intervistare tutti gli individui dello studio.
Nelle ricerche basate sull’utilizzo dell’intervista discorsiva il numero di soggetti interpellati è tra i 50 e i 100
casi massimi, un limite necessario per le caratteristiche delle procedure di analisi della documentazione
empirica.
L’analisi del corpus testuale (trascrizione delle interviste) si basa sulle analisi ampia del discorso, che
richiede uno sforzo insostenibile per un numero superiore ai 100 casi. Con questi numeri, l’uso del
campionamento probabilistico è svantaggioso.
Considerando la stima di un solo parametro, con 50 casi il margine percentuale di errore atteso sarà poco al
di sotto dei 14 punti percentuali; se nel campione osserviamo un tasso di disoccupazione pari al 30% (15
elementi), saremo autorizzati a sostenere che nella popolazione il tasso di disoccupazione oscilla tra il 16 e il
44 %.
Si preferisce quindi, usare procedure di campionamento non-probabilistico in cui la scelta dei casi è motivata
da considerazioni dettate dalla teoria sociologica, che offre più garanzie di rappresentatività delle variabili, e
non dalla teoria probabilistica.
Si parla, dunque, di campionamento a scelta ragionata e viene definito secondo due modalità.
Nella prima modalità, il profilo del campione viene definito prima di condurre le interviste; la domanda
cognitiva è il quadro teorico guidano l’identificazione dei soggetti da intervistare. Questa procedura può
essere rappresentata come la costruzione di uno spazio di attributi le cui dimensioni coincidono con le
dimensioni concettuali, le proprietà che aggiungono rilievo alla teoria.
In seguito, l’individuazione delle persone da intervistare; questo passo può essere compiuto in più modi, il
più appropriato riproduce la logica del campionamento ragionato: il ricercatore sceglierà le persone da
intervistare considerandone il profilo, la potenziale capacità di offrire un contributo all’articolazione di una
risposta alla domanda cognitiva da cui muove la ricerca.
Quando non è possibile individuare le persone da intervistare, si prevedono tre soluzioni:

• Le persone da intervistare possono essere individuate con l’aiuto di alcuni testimoni qualificati o mediatori
culturali

• I nominativi possono essere tratti da una lista che insieme ai nomi fornisce informazioni sulle
caratteristiche che il piano di campionamento ha definito rilevanti

• Si possono raggiungere le persone contando direttamente sulla loro collaborazione ricorrendo a una forma
di campionamento non-probabilistico detto “campionamento a valanga”: una volta avvicinato un individuo
gli si chiede di indicarci una o più persone con un profilo corrispondente.
Gli aspetti di questa procedura corrispondono con gli aspetti del campionamento per quote; vi sono però
alcuni importanti differenze.
La prima riguarda la scelta delle persone da intervistare che è compito che spetta all’intervistatore nel caso
delle ricerche basate sull’intervista discorsiva. Il ricercatore deve esporre le ragioni che rendono appropriato
il disegno campionario utilizzato e la specifica declinazione che il disegno campionario ha assunto durante la
realizzazione pratica dello studio.
Questo è il significato del campionamento a scelta ragionata, l’impegno di dar conto in modo dettagliato
delle decisioni di cui si compone la procedura adottata e mostrane l’appropriatezza in relazione alla domanda
cognitiva e hai risultai a cui si arriva.
La seconda differenza costituisce uno dei contributi più importanti della proposta metodologica di Glaser e
Strauss, secondo cui la dimensione e il profilo del campione vengono definiti nel corso della ricerca e
definiscono il criterio che guida la costruzione del campione come “saturazione teorica”.
La procedura inizia nel quadro della più generale proposta metodologica, la costruzione di teorie radicate
nella documentazione empirica, generate seguendo un procedimento induttivo.
I due sociologi suggeriscono di procedere nella costruzione della documentazione empirica guidati dalla
teoria che prende forma nel corso della ricerca.
La teoria guiderà il processo di raccolta dei materiali empirici; attraverso la comparazione costante, i
materiali raccolti verranno integrati per delineare la teoria emergente.
Il processo si interrompe quando la raccolta dei materiali non sta portando a nulla; si parla di saturazione
teorica, cioè una situazione in cui l’utilità marginale di ulteriori esperienze empiriche e nulla o negativa.

3.1.3. La forma dell’intervista discorsiva


Bisogna stabilire il modo in cui condurre le interviste discorsive, scegliendo tra intervista libera e intervista
guidata; la scelta è importante per il tipo di ricerca da svolgere.
Se gli interessi cognitivi vertono sui modelli argomentativi dei soggetti in studio, sui processi con cui
comunichiamo, è indispensabile il modello dell’intervista discorsiva; se ci interessa confrontare le
rappresentazioni, i valori e i modelli argomentativi dei nostri interlocutori, in relazione a un insieme di temi
predefiniti e meglio usare il modello dell’intervista guidata.
In entrambi i casi è necessario preparare, per l’intervista libera la domanda con cui poniamo il tema
dell’inchiesta, per l’intervista guidata il “canovaccio” che guiderà i colloqui.

3.1.4. L’intervistatore
Prima di iniziare le interviste bisogna identificare l’intervistatore.
Se non è possibile far condurre le interviste ad un gruppo di ricerca, bisognerebbe coinvolgere gli
intervistatori nel lavoro di progettazione della ricerca e nel lavoro di analisi della documentazione empirica.
L’intervistatore deve avere esperienza nella conduzione di interviste e familiarità con i temi affrontati,
altrimenti i colloqui diventano disagevoli e si compromette tutto il lavoro e la qualità dei materiali.
Bisogna considerare la natura del rapporto che lega intervistatore e intervistato:

• Se vi è reciproca estraneità, si da all’intervistato una maggiore garanzia di anonimato e il contesto diventa


più appropriato per la discussione dei temi dell’intervista. Confessare nell’anonimato è più facile se si
viene ascoltati da un estraneo.

• Se vi è un certo grado di familiarità, la comunicazione può diventare più scorrevole e autentica. Il rapporto
di fiducia tra intervistatore e intervistato, rafforza nell’intervistato la convinzione di poter essere compreso
è accettato, questa possibilità di comprensione profonda ha un fondamento cognitivo (l’intervistatore
conosce il codice linguistico e il contesto sociale degli individui e sa come rapportarsi con i suoi
interlocutori).

Quando l’intervistatore dovrà scegliere tra estraneità e familiarità dovrà valutare i pro e i contro per la ricerca
e documentare il perché della sua scelta.

3.2.La costruzione della documentazione empirica


La fase di costruzione della documentazione empirica si divide in tre operazioni:

• Contatto con gli intervistati e presentazione della ricerca.

• Conduzione dell’intervista.
• Trascrizione dell’intervista.
3.2.1. Il contatto e la presentazione della ricerca
Per condurre un’intervista bisogna ottenere il consenso degli intervistati, che si metteranno a disposizione per
la ricerca. Si può richiedere il consenso attraverso lettere, telefonate o di persona. Si possono reclutare
soggetti tra individui coinvolti in un’inchiesta campionaria (in fondo al questionario si chiederà la
disponibilità per discutere il modo più approfondito dei temi trattati).La scelta dei metodi di selezione degli
individui si attua considerando le caratteristiche dei candidati all’intervista discorsiva. L’intervistatore dovrà
decidere e spiegare il perché della sua scelta.
I primi contatti per avvicinare gli individui saranno utilizzati per informare in modo adeguato gli individui
riguardo allo studio che si vuole svolgere e al quale dovranno far parte e sul tipo di colloquio e l’uso che
verrà fatto delle informazioni ottenute. Bisogna rassicurare i soggetti precisando quale sarà il tono del
colloquio, bisogna dare indicazioni di massima riguardo la durata del colloquio sia per ragioni etiche sia per
ragioni pratiche; le persone devono sapere quanto tempo verrà loro sottratto e se la durata non è compatibile
con i loro impegni si fisserà un appuntamento.
Il dialogo avrà la forma di un interrogatorio e le risposte saranno formulate pensando a come evitare di dare
spunti ad altre domande dell’intervistatore; bisogna fornire garanzie di anonimato dando conto del modo in
cui le interviste verranno analizzate e utilizzate nella ricerca.

3.2.2. La conduzione dell’intervista discorsiva


La forma che assume il colloquio d’intervista dipende dalla scelta tra intervista guidata e intervista libera.
Entrambi i modelli hanno lo stesso insieme di principi metodologici, tra cui l’atteggiamento di ascolto,
l’intervistatore deve aiutare l’intervistato a costruire liberamente il suo discorso: le domande servono per
spingere l’intervistato verso l’osservazione critica di sé e del proprio agire e quindi per favorire
l’articolazione di un discorso che faccia emergere i risultati di questa sua autovalutazione.
L’intervistatore deve svolgere una funzione maieutica per rappresentare il proprio sé, come Socrate faceva
con i propri interlocutori, cioè aiutare coloro con cui parlava a generare la verità di cui erano abitanti; con le
sue parole Socrate gettava il dubbio e l’inquietudine nell’animo in coloro che lo avvicinavano.
All’intervistatore si richiede di combinare l’atteggiamento di ascolto e il sollecitare il senso critico del
proprio interlocutore; si avranno domande brevi e coincise che permetteranno all’intervistato di costruire da
se il proprio discorso, il tipo di ascolto richiesto è una partecipazione attiva segnata da un insieme di segnali
non verbali che comunicano all’interlocutore l’attenzione e l’interesse per ciò che dice.
La ricapitolazione è un'altra tecnica con la quale l’intervistatore attira l’attenzione del proprio interlocutore
su di un aspetto del suo discorso assumendone i tratti salienti e per sollecitare l’interlocutore a un
approfondimento critico; la ricapitolazione è efficace se la sua aderenza al discorso è maggiore.
Il colloquio d’intervista deve sembrare come una conversazione ordinaria; questo si lega alla questione che
riguarda quanto l’intervistatore può o non può dire di sé, delle proprie opinioni quando è l’intervistato a
chiedergli di farlo.

• Esprimendo la propria opinione può influenzare l’intervistato e questi può ritenere opportuno censurare il
proprio discorso o dissimulare la propria opinione perché ritiene che non possa essere compresa e accettata
dall’intervistatore, o perché non ama confrontarsi con chi ha opinioni diverse dalle sue. Se vi è una piena
convergenza tra intervistatore e intervistato, questa situazione può facilitare la comunicazione, anziché
inibirla;

• L’alternativa è l’elusione delle richieste avanzate che può rovinare la fiducia che l’intervistato ripone
dell’intervistatore e può ridurre l’interesse per la conversazione facendo diminuire la volontà di cooperare.

L’intervistatore deve eludere per tutte le volte che questa azione non rischi di perturbare la costruzione del
discorso dell’intervistato; può eludere finché il suo comportamento non inizi a intaccare la fiducia e la
volontà di cooperare dell’interlocutore; bisogna saper valutare se eludere può compromettere o meno
l’intervista anche in base al legame che si instaura tra intervistatore e intervistato. Il colloquio d’intervista
deve essere registrato perché il centro dell’intervista discorsiva è il discorso; è necessario che il colloquio
non venga interrotto o disturbato per garantire una registrazione di buona qualità. Qualche volta succede che
i soggetti quando vedono registratori e microfono esprimo la volontà di ritirarsi; bisogna offrire ulteriori
rassicurazioni sull’anonimato e l’uso dei nastri dell’intervista. Se gli argomenti non ottengono l’effetto
desiderato bisognerà procedere nell’intervista senza registratore ma prendendo appunti chiedendo
all’intervistato il tempo per sintetizzare il suo discorso.
Gli appunti dovranno essere sviluppati una volta conclusa l’intervista.
La fitta rete di decisioni che occorre assumere possono indurre incertezze in chi si avvicina a questa tecnica
di ricerca.

3.2.3. La trascrizione dell’intervista


Le interviste devono essere trascritte per intero, la trascrizione deve essere arricchita con l’indicazione delle
marche non verbali del dialogo (cenni di assenso con il capo, risate, pause) è necessario che la revisione del
testo si condotta dall’intervistatore.
È positivo leggere le interviste raccolte durante la fase di costruzione della documentazione empirica,
un’analisi di questi materiali può offrire indicazione metodologiche e sostantive per il proseguimento delle
interviste. Se la tecnica di campionamento usata si basa sul criterio della “saturazione teorica” l’analisi delle
interviste dovrà essere realizzata man mano che le si conducano. 3.3.L’analisi della documentazione
empirica
L’analisi della documentazione empirica è formata da diverse operazioni intellettuali che servono ad
articolare una risposta alle domande cognitive formulate durante il disegno della ricerca e alle domande che
l’esperienza dei colloqui e le procedure di analisi fanno scaturire nel ricercatore.
L’analisi si basa sulla lettura metodica del corpus testuale costituito dalla trascrizione dei colloqui
d’intervista, da questi testi si cerca di ricostruire le intenzioni comunicative dei loro estensori soffermandosi
a quanto il testo comunica delle intenzioni dell’autore.
L’articolazione del quadro teorico procede in parallelo alla lettura delle interviste trascritte, questi due
processi sono legati da una relazione circolare. I testi suggeriscono il percorso teorico che permette di dare
forma ai testi. L’applicazione al materiale empirico delle categorie teoriche che vengono sviluppate dal
ricercatore, permette di provarne l’adeguatezza e il valore euristico indicando i luoghi dello schema teorico
che bisogna modificare.
Questa operazione coincide con la classificazione dei testi d’intervista, con la costruzione di una tipologia o
di una tassonomia che risponde a esigenze descrittive e a esigenze esplicative.
Ci sono più modi per procedere al lavoro ermeneutico di lettura e teorizzazione e sono modellati dalle
persuasioni epistemologiche dei ricercatori, dei loro riferimenti teorici e dagli assunti da cui muovono
(modello dell’attore-locutore, definizione dello statuto del discorso).
Bisogna delineare alcuni degli elementi che accomunano le diverse procedure più rilevanti.
Riquadro 3.2 Tipologie e tassonomia.

3.3.1. Primato dei casi sulle variabili


Il primo elemento da delineare riguarda la strategia di lettura del corpus testuale delle interviste trascritte;
ciascuna intervista viene segnata definendo alcuni attributi formali, come la contraddittorietà o la preferenza
accordata dal locutore ad alcuni modelli argomentativi, e attributi sostantivi come l’espressione di una
profonda devozione religiosa o quella di un elaborato progetto di ascesa sociale. Nell’analisi di questi testi
raramente viene riconosciuta una qualche forma di autonomia dal testo a cui sono legate; cioè questa
proprietà vengono impiegate per segnare i testi sui rapporti tra i loro stati a prescindere dai testi che ne sono
portatori.
L’analisi della documentazione empirica segue la logica dello studio di un caso, quindi, ciascuna intervista
trascritta equivale a un caso segnato da un insieme di proprietà che può variare della sua composizione
muovendo da un testo all’altro.
Nell’analisi dei materiali d’intervista le proprietà sono a servizio della connotazione dei casi, delle interviste
trascritte che costituiscono il principale riferimento delle operazioni di analisi. Sul piano pratico si traduce in
una strategia di analisi che prevede la lettura e la qualificazione di ciascuna intervista presa da sola.

3.3.2. Forma e contenuti


I testi presentano due tipi di lettura complementari: una diretta a cogliere i contenuti del discorso, l’altra a
raffigurarne la forma.
Della forma fanno parte la struttura argomentativa, le modalità impiegate dall’intervistato per persuadere
l’intervistatore e porgergli il suo discorso.
Il significato dei colloqui può avvalersi delle categorie e dei repertori sviluppati nell’ambito della teoria
dell’argomentazione, modelli analitici sociologici come il modello sviluppato da Boudon o di procedure
analitiche sviluppate per questo scopo come l’analisi proposizionale del discorso.
Sul piano dell’analisi formale si può ricondurre l’osservazione delle modalità di utilizzo delle parole:
coniugazione delle espressioni verbali in un dato tempo, adozione di un gergo o di un idioma specifico, gli
stati emotivi impressi nel discorso.

3.3.3. Procedure di analisi informali e procedure formalizzate


La qualificazione dei contenuti costituisce il cuore del lavoro ermeneutico applicato a questi testi; le
procedure necessarie per questa qualificazione possono essere informali e formalizzate.
Le procedure informali riguardano le procedure di analisi che valorizzano la competenza teorica del
ricercatore che le applica. Queste procedure sono basate su una forma sofisticata di bricolage e possono
fornire una lettura, interpretazione dei materiali più accurata e rilevante.
I limiti di questa queste procedure si intravedono nel momento in cui il ricercatore che ne fa uso, ha difficoltà
a dar conto in modo puntuale e analitico dei principi e delle procedure che hanno sorretto la sua analisi.
Questo succede per le analisi che utilizzano la conoscenza tacita del ricercatore: quando le operazioni
rilevanti delle analisi vengono corredate da un accurato resoconto riflessivo, queste procedure non hanno
nulla da individuare rispetto alle procedure formalizzate.
Tra le procedure formalizzate, si distinguono le procedure basate su uno specifico modello semiotico del
discorso, e le procedure basate su un insieme di principi metodologici posti alla guida dell’analisi.
La prima categoria è presentata nell’analisi strutturale del discorso applicata da Demaziere e Dubar ad un
corpus di interviste discorsive; a questi materiali viene applicato il modello semiotico sviluppato da Barthes,
secondo cui qualunque resoconto può essere analizzato secondo tre livelli:

• Livello delle funzioni

• Livello delle azioni

• Livello della narrazione

Da questo modello semiotico, Demaziere e Dubar, hanno assegnato le posizioni di cui si compone ciascuna
delle interviste raccolte; questa classificazione guida le fasi successive dell’analisi e si chiude con
l’individuazione delle omologie strutturali osservate tra i livelli del racconto.
La seconda categoria è ben illustrata da Glaser e Strauss con la Grounded Theory, una procedura che
disciplina con un insieme di principi, il processo di costruzione della cornice teorica in cui inscrivere la
documentazione empirica. La procedura si basa sulla comparazione costante, che suggerisce la massima
eterogeneità dei materiali raccolti e la comparazione sistemica tra questi materiali. A tutto ciò si lega la
codifica, il percorso di lettura e qualificazione dei materiali empirici.
La codifica si articola in:

• Codifica aperta, che assegna ai diversi brani della trascrizione di un’intervista, dei codici che li
connotano in un registro prossimo a quello impiegato dagli intervistati, a volte utilizzando anche le
stesse parole degli intervistati.

• Codifica assiale, classifica i codici che vengono attribuiti ai testi dell’intervista, attraverso un
processo che combina l’aggregazione e la dissezione delle categorie che questa operazione ha
rilevato.

• Codifica selettiva, estrae dai materiali messi in forma con la codifica assiale, una o alcune categorie
alle quali possono essere ricondotti i tratti salienti dei discorsi analizzati.

Indipendentemente dalla procedura impiegata, l’analisi si basa sulla combinazione di: caratterizzazione di
ogni singola intervista; comparazione tra le interviste; classificazione delle interviste in una tipologia o in
una tassonomia.
Questa comparazione dei testi serve per individuare le affinità e le differenze che vi sono tra i testi,
delineando la cornice teorica in cui questi materiali saranno inscritti. Con la comparazione vengono
individuate le proprietà e i tratti costitutivi dei generi ai quali i testi possono essere ricondotti.

3.3.4. La classificazione dei testi d’intervista


La forma di qualificazione più appropriata ai materiali d’intervista che può esprimere meglio la relazione che
lega ogni testo al genere cui è ricondotto, mette capo a tipi ideali definiti da Weber come il concetto tipico-
ideale che serve a orientare il giudizio di imputazione nel corso della ricerca: esso intende indicare la
direzione all’elaborazione dell’ipotesi, cerca di offrire alla rappresentazione un mezzo di espressione
univoco. Nel tipo ideale i tratti di un genere vengono accentuati, a questi tipi possono essere ricondotti i testi
di cui si compone il corpus delle interviste trascritte, testi legati a un genere da una relazione di somiglianza.
Si tratta di definire la natura della funzione di appartenenza che lega ogni intervista al tipo ideale cui
corrisponde.
La soluzione più diffusa prevede l’impiego di una funzione d’appartenenza discreta, a due valori:
appartenenza e non-appartenenza. Secondo questa logica, ogni testo potrà appartenere ad un solo tipo ideale
e l’intensità della sua appartenenza sarà assimilata a quella di tutti gli altri i testi raccolti sotto la stessa
rubrica d’appartenenza (stesso insieme).
Accade che alcuni testi presentano i tratti di più di un genere e la somiglianza sia differenziata: alcuni
avranno un profilo prossimo a quello del tipo ideale, altri avranno solo una vaga somiglianza di famiglia. A
queste caratteristiche empiriche si può dar conto adottando una funzione di appartenenza fuzzy; una funzione
con la quale è possibile esprimere l’appartenenza a un tipo e l’intensità di questa appartenenza.
Questa strategia non impone al ricercatore di munirsi di qualche apparato empirico pensato per misurare la
distanza tra un testo e i tipi ideali, sviluppati per dar conto della documentazione empirica, basta illustrare i
risultati della procedura di classificazione adottata esprimendo l’intensità dell’appartenenza di ciascun testo
al tipo ideale cui fa riferimento.
Questa procedura rende operative le differenze che separano le procedure di classificazione impiegate nella
ricerca qualitativa dalle procedure di costruzione di tipologie proprie della ricerca basata sull’impiego della
matrice dati, procedure che si basano sulla segmentazione dello spazio di attributi.

3.4.la comunicazione dei risultati


Sui modi per comporre e presentare i risultati di una ricerca basata su interviste discorsive, vi sono diverse
indicazioni.
Ciò che accomuna le interviste discorsive e la necessità di includere un dettagliato resoconto metodologico e
l’illustrazione dello schema interpretativo maturato con l’analisi e del rapporto che lega lo schema
interpretativo alla documentazione empirica.
Il testo compone in modo trasparente le parole dei soggetti intervistati, riportandole sotto forma di citazione e
interpretazione del ricercatore; la ricostruzione del percorso metodologico serve a delineare i margini
d’errore sui risultati raggiunti: attraverso il resoconto riflessivo del processo di costruzione della
documentazione empirica.

4. Osservazione partecipante e ricerca etnografica


L’osservazione partecipante è una forma particolare di osservazione non convenzionale; l’osservazione
scientifica è un’attività esclusivamente oculare disciplinata dal metodo e potenziata dalla tecnica.
L’osservazione è segnata da un guardare a distanza, una relazione in cui osservatore e osservato appaiono
separati.
L’osservazione partecipante è guardare e ascoltare, aprirsi a un’esperienza coinvolge l’occhio del ricercatore
e tutto il corpo. La distanza tra osservatore è oggetto delle osservazioni è inesistente: l’osservatore dentro
l’oggetto di cui tratteggia il profilo.
Ciò di cui un osservatore partecipa e può fare esperienza dipende dalle sue caratteristiche personali, dal
rapporto instaurato con il proprio oggetto d’osservazione. Bisogna dire che due ricercatori impegnati
nell’osservazione partecipante dello stesso oggetto, non avranno la stessa esperienza: ciascuno costruirà la
propria rappresentazione dell’oggetto con un contenuto è una plausibilità che dipenderanno dallo specifico
itinerario di ricerca seguito.
Diverse rappresentazioni dello stesso oggetto possono coincidere solo in parte in un rapporto di
complementarietà o di opposizione.
Con l’osservazione partecipante l’interazione sociale viene colta in un contesto naturale in cui l’osservatore
si immerge e impara a conoscere, sincronizzando il suo agire con l’agire delle persone che gli stanno
accanto, impara a conoscere vivendo con e come le persone che sta osservando.
La partecipazione è la chiave di questa esperienza, l’osservazione diretta, il dialogo e l’assunzione di un
ruolo che impone all’osservatore un processo di risocializzazione, l’apprendimento di valori norme e precetti
comportamentali della cultura che lo ospita; l’osservatore impara e mette alla prova la propria comprensione
di una cultura diversa.
È un’esperienza che si sviluppa in un arco di tempo esteso che permette di cogliere l’azione e l’interazione
sociale, permette di rappresentare i processi sociali e di accedere a una rappresentazione dinamica dei
fenomeni sociali.
I tratti essenziali di questa forma di osservazione furono delineati tra il 19 e 20 secolo; l’antropologia vide
nell’osservazione diretta dei fatti etnografici la via per affermare il proprio statuto di scienza. La paternità di
questa tecnica di ricerca si trova nell’introduzione ad “argonauti del pacifico occidentale” di Malinowski in
cui principi metodologici dell’osservazione partecipante trovano una sistematica codificazione ma,
Malinowski, non ricorre mai all’espressione osservazione partecipante, ma si riferisce a questa tecnica con le
espressioni osservazione diretta o ricerca sul campo. Sarà poi Edward Lindeman a proporre l’espressione
partecipante.
L’osservazione partecipante costituisce il cuore e il tratto distintivo della ricerca etnografica, è una tecnica
utilizzata in combinazione con altre tecniche, come osservazione documentaria, osservazione naturalistica,
intervista discorsiva, shadowing e focus group; è indispensabile che una parte non marginale della
documentazione empirica sia prodotta con l’utilizzo dell’osservazione partecipante (nella letteratura
metodologica contemporanea, il termine etnografia e l’espressione ricerca etnografica vengono utilizzati per
indicare in modo vago le diverse tecniche di ricerca qualitativa).
L’osservazione partecipante permette di ricostruire dall’interno il profilo culturale della società che ospita
l’osservatore; si cerca di comprendere il punto di vista dei “nativi”, che si coglie nelle loro parole e nelle loro
azioni; di comprendere le definizioni della situazione che orientano l’agire dei nativi. A questo si aggiunge
l’impegno a considerare anche ciò di cui i nativi non hanno consapevolezza, quindi dalla conoscenza dello
sfondo dell’interazione sociale al quadro d’insieme che compone le voci di una cultura.
I soggetti cui possiamo applicare questa tecnica sono i più diversi (dal villaggio di un’isola ad un’impresa ad
alta tecnologia) ciò che accomuna questi soggetti è l’accessibilità all’esperienza diretta del ricercatore e la
possibilità di una sua partecipazione. Questo permette l’osservazione partecipante e che la ricerca etnografica
si applica allo studio dei contesti sociali dai confini spaziali delimitati, che coincidono con l’estensione delle
forme d’interazione sociale al quale ‘osservatore ha facoltà di partecipare.
La forma che assume l’osservatore dipende da un insieme di fattori di cui fanno parte le caratteristiche
dell’oggetto osservato e le caratteristiche dello strumento osservativo: il ricercatore, gli eventi che si
succedono durante l’osservazione e che sollecitano l’osservazione e la partecipazione del ricercatore.
Kunda dice “la ricerca sul campo, è un lavoro personale è soggettivo ed è probabile che esistano tanti metodi
quanti sono i ricercatori”.
L’etnografia delle ricerche empiriche, offre un inventario ricco di percorsi di ricerca diversi tra loro, tracciati
combinando una serie di scelte dettate da intenti cognitivi e anche dalla mutevole configurazione degli eventi
che si succedono sul campo.
Nella ricerca etnografica ciò di cui l’osservatore può fare esperienza e di cui da conto nel testo, dipende dal
modo in cui ha condotto il proprio studio. Da ciò dipende la crucialità del metodo utilizzato, un metodo che
non può essere standardizzato.
Si possono mostrare le implicazioni di alcune tra le più comuni scelte di metodo sui risultati della ricerca. Il
lavoro sul campo impone a ognuno la responsabilità di tradurre in concrete operazioni di ricerca, la propria
personale sensibilità metodologica, ma impone anche di dar conto in modo analitico dell’itinerario di ricerca
seguito costruendo l’obiettività del proprio resoconto.
La sequenza delle decisioni metodologiche cui è chiamato l’osservatore partecipe si compone di quattro fasi:
elaborazione del disegno, costruzione della documentazione empirica, analisi dei risultati e comunicazione
dei risultati.
4.1.Il disegno della ricerca
In una ricerca etnografica l’elaborazione del disegno della ricerca procede con la conduzione dello studio, e
domanda cognitiva, oggetto di studi, la natura della relazione osservativa acquista forma dopo che la ricerca
è stata avviata.
Sono previste due decisioni cruciali: l’identificazione dell’oggetto o degli oggetti di studio, la scelta del ruolo
osservativo.

4.1.1. L’oggetto
Si può cominciare il lavoro sul campo solo quando l’oggetto dell’osservazione partecipante è stato
individuato.
Si hanno tre percorsi tipici che conducono all’identificazione dell’oggetto.
Il primo percorso muove da una domanda cognitiva specifica che guida il ricercatore nella scelta dell’oggetto
dal quale si attende una risposta.
Esempio Cardano. All’inizio Cardano voleva mettere a fuoco le caratteristiche di un fenomeno il
millenarismo laico; Quindi si è messo a cercare i millenaristi laici, senza successo. Durante questa ricerca ha
potuto definire meglio la domanda cognitiva dello studio che raggiunge la sua forma definitiva, cioè il
confronto tra due forme di sacralizzazione della natura: una laica e l’altra religiosa. Partendo da questo
obbiettivo ha iniziato a cercare due casi che rispondessero il più possibile hai requisiti di sacralizzazione
della natura laica e religiosa definiti su un piano tipicoideale. Cardano riconosce queste caratteristiche in due
comunità: gli Elfi del Granburrone, e Damanhur.

Il secondo percorso parte dall’oggetto che, una volta osservato, consegna al ricercatore la domanda cognitiva
che riguarda l’oggetto o che contribuisce alla definizione dell’oggetto.
Esempio di Kunda sulla Tech. Nell’appendice metodologica del testo di Kunda, l’autore confessa di essersi
avvicinato alla Tech spinto da una curiosità generica: “…ero alla ricerca di una grande impresa che
rappresentasse un microcosmo di cultura americana e un terreno di prova per la mia metodologia”; alla Tech
Kunda raccoglie molto materiale empirico di cui non sa cosa chiedere!

Il terzo percorso vede la domanda cognitiva e l’oggetto delineato dall’inizio della ricerca.
Esempio di Humphreys alla Tearoom Trade. Si tratta di una ricerca su di una forma d’interazione faccia a
faccia; i rapporti sessuali impersonali che avvengono nei bagni pubblici; l’interesse di Humphreys viene
espresso attraverso la domanda cognitiva che indica il setting osservativo cioè il bagno pubblico.

Ogni percorso ha i suoi pro e i suoi contro in base alla scelta dell’itinerario di ricerca.
Nell’individuazione dell’oggetto bisogna tener conto di due elementi, uno pratico e uno epistemico.
L’elemento pratico attiene alla sostenibilità emotiva della relazione osservativa in cui si viene coinvolti;
qualunque sia la forma di osservazione adotta (coperta o scoperta) bisogna che le caratteristiche personali
dell’osservatore e dei suoi ospiti non pregiudichino la possibilità di una convivenza gradevole. Non si può
fare osservazione partecipante se non ci si trova bene nella cultura in studio, né ci si può illudere di tenere
sotto controllo le sensazioni di disagio perché si utilizzerebbero sforzi ed energie che verrebbero tolte alla
ricerca.

Il rapporto tra gli attributi di maggior visibilità dell’osservatore (genere, età, etnia, profilo della cultura) è da
considerare nella dimensione della relazione osservativa; è necessario che questi attributi consentano
all’etnografo di partecipare alle attività che ritiene rilevanti, senza creare disagio.

L’elemento epistemico riguarda il tema della generalizzabilità dei risultati ottenuti dallo studio dei casi.
Vi sono diverse posizioni rilevanti che emergono dal dibattito metodologico.
La prima posizione è quella di Stake, che sostiene che lo scopo dello studio di un caso non sia la produzione
di conclusioni generali, ma si tratta di definire le “intrinsic case study”, le cui finalità si esauriscono nella
messa a fuoco delle caratteristiche dell’oggetto su cui si incentra l’attenzione del ricercatore.

La proposta di Stake trova una giustificazione quando il caso che si sta studiando risulti interessante per sé,
questo accade quando il caso che si analizza è rilevante sul piano politico, sociale o economico.

La seconda posizione è espressa da Connoly, che parte dalla distinzione tra studi estensivi, ai quali
toccherebbe il compito di individuare le relazioni causali statisticamente significative, generalizzabili, e gli
studi intensivi, hai quali toccherebbe il compito di ricostruire in dettaglio i meccanismi che legano causa ed
effetto.

Connoly sottrae allo studio del caso la responsabilità della generalizzazione, ma attribuisce ad essi il compito
della generalizzazione, la spiegazione attraverso i meccanismi delle correlazioni la cui significatività
statistica è stata dimostrata da altri studi.

La terza posizione attribuisce agli studi dei casi una funzione riconducibile alla forma meno nobile di
inferenza, la semplice enumerazione; la capacità del singolo studio di caso ricostruire un sapere
generalizzante risiede sul contributo della più vasta comunità scientifica. I risultati maturati dallo studio di
una comunità esoterica possono contribuire alla costruzione di un inventario di una casistica delle forme
possibili di quella peculiare esperienza spirituale.

La quarta posizione riguarda il passaggio dalla generalizzabilità alla trasferibilità, una posizione difesa da
Guba e Lincoln; questa posizione costruita intorno alla nozione di trasferibilità, identifica diverse procedure
con le quali il richiamo alla generalità viene perseguita e difesa esclusivamente con strumenti retorici. La
nozione di trasferibilità esprime la misura nella quale gli asserti costruiti all’interno di uno specifico contesto
di ricerca possono essere applicati ad altri contesti.

I due studiosi insistono sul legame che si instaurano le tecniche di ricerca qualitativa tra gli asserti e i contesti
empirici in cui gli asserti hanno preso forma. Questo sapere non può essere applicato ad ogni contesto; la sua
applicazione ad altri contesti è condizionata dal potere persuasivo degli argomenti con cui mostra la sua
somiglianza tra i contesti oggetto di studio e i contesti nei quali si intende applicare i risultati di studio.

La quinta posizione, riguarda la costruzione deduttiva di un sapere generalizzante, una posizione difesa da
Znaniecki e Mitchell; l’esempio è costituito da una ricerca basata sulla combinazione d’interviste strutturate
e discorsive, sugli operai del distretto di Luton, ricerca svolta da Goldthorpe, Lockwood, Bechhofer e Platt.

La logica di questo processo inferenziale parte da una teoria T, di cui s’intende mostrare l’implausibilità.
T istituisce una relazione tra due classi di proprietà A e B, A implica B (A->B), un sotto insieme delle
proprietà della classe A (a), implica B, cioè a -> B. La teoria considerata individuava un insieme di
condizioni tecniche, sociali e culturali (appartenenti alla classe A), questo insieme di condizioni è
responsabile dell’imborghesimento della classe operaia (l’insieme delle proprietà della classe B).

La teoria T viene sottoposta a controllo su di un caso C, in cui le proprietà della classe A sono presenti nel
maggior numero e con maggior intensità, in modo che la teoria <T:A->B> disponga delle migliori
opportunità di corroborazione. Se nel caso C si osserva che A non implica B allora si può sostenere che B
non c’è dove le proprietà della classe A si presentano in minor numero e con minore intensità, cioè in tutti i
casi diversi dal caso critico C.
Questo implica la falsificazione di T e la generalizzazione all’universo dell’enunciato “non (A>B)”. La teoria
sottoposta a controllo guida la selezione dei casi individuati in ragione del loro potere esplicativo e non per la
loro tipicità.

La fondatezza delle conclusioni e la legittimità della generalizzazione dipendono dalla inconfutabilità


dell’argomentazione retorica, dalla solidità dei legami costruiti tra teoria e termini osservativi, dalla capacità
del caso empirico di rappresentare le condizioni critiche indicate dalla teoria. La validità dell’estrapolazione
dipende dall’inconfutabilità dell’argomentazione retorica.

4.1.2. La forma della partecipazione


L’osservazione partecipante può essere condotta assumendo diversi ruoli osservativi; osservazione coperta,
cioè vivere in incognito nella comunità che si vuole studiare; osservazione scoperta, cioè rivelare la propria
identità di osservatore alla comunità che si vuole studiare.
La forma impressa alla partecipazione determina i contenuti dell’esperienza che l’osservatore può vivere sul
campo.
La scelta tra osservazione coperta e osservazione scoperta ha conseguenze metodologiche alle quali si
sovrappone un problema etico: è legittimo condurre una ricerca scientifica su un gruppo di persone senza
chiedere loro il consenso?
Esistono dei pro e dei contro in entrambe le forme di osservazione.
I pro dell’osservazione coperta sono:

• Guardiani. Nell’accesso al setting l’osservatore non è costretto a passare sotto le forche caudine dei
cosiddetti guardiani, persone che si assumono la responsabilità di proteggere il gruppo di cui fanno
parte dall’intrusione di estranei.

• Reattività. L’osservazione coperta riduce l’effetto Hawthorne, l’alterazione del comportamento


osservato dovuto alla presenza di un osservatore.

• Competenza. L’osservatore che osserva in incognito può acquisire la competenza propria del ruolo
che ricopre.

I contro dell’osservazione coperta sono:

• Rigidità. L’osservatore coperto ha poche possibilità di movimento sul campo, potrà osservare,
ascoltare e domandare nella misura consentita dal ruolo che ricopre.

• Coinvolgimento. L’osservazione coperta riduce la capacità dell’etnografo di distanziarsi dall’oggetto


di studio.

• Commiato (separazione). È difficile prendere commiato, separarsi, dai propri ospiti nei tempi e nei
modi previsti nel proprio programma di ricerca.

• Pubblicazione. L’osservazione coperta può creare problemi all’etnografo nel momento in cui decide
di pubblicare i risultati della propria ricerca; è costretto a pagare il prezzo del tradimento e della
fiducia che gli interlocutori avevano riposto in lui.

I pro e i contro dell’osservazione coperta diventano i punti deboli e i punti di forza dell’osservazione
scoperta con alcuni aggiustamenti.
Pro dell’osservazione scoperta sono:

• Flessibilità.
• Distacco.

I contro dell’osservazione scoperta sono:

• Guardiani. L’osservazione scoperta impone al ricercatore le difficoltà del rapporto con i guardiani,
l’osservatore dovrà convincere i guardiani che la sua presenza e la ricerca che intende svolgere non
costituiranno disagio. Il problema dei guardiani ha un peso diverso in ragione della consistenza
numerica della popolazione in studio e delle sue specificità culturali. I guardiani possono essere
convinti attraverso la mediazione dei mediatori culturali.

• Manipolazione strumentale. Una malintesa percezione della figura dello scienziato sociale costituisce
la fonte di un fattore di rischio che espone l’osservazione scoperta, può infatti accadere che le
persone su cui si attua l’osservazione percepiscano la ricerca come un’occasione per ottenere “buona
stampa” è diffondono un’immagine finta e migliore della propria cultura; questa insidia può essere
controllata aumentando i tempi del proprio soggiorno, poiché prima o poi gli individui osservati
saranno costretti a mostrare gli aspetti meno edificanti della loro cultura.

• Reattività. Il problema della reattività viene sottolineato da coloro che preferiscono altre forme di
osservazione; può accadere che nei gruppi caratterizzati da una spiccata cultura dell’ospitalità, la
figura dell’osservatore diventa prima o poi parte dello sfondo della scena culturale, permettendo hai
nativi di condurre un’esistenza normale. Il problema della reattività diventa trascurabile quando
l’oggetto di studio è costituito da una popolazione numerosa è dispersa su un vasto territorio dove
non tutti possono essere della presenza del nuovo elemento.

• Arbitrato. Possono sorgere problemi anche da una corretta percezione dell’osservatore, visto come
una persona colta, al di sopra delle parti che possiede una conoscenza discreta della cultura che sta
osservando; all’osservatore, però, può essere richiesto di prendere una posizione all’interno di una
discussione all’interno della comunità, discussione che vede scontrarsi due gruppi con idee
completamente opposte; prendere posizione per uno o l’altro gruppo comprometterebbe i legami
costruiti con i membri dei due gruppi, mentre, non prendere posizione susciterebbe il malumore
generale.

4.2.La costruzione della documentazione empirica


4.2.1. L’accesso, guadagnare la fiducia dei “nativi”
Una volta definiti l’oggetto di studio e la forma di partecipazione, inizia il lavoro sul campo, per cui,
l’osservatore diventerà parte della società che intende studiare, sottoponendosi al processo di integrazione
che spetta ad ogni nuovo membro della comunità; dovrà, inoltre, negoziare i tempi e i modi della propria
ricerca alla comunità che intende osservare.
L’osservatore deve conquistarsi la fiducia dei guardiani, perciò è importante che arrivi preparato,
consultando tutti i documenti naturali e la letteratura scientifica che riguardano la comunità oggetto di studio,
in questo modo, l’osservatore può affrontare l’incontro con i guardiani persuadendoli con le informazioni
apprese sulla comunità e perché dimostrerà un interesse genuino per l’approfondimento di tali conoscenze, in
più, l’aver esaminato i documenti naturali e il materiale scientifico da parte dell’osservatore, gli permette di
individuare i mediatori culturali.
I mediatori culturali sono delle persone che godono della fiducia della popolazione che si sta studiando e che
l’osservatore può avvicinare facilmente; è una persona con legami solidi con entrambe le culture protagoniste
dell’incontro etnografico.
I mediatori culturali, nella ricerca sociale, sono coloro che presentano l’osservatore ai guardiani e che
cercherà di rassicurare questi ultimi riguardo l’osservatore.
Dato che il mediatore culturale gode della fiducia della comunità che si sta studiando, la scelta del mediatore
culturale va fatta prendendosi molto tempo e considerando più candidature.
La negoziazione è un rito di inversione di status, infatti, l’osservatore diventa oggetto di osservazione dei
“nativi” che cercano di capire se possono fidarsi; una buona presentazione da parte dell’osservatore può
aiutare a velocizzare questa valutazione ma è necessario che l’osservatore sia il più discreto possibile e che
mostri un interesse umano per la cultura in studio e che si prenda tempo, infatti, è bene non imporre ai
guardiani una decisione affrettata, che potrebbe risultare avversa nei confronti dell’osservatore.
È necessario prendere nota dei primi contatti con la cultura attraverso il mediatore, l’analisi del modo di fare
di una società e del modo di affrontare la situazione del nuovo arrivato, mostra delle caratteristiche della
cultura stessa.

4.2.2. Il lavoro sul campo


La ricerca etnografica si compone di diverse operazioni quotidiane che si susseguono e si ripetono con un
andamento circolare. La domanda cognitiva orienta il lavoro sul campo ma viene modellata essa stessa dal
lavoro sul campo.
Il lavoro sul campo rende disponibili materiali per l’analisi e, l’analisi di questi materiali orienta nuovamente
il lavoro sul campo.
La scrittura da strumento di rappresentazione dei risultati consolidati nel rigore dell’analisi, diventa a sua
volta strumento di ricerca che portano alla produzione di nuovi asserti etnografici.
Per fare in modo che questo ciclo della ricerca etnografica funzioni, occorre che l’analisi e la scrittura si
aprano un varco all’interno dell’osservazione rendendola acuta e penetrante. Il cuore del lavoro sul campo è
costituito dall’osservazione partecipante, alla quale si affidano altre tecniche di ricerca.
Ciò di cui l’osservatore fa esperienza e che osserva durante l’osservazione viene trascritto nelle note
etnografiche, in cui l’esperienza dell’osservatore viene cristallizzata attraverso il processo di trascrizione,
all’interno di un documento che guiderà l’interpretazione della cultura in studio.
Le forme di osservazione partecipate si evolvono durante il lavoro sul campo, e possiamo distinguere tre
passi legati da una relazione circolare:

• Osservazione descrittiva, con la quale il ricercatore si guarda intorno e cerca di capire dove i suoi
interessi di ricerca lo hanno condotto

• Osservazione focalizzata, segue all’osservazione descrittiva, l’osservatore dirige lo sguardo su una


particolare forma di interazione sociale, su un aspetto specifico di quella cultura; questa messa a
fuoco su un dettaglio impone un ripensamento sulla raffigurazione del quadro d’insieme che contiene
il dettaglio che si mette a fuoco, da qui vi è il succedersi ciclico di osservazione descrittiva e di
osservazione focalizzata

• Osservazione selettiva, dopo l’osservazione focalizzata si passa all’osservazione selettiva quando


cresce il grado di dettaglio richiesto e diventa necessaria qualche forma di strutturazione dell’attività
osservativa.

In osservazione vi è una forma particolare di dialogo, il Backtalk, cioè l’insieme delle indicazioni e dei
commenti “nativi” che sono riferiti alla relazione osservativa, alle interpretazioni della cultura che vengono
elaborate dall’osservatore; fanno parte anche i commenti ottenuti spontaneamente dai membri della comunità
oggetto di studio, e anche i commenti che vengono sollecitati dall’osservatore durante i colloqui informali.
I commenti verbali offrono all’osservatore l’opportunità sottoporre a scrutinio critico le procedure
osservative di cui si è servito per le interpretazioni della cultura; una domanda o una presenza che membri
della comunità giudicano come inopportuna, ci impone di prestare attenzione a quello specifico atto
osservativo per poi decidere di non farvi più ricorso.
I commenti degli individui della comunità che stiamo studiando sulle interpretazioni della loro cultura che
costruiamo e decidiamo di comunicare loro, offrono nuovo materiale empirico sul quale riflettere e questo
vale sia per i commenti a sostegno della nostra interpretazione, sia per i commenti contro
quest’interpretazione.
Bisognerà considerare il commento nel merito, recependolo come prova della correttezza o della falsità del
resoconto, o come l’analisi della documentazione empirica. I Backtalk posso essere prove utili a decretare
l’appropriatezza o l’inappropriatezza di un asserto solo quando questi è di tipo descrittivo. Se viene
contestata la nostra interpretazione il commento, la forma e gli argomenti ci impongono di ripensare alla
nostra interpretazione e riformularla o ribadirla su basi ancora più solide.

4.2.3. Osservazione descrittiva


La prima fase dell’osservazione partecipante è la descrizione comprensiva della cultura; e come se
osservassimo la vita quotidiana degli individui che osserviamo attraverso un obbiettivo con un angolo di
campo molto ampio.
Si direbbe un compito semplice perché all’osservatore è richiesti di guardarsi intorno per poi descrivere delle
proprie note etnografiche ciò che vede, ascolta e di cui fa esperienza; la descrizione in realtà non è una
faccenda di osservazione e riporto: la descrizione è l’esercizio di una scelta nella selezione all’interno di un
insieme infinito di asserti descrittivi possibili, di un sotto insieme di asserti rilevanti.
L’osservazione della cultura deve essere preceduta è accompagnata da una riflessione teorica per rendere
espliciti i criteri che orientano la selezione degli asserti descrittivi. La pertinenza di un criterio si definisce in
relazione alla domanda conoscitiva, quindi, è evidente che a diverse ricerche corrispondano famiglie distinte
di criteri di rilevanza; è possibile individuare se non dei criteri di rilevanza comuni, alcuni luoghi di cui una
buona descrizione di una cultura dovrebbe dar conto:

• Spazio: le caratteristiche geografiche è ambientali del luogo in cui i soggetti vivono, ma è anche la
geografia dello spazio sociale (ad esempio la gerarchia sociale dei luoghi)

• Tempo: la storia o gli eventi della cronaca più recente che hanno coinvolto gli individui, gli aspetti
più evidenti e meno controversi della rete di regole che governa il tempo sociale

• Attori: il numero degli individui di una comunità, il loro profilo sociodemografico, il numero, il
profilo e il ruolo di coloro che occupano una posizione preminente, accanto alla consistenza e al
profilo dei soggetti più marginali

• Attività principali: sono identificate e connotate sulla base delle dimensioni precedenti, spazio, tempo
è attori.

4.2.4. Osservazione focalizzata


Delineati i contorni della cultura in studio si procede nell’analisi di alcuni suoi luoghi. L’osservazione
descrittiva consegna alla fase del lavoro etnografico che le succede, una domanda conoscitiva diversa da
quella da cui è partita la ricerca.
Questa nuova domanda reindirizza l’individuazione del luogo della cultura su cui concentrare l’attenzione.
Si riconoscono due percorsi possibili tra i quali bisogna scegliere.
Il primo percorso è basato sulla salienza, va verso l’approfondimento di un tema, come la composizione dei
conflitti intrasocietari o l’esperienza del sacro nel rito o nella festa.
Il rilievo del tema prescelto può discendere da considerazioni teoriche ma può anche emergere dalle
indicazioni dei nativi che riconoscono nel tema una dimensione cruciale della loro cultura o di un loro
dubbio.
Individuato il tema è opportuno un ri-esame di tutte le principali “scene” della cultura che si sta studiando; se
il nostro soggetto di studio è una piccola comunità rurale è il focus dell’osservazione è costituito
dall’esperienza del sacro, segue che l’osservatore che non si occupa esclusivamente dell’espressioni rituali
per prestare attenzioni alla vita comunitaria del suo complesso, alla ricerca, del tema prescelto.
A questa osservazione trans-situazionale è opportuno far seguire l’analisi approfondita di alcuni luoghi
specifici della cultura che sembrino particolarmente promettenti.
Il secondo percorso è basato sulla sineddoche è più affascinante ma più insidioso; l’analisi di un aspetto
specifico della cultura ospite non coincide con l’approfondimento di un particolare tema.
La “parte” viene eletta espressione del tutto, metafora della personalità, metafora delle relazioni sociali che
improntano l’intera cultura.
Questa linea di ricerca espone l’osservatore al rischio di scivolare senza accorgersene dall’interpretazione
alla sopra-interpretazione della cultura, piegata a un progetto interpretativo troppo ambizioso. Pericolo
evitabile con un confronto precoce con i colleghi e con i nativi. Indifferentemente dalla direzione impressa
all’osservazione focalizzata ebbene ripetere più volte le osservazioni dalle quali dipende l’interpretazione
della cultura che ci si accinge a costruire.

4.2.5. Osservazione selettiva


L’osservazione selettiva è lo strumento utilizzato dall’osservatore nel momento in cui le domande
conoscitive trovano risposta solo attraverso una formalizzazione o quantificazione delle procedure
osservative. Questo succede quando si vuole procedere ad un controllo di un’ipotesi relativa ad aspetti ben
circoscritti dell’interazione sociale (struttura della rete sociale che lega i membri di un piccolo gruppo,
correlazione tra espressioni di deferenza e di contegno all’interno di un’organizzazione gerarchica).
Il ricercatore diventa un osservatore completo, cioè escluso dalla partecipazione alle relazioni sociali; questa
forma di osservazione mostra sovrapposizione con l’osservazione naturalistica strutturata, condotta
muovendo da una griglia di lettura dell’interazione sociale ben definita nei tempi e nei modi.
L’applicazione di questi strumenti richiede di prendere nota dei comportamenti osservati in forma di semplici
conteggi e in forme più sofisticate, come matrici nelle quali vengono rappresentate le relazioni tra soggetti
osservati.
L’esposizione in sequenza delle procedure osservative, non deve ingannare! Nella ricerca etnografica queste
procedure si susseguono senza un ordine preciso, ma l’ordine in sé è dettato dalle esigenze conoscitive che
emergono durante l’osservazione stessa. Tutto ciò che vede l’osservatore viene unito nei suoi appunti
insieme alle notizie raccolte dai propri informatori o nel corso delle interviste formali e informali.

4.2.6. Gli informatori


Nella ricerca etnografica, in antropologia, è comune ricorrere a informatori nativi con i quali l’osservatore
stabilisce un rapporto privilegiato e dai quali riesce ad ottenere informazioni utili per la ricerca che sta
conducendo.
L’informatore nativo diventa testimone privilegiato, che per assolvere pienamente la sua funzione deve avere
un ruolo all’interno della comunità, deve conoscere i temi su cui si sta basando l’osservazione etnografica,
deve essere disponibile alla cooperazione, deve avere capacità di comunicare le sue conoscenze e deve essere
imparziale.
L’osservatore, oltre che all’informatore nativo, può contare sugli informatori istituzionali, che sono per la
comunità che si osserva, coloro che non fanno parte della comunità; l’investitura può precedere o coincidere
con l’arrivo dell’osservatore, senza modificare il rapporto che l’osservatore e l’informatore formale avranno.
Di solito gli informatori formali coincidono con il ruolo di guardiani, e dimostrano di identificarsi con il
gruppo dominante e non danno sempre prova di senso critico; questo espone il ricercatore al pericolo di
manipolazione strumentale.
Gli informatori non istituzionali, non possiedono un’investitura e sono persone che si offrono
spontaneamente a collaborare. Bisogna tenere conto del fatto che, in questi casi, l’informatore non sia ben
informato, infatti la presenza dell’osservatore attira a sé persone che occupano una posizione marginale nella
società e che riconoscono nell’osservatore la persona che li ascolterà.
Questo porta a due considerazioni:

• Il rapporto privilegiato apre alcune porte della società, ma non tutte, dunque è bene consolidare la
relazione con un informatore solo dopo aver soggiornato qualche tempo nella società che si andrà ad
osservare, quando l’immagine della comunità finirà di essere vaga e si comprende quali aspetti ci
interessa approfondire.

• L’informatore e il rapporto che si instaura tra egli e l’osservatore è parte integrante della relazione
osservativa e deve essere sottoposta a scrutinio, bisogna capire qual è la posizione sociale
dell’informatore e quali sono le ragioni che lo spingono a collaborare.

4.2.7. Le note etnografiche


La documentazione empirica viene costruita ogni giorno attraverso la stesura delle note etnografiche,
all’interno delle quali vi è registrato ciò che l’osservatore ha appreso dai propri informatori, dalle persone
che ha intervistato.
Le note etnografiche raccolgono due tipi di informazioni: il primo tipo relativo all’oggetto, alla cultura in
studio; il secondo tipo relativo alla relazione osservativa, al rapporto che l’osservatore ha con gli informatori,
una informazione utile a qualificare la plausibilità di ciò che saranno le conclusioni dell’osservazione
attraverso l’analisi e la scrittura.
Bisogna dedicare una eguale porzione di tempo sia alle note etnografiche sia all’osservazione sul campo, ma
è necessario registrare alcuni elementi che accadono durante l’osservazione, per cui è opportuno che
l’osservatore abbia un taccuino sul quale prendere appunti durante l’osservazione, appunti che serviranno,
dopo, per la stesura delle note etnografiche.
Tre sono i principi che guidano la stesura delle note etnografiche:

• Il principio della discrezione, cioè il separare le fonti, gli oggetti, il tipo di discorsi, di asserti, le
sfumature linguistiche, i contesti osservativi. La prima distinzione riguarda l’oggetto del resoconto

• Il principio della concretezza

• Il principio della ridondanza

4.2.8. La descrizione della cultura


Le note etnografiche sono il frutto di una continua mediazione tra il modo di pensare, la lingua e la cultura
dell’osservatore, e i membri della società osservata. Il principio di distinzione richiede al ricercatore di fare
ordine all’interno delle note etnografiche; il principio di concretezza richiede di utilizzare un linguaggio
vicino all’esperienza quotidiana; il principio della ridondanza richiede di non affidarsi troppo alla sola
memoria.
Principio della distinzione.
1. Bisogna prendere nota del contesto che ha reso possibile l’acquisizione dei materiali, distinguere il
discorso diretto da quello indiretto; equivale ad un resoconto sotto forma di discorso indiretto in cui
le parole o le frasi vengono attribuite agli interlocutori attraverso virgolette o qualsiasi altro segno
grafico. Le note etnografiche devono riflettere le medesime differenze di usi linguistici che
caratterizzano la società osservata.

2. La descrizione di una scena sociale, o la sintesi di un colloquio, necessita che tutti gli attori sociali
coinvolti siano identificati, magari all’inizio con appellativi vaghi, e in seguito con i nomi.

3. Le dimensioni implicite, le espressioni indicate nei discorsi dei soggetti devono essere identificate ed
esplicate, separando con un segno grafico la propria interpretazione dal resto del testo.

4. Il resoconto degli eventi ai quali si assiste in prima persona deve essere distinto dai resoconti ottenuti
dagli informatori, anche nelle conversazioni bisogna specificare se si è preso parte come
interlocutore o come uditore.

5. Il Backtalk, cioè i giudizi dei soggetti in studio devono essere riconoscibili e separabili dalla
documentazione empirica, devono essere corredati della descrizione del contesto che ha permesso la
loro produzione.

6. Le interpretazioni teoriche della cultura in studio, devono essere separati dal resoconto descrittivo e
facilmente individuati (attraverso l’uso di finestre e riquadri).

Principio della concretezza. È opportuno utilizzare un linguaggio concreto che non induca l’astrazione.
Principio della ridondanza. È legato al principio di concretezza, richiama la necessità delle descrizioni in cui
nulla viene dato per scontato; le note etnografiche devono essere redatte come se alla loro lettura ci si
dovesse dedicare dopo anni dall’osservazione.

4.2.9. La descrizione della relazione osservativa


“nessuno si sognerebbe di dare un contributo sperimentale alla fisica o alla chimica senza fornire un
resoconto dettagliato di tutti i preparativi degli esperimenti e una descrizione esatta degli strumenti utilizzati,
del modo in cui le osservazioni sono state condotte, del loro numero, della quantità di tempo a essa dedicate
e del grado di approssimazione con cui è stata eseguita ciascuna misurazione”. (Malinowski)
Se l’etnografo vuole che le proprie interpretazioni vengano prese sul serio, non può contare solo sulla propria
reputazione di scienziato sociale; perché la comunità scientifica possa valutare la plausibilità degli asserti
formulati nel resoconto etnografico, il ricercatore dovrebbe accompagnare i propri risultati da un resoconto
riflessivo sulle condizioni che hanno condotto alla loro produzione.
La questione della plausibilità dei testi si pone nel momento in cui l’etnografo inizia la stesura del resoconto,
dunque, è necessario che si arrivi a quel momento preparati prendendo nota ogni giorno delle condizioni in
cui si conduce la ricerca.
Questo continuo prendere nota permette di qualificare la solidità empirica degli asserti etnografici, restituiti
al contesto della loro produzione, e di corredare ciascuna delle conclusioni cui si arriva di una stima del loro
grado di incertezza.
È opportuno raccogliere una valutazione sintetica sull’efficacia dei metodi di ricerca adottati, insieme ad un
elenco delle domande conoscitive che non trovano una risposta all’interno della documentazione empirica.
Le note etnografiche sono scritte a beneficio dell’osservatore che ne farà uso nel corso dell’analisi.
Riquadro 4.1
È necessario che durante la stesura delle note etnografiche, l’attenzione per la forma in cui vengono scritte
non prenda il sopravvento. È importante iniziare l’analisi della documentazione empirica man mano questa
viene raccolta. La lettura degli appunti di campo offre l’opportunità di completare e rettificare le
informazioni raccolte in precedenza.
Dato che le note etnografiche contengono i risultati di mesi di lavoro, bisognerebbe avere due copie di questi
testi. In una ricerca condotta utilizzando in modo prevalente o meno l’osservazione partecipante, le note
etnografiche costituiscono la base empirica su cui poggiano i principali risultati cui giunge lo studio.
Questi materiali tramandano per intero il loro significato solo all’osservatore, poiché evocheranno
nell’osservatore ricordi specifici di un’esperienza personale, che solo l’autore può ricomporre. Questa è una
delle prerogative e uno dei limiti della ricerca etnografica, cioè il fatto di fondare gli asserti su cui si basa la
ricerca, su una base empirica che non può essere compresa del tutto da coloro che non hanno contribuito alla
sua costruzione. Questo è una dei tratti costitutivi dell’osservazione partecipante, della ricerca etnografica.
Se l’obiettivo di una piena intersoggettività non può essere perseguito, allora bisogna conferire una maggiore
solidità a quei materiali attraverso la presenza di un dettagliato resoconto riflessivo che dia conto delle
procedure osservative utilizzate e le caratteristiche dello strumento osservativo dell’equazione personale
dell’osservatore.
Il resoconto delle procedure osservative permette di cogliere il profilo dell’osservatore e di qualificare la
plausibilità delle informazioni che contiene la documentazione empirica.
La ricostruzione dell’equazione personale dell’osservatore-autore è l’aspetto più problematico del resoconto
riflessivo. Se si riconosce che ogni rappresentazione di una cultura è rappresentazione da uno specifico punto
di vista, non sarà difficile riconoscere i vantaggi del lettore nella comprensione della prospettiva
dell’osservatore, prospettiva con la quale ha osservato e rappresentato la cultura in studio.
È un’impresa il cui successo è parziale ma che bisogna intraprendere, confidando nelle capacità del lettore di
cogliere il punto di vista dell’osservatore. All’autore rimane la responsabilità di facilitare l’esercizio di
questo sapere indiziario mostrandosi riconoscibile nel testo. Le informazione che l’autore dovrebbe fornire al
lettore, riguardano la propria appartenenza ad una specifica tradizione di ricerca e il proprio orientamento di
valore, comunicando i parametri della propria equazione personale, quindi: l’orientamento teorico e
metodologico che ispira il suo lavoro, il prorio orientamento di valore e la relazione tra i valori che lo abitano
e i valori che ispirano la cultura sotto osservazione, le principali coordinate emotive della propria esperienza
sul campo, cioè la reazione all’oggetto, i costi emotivi sostenuti con la partecipazione alla vita degli individui
osservati e i risvolti positivi del lavoro sul campo.
Alcuni aspetti della personalità dell’autore si mostrano nel testo o in maniera definita o in maniera meno
evidente, come l’orientamento teorico e metodologico; tutto ciò dovrebbe essere reso il più chiaro possibile
nella separazione tra modelli teorici e documentazione empirica.

4.2.10. Accanto all’osservazione partecipante: il ricorso ad altre tecniche di osservazione


Il setting di una ricerca etnografica, oltre l’osservazione partecipante, utilizza altre tecniche di costruzione
della documentazione empirica come intervista discorsiva, osservazione documentaria, osservazione
naturalistica, shadowing, focus group ed esperimenti naturali.
L’etnografo utilizza questi strumenti in modo informale, o casuale; l’intervista, il focus group e lo shadowing
possono essere utilizzate per intervistare i soggetti durante una normale conversazione; allo stesso modo
l’etnografo può sollecitare un gruppo naturale ala discussione di un tema di suo interesse.
L’utilizzo di più tecniche di ricerca può conferire maggior solidità ai risultati ottenuti con l’osservazione
partecipante.
4.3.L’analisi della documentazione empirica
L’analisi della documentazione empirica accompagna tutte le fasi del lavoro etnografico; è con l’analisi della
documentazione empirica che si realizza il passaggio dai costrutti del prim’ordine (linguaggio dei nativi) ai
costrutti di secondo ordine (linguaggio, categorie concettuali della teoria sociologica).
Con l’analisi della documentazione empirica inizia un processo di traduzione di una cultura nei termini di
un’altra cultura; dalla traduzione, l’analisi della documentazione etnografica è un processo creativo di
ricostruzione. Un’arte che ha il proprio paradigma nella combinazione di creatività e rigore, simile
all’architettura.
La creatività è sottoposta ad un insieme di vincoli dettati dall’oggetto e dal contesto di recezione. Simili sono
i vincoli che insistono sul processo di costruzione di una rappresentazione plausibile della cultura in studio;
bisogna fare in modo che il punto di vista, dal quale l’etnografo ritrae la cultura che sta osservando,
contribuisca a sottolineare piuttosto che a offuscare gli aspetti rilevanti.
Occorre che la comunità scientifica disponga degli strumenti necessari per valutare la plausibilità di quella
rappresentazione. Queste osservazioni dovrebbero definire il tono dei suggerimenti e delle proposte sulle
procedure di analisi.
L’esito necessario e obbligato di una buona analisi della documentazione empirica non è la corroborazione di
ipotesi decisive per lo sviluppo della disciplina, la costruzione di un sofisticato modello teorico, la
definizione di reti estese di nessi tra asserti; né gli obiettivi per definire qualitativamente buona una ricerca
empirica sono la messa a punto di una tipologia o di una tassonomia.
Il ridimensionamento degli obiettivi dell’analisi fa il paio con un’altra osservazione relativa alla
documentazione empirica raccolta. L’analisi e la scrittura non devono dar conto di tutti i particolari
dell’osservazione poiché i particolari non ci convincono di nulla che meriti essere oggetto di convinzione.
Con l’analisi il processo di selezione dei particolari individuati in ragione della loro capacità di dialogare con
la teoria in cui saranno inscritti e di cui contribuiranno a definire il profilo.
Per procedere all’analisi della documentazione empirica, bisogna dire che la lettura di questi testi suscita
l’idea rassicurante di poter contare su un itinerario di ricerca collaudato, e un disagio nutrito dal sospetto gli
elementi illustrati altro non sono che gli elementi dell’esposizione del personalissimo modus operandi
dell’osservatore che ha scritto i testi.
Questo modello è efficace perché mostra come l’osservatore ha affrontato e risolto alcuni problemi
nell’analisi profilatasi nel corso delle ricerche che ha condotto.
La documentazione empirica ottenuta con l’analisi del lavoro di osservazione partecipante è costituita dalle
note etnografiche, in cui confluisce il resoconto delle attività quotidiane cui l’etnografo ha preso parte, le
riflessioni personali dell’osservatore e l’auto-descrizione riflessiva del proprio lavoro.
I protocolli dell’osservazione selettiva si prestano a procedure di analisi formalizzate che includono anche un
qualche grado di quantificazione. L’analisi di questi materiali può essere condotta ricorrendo a strumenti
della statistica.

4.3.1. L’analisi narrativa della documentazione empirica


L’analisi narrativa delle note etnografiche avviene attraverso la lettura e la classificazione; occorre leggere
più volte le proprie note etnografiche per poi cercare di dar loro un ordine classificandone i temi, gli attori, le
situazioni e tutti gli altri elementi che emergono dall’analisi dei materiali. Uno degli strumenti per la
classificazione dei materiali è il modello del tipo ideale.
In chiave tipico-ideale è possibile classificare gli attori sociali, le forme di interazione, ma anche alcuni tratti
della cultura che la contraddistinguono, l’eidos e l’ethos. Il processo di costruzione di una cornice teorica può
ricevere un impulso dalla grammatica dell’immaginazione sociologica di Mills, la combinazione di una
tipologia o di una tassonomia delle classificazioni semplici tratte dalla lettura delle note etnografiche.
Queste operazioni possono essere condotte con carta e penna e con Computer-Aided Qualitative Data
Analysis Software (CAQDAS); questi strumenti danno l’opportunità di trarre conclusioni dalla
documentazione empirica di cui si dispone il meno possibile, viziate dalle fallacie inferenziali che gravano
sul senso comune e sul ragionamento scientifico, in particolare, che gravano sulle distorsioni dovute
all’impiego dell’ euristica della disponibilità, che interferisce nella formulazione dei giudizi relativi alla
frequenza o alla probabilità di eventi come un rituale di deferenza, un processo decisionale, un’espressione
che punteggia il linguaggio dei nativi.
La formulazione di questi giudizi è influenzata dalla disponibilità cognitiva delle informazioni pertinenti,
modellata dalla memoria e dalla nitidezza del ricordo, o altro ancora. Questo fa sì che le informazioni
immediatamente disponibili acquistino un rilievo empiricamente ingiustificato sul piano dell’inferenza e del
giudizio; questi problemi possono essere contenuti attraverso il ricorso al computer.

4.4.Le comunicazioni dei risultati


4.4.1. Il resoconto etnografico
La scrittura del resoconto etnografico porta a compimento l’esperienza di ricerca che è iniziata sul campo,
rendendo tale esperienza comunicabile e valutabile dalla comunità scientifica.
In questo, la scrittura ha un ruolo fondamentale, non riferito solo allo stile narrativo: la scelta dello stile
retorico e del modo in cui il ricercatore decide di porgere i temi della ricerca svolta alla comunità scientifica,
è cruciale e occorre che l’osservatore-autore presti molta attenzione nella ricerca di uno stile espositivo che
renda giustizia alla peculiarità della cultura e che descriva i contorni dell’esperienza che ha condotto
l’osservatore a maturare le proprie interpretazioni.
Questa esperienza è dialogo, che l’osservatore ha avuto modo di avviare e perseguire muovendo da una
posizione sociale cha ha posto alla sua attenzione una sfaccettatura altrettanto specifica della cultura,
osservata e interpretata alla luce di un progetto interpretativo che cambia piano piano la sua forma.
Alla struttura del dialogo deve ispirarsi la costruzione della struttura argomentativa del resoconto etnografico
per ragioni di contenuto. Queste sono le indicazioni di Gadamer, che scrive in “verità e metodo”, in cui
definisce come “logica della domanda” un percorso interpretativo che ha il proprio paradigma nei dialoghi
platonici. Nel costruire l’interpretazione occorre mostrare le ragioni che rendono appropriata
l’interpretazione proposta e, anche, le ragioni che portano a ritenere inadeguata la ragione proposta; a ciò si
giunge perseguendo l’obiettivo di rendere forti le interpretazioni opposte all’interpretazione che si ritiene più
plausibile.
Questo stile dei dialoghi platonici, vede Socrate porgere la propria “interpretazione” per poi assumere un
atteggiamento di ascolto, sforzandosi di rendere forti le testi degli avversari.
L’atteggiamento di Socrate equivale alla composizione di un resoconto etnografico, in cui l’interpretazione
spostata dall’osservatore-autore si confronta con le interpretazioni alternative di maggior rilievo, per le quali
si cercherà sostegno all’interno della documentazione empirica e che potranno confrontarsi con
l’interpretazione proposta contribuendo a delinearne i limiti.
A queste indicazioni generali dovrebbero seguire dei suggerimenti più operativi, magari tratti dal dibattito
sulla scrittura etnografica, secondo cui le buone etnografie mostrano la presenza di chi le ha scritte, mostrano
l’esposizione in prima persona singolare attraverso le espressioni impersonali e la retorica del noi. L’autore
dovrebbe qualificare la propria esperienza nel testo sostituendo la figura del narratore onnisciente, con la
voce di una persona reale legata ad una specifica tradizione teorica.
Altheide e Johnson ricordano la necessità di un resoconto riflessivo del processo di ricerca, un compito per
coloro che, nella stesura delle note etnografiche, hanno riservato uno spazio adeguato alla descrizione della
relazione osservativa. Gli esperti della relazione osservativa ai quali si è prestato attenzione, diventano i temi
su cui il resoconto riflessivo dovrebbe dar conto. Queste informazioni dovrebbero interagire con
l’esposizione dei risultati di ricerca, mostrandone i limiti e i punti di forza; le diverse voci che abitano la
cultura dovrebbero abitare anche il resoconto etnografico, riproducendo la multi vocalità o la cacofonia della
cultura che si è osservata.
Capitolo 5. Il focus group

Nel focus group - una tecnica di osservazione - l’attenzione cade sul dialogo che coinvolge i componenti del
gruppo. Il gruppo è artificiale, composto da 6-10 persone, costituito ad hoc dal ricercatore. La discussione è
condotto da un moderatore, coadiuvato da un altro osservatore che si occupa della rilevazione dei
comportamenti non verbali.
Il focus group consente di rilevare non solo ciò che le persone pensano su di una determinata questione, i
sentimenti che suscita loro, ma anche il perché di tutto ciò, così come i processi di costruzione del consenso
all'interno di un gruppo e i mezzi impiegati per identificare le somiglianze e le differenze tra le diverse
posizioni espresse. I l focus group consente di osservare il processo che conduce alla formazione di
un'opinione sul tema di studio, ma ciò accade solo quando il tema compare per la prima volta nell'orizzonte
cognitivo dei casi studiati. È il caso delle applicazioni nel marketing per la rilevazione dell'orientamento dei
consumatori verso un nuovo prodotto.
In relazione alle idee già sedimentate nella popolazione il focus group consente di valutare se e come le
persone mutino la loro originaria opinione.

Il focus group è una discussione di gruppo nella quale le persone parlano tra di loro. Esso si distingue
dall'osservazione della discussione che coinvolge un gruppo naturale, alla cui costituzione non ha contribuito
l'osservatore poiché in questo caso è il gruppo a decidere di cosa parlare e di come. Nella ricerca etnografica
è possibile far ricorso a forme ibride denominate focus group casuale o informale.
Il focus group serve alla produzione di documentazione empirica.

L’osservatore porge delle domande al gruppo e prende nota dell'interazione linguistica e non. Queste
caratteristiche pongono al focus gruppo in una posizione intermedia tra interviste discorsive e l'osservazione
partecipante. il focus group può sostituire l'osservazione partecipante nell'analisi di forme di interazione
sociale a cui è difficile accedere quando hanno luogo in un contesto naturale. Un esempio è dato dallo studio
condotto sulla percezione dei fattori di rischio responsabile dell'attacco cardiaco. Per condurre questo studio
in un contesto naturale gli studioso avrebbero dovuto poter ascoltare le conversazioni tra un gruppo di amici.
il focus group consente di accedere ad una rappresentazione più chiara delle somiglianze e delle differenze di
opinione all'interno di una cultura, rispetto a quelli che si potrebbero ottenere accostando e confrontando un
insieme di colloqui l'intervista nelle quali le persone parlano con l’intervistatore e non tra di loro.

Gli ambiti di applicazione del focus gruppo comprendono anche la ricerca di mercato (anni 80) e la ricerca
valutativa dove trova applicazione sia nelle fasi preliminari del processo di produzione, sia quale strumento
per la valutazione, fornendo indicazioni sul come e sul perché del successo del fallimento dell'intervento
posto a scrutinio.

I temi non hanno limiti, se non quelli considerati etici poiché non focus gruppo non può garantire
l'anonimato. Ciò impone di escludere gli argomenti che nel contesto sociale risultino particolarmente
intrusivi.

Il focus group prevede un insieme composito di procedure differenti tra di loro in relazione della
composizione dei gruppi e delle modalità di conduzione. La composizione dei gruppi attiene al grado di
omogeneità delle persone interpellate e alla natura delle relazioni sociali che lega gli uni con gli altri prima
della conduzione dello studio.
La forma della conduzione possibile copre una gamma che va dal gruppo autogestito, gruppo condotto in
modo strutturato.

La forma canonica del focus group si basa sulla costituzione di gruppi costituiti da persone estrane, da un
moderatore anch’esso estraneo. Tuttavia non è la sola forma sebbene rappresenti la preferenza. Tutto ciò
avviene perché una certa omogeneità nella conduzione dei focus group consente un confronto più agevole
della documentazione prodotta dai diversi gruppi di discussione. L'omogeneità favorisce la discussione,
l'estraneità offre maggiori garanzie di anonimato, facilita l’apertura.
il focus group si presta a tre modi di impiego: come tecnica autosufficiente; in combinazione con altre
tecniche con una funzione di servizio; in un disegno della ricerca multimetodo.
Come tecnica di servizio viene impiegato nel contesto di studi basati sul ricorso l'intervista discorsiva per la
messa a punto della traccia che verrà impiegata per le interviste guidate, all'osservazione partecipante. A
servizio della ricerca etnografica può essere impiegate nelle fasi preliminari dello studio per disporre di un
quadro d'insieme della cultura su cui si intende condurre lo studio, ma anche nella scelta dell'oggetto di
studio laddove i candidati siano più di uno. Nelle fasi conclusive può essere utile per ottenere un backtalk, un
giudizio dei propri ospiti sull'interpretazione della loro cultura messi appunto del ricercatore.

Nell'ambito di inchieste campionarie può essere impiegato nella fase di progettazione dello studio, con la
conduzione sul campo, del lavoro di imagery e specificazione delle dimensioni dei concetti in studio.

il focus group fornisce importanti indicazioni sul linguaggio da impiegare nella formulazione delle domande
raccolte nel questionario, e quando il questionario se non messo. Può essere impiegato per procedere al pre-
test. A indagine conclusa può essere impiegato per chiarire alcune delle relazioni indagate o per esplorare il
terreno dei casi devianti.

L'impiego congiunto del focus group e di altre tecniche di costruzione delle domande della documentazione
empirica può accrescere la validità dei risultati dello studio contribuendo a fugare il dubbio che i risultati
siano stati artefatti.

5.1 Il disegno della ricerca


Sul campo tutto accade in meno di un paio d'ore, durante le quali occorre condurre una decina di persone a
discutere, esprimere confrontare le loro opinioni. È indispensabile delineare la domanda cognitiva e
pianificare nei minimi dettagli la sequenza delle sollecitazioni e gli stimoli con i quali il moderatore dovrà
condurre il gruppo.
Il gruppo: la definizione della domanda cognitiva è associata all'individuazione del profilo del gruppo. Se la
domanda cognitiva cui bisogna rispondere riguarda la rappresentazione dell'altro genere tra gli adolescenti,
evidente che gli adolescenti dovranno essere i principali protagonisti. Occorre inoltre considerare che
all'interno della categoria ci siano sotto categorie entro le quali la discussione del tema posso assumere una
piega specifica. La presenza di specifiche sottopopolazioni suggerisce di condurre tanti cicli di focus gruppo
quante sono le sottopopolazioni individuate. In alcuni casi, Può essere opportuno arricchire il disegno con la
conduzione di un ciclo di focus gruppo nel quale le diverse sottocategorie interagiscono tra di loro e si
influenzano reciprocamente. Tuttavia la presenza di sotto categoria non è sempre facilmente riconoscibile, in
questi casi è opportuno affrontare la questione interpellando testimoni qualificati o conducente interviste
discorsive con un piccolo campione della popolazione in studio.

Studio trasversale o studio longitudinale: un aspetto importante della progettazione dello studio riguarda
l'attenzione che si intende riporre all'evoluzione nel tempo degli atteggiamenti, delle credenze degli
orientamenti rilevati. Quando si riconosca rilievo alla dimensione longitudinale del fenomeno in studio si
prospetta l'alternativa dell'inchiesta campionaria (Panel) e l'inchiesta trasversale replicata.
Nel focus gruppo cioè equivale alla conduzione con un insieme di gruppi a composizione stabile di una serie
di incontri di stare nel tempo (1 ogni sei mesi), nell’altro caso si parla di una serie di incontri distribuire nel
tempo ai quali partecipano gruppi con diversa composizione.

La composizione dei gruppi: l'estraneità reciproca comporta vantaggi cognitivi ed etici a cui si rinuncia solo
se non si può fare altrimenti. L'omogeneità del caso del gruppo facilita la profondità della discussione, per
contro la presenza di un gruppo di persone con diverse esperienze sul tema consente l'espressione e il
confronto di una vasta gamma di opinioni. La composizione dei gruppi e tutta via sottoposta a dei vincoli:
innanzitutto è importante che tra di loro non ci siano marcate differenze nelle capacità di verbalizzazione,
dunque occorre che indipendentemente dalle differenze di dettaglio della scolarità non vi siano differenze
profonde legate al tema di discussione.
Riguardo alla reciproca estraneità, laddove non sia possibile soddisfare questo requisito si devono almeno
rispettare delle semplici regole: evitare che di uno stesso gruppo facciano parte persone legate tra di loro da
relazioni di dominio e subordinazione. È inoltre opportuno evitare la presenza di persone legate da rapporti
di amicizia o stima o ancora di avversione e antipatia.

La numerosità del gruppo: il gruppo deve essere grande abbastanza per consentire la presenza di una gamma
ampia di opinioni da mettere a confronto, è sufficientemente piccolo da consentire a ciascuno di esprimere le
proprie opinioni. Sul piano delle relazioni emotive e delle dinamiche di gruppo, i piccoli gruppi mostra una
maggiore vulnerabilità. In questi casi la presenza di una persona che si atteggia esperto può pregiudicare lo
svolgimento della discussione. Di contro gruppi molto numerosi rendere la conduzione decisamente ardua e
può accadere che il moderatore sia costretto ad una condizione rigida che compromette la fluidità della
discussione (Sei-10 soggetti).

Le persone nel gruppo il numero di gruppi: bisogna stabilire la procedura empirica che porterà individuare
l'insieme di persone che discuterà il tema della ricerca. Ciò avviene tramite un piano di campionamento,
articolato in due fasi nel focus gruppo: la selezione delle persone da includere nel gruppo, la definizione del
numero di gruppi necessario offrire una rappresentazione adeguata del fenomeno in studio. Le procedure
impiegate per la selezione delle persone possono essere raggruppati in due categorie, le procedure
probabilistiche quelle non probabilistica. Nelle procedure probabilistica appaiono la selezione basata
sull'impiego di una lista di candidati e il ricorso alla selezione casuale dei nominativi mediante interviste
telefoniche. Disponendo di una lista le persone da interpellare possono essere individuate con la procedura di
estrazione casuale mettendo cavo un campione casuale semplice a un campione casuale stratificato (per
genere). Non sempre, tuttavia, esistono liste che riportino il nome e il recapito del tipo di persona che si
intende coinvolgere.
L'altra procedura probabilistica prevede la conduzione di un congruo numero di interviste telefoniche
condotte ricorrendo ad una qualche procedura di selezione casuale degli interlocutori. Alle persone raggiunte
si rivolge una serie di domande per stabilire se il soggetto ha un profilo corrispondente a quello desiderato.
Nel caso lo sia, gli si chiederà se è disposto a partecipare a un gruppo di discussione sul tema in studio.
Questa procedura minimizza i problemi di distorsione nella selezione dei casi, ma consegne una lista di
nominativi poco connotati nelle loro capacità di nutrire una discussione proficua. Le procedure non
probabilistiche più diffuse appartengono alla famiglia del campionamento a scelta ragionata in cui rientra il
campionamento per quote. A questo si aggiungono altre cinque procedure.

Il campionamento a palle di neve prevede di chiamare a discutere il tema una serie di persone scelte
contando sulla collaborazione di altri soggetti studio. Con l’individuazione dei casi guidata dall'indicazione
dei testimoni qualificati, si chiede a uno o più testimoni qualificate di fornire una lista di persone con un
profilo corrispondente a quello atteso. La terza procedura prevede il reclutamento delle persone in un luogo
che qualifichi in modo stringente le caratteristiche dei presenti (il botteghino per l'acquisto dell'abbonamento
ai concerti). Aaron Cicourel annotato che la prassi consolidata, quella di estrarre un campione di individui
per poi intervistarli e ricostruire gli atteggiamenti e comportamenti, consegne rappresentazione delle
popolazioni Fallaci. In alternativa propone di campionare non gli individui, bensì comportamenti su cui
condurre lo studio. E proprio in questa direzione che si muove la procedura di campionamento sopra
descritta.

Al campionamento di convenienza sono riconducibili le ultime due procedure descritte da Krueger: Il


campionamento opportunistico, in cui i gruppi di discussione vengono costituite associando quest'iniziativa
un'altra attività che porta un gruppo di persone incontrarsi. Di norma quando si ricorre a questa soluzione la
partecipazione viene associato il riconoscimento di un compenso e dunque è difficile escludere che le
persone offrono la disponibilità per interesse è il compenso piuttosto che al tema trattato. Non sempre,
dunque, il ricorso a una qualche forma di incentivo e necessario nella ricerca sociale ma laddove si rende
necessaria la forma per essere scelte con cautela. In alcuni casi un compenso in denaro può essere malvisto o
può portare a scegliere i soggetti non adatte. Occorre considerare la possibilità di far ricorso incentivi non
monetari e avvalersi del consiglio di un testimone qualificato, ovvero di qualcuno che conosca la
popolazione studio.
L'altra categoria e il ricorso ad annunci sul giornale e\o riviste.
Quale che sia il modo con cui le persone vengono selezionate, loro partecipazione non potrà che collocarsi in
una data successiva il contatto e questo fa sì che non sempre segue una reale partecipazione. In
considerazione di ciò il Comune sovradimensionare il gruppo di discussione. La definizione del numero di
gruppi appropriato alle finalità della ricerca viene condotta, nel campionamento a scelta ragionata, sulla base
del principio della saturazione teorica. Questa situazione si da quando il moderatore in grado di anticipare
quanto verrà detto nel gruppo che conduce e per arrivare a ciò è opportuno condurre almeno tre focus gruppo
perché ciascuna categoria.

Il grado di strutturazione: anche in questo caso la scelta è dettata dalla considerazione congiunta della
domanda cognitiva e del profilo del gruppo chiamato a discutere il tema. La forma autogestita del focus
gruppo risulta appropriata quando l'intento è prevalentemente esplorativo. Il focus gruppo gestito e inoltre
utile per lo studio di alcuni aspetti della discussione che potremmo definire formali (analisi dei processi di
costruzione del consenso). La forma moderata risulta è più appropriata quando la domanda cognitiva è una
sufficiente specificazione quando il confronto fra le discussioni condotte e decisiva per l'analisi dei materiali.
All'interno di un medesimo studio
È possibile combinare le due forme. Per ciascuna categoria è opportuno avere il ciclo dei gruppi con un box
gruppo gestito a cui affidare il compito di definire criteri di rilevanza. Sulla base dei risultati ottenuti e
possibile gestire una sera di questo gruppo moderati.
La traccia: la conduzione di focus group moderati prevede la definizione di una traccia di discussione oppure
di una lista di domande, e stimoli verbali e non da sottoporre in un determinato ordine al gruppo, ho ancora
una lista dei temi da affrontare senza prefissarne l’ordine.
La conduzione è guidato da una scaletta consente una discussione più fluida, ma può anche creare difficoltà
nella comparazione tra materiali prodotti. Il ricorso ad una lista di domande risulta preferibile quando la
conduzione non può essere affidata non solo moderatore, ma moderatori diversi con stili di conduzione
eterogenei. La scelta tra le due alternative e dettando dalla considerazione degli obiettivi cognitivi dello
Studio e delle risorse.
Riguardo ai contenuti e la struttura del canovaccio la pratica di ricerca suggerisce alcune misure come
opportuno attenersi: le domando gli stimoli devono essere definiti con particolare il cura e inoltre il gruppo
può essere sollecitato con domande, ma anche mostrando immagino diapositive. Tuttavia gli stimoli e le
domande non devono essere più di una dozzina e formulate seguendo le norme di buona tecnica (brevità,
chiarezza e precisione). Occorre, inoltre, prevedere una breve presentazione del tema e del gruppo chiamato
discuterlo. Qui il moderatore sottolineerà l'omogeneità del gruppo e la competenza di tutti a discutere il tema
pronto le prime domande devono essere progettate in modo tale da consentire a ciascuno di intervenire
facilmente. Il cuore della traccia sarà dedicato e Demi chiavi della discussione. Infine la traccia dovrà
prevedere la chiusura della discussione con la restituzione al gruppo di una sintesi della discussione.
Tuttavia la minuziosa progettazione non deve essere considerata come un vincolo, infatti nel corso dello
studio se era possibile riformulare gli stimoli.
Assieme alla traccia opportuno predisporre un questionario da somministrare le persone coinvolte nel gruppo
di discussione composto da una decina di domande con il quale sarà poi possibile tratteggiare il profilo
sociale dei nostri interlocutori.

Il moderatore: occorre prestare molta attenzione alla figura del moderatore che deve essere percepito, di
soggetti costituenti il gruppo, come una persona a cui si può consegnare la propria esperienza.

Il luogo: dovrei essere quanto di più possibile neutro e non dovrà trasmettere ai soggetti l'idea che alcune
opinioni siano preferibili ad altre. Inoltre deve essere facilmente raggiungibile E dovrà mettere tutti a proprio
agio. Quanto alla disposizione del gruppo è consigliabile fare in modo che le persone disegnino un
semicerchio o un ferro di cavallo.

Studio pilota: la progettazione della ricerca si conclude con la conduzione di uno studio pilota che simula la
discussione progettata con un gruppo di ricercatori esperti, oppure con un gruppo di testimoni qualificati sul
tema di discussione. La discussione conclusasi chiederai presente di esprimere un giudizio sulla rilevanza dei
temi affrontati sulle modalità di conduzione. Le indicazioni emerse da questo studio verranno poi impiegati
per la messa. Definitiva della traccia.

La costruzione della documentazione empirica


Condurre e osservare
La conduzione del focus group si basa sul lavoro coordinato del moderatore dell'assistente. Al primo spetta il
compito di condurre facilitare la discussione tra le persone, me richiesta anche la capacità di ascolto da buon
intervistatore e di governare in modo dolce non intrusivo il gruppo. Il moderatore qui chiamato a seguire le
tracce della discussione a improvvisare quando è necessario. Un'eccessiva fedeltà alla traccia porta alla
fallacia delle domande predefinite. Al moderatore inoltre richiesto una buona competenza relazionale che si
esprime nella capacità di autocontrollo del proprio comportamento verbale e non verbale. Il moderatore deve
comunicare il proprio interesse ma deve anche dirigere la discussione moderando gli interlocutori debordante
e sostenendo quelli più restii. All'assistente richiesto di prendere nota dell'interazione che sfuggono
all'apparecchiatura di registrazione e deve inoltre coadiuvare il moderatore nella conduzione del gruppo,
senza mai scalfire l'autorevolezza del moderatore.

Registrazione e trascrizione: la discussione deve essere registrata, ma non video registrata poiché comporta
ben pochi vantaggi a fronte di una messa cospicua di svantaggi che portano all'inibizione della discussione.
Inoltre tutto ciò viola la noni matto dei presenti. La durata del focus gruppo deve essere comunicata prima
dell'appuntamento e ribadita all'inizio della discussione. Alla fine di ogni incontro è opportuno che il gruppo
di ricerca produco una prima analisi della documentazione empirica a tal proposito è importante disporre
della trascrizione della discussione. L'analisi consente di perfezionare modificare la traccia del focus gruppo
e permette di definire il numero di gruppi da interpellare in base alla saturazione teorica.
Concluso il ciclo e necessario procedere la trascrizione integrale della discussione integrando le note
dell'assistente che documentano le forme di interazione.

L'analisi della documentazione empirica: si muove su due livelli. Da un lato l'analisi ciò di cui si discute in
ciascun gruppo, dall'altro lato l'analisi di quanto ciascun individuo sostiene.
Ricostruzione delle discussioni riguardo alle modalità nelle quali la discussione si è sviluppata e alle
posizioni emerse in merito al tema. Sul piano degli interlocutori e necessario associare l'opinioni, le prese di
posizioni emerse attraverso la somministrazione di un questionario. Bisogna poi scrivere i materiali
all'interno di una cornice teorica che procede in parallelo alla lettura metodica delle trascrizioni. Nell'analisi
dei materiali prevale la procedura informale che chiamano in causa le competenze teoriche del ricercatore. In
questa direzione un importante contributo è fornito dallo strumento vuoi veniamo del tipo ideale che può
essere indicato per la caratterizzazione della discussione, ma anche per tratteggiare il profilo di coloro che in
queste discussioni prendono la parola.

Comunicazione dei risultati: dovrà attraversare due luoghi, ovvero un dettaglio il resoconto delle procedure
di ricerca adottate e l'esposizione dello schema teorico che da forme risultati. Particolare cura dovrà inoltre
essere dedicato all'illustrazione del piano del campionamento e delle ragioni che rendono la documentazione
in pilica raccolta propria delle finalità.

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