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Le tre questioni sono intrecciate fra loro non solo per le risposte che danno della natura della realtà sociale
ma anche perché è difficile distinguerne i confini.
Positivismo.
Ontologia: Esiste una realtà sociale oggettiva esterna all’uomo (es, fatti sociali Durkheim) ed è conoscibile
con leggi generali causa-effetto.
Epistemologia. Studioso della realtà sociale e realtà sociale sono indipendenti, l’agency non influenza la
struttura. L’indagine avviene attraverso leggi generali causa-effetto (leggi naturali). Viene riconosciuta
l’importanza del dato come elemento esterno e immodificabile.
Metodologia. I metodi e le tecniche della ricerca derivano dalle scienze naturali (empirismo classico). Il
metodo sperimentale è induttivo e sperimentale, fondato su manipolazione e controllo delle variabili.
Neopositivismo e postpositivismo
La visione positivista ha visto svilupparsi al proprio interno un processo di aggiustamento mosso dalla
consapevolezza dei propri limiti e dal tentativo di superarli. Una prima revisione ottocentesca prende il
nome di positivismo logico che ha dato origine al neopositivismo. Questo movimento si formò attorno ai
cosiddetti membri del circolo di Vienna.
Epistemologia: lo studioso non è più separato dalla realtà sociale studiata. Si ha la consapevolezza degli
elementi di disturbo introdotti sull’oggetto studiato dal soggetto studiante e dell’effetto di reazione che ne
può derivare.
Metodologia: si ha un’apertura ai metodi qualitativi, diventa importante la comunità scientifica per la critica
e l’acquisizione di dati.
Interpretativismo
Si deve al filosofo Wilhelm Ditlthey la nascita dell’interpretativismo con l’obiettivo di rendere autonome le
scienze sociali dalle scienze naturali. Secondo la sua Introduzione alle scienze dello spirito Dithley distingue
scienze naturali dalle scienze dello spirito (sociali). Mentre infatti, studiando le scienze naturali si osserva
una realtà esterna, quando si studiano le scienze dello spirito bisogna attuare un processo di comprensione
data l’interazione tra il soggetto studiante e l’oggetto studiato.
Ontologia: il mondo è conoscibile solo tramite il significato che il soggetto studiante gli conferisce. Non
esiste il mondo oggettivo (costruttivismo). Il mondo conoscibile è soggettivo, varia fra gli individui
(relativismo).
Epistemologia: scompare la separazione fra soggetto studiante e oggetto studiato.
Metodologia: le tecniche di ricerca sono qualitative.
La radicalizzazione di entrambi gli approcci può avere gravi conseguenze. L’estremizzazione dell’approccio
positivista pone le premesse per un processo di riduzione progressiva della portata della ricerca,
inaridendola sul dato empirico a limitandola a una pura descrizione dello stesso. Mentre all’opposto estremo
del soggettivismo pone in discussione l’esistenza stessa della realtà sociale. Un recente sviluppo del
paradigma interpretativo ha posto le basi del cosiddetto postmodernismo, che si esprime in una sorta di
rifiuto della visione tradizionale della scienza, intesa come ordine e razionalità, semplicità e
generalizzabilità, a favore del paradosso, della contraddizione della opacità, dell’esaltazione delle differenze.
In questa ricerca i due autori studiano la nascita e lo sviluppo del comportamento criminale. Sostengono che
bisogna prendere in considerazione sia l’età infantile che l’età adulta per spiegare determinati comportamenti
antisociali. E’ un’analisi secondaria fondata sulle ricerche di Sheldon e Eleanor Glueck.
In base a questa ricerca (Glueck):
● vengono presi a campione due gruppi di giovani maschi bianchi negli anni ’50 del Massachusets; i
primi vengono selezionati da una casa di correzione, gli altri dalla scuola pubblica.
Questa ricerca aveva lo scopo di studiare il comportamento deviante di 500 ragazzi normali, sostenendo però
che non vi fossero interferenze in età adulta.
L’insieme delle informazioni rilevate da Glueck è disomogeneo ma viene codificato distinguendo tra
variabili di base (povertà, disgregazione familiare ecc..) e variabili di processo (famiglia, scuola, lavoro). Le
seconde vengono imputate da Sampson e Laub come responsabili del comportamento deviante.
I due autori (Sampson e Laub) usano due tipologie di variabili, le variabili strutturali di base che
influiscono sul comportamento deviante indirettamente, e le variabili processuali che influiscono sul
comportamento deviante direttamente. Nove variabili strutturali di base e cinque variabili processuali
familiari.
La variabile dipendente della ricerca è il comportamento deviante. Attraverso l’analisi statistica dei dati e
della retta di regressione multipla, osservano come le variabili strutturali di base non incidano direttamente
sul comportamento deviante. (aspettative confermate).
La ricerca di Jankowski è un esempio di osservazione partecipante, egli decide fin dall’inizio che il suo
studio deve essere comparato per capire quello che le gang hanno in comune e ciò che invece è specifico di
ognuna di esse. Sceglie di comparare gang di diverse città.
La ricerca di Jankowski è originale nel metodo, interpretativo, privo di una riflessione su tesi e letterature
precedenti ma basato sull’esperienza personale dell’autore. Egli non analizza le gang come comportamento
deviante ma come un ordine sociale alternativo a cui aderiscono i giovani delle slums proprio perché offrono
un ordine sociale che la comunità tradizionale non gli garantisce. Le gang sono definite come sistema sociale
quasi-privato e quasi-segreto, prive di burocrazia, con una leadership legittimata che perseguono gli interessi
dei membri (erogazione servizi) e della stessa organizzazione.
A questo si aggiunge il terzo elemento necessario alla sopravvivenza della gang, il sostegno della comunità
locale.
Jankowski risponde alla domanda chi entra in una gang e perché?
Le motivazioni sono sei:
a) incentivi materiali: si entra nelle gang per ricavare soldi regolari in maniera illegale;
b) divertimento: il club (gang) è un luogo di svago e passatempo;
c) rifugio e nascondiglio: la gang offre anonimato a chi ne ha bisogno (ex trafficanti illegali);
d) protezione fisica: offre protezione fisica nei sobborghi metropolitani;
e) luogo di resistenza: i membri entrano in una gang per sfuggire alla vita senza speranza dei genitori;
f) impegno comunitario: l’appartenenza ad una gang diventa tradizione familiare
Le differenze tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa possono essere meglio comprese se si esaminano
separatamente per le quattro fasi della ricerca empirica:
a) Disegno della ricerca: la differenza tra ricerca quantitativa e qualitativa sta principalmente nel
disegno strutturato e predefinito, con ipotesi logicamente dedotte dalla teoria nel primo caso, e con il
piano di lavoro interattivo della ricerca qualitativa. L’atteggiamento del ricercatore quantitativo è
neutrale rispetto all’oggetto studiato, mentre nella ricerca qualitativa si ha empatia e identificazione.
b) Rilevazione delle informazioni: la ricerca quantitativa ragiona sul campionamento e il campione
rappresenta l’universo studiato, la ricerca qualitativa non si pone problemi di standardizzazione né di
rappresentatività e preferisce la trattazione disomogenea dei casi a seconda delle situazioni;
c) Analisi dei dati: la ricerca quantitativa si fonda sull’analisi delle variabili per formare matrici di
dati, la ricerca qualitativa studia e analizza i soggetti per comprenderli.
d) Produzione dei risultati: la ricerca quantitativa produce generalizzazioni, mentre quella qualitativa
è attenta alle specificità dei propri risultati e all’analisi comparata delle rilevazioni.
Le fasi della ricerca empirica dell’analisi quantitativa sono cinque. La prima fase riguarda la teoria,
assunto generale astratto di partenza. La seconda riguarda l’ipotesi, proposizione specifica dedotta dalla
teoria generale. La terza fase tratta la rilevazione empirica ovvero la raccolta dei dati attraverso un processo
di operativizzazione dei concetti che l’ipotesi collega.
La terza fase si divide in due sottofasi, l’operativizzazione e l’individuazione degli strumenti. La quarta fase
riguarda l’analisi dei dati raccolti. Le informazioni sono i materiali empirici che vengono raccolti durante
l’osservazione del fenomeno studiato, i dati sono le informazioni organizzate e catalogate in modo ordinato.
La quinta fase è costituita dalla presentazione dei risultati attraverso un processo di interpretazione delle
analisi statistiche fatte nella quarta fase.
Si definisce teoria come un insieme di proposizioni organicamente connesse che si pongono a un elevato
livello di astrazione e generalizzazione rispetto alla realtà empirica, le quali sono derivate da regolarità
empiriche e dalle quali possono essere derivate delle previsioni empiriche.
Si definisce ipotesi una proposizione che implica una relazione fra due o più concetti che si colloca su un
livello inferiore di astrazione e di generalità rispetto alla teoria e che permette una traduzione della teoria in
termini empiricamente controllabili.
In un processo di ricerca sociale diventa dunque evidente l’importanza di trasformare una teoria in
un’ipotesi per garantirne la controllabilità e la validità empirica. Come si attua questo processo?
A volte si ricorre alla teoria dopo aver analizzato i dati, per spiegare un fatto anomalo o un risultato
inaspettato. La rilevazione (come nel caso sopra di Sampson e Laub), può avvenire prima delle ipotesi per
ragioni di forza maggiore, questo è il caso dell’analisi secondaria.
Con il termine concetto indichiamo il contenuto semantico dei segni linguistici e delle immagini mentali. Sta
a significare (dal latino) l’azione di ordinare il molteplice sotto un unico atto di pensiero. L’ipotesi è
un’insieme di concetti che vengono correlati tra di loro. Questi diventano i “mattoni della teoria” ed è
attraverso l’operativizzazione dei concetti che si realizza la traduzione empirica della teoria generale.
Operativizzazione= trasformare i concetti in variabili empiricamente controllabili.
Per far si che i concetti diventino variabili bisogna attribuirgli la proprietà di oggetto, bisogna farli
diventare concreti. (povertà=reddito, potere=numero dipendenti ecc…). I concetti che assumono una
proprietà si chiamano unità di analisi. Queste proprietà assumono stati diversi sugli oggetti ai quali
afferiscono. Successivamente bisogna stabilire delle regole per la traduzione di un concetto in operazioni
empiriche.
Il terzo passaggio consiste poi nell’applicare le regole ai casi concreti studiati. I concetti si operativizzano e
diventano variabili analizzabili quantitativamente.
Quindi…
Le unità di analisi possono differenziarsi. Esistono unità di analisi rappresentate da individui o da dei
collettivi. Si distinguono poi unità di analisi e unità di rilevamento. L’unità di rilevamento si colloca ad un
livello inferiore rispetto all’unità di analisi. Unità di analisi possono essere gruppi, organizzazioni, eventi,
istituzioni ecc..
Si chiamano casi gli esemplari di una data unità di analisi inclusi in una determinata ricerca. L’unità di
analisi è astratta, il caso è concreto.
Un concetto una volta operativizzato prende il nome di variabile. Esse si possono distinguere in:
a) Variabili non manipolabili e manipolabili: la prima riguarda le variabili che non sono modificabili
dal ricercatore, la seconda le unità di analisi che sono controllate dal ricercatore;
b) Variabili dipendenti e indipendenti: quelle indipendenti influiscono quelle dipendenti;
c) Variabili latenti e osservate: le prime sono variabili non direttamente osservabili in quanto
rappresentano concetti molto generali o complessi;
d) Variabili individuali, collettive: tra le variabili collettive abbiamo quelle aggregate e quelle globali.
La definizione operativa comporta dunque una limitazione e un impoverimento del concetto, ma il pericolo
che essa porta con se non sta in questa ineliminabile riduttività ma nella sua reificazione.
Reificazione= da oggetto concreto a astrazione.
Il processo di operativizzazione è dunque un atto arbitrario e soggettivo che rappresenta anche il criterio di
oggettività della ricerca scientifica perché permette ad altri ricercatori di replicarla.
Variabili cardinali. Sono variabili per le quali i numeri che ne identificano le modalità non sono delle
semplici etichette ma hanno un pieno significato numerico. Si possono effettuare operazioni di somma e di
sottrazione fra i valori. Si possono effettuare due tipi di processi di operativizzazione: la misurazione e il
conteggio.
Si effettua la misurazione quando la proprietà misurata è continua e le variabili possiedono un’unità di
misura prestabilita.
Si effettua il conteggio quando la proprietà da registrare è discreta ed esiste un’unità di conto elementare
ripetuta più volte nella proprietà dell’oggetto.
Scaling. Le variabili cardinali possono essere dunque ottenute mediante misurazione o conteggio. Le prime
sono le più comuni nella ricerca sociale. Ma come si operativizzano la religiosità all’orientamento politico,
all’autoritarismo, alla depressione, alla coesione sociale ecc? Come si trasformano le opinioni, gli
atteggiamenti e i valori in variabili? Attraverso lo scaling.
Esempi di tecniche di scaling sono i termometri dei sentimenti (da sinistra a destra) per gli orientamenti
politici. L’obiettivo è quello di avvicinarsi a delle misurazioni nelle quali la distanza fra due valori sia nota.
Indicatori. Pe dare una definizione operativa di un concetto si utilizzano gli indicatori. Sono concetti
specifici traducibili in termini osservabili. Proprio perché specifici, sono in grado di cogliere solo un aspetto
della complessità di un concetto generale. Risulta dunque la necessità di ricorrere a più indicatori per rilevare
operativamente lo stesso concetto.
Un indicatore poi può essere connesso a più concetti. Marradi parla di parte indicante e parte estranea. La
traduzione empirica di un concetto non direttamente osservabile passa dunque al vaglio di cinque fasi:
a) Articolazione del concetto in dimensioni
b) Scelta degli indicatori
c) Operativizzazione indicatori
d) Formazione indici
Nel processo che conduce dai concetti alle variabili, si possono compiere diversi tipi di errore, e tali errori
rappresentano lo scarto fra concetto e variabile. Tali errori possono essere sistematici o casuali. Il valore vero
di un concetto è quello non osservato e non osservabile.
Si può dire:
Valore osservato= valore vero+ errore sistematico+ errore accidentale
Errore= valore osservato-valore vero= errore sistematico + errore accidentale
L’errore sistematico è un errore costante che si presenta in tutte le rilevazioni. L’errore accidentale è
variabile da rilevazione a rilevazione. L’errore può comparire nelle fasi di indicazione e operativizzazione.
Nella prima fase si tratta di errori sistematici, in questo caso l’indicatore copre malamente il concetto e
quindi abbiamo un difetto nel rapporto di indicazione.
L’errore compiuto nella fase di operativizzazione può essere sistematico o accidentale. In particolare nelle
fasi di selezione, rilevazione e trattamento dei dati.
a) Selezione: l’errore è sistematico e di copertura;
b) Errore di rilevazione che può derivare dall’intervistatore, dall’intervistato, dagli strumenti e dal
modo di somministrazione dell’intervista;
c) Errore nel trattamento dei dati nella codifica, trascrizione, memorizzazione, supporto informatico di
elaborazione ecc….
L’attendibilità ha a che fare con la riproducibilità del risultato e segnala il grado con il quale una certa
procedura di traduzione di un concetto in variabile produce gli stessi risultati in prove ripetute con lo stesso
strumento di rilevazione oppure con strumenti equivalenti.
La prima forma di attendibilità studiata è la stabilità temporale. Attraverso la tecnica del test retest permette
di controllare le accidentalità che variano da momento a momento della somministrazione.
Per sopperire ai limiti della stabilità temporale si fa riferimento alle tecniche dell’equivalenza:
a) Suddivisione a metà: l’attendibilità è data dalla correlazione fra due metà dello stesso test;
b) Forme equivalenti (parallel forms): due test sono detti paralleli quando si presuppone misurino lo
stesso valore vero sottostante differendo soltanto per l’errore casuale.
c) Coerenza interna: gli errori non solo possono comparire tra test e test ma anche tra le stesse
domande; le misure di coerenza interna (alfa di Cronbach) stimano la correlazione delle risposte a
ogni domanda con le risposte a tutte le domande;
La validità fa invece riferimento al grado con il quale una certa procedura di traduzione di un concetto in
variabile effettivamente rileva il concetto che si intende rilevare.
Data la difficoltà nel validare una ricerca scientifica, sono state proposte diverse tecniche di convalida
corrispondenti a diversi tipi di validità (sempre dalle ricerche psicometriche):
a) Validità del contenuto: indica il fatto che l’indicatore o gli indicatori prescelti per un certo concetto
coprano effettivamente l’intero dominio di significato del concetto. Si può convalidare logicamente
scomponendo analiticamente il concetto studiato;
b) Validità per criterio: non riguarda la corrispondenza interna tra indicatore e concetto ma tra
indicatore e criterio esterno. Il criterio può essere rappresentato da un indicatore già accettato come
valido o da un fatto oggettivo di carattere comportamentale;
La validità per criterio si può distinguere in:
a) Validità predittiva: correlare un dato dell’indicatore con un evento ad esso logicamente successivo;
b) Validità concomitante: l’indicatore è correlato con un altro indicatore rilevato nello stesso
momento temporale;
La validità concomitante può essere poi validità per gruppi noti: l’indicatore viene applicato a soggetti dei
quali sia nota la posizione sulla proprietà da rilevare.
I manuali di psicometria riportano un terzo tipo di validità. La validità di costrutto, un misto tra validità del
contenuto e di criterio. Si intende la rispondenza di un indicatore alle attese teoriche (contenuto) in termini di
relazioni con altre variabili (criterio).
Il ricercatore, quando decide di adottare l’inchiesta campionaria, si trova di fronte a problemi di natura
ontologica, epistemologica e metodologica secondo la dicotomia degli approcci.
Approccio oggettivista vs costruttivista. Oggettivismo abbiamo visto vi è una separazione tra il ricercatore
e la realtà sociale studiata; costruttivista il contrario.
Nell’inchiesta campionaria il dilemma apre la questione sul rapporto tra intervistato e intervistatore.
Nell’approccio oggettivista il rapporto deve essere completamente spersonalizzato. In merito sono stati
elaborati codici di comportamento ai quali l’intervistatore deve attenersi. L’intervistatore non deve essere
freddo e distaccato, ma non deve neanche risultare familiare all’intervistato.
Il rapporto conoscitivo, tuttavia, non può basarsi sull’osservazione oggettiva (critica di Gilli). L’oggetto
studiato cambia quando interagisce con l’intervistatore. L’intervistatore partecipa direttamente alla
produzione della risposta dell’oggetto studiato. (misto costruttivismo oggettivismo)
Si analizzano tre questioni di fondo, la desiderabilità sociale, la mancanza di opinioni e l’intensità delle
opinioni espresse.
Desiderabilità sociale. È la valutazione, socialmente condivisa, che in una certa cultura viene data a un certo
atteggiamento o comportamento individuale. Se un atteggiamento è fortemente connotato in senso positivo o
negativo in una certa cultura, una domanda che abbia questo come oggetto può dare luogo a risposte
fortemente distorte. Il soggetto intervistato teme di essere giudicato ed egli attribuisce a se stesso il
comportamento che collettivamente è ritenuto migliore.
Mancanza di opinioni. Capita spesso che l’intervistato, interrogato su un tema che non conosce o sul quale
non si è fatto un’opinione, risponda a caso per evitare di confessare di non avere un’opinione in merito.
Intensità.
Struttura delle domande. Le domande possono essere classificate in base al loro contenuto, in tre classi, a
seconda che riguardino le proprietà sociografiche di base, atteggiamenti e comportamenti. Con riferimento
alla loro forma possiamo distinguere fra domande aperte e domande chiuse.
Il modo col quale una domanda è formulata può fortemente influenzare la risposta. Per evitare errori nella
loro formulazione viene proposta una serie di suggerimenti relativi al linguaggio, sintassi, sequenza,
contenuto, focalizzazione nel tempo, numero alternative di risposta, modi di affrontare i problemi della
desiderabilità sociale e della mancanza di opinione.
Talvolta delle domande dal contenuto abbastanza simile vengono formulate nello stesso modo e presentate in
blocco all’intervistato. In questo modo si risparmia tempo e spazio, si rende più agevole all’intervistato la
comprensione del meccanismo di risposta, si migliora la validità delle risposte e si facilita la costruzione di
indici di sintesi delle domande appartenenti alla batteria.
La raccolta delle informazioni è preceduta dalle seguenti operazioni: interviste esplorative preliminari, pre-
test di collaudo del questionario, preparazione degli intervistatori e contatto con le persone da intervistare.
….cap 4…..
Al ricercatore sociale si presentavano, pochi anni fa, tre modi fondamentali di somministrare un
questionario: l’intervista faccia a faccia, l’intervista telefonica e il questionario autocompilato. A questi si
aggiunge il questionario telematico che presenta tutta una sua serie di specificità.
L’intervista faccia a faccia ha rappresentato lo strumento di rilevazione principale per i primi decenni della
ricerca sociale, ma oggi è poco utilizzata nelle ricerche di larga scala per i suoi costi proibitivi. L’intervista
telefonica riduce i tempi e i costi di rilevazione, ma oggi presenta il grave problema che i suoi campioni non
sono rappresentativi per la diffusione dei cellulari. L’intervista telematica presenta il vantaggio dei costi
ridottissimi ma gli svantaggi del campione limitato a utenti di internet e della autoselezione dei partecipanti.
Una via d’uscita può essere rappresentata dai sistemi misti di rilevazione che combinano i diversi modi,
passando in successione da quelli più semplici a quelli più costosi col crescere delle difficoltà di
raggiungimento dei soggetti.
Gli studi diacronici sono quelli che si prolungano nel tempo, avendo per obiettivo lo studio del
cambiamento sociale. Vengono realizzati in maniera più semplice replicando nel tempo la stessa rilevazione
su campioni diversi di individui; oppure in maniera più complessa replicando anche in questo caso la
rilevazione, ma sugli stessi soggetti.
Gli studi del primo genere sono studi trasversali, i secondi studi longitudinali.
Si chiamano inchieste trasversali in quanto realizzano una sezione trasversale della popolazione studiata in
un dato momento. Ognuna di queste è una fotografia statica e istantanea della popolazione.
Le più famose inchieste trasversali sono quelle nazionali dei National election studies post elezioni.
Nel 1940 Lazarsfeld studiò lo stesso campione della popolazione dell’Ohio per verificare l’influenza della
propaganda elettorale per sei mesi consecutivi. Nasce l’inchiesta longitudinale (chiamata in inglese panel).
Questa comporta vari rischi tra cui l’alta mortalità del campione sottoposto alla ricerca, la breve durata e
l’influenza delle precedenti rilevazioni.
L’analisi secondaria consiste in una nuova analisi dei dati di un’inchiesta campionaria già precedentemente
effettuata. Si distingue dall’analisi primaria (analisi originale dei dati di una ricerca) e dalla meta-analisi
(analisi dei risultati di molteplici ricerche).
La qualità e la completezza della ricerca bibliografica condiziona la rilevanza dei risultati empirici. La
ricerca bibliografica è oggi facilitata dalla diffusione di banche dati bibliografiche e dagli abbonamenti
online alle riviste specializzate. Il processo di internazionalizzazione della ricerca e lo sviluppo
dell’informatica hanno portato allo sviluppo di istituzioni preposte all’archiviazione e distribuzione di file di
dati finalizzati all’analisi secondaria.
Col termine tecnica delle scale indichiamo una serie di procedure messe a punto dai ricercatori sociali per
operativizzare concetti complessi. Una scala è un insieme coerente di elementi che sono considerati come
indicatori di un unico concetto più generale. L’elemento è il singolo componente; la scala è l’insieme degli
elementi. In sociologia e in psicologia sociale l’applicazione più comune delle scale è rappresentata dalle
cosiddette scale di atteggiamenti. La tecnica delle scale produce delle variabili quasi cardinali, nel senso che
esse presentano proprietà assai prossime a quelle delle variabili cardinali.
In una domanda chiusa con risposte ordinate, le categorie di risposta possono essere: semanticamente
autonome, oppure possono presentare una parziale autonomia semantica, oppure ancora possono essere del
tipo delle scale autoancoranti. Nei primi due casi vengono generate delle variabili ordinali; nel terzo una
variabile quasi-cardinale.
Quando le risposte sono semanticamente autonome vuol dire che ognuna ha un suo intrinseco significato
compiuto che non necessita di essere messo in relazione con il significato di altre risposte.
La denominazione scala di Likert copre un’ampia varietà di scale, dette additive in quanto il punteggio
della scala deriva dalla somma dei punteggi dei singoli elementi dai quali la scala è composta. La
costruzione di una scala di Likert si compone di quattro fasi: formulazione delle domande, somministrazione,
analisi e verifica del grado di coerenza interno. Il grado di coerenza può essere espresso mediante un valore
(alfa) misurato secondo la formula dell’alfa di Cronbach:
Dove k è il numero degli elementi della scala e r la loro correlazione media. Perché una scala sia accettabile
alfa deve risultare almeno 0.70 (valore sempre compreso tra 0 e 1).
Lo scalogramma di Guttman è una scala cumulativa. È cumulativa nel senso che è costituita da elementi
di difficoltà crescente e si presume che il soggetto che dà una risposta affermativa a una certa domanda abbia
dato risposta affermativa a tutte le domande che la precedono. La scalabilità di una domanda viene misurata
dal coefficiente di riproducibilità:
Le fasi dello scalogramma di Guttman sono le stesse delle scale di Likert con qualche piccola differenza:
a) Nella fase di formulazione le risposte in Guttman devono avere la forma binaria (0-1);
b) Nella fase di somministrazione si ha dunque una velocità maggiore di compilazione;
c) Nella fase di analisi viene valutata la scalabilità (non la coerenza interna) attraverso la formula
soprastante;
Il differenziale semantico di Osgood è stato concepito per indagare il significato dei concetti, passando
non attraverso la descrizione soggettiva data dagli intervistati, ma attraverso le associazioni fra questi
concerti e altri presentati in maniera standardizzata. Attraverso questa tecnica Osgood (dio porco)
individuò tre fondamentali dimensioni (aggettivi) che sottostanno ai giudizi sui concetti: valutazione,
potenza, attività.
Il primo importante studio basato sulle statistiche ufficiali fu quello di Emile Durkheim Le Suicide,
condotto alla fine del XIX secolo. Sulla base dei tassi di suicidio nelle varie nazioni europee Durkheim
riuscì a corroborare empiricamente la sua complessa teoria sull’integrazione sociale, teoria che risulta tuttora
valida e stimolante.
Le statistiche ufficiali tradizionali differiscono dagli altri dati normalmente utilizzati nella ricerca sociale per
quattro aspetti:
a) La produzione: le statistiche sono raccolte dalla pa e prodotte da normali procedure amministrative;
b) Le unità di analisi: non sono rappresentate da individui ma da aggregati territoriali di individui (si
parla di dati aggregati);
c) Il contenuto: consiste nella registrazione di eventi o fatti per cui gli atteggiamenti, le opinioni e le
motivazioni sono di norma escluse;
d) L’ampiezza delle rilevazioni: fanno riferimento all’intera popolazione e non ad un suo campione
Fra le caratteristiche determinanti le fonti statistiche vanno annoverati il fatto che esse sono prodotte da
organismi pubblici e che si riferiscono ad aggregati territoriali (comuni, province, regioni, stati…)
La rivoluzione informatica ha fortemente modificato la forma attraverso la quale l’Istat diffonde i suoi dati,
spostando il canale di comunicazione dai volumi cartacei agli archivi informatizzati interrogabili online.
All’utente si offre l’opportunità di comporre tabelle e grafici personalizzati, agendo sulle variabili, i periodi
di riferimento e la base territoriale. C’è anche la possibilità di accedere ai microdati, cioè dati sugli individui
quando l’indagine è stata condotta mediante interrogazione individuale (censimenti).
Le statistiche ufficiali italiane prodotte dall’Istat vengono brevemente descritte dopo averle classificate a
seconda del loro contenuto in: statistiche generali, popolazione, giustizia, sanità, assistenza e previdenza,
giustizia, istruzione e cultura, lavoro, consumi, reddito e benessere, elezioni.
Il Sistema di indagini sociali multiscopo dell’Istat ha lo scopo di raccogliere informazioni su quegli aspetti
della società che non sono documentati dalle tradizionali statistiche di fonte amministrativa. I dati sono
raccolti a livello individuale. Per cui si possono non solo misurare fenomeni sociali, ma anche effettuare
correlazioni fra le variabili.
• Esperimento: è lo strumento per il controllo delle ipotesi causali; è un procedimento che richiede:
1. Variazione contemporanea di variabile indipendente (causa) e variabile dipendente (effetto);
2. Controllo delle variabili terze, cioè accertare che la relazione causa-effetto non sia influenzata da altre
variabili.
Queste variabili sono soddisfatte con il modello sperimentale classico, come hanno dimostrato Liebert e
Baron, che hanno condotto uno studio su di un gruppo di bambini; i due studiosi volevano controllare
l’ipotesi di una relazione causale tra esposizione a programmi televisivi violenti e adozione di comportamenti
aggressivi.
Nello studio di questi due psicologi, la variabile indipendente è la presenza di scene violente nelle
trasmissioni televisive, i ricercatori, infatti, espongono alcuni bambini a questo tipo di trasmissione
televisiva, questi bambini costituiscono il gruppo sperimentale, mentre gli altri bambini che guardano
trasmissioni sportive, costituiscono il gruppo di controllo.
I due psicologi ipotizzano che, la relazione tra esposizione a una “cattiva televisione” e l’adozione di
comportamenti aggressivi, possa essere influenzata da diversi fattori, come l’età, il genere e l’appartenenza
sociale di ogni bambino; per tenere sotto controllo questi fattori, chiamati variabili terze, i ricercatori si
assicurarono che la loro presenza all’interno dell’osservazione fosse quanto più possibile prossima nei due
gruppi di bambini. Ciascun gruppo fu costituito con la medesima proporzione di maschi e di femmine, di
bimbi piccoli e meno piccoli, di bimbi provenienti dai diversi ceti sociali considerati nello studio ripartiti nei
due gruppi attraverso una procedura chiamata “randomizzazione”. Liebert e Baron misero a punto delle
procedure che avevano lo scopo di individuare i cambiamenti nella propensione dei bambini ad assumere
comportamenti aggressivi. Confrontando il livello di aggressività rilevato nel gruppo sperimentale e il livello
di aggressività rilevato nel gruppo di controllo i ricercatori conclusero che la loro ipotesi causale risultava
rinforzata: l’esposizione ad una cattiva televisione accresce l’aggressività dei bambini.
Lo strumento dell’esperimento, però, in molti ambiti della ricerca sociale risulta inapplicabile, o per ragioni
pratiche, o per ragioni etiche, spesso per ragioni metodologiche: l’artificialità che l’esperimento introduce
nello studio dei fenomeni sociali può compromettere sensibilmente i risultati cui giunge.
Si ritiene sia meglio condurre l’esperimento sul campo, utilizzato spesso per la ricerca valutativa, quindi per
la valutazione, ed è comune indicare questi esperimenti con gli appellativi di “quasiesperimento” e,
distinguiamo il “quasi-esperimento sul campo”, in cui il ricercatore manipola la variabile indipendente
(trattamento) ma non ha pieno controllo delle variabili terze, e il “quasiesperimenti naturale”, in cui viene
meno il controllo sulle variabili terze e la manipolazione della variabile indipendente.
L’esperimento è uno strumento che viene applicato nella ricerca quantitativa, valorizzando al meglio le sue
caratteristiche; viene anche applicato nella ricerca qualitativa come il quasiesperimento sul campo spesso
utilizzato da Garfinkel (esperimenti di violazione) esperimenti che rovesciano il normale atteggiamento
analitico delle scienze sociale. Gli esperimenti di Garfinkel avevano l’obiettivo di mostrare gli argomenti che
fanno da sfondo all’interazione sociale. Per arrivare a tale obiettivo, mise in scena degli atteggiamenti che
violavano le regole dell’interazione sociale: violando una regola tacita, la si rende visibile.
Esperimento metodologico di La Piere.
Negli anni ’30 La Piere ospitò uno studente cinese e sua moglie; erano gli anni della guerra fredda e negli
Stati Uniti vi era una profonda ostilità nei confronti delle persone che vivano in un paese comunista. La Piere
sfruttò questa situazione per condurre uno studio sul rapporto tra pregiudizio e discriminazione sociale. Ogni
volta che, con i due amici, si recava in un albergo o in un ristorante, mandava la coppia a prenotare una
stanza o un tavolo.
Vennero serviti in 184 locali e non ricevettero un trattamento discriminatorio; invece, su 251 strutture
alberghiere e ristoranti solo 1 rifiutò l’ospitalità alla coppia cinese.
Dopo sei mesi La Piere inviò ai titolari delle strutture un questionario con la domanda “Accetteresti individui
di razza cinese come ospiti nella tua azienda?” e in 118 risposero “No” alla domanda; La Piere trasse la
convinzione dell’assenza di un rapporto causale tra atteggiamenti e comportamenti
(tra pregiudizio e discriminazione); il risultato è lo scostamento tra il dire e il fare che va in una direzione
controintuitiva: le persone agiscono meglio di quanto dichiarano.
Il campione di questi questionari non è rappresentativo della popolazione delle aziende visitate.
Studio dei processi di etichettamento dei malati mentali di Rosenham.
Rosenham era convinto che le categorie sociali di salute e malattia mentale poggiassero solo in misura ridotta
su dati obbiettivi e che l’attribuzione a un individuo dello status di malato fosse più una costruzione sociale.
Si chiede se nella definizione della diagnosi di un malato mentale contino di più il contesto o le
caratteristiche dei pazienti. Otto collaboratori di Rosenham chiesero di farsi ricoverare rivolgendosi ad alcuni
ospedali in cinque città degli Stati Uniti; gli pseudo pazienti si recavano all’accettazione lamentando di
“sentire le voci”. Gli otto vennero tutti ricoverati e nonostante avessero immediatamente interrotto la messa
in scena si vennero trattenuti a lungo per essere poi dimessi.
Rosenham allora progettò una controprova: comunicò all’equipe medica di un ospedale che conosceva la
ricerca di Rosenham e che riteneva impossibile che questi errori potessero accadere tra le sue mura “che nei
successivi 3 mesi uno o più pseudo pazienti avrebbero tentato di essere ammessi” lo disse ma non lo fece. In
quel periodo su 193 pazienti 41 vennero dichiarati simulatori.
La natura del legame tra questi due esperimenti e il disegno sperimentale e che in entrambi gli studi il
ricercatore esercita una manipolazione selettiva della variabile indipendente.
Nell’esperimento di La Piere i soggetti furono sottoposti ad due trattamenti: nel primo caso a variabile
indipendente manipolata era costituita dall’interazione con una coppia di cinesi; nel secondo caso
l’esposizione a uno stimolo verbale con le domande del questionario.
Anche lo studio di Rosenham prevede la manipolazione di due variabili indipendenti a due diverse
popolazione.
La Piere sottopone ad due diversi trattamenti lo stesso gruppo sperimentale mentre Rosenham ricorda due
gruppi sperimentali. In entrambi i casi il controllo delle variabili terze è nullo perché i ricercatori si limitano
a prendere nota dei fattori che intervengono a modellare il setting dei loro esperimenti. Questo si coglie
nell’assenza di un gruppo di controllo.
1.2.Simulazione
Nella simulazione, i ricercatori osservano o sottopongono a un trattamento una copia dell’oggetto riprodotta
al computer. Con la simulazione il ricercatore non osserverà il soggetto, ma degli “agenti” che riprodurranno
in digitale i processi mentali dei soggetti. Questi agenti hanno un patrimonio d’informazioni dell’ambiente in
cui dovranno muoversi e sono corredati di “script” procedurali (se-allora) attraverso i quali si darà il via
all’azione.
Gli script e le informazioni sull’ambiente possono essere estratti dalla descrizione di un caso reale;
informazioni e script possono variare durante la simulazione e il ricercatore avrà la possibilità di osservare
l’effetto delle scelte operate dagli agenti.
La simulazione può dare un contributo alla costruzione di una rappresentazione dei fenomeni sociali più
accurata in due modi:
La rappresentazione di un fenomeno sociale può contenere due o più asserti che sono riferiti allo stesso
oggetto e che qualificano questo stesso oggetto in diversi modi. La simulazione permette il controllo di
coerenza e modelli per non fare “inceppare” il programma.
Uno di questi due asserti è la coerenza interna di una rappresentazione che finirà con l’essere considerata
adottabile dalla popolazione.
L’osservazione sociale sulle interazioni sociali condotta su persone reali, sarebbe onerosa. L’alternativa, fatta
di interviste individuali, non evidenza l’interazione bensì rende disponibili informazioni sulla
rappresentazione che ogni individuo si è fatto dell’interazione e che pensa sia opportuno riferire
all’intervistatore.
La seconda asserzione è rappresentata dalla possibilità di raffigurare i processi sociali e di elaborare modelli
dinamici. La simulazione al computer risolve il problema della staticità (X è causa di Y; il principio implica
che il cambiamento di X sarà seguito dal cambiamento di Y. Il processo del cambiamento del tempo, non è il
focus della teoria). La simulazione deve specificare cosa influenza cosa in vari momenti nel tempo; deve
dirigere l’attenzione verso il modo in cui opera quel processo.
Interazione e processo permettono di accedere a una classe di fenomeni sociali la cui spiegazione, per
Popper, costituisce il compito principale delle scienze sociali, mentre gli effetti perversi, costituiscono il
cuore della sociologia di Boudon, che crea una classe di “effetti individuali o collettivi” che sono il risultato
di una fusione di comportamenti individuali che non sono stati inclusi negli obiettivi perseguiti dagli attori.
Gli effetti di Boudon possono essere:
Con le due proposte di classificazione si ottiene una tassonomia, una forma di classificazione basata su due o
più criteri di classificazione. Possiamo distinguere tre classi di oggetto: individui, collettivi/gruppi,
documenti naturali.
L’espressione documenti naturali ha come oggetto di osservazione solo documenti prodotti da individui o
gruppi con scopi diversi dalla ricerca scientifica. All’insieme dei documenti naturali appartengono anche
documenti con un carattere più formale come gli atti giudiziali, amministrativo o statistico. I documenti
naturali sono divisi in:
• Documenti segnici, cioè testi scritti, documenti conici, documenti audiovisivi, ipertesti e i documenti
che combinano scritti, i conici e audiovisivi, ma anche documenti di tipo amministrativo;
• Documenti non segnici, cioè i manufatti costitutivi della cultura materiale di una società.
Nell’osservazione documentaria si pone attenzione al linguaggio delle cose, per cogliere le forme di
rappresentazione dell’agire e le tracce dell’agire. Le diverse tecniche vanno distinte considerando il livello di
strutturazione dello schema di rilevazione impiegato, e le condizioni in cui l’osservazione viene condotta,
insieme alla natura della relazione osservativa.
• Intervista strutturata;
• Intervista discorsiva, suddivisa in: intervista guidata (semi-struttura) e intervista libera (non strutturata).
Nell’intervista strutturata l’interazione tra intervistatore e intervistato è governata dal questionario (strumento
osservativo). L’intervistatore deve però formula le domande, mentre le risposte vengono formulate in modo
non rigido dall’intervistato. L’intervistatore è obbligato a porgere a ogni caso in studio le stesse domande,
ma in base alle esigenze può cambiarne l’ordine.
Nell’intervista libera la relazione tra intervistatore e intervistato diventa come una conversazione ordinaria;
l’intervistatore pone dei temi all’intervistato per poi lasciarlo libero di sviluppare il tema. L’intervistatore
assume un ruolo di ascoltatore e le domande hanno una funzione maieutica per l’intervistato.
L’intervista discorsiva è condotta con due finalità:
Le procedure di osservazione prevedono che l’intervistato risponda alle domande attraverso un esercizio di
auto-osservazione e svolga i compiti cognitivi senza l’aiuto dell’intervistatore.
Si rinuncia all’intervistatore per contenere i costi di raccolta della documentazione empirica, ciò comporta
una diminuzione della qualità della documentazione poiché solo alcuni individui sono in grado di svolgere
correttamente i compiti cognitivi che gli vengono assegnati. Di conseguenza bisogna pensare a queste forme
d’intervista come procedure sub-ottimali. Nei casi di indagini che hanno come obiettivo la rilevazione
dell’uso del tempo quotidiano da parte delle popolazioni, l’assenza dell’intervistatore è necessaria, infatti
viene chiesto agli individui di annotare le attività svolte durante la giornata.
Vi sono poi 2 tecniche di osservazione dei collettivi;
• L’intervista di gruppo, in cui il ricercatore conduce brevi interviste discorsive individuali, facendo
rispondere i singoli alla presenza degli altri membri del gruppo. I singoli subiscono così la pressione
normativa del gruppo; qui l’attenzione del ricercatore si concentra sull’impatto che la pressione
normativa del gruppo esercita sull’espressione delle opinioni individuali.
• L’auto-etnografia, tecnica di costruzione della documentazione empirica che valorizza l’esperienza che
il ricercatore fa in un specifico contesto sociale al quale accede attraverso l’esercizio dell’introspezione.
Osservazione partecipante.
L’osservazione partecipante è il cuore della ricerca etnografica che combina un insieme composito di
tecniche di osservazione. Una ricerca può essere definita etnografica se parte della documentazione empirica
che a sua volta viene prodotta ricorrendo all’osservazione partecipante.
Shadowing
Lo shadowing è una tecnica di osservazione dell’interazione sociale basata su un individuo che il ricercatore
segue come un’ombra; il ricercatore fa esperienza delle interazioni sociali in cui l’individuo è coinvolto. La
presenza dell’osservatore facilita nel soggetto la rottura con l’atteggiamento naturale e rende possibile
osserva le routines quotidiane da un punto di vista critico. Lo shadowing è una tecnica di osservazione tra le
più intrusive e il fatto che il ricercatore segua costantemente il soggetto fa si che questa tecnica possa essere
applicata solo in alcuni contesti di ricerca dove l’individuo è in grado di tollerare la presenza intrusiva del
ricercatore.
Lo shadowing si applica insieme ad altre tecniche di osservazione come l’osservazione partecipante è può
essere impiegato come tecnica a sé stante conducendo a una o più osservazioni concentrate sulle interazioni
che fanno perno sugli individui in studio.
Un esempio di shadowing è la ricerca condotta da Marianella Sclavi, una comparazione tra sistema scolastico
italiano e statunitense condotta seguendo una studentessa italiana e una studentessa statunitense.
Osservazione naturalistica
L’osservazione naturalistica è una tecnica di osservazione non intrusiva che non richiede la cooperazione dei
soggetti in studio; l’attenzione cade sui comportamenti direttamente osservati.
La mediazione linguistica dell’osservatore ha un ruolo modesto; l’interazione sociale viene descritta sulla
base dei comportamento osservati dallo studioso che utilizza in misura limitata il dialogo. Le dichiarazioni
verbali dei soggetti sono considerati più come eventi da spiegare che come elementi della spiegazione; vi è
l’impossibilità di ricorre a procedure member-validation in cui il giudizio dei soggetti in studio costituisce il
criterio con cui viene valutata la plausibilità degli asserti che descrivano l’interazione sociale.
L’osservazione naturalistica può essere condotta ricorrendo a:
• Procedure formalizzate, impiegate per accrescere la rappresentatività dei comportamenti osservati o per
fare in modo che l’osservatore non tragga le proprie conclusioni dall’osservazione di moduli
comportamentali accidentali. Sia gli individui oggetto di osservazione, sia gli eventi su cui puntare
l’attenzione, vengono scelti in base a procedure probabilistiche riconducibili a procedure di
campionamento utilizzate nell’esperimento o nell’inchiesta campionaria; anche gli eventi vengono scelti
con procedure probabilistiche alle quali si associa una moltitudine di procedimenti di stesura dei protocolli
osservativi.
• Le procedure non formalizzate, si basano su procedure di scelta delle unità di osservazione e forme di
annotazione dei comportamenti osservati in tutto e per tutto simili a quelli impiegati nell’osservazione
partecipante.
I giochi
I giochi sono procedure concepite per osservare interazione sociale in condizioni quasisperimentali. Bruschi
definisce il gioco come un sistema di ricerca per osservare le attività di un gruppo che svolge determinati
compiti; il gioco si realizza attraverso la definizione dei compiti da parte del ricercatore, e l’esecuzione di tali
compiti da parte dei partecipanti. Il ricercatore si limita a stabilire le regole e il contesto, mentre, i
partecipanti sono liberi di esprimersi e quasi sempre hanno la consapevolezza di essere osservati.
Lo sviluppo di un gioco può essere ricondotto alla combinazione di 7 passi: Messa a punto del copione in
base all’obiettivo scientifico, determinazione delle procedure di osservazione e registrazione delle
informazioni, organizzazione del gioco, conduzione del gioco, rilevazione delle informazioni, analisi della
documentazione empirica e controllo dei risultati in relazione all’obiettivo.
L’osservazione dell’interazione sociale nel gioco è condotta con modalità riconducibili alle modalità delle
osservazioni naturalistica; all’osservazione segue un’intervista individuale con i soggetti.
Uno degli esempi di applicazione di questa tecnica di ricerca e lo studio di Alberto Melucci, condotto su
quattro movimenti collettivi (un movimento è un’azione collettiva che manifesta un conflitto attraverso la
rottura dei limiti di compatibilità del sistema di riferimento su cui si situa l’azione) dell’area metropolitana
milanese: movimento delle donne, movimento ecologista, movimento giovanile e movimento della nuova
coscienza.
La ricerca di Melucci si propone di ricostruire le logiche d’azione di queste aree del movimento e ricorre a
un insieme di procedure empiriche tra cui i giochi. Ai giochi partecipa un gruppo per ogni movimento, che
viene identificato in base a considerazioni teoriche (i gruppi costituiscono un campione a scelta ragionata). I
gruppi vengono invitati a partecipare a una serie di sedute in un ambiente predisposto; il setting è una sala di
riunioni con le sedie disposte a semicerchio e una telecamera mobile per la registrazione; un ricercatore
guida la seduta sedendo di fronte al gruppo mentre altri due ricercatori fungono da osservatori degli aspetti
verbali e non verbali dell’interazione.
A ogni gruppo vengono proposti tre giochi ideati per cogliere la logica dei processi decisionali
l’organizzazione e la divisione del lavoro e la leadership.
I copioni dei tre giochi sono:
• L’isola: viene posta la domanda “Siete dei naufraghi in un’isola deserta; potete notare che vi sono
alberi, animali e frutti; la terra più vicina è a 200 km; cosa fate?”
• Foto: “Vi è stato chiesto di presentare il vostro gruppo per un servizio fotografico con 10 immagini;
sceglietele”
L’osservazione di laboratorio o osservazione in condizione controllate
È una procedura tra osservazione naturalistica ed esperimento di laboratorio (che è caratterizzato dalla
combinazione di manipolazione della variabile sperimentale e controllo delle variabili terze).
Nell’osservazione di laboratorio i soggetti interagiscono in un’ambiente artificiale che, per i soggetti, svolge
una funzione simile alla funzione esercitata dalla manipolazione dello stimolo in un contesto sperimentale.
Nell’osservazione di laboratorio il controllo di variabili terze è più contenuto; questa procedura osservativa è
utilizzata in psicologia e psicologia sociale.
Le tecniche di osservazione dei collettivi possono essere utilizzate sia per la ricerca qualitativa sia per la
ricerca quantitativa; sono tecniche qualitative l’osservazione partecipante, il focus group, lo shadowing e i
giochi; l’osservazione naturalistica invece costruisce la propria documentazione empirica attraverso
procedure formali e procedure informali; l’osservazione di laboratorio si colloca tra le tecniche quantitative.
3. L’intervista discorsiva
L’intervista è lo strumento più diffuso per la costruzione della documentazione empirica; è una forma di
conversazione in cui due o più persone hanno un’interazione verbale con l’obbiettivo di raggiungere un
traguardo cognitivo già concordato in precedenza.
L’intervista è asimmetrica: l’intervistatore decide gli obbiettivi cognitivi della conversazione ponendo delle
domande all’intervistato che deve rispondere con sincerità. L’intervista di ricerca è un evento comunicativo
che spinge l’intervistato ad abbandonare il proprio atteggiamento naturale.
Si possono distinguere diversi tipi d’intervista in base alla forma di comunicazione che viene assunta tra
intervistatore e intervistato. In base al comportamento linguistico dell’intervistato, distinguiamo:
• Intervista discorsiva, in cui l’intervistato risponde con parole proprie alle domande dell’intervistatore,
costruendo la propria argomentazione.
• Intervista strutturata, in cui l’intervistato risponde alle domande dell’intervistatore utilizzando le parole che
provengono da un copione predefinito che gestisce il comportamento verbale dell’intervistatore.
Maria Concetta Pitrone dice che l’intervista strutturata pone un problema di natura etica in quanto toglie
tempo all’intervistato che è costretto ad accettare le regole linguistiche poste con il questionario al fine di
ottenere risposte su argomenti e problemi che non conosce e/o che non gli interessano; ciò corrisponde ad
una forma di violenza che produce effetti indesiderati intaccando la sincerità e la sicurezza.
L’intervista discorsiva assume due forme:
• Intervista guidata, in cui l’intervistatore conduce la conversazione seguendo una traccia che contiene un
insieme di temi, ordinati secondo un ordine che guida il percorso cognitivo dell’intervistato; l’intervistatore
lascia all’intervistato la libertà di sviluppare i temi.
• Intervista libera, in cui l’intervistatore si limita a porre all’intervistato il tema della conversazione,
disponendosi in un atteggiamento di ascolto lasciando che l’intervistato costruisca da solo il discorso.
• Posizione testualista, Demaziele e Dubar osservano che l’intervista discorsiva consegna al ricercatore
parole che costituiscono un insieme di “definizioni della situazione vissuta”; da queste definizioni si
prende ciò che è condivisibile e si inizia un processo di costruzione di un discorso all’interno di una
intervista discorsiva. Vi è un lavoro ermeneutico con cui l’intervistato legge quel testo che è la sua azione e
porge all’intervistatore la sua interpretazione personale. Secondo Demaziele e Dubar, bisogna ordinare
questi materiali classificando i discorsi e non gli individui.
• Posizione realista; per Bertaux il corpus testuale che contiene i racconti di vita, contiene informazioni che
permettono di cogliere un particolare frammento di realtà storico-sociale.
Posizione realista e posizione testualista, sottolineano il carattere complesso dei discorsi costruiti con le
interviste discorsive.
Il corpus testuale che possiede il ricercatore è un insieme di forme discorsive; in questi testi ci sono indizi
che permettono di ricostruire personalità e quadro cognitivo degli intervistati; vi sono anche elementi che
danno informazioni intersoggettive sulle caratteristiche di una cultura.
Non c’è una via di preferenza per la costruzione e l’analisi dei materiali, ma è importante stabilire prima che
tipo d’informazioni si vuole ottenere dalle interviste discorsive, in modo da progettare in modo coerente una
strategia di raccolta e analisi dei materiali.
Ci sono tre forme principali dell’utilizzo dell’intervista discorsiva nella ricerca sociale:
• l’intervista discorsiva come unica tecnica di ricerca per la costruzione della documentazione empirica,
questo accade in molti studi riconducibili all’approccio biografico.
• l’intervista discorsiva utilizzata con un ruolo minore insieme ad altre tecniche di ricerca; accade spesso con
la combinazione di inchieste campionarie e intervista discorsiva, che ha il compito di contribuire per
specificare le domande cognitive, per collaudare il questionario attraverso il pretest (studio pilota).
• l’intervista discorsiva utilizzata alla pari con altre tecniche di ricerca qualitativa o quantitativa:
triangolazione.
Si ricorre ad un campione quando risulta impossibile intervistare tutti gli individui dello studio.
Nelle ricerche basate sull’utilizzo dell’intervista discorsiva il numero di soggetti interpellati è tra i 50 e i 100
casi massimi, un limite necessario per le caratteristiche delle procedure di analisi della documentazione
empirica.
L’analisi del corpus testuale (trascrizione delle interviste) si basa sulle analisi ampia del discorso, che
richiede uno sforzo insostenibile per un numero superiore ai 100 casi. Con questi numeri, l’uso del
campionamento probabilistico è svantaggioso.
Considerando la stima di un solo parametro, con 50 casi il margine percentuale di errore atteso sarà poco al
di sotto dei 14 punti percentuali; se nel campione osserviamo un tasso di disoccupazione pari al 30% (15
elementi), saremo autorizzati a sostenere che nella popolazione il tasso di disoccupazione oscilla tra il 16 e il
44 %.
Si preferisce quindi, usare procedure di campionamento non-probabilistico in cui la scelta dei casi è motivata
da considerazioni dettate dalla teoria sociologica, che offre più garanzie di rappresentatività delle variabili, e
non dalla teoria probabilistica.
Si parla, dunque, di campionamento a scelta ragionata e viene definito secondo due modalità.
Nella prima modalità, il profilo del campione viene definito prima di condurre le interviste; la domanda
cognitiva è il quadro teorico guidano l’identificazione dei soggetti da intervistare. Questa procedura può
essere rappresentata come la costruzione di uno spazio di attributi le cui dimensioni coincidono con le
dimensioni concettuali, le proprietà che aggiungono rilievo alla teoria.
In seguito, l’individuazione delle persone da intervistare; questo passo può essere compiuto in più modi, il
più appropriato riproduce la logica del campionamento ragionato: il ricercatore sceglierà le persone da
intervistare considerandone il profilo, la potenziale capacità di offrire un contributo all’articolazione di una
risposta alla domanda cognitiva da cui muove la ricerca.
Quando non è possibile individuare le persone da intervistare, si prevedono tre soluzioni:
• Le persone da intervistare possono essere individuate con l’aiuto di alcuni testimoni qualificati o mediatori
culturali
• I nominativi possono essere tratti da una lista che insieme ai nomi fornisce informazioni sulle
caratteristiche che il piano di campionamento ha definito rilevanti
• Si possono raggiungere le persone contando direttamente sulla loro collaborazione ricorrendo a una forma
di campionamento non-probabilistico detto “campionamento a valanga”: una volta avvicinato un individuo
gli si chiede di indicarci una o più persone con un profilo corrispondente.
Gli aspetti di questa procedura corrispondono con gli aspetti del campionamento per quote; vi sono però
alcuni importanti differenze.
La prima riguarda la scelta delle persone da intervistare che è compito che spetta all’intervistatore nel caso
delle ricerche basate sull’intervista discorsiva. Il ricercatore deve esporre le ragioni che rendono appropriato
il disegno campionario utilizzato e la specifica declinazione che il disegno campionario ha assunto durante la
realizzazione pratica dello studio.
Questo è il significato del campionamento a scelta ragionata, l’impegno di dar conto in modo dettagliato
delle decisioni di cui si compone la procedura adottata e mostrane l’appropriatezza in relazione alla domanda
cognitiva e hai risultai a cui si arriva.
La seconda differenza costituisce uno dei contributi più importanti della proposta metodologica di Glaser e
Strauss, secondo cui la dimensione e il profilo del campione vengono definiti nel corso della ricerca e
definiscono il criterio che guida la costruzione del campione come “saturazione teorica”.
La procedura inizia nel quadro della più generale proposta metodologica, la costruzione di teorie radicate
nella documentazione empirica, generate seguendo un procedimento induttivo.
I due sociologi suggeriscono di procedere nella costruzione della documentazione empirica guidati dalla
teoria che prende forma nel corso della ricerca.
La teoria guiderà il processo di raccolta dei materiali empirici; attraverso la comparazione costante, i
materiali raccolti verranno integrati per delineare la teoria emergente.
Il processo si interrompe quando la raccolta dei materiali non sta portando a nulla; si parla di saturazione
teorica, cioè una situazione in cui l’utilità marginale di ulteriori esperienze empiriche e nulla o negativa.
3.1.4. L’intervistatore
Prima di iniziare le interviste bisogna identificare l’intervistatore.
Se non è possibile far condurre le interviste ad un gruppo di ricerca, bisognerebbe coinvolgere gli
intervistatori nel lavoro di progettazione della ricerca e nel lavoro di analisi della documentazione empirica.
L’intervistatore deve avere esperienza nella conduzione di interviste e familiarità con i temi affrontati,
altrimenti i colloqui diventano disagevoli e si compromette tutto il lavoro e la qualità dei materiali.
Bisogna considerare la natura del rapporto che lega intervistatore e intervistato:
• Se vi è un certo grado di familiarità, la comunicazione può diventare più scorrevole e autentica. Il rapporto
di fiducia tra intervistatore e intervistato, rafforza nell’intervistato la convinzione di poter essere compreso
è accettato, questa possibilità di comprensione profonda ha un fondamento cognitivo (l’intervistatore
conosce il codice linguistico e il contesto sociale degli individui e sa come rapportarsi con i suoi
interlocutori).
Quando l’intervistatore dovrà scegliere tra estraneità e familiarità dovrà valutare i pro e i contro per la ricerca
e documentare il perché della sua scelta.
• Conduzione dell’intervista.
• Trascrizione dell’intervista.
3.2.1. Il contatto e la presentazione della ricerca
Per condurre un’intervista bisogna ottenere il consenso degli intervistati, che si metteranno a disposizione per
la ricerca. Si può richiedere il consenso attraverso lettere, telefonate o di persona. Si possono reclutare
soggetti tra individui coinvolti in un’inchiesta campionaria (in fondo al questionario si chiederà la
disponibilità per discutere il modo più approfondito dei temi trattati).La scelta dei metodi di selezione degli
individui si attua considerando le caratteristiche dei candidati all’intervista discorsiva. L’intervistatore dovrà
decidere e spiegare il perché della sua scelta.
I primi contatti per avvicinare gli individui saranno utilizzati per informare in modo adeguato gli individui
riguardo allo studio che si vuole svolgere e al quale dovranno far parte e sul tipo di colloquio e l’uso che
verrà fatto delle informazioni ottenute. Bisogna rassicurare i soggetti precisando quale sarà il tono del
colloquio, bisogna dare indicazioni di massima riguardo la durata del colloquio sia per ragioni etiche sia per
ragioni pratiche; le persone devono sapere quanto tempo verrà loro sottratto e se la durata non è compatibile
con i loro impegni si fisserà un appuntamento.
Il dialogo avrà la forma di un interrogatorio e le risposte saranno formulate pensando a come evitare di dare
spunti ad altre domande dell’intervistatore; bisogna fornire garanzie di anonimato dando conto del modo in
cui le interviste verranno analizzate e utilizzate nella ricerca.
• Esprimendo la propria opinione può influenzare l’intervistato e questi può ritenere opportuno censurare il
proprio discorso o dissimulare la propria opinione perché ritiene che non possa essere compresa e accettata
dall’intervistatore, o perché non ama confrontarsi con chi ha opinioni diverse dalle sue. Se vi è una piena
convergenza tra intervistatore e intervistato, questa situazione può facilitare la comunicazione, anziché
inibirla;
• L’alternativa è l’elusione delle richieste avanzate che può rovinare la fiducia che l’intervistato ripone
dell’intervistatore e può ridurre l’interesse per la conversazione facendo diminuire la volontà di cooperare.
L’intervistatore deve eludere per tutte le volte che questa azione non rischi di perturbare la costruzione del
discorso dell’intervistato; può eludere finché il suo comportamento non inizi a intaccare la fiducia e la
volontà di cooperare dell’interlocutore; bisogna saper valutare se eludere può compromettere o meno
l’intervista anche in base al legame che si instaura tra intervistatore e intervistato. Il colloquio d’intervista
deve essere registrato perché il centro dell’intervista discorsiva è il discorso; è necessario che il colloquio
non venga interrotto o disturbato per garantire una registrazione di buona qualità. Qualche volta succede che
i soggetti quando vedono registratori e microfono esprimo la volontà di ritirarsi; bisogna offrire ulteriori
rassicurazioni sull’anonimato e l’uso dei nastri dell’intervista. Se gli argomenti non ottengono l’effetto
desiderato bisognerà procedere nell’intervista senza registratore ma prendendo appunti chiedendo
all’intervistato il tempo per sintetizzare il suo discorso.
Gli appunti dovranno essere sviluppati una volta conclusa l’intervista.
La fitta rete di decisioni che occorre assumere possono indurre incertezze in chi si avvicina a questa tecnica
di ricerca.
Da questo modello semiotico, Demaziere e Dubar, hanno assegnato le posizioni di cui si compone ciascuna
delle interviste raccolte; questa classificazione guida le fasi successive dell’analisi e si chiude con
l’individuazione delle omologie strutturali osservate tra i livelli del racconto.
La seconda categoria è ben illustrata da Glaser e Strauss con la Grounded Theory, una procedura che
disciplina con un insieme di principi, il processo di costruzione della cornice teorica in cui inscrivere la
documentazione empirica. La procedura si basa sulla comparazione costante, che suggerisce la massima
eterogeneità dei materiali raccolti e la comparazione sistemica tra questi materiali. A tutto ciò si lega la
codifica, il percorso di lettura e qualificazione dei materiali empirici.
La codifica si articola in:
• Codifica aperta, che assegna ai diversi brani della trascrizione di un’intervista, dei codici che li
connotano in un registro prossimo a quello impiegato dagli intervistati, a volte utilizzando anche le
stesse parole degli intervistati.
• Codifica assiale, classifica i codici che vengono attribuiti ai testi dell’intervista, attraverso un
processo che combina l’aggregazione e la dissezione delle categorie che questa operazione ha
rilevato.
• Codifica selettiva, estrae dai materiali messi in forma con la codifica assiale, una o alcune categorie
alle quali possono essere ricondotti i tratti salienti dei discorsi analizzati.
Indipendentemente dalla procedura impiegata, l’analisi si basa sulla combinazione di: caratterizzazione di
ogni singola intervista; comparazione tra le interviste; classificazione delle interviste in una tipologia o in
una tassonomia.
Questa comparazione dei testi serve per individuare le affinità e le differenze che vi sono tra i testi,
delineando la cornice teorica in cui questi materiali saranno inscritti. Con la comparazione vengono
individuate le proprietà e i tratti costitutivi dei generi ai quali i testi possono essere ricondotti.
4.1.1. L’oggetto
Si può cominciare il lavoro sul campo solo quando l’oggetto dell’osservazione partecipante è stato
individuato.
Si hanno tre percorsi tipici che conducono all’identificazione dell’oggetto.
Il primo percorso muove da una domanda cognitiva specifica che guida il ricercatore nella scelta dell’oggetto
dal quale si attende una risposta.
Esempio Cardano. All’inizio Cardano voleva mettere a fuoco le caratteristiche di un fenomeno il
millenarismo laico; Quindi si è messo a cercare i millenaristi laici, senza successo. Durante questa ricerca ha
potuto definire meglio la domanda cognitiva dello studio che raggiunge la sua forma definitiva, cioè il
confronto tra due forme di sacralizzazione della natura: una laica e l’altra religiosa. Partendo da questo
obbiettivo ha iniziato a cercare due casi che rispondessero il più possibile hai requisiti di sacralizzazione
della natura laica e religiosa definiti su un piano tipicoideale. Cardano riconosce queste caratteristiche in due
comunità: gli Elfi del Granburrone, e Damanhur.
Il secondo percorso parte dall’oggetto che, una volta osservato, consegna al ricercatore la domanda cognitiva
che riguarda l’oggetto o che contribuisce alla definizione dell’oggetto.
Esempio di Kunda sulla Tech. Nell’appendice metodologica del testo di Kunda, l’autore confessa di essersi
avvicinato alla Tech spinto da una curiosità generica: “…ero alla ricerca di una grande impresa che
rappresentasse un microcosmo di cultura americana e un terreno di prova per la mia metodologia”; alla Tech
Kunda raccoglie molto materiale empirico di cui non sa cosa chiedere!
Il terzo percorso vede la domanda cognitiva e l’oggetto delineato dall’inizio della ricerca.
Esempio di Humphreys alla Tearoom Trade. Si tratta di una ricerca su di una forma d’interazione faccia a
faccia; i rapporti sessuali impersonali che avvengono nei bagni pubblici; l’interesse di Humphreys viene
espresso attraverso la domanda cognitiva che indica il setting osservativo cioè il bagno pubblico.
Ogni percorso ha i suoi pro e i suoi contro in base alla scelta dell’itinerario di ricerca.
Nell’individuazione dell’oggetto bisogna tener conto di due elementi, uno pratico e uno epistemico.
L’elemento pratico attiene alla sostenibilità emotiva della relazione osservativa in cui si viene coinvolti;
qualunque sia la forma di osservazione adotta (coperta o scoperta) bisogna che le caratteristiche personali
dell’osservatore e dei suoi ospiti non pregiudichino la possibilità di una convivenza gradevole. Non si può
fare osservazione partecipante se non ci si trova bene nella cultura in studio, né ci si può illudere di tenere
sotto controllo le sensazioni di disagio perché si utilizzerebbero sforzi ed energie che verrebbero tolte alla
ricerca.
Il rapporto tra gli attributi di maggior visibilità dell’osservatore (genere, età, etnia, profilo della cultura) è da
considerare nella dimensione della relazione osservativa; è necessario che questi attributi consentano
all’etnografo di partecipare alle attività che ritiene rilevanti, senza creare disagio.
L’elemento epistemico riguarda il tema della generalizzabilità dei risultati ottenuti dallo studio dei casi.
Vi sono diverse posizioni rilevanti che emergono dal dibattito metodologico.
La prima posizione è quella di Stake, che sostiene che lo scopo dello studio di un caso non sia la produzione
di conclusioni generali, ma si tratta di definire le “intrinsic case study”, le cui finalità si esauriscono nella
messa a fuoco delle caratteristiche dell’oggetto su cui si incentra l’attenzione del ricercatore.
La proposta di Stake trova una giustificazione quando il caso che si sta studiando risulti interessante per sé,
questo accade quando il caso che si analizza è rilevante sul piano politico, sociale o economico.
La seconda posizione è espressa da Connoly, che parte dalla distinzione tra studi estensivi, ai quali
toccherebbe il compito di individuare le relazioni causali statisticamente significative, generalizzabili, e gli
studi intensivi, hai quali toccherebbe il compito di ricostruire in dettaglio i meccanismi che legano causa ed
effetto.
Connoly sottrae allo studio del caso la responsabilità della generalizzazione, ma attribuisce ad essi il compito
della generalizzazione, la spiegazione attraverso i meccanismi delle correlazioni la cui significatività
statistica è stata dimostrata da altri studi.
La terza posizione attribuisce agli studi dei casi una funzione riconducibile alla forma meno nobile di
inferenza, la semplice enumerazione; la capacità del singolo studio di caso ricostruire un sapere
generalizzante risiede sul contributo della più vasta comunità scientifica. I risultati maturati dallo studio di
una comunità esoterica possono contribuire alla costruzione di un inventario di una casistica delle forme
possibili di quella peculiare esperienza spirituale.
La quarta posizione riguarda il passaggio dalla generalizzabilità alla trasferibilità, una posizione difesa da
Guba e Lincoln; questa posizione costruita intorno alla nozione di trasferibilità, identifica diverse procedure
con le quali il richiamo alla generalità viene perseguita e difesa esclusivamente con strumenti retorici. La
nozione di trasferibilità esprime la misura nella quale gli asserti costruiti all’interno di uno specifico contesto
di ricerca possono essere applicati ad altri contesti.
I due studiosi insistono sul legame che si instaurano le tecniche di ricerca qualitativa tra gli asserti e i contesti
empirici in cui gli asserti hanno preso forma. Questo sapere non può essere applicato ad ogni contesto; la sua
applicazione ad altri contesti è condizionata dal potere persuasivo degli argomenti con cui mostra la sua
somiglianza tra i contesti oggetto di studio e i contesti nei quali si intende applicare i risultati di studio.
La quinta posizione, riguarda la costruzione deduttiva di un sapere generalizzante, una posizione difesa da
Znaniecki e Mitchell; l’esempio è costituito da una ricerca basata sulla combinazione d’interviste strutturate
e discorsive, sugli operai del distretto di Luton, ricerca svolta da Goldthorpe, Lockwood, Bechhofer e Platt.
La logica di questo processo inferenziale parte da una teoria T, di cui s’intende mostrare l’implausibilità.
T istituisce una relazione tra due classi di proprietà A e B, A implica B (A->B), un sotto insieme delle
proprietà della classe A (a), implica B, cioè a -> B. La teoria considerata individuava un insieme di
condizioni tecniche, sociali e culturali (appartenenti alla classe A), questo insieme di condizioni è
responsabile dell’imborghesimento della classe operaia (l’insieme delle proprietà della classe B).
La teoria T viene sottoposta a controllo su di un caso C, in cui le proprietà della classe A sono presenti nel
maggior numero e con maggior intensità, in modo che la teoria <T:A->B> disponga delle migliori
opportunità di corroborazione. Se nel caso C si osserva che A non implica B allora si può sostenere che B
non c’è dove le proprietà della classe A si presentano in minor numero e con minore intensità, cioè in tutti i
casi diversi dal caso critico C.
Questo implica la falsificazione di T e la generalizzazione all’universo dell’enunciato “non (A>B)”. La teoria
sottoposta a controllo guida la selezione dei casi individuati in ragione del loro potere esplicativo e non per la
loro tipicità.
• Guardiani. Nell’accesso al setting l’osservatore non è costretto a passare sotto le forche caudine dei
cosiddetti guardiani, persone che si assumono la responsabilità di proteggere il gruppo di cui fanno
parte dall’intrusione di estranei.
• Competenza. L’osservatore che osserva in incognito può acquisire la competenza propria del ruolo
che ricopre.
• Rigidità. L’osservatore coperto ha poche possibilità di movimento sul campo, potrà osservare,
ascoltare e domandare nella misura consentita dal ruolo che ricopre.
• Commiato (separazione). È difficile prendere commiato, separarsi, dai propri ospiti nei tempi e nei
modi previsti nel proprio programma di ricerca.
• Pubblicazione. L’osservazione coperta può creare problemi all’etnografo nel momento in cui decide
di pubblicare i risultati della propria ricerca; è costretto a pagare il prezzo del tradimento e della
fiducia che gli interlocutori avevano riposto in lui.
I pro e i contro dell’osservazione coperta diventano i punti deboli e i punti di forza dell’osservazione
scoperta con alcuni aggiustamenti.
Pro dell’osservazione scoperta sono:
• Flessibilità.
• Distacco.
• Guardiani. L’osservazione scoperta impone al ricercatore le difficoltà del rapporto con i guardiani,
l’osservatore dovrà convincere i guardiani che la sua presenza e la ricerca che intende svolgere non
costituiranno disagio. Il problema dei guardiani ha un peso diverso in ragione della consistenza
numerica della popolazione in studio e delle sue specificità culturali. I guardiani possono essere
convinti attraverso la mediazione dei mediatori culturali.
• Manipolazione strumentale. Una malintesa percezione della figura dello scienziato sociale costituisce
la fonte di un fattore di rischio che espone l’osservazione scoperta, può infatti accadere che le
persone su cui si attua l’osservazione percepiscano la ricerca come un’occasione per ottenere “buona
stampa” è diffondono un’immagine finta e migliore della propria cultura; questa insidia può essere
controllata aumentando i tempi del proprio soggiorno, poiché prima o poi gli individui osservati
saranno costretti a mostrare gli aspetti meno edificanti della loro cultura.
• Reattività. Il problema della reattività viene sottolineato da coloro che preferiscono altre forme di
osservazione; può accadere che nei gruppi caratterizzati da una spiccata cultura dell’ospitalità, la
figura dell’osservatore diventa prima o poi parte dello sfondo della scena culturale, permettendo hai
nativi di condurre un’esistenza normale. Il problema della reattività diventa trascurabile quando
l’oggetto di studio è costituito da una popolazione numerosa è dispersa su un vasto territorio dove
non tutti possono essere della presenza del nuovo elemento.
• Arbitrato. Possono sorgere problemi anche da una corretta percezione dell’osservatore, visto come
una persona colta, al di sopra delle parti che possiede una conoscenza discreta della cultura che sta
osservando; all’osservatore, però, può essere richiesto di prendere una posizione all’interno di una
discussione all’interno della comunità, discussione che vede scontrarsi due gruppi con idee
completamente opposte; prendere posizione per uno o l’altro gruppo comprometterebbe i legami
costruiti con i membri dei due gruppi, mentre, non prendere posizione susciterebbe il malumore
generale.
• Osservazione descrittiva, con la quale il ricercatore si guarda intorno e cerca di capire dove i suoi
interessi di ricerca lo hanno condotto
In osservazione vi è una forma particolare di dialogo, il Backtalk, cioè l’insieme delle indicazioni e dei
commenti “nativi” che sono riferiti alla relazione osservativa, alle interpretazioni della cultura che vengono
elaborate dall’osservatore; fanno parte anche i commenti ottenuti spontaneamente dai membri della comunità
oggetto di studio, e anche i commenti che vengono sollecitati dall’osservatore durante i colloqui informali.
I commenti verbali offrono all’osservatore l’opportunità sottoporre a scrutinio critico le procedure
osservative di cui si è servito per le interpretazioni della cultura; una domanda o una presenza che membri
della comunità giudicano come inopportuna, ci impone di prestare attenzione a quello specifico atto
osservativo per poi decidere di non farvi più ricorso.
I commenti degli individui della comunità che stiamo studiando sulle interpretazioni della loro cultura che
costruiamo e decidiamo di comunicare loro, offrono nuovo materiale empirico sul quale riflettere e questo
vale sia per i commenti a sostegno della nostra interpretazione, sia per i commenti contro
quest’interpretazione.
Bisognerà considerare il commento nel merito, recependolo come prova della correttezza o della falsità del
resoconto, o come l’analisi della documentazione empirica. I Backtalk posso essere prove utili a decretare
l’appropriatezza o l’inappropriatezza di un asserto solo quando questi è di tipo descrittivo. Se viene
contestata la nostra interpretazione il commento, la forma e gli argomenti ci impongono di ripensare alla
nostra interpretazione e riformularla o ribadirla su basi ancora più solide.
• Spazio: le caratteristiche geografiche è ambientali del luogo in cui i soggetti vivono, ma è anche la
geografia dello spazio sociale (ad esempio la gerarchia sociale dei luoghi)
• Tempo: la storia o gli eventi della cronaca più recente che hanno coinvolto gli individui, gli aspetti
più evidenti e meno controversi della rete di regole che governa il tempo sociale
• Attori: il numero degli individui di una comunità, il loro profilo sociodemografico, il numero, il
profilo e il ruolo di coloro che occupano una posizione preminente, accanto alla consistenza e al
profilo dei soggetti più marginali
• Attività principali: sono identificate e connotate sulla base delle dimensioni precedenti, spazio, tempo
è attori.
• Il rapporto privilegiato apre alcune porte della società, ma non tutte, dunque è bene consolidare la
relazione con un informatore solo dopo aver soggiornato qualche tempo nella società che si andrà ad
osservare, quando l’immagine della comunità finirà di essere vaga e si comprende quali aspetti ci
interessa approfondire.
• L’informatore e il rapporto che si instaura tra egli e l’osservatore è parte integrante della relazione
osservativa e deve essere sottoposta a scrutinio, bisogna capire qual è la posizione sociale
dell’informatore e quali sono le ragioni che lo spingono a collaborare.
• Il principio della discrezione, cioè il separare le fonti, gli oggetti, il tipo di discorsi, di asserti, le
sfumature linguistiche, i contesti osservativi. La prima distinzione riguarda l’oggetto del resoconto
2. La descrizione di una scena sociale, o la sintesi di un colloquio, necessita che tutti gli attori sociali
coinvolti siano identificati, magari all’inizio con appellativi vaghi, e in seguito con i nomi.
3. Le dimensioni implicite, le espressioni indicate nei discorsi dei soggetti devono essere identificate ed
esplicate, separando con un segno grafico la propria interpretazione dal resto del testo.
4. Il resoconto degli eventi ai quali si assiste in prima persona deve essere distinto dai resoconti ottenuti
dagli informatori, anche nelle conversazioni bisogna specificare se si è preso parte come
interlocutore o come uditore.
5. Il Backtalk, cioè i giudizi dei soggetti in studio devono essere riconoscibili e separabili dalla
documentazione empirica, devono essere corredati della descrizione del contesto che ha permesso la
loro produzione.
6. Le interpretazioni teoriche della cultura in studio, devono essere separati dal resoconto descrittivo e
facilmente individuati (attraverso l’uso di finestre e riquadri).
Principio della concretezza. È opportuno utilizzare un linguaggio concreto che non induca l’astrazione.
Principio della ridondanza. È legato al principio di concretezza, richiama la necessità delle descrizioni in cui
nulla viene dato per scontato; le note etnografiche devono essere redatte come se alla loro lettura ci si
dovesse dedicare dopo anni dall’osservazione.
Nel focus group - una tecnica di osservazione - l’attenzione cade sul dialogo che coinvolge i componenti del
gruppo. Il gruppo è artificiale, composto da 6-10 persone, costituito ad hoc dal ricercatore. La discussione è
condotto da un moderatore, coadiuvato da un altro osservatore che si occupa della rilevazione dei
comportamenti non verbali.
Il focus group consente di rilevare non solo ciò che le persone pensano su di una determinata questione, i
sentimenti che suscita loro, ma anche il perché di tutto ciò, così come i processi di costruzione del consenso
all'interno di un gruppo e i mezzi impiegati per identificare le somiglianze e le differenze tra le diverse
posizioni espresse. I l focus group consente di osservare il processo che conduce alla formazione di
un'opinione sul tema di studio, ma ciò accade solo quando il tema compare per la prima volta nell'orizzonte
cognitivo dei casi studiati. È il caso delle applicazioni nel marketing per la rilevazione dell'orientamento dei
consumatori verso un nuovo prodotto.
In relazione alle idee già sedimentate nella popolazione il focus group consente di valutare se e come le
persone mutino la loro originaria opinione.
Il focus group è una discussione di gruppo nella quale le persone parlano tra di loro. Esso si distingue
dall'osservazione della discussione che coinvolge un gruppo naturale, alla cui costituzione non ha contribuito
l'osservatore poiché in questo caso è il gruppo a decidere di cosa parlare e di come. Nella ricerca etnografica
è possibile far ricorso a forme ibride denominate focus group casuale o informale.
Il focus group serve alla produzione di documentazione empirica.
L’osservatore porge delle domande al gruppo e prende nota dell'interazione linguistica e non. Queste
caratteristiche pongono al focus gruppo in una posizione intermedia tra interviste discorsive e l'osservazione
partecipante. il focus group può sostituire l'osservazione partecipante nell'analisi di forme di interazione
sociale a cui è difficile accedere quando hanno luogo in un contesto naturale. Un esempio è dato dallo studio
condotto sulla percezione dei fattori di rischio responsabile dell'attacco cardiaco. Per condurre questo studio
in un contesto naturale gli studioso avrebbero dovuto poter ascoltare le conversazioni tra un gruppo di amici.
il focus group consente di accedere ad una rappresentazione più chiara delle somiglianze e delle differenze di
opinione all'interno di una cultura, rispetto a quelli che si potrebbero ottenere accostando e confrontando un
insieme di colloqui l'intervista nelle quali le persone parlano con l’intervistatore e non tra di loro.
Gli ambiti di applicazione del focus gruppo comprendono anche la ricerca di mercato (anni 80) e la ricerca
valutativa dove trova applicazione sia nelle fasi preliminari del processo di produzione, sia quale strumento
per la valutazione, fornendo indicazioni sul come e sul perché del successo del fallimento dell'intervento
posto a scrutinio.
I temi non hanno limiti, se non quelli considerati etici poiché non focus gruppo non può garantire
l'anonimato. Ciò impone di escludere gli argomenti che nel contesto sociale risultino particolarmente
intrusivi.
Il focus group prevede un insieme composito di procedure differenti tra di loro in relazione della
composizione dei gruppi e delle modalità di conduzione. La composizione dei gruppi attiene al grado di
omogeneità delle persone interpellate e alla natura delle relazioni sociali che lega gli uni con gli altri prima
della conduzione dello studio.
La forma della conduzione possibile copre una gamma che va dal gruppo autogestito, gruppo condotto in
modo strutturato.
La forma canonica del focus group si basa sulla costituzione di gruppi costituiti da persone estrane, da un
moderatore anch’esso estraneo. Tuttavia non è la sola forma sebbene rappresenti la preferenza. Tutto ciò
avviene perché una certa omogeneità nella conduzione dei focus group consente un confronto più agevole
della documentazione prodotta dai diversi gruppi di discussione. L'omogeneità favorisce la discussione,
l'estraneità offre maggiori garanzie di anonimato, facilita l’apertura.
il focus group si presta a tre modi di impiego: come tecnica autosufficiente; in combinazione con altre
tecniche con una funzione di servizio; in un disegno della ricerca multimetodo.
Come tecnica di servizio viene impiegato nel contesto di studi basati sul ricorso l'intervista discorsiva per la
messa a punto della traccia che verrà impiegata per le interviste guidate, all'osservazione partecipante. A
servizio della ricerca etnografica può essere impiegate nelle fasi preliminari dello studio per disporre di un
quadro d'insieme della cultura su cui si intende condurre lo studio, ma anche nella scelta dell'oggetto di
studio laddove i candidati siano più di uno. Nelle fasi conclusive può essere utile per ottenere un backtalk, un
giudizio dei propri ospiti sull'interpretazione della loro cultura messi appunto del ricercatore.
Nell'ambito di inchieste campionarie può essere impiegato nella fase di progettazione dello studio, con la
conduzione sul campo, del lavoro di imagery e specificazione delle dimensioni dei concetti in studio.
il focus group fornisce importanti indicazioni sul linguaggio da impiegare nella formulazione delle domande
raccolte nel questionario, e quando il questionario se non messo. Può essere impiegato per procedere al pre-
test. A indagine conclusa può essere impiegato per chiarire alcune delle relazioni indagate o per esplorare il
terreno dei casi devianti.
L'impiego congiunto del focus group e di altre tecniche di costruzione delle domande della documentazione
empirica può accrescere la validità dei risultati dello studio contribuendo a fugare il dubbio che i risultati
siano stati artefatti.
Studio trasversale o studio longitudinale: un aspetto importante della progettazione dello studio riguarda
l'attenzione che si intende riporre all'evoluzione nel tempo degli atteggiamenti, delle credenze degli
orientamenti rilevati. Quando si riconosca rilievo alla dimensione longitudinale del fenomeno in studio si
prospetta l'alternativa dell'inchiesta campionaria (Panel) e l'inchiesta trasversale replicata.
Nel focus gruppo cioè equivale alla conduzione con un insieme di gruppi a composizione stabile di una serie
di incontri di stare nel tempo (1 ogni sei mesi), nell’altro caso si parla di una serie di incontri distribuire nel
tempo ai quali partecipano gruppi con diversa composizione.
La composizione dei gruppi: l'estraneità reciproca comporta vantaggi cognitivi ed etici a cui si rinuncia solo
se non si può fare altrimenti. L'omogeneità del caso del gruppo facilita la profondità della discussione, per
contro la presenza di un gruppo di persone con diverse esperienze sul tema consente l'espressione e il
confronto di una vasta gamma di opinioni. La composizione dei gruppi e tutta via sottoposta a dei vincoli:
innanzitutto è importante che tra di loro non ci siano marcate differenze nelle capacità di verbalizzazione,
dunque occorre che indipendentemente dalle differenze di dettaglio della scolarità non vi siano differenze
profonde legate al tema di discussione.
Riguardo alla reciproca estraneità, laddove non sia possibile soddisfare questo requisito si devono almeno
rispettare delle semplici regole: evitare che di uno stesso gruppo facciano parte persone legate tra di loro da
relazioni di dominio e subordinazione. È inoltre opportuno evitare la presenza di persone legate da rapporti
di amicizia o stima o ancora di avversione e antipatia.
La numerosità del gruppo: il gruppo deve essere grande abbastanza per consentire la presenza di una gamma
ampia di opinioni da mettere a confronto, è sufficientemente piccolo da consentire a ciascuno di esprimere le
proprie opinioni. Sul piano delle relazioni emotive e delle dinamiche di gruppo, i piccoli gruppi mostra una
maggiore vulnerabilità. In questi casi la presenza di una persona che si atteggia esperto può pregiudicare lo
svolgimento della discussione. Di contro gruppi molto numerosi rendere la conduzione decisamente ardua e
può accadere che il moderatore sia costretto ad una condizione rigida che compromette la fluidità della
discussione (Sei-10 soggetti).
Le persone nel gruppo il numero di gruppi: bisogna stabilire la procedura empirica che porterà individuare
l'insieme di persone che discuterà il tema della ricerca. Ciò avviene tramite un piano di campionamento,
articolato in due fasi nel focus gruppo: la selezione delle persone da includere nel gruppo, la definizione del
numero di gruppi necessario offrire una rappresentazione adeguata del fenomeno in studio. Le procedure
impiegate per la selezione delle persone possono essere raggruppati in due categorie, le procedure
probabilistiche quelle non probabilistica. Nelle procedure probabilistica appaiono la selezione basata
sull'impiego di una lista di candidati e il ricorso alla selezione casuale dei nominativi mediante interviste
telefoniche. Disponendo di una lista le persone da interpellare possono essere individuate con la procedura di
estrazione casuale mettendo cavo un campione casuale semplice a un campione casuale stratificato (per
genere). Non sempre, tuttavia, esistono liste che riportino il nome e il recapito del tipo di persona che si
intende coinvolgere.
L'altra procedura probabilistica prevede la conduzione di un congruo numero di interviste telefoniche
condotte ricorrendo ad una qualche procedura di selezione casuale degli interlocutori. Alle persone raggiunte
si rivolge una serie di domande per stabilire se il soggetto ha un profilo corrispondente a quello desiderato.
Nel caso lo sia, gli si chiederà se è disposto a partecipare a un gruppo di discussione sul tema in studio.
Questa procedura minimizza i problemi di distorsione nella selezione dei casi, ma consegne una lista di
nominativi poco connotati nelle loro capacità di nutrire una discussione proficua. Le procedure non
probabilistiche più diffuse appartengono alla famiglia del campionamento a scelta ragionata in cui rientra il
campionamento per quote. A questo si aggiungono altre cinque procedure.
Il campionamento a palle di neve prevede di chiamare a discutere il tema una serie di persone scelte
contando sulla collaborazione di altri soggetti studio. Con l’individuazione dei casi guidata dall'indicazione
dei testimoni qualificati, si chiede a uno o più testimoni qualificate di fornire una lista di persone con un
profilo corrispondente a quello atteso. La terza procedura prevede il reclutamento delle persone in un luogo
che qualifichi in modo stringente le caratteristiche dei presenti (il botteghino per l'acquisto dell'abbonamento
ai concerti). Aaron Cicourel annotato che la prassi consolidata, quella di estrarre un campione di individui
per poi intervistarli e ricostruire gli atteggiamenti e comportamenti, consegne rappresentazione delle
popolazioni Fallaci. In alternativa propone di campionare non gli individui, bensì comportamenti su cui
condurre lo studio. E proprio in questa direzione che si muove la procedura di campionamento sopra
descritta.
Il grado di strutturazione: anche in questo caso la scelta è dettata dalla considerazione congiunta della
domanda cognitiva e del profilo del gruppo chiamato a discutere il tema. La forma autogestita del focus
gruppo risulta appropriata quando l'intento è prevalentemente esplorativo. Il focus gruppo gestito e inoltre
utile per lo studio di alcuni aspetti della discussione che potremmo definire formali (analisi dei processi di
costruzione del consenso). La forma moderata risulta è più appropriata quando la domanda cognitiva è una
sufficiente specificazione quando il confronto fra le discussioni condotte e decisiva per l'analisi dei materiali.
All'interno di un medesimo studio
È possibile combinare le due forme. Per ciascuna categoria è opportuno avere il ciclo dei gruppi con un box
gruppo gestito a cui affidare il compito di definire criteri di rilevanza. Sulla base dei risultati ottenuti e
possibile gestire una sera di questo gruppo moderati.
La traccia: la conduzione di focus group moderati prevede la definizione di una traccia di discussione oppure
di una lista di domande, e stimoli verbali e non da sottoporre in un determinato ordine al gruppo, ho ancora
una lista dei temi da affrontare senza prefissarne l’ordine.
La conduzione è guidato da una scaletta consente una discussione più fluida, ma può anche creare difficoltà
nella comparazione tra materiali prodotti. Il ricorso ad una lista di domande risulta preferibile quando la
conduzione non può essere affidata non solo moderatore, ma moderatori diversi con stili di conduzione
eterogenei. La scelta tra le due alternative e dettando dalla considerazione degli obiettivi cognitivi dello
Studio e delle risorse.
Riguardo ai contenuti e la struttura del canovaccio la pratica di ricerca suggerisce alcune misure come
opportuno attenersi: le domando gli stimoli devono essere definiti con particolare il cura e inoltre il gruppo
può essere sollecitato con domande, ma anche mostrando immagino diapositive. Tuttavia gli stimoli e le
domande non devono essere più di una dozzina e formulate seguendo le norme di buona tecnica (brevità,
chiarezza e precisione). Occorre, inoltre, prevedere una breve presentazione del tema e del gruppo chiamato
discuterlo. Qui il moderatore sottolineerà l'omogeneità del gruppo e la competenza di tutti a discutere il tema
pronto le prime domande devono essere progettate in modo tale da consentire a ciascuno di intervenire
facilmente. Il cuore della traccia sarà dedicato e Demi chiavi della discussione. Infine la traccia dovrà
prevedere la chiusura della discussione con la restituzione al gruppo di una sintesi della discussione.
Tuttavia la minuziosa progettazione non deve essere considerata come un vincolo, infatti nel corso dello
studio se era possibile riformulare gli stimoli.
Assieme alla traccia opportuno predisporre un questionario da somministrare le persone coinvolte nel gruppo
di discussione composto da una decina di domande con il quale sarà poi possibile tratteggiare il profilo
sociale dei nostri interlocutori.
Il moderatore: occorre prestare molta attenzione alla figura del moderatore che deve essere percepito, di
soggetti costituenti il gruppo, come una persona a cui si può consegnare la propria esperienza.
Il luogo: dovrei essere quanto di più possibile neutro e non dovrà trasmettere ai soggetti l'idea che alcune
opinioni siano preferibili ad altre. Inoltre deve essere facilmente raggiungibile E dovrà mettere tutti a proprio
agio. Quanto alla disposizione del gruppo è consigliabile fare in modo che le persone disegnino un
semicerchio o un ferro di cavallo.
Studio pilota: la progettazione della ricerca si conclude con la conduzione di uno studio pilota che simula la
discussione progettata con un gruppo di ricercatori esperti, oppure con un gruppo di testimoni qualificati sul
tema di discussione. La discussione conclusasi chiederai presente di esprimere un giudizio sulla rilevanza dei
temi affrontati sulle modalità di conduzione. Le indicazioni emerse da questo studio verranno poi impiegati
per la messa. Definitiva della traccia.
Registrazione e trascrizione: la discussione deve essere registrata, ma non video registrata poiché comporta
ben pochi vantaggi a fronte di una messa cospicua di svantaggi che portano all'inibizione della discussione.
Inoltre tutto ciò viola la noni matto dei presenti. La durata del focus gruppo deve essere comunicata prima
dell'appuntamento e ribadita all'inizio della discussione. Alla fine di ogni incontro è opportuno che il gruppo
di ricerca produco una prima analisi della documentazione empirica a tal proposito è importante disporre
della trascrizione della discussione. L'analisi consente di perfezionare modificare la traccia del focus gruppo
e permette di definire il numero di gruppi da interpellare in base alla saturazione teorica.
Concluso il ciclo e necessario procedere la trascrizione integrale della discussione integrando le note
dell'assistente che documentano le forme di interazione.
L'analisi della documentazione empirica: si muove su due livelli. Da un lato l'analisi ciò di cui si discute in
ciascun gruppo, dall'altro lato l'analisi di quanto ciascun individuo sostiene.
Ricostruzione delle discussioni riguardo alle modalità nelle quali la discussione si è sviluppata e alle
posizioni emerse in merito al tema. Sul piano degli interlocutori e necessario associare l'opinioni, le prese di
posizioni emerse attraverso la somministrazione di un questionario. Bisogna poi scrivere i materiali
all'interno di una cornice teorica che procede in parallelo alla lettura metodica delle trascrizioni. Nell'analisi
dei materiali prevale la procedura informale che chiamano in causa le competenze teoriche del ricercatore. In
questa direzione un importante contributo è fornito dallo strumento vuoi veniamo del tipo ideale che può
essere indicato per la caratterizzazione della discussione, ma anche per tratteggiare il profilo di coloro che in
queste discussioni prendono la parola.
Comunicazione dei risultati: dovrà attraversare due luoghi, ovvero un dettaglio il resoconto delle procedure
di ricerca adottate e l'esposizione dello schema teorico che da forme risultati. Particolare cura dovrà inoltre
essere dedicato all'illustrazione del piano del campionamento e delle ragioni che rendono la documentazione
in pilica raccolta propria delle finalità.