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non ha un’ipotesi precisa, soprattutto se sta svolgendo uno studio esplorativo. Esistono anche
studi descrittivi nei quali le ipotesi precedenti non sono formulate e messe alla prova; tali studi
sono finalizzati principalmente a raccogliere osservazioni che potranno servire come punto di
partenza per nuove ricerche o per sviluppo di nuove teorie. Sia la ricerca applicata sia quella di
base necessitano di entrambe le tipologie di studi: i dati descrittivi forniscono materiale grezzo per
le teorie e le teorie forniscono la base per successive ricerche. Gli studi descrittivi forniscono
informazioni su quello che è successo, mentre gli studi esplicativi spiegano perché o come è
successo. In sintesi, la domanda di ricerca viene quindi indagata utilizzando metodologie e metodi.
Il metodo può essere definito come la tecnica o lo strumento di ricerca utilizzato per raccogliere
dati, mentre la metodologia si riferisce alla “filosofia” del processo di ricerca.
IL DISEGNO DI RICERCA
Un disegno di ricerca è un piano per condurre uno studio. La scelta del metodo dipende dalla
natura del problema ha studiato. Nessuna strategia può essere definita la migliore. Spesso il
problema può essere studiato nel contesto in cui si manifesta spontaneamente; altri fenomeni non
necessitano di essere indagati nell’ambiente naturale, in quanto si presume che essi siano
indipendenti dal contesto in cui si manifestano. Le strategie di ricerca possono essere paragonate
secondo diverse dimensioni ma in particolare due di loro rivestono un ruolo fondamentale:
Il livello di naturalità del setting di ricerca,
Il grado di controllo sulla conduzione dello studio
Entrambi influenzano sia la validità interna che la validità esterna della ricerca.
La validità interna si riferisce al grado in cui i risultati ottenuti possono essere attribuiti alle variabili
investigate piuttosto che ad altri fattori. La validità esterna si riferisce al grado in cui i risultati su un
certo gruppo di soggetti possono essere estesi e quindi generalizzati ad altri contesti.
DISEGNI SPERIMENTALI E QUASI SPERIMENTALI
Ciò che distingue un esperimento da altri tipi di disegno è che l’assegnazione dei partecipanti alla
differenti condizioni della variabile indipendente è casuale. Gli esperimenti di laboratorio sono
condotti in ambienti predisposti o artificiali, a differenza degli ambienti organizzativi che si creano
naturalmente. Un esperimento di laboratorio ben disegnato includerà alcune condizioni presenti
nel contesto naturale, e ometterà quelle che potrebbero non essere presenti. Un quasi
esperimento è uno studio che si avvicina a un esperimento, ma non ha una vera assegnazione
casuale dei partecipanti ai livelli della variabile indipendente. Questo è il tipico caso delle situazioni
lavorative in cui i soggetti non possono essere collocati nelle varie condizioni di trattamento per
varie ragioni pratiche e organizzative. Una specifica situazione quasi-sperimentale è quella dei
disegni con gruppo non equivalente in cui non c’è processo di assegnazione casuale, ma i
partecipanti si trovano in differenti condizioni di trattamento in seguito ad altre ragioni. È possibile
avere un disegno con un gruppo non equivalente nel quale non è avvenuta alcuna manipolazione,
nel caso in cui il ricercatore trovi che certi gruppi di persone rientrano in una determinata categoria
(per esempio, soggetti che hanno volontariamente seguito un programma di addestramento, da
contrapporre a coloro che non l’hanno seguito). Altri disegni quasi sperimentali implicano la
valutazione delle stesse variabili ripetutamente nel corso del tempo. Il più semplice è il disegno di
gruppo singolo pre test-post test in cui i partecipanti sono valutati sia prima sia dopo il manifestarsi
di un certo evento. Tale disegno può essere un esperimento vero e proprio nel momento in cui i
soggetti sono assegnati casualmente alle condizioni, mentre è un quasi esperimento se presenta
differenti condizioni ma manca l'assegnazione casuale. Questo disegno lascia però aperte molte
alternative possibili per spiegare i risultati. Il disegno multi-gruppo è funzionale alla soluzione di
questo problema in quanto prevede un gruppo di controllo sul quale si verificano le stesse
condizioni di partenza. Lo scopo di molti ricercatori è trarre conclusioni riguardo le relazioni causali
fra le variabili. L'esperimento permette di escludere o di controllare influenze esterne che
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potrebbero essere state la causa reale dei risultati ottenuti. I disegni non sperimentali rendono più
difficile trarre simili inferenze causali. Se due variabili sono correlate tra loro non è possibile sapere
se una è causa dell’altra: è probabile che “terze variabili”, non valutate, siano la causa reale del
modello indagato.
DISEGNI NON SPERIMENTALI
Un disegno non sperimentale è quello in cui i dati sono raccolti in base a una o più variabili, ma
non esiste alcuna condizione di trattamento. In altre parole, il ricercatore raccoglie solo
osservazioni di variabili che già esistono. Un esempio di disegni non sperimentali è quello
osservazionale, che prevede osservazioni di un qualche evento su un campione di soggetti. Gli
osservatori utilizzano griglie e schemi valutativi più o meno strutturati. È possibile utilizzare un
approccio non intrusivo, dove gli osservatori guardano e registrano senza che il soggetto ne sia
consapevole. Questo da un lato evita che gli osservatori possano influenzare i comportamenti dei
soggetti ma dall’altro suscita problemi relativi alla privacy. Una procedura utile è quella di servirsi di
due o più persone per svolgere l’osservazione. Le inchieste rappresentano una delle procedure più
diffuse per condurre la ricerca sul campo nell’ambito della psicologia del lavoro e prevedono
diverse modalità, inclusi questionari autosomministrati, di gruppo, su sito web, le interviste
telefoniche e faccia a faccia. I questionari, quindi, sono il metodo più diffuso per condurre ricerche,
in quanto mezzo economico ed efficiente di raccolta dati. Anche le interviste possono essere un
mezzo efficace di raccolta dati con informazioni più complete ma rispetto ai questionari richiedono
maggior tempo. Le interviste telefoniche sono più efficienti ma devono essere brevi in quando i
destinatari potrebbero non tollerare di essere tenuti al telefono a lungo.
I disegni a più fonti (o ibridi) combina i dati provenienti dal questionario con altri provenienti da
altre fonti, e questo permette di superare il bias monomentodo (limite del questionario).
I disegni non sperimentali posso implicare la valutazione delle variabili per ogni soggetto nello
stesso momento (trasversali) o in momenti differenti (longitudinali). Il disegno trasversale è il più
diffuso, in quanto più semplice poiché i dati sono raccolti in un'unica sessione ma non permette di
trarre conclusioni causali, ovvero non permette di affermare che certe variabili ne causino altre. I
disegni longitudinali rappresentano uno degli strumenti più potenti disponibili per lo studio di
molti fenomeni organizzativi tra cui il cambiamento in quanto implicano misurazioni ripetute nel
corso del tempo sugli stessi soggetti. Le limitazioni riguardano il dispendio di tempo e risorse
economiche, la mortalità dei partecipanti, l’abbandono e il disinteresse dei partecipanti.
L’APPROCCIO QUALITATIVO (o etnografia organizzativa)
Molti studi in ambito organizzativo si avvalgono di forme di ricerca qualitativa basate sull’impiego
di metodi e tecniche di rilevazione di tipo non standardizzato, che presentano le seguenti
caratteristiche principali:
- Enfasi sull’esplorazione del fenomeno organizzativo
- Tendenza a operare con dati non strutturati, non codificati
- Investigazione di un sottile numero di casi, ma nel dettaglio
- Analisi dei dati più interpretativa (descrizioni e spiegazioni verbali) che quantitativa e
statistica.
I metodi qualitativi più frequentemente utilizzati in ambito organizzativo sono i seguenti:
L’intervista in profondità. A differenza dell’intervista strutturata o semi-strutturata,
l’intervista in profondità consente al ricercatore di esplorare tutti gli argomenti di interesse
con l’intervistato, facendo emergere elementi importanti per confermare le ipotesi del
disegno di ricerca.
La storia di vita. È una variante della precedente, in cui il filo conduttore non è costituito
dagli argomenti proposti dall’intervistatore, bensì dal racconto destrutturato da parte
che sarebbe atteso se un certo flusso causale fosse vero. I dati raccolti consentono di
determinare quanto il modello ipotizzato si adatti alla realtà osservata.
- Modello lineare gerarchico. Quando si raccolgono i dati sul campo, spesso si trovano
soggetti già inseriti in una gerarchia di categorie o gruppi. E i diversi livelli gerarchici
possono avere effetti sulle variabili. Il modello lineare gerarchico permette di effettuare
l’analisi simultanea di livelli multipli, scomponendo gli effetti statistici nei livelli individuali,
contrapposti a quelli più alti. [Evitando cosi il bias di aggregazione (mescolare più livelli)]
Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati qualitativi, possono essere invece citate come esempi
l’analisi del contenuto e l’analisi delle corrispondenze.
- Analisi del Contenuto. è una tecnica di ricerca per la descrizione oggettiva, sistematica e
quantitativa del contenuto manifesto della comunicazione. Lo scopo fondamentale è
considerare un documento verbale e trasformarlo in dati quantitativi.
- Analisi delle Corrispondenze. Lo scopo è studiare i legami tra le modalità di due o più
caratteri di classificazione qualitativi, rilevanti per identificare le possibili associazioni tra le
caratteristiche analizzate.
CONCLUSIONI DELLA RICERCA
Una delle più importanti questioni nella conduzione della ricerca riguarda il livello di
generalizzazione delle conclusioni tratte, ovvero la misura in cui tali conclusioni possono essere
estese alla popolazione oggetto di studio. Le ricerche di laboratorio sono a volte considerate come
più scientifiche e rigorose (hanno cioè una validità interna superiore), mentre le ricerche sul campo
sono maggiormente rappresentative delle reali condizioni di lavoro. La ricerca non consiste in un
processo isolato: ogni studio si innesta e prosegue a partire dalle conclusioni tratte da una ricerca
precedente; e può pertanto indirizzare le ricerche future.
PROBLEMI LEGATI ALL’INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI
Una delle principali caratteristiche della ricerca in psicologia del lavoro è il fatto che le sue
conclusioni sono fondate sui dati. Il processo di selezione delle variabili, la scelta della loro
operazionalizzazione cioè l’interpretazione dei risultati rappresentano un compito assai complesso,
che può presentare diverse difficoltà.
LA CAUSALITA’
Sebbene sia possibile studiare la relazione tra variabili, rimane spesso difficoltoso pronunciarsi
sulla causalità delle relazioni. La definizione di causalità include i concetti di asimmetria e legame
diretto. La relazione è asimmetrica in quando una variazione di X produce una variazione di Y ma
non viceversa. Questo concetto implica che la causa precede l’effetto nel tempo. Il concetto di
legame diretto si riferisce invece al fatto che il variare dell’una è dovuto al variare dell'altra
variabile. La difficoltà nello stabilire la causalità può essere dovuta a diversi motivi, il più
importante dei quali riguarda il fatto che può esistere un gran numero di cause che non possono
essere controllate.
Molto spesso capita che una terza variabile (Z) influenzi la relazione tra due variabili (X e Y)
secondo una varietà di situazioni che si verificano frequentemente:
a) Variabile interveniente. La relazione tra X e Y è “mediata”
dalla variabile Z (relazione indiretta). Questa influenza
“interveniente” può essere identificata calcolando la
correlazione parziale tra X e Y tenendo Z costante.
b) Elemento di una catena causale. La terza variabile Z è inserita in un processo di “causazione
reciproca”.
c) Variabile antecedente. Questo modello, spesso utilizzato, è fonte di possibili errori in quanto la
covariazione osservata tra X e Y è solo apparente, essendo provocata da Z che agisce causalmente
TIPI DI ERRORI
É possibili commettere errori nella spiegazione dei risultati ottenuti, e quindi nelle conclusioni cui
una ricerca può condurre. I principali errori sono riconducibili a quattro categorie fondamentali:
a) Errori dovuti a una scorretta operazionalizzazione dei concetti: cioè le misure non sono
sufficientemente oggettive e affidabili, oppure i concetti esaminati non sono adeguatamente
misurati dagli strumenti scelti. Si tratta di un problema di validità di costrutto.
b) Errori nell’analisi statistica dei dati. Possono essere classificati in due tipologie: 1. Errori del
primo tipo (ipotesi nulla rifiutata erroneamente, cioè l’esistenza del fenomeno è erroneamente
provata, dovuto a una grande quantità di variabili). 2. Errori del secondo tipo (si conclude che il
fenomeno non esiste quando è reale, dovuto all'utilizzo di campioni troppo ristretti).
c) Errori dovuti a insufficiente validità interna. Quando i risultati non possono essere realmente
attribuiti ai fattori ritenuti responsabili. Effetti che incidono sulla validità interna sono: effetto
storia, maturazione, selezione, mortalità.
d) Errori dovuti all’inappropriata generalizzazione dei risultati, ovvero a variabilità esterna.
RICERCA E PROBLEMI ETICI
Da tempo sono stati istituiti alcuni vincoli importanti riferiti agli aspetti etici e di privacy. Un primo
principio da osservare è la salvaguardia del benessere delle persone che partecipano allo studio.
Bisogna prevedere gli effetti dannosi (psicologici e fisici) che potrebbe provocare la ricerca,
nessuno può essere costretto a parteciparvi. I codici etici sono creati per tutelare i diritti dei
soggetti. I ricercatori dovrebbero occuparsi degli aspetti sociali ed etici non solo durante la ricerca
ma anche una volta che essa sia conclusa, dovrebbero proteggere l'identità dei partecipanti In
modo che non ci siano ritorsioni nei confronti delle persone che affermano qualcosa di non gradito
ai loro superiori. Lo psicologo, lavorando all’interno o per una data organizzazione, ha quindi il
dovere di prendere in considerazione sia il benessere dell’individuo sia le necessità organizzative.
Un ulteriore principio etico riguarda il “consenso informato”, ovvero il fatto che i soggetti devono
essere informati sulla natura e sugli scopi dello studio prima di parteciparvi. Infine è opportuno che
ai partecipanti venga fornito un feedback sui risultati ottenuti e sulle iniziative aziendali che da essi
possono scaturire.
manutenzione delle processo, errori di progettazione delle interfacce uomo-macchina nella sala di
controllo, complessità e ridondanza dei regolamenti della Nuclear Regulatory Commission (l'ente
che controlla l'attività delle centrali nucleari negli Stati Uniti), insufficienza dell'addestramento
degli operatori e distorsioni delle comunicazioni organizzative a tutti i livelli. Negli anni 60
l'attenzione si focalizza sul modello definito tecnico-ingegneristico-normativo secondo cui gli
incidenti sono frutto di un fallimento della tecnologia e della devianza da quanto prescritto dalla
norma. Successivamente si passa un modello di analisi centrato sulla persona, si sposta
l'attenzione dalla macchina all'uomo. A partire dagli anni 90 si passa al modello organizzativo-
sociotecnico per cui gli incidenti non devono essere più considerati come fallimento
esclusivamente tecnico o umano ma come causati dall'insieme di più componenti.
TIPOLOGIE DI ERRORE
Nell’ambito delle teorie sviluppate nello studio dell’errore, è stata proposta una classificazione del
comportamento umano suddivisa in tre tipologie: (Rasmussen)
- Skill-based behaviour (comportamento basato sulle abilità): comportamenti automatici (routine)
- Ruled-based behaviour (comportamento basato su regole)
- Knowledge-based behaviour (comportamento basato sulla conoscenza): comportamenti adottati
quando ci si trova davanti ad una situazione sconosciuta
Reason, sulla base del modello proposto da Rasmussen, differenzia tra errori di esecuzione e azioni
compiute intenzionalmente e definisce così tre diverse tipologie di errore:
- Errori di esecuzione a livello di abilità (slips) es: Infermiere professionale che si dimentica di
riferire un’allergia del paziente al medico
- Errori di esecuzione causati da venir meno delle memoria (lapses) a differenza degli slips, i
lapses non sono direttamente osservabili.
- Errori però non vengono commessi durante la realizzazione pratica dell'azione (mistakes): che
nascono nella pianificazione delle strategie. Queste tipologie di errore sono definite:
-Ruled-based: una procedura che non porta all’obiettivo
-Knowledge-based: errori commessi in base alla propria conoscenza insufficiente
PERCEZIONE DEL RISCHIO
Il lavoratore deve saper determinare la percezione del rischio cioè raggiungere il grado di
consapevolezza per cui un lavoratore avverte che svolgere la propria attività o utilizzare un dato
strumento mette la sua sicurezza in pericolo. Importanti fattori nella percezione del rischio
riguardano la valutazione della probabilità e delle conseguenze di un pericolo così come aspetti
situazionali quali l'esposizione volontaria o involontaria una situazione rischiosa. Si è rilevato che il
comportamento autoprotettivo del lavoratore dipende dalla stima del rischio soggettivo (più si
pensa che un lavoro possa essere rischioso più si ci attiene alle procedure di sicurezza). Le
informazioni relative alla pericolosità di un lavoro possono essere raccolte da esperienze dirette,
fondi esterne come mass media ho compagni di lavoro. In ogni caso il ragionamento umano
rispetto al rischio non segue una logica razionale. Si è notato che vi è la tendenza delle persone a
sovrastimare “col senno di poi” le possibilità con cui avrebbero potuto predire l'incidente accaduto.
Un aspetto della personalità che è stato studiato in relazione alla sicurezza del lavoro è quello del
locus of control. Le teorie dell'attribuzione mettono a fuoco come ci sia una generale tendenza
delle persone ad attribuire il proprio comportamento a cause esterne e a vedere il comportamento
degli altri come cause interne. Si è dimostrato che i lavoratori appartenenti a gruppi “a basso
rischio” erano più orientati internamente, mentre i lavoratori orientati esternamente erano
soggetti a piu incidenti. Statisticamente gli incidenti sono considerati eventi rari e c'è la tendenza a
pensare che “non può succedere a me” (Il reale ottimismo), poi ci sono quei lavori dove il rischio fa
parte della quotidianità.
LE CONDIZIONI DI LAVORO
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AMBIENTE DI LAVORO
L'ambiente è fondamentale riguardo le condizioni di vita e di lavoro (benessere, salute, sicurezza).
Progettare un ambiente di lavoro ergonomico significa conoscere il contesto nel quale si svolgerà
l'attività lavorativa, quindi gli aspetti fisico dimensionali (spazi, arredi), Ambientali (temperatura,
illuminazione) e organizzativi (procedure di lavoro, ruoli).
Bisogna conoscere anche le caratteristiche dei lavoratori. L'uomo è un organismo complesso e
cercare un posto di lavoro centrato sulle sue esigenze significa tenere in considerazione le sue
caratteristiche:
-biomeccaniche, fisiologiche: si occupano dei costi energetici del lavoro come consumo di ossigeno
e frequenza cardiaca, sforzo muscolare, fatica associata a posture statiche e dinamiche che
rappresentano uno dei maggiori problemi legati alle patologie muscolo-scheletriche
-antropologiche: dimensioni corporee che permettono di definire le dimensioni delle postazioni di
lavoro (es altezza del piano di lavoro)
-psicologiche: aspetti cognitivi (attenzione, memoria), motivazionali, relazionali, di dinamiche di
gruppo o di atteggiamenti.
La qualità del lavoro dipende dai fattori citati. Per progettare un posto di lavoro modellato in base
alle esigenze dell'uomo è necessario tenere in considerazione: l'attività da svolgere, l'ambiente
fisico, la posizione dell'operatore, la postura, gli spazi liberi, il controllo sulla macchina,
applicazione della forza, il layout della posizione di lavoro (display e posizioni di controllo).
I fattori esterni che condizionano un ambiente di lavoro sono: il microclima, l'illuminazione e il
rumore. Il comfort ambientale viene definito in base a questi fattori
IL MICROCLIMA
Il microclima è l’insieme di parametri ambientali che regolano le condizioni climatiche di un luogo
di vita o di lavoro determinanti per il benessere termico di un individuo. Il benessere termico è
determinato: dalla temperatura dell'aria, dall’umidità relativa, dalla ventilazione, dal calore
radiante, dal dispendio energetico e dalla resistenza termica del vestiario. Questi parametri variano
al variare della tipologia di lavoro svolto e a fattori soggettivi legati all'individuo (peso, età, stato di
salute).
L’ILLUMINAZIONE
La conformità ai parametri ottimali di luminosità ambientale è determinata da una corretta
esposizione alla luce, sia di giorno che di notte. Il comfort visivo è caratterizzato da: illuminazione
adeguata, disposizione bilanciata delle luci, intensità della luce uniforme nel tempo, assenza di
abbagliamento, uso dei colori e degli accostamenti cromatici. La qualità dell'illuminazione dipende
da caratteristiche fisiche della persona, dal tipo di attività svolta, da aspetti strutturali e da fattori
socio culturali e di abitudine.
IL RUMORE
La pesante meccanizzazione del lavoro, insieme al crescente sviluppo tecnologico nelle attività
lavorative ha comportato un incremento delle fonti di rumore e di conseguenza l'aumento dei
rischi legati alle funzionalità uditive e di attenzione (può essere causa di patologie professionali). È
soggettivo il fatto di percepire una vibrazione come suono o rumore.
IL CARICO DI LAVORO FISICO
Il carico di lavoro deve essere adeguato alle capacità del lavoratore in uno specifico contesto.
Altrimenti si va incontro ai disturbi muscoloscheletrici (DMS) che sono definiti come un gruppo di
affezioni a carico delle strutture ossee, muscolari, tendinee e delle borse articolari e possono
coinvolgere tutti segmenti corporei ma quelli più frequenti sono al livello della schiena e degli arti
superiori. Questi disturbi sono determinati da quattro fattori di rischio: la forza richiesta per
eseguire il compito, la postura tenuta nell'esecuzione del compito, la ripetitività dei gesti lavorativi,
l'inadeguato rilassamento dei segmenti muscolo scheletrici coinvolti nell'esecuzione del compito
lavorativo.
IL SOLLEVAMENTO MANUALE DEI CARICHI
La legge 626/94 definisce la movimentazione manuale dei carichi che possono comportare rischi di
lesione dorso-lombari ed indica un limite del peso sollevabile del lavoratore di 30 kg per gli uomini
e 20 kg per le donne che se superati possono causare un rischio fisico. Il rischio deve essere
valutato anche in riferimento ad altri elementi come: le caratteristiche del carico, le posizioni di
sollevamento, lo sforzo fisico eccessivo e le caratteristiche dell'ambiente (presenza di scale,
pavimenti scivolosi).
LE POSTURE FISSE PROLUNGATE
La postura è l'insieme e la sequenza di comportamenti che il corpo assume durante un'attività
lavorativa. Una postura di lavoro mantenuta costante nel tempo viene definita fissa mentre se
frequentemente modificata viene chiamata dinamica. Le attività di lavoro che implicano fissità
posturale sono più soggette a disturbi muscoloscheletrici.
LA RIPETITIVITA’
Un altro fattore di rischio è la ripetitività dei gesti necessarie a svolgere le mansioni. Più è elevata la
frequenza dei movimenti tanto più rapida è la successione di contrazioni e rilassamenti muscolari.
Essendo brevi risultano insufficienti a consentire il recupero funzionale delle strutture coinvolte nel
gesto. Più forza si impiega più lungo dovrà essere il tempo di recupero. I metodi per valutare i rischi
relativi alla ripetitività si rifanno alla biomeccanica che verifica la sostenibilità del rischio e definisce
i valori limite.
LA FATICA MENTALE
La fatica mentale è una diminuzione reversibile delle prestazioni e delle funzioni dell'organismo
legata a una diminuzione della soddisfazione per il lavoro e a un aumento dello sforzo per svolgere
il lavoro. Dunque è un abbassamento dell'energia psichica necessaria per compiere un'azione.
Successivamente è stata associata a un problema relativo all'attenzione o a deficit cognitivi nel
gestire la richiesta di un compito. Un altro problema è la multidisciplinarietà del concetto che
rende difficile il confronto eziologico e lo studio delle cause. L’ISO (International standard
Organization) ha fissato l'obiettivo di creare un lessico comune in questo ambito. Il concetto di
fatica mentale va distinto da quello di carico mentale. il carico mentale è la quantità di lavoro con
impegno mentale che il lavoratore deve svolgere (es sovraccarico mentale o Sotto carico mentale)
e che può determinare uno stato di fatica mentale.
-stressor: agenda che causa lo stress
-stress: somma di tutte le influenze che provengono da fonti esterne e interferiscono con la
persona fino a condizionarla mentalmente e fisicamente
-distress: fallimento adattivo della risposta
-eustress: energia ben utilizzata
-strain: sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte di un'alta domanda ambientale,
effetto immediato dello stress mentale vissuto dall'individuo
La fatica male nasce dall'interazione fra i requisiti di un compito di lavoro, le circostanze in cui è
effettuato e le abilità, i comportamenti e le percezioni dell'operatore. I principi del modello di
causa-effetto sono stati esposti nello stimulus-organism-reaction-model in cui la fatica mentale è
un alternazione temporanea dell'efficacia funzionale mentale e fisica che dipende dall'intensità,
durata e andamento temporale dello strain mentale. La fatica mentale si manifesta attraverso
stanchezza, rapporti meno favorevoli tra prestazione e sforzo, tipo e frequenza di errori e da
precondizioni individuali.
MISURAZIONE DELLA FATICA MENTALE
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Nel Draft ISO è contenuta una delle prime proposte volte a misurare la fatica mentale e le sue
conseguenze. Essa si basa su 4 criteri di valutazione:
- Soggettivi: fammi riferimento all'uso di questionari di autovalutazione dei sintomi della
fatica (test di memoria, metodo del doppio compito, test di reattività e di capacità di
mantenere la concentrazione, sulla frequenza dei cambiamenti posturali, sui segnali di noia,
e sul livello di performance)
- Comportamentali: metodo del doppio compito. frequenza dei cambiamenti posturali
indicatori di noia
- fisiologici: valutano altri indicatori di fatica come frequenza critica di fusione della luce
intermittente, ritmi cerebrali, frequenza cardiaca, funzionalità dell'apparato visivo,
pressione arteriosa, frequenza respiratoria, tensione muscolare
- biochimici: il carico di lavoro mentale può alterare parametri biochimici (i livelli ormonali)
attraverso cambiamenti dal livello di uropepsina nelle urine e di catecolammine nel sangue.
Una volta individuate le caratteristiche del sistema da indagare e analizzare i bisogni dei lavoratori
è possibile adottare le modalità valutative più opportune.
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS
Lo stress sul posto di lavoro è riconducibile al contratto di lavoro, all'irregolarità e flessibilità degli
orari di lavoro, all'insicurezza del posto di lavoro e all'intensificazione ecco della forza lavoro.
I principali fattori attraverso i quali è possibile individuare un problema di stress correlato al lavoro
sono:
- le caratteristiche dell’organizzazione e dei processi di lavoro (Pianificazione dell'orario di
lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte del lavoro e
capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro)
- le condizioni e l'ambiente di lavoro
- la comunicazione
- i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla
situazione, percezione di una mancanza di aiuto)
Alcune misure per la riduzione del rischio sono:
- migliorare la gestione e la comunicazione, al fine di chiarire gli obiettivi e il ruolo di ciascun
lavoratore e assicurare un sostegno adeguato
- Migliorare l'organizzazione, i processi, le condizioni e l'ambiente di lavoro
- potenziare la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza
e la loro comprensione delle possibili cause e del modo in cui affrontare lo stress.
- Migliorare l'informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti in
conformità ai contratti di lavoro
Lo stress da lavoro non è sempre causato dal lavoro stesso, può essere indotto da fattori esterni
all'ambiente di lavoro ciò conduce a cambiamenti nel comportamento e alla riduzione dell'efficacia
sul lavoro. In questo caso il datore di lavoro può intervenire nell'ambiente di lavoro ma non sulla
sfera privata del lavoratore. Riguardo l'identificazione delle fonti di stress molti approcci
metodologici fanno riferimento a due tipologie di fattori:
- fattori oggettivi legati all'ambiente e alle condizioni di lavoro: esposizione a rumore, a
vibrazioni, al calore, a sostanze pericolose, la ripetitività delle manzioni
- fattori di natura psicosociale che possono essere suddivisi in: organizzazione ai processi di
lavoro; la comunicazione; i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali al lavoro)
Le valutazioni dei fattori oggettivi vengono fatte attraverso specifiche checklist (attraverso cui
valutare indicatori quali infortuni, assenza per malattia) mentre la valutazione dei fattori
psicosociali si basano su un'analisi delle percezioni del lavoratore riferita alla propria esperienza
lavorativa e possiamo utilizzare due metodi:
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É possibile definire, in generale, l’abilità come “ciò che una persona è in grado di fare”. Fleishman
elaborò una complessa tassonomia comprensiva di cinquantadue abilità, rispetto alla quale gli
individui si differenziano fra loro e che risultano determinanti nella performance lavorativa.
Queste sono riconducibili a tre macrocategorie: intelligenza e abilità cognitive, abilità fisiche, abilità
percettivo-motorie.
INTELLIGENZA E ABILITA’ COGNITIVE
Nel contesto lavorativo, l’intelligenza è definibile come “una capacità mentale molto generale che,
tra le altre cose, comprende la capacità di ragionamento, di progettazione e di problem solving, di
pensare in modo astratto, capire idee complesse, imparare velocemente e apprendere
dall’esperienza”. La maggior parte degli psicologi è concorde nel sostenere che, sebbene il valore
del fattore “g” (generale) di intelligenza sia positivamente correlato a comportamenti lavorativi di
successo, esistono anche altre abilità cognitive specifiche più utili per certe tipologie di lavori
piuttosto che per altre. Un modello piuttosto completo ed esaustivo delle abilità cognitive è quello
proposto da Carroll, il quale ha ipotizzato un modello gerarchico, secondo il quale l’intelligenza
sarebbe articolata in tre livelli di abilità cognitive: il livello più alto è “g”, il successivo include 7
abilità più specifiche e infine il terzo livello comprende abilità strettamente legate a quello dello
strato immediatamente superiore. Per esempio la capacità di ordinare informazioni è collegata
all’intelligenza fluida, mentre l’abilità di individuare relazioni spaziali si connette alla percezione
visiva. In campo lavorativo, la capacità intellettiva generale risulta importante da un punto di vista
applicativo: qualora un’attività richieda un’elevata capacità di manipolare ed elaborare
informazioni, sono soprattutto le persone con alti punteggi ai test d’intelligenza generale a
ottenere prestazioni lavorative di successo. Tuttavia, si tratta di un requisito necessario ma non
sufficiente in quanto di fondamentale importanza sono anche le capacità cognitive specifiche.
ABILITA’ FISICHE
Vi sono mansioni il cui svolgimento richiede determinate caratteristiche fisiche come forza,
flessibilità muscolare e la resistenza fisica. Secondo Fleishman esisterebbero 11 abilità motorie di
base e 9 abilità fisiche. Hogan Identifica 7 abilità fisiche sulla base di molte attività lavorative che
sono raggruppabili in tre macrocategorie superiori: la forza muscolare, la resistenza
cardiovascolare e la qualità del movimento. tra il modello di Hogan e quello di Fleishman vi sono
delle corrispondenze (alcune abilità corrispondono).
ABILITA’ SENSORIALI
Le abilità sensoriali sono le funzioni fisiche della vista, dell’udito, del tatto, del gusto e dell’olfatto.
In campo lavorativo, le abilità sensoriali più frequentemente prese in considerazione sono quelle
visive e uditive. Generalmente considerate indipendenti da quelle cognitive, mentre in alcuni
modelli, come quello di Carroll, vengono considerate abilità di livello intermedio, dunque
classificabili come parte di “g”.
ABILITA’ PSICOMOTORIE
Le abilità psicomotorie, dette anche senza motore o motorie, si riferiscono principalmente alla
coordinazione, alla destrezza e ai tempi di reazione dell’individuo. Emerge chiaramente come si
tratti di abilità che rivestono un’importanza cruciale soprattutto per determinate professioni
(esempio musicista, orologiaio, chirurgo o barista).
LA PERSONALITA’
Un’analisi del comportamento lavorativo non può prescindere, come detto precedentemente,
dall’esaminare anche aspetti non cognitivi, che assumono sicuramente un peso determinante nel
comportamento sul lavoro. In particolare, la personalità rappresenta un’importante area da
esaminare dal punto di vista delle differenze individuali. La personalità può predire le future
esperienze lavorative e l'ambiente lavorativo è in grado di modificare alcuni tratti individuali.
Secondo la Life course perspective da un lato le caratteristiche personologiche influenzano le scelte
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ed esperienze individuali mentre dall'altro queste ultime influenzano lo sviluppo dei tratti personali
lungo l'intero ciclo di vita. Infatti alcuni tratti di personalità possono cambiare nel corso della vita
sia per fattori genetici che ambientali, e visto che la maggior parte del tempo viene passato
nell'ambiente lavorativo esso influenza questo cambiamento. Un modello che descrive la
personalità è il big five o modello dei 5 fattori.
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valori strumentali, che costituiscono i mezzi attraverso cui le persone conseguono gli obiettivi
terminali (mente aperta, coraggio nell’affermare le proprie idee, essere razionali).
Allport individua sei categorie: valori teoretici (interesse per il ragionamento), valore economici,
valori estetici, valori sociali, valori politici, valori religiosi.
Una suddivisione importante è quella tra valori intrinseci che si riferiscono al lavoro in sé e valori
estrinseci che si riferiscono a fattori esterni al lavoro o ciò che da questo può derivare (es
un'elevata retribuzione). Un concetto particolarmente importante in ambito organizzativo è la
congruenza: quando le persone sono chiamate a collaborare con colleghi aventi valori simili,
esprimono emozioni positive. Al contrario quando i valori differiscono si genera una situazione di
incongruenza. Inoltre numerose ricerche hanno evidenziato che quando le persone hanno
l’opportunità di svolgere lavori allineati con i propri valori e quando condividono questi ultimi con i
propri responsabili sono in grado in incrementare significativamente la produttività aziendale.
Dunque i valori sono elementi funzionali al conseguimento dei risultati organizzativi. Il Super’s
work values inventory è un questionario che serve per valutare i valori ed è costituito da 72 item
raggruppati in 12 scale che valutano i seguenti valori: riuscita, colleghi, creatività, retribuzione,
indipendenza, stile di vita, Sfida, Prestigio e sicurezza. Gli item sono valutati su scala likert a 5 punti
(1= per niente importante 5= essenziale). Sono stati individuati ulteriori aspetti soggettivi in grado
di incidere sui comportamenti e sui risultati lavorativi: la conoscenza, l'esperienza, le competenze,
intelligenza emotiva e la tendenza ad essere soggetti adattatori e innovatori.
CONCLUSIONI
La presenza di differenze individuali nelle persone che operano in un contesto lavorativo pone il
problema di come poter comprendere e valorizzare le diversità degli individui al fine di creare un
ambiente in cui ciascuno possa sentirsi accettato e apprezzato. É necessario che il management
comprenda e valorizzi le differenze individuali, che possono essere misurate attraverso diversi tipi
di strumenti, fra cui principalmente le interviste e i test. La misurazione delle differenze individuali
in azienda rende possibile impostare piani di intervento, che consentano alle persone di crescere
personalmente e professionalmente e quindi di incrementare anche la produttività e la
competitività organizzativa.
CAP 5 – LA COMPETENZA
PERCHE’ PREOCCUPARSI DELLA COMPETENZA?
La competenza delle persone è un asset fondamentale del successo delle organizzazioni.
LA COMPETENZA A VIVERE
La competenza è innanzitutto “competenza a vivere” cioè un fenomeno complesso, globale
dell’abilità cognitiva e affettiva che ci consente di essere e stare al mondo, di trovare il nostro posto
e fare il nostro cammino nella vita. La competenza vivere è polimorfica, cioè a differenti forme, è
contemporaneamente intrapsichica, cioè inscritta nella configurazione di vita e nel mondo interno
della persona, e interpersonale cioè co-costruita con l'ambiente relazionale sociale. è un fenomeno
multidimensionale: cognitivo e affettivo; è Dinamica e continuamente cangiante: fluida, plastica,
articolata secondo la persona. Essa ha origine con la vita intrauterina, tutti sviluppiamo una
competenza a vivere, ma ciascuno è competente a modo suo. Essa è una struttura ed è un
processo: la struttura della competenza ne definisce i processi di utilizzo e sviluppo, ed essi
cambiano la struttura della competenza stessa.
LA COMPETENZA E’ UNA “STRUTTURA”
La struttura della competenza è lo schema guida ed è riconducibile a due differenti aree: una è la
capacità di produzione (componente semiotica), interpretazione dai segni e simboli (ermeneutica)
e la capacità di raccontare (narrazione). Attraverso l'uso del linguaggio e la costruzione dei
significati vi è la possibilità di sviluppare competenze e di produrre conoscenza su di sè e sul
17
mondo. Da ciò emerge una caratteristica della competenza umana cioè la relazionalità: una
relazione con qualcosa altro, che sia oggetto reale, psichico o una persona. L’interazione si
presenta nella forma di racconto e comprende una continua negoziazione delle conoscenze
implicite, si costruisce e si ricostruisce incessantemente una cultura condivisa e vengono elaborati
modi di agire e pratiche quotidiane condivise perché reciprocamente soddisfacenti. L’altra area è
quella paradigmatica (volta a definire sistemi di regole per pensare e per fare), ordinatoria (che
fornisce un ordine al fluire caotico degli eventi) e conativa (che indica la nostra capacità di
progettare e attuare piani d'azione). Anche quest’aria è incorporata nell'azione ed è connessa
all'attivazione di un contesto e alla costruzione di senso. L’idea fondamentale è che questa
competenza progettuale sia una struttura cognitiva incorporati in un repertorio di mappe cognitive,
schemi e programmi usati dall'attore per governare le proprie azioni ai propri comportamenti.
LA COMPETENZA E’ UN “PROCESSO”
Il processo costruisce e fa funzionare la struttura, la struttura modifica il processo. Struttura e
processo sono connessi e interdipendenti. La competenza è il “processo” che costruisce e viene
modificato dalle due aree della competenza. Possiamo individuare due processi:
-il primo è individuale-conversazionale, volto a dare senso al mondo e a scrivere la nostra vita. È
più arcaico, si basa sul fattore affettivo e comprende gran parte della nostra conoscenza tacita. È un
processo della competenza che corrisponde a mappe antiche che sono state ormai iscritte nella
biologia dell'individuo. È orientato alla conoscenza di sé, alla costruzione dei se e dell'identità.
- il secondo è sociale-culturale, guida e orienta l'analisi dell'interazione tra persona-persone-
ambiente, valuta la natura e la qualità di questa relazione. È posteriore nello sviluppo
dell’individuo e assume le forme della logica, del ragionamento ipotetico-deduttivo, tende
all’astrazione. È originato dalle conoscenze esplicite spesso condivise socialmente ed è orientato
alla conoscenza del mondo e di sé nel mondo. É possibile sintetizzare l’assunto fondamentale circa
l’orientamento sociale-culturale del processo di costruzione della competenza nello scambio e
nella co-costruzione tra persona e ambiente (inscritti l’uno nell’altro), evidenziando quindi le
qualità riassumibili nella reciprocità e nell’interdipendenza.
DALLA COMPETENZA A VIVERE ALLA COMPETENZA PROFESSIONALE E MANAGERIALE
Alcuni studiosi forniscono una prospettiva riguardo il passaggio da una competenza umana a una
competenza che viene espressa in un contesto determinato dalla professione e dalla
organizzazione.
IN PRIMCIPIO FURONO CHOMSKY E LA COMPETENZA LINGUISTICA
La nozione di competenza per Chomsky si basa sullo studio del linguaggio, può essere definita
come un potenziale a disposizione delle persone, attivabile a necessità. Per egli la competenza di
un parlante è definita dalla conoscenza della grammatica generativa e trasformazionale del
linguaggio stesso, dalle regole generali per riprodurre e modificare, o riconoscere le proposizioni di
una lingua.
Per analogia, anche la competenza professionale viene concettualizzata come un insieme di
capacità o proprietà interne all’attore, indipendentemente dalla situazione e dal compito. Essa
presuppone la conoscenza di regole generative e l’esistenza di strutture cognitive profonde per
generare routine d’azione efficaci. Si conduce alla formulazione di un modello di agente ideale cioè
di un soggetto astratto che non sembra sottoposto a condizionamenti socioculturali. Si elabora una
teoria che pone al centro l'individuazione delle strutture mentali e delle funzioni cognitive che
sono alla base della competenza di un attore.
POLANY, LA COMPETENZA TACITA, LA CONSAPEVOLEZZA
Nella prospettiva di Polany esiste una conoscenza personale che mette in discussione il vero ideale
delle scienze esatte, l'oggettività e la razionalità assoluta. La competenza professionale è sostenuta
dalla capacità di stabilire relazioni di significato e relazioni tra le parti e il tutto. L'impegno
18
intellettivo è una decisione responsabile con la quale ci confrontiamo con le richieste di ciò che è
consapevolmente riconosciamo come vero nel contesto. La conoscenza personale e la competenza
professionale sono articolate su due livelli di consapevolezza:
- la consapevolezza focale consente di osservare e verificare il raggiungimento dell’obiettivo
nell’attività che il soggetto sta svolgendo;
- la consapevolezza sussidiaria è l’osservazione e la categorizzazione delle sensazioni e delle
attività che vengono sviluppate circa l’utilizzo degli strumenti per raggiungere il risultato. Essa ha
quindi valore di apprendimento di regole e metodi. Questo ci porta ad evidenziare che nella nostra
competenza è contenuto molto più di quanto possiamo esprimere. Essa è in parte tacita e in parte
espressa. “Il nostro corpo è lo strumento essenziale di ogni nostra conoscenza esterna”. Il concetto
di conoscenza tacita consente di comprendere perché le persone nelle organizzazioni spesso non
siano in grado di spiegare perché e come fanno le cose, come guidano le loro azioni. La conoscenza
sussidiaria consente di svelare il significato e le relazioni sottostante l’azione, è quel livello della
conoscenza personale che permette l’elaborazione e l’osservazione riflessiva circa gli strumenti
concettuali in uso.
SCHON E LA COMPETENZA DIVENTA RIFLESSIVA
Nell'ambito della razionalità tecnica, la pratica professionale era interpretata come un processo di
soluzione di problemi, nella scelta della soluzione ottimale del problema vengono completamente
ignorati gli aspetti relativi alla definizione del problema, al processo attraverso cui si individua la
decisione da prendere, i fini e i mezzi. Dunque viene ignorata la razionalità limitata dell'umano,
l'ambiguità dell'organizzare, l'incertezza. Schon sostiene che Per trasformare una situazione
problematica in un problema, il professionista deve partire da materiali di situazioni problematiche
che sono incerte. La proposta di schon si muove nella direzione di un’epistemologia della
riflessione nel corso delle azioni, fondamentale per i professionisti che grazie ad essa possono
affrontare efficacemente le situazioni reali che sono connotate da incertezza, instabilità, unicità e
conflitti di valore di intenzioni. L'attività è contemporaneamente esplorazione, verifica di un piano
ed ipotesi, funzioni soddisfatte proprio nel corso delle azioni. Il professionista che riflette conduce
una sorta di esperimento volto ad arrivare a una nuova comprensione dei fenomeni e a un
mutamento nella situazione, riflettendo nel corso dell'azione diventa un ricercatore operante nel
contesto della pratica e costituisce una nuova teoria del caso unico che sta affrontando.
Schon non separa i fini dai mezzi, e nemmeno il pensiero dall'azione ma ragiona sul problema fino
a raggiungere una decisione che successivamente dovrà trasformare in azione.
Un altro elemento introdotto dalla competenza riflessiva di Schon è rappresentato dalla
valorizzazione della sorpresa, dall'incontro e dal riconoscimento del non noto. La sorpresa
consente di ritornare a osservare e a riflettere sull'azione compiuta, svela l'implicito nell'azione.
Quando le azioni producono risultati attesi non tendiamo a rifletterci sopra, mentre invece quando
ci troviamo di fronte a domande che appaiono incompatibili o incoerenti tendiamo a riflettere sugli
antecedenti che sono stati definiti per la situazione. I professionisti dispongono di un repertorio di
aspettative, immagini e tecniche e imparano come costruire il problema, che cosa cercare e come
rispondere in ragione della soluzione. Quando la pratica si mantiene stabile, come casi e problemi
già visti il professionista è sempre meno soggetto a sorpresa. La riflessione rappresenta per il
professionista una possibilità di crescita per apprendere e sviluppare delle competenze, far
emergere quelle competenze implicite che erano state cristallizzate nelle attività e nelle esperienze
ripetitive, trovando così un significato alle situazioni caratterizzate da incertezza o unicità.
LANZARA E LA “CAPACITA’ NEGATIVA”
Il contributo di Lanzara consente di ripercorrere il ragionamento sulla competenza ad agire e di
introdurre il tema dell’incertezza e del cambiamento. “La competenza è l’esistenza di una capacità
che attribuiamo all’attore e un fenomeno di integrazione del comportamento con i dati e i requisiti
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dell’ambiente del compito”. Con questa definizione l’autore tiene conto contemporaneamente sia
delle capacità interne dell’attore, sia del fenomeno che mette in relazione i processi cognitivi e gli
atti di comportamento con l’ambiente. È orientato a individuare e comprendere se e come le
rappresentazioni vengono effettivamente attivate, qual è la loro funzione nella produzione di
attività pratiche. Per designare le abilità cognitive inscritte nelle attività pratiche Lanzara adotta il
termine mente in azione, anziché prendere le abilità cognitive (funzioni mentali) e separarle dalla
sfera dell'azione viene studiata la competenza pratica. Egli si basa sul concetto di programma per
l'azione, capacità negativa e sensibilità al contesto, sostenendo sempre il versante sociale che la
caratterizza. Le interazioni tra soggetti e ambiente avvengono mediante programmi per l'azione e
meta progetti che forniscono le regole per la progettazione di azioni in determinate situazioni. I
programmi si basano sulla cultura e su sistemi sociali.
La competenza può essere così definita come una particolare modalità di accoppiamento con il
contesto, come una forma di integrazione fra l’agire e il mondo in cui esso si manifesta. Diventa
così cruciale la flessibilità dei programmi d’azioni e la capacità di modificare rapidamente il nostro
corso di azioni e decisioni sulla base della situazione contingente. Questo richiede capacità di
osservazione riflessiva, doti di “immaginazione e disponibilità ad affrontare il rischio”. La
competenza quindi, nella sua concezione più attuale, si esprime nella capacità di andare oltre il
noto, sostare nell’incertezza per promuovere una possibilità per il nuovo ed esplorare l’ignoto.
Lanzara la definisce Capacità Negativa (Negative Capability) esprimendo così “la possibilità di
conservare un’esistenza dove ogni possibilità di esistenza sembra essere negata, accettando di
rendersi vulnerabili agli eventi e facendo della propria vulnerabilità una leva d’azione”. La capacità
di sperimentare è un’azione che nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine e punta a
generare mondi possibili. Le competenze non sono solo di origine cognitivo, ma sono riconoscibili e
riproducibili solo all'interno di un sistema di relazioni e di pratiche socialmente e culturalmente
riconosciute. La costruzione della competenza è un insieme e inestricabilmente apprendimento
individuale e apprendimento culturale i cui materiali sono le aspettative, i valori e i giudizi
normativi su ciò che si pensa sia moralmente utile o giusto, socialmente buono o accettabile,
meritevole di riconoscimento e ricompensa nelle situazioni in cui si opera.
LE COMPETENZE PER I PROCESSI ORGANIZZATIVI
LE COMPETENZE PROFESSIONALI: I MODELLI
La competenza professionale e manageriale è la competenza a vivere che si confronta con sistemi
sociali organizzati, le organizzazioni. Essa è in parte tacita e in parte esplicita (Polany), ha differenti
gradi di consapevolezza e riflessività (Schon), ci consente di affrontare il contesto con differenti
gradi di sensibilità, capacità di produrre e realizzare piani d'azione, diversa capacità di tollerare
l'incertezza (Lanzara).
MODELLI DI COMPETENZA… IN TEORIA
La proposta di Boyatzis è diventata una sorta di minimo comun denominatore, di dizionario
condiviso, grazie al quale la comunità di professionisti della funzione del personale e di società di
consulenza organizzativa trovano un modo di intendersi quando dialogano circa la competenza.
Esso rientra nel novero di una scuola di pensiero, inaugurata da McClelland, che focalizza il
ragionamento sul soggetto, e in particolare sulle sue caratteristiche, in relazione alla possibilità di
ottenere prestazioni eccellenti. Boyatzis considera la competenza una caratteristica (tratto, abilità)
della persona che determina una prestazione lavorativa efficace. Queste caratteristiche non sono
direttamente osservabili, la competenza può manifestarsi in tante forme di comportamenti o
azioni, a seconda del compito da svolgere.
Il modello di Boyatzis ha due dimensioni che distinguono differenti tipi e livelli di competenza.
Una prima dimensione descrive i tipi di competenze, associati a diversi aspetti del
comportamento umano e della capacità delle persone in grado di spiegare le azioni e i
20
CAP 6 – LA MOTIVAZIONE
La motivazione rappresenta una delle aree di intervento più sfidanti per coloro che si occupano di
gestione delle risorse umane e di sviluppo organizzativo.
CHE COS’E’ LA MOTIVAZIONE
Il termine motivazione rimanda l'insieme dei processi psicologici alla base delle azioni volontarie
dirette verso un obiettivo. Vari autori al termine motivazione danno diverse interpretazioni. Molti
sono concordi nell'individuare un campo semantico in cui la motivazione è concepita come
un'energia che alimenta i comportamenti e li orienta verso una meta, e può essere analizzata in
termini di attivazione (avvio del comportamento), direzione (obiettivo a cui si rivolge), intensità
(forza dell'investimento energetico) e persistenza (disponibilità a insistere nel tentativo di
configurare l'obiettivo anche difronte difficoltà e ostacoli). Quagliano ha proposto di distinguere
tra comportamenti diretti a fare delle attività e a stare in organizzazione, definendo la motivazione
un'energia che si investe sia nella realizzazione di prestazioni connesse a specifici compiti,
22
orientata verso la finalità associata ai risultati delle prestazioni sia nella relazione tra individuo e
organizzazione, orientata verso finalità di definizione e consolidamento del legame di
appartenenza.
Bisogna distinguere tra attività intrinsecamente motivanti (legata all'attività di lavoro) e attività
compiute in funzione di una motivazione estrinseca (legata alla ricompensa che si riceve).
LE TEORIE MOTIVAZIONALI
I differenti modelli teorici sul tema della motivazione proposti tra gli anni ’50 e la prima metà degli
anni ’70 si sono orientati in parte verso l’analisi dei contenuti della motivazione, in parte
sull’individuazione delle variabili che ne influenzano l’espressione (l’analisi del processo).
LE TEORIE DI CONTENUTO:
LA TEORIA DI MASLOW
Secondo Maslow, la motivazione è caratterizzata da cinque bisogni di
base collocati in una gerarchia rappresentabile come una piramide. Alla
base troviamo i bisogni primari: quelli fisiologici (alimentarsi, avere un
riparo soddisfare bisogni sessuali ecc) e quelli di sicurezza (protezione da
pericoli, evitare il dolore, cura delle malattie) Gli altri tre vengono
definiti bisogni secondari poiché sono di tipo psicologico ed evidenziano una variabilità personale
assai più ampia: bisogni di affetto (amore, amicizia, approvazione), bisogni di stima (forza,
successo, adeguatezza, apprezzamento-> bisogno di autostima) e bisogni di autorealizzazione
(massimo sviluppo delle proprie possibilità). I bisogni di ordine superiore non sono considerati
importanti fino a quando i bisogni di livello inferiore non sono stati parzialmente soddisfatti: è
questo l’assunto del principio di dinamismo gerarchico di Maslow.
LA TEORIA DI McClelland
Gli studi di McClelland prendono le mosse dall’analisi del “bisogno di riuscire” (achievement need)
considerato un carattere fondamentale e distintivo delle società occidentali, e approdano a una
teoria generale della motivazione che individua tre principali elementi:
1. La motivazione al potere, ovvero l’orientamento a influenzare le persone e modificare le
situazione secondo le proprie intenzioni (esercitare un forte impatto sugli individui, sulle
decisioni...)
2. La motivazione all’affiliazione, l’orientamento a creare un’ampia e fitta rete di legami sociali.
3. La motivazione al successo, l’orientamento a raggiungere le mete desiderate, realizzare le
proprie capacità e migliorarsi continuamente (porta a ricercare obiettivi sfidanti e raggiungere
l'eccellenza).
A queste tre istanze si aggiunge la motivazione alla competenza, ovvero l’orientamento a
sviluppare continuamente le proprie abilità mantenendo standard di elevata qualità. In funzione
della storia della personalità del dell'individuo troviamo situazioni di equilibrio o situazioni in cui vi
è un netto prevalere dell'una o dell'altra istanza. Le differenti istanze motivazionali variano a
seconda del tipo di compiti, obiettivi, strumenti e relazioni che le qualificano
LA TEORIA DI HERZBERG
Herzberg indica l’esistenza di due tipi di fattori capaci di incidere sulla motivazione: i fattori di
igiene che riguardano ciò che si dà per scontato quando si compio loro lavoro (es retribuzione); e i
fattori motivazionali che consentono di apprezzare il proprio lavoro e alimentano il desiderio di
impegnarsi e fare bene. La prima classe di fattori viene chiamata di ordine primario e rinvia a una
dimensione di necessità (Prerequisiti per lavori motivanti) tra cui sono compresi la retribuzione, la
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sicurezza fisica del luogo di lavoro, la supervisione tecnica e le relazioni interpersonali, mentre tra i
fattori di ordine secondario compaiono il riconoscimento, l’attribuzione di responsabilità, le
opportunità di carriera e le possibilità di apprendimento e di crescita nel ruolo. Herzberg sostiene
la possibilità di rendere i contesti di lavoro sensibili e plastici in funzione delle differenze
individuali.
LE TEORIE DI PROCESSO
Si propongono di chiarire quali siano le variabili che regolano e influenzano l’investimento di
energia nella prestazione lavorativa.
LA TEORIA DI VROOM
Secondo Vroom il processo motivazionale comprende tre elementi distinti:
1. la sequenza comportamentale, cioè il corso d’azione che tende ad un certo obiettivo;
2. la motivazione, cioè l’insieme di energie mobilitate per il compimento del corso d’azione;
3. la ricompensa, cioè l’ammontare dei benefici che si ottengono raggiungendo l’obiettivo.
La forza della motivazione associata a ciascuna sequenza comportamentale è l’esito della
combinazione lineare di 3 differenti variabili:
- La valenza (V): essere attratti della ricompensa, la valenza della ricompensa può essere positiva,
negativo o neutra;
- L’aspettativa (A): la probabilità di raggiungere l’obiettivo, l’aspettativa è legata all'autostima e
all'autoefficacia;
- La strumentalità (S): la possibilità che l’obiettivo porti alla ricompensa prevista, il valore della
strumentalità può essere positivo, negativo o pari a zero.
Queste si collocano in una relazione di tipo moltiplicativo: il loro prodotto va a definire la forza
della motivazione. Fm = V x A x S Con questa formula Vroom sottolinea l’importanza dei giudizi di
valenza, aspettativa e strumentalità, che sono di tipo soggettivo.
LA TEORIA DI ADAMS
La principale variabile che a parere di Adams interviene nella regolazione del processo
motivazionale è costituita dall’equità percepita, cioè la valutazione soggettiva del livello di equità
presente nel proprio contesto di lavoro. La valutazione di equità implica due verifiche:
-l’equità interna, mediante confronto tra risultato e contributo fornito.
-l’equità esterna, mediante confronto tra se stessi e gli altri.
Secondo Adams, quando gli individui percepiscono una sufficiente equità interna ed esterna
saranno disposti a mantenere il livello di motivazione espresso fino a quel momento. Viceversa, in
caso di iniquità, si attiveranno per ridurla. In ogni caso gli individui differiscono nella propria
sensibilità all'equità: alcuni sono benevoli, tolleranti verso l’iniquità negativa a proprio svantaggio,
altri sono sensibili, attenti al rispetto delle norme e altri ancora sono aventi diritto, per nulla
preoccupati di risolvere situazioni di iniquità positivo.
LA TEORIA DI LOCKE
Locke, in prospettiva cognitivista, ha proposto la teoria del goal setting, la cui variabile chiave sono
gli obiettivi, che influenzano i comportamenti in differenti modi favorendo la motivazione. Le
caratteristiche degli obiettivi che più influenzano il comportamento:
- la consapevolezza: riconoscimento dell’obiettivo in quanto tale;
- la forza: il valore attribuito all’obiettivo;
- l’aspettativa di successo: il senso di conseguimento dell’obiettivo;
- la specificità: la chiarezza e vicinanza dell’obiettivo;
- la difficoltà: il grado di sfida che l’obiettivo sollecita.
La più significativa ricaduta operativa della teoria del goal setting di Locke, si può ritrovare nel
sostegno offerto alla formula della “gestione per obiettivi” (Management by Objectives).
LA SELF-EFFICACY DI BANDURA
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Secondo la teoria sociale cognitiva di bandura le persone sono in grado di produrre idee e ipotesi,
di progettare percorsi innovativi, prevedere i risultati che si possono ottenere, codificare ed
elaborare la propria esperienza. In questa teoria gli individui mettono in atto dei comportamenti in
relazione agli obiettivi. Bandura definisce l'autoefficacia come una credenza nei confronti delle
proprie capacità di aumentare i livelli di motivazione, attivare risorse cognitive ed eseguire azioni
per raggiungere gli obiettivi. Le principali fonti dell'autoefficacia sono:
- esperienza pregressa, cioè la quantità di successo o fallimento
- l'esperienza vicariante, la quantità e la qualità di apprendimento attraverso l'osservazione e
l'imitazione di altre persone
- la capacità immaginativa, prefigurare obiettivi e conseguenze legate alle loro azioni e decisioni
- persuasione verbale messe in atto da persone significative
- presenza di stati fisiologici ed emozionali positivi e facilitanti l'impiego in un compito
MOTIVAZIONE E PERSONALITA’
Alcuni autori hanno analizzato l’interazione tra i livelli di motivazione al lavoro e le loro
caratteristiche di personalità. Già nel 1944 Sears sosteneva l’utilità di considerare alcune
caratteristiche di personalità come predittori del livello di motivazione manifestato dall’individuo
nel contesto lavorativo. Studi simili si rifanno all’influenza del Locus of Control e nei recenti studi di
Latham che invitano a riconoscere l’influenza che i fattori interni dell’individuo (cioè personalità)
esercitano sulla motivazione al lavoro. Non per questo, il legame tra motivazione e personalità va
assunto come deterministico. A tal proposito Latham segnala che: 1) Non sempre i tratti di
personalità predicono il comportamento in situazioni significative; 2) Più spesso accade che i tratti
di personalità si manifestino in situazioni poco strutturate. In altri termini, se è vero che una buona
indagine di personalità può rivelarsi utile a prevedere il potenziale motivazionale, l’effettiva
realizzazione di questo potenziale è fortemente legata alle caratteristiche del lavoro e del contesto
in sé.
SVILUPPI RECENTI :
-WORK ENGAGEMENT
Il Job Demands-Resources Model analizza i diversi esiti che derivano dall'intreccio tra
caratteristiche positive e negative che qualificano il lavoro dagli individui. Tra questi e il work
engagement cioè uno stato mentale collegato al lavoro, caratterizzato da vigore (alti livelli di
energia resilienza), dedizione e assorbimento (coinvolgimento positivo). Al polo opposto del work
management vi è il burnout caratterizzato da un senso di esaurimento psicologico e di distacco
dall'esperienza lavorativa. Il work engagement esercita un'influenza positiva sulla salute e sulle
prestazioni dei lavoratori (salute fisica, migliori relazioni, migliori risultati aziendali, comportamenti
di cittadinanza organizzativa, soddisfazione dei clienti). Il JD-R Model ha il merito di inquadrare i
processi motivazionali che qualificano l'esperienza lavorativa di un individuo, esso consente di
comprendere come uno stesso individuo posso esprimere un livello di investimento motivazionale
mutevole nel corso della propria vita lavorativa.
-FLOW AT WORK
Le esperienze flow riguardano lo studio degli stati ad alta intensità motivazionale. Il flow è uno
stato di consapevolezza in cui gli individui sono totalmente immersi e concentrati nelle attività che
svolgono, durante il quale provano piacere e hanno il piano controllo della situazione. Alla base
dell'esperienza flow vi è un equilibrio tra sfida e abilità. Le prime ricerche si sono focalizzate in
ambito sportivo e artistico ma l'esperienza flow si verifica anche nelle situazioni di lavoro.
Il flow at work è caratterizzato da:
- assorbimento, stato di profonda concentrazione e non accorgersi di ciò che ci circonda e del
tempo
- il piacere lavorativo, giudizio positivo sull’attività di lavoro
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temporale; il monitoraggio a intervalli regolari dei risultati raggiunti . Esistono inoltre due
principali classi di obiettivi: gli obiettivi di contributo e gli obiettivi di competenza. I primi hanno a
che fare con le prestazioni che il collaboratore deve fornire e possono riguardare sia il risultato
ottenuto che le prestazioni sia le modalità di svolgimento, mentre i secondi riguardano
l’acquisizione di conoscenze e capacità importanti per raggiungere gli obiettivi di contributo.
GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA
La teoria di Adams ha favorito lo sviluppo sul tema della giustizia organizzativa, che si propone di
promuovere la percezione di equità all’interno dei contesti di lavoro. Il senso di giustizia si articola
in 3 componenti: giustizia distributiva: l’equità con cui le ricompense vengono assegnate;
giustizia procedurale: il processo mediante il quale tali ricompense vengono assegnate; giustizia
interazionale: la qualità della relazione tra coloro che hanno funzioni di controllo e valutazione (il
management) e coloro che vengono controllati e valutati (i collaboratori). La giustizia interazionale
è articolata in giustizia interpersonale e giustizia informazionale: la prima si riferisce agli aspetti
appena menzionati e la seconda riguarda l'adeguatezza delle spiegazioni offerte in termini di
tempestività, specificità e veridicità. Studi meta-analitici hanno evidenziato come le tre forme di
giustizia siano correlate positivamente con la motivazione, e negativamente con l’intenzione di
lasciare l’azienda e il turn-over.
PARTECIPAZIONE
Un’ulteriore leva motivazionale da considerare è la partecipazione. Già negli anni ’60 MacGregor
aveva rivolto a un’intera generazione di manager l’invito di abbandonare la “filosofia X”, secondo
cui gli esseri umani sono fondamentalmente indolenti e dunque bisognosi di direzione e controllo,
a favore di una “filosofia Y”, che assume che le persone siano orientate alla crescita, all’assunzione
di responsabilità e al lavoro. In altre parole passare da uno stile gestionale “autoritario” a uno stile
“partecipativo”. A partire dalla proposta di McGregor, il concetto di partecipazione ha conosciuto
un ampio sviluppo e viene attualmente considerato un imprescindibile strumento a sostegno della
motivazione. Vi sono differenti aree in cui è possibile realizzare una più alta partecipazione: la
trasformazione degli obiettivi generali in obiettivi specifici; la presa di decisione;
l’individuazione, l’analisi e soluzione dei problemi; la definizione di valori e politiche aziendali;
l’attuazione e il monitoraggio degli interventi di cambiamento; il controllo sulle risorse
(strumenti, budget, consulenti). Lo stile gestionale partecipativo migliora le prestazioni e la
produttività, aumenta la qualità e l'attenzione del cliente e diminuisce la competitività negativa.
Alcune forme di partecipazione sono: i circoli di qualità (per discutere problemi di qualità relativi al
processo in questione) e gruppi di lavoro autogestiti (sono in grado di prendere decisioni
autonomamente). Negli ultimi anni il tema della partecipazione si è legato a quello
dell’empowerment. Questo termine, che in precedenza veniva utilizzato per indicare la delega di
autorità e responsabilità dai capi ai collaboratori, è ora sinonimo di un orientamento gestionale
volto a valorizzare le risorse umane dell’organizzazione, consentendo loro di avere una reale
influenza sui processi e sui contesti di lavoro.
LA RICERCA PER LA DIAGNOSI E L’INTERVENTO ORGANIZZATIVO
Le organizzazioni spesso realizzano interventi finalizzati alla promozione della motivazione, ma non
effettuano una diagnosi preliminare del proprio “profilo motivazionale”. Questo per la tendenza a
giustificarsi con una presunta difficoltà nel mettere a punto indicatori del livello di motivazione. Ci
sono in realtà diversi costrutti che offrono una definizione operativa della motivazione tra cui il Job
involvement che indica “l’attaccamento al proprio lavoro” o “il grado con cui un individuo si
identifica col proprio lavoro”; Lodahl e Kejner hanno individuato un elenco di indicatori del job
involvement mettendo a punto un questionario per la sua misurazione.
ORGANIZATIONAL COMMITMENT
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[+ soddisfazione + produttività/+ migliori prestazione] Anche i primi studi sulla soddisfazione del
cliente e tutto il filone della ricerca di marketing, hanno confermato la visione che l’aumento di
soddisfazione lavorativa corrisponderà ad un miglioramento delle prestazioni. L’equazione più
soddisfazione = migliori prestazione ha fatto convergere un significativo interesse di tipo teorico e
pragmatico anche per il management. Negli ultimi anni, tuttavia, un crescente numero di
ricercatori sta proponendo di sostituire la soddisfazione lavorativa con il costrutto più ampio di
“benessere psicologico”, che amplia decisamente il campo di variabili considerate al fine di
spiegare in modo più corretto la relazione tra soddisfazione e prestazione.
La soddisfazione lavorativa porta alla presenza di buone opportunità di sviluppo professionale e
alla disponibilità a fare sforzi aggiuntivi per raggiungere gli obiettivi. Dagli studi sulla soddisfazione
si possono trarre informazioni per progettare interventi mirati ottenere una migliore qualità della
vita lavorativa.
I CONTENUTI DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Si può parlare di soddisfazione generale oppure soddisfazione relativa a differenti aspetti delle
esperienze di lavoro in organizzazione. Le ricerche basate sulla soddisfazione relativa scontano una
problematica: non esiste alcuna classificazione dei contenuti della soddisfazione che abbia
ottenuto pieno riconoscimento da parte della comunità scientifica. Una recente meta-analisi
(Saane, Sluiter, Verbeek e Frings-Dresen) ha consentito di identificare undici aree tematiche che
possono essere considerate rappresentative dei contenuti della soddisfazione, anche se finora non
è stato proposto alcun ragionamento sulla completezza di tale elenco: Contenuti del lavoro,
Autonomia, Crescita e sviluppo, Riconoscimento economico, Carriera Promozione, Supervisione,
Comunicazione, Collaborazione, Significato, Carico di lavoro, Richieste. Cortese utilizzando un
approccio qualitativo-quantitativo ha consentito di indicare 8 principali contenuti della
soddisfazione lavorativa: compito e sviluppo, organizzazione e comunicazione, clima, contratto,
immagine, contesto, valutazione e carico di lavoro.
TEORIE E MODELLI:
MODELLI COGNITIVI
Tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 diversi studi hanno focalizzato l’aspetto cognitivo
della soddisfazione lavorativa, proponendosi di individuare le modalità che porterebbero i soggetti
a valutare tutti gli elementi in gioco per poi decidere il proprio livello di soddisfazione.
Particolarmente rappresentativo di tale approccio risulta il Facet Model di Lawler che indica
l’origine della soddisfazione nel confronto tra ricompense ricevute e ricompense attese. Se
quanto ricevuto è inferiore a quanto atteso, vi sarà insoddisfazione; Se i due aspetti saranno
allineati, vi sarà soddisfazione; Se quanto ricevuto sarà superiore a quanto atteso, l’individuo
proverà disagio. La stima delle ricompense attese viene effettuata dall'individuo in base a ciò che
ritiene di offrire, al confronto tra input offerto e ricompense ricevute dagli altri soggetti e alle
caratteristiche del lavoro. Per valutare le ricompense ricevute l'individuo opera un confronto tra sé
e gli altri (bisogna confrontarsi con chi è simile e non superiore o inferiore), se quello che ha
ricevuto è in linea con quello degli altri. In sintesi il modello di Lawler, pur considerando la
soddisfazione come atteggiamento, ne approfondisce la componente razionale e cognitiva.
MODELLO DELLE CARATTERISTICHE DEL LAVORO
Hackman e Oldham hanno proposto il Job Characteristics Model con l’obiettivo di precisare le
relazioni tra caratteristiche del lavoro, reazioni individuali dei lavoratori e soddisfazione lavorativa.
Nel modello vengono proposte cinque dimensioni del lavoro che portano a tre stati psicologici,
significato del lavoro, responsabilità, conoscenza dei risultati, i quali a loro volta, producono
risultati in termini di soddisfazione, motivazione ed efficacia. I collegamenti tra dimensione del
lavoro e stati psicologici e tra stati psicologici e risultati sono moderati dal bisogno di crescere di
ciascun lavoratore. Quando gli stati psicologici sono tutti presenti si sviluppa maggiore
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ricerche hanno indagato i rapporti del costrutto con i comportamenti di cittadinanza organizzativa
(OCB), che non hanno però evidenziato particolare correlazione. Diverso il discorso nei confronti
dell’opposto, i comportamenti controproducenti, che invece sono risultati correlati negativamente
con la soddisfazione per il lavoro. Tra gli esiti della soddisfazione lavorativa possiamo annoverare
anche il burnout, la salute e il benessere psicologico.
- il Burnout è uno stato di sofferenza psicologica che si manifesta come senso di esaurimento,
depersonalizzazione e ridotta efficacia personale. Le singole dimensioni del burnout correlano in
modo diverso con la soddisfazione: -50 per l’esaurimento emotivo, -33 per la depersonalizzazione e
-28 per l’efficacia personale.
- Salute: Palmore ha suggerito che l’insoddisfazione lavorativa determina una minor prospettiva di
vita, trovando correlazione con manifestazioni di malessere, come mal di testa e problemi di
stomaco.
- Benessere psicologico: la soddisfazione lavorativa risulta correlata positivamente con esso, e
negativamente con ansia e depressione. Infine citiamo alcuni studi che si sono occupati della
relazione tra soddisfazione lavorativa e soddisfazione di vita generale (life satisfaction). Le ipotesi
hanno considerato 3 alternative: 1. Compensation: ciò che viene vissuto nell’ambiente lavorativo
compensa ciò che è esterno ad esso; 2. Spillover: ciò che accade in un ambiente si riversa nell’altro;
3. Segmentation: tra i due aspetti non vi è legame. Judge e Watanabe hanno trovato verificato
valido soprattutto il modello Spillover, a seguire la Segmentation e infine Compensation.
STRUMENTI PER MISURARE LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Il livello di soddisfazione percepita dallo stesso individuo può variare nel corso della vita
professionale in funzione dei differenti contesti di lavoro (mansioni svolte, politiche, regole,
supervisori, colleghi, ecc.). Fondamentale risulta disporre di adeguati strumenti di rilevazione della
soddisfazione sia di tipo generale che di tipo specifico, poiché gli individui “possono essere
soddisfatti di un aspetto e allo stesso tempo insoddisfatti di un altro aspetto”. Le ricerche sul
campo si avvalgono principalmente di strumenti quantitativi cioè i questionari ma vi sono studi di
tipo esplorativo che utilizzano un approccio qualitativo attraverso interviste e focus group cioè
osservazioni dirette nei contesti di lavoro.
ESEMPI DI QUESTIONARI
Vi sono strumenti di tipo monodimensionale capaci di misurare la soddisfazione complessiva e
strumenti di tipo multidimensionale in grado di individuare il livello di soddisfazione per ciascuna
delle componenti in cui si articola la soddisfazione stessa che si dividono in strumenti generalistici
(per misurare qualunque attività di lavoro) e dedicati (per misurare specifica attività). Tra gli
strumenti monodimensionali il più noto è il job in general scale (18 item), mentre tra quelli
multidimensionali generalistici ritroviamo il job satisfasction survery (36 item)che comprende 9
sottoscale; e il job descriptive Index (72 item) composto da 5 fattori. Tra gli strumenti dedicati vi è
la McCloskey/Muller satisfaction scale (31 item) articolata in 8 sottoscale. Tra gli adattamenti
italiani vi è occupational stress indicator che valuta la carriera, il lavoro in sé, l'impostazione e la
struttura organizzativa, i processi organizzativi e le relazioni interpersonali; e l’index of work
satisfaction per l'analisi della soddisfazione lavorativa del personale infermieristico.
MISURE ANALITICHE E MISURE GENERALI
L’utilizzo dei questionari analitici porta a una soddisfazione lavorativa globale che viene ottenuta
sommando i punteggi delle differenti sottoscale (misura composta della soddisfazione generale).
Questo secondo alcuni errato in quanto i questionari specifici possono omettere delle componenti
di soddisfazione importanti per l'individuo e includere comportamenti non significativi e inoltre la
somma aritmetica dei punteggi può non cogliere le modalità dagli individui nel valutare la propria
soddisfazione in termini generali. Quindi per misurare la soddisfazione generale è più utile uno
strumento specificamente dedicato piuttosto che una misura composta.
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implicazioni sull’engagement e sull'esaurimento che sono sia in relazione tra di loro che con la
prestazione lavorativa. È emerso che le risorse svolgono un ruolo protettivo più forte in presenza di
altrettanto forti richieste lavorative, ciò favorisce non solo l'engagement ma anche il flow at work.
Possiamo distinguere tra due tipi di richieste: le Challenge demands che portano alla crescita e
aumentano energia, impegno e vigore; e le hindrance demands che ostacolano la crescita e
l'apprendimento e causano danni alla salute e alla motivazione del lavoratore. Entrambe correlano
positivamente con la presenza di burnout. Le risorse si dividono in risorse lavorative come
disponibilità di informazioni, supporto dei capi e colleghi e presenza di feedback delle prestazioni;
e risorse personali come auto valutazioni positive, autoefficacia, ottimismo e resilienza.
MODELLO JD-R E INTERVENTO NELLE ORGANIZZAZIONI
Il modello JD-R viene applicato attraverso 8 tappe, definito JD-R Monitor:
1. definizione della situazione e del problema
2. progettazione dell'intervento, il consulente insieme ai collaboratori cerca di individuare la
richieste e le risorse, formulare ipotesi sugli esiti. Questi aspetti verranno rilevati attraverso
un questionario.
3. comunicazione interna all'organizzazione, i lavoratori verranno avvisati (attraverso e-mail o
annunci in bacheca) dello studio che si vuole condurre
4. raccolta dei dati, verrà inviata un'email con un link per accedere alla pagina del
questionario anonimo da compilare, alla fine della compilazione i lavoratori riceveranno un
feedback immediato sui loro risultati e in caso di problemi emergenti saranno inviati dei
consigli
5. analisi e report, vengono analizzati i dati ottenuti e viene redatto un report generale dei
risultati ottenuti (anche qui verranno dati dei consigli)
6. restituzione dei risultati, vengono presentati i risultati dello studio e discussi in maniera
critica
7. interventi, vengono messi in atto diversi tipi di intervento: a livello individuale, i lavoratori
verranno incoraggiati a ridurre le richieste e ad incrementare le risorse, a livello
organizzativo verranno sviluppati dai programmi di apprendimento o training specifici per le
varie esigenze
8. valutazione, vengono riapplicate le diverse fasi per verificare se il processo è stato utile, se
le modifiche sono giuste e i risultati sono quelli desiderati. (viene fatto ogni tot di tempo)
IL JOB CRAFTING
Gli individui possono impegnarsi attivamente per modificare le caratteristiche del proprio lavoro, il
job crafting è il tentativo dell'individuo di modellare il proprio lavoro, con questo termine si indica
l'insieme dei cambiamenti che i dipendenti attuano per ridefinire il proprio lavoro, per esprimere le
proprie competenze e soddisfare i propri interessi e bisogni. I cambiamenti materiali, oggettivi, si
riferiscono agli obiettivi perseguiti con le proprie attività, alla forma, al numero, al contenuto. I
cambiamenti cognitivi, soggettivi, si rifiniscono al modo in cui si percepisce il proprio lavoro. il job
crafting riletto alla luce del JD-R model indica i cambiamenti dei lavoratori per modificare il sistema
di richieste e di risorse lavorative. Ciò da un lato aumenta la possibilità di esprimersi ma dall'altro
esclude le modalità di ordine cognitivo per cui le persone attribuiscono un significato al proprio
lavoro (che non è compreso nel JD-R). Il job crafting si esprime attraverso tre comportamenti:
l'aumento delle risorse lavorative, l'aumento delle richieste lavorative sfidanti e la diminuzione
delle richieste lavorative che ostacolano la crescita e l'apprendimento, causano danni alla salute e
diminuiscono la motivazione. Il job crafting porta a esiti positivi, inoltre si è evidenziata
l'importanza di esso nel processo di adattamento dell'organizzazione alle trasformazioni che
avvengono nel proprio ambiente di riferimento. La propensione alle job crafting si può misurare
con la Dutch job crafting scale cioè un questionario composto da 21 item che convergono in
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quattro fattori: incremento delle risorse strutturali, delle risorse sociali, delle richieste sfidanti e
una diminuzione delle hindrance demsnds. La versione italiana di questa scala è composta da 13
anni item e prende in considerazione solo i primi tre fattori poiché nel quarto sono emersi alcuni
dubbi.
IL RECOVERY
In quest'epoca, in cui è difficile mantenere un equilibrio tra richieste e risorse, il tempo dedicato al
recupero gioca un ruolo determinante nella possibilità di raggiungere uno stato di benessere
psicofisico. Con l'espressione recovery from work (recupero del lavoro) si fa riferimento al processo
psicologico che un individuo deve affrontare per eliminare i sintomi di stress fisico e psicologico
causati dal lavoro. Se il recovery non è sufficiente l'individuo non riesce a recuperare le energie
spese durante il giorno e quindi dovrà fare uno sforzo maggiore per mantenere soddisfacenti livelli
di prestazione. Secondo Sonnentag e Fritz non c'è una specifica attività che fornisce il recupero
dello stress lavorativo ma dipende dal tipo di esperienza psicologica che quell'attività genera. Il
modello effort-recovery sostiene che gli sforzi mentali e fisici causano un senso di fatica che si
riduce nel momento in cui cessano le richieste e si attiva il processo di recovery ciò avviene se i
sistemi di funzionamento attivati durante il lavoro non vengono più stimolati e utilizzati
dall'individuo. La teoria della convention of resources sostiene che le persone tendono a
mantenere e proteggere le loro risorse sia interne che esterne. Durante il tempo libero bisogna
evitare attività che stimolino l'utilizzo degli stessi sistemi di funzionamento utilizzati durante il
lavoro inoltre è importante generare nuove risorse come energia e umore positivo. Sonnentag e
Fritz descrivono quattro esperienze di recovery che forniscono il recupero delle risorse spese
durante l'attività lavorativa e permettono di generarne di nuove: 1. psychological detachment
(distaccarsi dal proprio lavoro durante il tempo libero) 2. Relaxation (stato di calma e tranquillità) 3.
Mastery (impegnarsi in attività che distraggono dal lavoro che forniscono opportunità di
apprendimento e sviluppo di nuove conoscenze) 4. control (l'individuo ha la possibilità di
controllare le attività che vuole svolgere nel tempo libero, in che modo e con che tempi). Il
recovery ha la capacità di migliorare le prestazioni sul lavoro, aumentare il benessere la
soddisfazione di vita. È importante trasmettere indicazioni sulle possibili attività che forniscono il
recovery attraverso percorsi formativi e laboratori. Inoltre l'utilizzo di strumenti tecnologici di
comunicazione durante le ore non lavorative può interferire negativamente con il processo di
recovery, un intervento potrebbe essere quello di decidere quanto e come utilizzarli.
IL WORKAHOLISM
oggi le organizzazioni sono sempre in competizione per raggiungere gli obiettivi e il successo a
costo anche del benessere e della qualità della vita dei lavoratori. Infatti per via della tecnologia
che permette di lavorare in qualsiasi posto e momento si è annullato il confine tra lavoro e vita
privata. In questi casi può svilupparsi una dipendenza dal lavoro definita workholism o work
addiction. Oates fu il primo ad introdurre questo concetto, definì il workholism come un eccessivo
incontrollabile bisogno di lavorare che influenza la salute, la qualità della vita e le relazioni. Questo
fenomeno si presenta quando si dedica una elevata quantità di tempo al lavoro trascurando la vita
privata e quando si è incapaci di distaccarsi dal lavoro come un'ossessione. Viene considerata come
una vera e propria dipendenza “buona”. Il workholism può determinarsi a partire dal contesto
lavorativo. Per esempio nel modello richieste-risorse si è evidenziato come le richieste possono
favorire lo sviluppo della dipendenza da lavoro mentre le risorse possono moderare tale effetto.
Ma altro fattore che influisce sono le caratteristiche personali come la motivazione alla
realizzazione, il perfezionismo, l'autoefficacia. A lungo andare il fenomeno del workholism può
portare a conseguenze negative sia per il lavoratore che per l'organizzazione poiché la dipendenza
dal lavoro determina minori opportunità di recovery, stress e burnout, assenteismo, conflitti
lavoro-famiglia, elevate percentuali di divorzi e separazioni per via della bassa qualità delle
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relazioni. Dunque è importante avviare interventi per prevenire questa dipendenza come la presa
di consapevolezza dell'esistenza di questo fenomeno, delle sue cause e conseguenze negative;
promuovere stili di vita equilibrati e il rispetto dei confini tra lavoro e vita privata; inoltre bisogna
saper riconoscere i comportamenti workholic e avviare consulenze psicologiche, psicoterapia o
corsi di formazione per ridurli.
L’INSICUREZZA LAVORATIVA
Il concetto di insicurezza lavorativa fa riferimento alla preoccupazione relativa alla continuità del
proprio lavoro, alla paura di restare disoccupati. L'indefinitezza dell'origine dell'insicurezza
lavorativa e la complessità delle attuali dinamiche lavorative rende difficile individuare e utilizzare
strategie di coping efficaci. l'insicurezza lavorativa può portare conseguenze negative come la
riduzione della soddisfazione lavorativa, della salute psicologica e fisica, della prestazione. Essa può
associarsi all’intenzione di turnover e all'esaurimento emotivo, dimensione centrale nella sindrome
di burnout. L’insicurezza lavorativa può anche spingere le persone a impegnarsi di più per
convincere i datori di lavoro della loro importanza per l'organizzazione. La relazione tra insicurezza
lavorativa ed esiti sembra dipendere dal genere e dal contesto culturale.
IL BENESSERE DEI LAVORATORI “ANZIANI”
Il rapido aumento della percentuale di lavoratori anziani, nel corso del tempo, sta aggravando lo
spostamento dalle fasce d'età verso quelle più mature. Il concetto di lavoratore anziano può
variare rispetto ai contesti organizzativi e alle culture di appartenenza. Inoltre vi sono un insieme di
fattori che possono modificare la definizione di lavoratore anziano come stereotipi e norme sociali
legate
all'età pensionabile. Si è dimostrato che il processo di invecchiamento varia considerevolmente da
persona a persona (Cambiamenti fisici, cognitivi, di personalità). L'invecchiamento porta a un
declino di alcune abilità come quelle fisiologiche e fisiche (es decadimento uditivo, muscolare). È
importante precisare che non vi è relazione tra invecchiamento e percezione di malattia, però gli
anziani hanno bisogno un periodo di recovery generalmente più lungo. Anche le abilità cognitive
con l'avanzare dell'età declinano: Diminuisce l'intelligenza fluida (memoria) ma aumenta la
l'intelligenza cristallizzata (conoscenze e saggezza). Per questo motivo all'interno dei luoghi di
lavoro le performance dei lavoratori anziani è spesso ancora adeguata, per cui è importante che gli
anziani vengano valorizzati in quei compiti che richiedono un'intelligenza cristallizzata. Nonostante
i tratti di personalità siano ritenuti stabili nel ciclo di vita recenti ricerche hanno evidenziato che
alcuni di questi contenuti nel big five possono variare con l'età adulta (coscienziosità e amicalità, si
riduce il nevroticismo). Sono numerosi i fattori in grado di influenzare il benessere del lavoratore
anziano. Un clima organizzativo positivo può ridurre il desiderio di andare in pensione e
incrementare la salute del lavoratore anziano. I lavoratori anziani sono spesso oggetto di stereotipi
e comportamenti discriminatori come assegnazione non equa di compiti, minor accesso a iniziative
di formazione, scoraggiamento e demotivazione. Un altro fattore che può influenzare il benessere
dell'anziano è il job design che permette di valorizzare e ottimizzare gli effetti che le differenze
individuali possono avere nella relazione tra caratteristiche del lavoro e attitudine del lavoro. Gli
studi condotti sul job design hanno l'obiettivo di analizzare le caratteristiche del lavoro che si
adattano di più al profilo dell' anziano e promuovere così compiti che ne favoriscono la
soddisfazione lavorativa, la motivazione e il benessere.
AGE MANAGEMENT E INTERVENTI A SUPPORTO DEI LAVORATORI ANZIANI
Nonostante gli anziani siano orientati verso l'uscita del mondo del lavoro è utile per le
organizzazioni continuare a sostenere la loro employability (Occupabilità). Il termine age
management fa riferimento alle possibili azioni e interventi attraverso cui le risorse umane
vengono gestite dall'organizzazione, con una particolare attenzione sull'età. Le good practices in
age management sono misure volte all'abbattimento delle barriere di età e alla valorizzazione
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delle differenze intergenerazionali: formazione specifica al fine di adattare le risorse dei senior alle
richieste lavorative, il job design orientato ad accrescere autonomia e competenze, creazione di
team di lavoro intergenerazionali che riducono stereotipi e discriminazioni, lavoro part-time e
programmi di mentoring (tutoraggio). Gli interventi più apprezzati sono quelli relativi alla
formazione in quanto i lavoratori anziani sono ancora disposti ad investire nella propria crescita e
sulla propria formazione professionale, sebbene la motivazione ad apprendere declini con l'età gli
effetti di training non diminuiscono con gli anni.
IL RIENTRO A LAVORO
Il tema del rientro al lavoro (return to work) e della promozione dell'occupabilità ha riscontrato
una crescente attenzione in molti contesti. Le persone si allontanano dal lavoro a causa di malattie,
disabilità e infortuni. La comparsa di patologie come diabete, sclerosi multipla, epilessia, malattie
mentali, cardiovascolari, respiratorie ecc comporta un allontanamento necessario per cure e
riabilitazione che non implica necessariamente la perdita delle capacità lavorative. Il reinserimento
professionale può essere vissuto come un periodo emotivamente stressante in quanto bisogna
sapersi adattare al cambiamento in relazione alla propria condizione. Alcuni pazienti sviluppano
ansia e depressione nel periodo post operatorio per via della difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti
che la malattia richiede. Ma nonostante ciò alcuni studi rilevano elevati livelli di soddisfazione
lavorativa nelle persone che rientrano a lavoro in seguito a riabilitazioni con delle limitazioni. Il
reinserimento lavorativo riguarda anche casi come maternità, ristrutturazioni aziendali e cassa
integrazione. Le cosiddette fasce deboli della popolazione (giovani, lavoratori con più di 50 anni e
neo madri) sono maggiormente a rischio di disoccupazione. Il licenziamento può avere un forte
impatto negativo sulla salute e sul benessere della persona a livello fisico, psicologico e sociale
(depressione, bassa autostima, sfiducia, insoddisfazione). Studi hanno dimostrato che maggiore è il
periodo di assenza dal lavoro per malattia e minore sarà la probabilità che la persona ritorni
effettivamente al lavoro. Dunque è importante identificare i fattori che ostacolano e facilitano il
reinserimento lavorativo. Il rientro al lavoro è influenzato da fattori di tipo sociodemografico (età),
clinico (malattie cure), psicologico (depressione), e organizzativo (soddisfazione, stress). Gli
interventi hanno l'obiettivo di facilitare il reinserimento ed evitare la perdita del lavoro:
monitoraggio sistematico delle essenze per individuare le persone a rischio, contatto regolare tra il
datore di lavoro e la persona assente per mantenere vivo il legame e l'interesse, adattamento in
base alle limitazioni prescritte dal medico (orario, lavoro da casa).
IL WELFARE E IL WELLNESS ORGANIZZATIVO
Le iniziative di welfare e wellness sono spesso relative a soluzioni contrattuali/formali o iniziative
che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia (orari, luogo di lavoro, asili nido in azienda).
Rientrano nelle soluzioni di welfare e wellness anche alcuni servizi economici come contributi
aggiuntivi che l'azienda dà attraverso buoni e convenzioni per attività di svago o servizi socio
sanitari rivolti anche ai loro familiari. Inoltre vi sono servizi legata all'informazione e alla
formazione rivolti soprattutto a chi ha ruoli di responsabilità.
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Un argomento di particolare interesse nello studio dello stress occupazionale è rappresentato dalla
valutazione delle variabili disposizionali, situazionali e sociali che possono esercitare un’influenza
nella relazione stressor-strain. Le variabili disposizionali o individuali: fanno riferimento a modelli
comportamentali di tipo A, l’affettività negativa, l’autostima, l’autoefficacia, la percezione del
controllo le variabili situazionali che sono in grado di moderare la relazione stressor-strain sono
per es il commitment cioè il legame tra i lavoratori all'organizzazione, questo esercita effetti positivi
su diversi aspetti le variabili Sociali: come il buffering cioè il supporto sociale da parte di colleghi e
capi che si manifesta con un effetto protettivo.
VALUTAZIONE DELLO STRESS
Un punto di attenzione relativo alla misurazione dello stress occupazionale riguarda la possibilità di
ricorrere a misure di tipo oggettivo cioè i parametri fisiologici (adrenalina, noradrenalina,
pressione, battito cardiaco, respirazione, sudorazione, tremore) o misure di tipo soggettivo
attraverso questionari, self-report, soprattutto in ambito organizzativo, che permettono di
approfondire il significato psicologico attribuito dall'individuo a determinati eventi.
INTERVENTI
Gli interventi finalizzati alla prevenzione o alla riduzione dei livelli di stress occupazionale possono
classificarsi in: primari -> realizzati a livello organizzativo con lo scopo di contenere il più possibile
gli agenti che sollecitano eventuali risposte di stress (attraverso riprogettazione delle attività
lavorative, ristrutturazione dei ruoli hai instaurazione di un clima positivo); secondari -> rivolti agli
individui con lo scopo di modificarne le reazioni agli stressor occupazionali come tecniche di
rilassamento, biofeedback; e terziari -> finalizzati alla cura e riabilitazione del lavoratore che
manifesta effetti derivanti dallo stress.
religioso). influisce anche lo stile delle leaderships (es Autoritario). Un altro fattore di rischio è
legato alla relazione tra lavoratore e supervisore (es Eccessivo controllo, mancanza di rispetto).
Fattori ambientali fisici e sociali: riguardo all'ambiente fisico i rischi dipendono dallo specifico
ambiente lavorativo (es In un ospedale la carenza di personale aumenta il rischio di comportamenti
violenti). Tra i fattori sociali rientrano la multiculturalità (diversità, razzismo), la comunità (più ci
sono comportamenti violenti e più i bambini aumenteranno la propensione alla violenza) e il
sistema paese (sistema legislativo).
CONSEGUENZE
Le conseguenze sono di tipo sia fisico che psicologico sia riguardo il singolo individuo che l'azienda.
Sull'individuo le conseguenze fisiche della violenza vanno da piccole ferite fino alla morte. Le
conseguenze psicologiche possono derivare sia da un comportamento violento di tipo fisico che
verbale ed ha conseguenze peggiori rispetto a quella fisica poiché ha ripercussioni sul benessere
sul lungo periodo (es disturbo post traumatico da stress). A livello psicosociale le conseguenze
sono: disimpegno sul lavoro, isolamento sociale, percezione dell'ambiente di lavoro come ingiusto,
infelicità nella vita. Sul luogo di lavoro le conseguenze possono essere riferite alle relazioni con i
colleghi e con i fruitori del servizio.
INTERVENTI
L'intervento sulle vittime di violenza può essere di tipo educativo-comportamentale -> es In gruppi:
condivisione di esperienze simili di violenza per rendersi conto che le vittime non sono responsabili
dell'evento e riconoscere le forme di aggressione, modificando se necessario il proprio
comportamento; clinico -> come terapie cognitivo-comportamentale supportate da tecniche di
desensibilizzazione e rielaborazione dell'esperienza traumatica; legale -> volto a sanzionare il
comportamento violento, stabilendo un risarcimento danni. L'organizzazione mondiale della sanità
(OMS) propone una: prevenzione primaria -> Il datore di lavoro deve formare i dirigenti e
dipendenti riguardo il tema della violenza sul posto di lavoro, adottando linee guida e regole per
favorire un comportamento etico. Possono essere adottate misure strutturali e tecnologiche (es
allarmi portatili) e misure organizzative (rispettare l'ingresso in alcune aree, orari e ecc). la
formazione è importante per far conoscere i potenziali rischi soprattutto alla fascia debole.
Prevenzione secondaria -> Propone un mediatore che ascolti chiunque ritenga di essere vittima di
molestie al fine di risolvere i problemi e negoziare una soluzione. Egli consente il confronto di punti
di vista e l'espressione delle emozioni. prevenzione terziaria -> Adottare delle misure adeguate (es
cambio della postazione di lavoro).
IL MOBBING
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
Negli ultimi 20 anni si è assistito a un notevole incremento delle ricerche su questo tema in diversi
contesti nazionali. Il mobbing è un comportamento controproduttivo caratterizzato da aggressione,
devianza, ritorsione e vendetta. Esso può derivare da altre fonti meno gravi di comportamenti
aggressivi che possono assumere maggiore intensità. Si caratterizza per tratti di continuità e
ripetitività che non sono propri degli altri comportamenti aggressivi. In generale il mobbing può
scaturire da una situazione di conflittualità in cui una persona diviene oggetto di azioni
persecutorie da parte di uno o più aggressori, con la conseguenza che la vittima, non in grado di
reagire adeguatamente, può sviluppare disturbi psicosomatici e dell’umore e danni psicofisici.
Mobbing al lavoro significa molestare, offendere, escludere socialmente o influenzare
negativamente.
Caratteristiche principali del fenomeno sono: frequenza (minimo ½ volte a sett), durata (minimo 1
anno), ostilità e squilibrio di potere. Leymann ha identificato 4 fasi del fenomeno: 1) conflitto
quotidiano, 2) inizio del mobbing, 3) errori e abusi da parte delle risorse umane, 4) esclusione dal
mondo del lavoro. Ege ha aggiunto a questo modello una pre-fase definita “condizione zero”, cioè
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uno stato di conflittualità fisiologica tipica del nostro paese (predominare sugli altri). Sono tre le
dimensioni culturali più significative: la distanza di potere (mobber e vittima) -> le culture
caratterizzata da una bassa distanza di potere risultano più protette; le culture basate sulla
mascolinalità o femminilità; sull'individualismo o sul collettivismo.
METODOLOGIE DI VALUTAZIONE
Gli approcci di misurazione del mobbing si distinguono in 3 principali categorie: 1. Metodi “interni”,
focalizzati sull’autopercezione (questionari, interviste, focus group) 2. Metodi “esterni”, riferiti al
contesto nel quale si sviluppa la condizione di mobbing (osservazione del lavoratore, raccolta di
informazioni con interviste o questionari, registrazioni audio e video) 3. Metodi “integrati”, che si
avvalgono di approcci sia interni che esterni. [Vengono generalmente privilegiati i metodi
autovalutativi come il questionario di autopercezione del mobbing finalizzato alla misurazione
delle percezioni soggettive riferite sia le caratteristiche del contesto lavorativo sia alle percezioni
personali connesse alla situazione di lavoro]
ANTECEDENTI INDIVIDUALI, SOCIALI E ORGANIZZATIVE
Gli studi che hanno indagato le cause del mobbing hanno consentito di formulare le seguenti tre
principali ipotesi esplicative: 1. Ipotesi disposizionale, ovvero le caratteristiche di personalità della
vittima e dell’aggressore. I tratti personologici tipici della vittima sono Nevroticismo, impulsività,
affettività negativa (emozioni negative), bassa amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e
autostima e sono maggiormente donne anziane, mentre il mobber tende a essere di genere
maschile, conduce un'attività stressante con elevato carico di lavoro e bassa autonomia e vive
spesso in una situazione di insicurezza lavorativa, bassa autostima, invidia 2. Ipotesi sociale, natura
del gruppo di lavoro: es la globalizzazione implica la presenza diversità (etnia ed età) nel contesto
organizzativo che può facilitare l'aggressività oppure gruppi caratterizzati da scarsa autonomia. Il
mobbing si riconduce a fattori tipicamente organizzativi come: gli stili di leadership e di gestione
delle risorse umane, il clima e la cultura organizzativa, le politiche organizzative (che stabiliscono
quali sono i comportamenti considerati accettabili e quali no all'interno dell'organizzazione).
3.Ipotesi situazionale, scorretta organizzazione dell’attività lavorativa es compiti frammentati e
ripetitivi che possono creare a frustrazione o strutture che incoraggiano la competitività tra
lavoratori.
CONSEGUENZE
L’esposizione prolungata a comportamenti aggressivi, oltre a danneggiare in lavoratore a livello
fisiologico e psicologico, comporta anche una serie di effetti negativi a livello professionale e
organizzativo. Riguardo le conseguenze individuali, può portare ad ansia e depressione, disturbi del
sonno e dell'umore, può presentarsi un’ ipertrofica percezione di ingiustizia e sentimenti cronici
d’insicurezza e pericolo fino ad arrivare al suicidio. oltre al singolo il mobbing può avere ricadute
anche sul gruppo di lavoro per cui i membri sono più tolleranti nei confronti di comportamenti
prevaricatori e illeciti. I lavoratori che assistono a fenomeni di mobbing anche se non sono
direttamente interessati tendono a schierarsi dalla parte del mobber per timore di diventare
vittime. Per quanto riguarda le conseguenze organizzative è da segnalare come il mobbing possa
avere ripercussioni sull’intera organizzazione e incrementare fenomeni di assenteismo, turnover,
diminuzione della produttività e della soddisfazione, più intenzione di lasciare il lavoro e aumento
dei costi dell'assistenza medica e legale.
INTERVENTI
Le risorse umane devono cogliere i segnali, le cause e le conseguenze riconducibili al mobbing,
valutare la situazione e attuare terapie di supporto psicologico o forme di consulenza. Gli interventi
a livello di gruppo sono: il conflict management con lo scopo di gestire il conflitto attraverso
l'identificazione e la mediazione delle situazioni critiche , il Mobbing-Group o MGroup che consiste
in un training specifico finalizzato a favorire l'acquisizione di competenze di gestione dei conflitti. A
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Livello organizzativo gli interventi hanno l'obiettivo di istituire chiare politiche aziendali anti-
mobbing, promuovere attività d’informazione/formazione sul fenomeno e miglioramento
dell'organizzazione del lavoro. Recentemente sono stati istituiti comitati anti-mobbing interni che
svolgano attività di valutazione, prevenzione e intervento.
LO STALKING
DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE
Lo stalking rappresenta una forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in
maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo con gravi
conseguenze fisiche e psicologiche. La maggior parte di questi comportamenti è messa in atto da
parte del partner o ex partner di sesso maschile a causa di un abbandono, di amore respinto
oppure di divorzio/separazione. i comportamenti più diffusi sono telefonate, email, regali,
appostamenti, minacce e aggressioni fisiche o sessuali. riguardo la vittima ma la maggior parte
sono donne che percepiscono questi comportamenti come spiacevoli, disturbanti, lesivi e
inquietanti a cui seguono cambiamenti nella vita quotidiana (es cambio di numero, abitazione) da
cui ne derivano disturbi di tipo fisico (del sonno) e psicologico (ansia, depressione). Questo
fenomeno si differenzia da altri comportamenti violenti per la durata e le ripetizioni dei
comportamenti e per il timore per la propria e altrui incolumità.
LO STALKING OCCUPAZIONALE
Lo stalking occupazionale è una molestia sul posto di lavoro che invade la sfera privata della
vittima. Le professioni più a rischio sono quelle sanitarie poiché per es gli infermieri grano in
contatto con i bisogni profondi di aiuto delle persone e lo stalking può essere una ricerca di
attenzione. L’esperienza di vittimizzazione fa percepire maggiormente insicuro il posto di lavoro e la
strategia per fronteggiare questa situazione è quella di un maggiore distacco emotivo a svantaggio
della qualità della relazione medico-paziente.
INTERVENTO
Gli interventi a favore della vittima sono di tipo legale, comportamentale, clinico-educativo. Questi
interventi sono orientati in base al contesto delle relazioni degli attori coinvolti, alla motivazione
dello stalking, alla relazione che c'è tra la vittima e lo stalker e il profilo psicopatologico dello
stalker. Riguardo l'intervento legale si fa riferimento a leggi che tutelano le vittime, per es la
denuncia è uno strumento che può interrompere la campagna di stalking e il rischio di
comportamenti violenti. L’intervento comportamentale fa riferimento ad azioni adottate per
difendersi come fuga, evitamento (porta alla modifica delle abitudini di vita es percorso casa-
lavoro), risposta fisica e verbale non confrontativa, resistenza oppositiva fisica, sottomissione.
Diventa utile avvisare la sede di lavoro di essere vittima di stalking in modo che i colleghi siano
allertati su eventuali visite o richieste di informazioni. La pratica educativo-clinica è indicata per
reiterare i comportamenti, individuando gli aspetti patologici della relazione con l'altro.
IL BURNOUT (crisi tra l’individuo e il proprio lavoro)
INTRODUZIONE
Agli inizi del 900 Kraepelin mise in evidenza come le condizioni di vita professionale degli operatori
del settore psichiatrico potessero comportare conseguenze negative sull'attività e il benessere
delle persone (esaurimento). Negli anni Trenta nei contesti sportivi il termine burnout viene usato
per indicare un atleta che dopo vari successi manifestava un calo del proprio rendimento. Si iniziò a
considerare il burnout anche nel contesto sociosanitario a partire Freudenberger che rilevò una
forma di esaurimento tra i volontari delle strutture sanitarie. È possibile rintracciare due
orientamenti di studio che identificano il fenomeno come una situazione di stato oppure come una
situazione di processo. 1. Definizioni di stato: si focalizzano sui sintomi del burnout e prevedono:
a. Esaurimento emotivo (essere emotivamente sovraccarico) b. Depersonalizzazione (distacco da
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parte dell’operatore, arrivano quasi a ignorare l'aspetto umano e l'identità personale che
principalmente è attuata dai professionisti dell'aiuto per proteggere se stessi dalle emozioni
negative). Borgogni e collab. hanno introdotto il concetto di strain relazionale cioè una specifica
reazione manifestata in seguito a relazioni interpersonali impegnative e pressanti per cui la
persona sviluppa un atteggiamento di distacco emotivo e cognitivo. A differenza della
depersonalizzazione lo strainer razionale insorge come risposta a tutte le relazioni sul luogo di
lavoro e si manifesta come un atteggiamento di distacco ma è privo però della componente di
deumanizzazione, tipica invece della depersonalizzazione. c. Ridotta realizzazione professionale
(cioè la percezione di possedere ridotte competenze lavorative).
2. Definizioni di processo: descrivono le frasi attraverso cui il burnout si sviluppa. Uno dei modelli
più riconosciuti (Brodsky) ne individua 4 fasi: 1. Entusiasmo idealistico (aspettative di successo) 2.
Stagnazione (risultati impegno incerti) 3. Frustrazione (sentimenti di impotenza) 4. Apatia (totale
chiusura, perdita desiderio aiutare gli altri).
Il Burnout è una sindrome tipica soprattutto dai professionisti d'aiuto. Il disagio si manifesta
quando la persona si rende conto di non avere le risorse per affrontare le richieste provenienti dal
lavoro svolto. Conservation of resources theory (COR): più affrontare le richieste interpersonali le
persone tentano di proteggere le proprie risorse sviluppando talora il Burnout. Secondo questa
teoria da un lato le relazioni interpersonali sono un'importante risorsa personale ma dall'altro
possono essere una potenziale fonte di stress e portare a una perdita di risorse.
DAL BURNOUT ALL’ENGAGEMENT
Successivamente il burnout non venne più considerato solo come aspetto patologico, avente effetti
negativi ma la relazione psicologica di un individuo con il proprio lavoro venne concettualizzata
come un continuum fra l'esperienza negativa del burnout e il suo polo opposto positivo cioè
l'engagement. L'engagement è definito come uno stato energetico di coinvolgimento e
identificazione della persona nei confronti del proprio lavoro che incrementa l'efficacia personale.
Nel continuum bornout-engagement è possibile identificare tre dimensioni bipolari: inserimento
emotivo-energia, cinismo-coinvolgimento, inefficacia-efficacia. Il continuum burnout-engagement
va ad eliminare o ridurre il malessere causato dal burnout attraverso incremento dell'energia, del
coinvolgimento e dell'efficacia.
CAUSE DI INSORGENZA DEL BURNOUT
Tra le cause si possono individuare: - Fattori individuali per cui le persone rispondono in modo
diverso ai fattori stressanti per caratteristiche di personalità, valori, motivazioni e stili di vita.
-Fattori organizzativi: riguardo i fattori organizzativi Leiter e Maslach hanno individuato sei
principali aree di vita lavorativa che possono incidere sui livelli di burnout -> carico di lavoro,
controllo (autonomia), riconoscimento economico e sociale, integrazione sociale (relazione con
capi, colleghi), equità riguardo le decisioni da prendere, valori (intesi come a livello di congruenza
tra valori individuali e organizzativi).
EFFETTI DEL BURNOUT
Gli effetti negativi del burnout possono avere ripercussioni sul benessere psicofisico individuale ma
anche sull'intera organizzazione. – effetti individuali: sintomi fisici (mal di testa, stanchezza, deficit
a livello immunitario) e psicologici (ansia, irritazione depressione). un effetto negativo che il
burnout può produrre e relativo all' equilibrio lavoro-vita privata. – effetti organizzativi :
diminuzione della soddisfazione dei clienti per i servizi su ricevuti, insoddisfazione lavorativa,
scarso commitment, assenteismo, turnover, intenzione di lasciare il posto di lavoro.
VALUTAZIONE DEL BURNOUT
La valutazione viene eseguita attraverso degli strumenti come il Maslasch Burnout Inventory ( MBI
-> esistono 3 versioni), è un questionario che si fonda sulla concettualizzazione del burnout come
una sindrome causata da stress cronico è caratterizzata da tre dimensioni (esaurimento emotivo,
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cinismo e inefficacia). Un altro strumento è l’Organizational Checkup System (OCS) che è più
recente e più completo poiché è applicabile a tutte le categorie professionali sia a livello
individuale che organizzativo. È un questionario composto da 68 item suddivisi in quattro sezioni:
le tre dimensioni del burnout (esaurimento, cinismo, inefficacia), le 6 aree delle vita lavorativa, la
percezione dei soggetti sui cambiamenti, i processi di gestione nell'organizzazione.
INTERVENTI
Come nel caso del mobbing, anche per il burnout gli interventi realizzabili possono essere riferiti a
tre differenti livelli: Individuale: prevenzione -> revisione del reclutamento, formazione,
inserimento, counselling psicologico Sociale: interventi svolti dal sistema delle relazioni
interpersonali e dal sostegno sociale Organizzativo: interventi in cui si prendono in
considerazione gli stili di management, i gruppi di lavoro, la cultura organizzativa e clima.
LA TRAUMATIZZAZIONE VICARIA
INTRODUZIONE
Un'altra mitizzazione vicaria (TV) rappresenta una potenziale fonte di disagio psicologico specifica
per coloro che operano in particolari settori occupazionali, cioè professioni dell'aiuto che sono
esposti a situazioni di carattere più o meno traumatico quando prestano soccorso in situazioni di
emergenza (vigili del fuoco, forse dell'ordine, personale sanitario). Le condizioni di questi lavori
presentano potenziali fattori di rischio per la salute fisica e psicologica: lo stress derivante dalla
gestione di eventi critici può generare effetti negativi sul benessere psicologico. A differenza del
burnout, i sintomi post-traumatici derivano dall'esposizione a circostanze acute, traumatiche
(Bambini in sofferenza, corpi carbonizzati). Ma non tutte queste professioni portano a rischi
psicosociali poiché alcuni soggetti possiedono risorse psicologiche in grado di proteggerli da effetti
negativi sulla salute come per esempio la consapevolezza di condurre un'attività socialmente utile.
proposito a istruzioni e non essere consapevoli dello svolgimento scorretto del proprio lavoro.
Robbinson e Bennett classificano i comportamenti contro produttivi lungo due assi: target
(organizzativo vs individuale) e gravità del comportamento (grave vs marginale). Identificano
quattro gruppi di comportamenti controproduttivi: production deviance (Organizzativi marginali ->
Pendersi pausa più lunga del dovuto o lavorare lentamente in modo intenzionale), property
deviance (Organizzativi gravi-> sabotaggio, furto di attrezzature), political deviance (interpersonali
marginali-> diffondere pettegolezzi, incolpare altri) e Personal aggression (interpersonali gravi ->
molestie sessuali, abusi verbali). Spector individua 5 categorie: abuso dell'altro -> forme dirette o
indirette di aggressione nei confronti di un collega (forme dirette di aggressione fisica tendono a
essere infrequenti mentre forme dirette di aggressione verbale e forme indirette di aggressione
tendono ad essere più frequenti), devianza produttiva (comportamenti passivi) -> il lavoratore
sceglie intenzionalmente di non eseguire efficacemente e correttamente un compito, sabotaggio
(comportamenti attivi) -> attiva manomissione o consapevole danneggiamento di una proprietà
dell'organizzazione, furto -> da parte dei lavoratori è considerato una forma di aggressione contro
l’organizzazione, i comportamenti di ritiro o whithdrawal -> situazioni in cui la qualità di tempo
dedicato al lavoro viene ridotta rispetto a quando richiesto dall'organizzazione (assenza, ritardi,
andarsene prima dal lavoro e prendersi più pause).
COSA SPINGE UN LAVORATORE A METTERE IN ATTO UN COMPORTAMENTO CONTROPRODUTTIVO?
I comportamenti aggressivi sono spesso considerati il frutto di emozioni negative come rabbia,
frustrazione oppure come risposta a condizioni ambientarli e lavorative. Vengono identificati due
motivi di base: Ostile e strumentale. L'aggressione ostile (definita calda) è chiamata affettiva,
impulsiva o reattiva e fa riferimento a quell'insieme di comportamenti aggressivi di natura
impulsiva e non pianificati, ha origine dalla rabbia e ha l'obiettivo di danneggiare e fare male alla
vittima (es forme di abuso). L'aggressione strumentale (definita fredda) viene definita proattivo e
ha l'obiettivo di ottenere qualche beneficio personale attraverso il danneggiamento della vittima
(per es il furto).
Secondo alcuni autori i comportamenti controproduttivi possono avere motivazioni prosociali
(Possono fornire aiuto e supporto). Secondo lo stressor-emotion model (Spector e Fox) la messa in
atto di comportamenti controproduttivi deriva sia da elementi del contesto organizzativo che da
meccanismi emotivi e cognitivi individuali. Gli eventi organizzativi frustranti possono considerarsi
stressor lavorativi che potrebbero condurre a una reazione emotiva negativa la quale indurrebbe la
messa in atto di comportamenti controproduttivi. Dunque gli stressor danno l'avvio a
comportamenti contro produttivi attraverso l’arousal delle emozioni negative. Gli elementi
costitutivi di questo modello sono: un ambiente lavorativo caratterizzato da forti stressor che
interferiscono con performance come conflitti, ingiustizie ecc.; la percezione del lavoratore di tali
situazioni come stressanti; l'esperienza di emozioni negative come reazioni a tale percezione; e la
messa in atto di comportamenti contro produttivi. [I fattori di personalità influiscono perché sono
in grado di modulare la risposta emotiva e comportamentale.] I comportamenti controproduttivi
sono funzionali per l'individuo che li mette in atto per gestire la situazione stressante e
disfunzionali per l'intera organizzazione che viene danneggiata. I comportamenti controproduttivi
sono influenzati da vincoli organizzativi (come indisponibilità di risorse) e dal carico di lavoro. I
comportamenti controproducenti possono anche derivare dall'aver subito comportamenti
aggressivi a lavoro (questo viene considerato una forma di comportamento controaggressivo) ma
non sono necessariamente diretti verso la persona responsabile delle aggressioni ma verso altri,
finendo per riprodurre le spesse sofferenze. Un'ulteriore causa di comportamenti aggressivi di cui
sono vittime i lavoratori possono essere i clienti (maleducati), oppure i capi/supervisori che
trattano ingiustamente il lavoratore, che di conseguenza è portato a reagire aggressivamente
contro l'organizzazione ma mai contro i capi per timore di ulteriori ritorsioni. Uno stile di leadership
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INTEGRITA’
L'integrità è un altro fattore che è influenza le condotte devianti e antisociali. i test di integrità sono
stati utilizzati nei processi di selezione del personale per identificare ed escludere candidati che
sono al rischio di condotte controproduttive. Le persone con punteggi elevati nei test di integrità
sono più produttive, fanno meno essenze e mettono in atto meno comportamenti
controproduttivi.
OTTIMISMO, LOCUS OF CONTROL E PERCEZIONE DI AUTOEFFICACIA
Ottimismo, locus of control percezione di autoefficacia sono altre caratteristiche di personalità che
influenzano i comportamenti contro produttivi. le persone che hanno un orientamento positivo
verso il futuro e si sentono più capaci di gestire l'attività lavorativa e tendono meno a
comportamenti contro produttivi. i lavoratori con un locus of control esterno cioè che tendono ad
attribuire le cause degli eventi a fattori esterni sono quelli che mettono in atto più frequentemente
comportamenti contro produttivi. L’autoefficacia influenza il modo in cui lavoratori gestiscono le
situazioni lavorative riconosciute come difficili e minacciose e le persone che sanno gestire i
compiti e le emozioni provano meno emozioni negative e mettono in atto o meno comportamenti
controproduttivi.
MACCHIAVELLISMO, NARCISISMO E PSICOPATIA
Gli individui Machiavellici sono meno vincolati dal desiderio di eseguire le richieste normative,
hanno la tendenza ad essere cinici e manipolativi. Un maggiore machiavellismo porta a maggiore
probabilità di Comportamenti contro produttivi, a vendicarsi di un torto subito, a mentire anche ai
propri amici. Le persone narcisiste sono più frequentemente ostili e aggressive soprattutto se viene
minacciato il loro ego, per loro gli standard comuni non si applicano a loro stessi e questo porta un
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CAP 11 – LA CARRIERA
GLI STUDI PSICOLOGICI SULLA CARRIERA
Nel senso comune del termine, la carriera è la carriera lavorativa o professionale: un percorso a
gradini, marcato da indicatori evidenti quali i livelli di inquadramento, la collocazione nella linea
gerarchica, gli ambiti di responsabilità attribuiti. Form e Miller definiscono l'occupational career
pattern come la sequenza e la durata delle posizioni lavorative occupate dagli individui, una scala
di promozioni. Col tempo l’interesse si sposta sul rapporto individuo-organizzazione, volgendo
l’attenzione al momento della scelta professionale e al processo di mutuo adattamento tra la
persona e l’organizzazione. Holland studia la congruenza tra il tipo di personalità e il tipo di
ambiente lavorativo, mentre Schein interpreta la carriera come un processo di negoziazione
continua tra individuo e organizzazione. Un altro filone di studi è inaugurato da Super che
sostituisce il termine “career path” con quello di “life stage” (fasi della vita o stadi di sviluppo).
Nella teoria di Super la carriera è più ampiamente una carriera di vita (lavoro, famiglia, tempo
libero) e non solo carriera professionale. L'attenzione è volta all'interpretazione da parte dei
soggetti dei comportamenti e delle interazioni. La tendenza a cogliere nella carriera il punto di vista
soggettivo, i processi di costruzione di sé e del mondo esterno, distingue i contributi teorici dei
paradigmi costruttivista e sociocostruzionista. In quest’ottica prevale la tendenza a raffigurare la
carriera non più come sequenza di promozioni governata dall’organizzazione, ma come processo di
autoformazione e self management gestito individualmente e sorretto dall’apprendimento di
diverse competenze. Le carriere “senza confini” comprendono diversi tipi di impegni in diverse
organizzazioni.
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TEORIE A CONFRONTO:
LA TEORIA DI SUPER E GLI SVILUPPI SUCCESSIVI
La psicologia del ciclo di vita ha elaborato modelli volti a comprendere come le persone integrano il
loro lavoro nelle loro vite e come lo sviluppo individuale si nutra dell'esperienza di crescita
professionale. Super la carriera è un processo decisionale che porta a scelte professionali che
rappresentano l’attualizzazione del concetto di sé relativo alla professione. Super individua 2
dimensioni che si incrociano: La dimensione life-span (arco di vita), che denota le 5 diverse tappe
(maxi-cicli di sviluppo) nel corso della vita: la crescita (infanzia), l’esplorazione (adolescenza), la
stabilizzazione (dai 24 ai 44 anni), il mantenimento (45/65 anni) e il declino (dopo i 65 anni); e la
dimensione life-space (spazio di vita) che denota i diversi ruoli assunti dall’individuo nel corso
dell’esistenza (bambino, studente, donna, uomo, padre, lavoratore ecc). La maturità di carriera di
un individuo dipenderà dalla sua capacità di realizzare un compromesso tra i diversi ruoli che
ricopre, tra i diversi concetti di sé e le diverse realtà con cui si confronta, tra i compiti di sviluppo e
le risorse cognitive e affettive a sua disposizione per affrontarli. Savickas propone la carrer
costruction Theory che si concentra su come gli individui costruiscono i ruoli di vita, compresa la
carriera lavorativa (descrive i life stages->stadi della vita). Secondo egli la carriera è costruita
dall'ambiente di lavoro e dall'insieme di relazioni interpersonali. Savickas a differenza di Super
sostiene che gli stadi di carriera non sono lineari ed evidenzia percorsi di carriera meno prevedibili.
Gli individui possono passare attraverso un mini ciclo di crescita, esplorazioni, creazioni,
realizzazioni e disimpegno. Questi passaggi non lineari derivano da cambiamenti imprevisti
(malattie) e che sviluppano la capacità di adattamento individuale.
LA TRANSAZIONE BIOGRAFICHE E PROFESSIONALI
Intorno agli anni Ottanta, vi è una nuova visione che supera il modello stadiale di Super per un
modello transizionale dovuto alle nuove prospettive di carriera non più a “scalata” ma trasversali
all’organizzazione le cosiddette boundaryless career. La rappresentazione transazionale della
carriera avviene maggiormente durante l'età adulta in quanto questa è dominata da eventi non
normativi (licenziamenti, malattie). [Transazioni costituiscono dei momenti cruciali di svolta nello
sviluppo adulto] Quindi diviene importante cogliere i fattori che influenzano le capacità
dell'individuo a fare fronte a questi eventi non normativi. Nicholson ha proposto “un ciclo di
transizione” per analizzare ogni transizione lavorativa che prevede le seguenti fasi: 1) Preparatoria
(precede l’assunzione di ruolo); 2) Incontro (il soggetto attribuisce un significato a fronte di un
vissuto di disorientamento); 3) Aggiustamento (il soggetto si consolida e si interroga sulle possibili
strategie di sviluppo da adottare); 4) Stabilizzazione (il soggetto si concentra sulla prestazione e
progetta un ulteriore passaggio di ruolo. Spesso questa fase è attraversata da noia e stagnazione).
Allargando ulteriormente lo sguardo fino a comprendere l’intero ciclo di vita professionale,
Schlossberg individua 4 tipi di transizioni lavorative: 1) L’ingresso nel mondo del lavoro 2) La
mobilità interna (promozioni, cambiamenti di ruolo) 3) La perdita del lavoro (coatta o volontaria) 4)
Ritorno a un lavoro o a un contesto precedente. Le transizioni lavorative o di carriera possono
avere un impatto sugli altri ambiti dell'esistenza (es Intrapsichiche) e sulla vita delle persone con le
quali si entra in contatto. L'adattamento al lavoro non è l'unica preoccupazione di un individuo ma
vi sono anche altri transiti che possiamo definire quotidiani (famiglia).
L’APPROCCIO SVILUPPO-CONTESTO
Vondraceck e coll. hanno focalizzato il loro interesse sul percorso che conduce l’adolescente o il
giovane adulto a compiere determinate scelte professionali (influenza: della famiglia, scuola, amici;
dei comportamenti devianti; e dei problemi di salute mentale). Vondraceck riprende gli assunti di
Bronfenbrenner che distingue quattro livelli di contesti che influenzano l'individuo: microsistemi
sono costituiti da contesti più prossimi all’individuo (famiglia->microsistema fondamentale, lavoro)
e interazioni diadiche (madre-figlia) mesosistemi sono l’insieme delle interazioni fra i
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microsistemi, gli esosistemi indicano contesti ambientali a cui il soggetto non partecipa
direttamente o continuamente: es. mercato del lavoro, lavoro del coniuge ed infine i
macrosistemi, che rappresentano il sistema socio-economico e le culture che influenzano le scelte
professionali. Lo sviluppo resta comunque un processo dotato di plasticità, perché i contesti sono
oggetto di costruzione continua da parte degli individui e perché queste “costruzioni” provocano in
essi delle retroazioni, feedback verso l’individuo.
IL COSTRUTTIVISMO E IL SOCIOCOSTRUZIONISMO
Il costruttivismo si interessa alla costruzione del mondo psichico e sociale attraverso i processi
cognitivi individuali e intrapsichici, prestando poca attenzione alle interazioni sociali. Mentre
concentra l'interesse su come l'individuo costruisce il proprio sé e dà significato alla propria
esistenza. Viene considerato il “significato” quale aspetto centrale della carriera e la narrazione la
forma in cui quel significato si esprime e può essere colto. É infatti attraverso il racconto di una
storia (come processo di ricostruzione e interpretazione dell’esperienza) che gli individui danno un
senso alle loro carriere. Al contrario, il sociocostruzionismo sostiene che il mondo psichico e sociale
sono costruiti nelle interazioni sociali e nelle pratiche discorsive. La carriera quindi è il prodotto di
pratiche discorsive e sociali che replicano le istituzioni, le norme culturali, i quadri ideologici
“dominanti”.
IL SOCIOCOGNITIVISMO
La teoria sociocognitiva ripresa dagli studi di Bandura ha l’obiettivo di comprendere come gli
individui sviluppano gli interessi e le scelte di carriera. Per egli il comportamento, l’ambiente
sociale e la persona sono i tre fattori che contribuiscono allo sviluppo psicologico. In questa teoria
è molto importante la self-efficacy (autoefficacia), buon predittore di molti comportamenti. Più
recentemente, la self-efficacy diviene la componente centrale della “Social-cognitive career
theory” (SCCT) di Lent, Brown e Hackett. Questa teoria cerca di comprendere il processo dinamico
e i meccanismi attraverso cui: a) il percorso di carriera si sviluppa, b) le scelte vengono portate
avanti, e c) le prestazioni lavorative sono realizzate. La SCCT evidenzia anche come tre variabili
personali di carattere cognitivo, la self-efficacy, le aspettative e credenze circa i propri risultati, e
l’intenzione di portare avanti gli obiettivi, interagiscano con il contesto socioculturale e le variabili
personali per predire gli interessi e il percorso di carriera scolastica e lavorativa. Gli interessi,
determinati dalla self-efficacy e dall'esperienza, guidano il raggiungimento degli obiettivi e i
risultati ottenuti vanno a modificare la self-efficacy e le aspettative. La self-efficacy e le aspettative
sono influenzate sia dalle caratteristiche individuali (genere, etnia, salute) sia dalle variabili
contestuali (l’ambiente). La SCCT recentemente ha esteso i suoi obiettivi alla comprensione delle
dinamiche legate alla soddisfazione lavorativa e scolastica. Lent e Brown hanno dimostrato che le
stesse variabili predittive della soddisfazione lavorativa possono influenzare gli esiti di retirement
(pensionamento). Oltre ai tratti di personalità anche i livelli di abilità adattive fanno fronte alla
transizione di ruolo e la self-efficacy Adegua i propri progetti di carriera sulla base di ostacoli.
IL BUON ADATTAMENTO TRA PERSONA E AMBIENTE
La teoria di Holland dei tipi di personalità e degli ambienti lavorativi si è sviluppata nell’arco di
cinquant’anni e ha esercitato un’enorme influenza nella pratica dell’orientamento professionale.
L’assunto implicito della teoria di Holland è che le scelte di carriera sono espressione della
personalità individuale e che le persone che operano in un medesimo contesto professionale
hanno strutture di personalità simili. L’autore descrive sei tipi di personalità che possono essere
dominanti o secondari: 1) Realistica 2) Intellettuale o investigativa 3) Artistica 4) Sociale 5)
Imprenditoriale 6) Convenzionale. Ogni individuo non corrisponde a un tipo “puro” ma può avere
un tipo dominante e tipi secondari. Tipi di personalità vanno a determinare il tipo di ambiente di
lavoro. Il grado di congruenza tra i tipi di personalità e i tipi di ambienti va a predire le scelte
professionali, la persistenza o il turnover in un ambiente del lavoro, la soddisfazione e il successo
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compiti di cura invece i due domini di vita devono unirsi. Le scelte di carriera dell'individuo e la sua
autorealizzazione sono gli elementi di integrazione e unificazione della propria vita. [Non si può
prevedere come la carriera cambierà nei prossimi anni perché lo scenario socio economico è
caratterizzato da incertezza, dinamismo e complessità]
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Possiamo distinguere tra valori generali e alcuni valori specifici come i valori lavorativi. Possiamo
ipotizzare che i valori lavorativi siano la sorgente dei valori generali o che i valori generali generino i
valori lavorativi.
VALORI LAVORATIVI COME INDIPENDENTI
I valori generali e i valori lavorativi sono spesso studiati in modo indipendente. Tre sfaccettature
secondo cui i valori sono distinti sono: - la modalità-> i valori materiali hanno conseguenze pratiche
e sui risultati, i valori affettivi riguardano i sentimenti e quelli cognitivi sono relativi alle opinioni e
credenze che riguardano il mondo esterno; - il focus -> l'attenzione nei valori concentrati è centrata
su un tema molto specifico mentre per i valori diffusi può riferirsi a un tema generale; - le aree
della vita -> l'area specifica del lavoro e la più ampia area della vita in generale. Tale approccio
porta a descrivere i valori lavorativi come una specifica area all'interno dei valori generali rilevabile
e misurabile mantenendo la struttura relativa alla modalità e al focus.
VALORI LAVORATIVI COME ORIGINE
L’acculturazione psicologica fa riferimento al cambiamento che gli individui attuano nel
comportamento e nei tratti interiori grazie all'esperienza. L'esperienza professionale che le
persone svolgono nelle diverse organizzazioni fornisce il formarsi dei valori lavorativi e quindi
l'individuo apprende le norme di comportamento, gli atteggiamenti e i valori. la socializzazione
organizzativa fa riferimento agli elementi, che gli individui si trovano ad apprendere come prezzo di
appartenenza, come valori, norme e modelli di comportamento. L'adozione dei valori lavorativi
appresi nell'organizzazione può modificare la struttura dei valori generali degli individui.
VALORI LAVORATIVI COME INTERRELATI
Roe e Ester propongono un modello in cui si evidenziano le connessioni di valori tra società,
gruppo e individuo. Per ogni livello si prevedono legami tra i valori generali (obiettivi della vita),
valori lavorativi (risultati del lavoro) e l’attività lavorativa (ruolo). [vi è un rapporto di relazione
reciproca traduci questi elementi].
VALORI LAVORATIVI COME CORRELATI
Secondo Schwartz il lavoro correla positivamente con le società in cui valori di supremazia e di
gerarchia sono importanti, mentre l'importanza del lavoro è minore dove prevalgono i valori di
autonomia affettiva, eguaglianza e conformità. I valori lavorativi si riferiscono a fini o ricompense
che le persone cercano di raggiungere attraverso il lavoro. Quindi essi sono utilizzati dalle persone
come principi guida relativi alla valutazione dei ritardi, al contesto e alla decisione; sono riferiti alle
situazioni lavorative e quindi più specifici dei valori generali; sono le richieste che le persone fanno
verso il lavoro in generale; e sono anche le rappresentazioni verbali delle esigenze di un individuo o
di un gruppo.
ORIENTAMENTI VALORIALI E TIPI
Super conduce un progetto internazionale denominato WIS, in cui gli obiettivi sono: comprendere
l'importanza che il ruolo lavorativo ha nella vita delle persone in relazione agli altri principali ruoli
della vita (famiglia, studio, tempo libero) e rilevare a cosa giovani e adulti danno importanza. Viene
definito il Modello gerarchico dell’importanza del ruolo dove alla base si trovano -> Commitment +
partecipazione + conoscenza (considerati fondamentali, una loro combinazione è sempre
presente). La combinazione delle 3 componenti di base definisce il secondo livello: involvement
(commitment+partecipazione), interesse (commitment+partecipazione+conoscenza), engagement
(partecipazione e conoscenza). Alla punta vi è l’importanza, formata dalla combinazione degli
elementi del secondo livello. Riguardo allo studio dei valori lavorativi ogni cultura ha messo a
punto il proprio strumento. La ricerca WIS ha identificato 5 orientamenti valoriali e 6 tipi valoriali
che consentono una descrizione delle differenze più agevole e più consistente:
1. Orientamento materialistico (concezione pragmatica e utilitarista della vita - es prestigio,
guadagno, autorità) 2. Orientamento al sé (lavoro come mezzo di auto espressione - es sviluppo
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