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Psicologia del lavoro a cura di Argento e Cortese 2016

Scienze e tecniche psicologiche (Università degli Studi di Catania)

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PSICOLOGIA DEL LAVORO


CAP 2 – METODI E TECNICHE DI RICERCA IN PSICOLOGIA DEL LAVORO
La psicologia del lavoro e delle organizzazioni si basa sullo studio dei comportamenti delle
persone nei contesti lavorativi e nello svolgimento delle diverse attività professionali, tenendo
conto delle diverse condotte lavorative, dei processi psicologici e psicosociali che le sottendono e
delle forme di interazione che si instaurano tra le persone e il loro ambiente lavorativo. Sebbene
quindi si caratterizzi come una disciplina fortemente centrata sul proprio specifico oggetto di
studio, essa utilizza spesso molti approcci metodologici, modelli e teorie della psicologia e li applica
all’ambiente del lavoro, con la duplice finalità di promuovere, da un lato, il benessere delle persone
che lavorano e, dall’altro, di favorire il massimo vantaggio per l’organizzazione. Comprendere
quindi le dinamiche che caratterizzano individuo e organizzazione rappresenta quindi lo scopo
dell’attività di ricerca, che deve far fronte a diverse difficoltà legate soprattutto alla complessità
dell’oggetto d’indagine. Inoltre, la ricerca è importante anche per impostare pratiche gestionali su
basi sicure: ad esempio adottare procedure di selezione innovative o verificare l’efficacia dei
programmi formativi intrapresi. Essendo una disciplina che studia il comportamento umano è
legata ad altre aree della psicologia.
IL PROCESSO DI RICERCA EMPIRICA
Sebbene ogni progetto di ricerca possa considerarsi unico e specifico, tutte le ricerche condividono
l’obiettivo di far comprendere i fenomeni organizzativi e hanno in comune alcune fasi
fondamentali. Ogni ricerca è caratterizzata da un obiettivo che può essere il più delle volte
formulato in termini di ipotesi. Il processo di ricerca è sostanzialmente una procedura che si
articola in cinque fasi principali: 1. Domanda di ricerca
2. Disegno della ricerca
3. Misurazione delle variabili
4. Analisi dei dati
5. Conclusioni della ricerca
LA FORMULAZIONE DELLA DOMANDA DI RICERCA
Le domande di ricerca si basano sulla conoscenza esistente del problema: letteratura, esperienze
relative al tema oggetto di studio, personali intuizioni, oppure su teorie già note. Una teoria è un
assunto che ha la funzione di spiegare le relazioni tra i fenomeni di interesse. I ricercatori possono
formulare una teoria che spieghi i motivi per cui si verificano specifici comportamenti. La sequenza
che inizia con la raccolta dei dati e conduce all’elaborazione della teoria viene definita “metodo
induttivo”, che si contrappone al “metodo deduttivo” in base al quale il ricercatore prima elabora
una teoria e poi la mette alla prova raccogliendo e analizzando i dati. La ricerca può essere
applicata e pura. La ricerca pura (o di base) comporta l'elaborazione e la verifica di teorie ed
ipotesi che troveranno applicazione in futuro, quindi non ha un’immediata utilità per risolvere
problematiche contingenti. La ricerca applicata nasce invece dall’esigenza di risolvere i problemi
emersi sul campo e che richiedono soluzioni concrete e utili. La ricerca-intervento (o ricerca-
azione) è un processo di indagine che si propone di contribuire al cambiamento del sistema
lavorativo e valorizzare le potenzialità dei membri mediante il loro coinvolgimento diretto insieme
al ricercatore. Le informazioni riguardo l'oggetto di studio vengono raccolte empiricamente e
interpretate dagli stessi individui sui quali si vuole indagare in modo che acquisiscano maggiore
consapevolezza delle problematiche relativa al proprio contesto organizzativo e progettare
interventi specifici. Uno studio condotto in ambito organizzativo è generalmente basato su
un’intenzione esplicita o su una specifica domanda di ricerca. La domanda tipica è un’affermazione
dell’esistenza di una relazione fra due o più variabili (es.: “Qual’é la relazione fra soddisfazione
lavorativa e turnover?”). Spesso gli studi sono disegnati anche per mettere alla prova specifiche
ipotesi derivate da ricerche e teorie precedenti ( studi esplicativi). Tuttavia, spesso il ricercatore
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non ha un’ipotesi precisa, soprattutto se sta svolgendo uno studio esplorativo. Esistono anche
studi descrittivi nei quali le ipotesi precedenti non sono formulate e messe alla prova; tali studi
sono finalizzati principalmente a raccogliere osservazioni che potranno servire come punto di
partenza per nuove ricerche o per sviluppo di nuove teorie. Sia la ricerca applicata sia quella di
base necessitano di entrambe le tipologie di studi: i dati descrittivi forniscono materiale grezzo per
le teorie e le teorie forniscono la base per successive ricerche. Gli studi descrittivi forniscono
informazioni su quello che è successo, mentre gli studi esplicativi spiegano perché o come è
successo. In sintesi, la domanda di ricerca viene quindi indagata utilizzando metodologie e metodi.
Il metodo può essere definito come la tecnica o lo strumento di ricerca utilizzato per raccogliere
dati, mentre la metodologia si riferisce alla “filosofia” del processo di ricerca.
IL DISEGNO DI RICERCA
Un disegno di ricerca è un piano per condurre uno studio. La scelta del metodo dipende dalla
natura del problema ha studiato. Nessuna strategia può essere definita la migliore. Spesso il
problema può essere studiato nel contesto in cui si manifesta spontaneamente; altri fenomeni non
necessitano di essere indagati nell’ambiente naturale, in quanto si presume che essi siano
indipendenti dal contesto in cui si manifestano. Le strategie di ricerca possono essere paragonate
secondo diverse dimensioni ma in particolare due di loro rivestono un ruolo fondamentale:
 Il livello di naturalità del setting di ricerca,
 Il grado di controllo sulla conduzione dello studio
Entrambi influenzano sia la validità interna che la validità esterna della ricerca.
La validità interna si riferisce al grado in cui i risultati ottenuti possono essere attribuiti alle variabili
investigate piuttosto che ad altri fattori. La validità esterna si riferisce al grado in cui i risultati su un
certo gruppo di soggetti possono essere estesi e quindi generalizzati ad altri contesti. 
DISEGNI SPERIMENTALI E QUASI SPERIMENTALI
Ciò che distingue un esperimento da altri tipi di disegno è che l’assegnazione dei partecipanti alla
differenti condizioni della variabile indipendente è casuale. Gli esperimenti di laboratorio sono
condotti in ambienti predisposti o artificiali, a differenza degli ambienti organizzativi che si creano
naturalmente. Un esperimento di laboratorio ben disegnato includerà alcune condizioni presenti
nel contesto naturale, e ometterà quelle che potrebbero non essere presenti. Un quasi
esperimento è uno studio che si avvicina a un esperimento, ma non ha una vera assegnazione
casuale dei partecipanti ai livelli della variabile indipendente. Questo è il tipico caso delle situazioni
lavorative in cui i soggetti non possono essere collocati nelle varie condizioni di trattamento per
varie ragioni pratiche e organizzative. Una specifica situazione quasi-sperimentale è quella dei
disegni con gruppo non equivalente in cui non c’è processo di assegnazione casuale, ma i
partecipanti si trovano in differenti condizioni di trattamento in seguito ad altre ragioni. È possibile
avere un disegno con un gruppo non equivalente nel quale non è avvenuta alcuna manipolazione,
nel caso in cui il ricercatore trovi che certi gruppi di persone rientrano in una determinata categoria
(per esempio, soggetti che hanno volontariamente seguito un programma di addestramento, da
contrapporre a coloro che non l’hanno seguito). Altri disegni quasi sperimentali implicano la
valutazione delle stesse variabili ripetutamente nel corso del tempo. Il più semplice è il disegno di
gruppo singolo pre test-post test in cui i partecipanti sono valutati sia prima sia dopo il manifestarsi
di un certo evento. Tale disegno può essere un esperimento vero e proprio nel momento in cui i
soggetti sono assegnati casualmente alle condizioni, mentre è un quasi esperimento se presenta
differenti condizioni ma manca l'assegnazione casuale. Questo disegno lascia però aperte molte
alternative possibili per spiegare i risultati. Il disegno multi-gruppo è funzionale alla soluzione di
questo problema in quanto prevede un gruppo di controllo sul quale si verificano le stesse
condizioni di partenza. Lo scopo di molti ricercatori è trarre conclusioni riguardo le relazioni causali
fra le variabili. L'esperimento permette di escludere o di controllare influenze esterne che
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potrebbero essere state la causa reale dei risultati ottenuti. I disegni non sperimentali rendono più
difficile trarre simili inferenze causali. Se due variabili sono correlate tra loro non è possibile sapere
se una è causa dell’altra: è probabile che “terze variabili”, non valutate, siano la causa reale del
modello indagato.
DISEGNI NON SPERIMENTALI
Un disegno non sperimentale è quello in cui i dati sono raccolti in base a una o più variabili, ma
non esiste alcuna condizione di trattamento. In altre parole, il ricercatore raccoglie solo
osservazioni di variabili che già esistono. Un esempio di disegni non sperimentali è quello
osservazionale, che prevede osservazioni di un qualche evento su un campione di soggetti. Gli
osservatori utilizzano griglie e schemi valutativi più o meno strutturati. È possibile utilizzare un
approccio non intrusivo, dove gli osservatori guardano e registrano senza che il soggetto ne sia
consapevole. Questo da un lato evita che gli osservatori possano influenzare i comportamenti dei
soggetti ma dall’altro suscita problemi relativi alla privacy. Una procedura utile è quella di servirsi di
due o più persone per svolgere l’osservazione. Le inchieste rappresentano una delle procedure più
diffuse per condurre la ricerca sul campo nell’ambito della psicologia del lavoro e prevedono
diverse modalità, inclusi questionari autosomministrati, di gruppo, su sito web, le interviste
telefoniche e faccia a faccia. I questionari, quindi, sono il metodo più diffuso per condurre ricerche,
in quanto mezzo economico ed efficiente di raccolta dati. Anche le interviste possono essere un
mezzo efficace di raccolta dati con informazioni più complete ma rispetto ai questionari richiedono
maggior tempo. Le interviste telefoniche sono più efficienti ma devono essere brevi in quando i
destinatari potrebbero non tollerare di essere tenuti al telefono a lungo.
I disegni a più fonti (o ibridi) combina i dati provenienti dal questionario con altri provenienti da
altre fonti, e questo permette di superare il bias monomentodo (limite del questionario).
I disegni non sperimentali posso implicare la valutazione delle variabili per ogni soggetto nello
stesso momento (trasversali) o in momenti differenti (longitudinali). Il disegno trasversale è il più
diffuso, in quanto più semplice poiché i dati sono raccolti in un'unica sessione ma non permette di
trarre conclusioni causali, ovvero non permette di affermare che certe variabili ne causino altre. I
disegni longitudinali rappresentano uno degli strumenti più potenti disponibili per lo studio di
molti fenomeni organizzativi tra cui il cambiamento in quanto implicano misurazioni ripetute nel
corso del tempo sugli stessi soggetti. Le limitazioni riguardano il dispendio di tempo e risorse
economiche, la mortalità dei partecipanti, l’abbandono e il disinteresse dei partecipanti.
L’APPROCCIO QUALITATIVO (o etnografia organizzativa)
Molti studi in ambito organizzativo si avvalgono di forme di ricerca qualitativa basate sull’impiego
di metodi e tecniche di rilevazione di tipo non standardizzato, che presentano le seguenti
caratteristiche principali:
- Enfasi sull’esplorazione del fenomeno organizzativo
- Tendenza a operare con dati non strutturati, non codificati
- Investigazione di un sottile numero di casi, ma nel dettaglio
- Analisi dei dati più interpretativa (descrizioni e spiegazioni verbali) che quantitativa e
statistica.
I metodi qualitativi più frequentemente utilizzati in ambito organizzativo sono i seguenti:
 L’intervista in profondità. A differenza dell’intervista strutturata o semi-strutturata,
l’intervista in profondità consente al ricercatore di esplorare tutti gli argomenti di interesse
con l’intervistato, facendo emergere elementi importanti per confermare le ipotesi del
disegno di ricerca.
 La storia di vita. È una variante della precedente, in cui il filo conduttore non è costituito
dagli argomenti proposti dall’intervistatore, bensì dal racconto destrutturato da parte

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dell’intervistato. È utile per ricostruire la storia di un’organizzazione attraverso fatti vissuti in


prima persona.
 L’osservazione partecipante. Consiste nell’osservazione dell’ambiente organizzativo che è
diretta a rilevare gli aspetti concreti e osservabili della cultura organizzativa, cioè i valori che
vengono esplicitati attraverso gli artefatti.
 Il focus group. È un metodo per raccogliere dei dati collettivi attraverso una discussione di
gruppo focalizzata su temi sui quali il ricercatore intende verificare ipotesi relative alle
motivazioni e credenze che orientano i comportamenti delle persone nei confronti degli
stessi temi.
L’approccio quantitativo e quello qualitativo costituiscono metodi di ricerca complementari. Dopo
aver effettuato la scelta del problema da studiare, occorre stabilire quale prospettiva metodologica
possa ritenersi più utile per una determinata finalità di ricerca.
LA MISURAZIONE DELLE VARIABILI
Prima di effettuare l’analisi dei dati, è necessario misurare e raccogliere le variabili di interesse. Una
variabile può essere definita come un attributo di un fenomeno oggetto di studio, la cui
misurazione può assumere due o più valori. Queste possono essere quantitative, quindi numeriche
(età, livello retributivo) o qualitative (sesso, professione) che possono essere codificate con numeri
(maschio=1) Inoltre possono distinguersi per proprietà: indipendente, dipendente, predittore,
criterio:
Le variabili indipendenti sono quelle manipolate o comunque controllate dal ricercatore per
misurarne gli effetti. Le variabili dipendenti sono l’oggetto di interesse, rappresentano alcuni
aspetti del comportamento che si intendono indagare. Quando i punteggi della prima variabile
vengono utilizzati per predire i punteggi della seconda, vengono definite rispettivamente
predittore e criterio. L’operazionalizzazione delle variabili consiste nel quantificare, sulla base di
un metodo predefinito, ciascuna variabile di studio, il che può implicare la creazione dei livelli di
una variabile come negli esperimenti.
L’ANALISI DEI DATI
Una volta che le informazioni sono state rilevate, il ricercatore deve estrapolarne il significato. Il
metodo più elementare per condurre le analisi è quello descrittivo, attraverso cui si studia la forma
della distribuzione dei dati e si ottengono misure della tendenza centrale e della variabilità. Il
ricercatore è interessato a conoscere le relazioni tra più variabili oggetto di interesse e a trarre
inferenze causali circa il tipo di relazione presente. Vi sono alcuni metodi per studiare le relazioni
tra le variabili: correlazione, regressione multipla, analisi della varianza (ANOVA) e analisi fattoriale.
- Correlazione multipla. È una procedura utilizzata comunemente per verificare se è
possibile attribuire la relazione di due variabili ad altre variabili.
- Regressione multipla. Mette alla prova gli effetti congiunti di due o più predittori.
- Regressione logistica. Tratta i valori della variabile criterio come due categorie e poi stima
la probabilità che i casi ricadano all’interno delle due.
- Analisi della varianza o anova. è una procedura che valuta le differenze tra le medie dei
punteggi assegnati alle diverse condizioni, permettendo di inferire se le differenze nei
punteggi della variabile dipendente possano essere ascritte ai diversi valori della variabile
indipendente.
- Analisi fattoriale. Si pone l’obbiettivo di ridurre un gran numero di variabili in un numero
minore di dimensioni più facilmente interpretabili. Può essere fatto in modo esplorativo per
indagare la struttura di alcune variabili o in modo confermativo per vedere se le variabili si
conformano a una struttura ipotizzata.
- Modelli di equazioni strutturali. Detti anche SEM, sono una tecnica statistica di analisi
multivariata che permette la specificazione a priori di un insieme di relazioni tra variabili
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che sarebbe atteso se un certo flusso causale fosse vero. I dati raccolti consentono di
determinare quanto il modello ipotizzato si adatti alla realtà osservata.
- Modello lineare gerarchico. Quando si raccolgono i dati sul campo, spesso si trovano
soggetti già inseriti in una gerarchia di categorie o gruppi. E i diversi livelli gerarchici
possono avere effetti sulle variabili. Il modello lineare gerarchico permette di effettuare
l’analisi simultanea di livelli multipli, scomponendo gli effetti statistici nei livelli individuali,
contrapposti a quelli più alti. [Evitando cosi il bias di aggregazione (mescolare più livelli)]
Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati qualitativi, possono essere invece citate come esempi
l’analisi del contenuto e l’analisi delle corrispondenze.
- Analisi del Contenuto. è una tecnica di ricerca per la descrizione oggettiva, sistematica e
quantitativa del contenuto manifesto della comunicazione. Lo scopo fondamentale è
considerare un documento verbale e trasformarlo in dati quantitativi.
- Analisi delle Corrispondenze. Lo scopo è studiare i legami tra le modalità di due o più
caratteri di classificazione qualitativi, rilevanti per identificare le possibili associazioni tra le
caratteristiche analizzate.
CONCLUSIONI DELLA RICERCA
Una delle più importanti questioni nella conduzione della ricerca riguarda il livello di
generalizzazione delle conclusioni tratte, ovvero la misura in cui tali conclusioni possono essere
estese alla popolazione oggetto di studio. Le ricerche di laboratorio sono a volte considerate come
più scientifiche e rigorose (hanno cioè una validità interna superiore), mentre le ricerche sul campo
sono maggiormente rappresentative delle reali condizioni di lavoro. La ricerca non consiste in un
processo isolato: ogni studio si innesta e prosegue a partire dalle conclusioni tratte da una ricerca
precedente; e può pertanto indirizzare le ricerche future.
PROBLEMI LEGATI ALL’INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI
Una delle principali caratteristiche della ricerca in psicologia del lavoro è il fatto che le sue
conclusioni sono fondate sui dati. Il processo di selezione delle variabili, la scelta della loro
operazionalizzazione cioè l’interpretazione dei risultati rappresentano un compito assai complesso,
che può presentare diverse difficoltà.
LA CAUSALITA’
Sebbene sia possibile studiare la relazione tra variabili, rimane spesso difficoltoso pronunciarsi
sulla causalità delle relazioni. La definizione di causalità include i concetti di asimmetria e legame
diretto. La relazione è asimmetrica in quando una variazione di X produce una variazione di Y ma
non viceversa. Questo concetto implica che la causa precede l’effetto nel tempo. Il concetto di
legame diretto si riferisce invece al fatto che il variare dell’una è dovuto al variare dell'altra
variabile. La difficoltà nello stabilire la causalità può essere dovuta a diversi motivi, il più
importante dei quali riguarda il fatto che può esistere un gran numero di cause che non possono
essere controllate.
Molto spesso capita che una terza variabile (Z) influenzi la relazione tra due variabili (X e Y)
secondo una varietà di situazioni che si verificano frequentemente:
a) Variabile interveniente. La relazione tra X e Y è “mediata”
dalla variabile Z (relazione indiretta). Questa influenza
“interveniente” può essere identificata calcolando la
correlazione parziale tra X e Y tenendo Z costante.
b) Elemento di una catena causale. La terza variabile Z è inserita in un processo di “causazione
reciproca”.
c) Variabile antecedente. Questo modello, spesso utilizzato, è fonte di possibili errori in quanto la
covariazione osservata tra X e Y è solo apparente, essendo provocata da Z che agisce causalmente

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su entrambe le variabili. Z è legata causalmente a X e Y. Se quindi Z rimane costante, sparisce anche


la covariazione tra X e Y.
d) Variabile moderatrice. La relazione tra X e Y varia a seconda del valore assunto da Z.

TIPI DI ERRORI
É possibili commettere errori nella spiegazione dei risultati ottenuti, e quindi nelle conclusioni cui
una ricerca può condurre. I principali errori sono riconducibili a quattro categorie fondamentali:
a) Errori dovuti a una scorretta operazionalizzazione dei concetti: cioè le misure non sono
sufficientemente oggettive e affidabili, oppure i concetti esaminati non sono adeguatamente
misurati dagli strumenti scelti. Si tratta di un problema di validità di costrutto.
b) Errori nell’analisi statistica dei dati. Possono essere classificati in due tipologie: 1. Errori del
primo tipo (ipotesi nulla rifiutata erroneamente, cioè l’esistenza del fenomeno è erroneamente
provata, dovuto a una grande quantità di variabili). 2. Errori del secondo tipo (si conclude che il
fenomeno non esiste quando è reale, dovuto all'utilizzo di campioni troppo ristretti).
c) Errori dovuti a insufficiente validità interna. Quando i risultati non possono essere realmente
attribuiti ai fattori ritenuti responsabili. Effetti che incidono sulla validità interna sono: effetto
storia, maturazione, selezione, mortalità.
d) Errori dovuti all’inappropriata generalizzazione dei risultati, ovvero a variabilità esterna.
RICERCA E PROBLEMI ETICI
Da tempo sono stati istituiti alcuni vincoli importanti riferiti agli aspetti etici e di privacy. Un primo
principio da osservare è la salvaguardia del benessere delle persone che partecipano allo studio.
Bisogna prevedere gli effetti dannosi (psicologici e fisici) che potrebbe provocare la ricerca,
nessuno può essere costretto a parteciparvi. I codici etici sono creati per tutelare i diritti dei
soggetti. I ricercatori dovrebbero occuparsi degli aspetti sociali ed etici non solo durante la ricerca
ma anche una volta che essa sia conclusa, dovrebbero proteggere l'identità dei partecipanti In
modo che non ci siano ritorsioni nei confronti delle persone che affermano qualcosa di non gradito
ai loro superiori. Lo psicologo, lavorando all’interno o per una data organizzazione, ha quindi il
dovere di prendere in considerazione sia il benessere dell’individuo sia le necessità organizzative.
Un ulteriore principio etico riguarda il “consenso informato”, ovvero il fatto che i soggetti devono
essere informati sulla natura e sugli scopi dello studio prima di parteciparvi. Infine è opportuno che
ai partecipanti venga fornito un feedback sui risultati ottenuti e sulle iniziative aziendali che da essi
possono scaturire.

CAP 3 – AMBIENTE E SICUREZZA SUL LAVORO


SALUTE E SICUREZZA
Telelavoro è parte integrante della vita di ciascun individuo, è mezzo di sostentamento e di
soddisfazione dei bisogni di autorealizzazione ed espressione di sé. Nonostante l'innovazione
tecnologica abbia migliorato le condizioni di lavoro e fornito il cambiamento, il fattore umano
rimane l'elemento fondamentale di ciascuna attività lavorativa e determinante per il successo di
un'organizzazione. Nonostante ciò sono ancora insufficienti le azioni messe in atto per garantire la
sicurezza dei lavoratori. Sono ancora milioni gli infortuni e le morti di persone a causa di incidenti
sul lavoro o malattie professionali.
LA NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI SICUREZZA
In Italia nel 1994 è stata introdotta la Legge 626 che definisce nuove figure professionali di
prevenzione, nuove responsabilità e una specifica valutazione dei rischi. I principali aspetti
introdotti da questa legge sono:
 Valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro;
 Obbligo di avere un RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) che valuta i rischi.
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 Obbligo di avere un Servizio di Prevenzione e Protezione (attua le misure di prevenzione e


protezione volte a ridurre al minimo la probabilità di danni)
 Obbligo di avere un RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) che puo essere
anche il datore di lavoro stesso ma con una formazione specifica.
La nozione di salute, che corrisponde non solo all'assenza di malattia o di infermità ma anche al
benessere fisico, mentale e sociale, richiede al datore di lavoro e a tutta la restante organizzazione
di orientare attività, competenze strumenti per la sicurezza sul lavoro in modo innovativo. I rischi di
natura psicologica hanno avuto pieno riconoscimento, in particolare lo stress da lavoro viene
definito come una condizione di malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali che sono
causa di forti pressioni che riducono l'efficacia sul lavoro e arrivano a causare problemi di salute.
L’ERGONOMIA E LA SICUREZZA SUL LAVORO
ERGONOMIA E FATTORI UMANI
L’ergonomia è una disciplina che si basa sull'esperienza e la conoscenza attraverso la ricerca
scientifica condotta in laboratorio, sul campo e attraverso il lavoro pratico svolto in organizzazioni
in collaborazione con dirigenti ed esperti. L'ergonomia aumenta la sicurezza, la salute e il
benessere, l'efficienza, la produttività e la competitività dell'organizzazione. Il principale proposito
dell’ergonomia è la progettazione. Gli ergonomi contribuiscono alla progettazione valutazione di
mansioni, attività, prodotti, ambienti e sistemi al fine di renderli compatibili con i bisogni, abilità e
limitazione dell'essere umano. È un approccio definito da tre principi fondamentali: globalità degli
intenti, interdisciplinarità degli interventi e partecipazione dei lavoratori.
INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI
Dagli anni ’60 sono stati studiati e analizzati i fattori nocivi dell’ambiente di lavoro:
- Generici: luce, rumore, temperatura, ventilazione, umidità
- Tipici della Produzione: polveri, gas, vapori, fumi, radiazioni
- Fatica fisica e psicofisica: ritmi eccessivi, monotonia, ripetitività, posizioni disagevoli, ansia,
frustrazione, responsabilità, stress, orari, lavoro a turni
Art. 2 del testo unico 1124/65: “L’infortunio è l’evento avvenuto per causa violenta (La causa
violenta viene identificata in un fattore esterno improvviso e imprevisto e in modo rapido e intenso
provo con effetto lesivo) in occasione di lavoro (rapporto di causa ed effetto che vi è tra l’attività di
lavoro e l’incidente), da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o
parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporti astensione dal lavoro per più di 3
gg”. (Sotto ai 3 gg non vengono considerati infortuni).
Vengono definiti incidenti sul lavoro anche quelli che non provocando lesioni alle persone causano
danni materiali (in inglese  injury: incidente che provoca lesione / accident: incidente senza
lesioni).
La malattia professionale viene definita come un evento dannoso che incide sulla capacità
lavorativa della persona ed è causata della prestazione lavorativa. L’assicurazione per gli infortuni
sul lavoro e sulle malattie professionali è gestita dall’INAIL (istituto nazionale assicurazione
infortuni sul lavoro) che ha il compito di garantire le prestazioni sanitarie relative alle prime cure,
prestazioni economiche e forniture di apparecchi di protesi.
L’ERRORE UMANO COME CAUSA DI INCIDENTI SUL LAVORO
Le circostanze in cui accadono gli incidenti presentano alcuni elementi comuni come condizioni
lavorative di illegalità in cui non vengono rispettate le regole e organizzazione del lavoro priva di
sicurezza fin dalla sua progettazione. Non a caso il legame tra l'organizzazione e la sicurezza di
un'impresa è stata affrontato solamente intorno agli anni 80 del secolo scorso. Ma soprattutto
nell'analisi di grandi incidenti tecnologici ha permesso di individuare alcune ipotesi sulle loro cause
e di suggerire prospettive di ricerca. Le cause dell'incidente nucleare di Three Mile Island in
Pensylvania nel 1979 furono riassunti in quattro categorie: errori umani di supervisione e
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manutenzione delle processo, errori di progettazione delle interfacce uomo-macchina nella sala di
controllo, complessità e ridondanza dei regolamenti della Nuclear Regulatory Commission (l'ente
che controlla l'attività delle centrali nucleari negli Stati Uniti), insufficienza dell'addestramento
degli operatori e distorsioni delle comunicazioni organizzative a tutti i livelli. Negli anni 60
l'attenzione si focalizza sul modello definito tecnico-ingegneristico-normativo secondo cui gli
incidenti sono frutto di un fallimento della tecnologia e della devianza da quanto prescritto dalla
norma. Successivamente si passa un modello di analisi centrato sulla persona, si sposta
l'attenzione dalla macchina all'uomo. A partire dagli anni 90 si passa al modello organizzativo-
sociotecnico per cui gli incidenti non devono essere più considerati come fallimento
esclusivamente tecnico o umano ma come causati dall'insieme di più componenti.
TIPOLOGIE DI ERRORE
Nell’ambito delle teorie sviluppate nello studio dell’errore, è stata proposta una classificazione del
comportamento umano suddivisa in tre tipologie: (Rasmussen)
- Skill-based behaviour (comportamento basato sulle abilità): comportamenti automatici (routine)
- Ruled-based behaviour (comportamento basato su regole)
- Knowledge-based behaviour (comportamento basato sulla conoscenza): comportamenti adottati
quando ci si trova davanti ad una situazione sconosciuta
Reason, sulla base del modello proposto da Rasmussen, differenzia tra errori di esecuzione e azioni
compiute intenzionalmente e definisce così tre diverse tipologie di errore:
- Errori di esecuzione a livello di abilità (slips) es: Infermiere professionale che si dimentica di
riferire un’allergia del paziente al medico
- Errori di esecuzione causati da venir meno delle memoria (lapses) a differenza degli slips, i
lapses non sono direttamente osservabili.
- Errori però non vengono commessi durante la realizzazione pratica dell'azione (mistakes): che
nascono nella pianificazione delle strategie. Queste tipologie di errore sono definite:
-Ruled-based: una procedura che non porta all’obiettivo
-Knowledge-based: errori commessi in base alla propria conoscenza insufficiente
PERCEZIONE DEL RISCHIO
Il lavoratore deve saper determinare la percezione del rischio cioè raggiungere il grado di
consapevolezza per cui un lavoratore avverte che svolgere la propria attività o utilizzare un dato
strumento mette la sua sicurezza in pericolo. Importanti fattori nella percezione del rischio
riguardano la valutazione della probabilità e delle conseguenze di un pericolo così come aspetti
situazionali quali l'esposizione volontaria o involontaria una situazione rischiosa. Si è rilevato che il
comportamento autoprotettivo del lavoratore dipende dalla stima del rischio soggettivo (più si
pensa che un lavoro possa essere rischioso più si ci attiene alle procedure di sicurezza). Le
informazioni relative alla pericolosità di un lavoro possono essere raccolte da esperienze dirette,
fondi esterne come mass media ho compagni di lavoro. In ogni caso il ragionamento umano
rispetto al rischio non segue una logica razionale. Si è notato che vi è la tendenza delle persone a
sovrastimare “col senno di poi” le possibilità con cui avrebbero potuto predire l'incidente accaduto.
Un aspetto della personalità che è stato studiato in relazione alla sicurezza del lavoro è quello del
locus of control. Le teorie dell'attribuzione mettono a fuoco come ci sia una generale tendenza
delle persone ad attribuire il proprio comportamento a cause esterne e a vedere il comportamento
degli altri come cause interne. Si è dimostrato che i lavoratori appartenenti a gruppi “a basso
rischio” erano più orientati internamente, mentre i lavoratori orientati esternamente erano
soggetti a piu incidenti. Statisticamente gli incidenti sono considerati eventi rari e c'è la tendenza a
pensare che “non può succedere a me” (Il reale ottimismo), poi ci sono quei lavori dove il rischio fa
parte della quotidianità.
LE CONDIZIONI DI LAVORO
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AMBIENTE DI LAVORO
L'ambiente è fondamentale riguardo le condizioni di vita e di lavoro (benessere, salute, sicurezza).
Progettare un ambiente di lavoro ergonomico significa conoscere il contesto nel quale si svolgerà
l'attività lavorativa, quindi gli aspetti fisico dimensionali (spazi, arredi), Ambientali (temperatura,
illuminazione) e organizzativi (procedure di lavoro, ruoli).
Bisogna conoscere anche le caratteristiche dei lavoratori. L'uomo è un organismo complesso e
cercare un posto di lavoro centrato sulle sue esigenze significa tenere in considerazione le sue
caratteristiche:
-biomeccaniche, fisiologiche: si occupano dei costi energetici del lavoro come consumo di ossigeno
e frequenza cardiaca, sforzo muscolare, fatica associata a posture statiche e dinamiche che
rappresentano uno dei maggiori problemi legati alle patologie muscolo-scheletriche
-antropologiche: dimensioni corporee che permettono di definire le dimensioni delle postazioni di
lavoro (es altezza del piano di lavoro)
-psicologiche: aspetti cognitivi (attenzione, memoria), motivazionali, relazionali, di dinamiche di
gruppo o di atteggiamenti.
La qualità del lavoro dipende dai fattori citati. Per progettare un posto di lavoro modellato in base
alle esigenze dell'uomo è necessario tenere in considerazione: l'attività da svolgere, l'ambiente
fisico, la posizione dell'operatore, la postura, gli spazi liberi, il controllo sulla macchina,
applicazione della forza, il layout della posizione di lavoro (display e posizioni di controllo).
I fattori esterni che condizionano un ambiente di lavoro sono: il microclima, l'illuminazione e il
rumore. Il comfort ambientale viene definito in base a questi fattori
IL MICROCLIMA
Il microclima è l’insieme di parametri ambientali che regolano le condizioni climatiche di un luogo
di vita o di lavoro determinanti per il benessere termico di un individuo. Il benessere termico è
determinato: dalla temperatura dell'aria, dall’umidità relativa, dalla ventilazione, dal calore
radiante, dal dispendio energetico e dalla resistenza termica del vestiario. Questi parametri variano
al variare della tipologia di lavoro svolto e a fattori soggettivi legati all'individuo (peso, età, stato di
salute).
L’ILLUMINAZIONE
La conformità ai parametri ottimali di luminosità ambientale è determinata da una corretta
esposizione alla luce, sia di giorno che di notte. Il comfort visivo è caratterizzato da: illuminazione
adeguata, disposizione bilanciata delle luci, intensità della luce uniforme nel tempo, assenza di
abbagliamento, uso dei colori e degli accostamenti cromatici. La qualità dell'illuminazione dipende
da caratteristiche fisiche della persona, dal tipo di attività svolta, da aspetti strutturali e da fattori
socio culturali e di abitudine.
IL RUMORE
La pesante meccanizzazione del lavoro, insieme al crescente sviluppo tecnologico nelle attività
lavorative ha comportato un incremento delle fonti di rumore e di conseguenza l'aumento dei
rischi legati alle funzionalità uditive e di attenzione (può essere causa di patologie professionali). È
soggettivo il fatto di percepire una vibrazione come suono o rumore.
IL CARICO DI LAVORO FISICO
Il carico di lavoro deve essere adeguato alle capacità del lavoratore in uno specifico contesto.
Altrimenti si va incontro ai disturbi muscoloscheletrici (DMS) che sono definiti come un gruppo di
affezioni a carico delle strutture ossee, muscolari, tendinee e delle borse articolari e possono
coinvolgere tutti segmenti corporei ma quelli più frequenti sono al livello della schiena e degli arti
superiori. Questi disturbi sono determinati da quattro fattori di rischio: la forza richiesta per
eseguire il compito, la postura tenuta nell'esecuzione del compito, la ripetitività dei gesti lavorativi,

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l'inadeguato rilassamento dei segmenti muscolo scheletrici coinvolti nell'esecuzione del compito
lavorativo.
IL SOLLEVAMENTO MANUALE DEI CARICHI
La legge 626/94 definisce la movimentazione manuale dei carichi che possono comportare rischi di
lesione dorso-lombari ed indica un limite del peso sollevabile del lavoratore di 30 kg per gli uomini
e 20 kg per le donne che se superati possono causare un rischio fisico. Il rischio deve essere
valutato anche in riferimento ad altri elementi come: le caratteristiche del carico, le posizioni di
sollevamento, lo sforzo fisico eccessivo e le caratteristiche dell'ambiente (presenza di scale,
pavimenti scivolosi).
LE POSTURE FISSE PROLUNGATE
La postura è l'insieme e la sequenza di comportamenti che il corpo assume durante un'attività
lavorativa. Una postura di lavoro mantenuta costante nel tempo viene definita fissa mentre se
frequentemente modificata viene chiamata dinamica. Le attività di lavoro che implicano fissità
posturale sono più soggette a disturbi muscoloscheletrici.
LA RIPETITIVITA’
Un altro fattore di rischio è la ripetitività dei gesti necessarie a svolgere le mansioni. Più è elevata la
frequenza dei movimenti tanto più rapida è la successione di contrazioni e rilassamenti muscolari.
Essendo brevi risultano insufficienti a consentire il recupero funzionale delle strutture coinvolte nel
gesto. Più forza si impiega più lungo dovrà essere il tempo di recupero. I metodi per valutare i rischi
relativi alla ripetitività si rifanno alla biomeccanica che verifica la sostenibilità del rischio e definisce
i valori limite.
LA FATICA MENTALE
La fatica mentale è una diminuzione reversibile delle prestazioni e delle funzioni dell'organismo
legata a una diminuzione della soddisfazione per il lavoro e a un aumento dello sforzo per svolgere
il lavoro. Dunque è un abbassamento dell'energia psichica necessaria per compiere un'azione.
Successivamente è stata associata a un problema relativo all'attenzione o a deficit cognitivi nel
gestire la richiesta di un compito. Un altro problema è la multidisciplinarietà del concetto che
rende difficile il confronto eziologico e lo studio delle cause. L’ISO (International standard
Organization) ha fissato l'obiettivo di creare un lessico comune in questo ambito. Il concetto di
fatica mentale va distinto da quello di carico mentale. il carico mentale è la quantità di lavoro con
impegno mentale che il lavoratore deve svolgere (es sovraccarico mentale o Sotto carico mentale)
e che può determinare uno stato di fatica mentale.
-stressor: agenda che causa lo stress
-stress: somma di tutte le influenze che provengono da fonti esterne e interferiscono con la
persona fino a condizionarla mentalmente e fisicamente
-distress: fallimento adattivo della risposta
-eustress: energia ben utilizzata
-strain: sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte di un'alta domanda ambientale,
effetto immediato dello stress mentale vissuto dall'individuo
La fatica male nasce dall'interazione fra i requisiti di un compito di lavoro, le circostanze in cui è
effettuato e le abilità, i comportamenti e le percezioni dell'operatore. I principi del modello di
causa-effetto sono stati esposti nello stimulus-organism-reaction-model in cui la fatica mentale è
un alternazione temporanea dell'efficacia funzionale mentale e fisica che dipende dall'intensità,
durata e andamento temporale dello strain mentale. La fatica mentale si manifesta attraverso
stanchezza, rapporti meno favorevoli tra prestazione e sforzo, tipo e frequenza di errori e da
precondizioni individuali.
MISURAZIONE DELLA FATICA MENTALE

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Nel Draft ISO è contenuta una delle prime proposte volte a misurare la fatica mentale e le sue
conseguenze. Essa si basa su 4 criteri di valutazione:
- Soggettivi: fammi riferimento all'uso di questionari di autovalutazione dei sintomi della
fatica (test di memoria, metodo del doppio compito, test di reattività e di capacità di
mantenere la concentrazione, sulla frequenza dei cambiamenti posturali, sui segnali di noia,
e sul livello di performance)
- Comportamentali: metodo del doppio compito. frequenza dei cambiamenti posturali
indicatori di noia
- fisiologici: valutano altri indicatori di fatica come frequenza critica di fusione della luce
intermittente, ritmi cerebrali, frequenza cardiaca, funzionalità dell'apparato visivo,
pressione arteriosa, frequenza respiratoria, tensione muscolare
- biochimici: il carico di lavoro mentale può alterare parametri biochimici (i livelli ormonali)
attraverso cambiamenti dal livello di uropepsina nelle urine e di catecolammine nel sangue.
Una volta individuate le caratteristiche del sistema da indagare e analizzare i bisogni dei lavoratori
è possibile adottare le modalità valutative più opportune.
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS
Lo stress sul posto di lavoro è riconducibile al contratto di lavoro, all'irregolarità e flessibilità degli
orari di lavoro, all'insicurezza del posto di lavoro e all'intensificazione ecco della forza lavoro.
I principali fattori attraverso i quali è possibile individuare un problema di stress correlato al lavoro
sono:
- le caratteristiche dell’organizzazione e dei processi di lavoro (Pianificazione dell'orario di
lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte del lavoro e
capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro)
- le condizioni e l'ambiente di lavoro
- la comunicazione
- i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla
situazione, percezione di una mancanza di aiuto)
Alcune misure per la riduzione del rischio sono:
- migliorare la gestione e la comunicazione, al fine di chiarire gli obiettivi e il ruolo di ciascun
lavoratore e assicurare un sostegno adeguato
- Migliorare l'organizzazione, i processi, le condizioni e l'ambiente di lavoro
- potenziare la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza
e la loro comprensione delle possibili cause e del modo in cui affrontare lo stress.
- Migliorare l'informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti in
conformità ai contratti di lavoro
Lo stress da lavoro non è sempre causato dal lavoro stesso, può essere indotto da fattori esterni
all'ambiente di lavoro ciò conduce a cambiamenti nel comportamento e alla riduzione dell'efficacia
sul lavoro. In questo caso il datore di lavoro può intervenire nell'ambiente di lavoro ma non sulla
sfera privata del lavoratore. Riguardo l'identificazione delle fonti di stress molti approcci
metodologici fanno riferimento a due tipologie di fattori:
- fattori oggettivi legati all'ambiente e alle condizioni di lavoro: esposizione a rumore, a
vibrazioni, al calore, a sostanze pericolose, la ripetitività delle manzioni
- fattori di natura psicosociale che possono essere suddivisi in: organizzazione ai processi di
lavoro; la comunicazione; i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali al lavoro)
Le valutazioni dei fattori oggettivi vengono fatte attraverso specifiche checklist (attraverso cui
valutare indicatori quali infortuni, assenza per malattia) mentre la valutazione dei fattori
psicosociali si basano su un'analisi delle percezioni del lavoratore riferita alla propria esperienza
lavorativa e possiamo utilizzare due metodi:
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-il metodo quantitativo: basato su strumenti quali questionari


-il metodo qualitativo: che adotta strumenti quali interviste, focus Group o l'osservazione
partecipante
“La guida sullo stress legato all'attività lavorativa” redatta dalla commissione europea fornisce
alcuni esempi di azioni che possono essere messe in atto nei confronti dell'organizzazione del
lavoro al fine di prevenire o ridurre lo stress:
- Orario di lavoro: va organizzato in modo da evitare conflitti con esigenze e responsabilità
extralavorative. Gli orari dei turni a rotazione devono essere stabiliti e prevedibili
- partecipazione e controllo: i lavoratori devono partecipare alla decisione o alle scelte che
hanno ripercussioni sul lavoro
- quantità di lavoro assegnato: gli incarichi devono essere compatibili con le capacità e le
risorse del lavoratore che devono prevedere la possibilità di recupero dopo l'esecuzione
- contenuto delle mansioni: le mansioni devono essere stimolanti e devono fornire
l'opportunità di esercitare le proprie competenze
- i ruoli: vanno definiti con chiarezza
- ambiente sociale: deve essere presente l’interazione sociale, sostegno emotivo e sociale fra
i collaboratori
- prospettive future: bisogna ridurre le incertezze per quanto riguarda la sicurezza del posto
di lavoro

CAP 4 – LE DIFFERENZE INDIVIDUALI


LE DIFFERENZE INDIVIDUALI E LA PSICOLOGIA DEL LAVORO
Oggetto di questo capitolo è esaminare come le differenze individuali possano esercitare
un’influenza sui comportamenti che le persone manifestano nel corso della loro esperienza
professionale. L’inizio dell’interesse per lo studio scientifico delle differenze tra gli individui può
essere attribuito a Wilhelm Wundt, i cui sforzi furono principalmente rivolti a individuare i principi
generali in grado di spiegare il comportamento umano. Successivamente James Cattell e Francis
Galton hanno centrato la loro attenzione sulla valutazione delle differenze individuali, prendendo
in considerazione le qualità e le caratteristiche dell’individuo determinanti per il comportamento.
La psicologia del lavoro si è spesso servita degli studi condotti in questo ambito differenziale,
partendo dal presupposto che le differenze individuali possono essere utilizzate per prevedere esiti
lavorativi importanti, quali il successo nella professione e soddisfazione lavorativa.
Un primo attributo individuale studiato e misurato in ambito organizzativo è quello dell’abilità
cognitiva, tramite la quale le persone acquisiscono conoscenze e risolvono problemi. Inizialmente
tale fattore fu definito fattore “g”, abilità mentale generale (Spearman). Successivamente
l’interesse degli psicologi si è spostato anche sulla valutazione di altre variabili soggettive, quali la
personalità, le conoscenze acquisite, gli interessi e le reazioni emotive. Risulta più utile poter
misurare una serie più ampia di attributi anziché un unico fattore di intelligenza generale. Tali
caratteristiche sono classificate in modo diverso da vari autori. Una classificazione completa ed
esaustiva delle caratteristiche in base alle quali le persone si differenziano è quella proposta da
Landy e Conte, Murphy, Guion: secondo cui le differenze individuali utili per la comprensione del
comportamento lavorativo sono
- abilità cognitive e psicomotorie;
- personalità;
- interessi;
- valori.
LE ABILITA’ COGNITIVE E PSICOMOTORIE

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É possibile definire, in generale, l’abilità come “ciò che una persona è in grado di fare”. Fleishman
elaborò una complessa tassonomia comprensiva di cinquantadue abilità, rispetto alla quale gli
individui si differenziano fra loro e che risultano determinanti nella performance lavorativa.
Queste sono riconducibili a tre macrocategorie: intelligenza e abilità cognitive, abilità fisiche, abilità
percettivo-motorie.
INTELLIGENZA E ABILITA’ COGNITIVE
Nel contesto lavorativo, l’intelligenza è definibile come “una capacità mentale molto generale che,
tra le altre cose, comprende la capacità di ragionamento, di progettazione e di problem solving, di
pensare in modo astratto, capire idee complesse, imparare velocemente e apprendere
dall’esperienza”. La maggior parte degli psicologi è concorde nel sostenere che, sebbene il valore
del fattore “g” (generale) di intelligenza sia positivamente correlato a comportamenti lavorativi di
successo, esistono anche altre abilità cognitive specifiche più utili per certe tipologie di lavori
piuttosto che per altre. Un modello piuttosto completo ed esaustivo delle abilità cognitive è quello
proposto da Carroll, il quale ha ipotizzato un modello gerarchico, secondo il quale l’intelligenza
sarebbe articolata in tre livelli di abilità cognitive: il livello più alto è “g”, il successivo include 7
abilità più specifiche e infine il terzo livello comprende abilità strettamente legate a quello dello
strato immediatamente superiore. Per esempio la capacità di ordinare informazioni è collegata
all’intelligenza fluida, mentre l’abilità di individuare relazioni spaziali si connette alla percezione
visiva. In campo lavorativo, la capacità intellettiva generale risulta importante da un punto di vista
applicativo: qualora un’attività richieda un’elevata capacità di manipolare ed elaborare
informazioni, sono soprattutto le persone con alti punteggi ai test d’intelligenza generale a
ottenere prestazioni lavorative di successo. Tuttavia, si tratta di un requisito necessario ma non
sufficiente in quanto di fondamentale importanza sono anche le capacità cognitive specifiche.
ABILITA’ FISICHE
Vi sono mansioni il cui svolgimento richiede determinate caratteristiche fisiche come forza,
flessibilità muscolare e la resistenza fisica. Secondo Fleishman esisterebbero 11 abilità motorie di
base e 9 abilità fisiche. Hogan Identifica 7 abilità fisiche sulla base di molte attività lavorative che
sono raggruppabili in tre macrocategorie superiori: la forza muscolare, la resistenza
cardiovascolare e la qualità del movimento. tra il modello di Hogan e quello di Fleishman vi sono
delle corrispondenze (alcune abilità corrispondono).
ABILITA’ SENSORIALI
Le abilità sensoriali sono le funzioni fisiche della vista, dell’udito, del tatto, del gusto e dell’olfatto.
In campo lavorativo, le abilità sensoriali più frequentemente prese in considerazione sono quelle
visive e uditive. Generalmente considerate indipendenti da quelle cognitive, mentre in alcuni
modelli, come quello di Carroll, vengono considerate abilità di livello intermedio, dunque
classificabili come parte di “g”.
ABILITA’ PSICOMOTORIE
Le abilità psicomotorie, dette anche senza motore o motorie, si riferiscono principalmente alla
coordinazione, alla destrezza e ai tempi di reazione dell’individuo. Emerge chiaramente come si
tratti di abilità che rivestono un’importanza cruciale soprattutto per determinate professioni
(esempio musicista, orologiaio, chirurgo o barista).
LA PERSONALITA’
Un’analisi del comportamento lavorativo non può prescindere, come detto precedentemente,
dall’esaminare anche aspetti non cognitivi, che assumono sicuramente un peso determinante nel
comportamento sul lavoro. In particolare, la personalità rappresenta un’importante area da
esaminare dal punto di vista delle differenze individuali. La personalità può predire le future
esperienze lavorative e l'ambiente lavorativo è in grado di modificare alcuni tratti individuali.
Secondo la Life course perspective da un lato le caratteristiche personologiche influenzano le scelte
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ed esperienze individuali mentre dall'altro queste ultime influenzano lo sviluppo dei tratti personali
lungo l'intero ciclo di vita. Infatti alcuni tratti di personalità possono cambiare nel corso della vita
sia per fattori genetici che ambientali, e visto che la maggior parte del tempo viene passato
nell'ambiente lavorativo esso influenza questo cambiamento. Un modello che descrive la
personalità è il big five o modello dei 5 fattori.

IL MODELLO BIG FIVE


Il big five (MacCrae, Costa) descrive la personalità in base a 5 fattori principali ciascuno dei quali
con comprende due tratti più specifici. I 5 fattori sono indipendenti tra loro e universali, stabili
durante l'età adulta e consentono di predire i risultati lavorativi. Essi determinano un profilo unico
e irripetibile. Rispetto a questi l'individuo può collocarsi sopra la media, nella media o sotto la
media. I 5 fattori sono:
- Coscienziosità: tipica di individui capaci di esercitare un elevato controllo sul proprio
comportamento al fine di raggiungere proprio obiettivi [responsabile, prudente, orientato
al risultato]. Ottengono migliori prestazioni se lavorano in autonomia. La coscienziosità è
composta da scrupolosità e perseveranza, correla positivamente con i comportamenti di
cittadinanza organizzativa e negativamente con i comportamenti contro produttivi.
- instabilità emotiva: tendenza a provare stati negativi quali ansia, tristezza, paura e sensi di
colpa. I soggetti con elevati livelli di instabilità emotiva sono più sensibili allo stress,
tendono a utilizzare maggiormente strategie di coping centrate sulle emozioni e
sull’evitamento, sono poco adattabili a condizioni d'incertezza e ai cambiamenti.
- Energia: caratterizzata da empatia che promuove buone interazioni sociali, da assertività,
dalla presenza di umore generalmente positivo. Questi individui si trovano a proprio agio in
ambienti lavorativi altamente stimolanti che richiedono numerose interazioni sociali.
L’energia correla negativamente con lo stress e positivamente con l'uso di strategie di
coping e centrate sul compito.
- Amicalità: caratterizzata da empatia, altruismo, predisposizione ad aiutare e ad avere
fiducia negli altri. Questi individui si trovano a proprio agio in ambienti lavorativi che
richiedono frequenti relazioni interpersonali e cooperative, sono un poco esposti al rischio
stress e presentano un umore tendenzialmente positivo.
- apertura mentale: caratterizzata da una propensione all'immaginazione, attenzione alle
sensazioni, curiosità intellettuale interesse per il nuovo. Questi individui si adattano bene a
situazioni lavorative nuove che stimolano la loro mente, sono attratti da compiti sfidanti
devo ottengono buone performance, hanno scarso stress e carico lavorativo.
Recentemente si è rilevato un'importante interesse per tratti di personalità disfunzionali nel
contesto lavorativo come il narcisismo, l'impulsività, l'ostilità e la personalità di tipo A cioè aspetti
in grado di determinare esiti negativi. Secondo alcuni autori il big five, sebbene consenta di rilevare
le diversità tra le persone in ambito lavorativo, non è sufficiente per spiegare la complessità della
personalità umana in ambito lavorativo.
ALTRI TRATTI DI PERSONALITA’ D’INTERESSE LAVORETIVO
Accanto alle dimensioni di personalità previste dal Big Five, sono stati messi in luce anche altri
tratti utili per comprendere il comportamento lavorativo:
- Self-Concept, definibile come il modo in cui una persona considera se stessa in quanto
essere fisico, sociale, spirituale e morale: ciascuno possiede un’immagine di sé che
influenza fortemente le modalità di interazione con il mondo esterno. Secondo Gecas il self
concept è costituito da quattro componenti che interagiscono fra loro: i valori, le credenze,

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le competenze e gli obiettivi personali. Generalmente il self concept si mantiene fisso e


stabile in quando l'immagine che sia di se rimane tale.
- Locus of Control (LOC), che fa riferimento al fatto che persone diverse percepiscono di
possedere un diverso grado di controllo sulle situazioni. Coloro che possiedono un LOC
esterno ritengono di avere uno scarso controllo sugli eventi, i quali sarebbero dominati da
leggi esterne quali il fato o il caso. Coloro che invece possiedono un LOC interno
attribuiscono a sé, alle proprie capacità sia i successi sia i fallimenti (sono più autonome).
- Self Monitoring, si riferisce al grado in cui le persone riescono a controllare il modo in cui si
presentano agli altri. Tale caratteristica si riferisce a quanto una persona è in grado di
osservare il proprio comportamento autoespressivo e a quanto riesce ad adattarlo alle
diverse situazioni.
- Autostima, definibile come l’opinione sviluppata dall’individuo sul proprio valore in base a
una complessiva valutazione di sé. Più semplicemente è il grado di fiducia che le persone
hanno in se stesse e nelle proprie capacità.
- Autoefficacia, definibile come la convinzione che il soggetto ha in merito alle proprie
possibilità di riuscita in determinati compiti. Secondo Gist l'autoefficacia deriva
dall'acquisizione graduale, mediante dell'esperienza, di capacità cognitive, sociali e
linguistiche. In ambito lavorativo, tale costrutto riveste un’importanza notevole a causa del
suo stretto legame con la performance: si tratta di una relazione di tipo ciclico che può, da
una parte condurre al successo, dall’altra al fallimento (un basso livello di autoefficacia
porta al fallimento).
- Personalità di Tipo A e di Tipo B, riferibili a due tipologie opposte di personalità. Gli
individui con personalità di Tipo A sono competitivi, fortemente motivati al successo e
impazienti. I soggetti con personalità di Tipo B, al contrario, sono tendenzialmente più
rilassati e hanno un approccio più semplice ai problemi della vita. Il Tipo A può risultare
ideale quando è necessario raggiungere obiettivi specifici in tempi brevi, ma non è adatto
quando è richiesta una continua e prolungata interazione con altre persone: entrano più
spesso del Tipo B in conflitto con colleghi e collaboratori. Tipicamente, il Tipo A raggiunge
più elevati standard di performance se opera autonomamente e se i compiti assegnati non
sono molto a lungo termine o, comunque, prevedono obiettivi intermedi.
- Bisogno di riuscita, di affiliazione e di potere, tre tratti presenti in ogni persona ma in
misura diversa, e individuati da McClelland come importanti fattori motivanti. È chiaro
come questi tre bisogni così diversi e caratterizzati, possano essere richiesti in misura
diversa dalle varie attività professionali e costituiscano importanti elementi per la
determinazione delle prestazioni lavorative nelle diverse mansioni.
- Proattività, tendenza a ricercare attivamente i cambiamenti, a pianificare il futuro e a
perseverare di fronte agli ostacoli. Gli individui proattivi tendono a cercare ambienti
lavorativi stimolanti, sono in grado di esercitare un controllo intenso come la capacità di
prendere attivamente decisioni al lavoro.
GLI INTERESSI
Lo studio degli interessi professionali non ha ricevuto da parte degli psicologi la medesima
attenzione dedicata allo studio della personalità, in quanto gli psicologi hanno ritenuto che gli
interessi non siano predittori della performance lavorativa. Mentre oggi sia la personalità che gli
interessi vengono riconosciuti come predittori significativi del comportamento lavorativo. Gli
interessi determinano la scelta del lavoro e la personalità influenza i comportamenti individuali
dopo la scelta dell'occupazione. Gli interessi professionali sono differenze individuali
relativamente stabili che riguardano le preferenze per determinate attività lavorative che

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influenzano le scelte e i comportamenti lavorativi attraverso processi di tipo motivazionale. tre


caratteristiche fondamentali degli interessi professionali sono:
- gli interessi professionali hanno un'importante componente disposizionale: sono stabili nel
tempo rispetto alla personalità e il periodo con il quale essi risultano più modificabili è
l'infanzia e la prima adolescenza. Possono essere, almeno in parte, modificati dalle
esperienze di vita lavorativa.
- gli interessi professionali sono espressi in forma di preferenze: sono preferenze per lo
svolgimento di determinate attività
- gli interessi professionali riflettono l'identità personale: Sono influenzati da comuni processi
di sviluppo e socializzazione che contribuiscono a formare l'identità lavorativa
Se una persona svolge un lavoro non conforme ai propri interessi è più probabile che ottenga livelli
di prestazione scarsi rispetto a quelli che potrebbe potenzialmente raggiungere svolgendo un
lavoro percepito come più interessante. In quest’area, un modello che ha ottenuto un’ampia
diffusione è quello di Holland, denominato RIASEC, che individua sei tipologie principali di
interessi: realistici, intellettuali, artistici, sociali, intraprendenti e convenzionali.
 la persona con alti interessi realistici è tendenzialmente conformista, onesta, materialista,
pragmatica e persistente;  quella con interessi di tipo intellettuale è analitica, cauta, critica,
curiosa, precisa, razionale;  i soggetti con interessi artistici sono disordinati, emotivi, espressivi,
idealisti, impulsivi, intuitivi, anticonformisti;  la persona con alti interessi sociali è cooperativa,
amichevole, generosa, empatica, sensibile, comprensiva;  quella con spiccati interessi di tipo
intraprendente tende ad essere avventurosa, esibizionista, ambiziosa, energetica, ottimista;  le
persone con interessi di tipo convenzionale sono generalmente conformiste, coscienziose,
metodiche, efficienti, rigide, obbedienti, prudenti.
Strong Sviluppa lo Strong Vocational Interests Blank, un questionario per valutare gli interessi
professionali che è stato successivamente revisionato assieme a Campbell. Il principio base di
questo strumento sta nel fatto che ogni occupazione corrisponde uno specifico pattern d'interessi.
Secondo strong è possibile differenziare le persone impegnate in una specifica occupazione da
quelle che ne svolgono un'altra proprio sulla base degli interessi.
Kuder è noto per aver ideato negli anni Trenta uno fra i più diffusi strumenti per la valutazione
degli interessi in campo professionale, il Kuder Preference Record-Vocational.
Secondo l’autore, ogni persona manifesta un interesse prevalente per attività che possono essere
così caratterizzate: lavori all’aperto, tecnici, di contabilità, scientifici, basati sulla persuasione,
artistici, letterari, musicali, di servizio sociale e d’ufficio. Risulta particolarmente utili nell’ambito
dell’orientamento professionale, poiché nel momento in cui un soggetto ottiene un punteggio
elevato in una delle 10 categorie elencate è possibile restringere il campo di indagine alle attività
incluse in quell’aria.
I VALORI
I valori possono essere definiti come ciò che le persone ritengono debba essere soddisfatto in
risposta al ruolo lavorativo ricoperto e quindi contribuiscono a spiegare cosa motiva le persone
verso il raggiungimento di obiettivi ritenuti importanti. I valori si formano come prodotto di
apprendimenti e di esperienze di vita all’interno del contesto culturale di appartenenza. Il che
equivale a dire che il set di valori che ciascun individuo possiede è unico e irripetibile. Man mano
che si matura i valori diventano sempre più stabili.
Rokeach, sostiene la possibilità di suddividere i valori in due categorie principali, ciascuno dei quali
ne contiene 18 specifici:
 valori terminali, che riflettono la preferenza per determinati obiettivi finali da raggiungere nel
corso della vita (vita confortevole, felicità, riconoscimento sociale);

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 valori strumentali, che costituiscono i mezzi attraverso cui le persone conseguono gli obiettivi
terminali (mente aperta, coraggio nell’affermare le proprie idee, essere razionali).
Allport individua sei categorie: valori teoretici (interesse per il ragionamento), valore economici,
valori estetici, valori sociali, valori politici, valori religiosi.
Una suddivisione importante è quella tra valori intrinseci che si riferiscono al lavoro in sé e valori
estrinseci che si riferiscono a fattori esterni al lavoro o ciò che da questo può derivare (es
un'elevata retribuzione). Un concetto particolarmente importante in ambito organizzativo è la
congruenza: quando le persone sono chiamate a collaborare con colleghi aventi valori simili,
esprimono emozioni positive. Al contrario quando i valori differiscono si genera una situazione di
incongruenza. Inoltre numerose ricerche hanno evidenziato che quando le persone hanno
l’opportunità di svolgere lavori allineati con i propri valori e quando condividono questi ultimi con i
propri responsabili sono in grado in incrementare significativamente la produttività aziendale.
Dunque i valori sono elementi funzionali al conseguimento dei risultati organizzativi. Il Super’s
work values inventory è un questionario che serve per valutare i valori ed è costituito da 72 item
raggruppati in 12 scale che valutano i seguenti valori: riuscita, colleghi, creatività, retribuzione,
indipendenza, stile di vita, Sfida, Prestigio e sicurezza. Gli item sono valutati su scala likert a 5 punti
(1= per niente importante 5= essenziale). Sono stati individuati ulteriori aspetti soggettivi in grado
di incidere sui comportamenti e sui risultati lavorativi: la conoscenza, l'esperienza, le competenze,
intelligenza emotiva e la tendenza ad essere soggetti adattatori e innovatori.
CONCLUSIONI
La presenza di differenze individuali nelle persone che operano in un contesto lavorativo pone il
problema di come poter comprendere e valorizzare le diversità degli individui al fine di creare un
ambiente in cui ciascuno possa sentirsi accettato e apprezzato. É necessario che il management
comprenda e valorizzi le differenze individuali, che possono essere misurate attraverso diversi tipi
di strumenti, fra cui principalmente le interviste e i test. La misurazione delle differenze individuali
in azienda rende possibile impostare piani di intervento, che consentano alle persone di crescere
personalmente e professionalmente e quindi di incrementare anche la produttività e la
competitività organizzativa.

CAP 5 – LA COMPETENZA
PERCHE’ PREOCCUPARSI DELLA COMPETENZA?
La competenza delle persone è un asset fondamentale del successo delle organizzazioni.
LA COMPETENZA A VIVERE
La competenza è innanzitutto “competenza a vivere” cioè un fenomeno complesso, globale
dell’abilità cognitiva e affettiva che ci consente di essere e stare al mondo, di trovare il nostro posto
e fare il nostro cammino nella vita. La competenza vivere è polimorfica, cioè a differenti forme, è
contemporaneamente intrapsichica, cioè inscritta nella configurazione di vita e nel mondo interno
della persona, e interpersonale cioè co-costruita con l'ambiente relazionale sociale. è un fenomeno
multidimensionale: cognitivo e affettivo; è Dinamica e continuamente cangiante: fluida, plastica,
articolata secondo la persona. Essa ha origine con la vita intrauterina, tutti sviluppiamo una
competenza a vivere, ma ciascuno è competente a modo suo. Essa è una struttura ed è un
processo: la struttura della competenza ne definisce i processi di utilizzo e sviluppo, ed essi
cambiano la struttura della competenza stessa.
LA COMPETENZA E’ UNA “STRUTTURA”
La struttura della competenza è lo schema guida ed è riconducibile a due differenti aree: una è la
capacità di produzione (componente semiotica), interpretazione dai segni e simboli (ermeneutica)
e la capacità di raccontare (narrazione). Attraverso l'uso del linguaggio e la costruzione dei
significati vi è la possibilità di sviluppare competenze e di produrre conoscenza su di sè e sul
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mondo. Da ciò emerge una caratteristica della competenza umana cioè la relazionalità: una
relazione con qualcosa altro, che sia oggetto reale, psichico o una persona. L’interazione si
presenta nella forma di racconto e comprende una continua negoziazione delle conoscenze
implicite, si costruisce e si ricostruisce incessantemente una cultura condivisa e vengono elaborati
modi di agire e pratiche quotidiane condivise perché reciprocamente soddisfacenti. L’altra area è
quella paradigmatica (volta a definire sistemi di regole per pensare e per fare), ordinatoria (che
fornisce un ordine al fluire caotico degli eventi) e conativa (che indica la nostra capacità di
progettare e attuare piani d'azione). Anche quest’aria è incorporata nell'azione ed è connessa
all'attivazione di un contesto e alla costruzione di senso. L’idea fondamentale è che questa
competenza progettuale sia una struttura cognitiva incorporati in un repertorio di mappe cognitive,
schemi e programmi usati dall'attore per governare le proprie azioni ai propri comportamenti.
LA COMPETENZA E’ UN “PROCESSO”
Il processo costruisce e fa funzionare la struttura, la struttura modifica il processo. Struttura e
processo sono connessi e interdipendenti. La competenza è il “processo” che costruisce e viene
modificato dalle due aree della competenza. Possiamo individuare due processi:
-il primo è individuale-conversazionale, volto a dare senso al mondo e a scrivere la nostra vita. È
più arcaico, si basa sul fattore affettivo e comprende gran parte della nostra conoscenza tacita. È un
processo della competenza che corrisponde a mappe antiche che sono state ormai iscritte nella
biologia dell'individuo. È orientato alla conoscenza di sé, alla costruzione dei se e dell'identità.
- il secondo è sociale-culturale, guida e orienta l'analisi dell'interazione tra persona-persone-
ambiente, valuta la natura e la qualità di questa relazione. È posteriore nello sviluppo
dell’individuo e assume le forme della logica, del ragionamento ipotetico-deduttivo, tende
all’astrazione. È originato dalle conoscenze esplicite spesso condivise socialmente ed è orientato
alla conoscenza del mondo e di sé nel mondo. É possibile sintetizzare l’assunto fondamentale circa
l’orientamento sociale-culturale del processo di costruzione della competenza nello scambio e
nella co-costruzione tra persona e ambiente (inscritti l’uno nell’altro), evidenziando quindi le
qualità riassumibili nella reciprocità e nell’interdipendenza.
DALLA COMPETENZA A VIVERE ALLA COMPETENZA PROFESSIONALE E MANAGERIALE
Alcuni studiosi forniscono una prospettiva riguardo il passaggio da una competenza umana a una
competenza che viene espressa in un contesto determinato dalla professione e dalla
organizzazione.
IN PRIMCIPIO FURONO CHOMSKY E LA COMPETENZA LINGUISTICA
La nozione di competenza per Chomsky si basa sullo studio del linguaggio, può essere definita
come un potenziale a disposizione delle persone, attivabile a necessità. Per egli la competenza di
un parlante è definita dalla conoscenza della grammatica generativa e trasformazionale del
linguaggio stesso, dalle regole generali per riprodurre e modificare, o riconoscere le proposizioni di
una lingua.
Per analogia, anche la competenza professionale viene concettualizzata come un insieme di
capacità o proprietà interne all’attore, indipendentemente dalla situazione e dal compito. Essa
presuppone la conoscenza di regole generative e l’esistenza di strutture cognitive profonde per
generare routine d’azione efficaci. Si conduce alla formulazione di un modello di agente ideale cioè
di un soggetto astratto che non sembra sottoposto a condizionamenti socioculturali. Si elabora una
teoria che pone al centro l'individuazione delle strutture mentali e delle funzioni cognitive che
sono alla base della competenza di un attore.
POLANY, LA COMPETENZA TACITA, LA CONSAPEVOLEZZA
Nella prospettiva di Polany esiste una conoscenza personale che mette in discussione il vero ideale
delle scienze esatte, l'oggettività e la razionalità assoluta. La competenza professionale è sostenuta
dalla capacità di stabilire relazioni di significato e relazioni tra le parti e il tutto. L'impegno
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intellettivo è una decisione responsabile con la quale ci confrontiamo con le richieste di ciò che è
consapevolmente riconosciamo come vero nel contesto. La conoscenza personale e la competenza
professionale sono articolate su due livelli di consapevolezza:
- la consapevolezza focale consente di osservare e verificare il raggiungimento dell’obiettivo
nell’attività che il soggetto sta svolgendo;
- la consapevolezza sussidiaria è l’osservazione e la categorizzazione delle sensazioni e delle
attività che vengono sviluppate circa l’utilizzo degli strumenti per raggiungere il risultato. Essa ha
quindi valore di apprendimento di regole e metodi. Questo ci porta ad evidenziare che nella nostra
competenza è contenuto molto più di quanto possiamo esprimere. Essa è in parte tacita e in parte
espressa. “Il nostro corpo è lo strumento essenziale di ogni nostra conoscenza esterna”. Il concetto
di conoscenza tacita consente di comprendere perché le persone nelle organizzazioni spesso non
siano in grado di spiegare perché e come fanno le cose, come guidano le loro azioni. La conoscenza
sussidiaria consente di svelare il significato e le relazioni sottostante l’azione, è quel livello della
conoscenza personale che permette l’elaborazione e l’osservazione riflessiva circa gli strumenti
concettuali in uso.
SCHON E LA COMPETENZA DIVENTA RIFLESSIVA
Nell'ambito della razionalità tecnica, la pratica professionale era interpretata come un processo di
soluzione di problemi, nella scelta della soluzione ottimale del problema vengono completamente
ignorati gli aspetti relativi alla definizione del problema, al processo attraverso cui si individua la
decisione da prendere, i fini e i mezzi. Dunque viene ignorata la razionalità limitata dell'umano,
l'ambiguità dell'organizzare, l'incertezza. Schon sostiene che Per trasformare una situazione
problematica in un problema, il professionista deve partire da materiali di situazioni problematiche
che sono incerte. La proposta di schon si muove nella direzione di un’epistemologia della
riflessione nel corso delle azioni, fondamentale per i professionisti che grazie ad essa possono
affrontare efficacemente le situazioni reali che sono connotate da incertezza, instabilità, unicità e
conflitti di valore di intenzioni. L'attività è contemporaneamente esplorazione, verifica di un piano
ed ipotesi, funzioni soddisfatte proprio nel corso delle azioni. Il professionista che riflette conduce
una sorta di esperimento volto ad arrivare a una nuova comprensione dei fenomeni e a un
mutamento nella situazione, riflettendo nel corso dell'azione diventa un ricercatore operante nel
contesto della pratica e costituisce una nuova teoria del caso unico che sta affrontando.
Schon non separa i fini dai mezzi, e nemmeno il pensiero dall'azione ma ragiona sul problema fino
a raggiungere una decisione che successivamente dovrà trasformare in azione.
Un altro elemento introdotto dalla competenza riflessiva di Schon è rappresentato dalla
valorizzazione della sorpresa, dall'incontro e dal riconoscimento del non noto. La sorpresa
consente di ritornare a osservare e a riflettere sull'azione compiuta, svela l'implicito nell'azione.
Quando le azioni producono risultati attesi non tendiamo a rifletterci sopra, mentre invece quando
ci troviamo di fronte a domande che appaiono incompatibili o incoerenti tendiamo a riflettere sugli
antecedenti che sono stati definiti per la situazione. I professionisti dispongono di un repertorio di
aspettative, immagini e tecniche e imparano come costruire il problema, che cosa cercare e come
rispondere in ragione della soluzione. Quando la pratica si mantiene stabile, come casi e problemi
già visti il professionista è sempre meno soggetto a sorpresa. La riflessione rappresenta per il
professionista una possibilità di crescita per apprendere e sviluppare delle competenze, far
emergere quelle competenze implicite che erano state cristallizzate nelle attività e nelle esperienze
ripetitive, trovando così un significato alle situazioni caratterizzate da incertezza o unicità.
LANZARA E LA “CAPACITA’ NEGATIVA”
Il contributo di Lanzara consente di ripercorrere il ragionamento sulla competenza ad agire e di
introdurre il tema dell’incertezza e del cambiamento. “La competenza è l’esistenza di una capacità
che attribuiamo all’attore e un fenomeno di integrazione del comportamento con i dati e i requisiti
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dell’ambiente del compito”. Con questa definizione l’autore tiene conto contemporaneamente sia
delle capacità interne dell’attore, sia del fenomeno che mette in relazione i processi cognitivi e gli
atti di comportamento con l’ambiente. È orientato a individuare e comprendere se e come le
rappresentazioni vengono effettivamente attivate, qual è la loro funzione nella produzione di
attività pratiche. Per designare le abilità cognitive inscritte nelle attività pratiche Lanzara adotta il
termine mente in azione, anziché prendere le abilità cognitive (funzioni mentali) e separarle dalla
sfera dell'azione viene studiata la competenza pratica. Egli si basa sul concetto di programma per
l'azione, capacità negativa e sensibilità al contesto, sostenendo sempre il versante sociale che la
caratterizza. Le interazioni tra soggetti e ambiente avvengono mediante programmi per l'azione e
meta progetti che forniscono le regole per la progettazione di azioni in determinate situazioni. I
programmi si basano sulla cultura e su sistemi sociali.
La competenza può essere così definita come una particolare modalità di accoppiamento con il
contesto, come una forma di integrazione fra l’agire e il mondo in cui esso si manifesta. Diventa
così cruciale la flessibilità dei programmi d’azioni e la capacità di modificare rapidamente il nostro
corso di azioni e decisioni sulla base della situazione contingente. Questo richiede capacità di
osservazione riflessiva, doti di “immaginazione e disponibilità ad affrontare il rischio”. La
competenza quindi, nella sua concezione più attuale, si esprime nella capacità di andare oltre il
noto, sostare nell’incertezza per promuovere una possibilità per il nuovo ed esplorare l’ignoto.
Lanzara la definisce Capacità Negativa (Negative Capability) esprimendo così “la possibilità di
conservare un’esistenza dove ogni possibilità di esistenza sembra essere negata, accettando di
rendersi vulnerabili agli eventi e facendo della propria vulnerabilità una leva d’azione”. La capacità
di sperimentare è un’azione che nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine e punta a
generare mondi possibili. Le competenze non sono solo di origine cognitivo, ma sono riconoscibili e
riproducibili solo all'interno di un sistema di relazioni e di pratiche socialmente e culturalmente
riconosciute. La costruzione della competenza è un insieme e inestricabilmente apprendimento
individuale e apprendimento culturale i cui materiali sono le aspettative, i valori e i giudizi
normativi su ciò che si pensa sia moralmente utile o giusto, socialmente buono o accettabile,
meritevole di riconoscimento e ricompensa nelle situazioni in cui si opera.
LE COMPETENZE PER I PROCESSI ORGANIZZATIVI
LE COMPETENZE PROFESSIONALI: I MODELLI
La competenza professionale e manageriale è la competenza a vivere che si confronta con sistemi
sociali organizzati, le organizzazioni. Essa è in parte tacita e in parte esplicita (Polany), ha differenti
gradi di consapevolezza e riflessività (Schon), ci consente di affrontare il contesto con differenti
gradi di sensibilità, capacità di produrre e realizzare piani d'azione, diversa capacità di tollerare
l'incertezza (Lanzara).
MODELLI DI COMPETENZA… IN TEORIA
La proposta di Boyatzis è diventata una sorta di minimo comun denominatore, di dizionario
condiviso, grazie al quale la comunità di professionisti della funzione del personale e di società di
consulenza organizzativa trovano un modo di intendersi quando dialogano circa la competenza.
Esso rientra nel novero di una scuola di pensiero, inaugurata da McClelland, che focalizza il
ragionamento sul soggetto, e in particolare sulle sue caratteristiche, in relazione alla possibilità di
ottenere prestazioni eccellenti. Boyatzis considera la competenza una caratteristica (tratto, abilità)
della persona che determina una prestazione lavorativa efficace. Queste caratteristiche non sono
direttamente osservabili, la competenza può manifestarsi in tante forme di comportamenti o
azioni, a seconda del compito da svolgere.
Il modello di Boyatzis ha due dimensioni che distinguono differenti tipi e livelli di competenza.
 Una prima dimensione descrive i tipi di competenze, associati a diversi aspetti del
comportamento umano e della capacità delle persone in grado di spiegare le azioni e i
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comportamenti. Questa lista di capacità include 21 tipi di caratteristiche (es. Accurata


autovalutazione, Interessa per le relazioni, Capacità di diagnosi, Percezione degli obiettivi,
Adattabilità ed energia, ecc.)
 Una seconda dimensione del modello descrive il livello di ciascuna competenza. Le motivazioni, i
tratti, l’immagine di sé, i ruoli sociali e le abilità sono ritenuti essenziali per eseguire un lavoro o
svolgere un’attività. Boyatzis ipotizza tra questi costrutti, la persona e il contesto una particolare
dinamica delle interazioni dei livelli nei termini della rappresentazione dei campi di forze.
L’interazione tra la persona e il suo ambiente risulta quindi dall’azione o dal comportamento.
Il modello di Spencer e Spencer non si discosta tanto da quello da quello di Boyatzis. La differenza
sta nella distinzione tra: competenza di base cioè caratteristiche essenziali che ciascuno deve
necessariamente possedere per essere minimamente efficace in un lavoro ma non distinguono le
migliori performance da chi produce risultati nella media, mentre le c ompetenze distintive
segnano la differenza tra i lavoratori medi e quelli eccellenti. Inoltre per Spencer e Spencer una
caratteristica non è una competenza se non assume un significato nel mondo reale, cioè nel
contesto organizzativo e quindi non può essere utilizzata per valutare le persone.
Le Boterf nella sua proposta del modello tripartito ritiene la competenza un insieme, riconosciuto
e provato delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilitati e combinati in
maniera pertinente in un contesto dato. la competenza non risiede nelle risorse (conoscenze,
capacità) ma nell'attivazione da parte dell’individuo delle risorse stesse (sapere, saper fare, saper
apprendere, saper agire, voler agire) in modo efficace, cioè nell'azione. Questo modello sottolinea
la caratteristica della conoscenza come processo più che come struttura (a differenza di Boyatzis e
Spencer e Spencer). Per Le Boterf la competenza comprende due componenti principali: la
disponibilità di combinare un insieme di risorse e la capacità di mobilitare le risorse attivamente e
creativamente in modo funzionale al contesto. La prima componente cioè la disponibilità è legata
alla volontà e alla motivazione di una persona a combinare un insieme di risorse come conoscenze
(il sapere), capacità o abilità (il saper fare), atteggiamenti (il saper essere). La seconda componente
è l'attivazione, la mobilitazione cioè la capacità di fare ricorso, utilizzare e combinare
creativamente le risorse disponibili in modo adeguato ai contesti e alle situazioni (Interpretare e
dotare di senso eventi e situazioni).
MODELLO DI COMPETENZE… IN PRATICA
Un modello di competenze scelto e definito in un'organizzazione sulla base dei suoi valori descrive
le qualità professionale e manageriale richieste a tutte le persone, quelle competenze che si
devono possedere per operare in uno specifico ambiente organizzativo. Per definire e nominare le
abilità cognitive e affettive occorre rinunciare al linguaggio che esprime processi o funzioni mentali
e sociali, per ricondurli alla sfera delle azioni. L'azione professionale diventa l'unità di analisi e
l'attenzione si sposta dalle capacità cognitive e affettive ai processi relazionali e organizzativi
attraverso i quali le competenze vengono espresse ed utilizzate. Il modello di competenze descrive
la competenza professionale espressa nel linguaggio proprio dei processi, dei valori e della cultura
di un'organizzazione (gergo tipico di un’organizzazione) e dunque non usa un linguaggio generale.
Questa competenza professionale orienta e rende più consapevole l'apprendimento e lo sviluppo
individuale. Questo modello ha scopi molto pratici, orientati all'azione e non si ferma ad un
esercizio accademico. I profili professionali sono l'insieme di competenze richieste per svolgere una
certa attività e ricoprire un particolare ruolo. Attraverso queste competenze si creano degli
strumenti per la valutazione delle performance. In un modello di competenza sono presenti:
-Aree di competenza (es logico-strategica, gestionale, relazionale)
-voci di competenza (es organizzazione, comunicazione, decisione)
-indicatori osservabili (es espone in modo logico e coordinato)
IL PROCESSO DI VALORIZZAZIONE DELLA COMPETENZA PROFESSIONALE E MANAGERIALE
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Il processo di valorizzazione delle persone dell'organizzazione (risorsa primaria dell’azione)


comprende differenti sotto processi: gestione chance management, sviluppo.
LA VALORIZZAZIONE DELLE COMPETENZE COME PROCESSO
Come processo perché il processo è finalizzato a ricercare, valutare, sviluppare competenza, a
creare valore per il singolo, i gruppi, l’insieme.
COMPETENZA E VALUTAZIONE
Valutazione significa letteralmente -> dar la valuta, stimare. Essa viene vista come una minaccia
all'autostima e al riconoscimento, come un ostacolo per accedere al sistema premiante, ciò accade
per via di cattive esperienze nella vita (per esempio nella vita scolastica). Essa è in realtà orientata
verso la ricerca e la promozione del valore rappresentato dalle persone, dal loro potenziale ed alle
loro performance, ha cambiato metodi, strumenti, cultura, prospettiva poiché il suo obiettivo è la
formazione. La valutazione è il processo che promuove e garantisce la valorizzazione. La
valutazione fornisce un quadro delle competenze delle persone grazie alle quali si possono avviare
degli interventi mirati e specifici per la loro crescita. I dati della valutazione della performance del
potenziale compongono una mappa che si declina in: formazione, change management,
compensation, selezione. Riprendendo l'assunto secondo il quale le competenze professionali sono
caratteristiche sottostanti l'azione che emergono in una performance rendendola più o meno
efficace è importante dire che una caratteristica può portare a diverse azioni. L'azione ha origine a
partire da una richiesta e allo stesso modo i risultati di un'azione sono correlati alle richieste e al
setting nel quale questa viene condotta. Per valutare la competenza dobbiamo determinare quale
processo cognitivo o relazionale osserviamo (es la comunicazione), operazionalizzarlo in una
sequenza di indicatori (es ascolta senza interrompere), che identifichino e corrispondano alle
caratteristiche sottese. Quindi la competenza è descritta con indicatori e azioni che osserviamo
mentre il legame tra azione e competenza lo creiamo attraverso l'interpretazione.
COMPETENZA E FORMAZIONE
la formazione è un progetto fondamentale nel processo di valorizzazione delle persone che bontà a
sviluppare competenza. La formazione consente di elaborare La propria esperienza per costruire e
modificare le mappe e i processi della competenza. L'apprendimento del professionista/manager
non è semplice memorizzazione di informazioni ma è un processo attivo di costruzione di
significato e trasformazione cognitiva di tutto ciò che la persona ha compreso. La competenza non
va insegnata ma è costruita dal soggetto stesso grazie la relazione con il mondo sociale.
Apprendere dall'esperienza significa fare delle Sensemaking cioè costruire il significato, parlare
della realtà come se non fosse qualcosa di dato.

CAP 6 – LA MOTIVAZIONE
La motivazione rappresenta una delle aree di intervento più sfidanti per coloro che si occupano di
gestione delle risorse umane e di sviluppo organizzativo.
CHE COS’E’ LA MOTIVAZIONE
Il termine motivazione rimanda l'insieme dei processi psicologici alla base delle azioni volontarie
dirette verso un obiettivo. Vari autori al termine motivazione danno diverse interpretazioni. Molti
sono concordi nell'individuare un campo semantico in cui la motivazione è concepita come
un'energia che alimenta i comportamenti e li orienta verso una meta, e può essere analizzata in
termini di attivazione (avvio del comportamento), direzione (obiettivo a cui si rivolge), intensità
(forza dell'investimento energetico) e persistenza (disponibilità a insistere nel tentativo di
configurare l'obiettivo anche difronte difficoltà e ostacoli). Quagliano ha proposto di distinguere
tra comportamenti diretti a fare delle attività e a stare in organizzazione, definendo la motivazione
un'energia che si investe sia nella realizzazione di prestazioni connesse a specifici compiti,
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orientata verso la finalità associata ai risultati delle prestazioni sia nella relazione tra individuo e
organizzazione, orientata verso finalità di definizione e consolidamento del legame di
appartenenza.
Bisogna distinguere tra attività intrinsecamente motivanti (legata all'attività di lavoro) e attività
compiute in funzione di una motivazione estrinseca (legata alla ricompensa che si riceve).
LE TEORIE MOTIVAZIONALI
I differenti modelli teorici sul tema della motivazione proposti tra gli anni ’50 e la prima metà degli
anni ’70 si sono orientati in parte verso l’analisi dei contenuti della motivazione, in parte
sull’individuazione delle variabili che ne influenzano l’espressione (l’analisi del processo).

LE TEORIE DI CONTENUTO:
LA TEORIA DI MASLOW
Secondo Maslow, la motivazione è caratterizzata da cinque bisogni di
base collocati in una gerarchia rappresentabile come una piramide. Alla
base troviamo i bisogni primari: quelli fisiologici (alimentarsi, avere un
riparo soddisfare bisogni sessuali ecc) e quelli di sicurezza (protezione da
pericoli, evitare il dolore, cura delle malattie) Gli altri tre vengono
definiti bisogni secondari poiché sono di tipo psicologico ed evidenziano una variabilità personale
assai più ampia: bisogni di affetto (amore, amicizia, approvazione), bisogni di stima (forza,
successo, adeguatezza, apprezzamento-> bisogno di autostima) e bisogni di autorealizzazione
(massimo sviluppo delle proprie possibilità). I bisogni di ordine superiore non sono considerati
importanti fino a quando i bisogni di livello inferiore non sono stati parzialmente soddisfatti: è
questo l’assunto del principio di dinamismo gerarchico di Maslow.
LA TEORIA DI McClelland
Gli studi di McClelland prendono le mosse dall’analisi del “bisogno di riuscire” (achievement need)
considerato un carattere fondamentale e distintivo delle società occidentali, e approdano a una
teoria generale della motivazione che individua tre principali elementi:
1. La motivazione al potere, ovvero l’orientamento a influenzare le persone e modificare le
situazione secondo le proprie intenzioni (esercitare un forte impatto sugli individui, sulle
decisioni...)
2. La motivazione all’affiliazione, l’orientamento a creare un’ampia e fitta rete di legami sociali.
3. La motivazione al successo, l’orientamento a raggiungere le mete desiderate, realizzare le
proprie capacità e migliorarsi continuamente (porta a ricercare obiettivi sfidanti e raggiungere
l'eccellenza).
A queste tre istanze si aggiunge la motivazione alla competenza, ovvero l’orientamento a
sviluppare continuamente le proprie abilità mantenendo standard di elevata qualità. In funzione
della storia della personalità del dell'individuo troviamo situazioni di equilibrio o situazioni in cui vi
è un netto prevalere dell'una o dell'altra istanza. Le differenti istanze motivazionali variano a
seconda del tipo di compiti, obiettivi, strumenti e relazioni che le qualificano
LA TEORIA DI HERZBERG
Herzberg indica l’esistenza di due tipi di fattori capaci di incidere sulla motivazione: i fattori di
igiene che riguardano ciò che si dà per scontato quando si compio loro lavoro (es retribuzione); e i
fattori motivazionali che consentono di apprezzare il proprio lavoro e alimentano il desiderio di
impegnarsi e fare bene. La prima classe di fattori viene chiamata di ordine primario e rinvia a una
dimensione di necessità (Prerequisiti per lavori motivanti) tra cui sono compresi la retribuzione, la
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sicurezza fisica del luogo di lavoro, la supervisione tecnica e le relazioni interpersonali, mentre tra i
fattori di ordine secondario compaiono il riconoscimento, l’attribuzione di responsabilità, le
opportunità di carriera e le possibilità di apprendimento e di crescita nel ruolo. Herzberg sostiene
la possibilità di rendere i contesti di lavoro sensibili e plastici in funzione delle differenze
individuali.
LE TEORIE DI PROCESSO
Si propongono di chiarire quali siano le variabili che regolano e influenzano l’investimento di
energia nella prestazione lavorativa.
LA TEORIA DI VROOM
Secondo Vroom il processo motivazionale comprende tre elementi distinti:
1. la sequenza comportamentale, cioè il corso d’azione che tende ad un certo obiettivo;
2. la motivazione, cioè l’insieme di energie mobilitate per il compimento del corso d’azione;
3. la ricompensa, cioè l’ammontare dei benefici che si ottengono raggiungendo l’obiettivo.
La forza della motivazione associata a ciascuna sequenza comportamentale è l’esito della
combinazione lineare di 3 differenti variabili:
- La valenza (V): essere attratti della ricompensa, la valenza della ricompensa può essere positiva,
negativo o neutra;
- L’aspettativa (A): la probabilità di raggiungere l’obiettivo, l’aspettativa è legata all'autostima e
all'autoefficacia;
- La strumentalità (S): la possibilità che l’obiettivo porti alla ricompensa prevista, il valore della
strumentalità può essere positivo, negativo o pari a zero.
Queste si collocano in una relazione di tipo moltiplicativo: il loro prodotto va a definire la forza
della motivazione. Fm = V x A x S Con questa formula Vroom sottolinea l’importanza dei giudizi di
valenza, aspettativa e strumentalità, che sono di tipo soggettivo.
LA TEORIA DI ADAMS
La principale variabile che a parere di Adams interviene nella regolazione del processo
motivazionale è costituita dall’equità percepita, cioè la valutazione soggettiva del livello di equità
presente nel proprio contesto di lavoro. La valutazione di equità implica due verifiche:
-l’equità interna, mediante confronto tra risultato e contributo fornito.
-l’equità esterna, mediante confronto tra se stessi e gli altri.
Secondo Adams, quando gli individui percepiscono una sufficiente equità interna ed esterna
saranno disposti a mantenere il livello di motivazione espresso fino a quel momento. Viceversa, in
caso di iniquità, si attiveranno per ridurla. In ogni caso gli individui differiscono nella propria
sensibilità all'equità: alcuni sono benevoli, tolleranti verso l’iniquità negativa a proprio svantaggio,
altri sono sensibili, attenti al rispetto delle norme e altri ancora sono aventi diritto, per nulla
preoccupati di risolvere situazioni di iniquità positivo.
LA TEORIA DI LOCKE
Locke, in prospettiva cognitivista, ha proposto la teoria del goal setting, la cui variabile chiave sono
gli obiettivi, che influenzano i comportamenti in differenti modi favorendo la motivazione. Le
caratteristiche degli obiettivi che più influenzano il comportamento:
- la consapevolezza: riconoscimento dell’obiettivo in quanto tale;
- la forza: il valore attribuito all’obiettivo;
- l’aspettativa di successo: il senso di conseguimento dell’obiettivo;
- la specificità: la chiarezza e vicinanza dell’obiettivo;
- la difficoltà: il grado di sfida che l’obiettivo sollecita.
La più significativa ricaduta operativa della teoria del goal setting di Locke, si può ritrovare nel
sostegno offerto alla formula della “gestione per obiettivi” (Management by Objectives).
LA SELF-EFFICACY DI BANDURA
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Secondo la teoria sociale cognitiva di bandura le persone sono in grado di produrre idee e ipotesi,
di progettare percorsi innovativi, prevedere i risultati che si possono ottenere, codificare ed
elaborare la propria esperienza. In questa teoria gli individui mettono in atto dei comportamenti in
relazione agli obiettivi. Bandura definisce l'autoefficacia come una credenza nei confronti delle
proprie capacità di aumentare i livelli di motivazione, attivare risorse cognitive ed eseguire azioni
per raggiungere gli obiettivi. Le principali fonti dell'autoefficacia sono:
- esperienza pregressa, cioè la quantità di successo o fallimento
- l'esperienza vicariante, la quantità e la qualità di apprendimento attraverso l'osservazione e
l'imitazione di altre persone
- la capacità immaginativa, prefigurare obiettivi e conseguenze legate alle loro azioni e decisioni
- persuasione verbale messe in atto da persone significative
- presenza di stati fisiologici ed emozionali positivi e facilitanti l'impiego in un compito
MOTIVAZIONE E PERSONALITA’
Alcuni autori hanno analizzato l’interazione tra i livelli di motivazione al lavoro e le loro
caratteristiche di personalità. Già nel 1944 Sears sosteneva l’utilità di considerare alcune
caratteristiche di personalità come predittori del livello di motivazione manifestato dall’individuo
nel contesto lavorativo. Studi simili si rifanno all’influenza del Locus of Control e nei recenti studi di
Latham che invitano a riconoscere l’influenza che i fattori interni dell’individuo (cioè personalità)
esercitano sulla motivazione al lavoro. Non per questo, il legame tra motivazione e personalità va
assunto come deterministico. A tal proposito Latham segnala che: 1) Non sempre i tratti di
personalità predicono il comportamento in situazioni significative; 2) Più spesso accade che i tratti
di personalità si manifestino in situazioni poco strutturate. In altri termini, se è vero che una buona
indagine di personalità può rivelarsi utile a prevedere il potenziale motivazionale, l’effettiva
realizzazione di questo potenziale è fortemente legata alle caratteristiche del lavoro e del contesto
in sé.
SVILUPPI RECENTI :
-WORK ENGAGEMENT
Il Job Demands-Resources Model analizza i diversi esiti che derivano dall'intreccio tra
caratteristiche positive e negative che qualificano il lavoro dagli individui. Tra questi e il work
engagement cioè uno stato mentale collegato al lavoro, caratterizzato da vigore (alti livelli di
energia resilienza), dedizione e assorbimento (coinvolgimento positivo). Al polo opposto del work
management vi è il burnout caratterizzato da un senso di esaurimento psicologico e di distacco
dall'esperienza lavorativa. Il work engagement esercita un'influenza positiva sulla salute e sulle
prestazioni dei lavoratori (salute fisica, migliori relazioni, migliori risultati aziendali, comportamenti
di cittadinanza organizzativa, soddisfazione dei clienti). Il JD-R Model ha il merito di inquadrare i
processi motivazionali che qualificano l'esperienza lavorativa di un individuo, esso consente di
comprendere come uno stesso individuo posso esprimere un livello di investimento motivazionale
mutevole nel corso della propria vita lavorativa.
-FLOW AT WORK
Le esperienze flow riguardano lo studio degli stati ad alta intensità motivazionale. Il flow è uno
stato di consapevolezza in cui gli individui sono totalmente immersi e concentrati nelle attività che
svolgono, durante il quale provano piacere e hanno il piano controllo della situazione. Alla base
dell'esperienza flow vi è un equilibrio tra sfida e abilità. Le prime ricerche si sono focalizzate in
ambito sportivo e artistico ma l'esperienza flow si verifica anche nelle situazioni di lavoro.
Il flow at work è caratterizzato da:
- assorbimento, stato di profonda concentrazione e non accorgersi di ciò che ci circonda e del
tempo
- il piacere lavorativo, giudizio positivo sull’attività di lavoro
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- la motivazione intrinseca al lavoro, svolgimento di un’attività lavorativa con l'intento di


sperimentare piacere e soddisfazione.
Gli Individui che possono sperimentare il flow at work sono quelle che hanno elevate abilità
professionali, hanno a disposizione risorse lavorative (supporto dei capi e colleghi, autonomia
lavorativa ecc). La possibilità di sperimentare il flow at work può condurre a una riduzione della
percezione di malessere psicofisico, prevenire l’esaurimento e potenziare le successive prestazioni
lavorative.
COUNTERPRODUCTIVE WORKPLACE BEHAVIORS
Di comportamenti controproduttivi sono le azioni che il lavoratore mette in atto al fine di
danneggiare l'organizzazione i responsabili, i colleghi e i clienti. Possono essere espliciti (furto di
risorse) e coperti (non seguire le istruzioni, lavorare con scarsa cura). Questi comportamenti
esprimono non tanto demotivazione ma motivazione a danneggiare.
COME MOTIVARE
Vi sono alcuni autori che si sono impegnati per mettere a punto delle classificazioni di “buone
pratiche” organizzative e gestionali indirizzate a sostenere e promuovere la motivazione.

PROGETTAZIONE DEL LAVORO


La progettazione del lavoro si basa sulla convinzione che sia il lavoro in sé l’elemento chiave che
influenza la motivazione degli individui. Già Herzberg aveva evidenziato quanto il potenziale di
motivazione potesse venire limitato a causa degli errori di progettazione dei compiti lavorativi
(parcellizzazione delle attività del Taylorismo). Insieme ad altri autori (Argyris) quindi propone di
riprogettare le attività lavorative seguendo tre principali strategie:
1) il job enlargement: un’integrazione “orizzontale”, attribuzione di più compiti con contenuti
professionali differenti;
2) il job enrichment: un’integrazione “verticale”, mediante l’acquisizione di responsabilità rispetto
al compito in precedenza attribuito ad un livello gerarchico superiore;
3) la job rotation: un’integrazione “per fasi successive”, che si realizza mediante l’assegnazione a
posizioni organizzative differenti.
Successivamente Hackman e Oldham hanno proposto il Job Characteristics Model, secondo cui i
fattori intrinseci motivanti sono costituiti dal significato del lavoro, dalla responsabilità, e dalla
conoscenza dei risultati. Le attività assegnate a una posizione organizzativa devono essere
riprogettate in questo modo:  combinare i compiti (originandone uno più complesso); 
organizzare unità di lavoro naturali (non frammentare le attività);  stabilire una relazione con i
clienti (percepire l’utilità del lavoro);  attribuire responsabilità personali;  incrementare la
discrezionalità (attribuire agli individui decisionali);  aprire diversi canali di feedback;
Un più recente filone di ricerche sul tema del job design mette a fuoco gli aspetti legati
all’organizzazione del tempo lavorativo, definendo alcuni dispositivi in grado di sollecitare il
potenziale di motivazione intrinseca presente nelle attività, quali la settimana di lavoro compressa,
l’orario flessibile, il job sharing e il telelavoro (che modalità riducono il conflitto lavoro-famiglia e
lavoro-vita personale).
IL MANAGEMENT BY OBJECTIVES
Il Management by Objectives (MBO) è un sistema che implica la puntuale definizione degli
obiettivi affidati a ciascun attore organizzativo, unita a un attento monitoraggio e sistematica
valutazione. Tale formula, proposta da Drucker, ha trovato ampia applicazione, grazie alla
possibilità di legarsi a politiche di compensation che a fianco della retribuzione fissa prevedono
una quota di retribuzione variabile legata alla misura in cui vengono raggiunti gli obiettivi. I
passaggi da compiere per attuare una politica di MBO:  l’individuazione condivisa degli obiettivi;
 la specificazione in termini misurabili del risultato atteso;  l’assegnazione di un traguardo
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temporale;  il monitoraggio a intervalli regolari dei risultati raggiunti . Esistono inoltre due
principali classi di obiettivi: gli obiettivi di contributo e gli obiettivi di competenza. I primi hanno a
che fare con le prestazioni che il collaboratore deve fornire e possono riguardare sia il risultato
ottenuto che le prestazioni sia le modalità di svolgimento, mentre i secondi riguardano
l’acquisizione di conoscenze e capacità importanti per raggiungere gli obiettivi di contributo.
GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA
La teoria di Adams ha favorito lo sviluppo sul tema della giustizia organizzativa, che si propone di
promuovere la percezione di equità all’interno dei contesti di lavoro. Il senso di giustizia si articola
in 3 componenti:  giustizia distributiva: l’equità con cui le ricompense vengono assegnate; 
giustizia procedurale: il processo mediante il quale tali ricompense vengono assegnate;  giustizia
interazionale: la qualità della relazione tra coloro che hanno funzioni di controllo e valutazione (il
management) e coloro che vengono controllati e valutati (i collaboratori). La giustizia interazionale
è articolata in giustizia interpersonale e giustizia informazionale: la prima si riferisce agli aspetti
appena menzionati e la seconda riguarda l'adeguatezza delle spiegazioni offerte in termini di
tempestività, specificità e veridicità. Studi meta-analitici hanno evidenziato come le tre forme di
giustizia siano correlate positivamente con la motivazione, e negativamente con l’intenzione di
lasciare l’azienda e il turn-over.
PARTECIPAZIONE
Un’ulteriore leva motivazionale da considerare è la partecipazione. Già negli anni ’60 MacGregor
aveva rivolto a un’intera generazione di manager l’invito di abbandonare la “filosofia X”, secondo
cui gli esseri umani sono fondamentalmente indolenti e dunque bisognosi di direzione e controllo,
a favore di una “filosofia Y”, che assume che le persone siano orientate alla crescita, all’assunzione
di responsabilità e al lavoro. In altre parole passare da uno stile gestionale “autoritario” a uno stile
“partecipativo”. A partire dalla proposta di McGregor, il concetto di partecipazione ha conosciuto
un ampio sviluppo e viene attualmente considerato un imprescindibile strumento a sostegno della
motivazione. Vi sono differenti aree in cui è possibile realizzare una più alta partecipazione:  la
trasformazione degli obiettivi generali in obiettivi specifici;  la presa di decisione; 
l’individuazione, l’analisi e soluzione dei problemi;  la definizione di valori e politiche aziendali; 
l’attuazione e il monitoraggio degli interventi di cambiamento;  il controllo sulle risorse
(strumenti, budget, consulenti). Lo stile gestionale partecipativo migliora le prestazioni e la
produttività, aumenta la qualità e l'attenzione del cliente e diminuisce la competitività negativa.
Alcune forme di partecipazione sono: i circoli di qualità (per discutere problemi di qualità relativi al
processo in questione) e gruppi di lavoro autogestiti (sono in grado di prendere decisioni
autonomamente). Negli ultimi anni il tema della partecipazione si è legato a quello
dell’empowerment. Questo termine, che in precedenza veniva utilizzato per indicare la delega di
autorità e responsabilità dai capi ai collaboratori, è ora sinonimo di un orientamento gestionale
volto a valorizzare le risorse umane dell’organizzazione, consentendo loro di avere una reale
influenza sui processi e sui contesti di lavoro.
LA RICERCA PER LA DIAGNOSI E L’INTERVENTO ORGANIZZATIVO
Le organizzazioni spesso realizzano interventi finalizzati alla promozione della motivazione, ma non
effettuano una diagnosi preliminare del proprio “profilo motivazionale”. Questo per la tendenza a
giustificarsi con una presunta difficoltà nel mettere a punto indicatori del livello di motivazione. Ci
sono in realtà diversi costrutti che offrono una definizione operativa della motivazione tra cui il Job
involvement che indica “l’attaccamento al proprio lavoro” o “il grado con cui un individuo si
identifica col proprio lavoro”; Lodahl e Kejner hanno individuato un elenco di indicatori del job
involvement mettendo a punto un questionario per la sua misurazione.
ORGANIZATIONAL COMMITMENT

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Organizational commitment Designa “l’attaccamento alla propria organizzazione”, esprimendo in


sintesi la qualità del legame di appartenenza che l’individuo sperimenta. La letteratura identifica
tre possibili forme in cui tale legame può manifestarsi:
- Affective commitment (impegno affettivo): gli individui restano nell’organizzazione perché lo
vogliono; identificazione dell’individuo con l’organizzazione e i suoi obiettivi;
- Continuance commitment (impegno di continuità): gli individui restano nell’organizzazione perché
devono farlo, ne hanno bisogno; valutazione costi-benefici associati alla discontinuità-continuità
del rapporto;
- Normative commitment (impegno normativo): gli individui restano nell’organizzazione perché si
sentono obbligati, sentono di doverlo fare; internalizzazione delle pressioni normative ad agire in
maniera conforme.
Allen e Meyer uno creato un questionario in grado di misurare il livello delle tre dimensioni
dell'organizational commitment.
ORGANIZATIONAL CITIZENSHIP
Un terzo costrutto che sta trovando spazio mette a fuoco il concetto di cittadinanza organizzativa,
che qualifica i comportamenti che favoriscono l’efficacia dell’organizzazione pur non essendo
specificati o imposti dal contratto di lavoro. Benché siano state classificate oltre 20 categorie di
OCB (Organizational Citizenship Behaviours), Organ definisce cinque componenti:
1) Coscienziosità: cura nello svolgimento del proprio lavoro; 2) Virtù civica: forte senso di
responsabilità; 3) Sportività: lealtà nei confronti dell’azienda; 4) Altruismo: disponibilità ad aiutare i
colleghi; 5) Cortesia: instaurare relazioni improntate alla gentilezza e cooperazione. Podsakoff,
MacKenzie, Moorman e Fetter hanno formulato un questionario per misurare questi 5
comportamenti di cittadinanza organizzativa.
ENGAGEMENT E FLOW AT WORK
Per misurare il livello di engagement Schaufeli, Bakker e Salanova hanno elaborato l’Utrecht work
engagement scale: 16 item articolati nelle tre componenti del vigore, dedizione e assorbimento.
Per misurare il flow at work è stato creato il Work-reLated Flow Inventory Messo a punto da
Bakker: 13 item che indicano le tre dimensioni dell'assorbimento, piacere lavorativo e motivazione
intrinseca al lavoro.

CAP 7 – LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA


DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE DEL COSTRUTTO DI SODDISFAZIONE LAVORATIVA
In letteratura si riscontra un sostanziale accordo nel considerare la soddisfazione lavorativa (job
satisfaction) un atteggiamento, Locke la definisce “Un piacevole o positivo stato emotivo dovuto
all’apprezzamento del proprio lavoro”. la soddisfazione lavorativa come atteggiamento esamina tre
componenti: emozione, cognizione e comportamento. L’origine degli studi sulla soddisfazione
lavorativa è stata certamente facilitata da due fenomeni convergenti: 1. Da un lato il movimento
delle Human Relations, che ha ipotizzato che lavoratori soddisfatti saranno anche più propensi a
fornire prestazioni migliori; 2. Dall’altro il movimento di misurazione degli atteggiamenti che si è
dedicato a operazionalizzare e rendere quantificabili le variabili psicologiche, tra cui la motivazione
stessa. Ulteriori fattori che hanno contribuito alla popolarità della soddisfazione lavorativa sono:
-il legame tra soddisfazione lavorativa e Life satisfaction (soddisfazione per la vita in generale) - il
proposito di limitare il turnover, in particolare l'uscita delle persone più competenti e motivate
dall'organizzazione - gli effetti della lavorazione lavorativa sulla soddisfazione dei clienti.
Nel Total Quality Management (TQM) l’organizzazione deve adottare strategie per monitorare e
migliorare la soddisfazione del cliente: un lavoratore soddisfatto non lascia l'organizzazione e
attenziona di più il proprio cliente, ha buone prestazioni ed è stimolato a migliorare
l'organizzazione.
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[+ soddisfazione + produttività/+ migliori prestazione] Anche i primi studi sulla soddisfazione del
cliente e tutto il filone della ricerca di marketing, hanno confermato la visione che l’aumento di
soddisfazione lavorativa corrisponderà ad un miglioramento delle prestazioni. L’equazione più
soddisfazione = migliori prestazione ha fatto convergere un significativo interesse di tipo teorico e
pragmatico anche per il management. Negli ultimi anni, tuttavia, un crescente numero di
ricercatori sta proponendo di sostituire la soddisfazione lavorativa con il costrutto più ampio di
“benessere psicologico”, che amplia decisamente il campo di variabili considerate al fine di
spiegare in modo più corretto la relazione tra soddisfazione e prestazione.
La soddisfazione lavorativa porta alla presenza di buone opportunità di sviluppo professionale e
alla disponibilità a fare sforzi aggiuntivi per raggiungere gli obiettivi. Dagli studi sulla soddisfazione
si possono trarre informazioni per progettare interventi mirati ottenere una migliore qualità della
vita lavorativa.
I CONTENUTI DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Si può parlare di soddisfazione generale oppure soddisfazione relativa a differenti aspetti delle
esperienze di lavoro in organizzazione. Le ricerche basate sulla soddisfazione relativa scontano una
problematica: non esiste alcuna classificazione dei contenuti della soddisfazione che abbia
ottenuto pieno riconoscimento da parte della comunità scientifica. Una recente meta-analisi
(Saane, Sluiter, Verbeek e Frings-Dresen) ha consentito di identificare undici aree tematiche che
possono essere considerate rappresentative dei contenuti della soddisfazione, anche se finora non
è stato proposto alcun ragionamento sulla completezza di tale elenco: Contenuti del lavoro,
Autonomia, Crescita e sviluppo, Riconoscimento economico, Carriera Promozione, Supervisione,
Comunicazione, Collaborazione, Significato, Carico di lavoro, Richieste. Cortese utilizzando un
approccio qualitativo-quantitativo ha consentito di indicare 8 principali contenuti della
soddisfazione lavorativa: compito e sviluppo, organizzazione e comunicazione, clima, contratto,
immagine, contesto, valutazione e carico di lavoro.
TEORIE E MODELLI:
MODELLI COGNITIVI
Tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 diversi studi hanno focalizzato l’aspetto cognitivo
della soddisfazione lavorativa, proponendosi di individuare le modalità che porterebbero i soggetti
a valutare tutti gli elementi in gioco per poi decidere il proprio livello di soddisfazione.
Particolarmente rappresentativo di tale approccio risulta il Facet Model di Lawler che indica
l’origine della soddisfazione nel confronto tra ricompense ricevute e ricompense attese.  Se
quanto ricevuto è inferiore a quanto atteso, vi sarà insoddisfazione;  Se i due aspetti saranno
allineati, vi sarà soddisfazione;  Se quanto ricevuto sarà superiore a quanto atteso, l’individuo
proverà disagio. La stima delle ricompense attese viene effettuata dall'individuo in base a ciò che
ritiene di offrire, al confronto tra input offerto e ricompense ricevute dagli altri soggetti e alle
caratteristiche del lavoro. Per valutare le ricompense ricevute l'individuo opera un confronto tra sé
e gli altri (bisogna confrontarsi con chi è simile e non superiore o inferiore), se quello che ha
ricevuto è in linea con quello degli altri. In sintesi il modello di Lawler, pur considerando la
soddisfazione come atteggiamento, ne approfondisce la componente razionale e cognitiva.
MODELLO DELLE CARATTERISTICHE DEL LAVORO
Hackman e Oldham hanno proposto il Job Characteristics Model con l’obiettivo di precisare le
relazioni tra caratteristiche del lavoro, reazioni individuali dei lavoratori e soddisfazione lavorativa.
Nel modello vengono proposte cinque dimensioni del lavoro che portano a tre stati psicologici,
significato del lavoro, responsabilità, conoscenza dei risultati, i quali a loro volta, producono
risultati in termini di soddisfazione, motivazione ed efficacia. I collegamenti tra dimensione del
lavoro e stati psicologici e tra stati psicologici e risultati sono moderati dal bisogno di crescere di
ciascun lavoratore. Quando gli stati psicologici sono tutti presenti si sviluppa maggiore
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soddisfazione lavorativa. Il potenziale motivazionale (MPS: motivating potential score) è calcolato


facendo la media tra identità del compito, varietà e impotenza, x autonomia e x feedback.
MODELLI DISPOSIZIONALI
Molti autori hanno individuato correlazioni significative tra alcuni tratti di personalità (come
l’estroversione e la coscienziosità) e la soddisfazione lavorativa. Secondo Judge, Locke, Ducham e
Kluger un’influenza sulla soddisfazione lavorativa e sulla vita in generale è esercitata dalla Core
Self-Evaluation (CSE), costrutto personale determinato da autoefficacia, autostima, assenza di
pessimismo e locus of control interno. Successivamente il CSE è stato messo in relazione con le
caratteristiche dell’obiettivo lavorativo. Più recentemente si è riscontrata un'associazione tra il
livello di soddisfazione lavorativa e la struttura di personalità utilizzando il modello big five e quello
della personalità di tipo A e di tipo B.
MODELLI BASATI SULLE EMOZIONI
Vi sono anche studi che si propongono di considerare l’aspetto emotivo insito nel costrutto.
L’Affective Events Theory, di Weiss e Cropanzano pone per esempio l’accento sull’influenza
esercitata dagli eventi quotidiani sulle emozioni che accompagnano la
soddisfazione/insoddisfazione. I risultati delle ricerche ispirate a questa teoria (in genere usano
metodi qualitativi, narrazione o diari) evidenziano come gli eventi negativi abbiano effetti superiori
rispetto agli eventi positivi, producendo uno stato di insoddisfazione che è all’origine dei
comportamenti controproducenti. Come evidenziano Judge e collaboratori, un comportamento
controproducente deriva con maggior probabilità da uno stato emotivo ostile piuttosto che da
caratteristiche disposizionali. Per contro, le esperienze positive riducono la sensazione di fatica
aumentando la sensazione generale di benessere psicologico, producendo soddisfazione.
ANTECEDENTI E CONSEGUENZE DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA
GLI ANTECEDENTI (ciò che influenza la soddisfazione lavorativa)
Gli antecedenti della soddisfazione lavorativa possono essere classificati in due principali categorie:
- Caratteristiche del lavoro: La teoria più diffusa è quella del “Modello delle caratteristiche del
lavoro” di Hackman e Oldham, ma molti altri autori si sono occupati di questo tema. Per esempio
Peters e O’Connor hanno proposto un modello generale che individua otto condizioni, chiamate
costrittività organizzative, in grado di interferire con le prestazioni che risultano collegate alla
soddisfazione lavorativa (mancanza informazioni, inadeguatezza strumenti, insufficienza risorse,
tempi troppo stretti, ecc). Altri hanno indagato aspetti più specifici, come: ambiguità/conflitto di
ruolo, il carico di lavoro, controllo/libertà sul proprio lavoro, orari, conflitto lavoro-famiglia,
relazione con superiori e colleghi. Non sembra essere determinante della soddisfazione lavorativa
aspetti come l’ammontare della retribuzione, il lavoro notturno, il genere e l’età. Riguardo
l'orientamento sessuale si è evidenziato che gli omosessuali che rendono noto il proprio
orientamento all'interno del contesto di lavoro sviluppano maggiore soddisfazione lavorativa
- Caratteristiche individuali: Ricerche di Arvey, Bouchard, Segal e Abraham condotte su coppie di
gemelli hanno evidenziato come il 30% della varianza della soddisfazione lavorativa possa essere
spiegato da fattori genetici. I tratti ritenuti maggiormente legati alla soddisfazione lavorativa sono il
Locus of Control e l’affettività negativa. Più precisamente: Locus of control interno = più alta
soddisfazione, mentre Alta affettività negativa (emozioni negative) = più bassa soddisfazione.
LE CONSEGUENZE (esiti)
La prima conseguenza della soddisfazione lavorativa indagata sperimentalmente è stata la
prestazione. Troviamo anche ricerche all’opposto, relative ai comportamenti di ritiro: assenteismo,
turnover e comportamenti controproducenti. In realtà per quanto riguarda l’assenteismo sono
state trovate poche correlazioni. Discorso differente per quanto riguarda il turnover. Inoltre risulta
ancora più elevata la correlazione tra soddisfazione e intenzione di lasciare il lavoro. Più elevata
perché naturalmente non sempre si riesce a concretizzare l’intenzione in reale turnover. Altre
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ricerche hanno indagato i rapporti del costrutto con i comportamenti di cittadinanza organizzativa
(OCB), che non hanno però evidenziato particolare correlazione. Diverso il discorso nei confronti
dell’opposto, i comportamenti controproducenti, che invece sono risultati correlati negativamente
con la soddisfazione per il lavoro. Tra gli esiti della soddisfazione lavorativa possiamo annoverare
anche il burnout, la salute e il benessere psicologico.
- il Burnout è uno stato di sofferenza psicologica che si manifesta come senso di esaurimento,
depersonalizzazione e ridotta efficacia personale. Le singole dimensioni del burnout correlano in
modo diverso con la soddisfazione: -50 per l’esaurimento emotivo, -33 per la depersonalizzazione e
-28 per l’efficacia personale.
- Salute: Palmore ha suggerito che l’insoddisfazione lavorativa determina una minor prospettiva di
vita, trovando correlazione con manifestazioni di malessere, come mal di testa e problemi di
stomaco.
- Benessere psicologico: la soddisfazione lavorativa risulta correlata positivamente con esso, e
negativamente con ansia e depressione. Infine citiamo alcuni studi che si sono occupati della
relazione tra soddisfazione lavorativa e soddisfazione di vita generale (life satisfaction). Le ipotesi
hanno considerato 3 alternative: 1. Compensation: ciò che viene vissuto nell’ambiente lavorativo
compensa ciò che è esterno ad esso; 2. Spillover: ciò che accade in un ambiente si riversa nell’altro;
3. Segmentation: tra i due aspetti non vi è legame. Judge e Watanabe hanno trovato verificato
valido soprattutto il modello Spillover, a seguire la Segmentation e infine Compensation.
STRUMENTI PER MISURARE LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Il livello di soddisfazione percepita dallo stesso individuo può variare nel corso della vita
professionale in funzione dei differenti contesti di lavoro (mansioni svolte, politiche, regole,
supervisori, colleghi, ecc.). Fondamentale risulta disporre di adeguati strumenti di rilevazione della
soddisfazione sia di tipo generale che di tipo specifico, poiché gli individui “possono essere
soddisfatti di un aspetto e allo stesso tempo insoddisfatti di un altro aspetto”. Le ricerche sul
campo si avvalgono principalmente di strumenti quantitativi cioè i questionari ma vi sono studi di
tipo esplorativo che utilizzano un approccio qualitativo attraverso interviste e focus group cioè
osservazioni dirette nei contesti di lavoro.
ESEMPI DI QUESTIONARI
Vi sono strumenti di tipo monodimensionale capaci di misurare la soddisfazione complessiva e
strumenti di tipo multidimensionale in grado di individuare il livello di soddisfazione per ciascuna
delle componenti in cui si articola la soddisfazione stessa che si dividono in strumenti generalistici
(per misurare qualunque attività di lavoro) e dedicati (per misurare specifica attività). Tra gli
strumenti monodimensionali il più noto è il job in general scale (18 item), mentre tra quelli
multidimensionali generalistici ritroviamo il job satisfasction survery (36 item)che comprende 9
sottoscale; e il job descriptive Index (72 item) composto da 5 fattori. Tra gli strumenti dedicati vi è
la McCloskey/Muller satisfaction scale (31 item) articolata in 8 sottoscale. Tra gli adattamenti
italiani vi è occupational stress indicator che valuta la carriera, il lavoro in sé, l'impostazione e la
struttura organizzativa, i processi organizzativi e le relazioni interpersonali; e l’index of work
satisfaction per l'analisi della soddisfazione lavorativa del personale infermieristico.
MISURE ANALITICHE E MISURE GENERALI
L’utilizzo dei questionari analitici porta a una soddisfazione lavorativa globale che viene ottenuta
sommando i punteggi delle differenti sottoscale (misura composta della soddisfazione generale).
Questo secondo alcuni errato in quanto i questionari specifici possono omettere delle componenti
di soddisfazione importanti per l'individuo e includere comportamenti non significativi e inoltre la
somma aritmetica dei punteggi può non cogliere le modalità dagli individui nel valutare la propria
soddisfazione in termini generali. Quindi per misurare la soddisfazione generale è più utile uno
strumento specificamente dedicato piuttosto che una misura composta.
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NUOVE FRONTIERE DELLA RICERCA


LAVORATORI INTERINALI E SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Il lavoro Interinale anche definito somministrazione (conosciuto come "lavoro in affitto") consiste
nella possibilità per un’azienda di utilizzare manodopera senza doverla assumere direttamente,
bensì servendosi di apposite agenzie che si occupano di porre temporaneamente i lavoratori nelle
imprese che ne fanno richiesta. Da una ricerca condotta in Orlanda si evince una sostanziale scelta
volontaria del lavoro somministrato vissuto come un'opportunità per aumentare la propria
professionalità. i ricercatori non hanno riscontrato differenze significative di soddisfazione tra i
lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori temporanei, ciò è stato spiegato con gli orientamenti
gestionali delle aziende che prevedono modalità di gestione analoghe per tutti i lavoratori, per non
creare discriminazioni e iniquità per chi svolge un lavoro somministrato e chi è dipendente diretto.
È importante distinguere tra lavoratori temporanei volontari e involontaria: chi sceglie di fare un
lavoro somministrato prova più soddisfazione rispetto a chi considera il lavoro somministrato un
ripiego. Nel contesto italiano, diversamente dallo studio condotto in orlanda, la soddisfazione
lavorativa è determinata soprattutto dal legame di fiducia tra lavoratore e società di appartenenza,
cioè l'azienda, e non dalle caratteristiche dell'azienda in cui viene presentata la propria attività
lavorativa.
La fiducia e la soddisfazione per l'operato dell'azienda interinale condiziona anche le opinioni che i
lavoratori hanno verso il lavoro somministrato in generale.
PERSONALE INFERMIERISTICO E SODDISFAZIONE LAVORATIVA
Uno dei principali problemi che le organizzazioni sanitarie si trovano attualmente è rappresentato
dalla carenza di personale infermieristico, quindi le organizzazioni sanitarie sono sfidate a
sviluppare la loro attività sia nei confronti del personale infermieristico già in servizio sia nei
confronti del personale infermieristico disponibile sul mercato del lavoro. Negli ultimi anni sono
state condotte numerose ricerche per comprendere le ragioni dell'uscita volontaria del personale
infermieristico dalle organizzazioni sanitarie, individuare i rischi e le tecniche per contrastare
questo fenomeno. L’Health Care Advisory Board considera la soddisfazione lavorativa il primo
fattore causa del turnover nell'ambito delle professioni infermieristica. lo studio nurses’ early exit
study (NEXT) ha evidenziato come il livello della soddisfazione lavorativa e l'intenzione di
abbandonare la professione abbiano una correlazione negativa.
Lo studio di Cortese ha individuato 5 principali contenuti della soddisfazione lavorativa: 1.
caratteristiche delle attività di lavoro: esempio varietà dei compiti svolti; 2. relazioni con i colleghi:
aiuto reciproco; 3. responsabilizzazione, autonomia e crescita professionale: delegare la
responsabilità più ampie; 4. relazione con i pazienti e le famiglie: attestazioni di fiducia; 5. relazione
con il coordinatore: supporto nei momenti di difficoltà;

CAP 8 – IL BENESSERE LAVORATIVO


IL MODELLO JOB DEMANDS-RESOURCES
Il job demands-resources model (cap 6) è il più importante riferimento teorico per l’analisi dai
vissuti di benessere e di sofferenza psicologica che hanno origine nei contesti di lavoro. Questo
modello è nato con l'obiettivo di superare gli approcci precedenti. È popolare per la sua flessibilità,
in quanto possono essere incluse al suo interno differenti variabili, a seconda del contesto in cui lo
si vuole utilizzare e dei soggetti che si intende coinvolgere. La flessibilità si deve al fatto che il
modello preveda una classificazione dei fattori che influiscono sul benessere in due categorie
generali: quelli riferibili alle richieste (aspetti che richiedono uno sforzo fisico o mentale) lavorative
(job demands) e quelli riferibili alle risorse (caratterizzate da aspetti: funzionali al raggiungimento
degli obiettivi, che riducono le richieste lavorative e i costi fisiologici e psicologici, che stimolano la
crescita e lo sviluppo personale) lavorative (job resources). Le risorse e le richieste hanno
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implicazioni sull’engagement e sull'esaurimento che sono sia in relazione tra di loro che con la
prestazione lavorativa. È emerso che le risorse svolgono un ruolo protettivo più forte in presenza di
altrettanto forti richieste lavorative, ciò favorisce non solo l'engagement ma anche il flow at work.
Possiamo distinguere tra due tipi di richieste: le Challenge demands che portano alla crescita e
aumentano energia, impegno e vigore; e le hindrance demands che ostacolano la crescita e
l'apprendimento e causano danni alla salute e alla motivazione del lavoratore. Entrambe correlano
positivamente con la presenza di burnout. Le risorse si dividono in risorse lavorative come
disponibilità di informazioni, supporto dei capi e colleghi e presenza di feedback delle prestazioni;
e risorse personali come auto valutazioni positive, autoefficacia, ottimismo e resilienza.
MODELLO JD-R E INTERVENTO NELLE ORGANIZZAZIONI
Il modello JD-R viene applicato attraverso 8 tappe, definito JD-R Monitor:
1. definizione della situazione e del problema
2. progettazione dell'intervento, il consulente insieme ai collaboratori cerca di individuare la
richieste e le risorse, formulare ipotesi sugli esiti. Questi aspetti verranno rilevati attraverso
un questionario.
3. comunicazione interna all'organizzazione, i lavoratori verranno avvisati (attraverso e-mail o
annunci in bacheca) dello studio che si vuole condurre
4. raccolta dei dati, verrà inviata un'email con un link per accedere alla pagina del
questionario anonimo da compilare, alla fine della compilazione i lavoratori riceveranno un
feedback immediato sui loro risultati e in caso di problemi emergenti saranno inviati dei
consigli
5. analisi e report, vengono analizzati i dati ottenuti e viene redatto un report generale dei
risultati ottenuti (anche qui verranno dati dei consigli)
6. restituzione dei risultati, vengono presentati i risultati dello studio e discussi in maniera
critica
7. interventi, vengono messi in atto diversi tipi di intervento: a livello individuale, i lavoratori
verranno incoraggiati a ridurre le richieste e ad incrementare le risorse, a livello
organizzativo verranno sviluppati dai programmi di apprendimento o training specifici per le
varie esigenze
8. valutazione, vengono riapplicate le diverse fasi per verificare se il processo è stato utile, se
le modifiche sono giuste e i risultati sono quelli desiderati. (viene fatto ogni tot di tempo)
IL JOB CRAFTING
Gli individui possono impegnarsi attivamente per modificare le caratteristiche del proprio lavoro, il
job crafting è il tentativo dell'individuo di modellare il proprio lavoro, con questo termine si indica
l'insieme dei cambiamenti che i dipendenti attuano per ridefinire il proprio lavoro, per esprimere le
proprie competenze e soddisfare i propri interessi e bisogni. I cambiamenti materiali, oggettivi, si
riferiscono agli obiettivi perseguiti con le proprie attività, alla forma, al numero, al contenuto. I
cambiamenti cognitivi, soggettivi, si rifiniscono al modo in cui si percepisce il proprio lavoro. il job
crafting riletto alla luce del JD-R model indica i cambiamenti dei lavoratori per modificare il sistema
di richieste e di risorse lavorative. Ciò da un lato aumenta la possibilità di esprimersi ma dall'altro
esclude le modalità di ordine cognitivo per cui le persone attribuiscono un significato al proprio
lavoro (che non è compreso nel JD-R). Il job crafting si esprime attraverso tre comportamenti:
l'aumento delle risorse lavorative, l'aumento delle richieste lavorative sfidanti e la diminuzione
delle richieste lavorative che ostacolano la crescita e l'apprendimento, causano danni alla salute e
diminuiscono la motivazione. Il job crafting porta a esiti positivi, inoltre si è evidenziata
l'importanza di esso nel processo di adattamento dell'organizzazione alle trasformazioni che
avvengono nel proprio ambiente di riferimento. La propensione alle job crafting si può misurare
con la Dutch job crafting scale cioè un questionario composto da 21 item che convergono in
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quattro fattori: incremento delle risorse strutturali, delle risorse sociali, delle richieste sfidanti e
una diminuzione delle hindrance demsnds. La versione italiana di questa scala è composta da 13
anni item e prende in considerazione solo i primi tre fattori poiché nel quarto sono emersi alcuni
dubbi.
IL RECOVERY
In quest'epoca, in cui è difficile mantenere un equilibrio tra richieste e risorse, il tempo dedicato al
recupero gioca un ruolo determinante nella possibilità di raggiungere uno stato di benessere
psicofisico. Con l'espressione recovery from work (recupero del lavoro) si fa riferimento al processo
psicologico che un individuo deve affrontare per eliminare i sintomi di stress fisico e psicologico
causati dal lavoro. Se il recovery non è sufficiente l'individuo non riesce a recuperare le energie
spese durante il giorno e quindi dovrà fare uno sforzo maggiore per mantenere soddisfacenti livelli
di prestazione. Secondo Sonnentag e Fritz non c'è una specifica attività che fornisce il recupero
dello stress lavorativo ma dipende dal tipo di esperienza psicologica che quell'attività genera. Il
modello effort-recovery sostiene che gli sforzi mentali e fisici causano un senso di fatica che si
riduce nel momento in cui cessano le richieste e si attiva il processo di recovery ciò avviene se i
sistemi di funzionamento attivati durante il lavoro non vengono più stimolati e utilizzati
dall'individuo. La teoria della convention of resources sostiene che le persone tendono a
mantenere e proteggere le loro risorse sia interne che esterne. Durante il tempo libero bisogna
evitare attività che stimolino l'utilizzo degli stessi sistemi di funzionamento utilizzati durante il
lavoro inoltre è importante generare nuove risorse come energia e umore positivo. Sonnentag e
Fritz descrivono quattro esperienze di recovery che forniscono il recupero delle risorse spese
durante l'attività lavorativa e permettono di generarne di nuove: 1. psychological detachment
(distaccarsi dal proprio lavoro durante il tempo libero) 2. Relaxation (stato di calma e tranquillità) 3.
Mastery (impegnarsi in attività che distraggono dal lavoro che forniscono opportunità di
apprendimento e sviluppo di nuove conoscenze) 4. control (l'individuo ha la possibilità di
controllare le attività che vuole svolgere nel tempo libero, in che modo e con che tempi). Il
recovery ha la capacità di migliorare le prestazioni sul lavoro, aumentare il benessere la
soddisfazione di vita. È importante trasmettere indicazioni sulle possibili attività che forniscono il
recovery attraverso percorsi formativi e laboratori. Inoltre l'utilizzo di strumenti tecnologici di
comunicazione durante le ore non lavorative può interferire negativamente con il processo di
recovery, un intervento potrebbe essere quello di decidere quanto e come utilizzarli.
IL WORKAHOLISM
oggi le organizzazioni sono sempre in competizione per raggiungere gli obiettivi e il successo a
costo anche del benessere e della qualità della vita dei lavoratori. Infatti per via della tecnologia
che permette di lavorare in qualsiasi posto e momento si è annullato il confine tra lavoro e vita
privata. In questi casi può svilupparsi una dipendenza dal lavoro definita workholism o work
addiction. Oates fu il primo ad introdurre questo concetto, definì il workholism come un eccessivo
incontrollabile bisogno di lavorare che influenza la salute, la qualità della vita e le relazioni. Questo
fenomeno si presenta quando si dedica una elevata quantità di tempo al lavoro trascurando la vita
privata e quando si è incapaci di distaccarsi dal lavoro come un'ossessione. Viene considerata come
una vera e propria dipendenza “buona”. Il workholism può determinarsi a partire dal contesto
lavorativo. Per esempio nel modello richieste-risorse si è evidenziato come le richieste possono
favorire lo sviluppo della dipendenza da lavoro mentre le risorse possono moderare tale effetto.
Ma altro fattore che influisce sono le caratteristiche personali come la motivazione alla
realizzazione, il perfezionismo, l'autoefficacia. A lungo andare il fenomeno del workholism può
portare a conseguenze negative sia per il lavoratore che per l'organizzazione poiché la dipendenza
dal lavoro determina minori opportunità di recovery, stress e burnout, assenteismo, conflitti
lavoro-famiglia, elevate percentuali di divorzi e separazioni per via della bassa qualità delle
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relazioni. Dunque è importante avviare interventi per prevenire questa dipendenza come la presa
di consapevolezza dell'esistenza di questo fenomeno, delle sue cause e conseguenze negative;
promuovere stili di vita equilibrati e il rispetto dei confini tra lavoro e vita privata; inoltre bisogna
saper riconoscere i comportamenti workholic e avviare consulenze psicologiche, psicoterapia o
corsi di formazione per ridurli.
L’INSICUREZZA LAVORATIVA
Il concetto di insicurezza lavorativa fa riferimento alla preoccupazione relativa alla continuità del
proprio lavoro, alla paura di restare disoccupati. L'indefinitezza dell'origine dell'insicurezza
lavorativa e la complessità delle attuali dinamiche lavorative rende difficile individuare e utilizzare
strategie di coping efficaci. l'insicurezza lavorativa può portare conseguenze negative come la
riduzione della soddisfazione lavorativa, della salute psicologica e fisica, della prestazione. Essa può
associarsi all’intenzione di turnover e all'esaurimento emotivo, dimensione centrale nella sindrome
di burnout. L’insicurezza lavorativa può anche spingere le persone a impegnarsi di più per
convincere i datori di lavoro della loro importanza per l'organizzazione. La relazione tra insicurezza
lavorativa ed esiti sembra dipendere dal genere e dal contesto culturale.
IL BENESSERE DEI LAVORATORI “ANZIANI”
Il rapido aumento della percentuale di lavoratori anziani, nel corso del tempo, sta aggravando lo
spostamento dalle fasce d'età verso quelle più mature. Il concetto di lavoratore anziano può
variare rispetto ai contesti organizzativi e alle culture di appartenenza. Inoltre vi sono un insieme di
fattori che possono modificare la definizione di lavoratore anziano come stereotipi e norme sociali
legate
all'età pensionabile. Si è dimostrato che il processo di invecchiamento varia considerevolmente da
persona a persona (Cambiamenti fisici, cognitivi, di personalità). L'invecchiamento porta a un
declino di alcune abilità come quelle fisiologiche e fisiche (es decadimento uditivo, muscolare). È
importante precisare che non vi è relazione tra invecchiamento e percezione di malattia, però gli
anziani hanno bisogno un periodo di recovery generalmente più lungo. Anche le abilità cognitive
con l'avanzare dell'età declinano: Diminuisce l'intelligenza fluida (memoria) ma aumenta la
l'intelligenza cristallizzata (conoscenze e saggezza). Per questo motivo all'interno dei luoghi di
lavoro le performance dei lavoratori anziani è spesso ancora adeguata, per cui è importante che gli
anziani vengano valorizzati in quei compiti che richiedono un'intelligenza cristallizzata. Nonostante
i tratti di personalità siano ritenuti stabili nel ciclo di vita recenti ricerche hanno evidenziato che
alcuni di questi contenuti nel big five possono variare con l'età adulta (coscienziosità e amicalità, si
riduce il nevroticismo). Sono numerosi i fattori in grado di influenzare il benessere del lavoratore
anziano. Un clima organizzativo positivo può ridurre il desiderio di andare in pensione e
incrementare la salute del lavoratore anziano. I lavoratori anziani sono spesso oggetto di stereotipi
e comportamenti discriminatori come assegnazione non equa di compiti, minor accesso a iniziative
di formazione, scoraggiamento e demotivazione. Un altro fattore che può influenzare il benessere
dell'anziano è il job design che permette di valorizzare e ottimizzare gli effetti che le differenze
individuali possono avere nella relazione tra caratteristiche del lavoro e attitudine del lavoro. Gli
studi condotti sul job design hanno l'obiettivo di analizzare le caratteristiche del lavoro che si
adattano di più al profilo dell' anziano e promuovere così compiti che ne favoriscono la
soddisfazione lavorativa, la motivazione e il benessere.
AGE MANAGEMENT E INTERVENTI A SUPPORTO DEI LAVORATORI ANZIANI
Nonostante gli anziani siano orientati verso l'uscita del mondo del lavoro è utile per le
organizzazioni continuare a sostenere la loro employability (Occupabilità). Il termine age
management fa riferimento alle possibili azioni e interventi attraverso cui le risorse umane
vengono gestite dall'organizzazione, con una particolare attenzione sull'età. Le good practices in
age management sono misure volte all'abbattimento delle barriere di età e alla valorizzazione
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delle differenze intergenerazionali: formazione specifica al fine di adattare le risorse dei senior alle
richieste lavorative, il job design orientato ad accrescere autonomia e competenze, creazione di
team di lavoro intergenerazionali che riducono stereotipi e discriminazioni, lavoro part-time e
programmi di mentoring (tutoraggio). Gli interventi più apprezzati sono quelli relativi alla
formazione in quanto i lavoratori anziani sono ancora disposti ad investire nella propria crescita e
sulla propria formazione professionale, sebbene la motivazione ad apprendere declini con l'età gli
effetti di training non diminuiscono con gli anni.
IL RIENTRO A LAVORO
Il tema del rientro al lavoro (return to work) e della promozione dell'occupabilità ha riscontrato
una crescente attenzione in molti contesti. Le persone si allontanano dal lavoro a causa di malattie,
disabilità e infortuni. La comparsa di patologie come diabete, sclerosi multipla, epilessia, malattie
mentali, cardiovascolari, respiratorie ecc comporta un allontanamento necessario per cure e
riabilitazione che non implica necessariamente la perdita delle capacità lavorative. Il reinserimento
professionale può essere vissuto come un periodo emotivamente stressante in quanto bisogna
sapersi adattare al cambiamento in relazione alla propria condizione. Alcuni pazienti sviluppano
ansia e depressione nel periodo post operatorio per via della difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti
che la malattia richiede. Ma nonostante ciò alcuni studi rilevano elevati livelli di soddisfazione
lavorativa nelle persone che rientrano a lavoro in seguito a riabilitazioni con delle limitazioni. Il
reinserimento lavorativo riguarda anche casi come maternità, ristrutturazioni aziendali e cassa
integrazione. Le cosiddette fasce deboli della popolazione (giovani, lavoratori con più di 50 anni e
neo madri) sono maggiormente a rischio di disoccupazione. Il licenziamento può avere un forte
impatto negativo sulla salute e sul benessere della persona a livello fisico, psicologico e sociale
(depressione, bassa autostima, sfiducia, insoddisfazione). Studi hanno dimostrato che maggiore è il
periodo di assenza dal lavoro per malattia e minore sarà la probabilità che la persona ritorni
effettivamente al lavoro. Dunque è importante identificare i fattori che ostacolano e facilitano il
reinserimento lavorativo. Il rientro al lavoro è influenzato da fattori di tipo sociodemografico (età),
clinico (malattie cure), psicologico (depressione), e organizzativo (soddisfazione, stress). Gli
interventi hanno l'obiettivo di facilitare il reinserimento ed evitare la perdita del lavoro:
monitoraggio sistematico delle essenze per individuare le persone a rischio, contatto regolare tra il
datore di lavoro e la persona assente per mantenere vivo il legame e l'interesse, adattamento in
base alle limitazioni prescritte dal medico (orario, lavoro da casa).
IL WELFARE E IL WELLNESS ORGANIZZATIVO
Le iniziative di welfare e wellness sono spesso relative a soluzioni contrattuali/formali o iniziative
che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia (orari, luogo di lavoro, asili nido in azienda).
Rientrano nelle soluzioni di welfare e wellness anche alcuni servizi economici come contributi
aggiuntivi che l'azienda dà attraverso buoni e convenzioni per attività di svago o servizi socio
sanitari rivolti anche ai loro familiari. Inoltre vi sono servizi legata all'informazione e alla
formazione rivolti soprattutto a chi ha ruoli di responsabilità.

CAP 9 – I RISCHI PSICOSOCIALI


LAVORO E BENESSERE
Storicamente l’interesse al rapporto tra lavoro e benessere si è basato sullo studio dei fattori di
rischio di tipo fisico, chimico e biologico in grado di provocare danni alla salute dei lavoratori. É solo
di recente che è stata posta attenzione alle variabili che possono incidere sullo stato di benessere
psicologico quali, in particolare lo stress occupazionale, la sindrome del burnout e il fenomeno del
mobbing. Cox e Griffiths hanno definito i rischi psicosociali, da un lato, come il risultato degli
aspetti di progettazione e gestione del lavoro che causano danni di natura psicologica, sociale e
fisica, e dall'altro come particolari dinamiche relazionali fra colleghi. L’interesse per lo studio del
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benessere in campo lavorativo, affrontato da una prospettiva psicologica e sociale, deriva


soprattutto dalla consapevolezza che se persone che “si sentono bene”, oltre a manifestare
benefici in termini di salute e longevità, lavorano in modo più produttivo, incrementando così il
livello del “benessere organizzativo”. È stata proposta una nuova materia “psicologia della salute
organizzativa” che si occupa dello studio degli aspetti organizzativi orientati al miglioramento del
benessere fisico, psicologico e sociale.
LO STRESS OCCUPAZIONALE
PRINCIPALI MODELLI TEORICI
L’origine etimologica del termine “stress” fa riferimento agli effetti subiti dai materiali metallurgici
sottoposti a forte pressione. Il primo studioso ad aver introdotto il concetto di stress applicato agli
esseri viventi è stato Hans Selye. Egli parte da un modello chiamato response-base in cui identifica
lo stress come risposta fisiologica aspecifica dell’organismo nei confronti di diverse tipologie di
stimoli ambientali. Il limite è appunto il riferirsi alla sola risposta dell’organismo non
approfondendo il fenomeno nel suo complesso. I limiti di questa prospettiva hanno spinto i
ricercatori a formulare un secondo modello, definito Stimulus-based basato solo sull’analisi degli
stimoli presenti sul luogo di lavoro. Un ulteriore sviluppo riguarda l’approccio “interattivo”:
stimulus/response relationship, il cui focus è riferito all’interazione tra stimoli ambientali e
risposte individuali. Il più attuale e completo modello sullo stress è quello “transazionale”
Transactional approach che suggerisce come lo stress non sia identificabile attraverso elementi
parziali, ma sia il risultato di un processo costante e continuo di scambio e interazione tra individuo
e ambiente. Il modello si focalizza sugli stili di coping (insieme di sforzi cognitivi e comportamentali
per gestire le richieste provenienti dall'ambiente) in risposta agli stimoli ambientali (->porta
all’adattamento). Gli studiosi che hanno aderito al modello transazionale dello stress, hanno
chiarito inoltre la distinzione tra stress e i concetti a esso correlati: Stress = intero processo
transazionale; Stressor = le situazioni stimolo; Strain = le risposte fisiologiche, psicologiche e
comportamentali agli stressor
STRESSOR ORGANIZZATIVI
Inizialmente la ricerche si focalizza sugli stressor di natura fisica che incidono sul benessere e sulla
produttività delle persone: rumore, temperatura, scarsa illuminazione, turni. Successivamente
sono stati considerati anche le caratteristiche delle attività lavorative, i ruoli organizzativi, le
relazioni interpersonali, lo sviluppo di carriera e la relazione fra lavoro e vita privata. Alcuni aspetti
connessi al ruolo organizzativo: ambiguità di ruolo, conflitto di ruolo (più ruoli ricoperti dal
soggetto), sovraccarico lavorativo, scarsa qualità delle relazioni interpersonali. Anche lo stile di
leadership quando è orientato esclusivamente al compito o eccessivamente punitivo oppure
caratterizzato da un comportamento di tipo lassez-faire (lasciate fare), può essere causa di strain
psicologico. Un forte supporto sociale all'interno dell'organizzazione può alleviare la prestazione di
disagio (la relazione stressor-strain).
EFFETTI DELLO STRESS
Stress occupazionale è in grado di produrre effetti negativi a breve e a lungo termine sia sugli
individui sia sulle organizzazioni: a livello individuale si hanno conseguenze sul piano fisiologico,
psicologico e comportamentale. A livello fisiologico l'esposizione cronica a una serie di agenti
stressogeni può favorire l'insorgenza di varie patologie. A livello psicologico si possono presentare
disturbi di ansia e dell'umore ecc. Mentre a livello comportamentale lo strain si associa ad abuso di
sostanze e ad azioni sociali negative. A livello organizzativo gli stressor possono portare a una
diminuzione dei profitti dovuta al calo della produttività, a costi in più dovuti alla sostituzione di
macchinari danneggiati a seguito di incidenti.
VARIABILI IN GRADO DI MODERARE LA RELAZIONE STRESSOR-STRAIN

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Un argomento di particolare interesse nello studio dello stress occupazionale è rappresentato dalla
valutazione delle variabili disposizionali, situazionali e sociali che possono esercitare un’influenza
nella relazione stressor-strain.  Le variabili disposizionali o individuali: fanno riferimento a modelli
comportamentali di tipo A, l’affettività negativa, l’autostima, l’autoefficacia, la percezione del
controllo  le variabili situazionali che sono in grado di moderare la relazione stressor-strain sono
per es il commitment cioè il legame tra i lavoratori all'organizzazione, questo esercita effetti positivi
su diversi aspetti  le variabili Sociali: come il buffering cioè il supporto sociale da parte di colleghi e
capi che si manifesta con un effetto protettivo.
VALUTAZIONE DELLO STRESS
Un punto di attenzione relativo alla misurazione dello stress occupazionale riguarda la possibilità di
ricorrere a misure di tipo oggettivo cioè i parametri fisiologici (adrenalina, noradrenalina,
pressione, battito cardiaco, respirazione, sudorazione, tremore) o misure di tipo soggettivo
attraverso questionari, self-report, soprattutto in ambito organizzativo, che permettono di
approfondire il significato psicologico attribuito dall'individuo a determinati eventi.
INTERVENTI
Gli interventi finalizzati alla prevenzione o alla riduzione dei livelli di stress occupazionale possono
classificarsi in: primari -> realizzati a livello organizzativo con lo scopo di contenere il più possibile
gli agenti che sollecitano eventuali risposte di stress (attraverso riprogettazione delle attività
lavorative, ristrutturazione dei ruoli hai instaurazione di un clima positivo); secondari -> rivolti agli
individui con lo scopo di modificarne le reazioni agli stressor occupazionali come tecniche di
rilassamento, biofeedback; e terziari -> finalizzati alla cura e riabilitazione del lavoratore che
manifesta effetti derivanti dallo stress.

I COMPORTAMENTI VIOLENTI SUI LUOGHI DI LAVORO


DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE
La violenza sul luogo di lavoro fa riferimento all'aggressione fisica, all’abuso sessuale, alle
aggressioni o minacce verbali, mentali e morali legate al lavoro (e non solo sul posto di lavoro).
L'interesse e i settori di intervento che riguardano la violenza sul luogo di lavoro negli anni sono
diventati molteplici, poiché sono aumentati gli episodi di violenza e gli infortuni sul lavoro. Sono
state individuate quattro tipologie di episodi di violenza in cui vi è una diversa relazione tra vittima
e perpetratore e una diversa motivazione: 1. Intruder violence -> in cui la vittima non conosce il
perpetratore, Il comportamento violento viene messo in atto nei confronti di persone che
maneggiano denaro (impiegati bancari); 2. client related violence-> La vittima e il perpetratore
possono essere conosciuti o sconosciuti, la violenza viene messa in atto all'interno di una relazione
tra erogatore e fruitore di un servizio (verso un cliente) 3. relational violence -> la vittima e il
perpetratore sono conoscenti, La violenza avviene all'interno della relazione professionale (es
bullismo, molestie tra colleghi) 4. structural violenze -> violenza legata alla relazione tra lavoratori
e sistema di valori e norme dell'organizzazione.
FATTORI DI RISCHIO
Fattori individuali: i più giovani con meno esperienza sono soggetti a maggior rischio visto che non
sono propensi a riconoscere e denunciare la violenza. Riguardo il genere i maschi sono
maggiormente a rischio di violenza fisica mentre le donne di molestia sessuale. Riguardo i fattori
psicologici alcuni tratti di personalità influenzano la vittimizzazione (affettività negativa) mentre
altri influenzano i perpetratori. Fattori aziendali: cioè il tipo di lavoro e i modi operandi
dell'azienda. Alcune professioni sono maggiormente a rischio di vittimizzazione (es forze
dell'ordine, settore sanitario). Per quanto riguarda i modi operanti la violenza nasce da relazioni
disfunzionali (conflitto nelle aziende, gestione non adeguata, insoddisfazione dei laboratori). Alcuni
fattori sono attribuibili al management (aderire a norme e valori che causano disagio (es credo
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religioso). influisce anche lo stile delle leaderships (es Autoritario). Un altro fattore di rischio è
legato alla relazione tra lavoratore e supervisore (es Eccessivo controllo, mancanza di rispetto).
Fattori ambientali fisici e sociali: riguardo all'ambiente fisico i rischi dipendono dallo specifico
ambiente lavorativo (es In un ospedale la carenza di personale aumenta il rischio di comportamenti
violenti). Tra i fattori sociali rientrano la multiculturalità (diversità, razzismo), la comunità (più ci
sono comportamenti violenti e più i bambini aumenteranno la propensione alla violenza) e il
sistema paese (sistema legislativo).
CONSEGUENZE
Le conseguenze sono di tipo sia fisico che psicologico sia riguardo il singolo individuo che l'azienda.
Sull'individuo le conseguenze fisiche della violenza vanno da piccole ferite fino alla morte. Le
conseguenze psicologiche possono derivare sia da un comportamento violento di tipo fisico che
verbale ed ha conseguenze peggiori rispetto a quella fisica poiché ha ripercussioni sul benessere
sul lungo periodo (es disturbo post traumatico da stress). A livello psicosociale le conseguenze
sono: disimpegno sul lavoro, isolamento sociale, percezione dell'ambiente di lavoro come ingiusto,
infelicità nella vita. Sul luogo di lavoro le conseguenze possono essere riferite alle relazioni con i
colleghi e con i fruitori del servizio.
INTERVENTI
L'intervento sulle vittime di violenza può essere di tipo educativo-comportamentale -> es In gruppi:
condivisione di esperienze simili di violenza per rendersi conto che le vittime non sono responsabili
dell'evento e riconoscere le forme di aggressione, modificando se necessario il proprio
comportamento; clinico -> come terapie cognitivo-comportamentale supportate da tecniche di
desensibilizzazione e rielaborazione dell'esperienza traumatica; legale -> volto a sanzionare il
comportamento violento, stabilendo un risarcimento danni. L'organizzazione mondiale della sanità
(OMS) propone una: prevenzione primaria -> Il datore di lavoro deve formare i dirigenti e
dipendenti riguardo il tema della violenza sul posto di lavoro, adottando linee guida e regole per
favorire un comportamento etico. Possono essere adottate misure strutturali e tecnologiche (es
allarmi portatili) e misure organizzative (rispettare l'ingresso in alcune aree, orari e ecc). la
formazione è importante per far conoscere i potenziali rischi soprattutto alla fascia debole.
Prevenzione secondaria -> Propone un mediatore che ascolti chiunque ritenga di essere vittima di
molestie al fine di risolvere i problemi e negoziare una soluzione. Egli consente il confronto di punti
di vista e l'espressione delle emozioni. prevenzione terziaria -> Adottare delle misure adeguate (es
cambio della postazione di lavoro).
IL MOBBING
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
Negli ultimi 20 anni si è assistito a un notevole incremento delle ricerche su questo tema in diversi
contesti nazionali. Il mobbing è un comportamento controproduttivo caratterizzato da aggressione,
devianza, ritorsione e vendetta. Esso può derivare da altre fonti meno gravi di comportamenti
aggressivi che possono assumere maggiore intensità. Si caratterizza per tratti di continuità e
ripetitività che non sono propri degli altri comportamenti aggressivi. In generale il mobbing può
scaturire da una situazione di conflittualità in cui una persona diviene oggetto di azioni
persecutorie da parte di uno o più aggressori, con la conseguenza che la vittima, non in grado di
reagire adeguatamente, può sviluppare disturbi psicosomatici e dell’umore e danni psicofisici.
Mobbing al lavoro significa molestare, offendere, escludere socialmente o influenzare
negativamente.
Caratteristiche principali del fenomeno sono: frequenza (minimo ½ volte a sett), durata (minimo 1
anno), ostilità e squilibrio di potere. Leymann ha identificato 4 fasi del fenomeno: 1) conflitto
quotidiano, 2) inizio del mobbing, 3) errori e abusi da parte delle risorse umane, 4) esclusione dal
mondo del lavoro. Ege ha aggiunto a questo modello una pre-fase definita “condizione zero”, cioè
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uno stato di conflittualità fisiologica tipica del nostro paese (predominare sugli altri). Sono tre le
dimensioni culturali più significative: la distanza di potere (mobber e vittima) -> le culture
caratterizzata da una bassa distanza di potere risultano più protette; le culture basate sulla
mascolinalità o femminilità; sull'individualismo o sul collettivismo.
METODOLOGIE DI VALUTAZIONE
Gli approcci di misurazione del mobbing si distinguono in 3 principali categorie: 1. Metodi “interni”,
focalizzati sull’autopercezione (questionari, interviste, focus group) 2. Metodi “esterni”, riferiti al
contesto nel quale si sviluppa la condizione di mobbing (osservazione del lavoratore, raccolta di
informazioni con interviste o questionari, registrazioni audio e video) 3. Metodi “integrati”, che si
avvalgono di approcci sia interni che esterni. [Vengono generalmente privilegiati i metodi
autovalutativi come il questionario di autopercezione del mobbing finalizzato alla misurazione
delle percezioni soggettive riferite sia le caratteristiche del contesto lavorativo sia alle percezioni
personali connesse alla situazione di lavoro]
ANTECEDENTI INDIVIDUALI, SOCIALI E ORGANIZZATIVE
Gli studi che hanno indagato le cause del mobbing hanno consentito di formulare le seguenti tre
principali ipotesi esplicative: 1. Ipotesi disposizionale, ovvero le caratteristiche di personalità della
vittima e dell’aggressore. I tratti personologici tipici della vittima sono Nevroticismo, impulsività,
affettività negativa (emozioni negative), bassa amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e
autostima e sono maggiormente donne anziane, mentre il mobber tende a essere di genere
maschile, conduce un'attività stressante con elevato carico di lavoro e bassa autonomia e vive
spesso in una situazione di insicurezza lavorativa, bassa autostima, invidia 2. Ipotesi sociale, natura
del gruppo di lavoro: es la globalizzazione implica la presenza diversità (etnia ed età) nel contesto
organizzativo che può facilitare l'aggressività oppure gruppi caratterizzati da scarsa autonomia. Il
mobbing si riconduce a fattori tipicamente organizzativi come: gli stili di leadership e di gestione
delle risorse umane, il clima e la cultura organizzativa, le politiche organizzative (che stabiliscono
quali sono i comportamenti considerati accettabili e quali no all'interno dell'organizzazione).
3.Ipotesi situazionale, scorretta organizzazione dell’attività lavorativa es compiti frammentati e
ripetitivi che possono creare a frustrazione o strutture che incoraggiano la competitività tra
lavoratori.
CONSEGUENZE
L’esposizione prolungata a comportamenti aggressivi, oltre a danneggiare in lavoratore a livello
fisiologico e psicologico, comporta anche una serie di effetti negativi a livello professionale e
organizzativo. Riguardo le conseguenze individuali, può portare ad ansia e depressione, disturbi del
sonno e dell'umore, può presentarsi un’ ipertrofica percezione di ingiustizia e sentimenti cronici
d’insicurezza e pericolo fino ad arrivare al suicidio. oltre al singolo il mobbing può avere ricadute
anche sul gruppo di lavoro per cui i membri sono più tolleranti nei confronti di comportamenti
prevaricatori e illeciti. I lavoratori che assistono a fenomeni di mobbing anche se non sono
direttamente interessati tendono a schierarsi dalla parte del mobber per timore di diventare
vittime. Per quanto riguarda le conseguenze organizzative è da segnalare come il mobbing possa
avere ripercussioni sull’intera organizzazione e incrementare fenomeni di assenteismo, turnover,
diminuzione della produttività e della soddisfazione, più intenzione di lasciare il lavoro e aumento
dei costi dell'assistenza medica e legale.
INTERVENTI
Le risorse umane devono cogliere i segnali, le cause e le conseguenze riconducibili al mobbing,
valutare la situazione e attuare terapie di supporto psicologico o forme di consulenza. Gli interventi
a livello di gruppo sono: il conflict management con lo scopo di gestire il conflitto attraverso
l'identificazione e la mediazione delle situazioni critiche , il Mobbing-Group o MGroup che consiste
in un training specifico finalizzato a favorire l'acquisizione di competenze di gestione dei conflitti. A
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Livello organizzativo gli interventi hanno l'obiettivo di istituire chiare politiche aziendali anti-
mobbing, promuovere attività d’informazione/formazione sul fenomeno e miglioramento
dell'organizzazione del lavoro. Recentemente sono stati istituiti comitati anti-mobbing interni che
svolgano attività di valutazione, prevenzione e intervento.
LO STALKING
DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE
Lo stalking rappresenta una forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in
maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo con gravi
conseguenze fisiche e psicologiche. La maggior parte di questi comportamenti è messa in atto da
parte del partner o ex partner di sesso maschile a causa di un abbandono, di amore respinto
oppure di divorzio/separazione. i comportamenti più diffusi sono telefonate, email, regali,
appostamenti, minacce e aggressioni fisiche o sessuali. riguardo la vittima ma la maggior parte
sono donne che percepiscono questi comportamenti come spiacevoli, disturbanti, lesivi e
inquietanti a cui seguono cambiamenti nella vita quotidiana (es cambio di numero, abitazione) da
cui ne derivano disturbi di tipo fisico (del sonno) e psicologico (ansia, depressione). Questo
fenomeno si differenzia da altri comportamenti violenti per la durata e le ripetizioni dei
comportamenti e per il timore per la propria e altrui incolumità.
LO STALKING OCCUPAZIONALE
Lo stalking occupazionale è una molestia sul posto di lavoro che invade la sfera privata della
vittima. Le professioni più a rischio sono quelle sanitarie poiché per es gli infermieri grano in
contatto con i bisogni profondi di aiuto delle persone e lo stalking può essere una ricerca di
attenzione. L’esperienza di vittimizzazione fa percepire maggiormente insicuro il posto di lavoro e la
strategia per fronteggiare questa situazione è quella di un maggiore distacco emotivo a svantaggio
della qualità della relazione medico-paziente.

INTERVENTO
Gli interventi a favore della vittima sono di tipo legale, comportamentale, clinico-educativo. Questi
interventi sono orientati in base al contesto delle relazioni degli attori coinvolti, alla motivazione
dello stalking, alla relazione che c'è tra la vittima e lo stalker e il profilo psicopatologico dello
stalker. Riguardo l'intervento legale si fa riferimento a leggi che tutelano le vittime, per es la
denuncia è uno strumento che può interrompere la campagna di stalking e il rischio di
comportamenti violenti. L’intervento comportamentale fa riferimento ad azioni adottate per
difendersi come fuga, evitamento (porta alla modifica delle abitudini di vita es percorso casa-
lavoro), risposta fisica e verbale non confrontativa, resistenza oppositiva fisica, sottomissione.
Diventa utile avvisare la sede di lavoro di essere vittima di stalking in modo che i colleghi siano
allertati su eventuali visite o richieste di informazioni. La pratica educativo-clinica è indicata per
reiterare i comportamenti, individuando gli aspetti patologici della relazione con l'altro.
IL BURNOUT (crisi tra l’individuo e il proprio lavoro)
INTRODUZIONE
Agli inizi del 900 Kraepelin mise in evidenza come le condizioni di vita professionale degli operatori
del settore psichiatrico potessero comportare conseguenze negative sull'attività e il benessere
delle persone (esaurimento). Negli anni Trenta nei contesti sportivi il termine burnout viene usato
per indicare un atleta che dopo vari successi manifestava un calo del proprio rendimento. Si iniziò a
considerare il burnout anche nel contesto sociosanitario a partire Freudenberger che rilevò una
forma di esaurimento tra i volontari delle strutture sanitarie. È possibile rintracciare due
orientamenti di studio che identificano il fenomeno come una situazione di stato oppure come una
situazione di processo. 1. Definizioni di stato: si focalizzano sui sintomi del burnout e prevedono:
a. Esaurimento emotivo (essere emotivamente sovraccarico) b. Depersonalizzazione (distacco da
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parte dell’operatore, arrivano quasi a ignorare l'aspetto umano e l'identità personale che
principalmente è attuata dai professionisti dell'aiuto per proteggere se stessi dalle emozioni
negative). Borgogni e collab. hanno introdotto il concetto di strain relazionale cioè una specifica
reazione manifestata in seguito a relazioni interpersonali impegnative e pressanti per cui la
persona sviluppa un atteggiamento di distacco emotivo e cognitivo. A differenza della
depersonalizzazione lo strainer razionale insorge come risposta a tutte le relazioni sul luogo di
lavoro e si manifesta come un atteggiamento di distacco ma è privo però della componente di
deumanizzazione, tipica invece della depersonalizzazione. c. Ridotta realizzazione professionale
(cioè la percezione di possedere ridotte competenze lavorative).
2. Definizioni di processo: descrivono le frasi attraverso cui il burnout si sviluppa. Uno dei modelli
più riconosciuti (Brodsky) ne individua 4 fasi: 1. Entusiasmo idealistico (aspettative di successo) 2.
Stagnazione (risultati impegno incerti) 3. Frustrazione (sentimenti di impotenza) 4. Apatia (totale
chiusura, perdita desiderio aiutare gli altri).
Il Burnout è una sindrome tipica soprattutto dai professionisti d'aiuto. Il disagio si manifesta
quando la persona si rende conto di non avere le risorse per affrontare le richieste provenienti dal
lavoro svolto. Conservation of resources theory (COR): più affrontare le richieste interpersonali le
persone tentano di proteggere le proprie risorse sviluppando talora il Burnout. Secondo questa
teoria da un lato le relazioni interpersonali sono un'importante risorsa personale ma dall'altro
possono essere una potenziale fonte di stress e portare a una perdita di risorse.
DAL BURNOUT ALL’ENGAGEMENT
Successivamente il burnout non venne più considerato solo come aspetto patologico, avente effetti
negativi ma la relazione psicologica di un individuo con il proprio lavoro venne concettualizzata
come un continuum fra l'esperienza negativa del burnout e il suo polo opposto positivo cioè
l'engagement. L'engagement è definito come uno stato energetico di coinvolgimento e
identificazione della persona nei confronti del proprio lavoro che incrementa l'efficacia personale.
Nel continuum bornout-engagement è possibile identificare tre dimensioni bipolari: inserimento
emotivo-energia, cinismo-coinvolgimento, inefficacia-efficacia. Il continuum burnout-engagement
va ad eliminare o ridurre il malessere causato dal burnout attraverso incremento dell'energia, del
coinvolgimento e dell'efficacia.
CAUSE DI INSORGENZA DEL BURNOUT
Tra le cause si possono individuare: - Fattori individuali per cui le persone rispondono in modo
diverso ai fattori stressanti per caratteristiche di personalità, valori, motivazioni e stili di vita.
-Fattori organizzativi: riguardo i fattori organizzativi Leiter e Maslach hanno individuato sei
principali aree di vita lavorativa che possono incidere sui livelli di burnout -> carico di lavoro,
controllo (autonomia), riconoscimento economico e sociale, integrazione sociale (relazione con
capi, colleghi), equità riguardo le decisioni da prendere, valori (intesi come a livello di congruenza
tra valori individuali e organizzativi).
EFFETTI DEL BURNOUT
Gli effetti negativi del burnout possono avere ripercussioni sul benessere psicofisico individuale ma
anche sull'intera organizzazione. – effetti individuali: sintomi fisici (mal di testa, stanchezza, deficit
a livello immunitario) e psicologici (ansia, irritazione depressione). un effetto negativo che il
burnout può produrre e relativo all' equilibrio lavoro-vita privata. – effetti organizzativi :
diminuzione della soddisfazione dei clienti per i servizi su ricevuti, insoddisfazione lavorativa,
scarso commitment, assenteismo, turnover, intenzione di lasciare il posto di lavoro.
VALUTAZIONE DEL BURNOUT
La valutazione viene eseguita attraverso degli strumenti come il Maslasch Burnout Inventory ( MBI
-> esistono 3 versioni), è un questionario che si fonda sulla concettualizzazione del burnout come
una sindrome causata da stress cronico è caratterizzata da tre dimensioni (esaurimento emotivo,
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cinismo e inefficacia). Un altro strumento è l’Organizational Checkup System (OCS) che è più
recente e più completo poiché è applicabile a tutte le categorie professionali sia a livello
individuale che organizzativo. È un questionario composto da 68 item suddivisi in quattro sezioni:
le tre dimensioni del burnout (esaurimento, cinismo, inefficacia), le 6 aree delle vita lavorativa, la
percezione dei soggetti sui cambiamenti, i processi di gestione nell'organizzazione.
INTERVENTI
Come nel caso del mobbing, anche per il burnout gli interventi realizzabili possono essere riferiti a
tre differenti livelli:  Individuale: prevenzione -> revisione del reclutamento, formazione,
inserimento, counselling psicologico  Sociale: interventi svolti dal sistema delle relazioni
interpersonali e dal sostegno sociale  Organizzativo: interventi in cui si prendono in
considerazione gli stili di management, i gruppi di lavoro, la cultura organizzativa e clima.
LA TRAUMATIZZAZIONE VICARIA
INTRODUZIONE
Un'altra mitizzazione vicaria (TV) rappresenta una potenziale fonte di disagio psicologico specifica
per coloro che operano in particolari settori occupazionali, cioè professioni dell'aiuto che sono
esposti a situazioni di carattere più o meno traumatico quando prestano soccorso in situazioni di
emergenza (vigili del fuoco, forse dell'ordine, personale sanitario). Le condizioni di questi lavori
presentano potenziali fattori di rischio per la salute fisica e psicologica: lo stress derivante dalla
gestione di eventi critici può generare effetti negativi sul benessere psicologico. A differenza del
burnout, i sintomi post-traumatici derivano dall'esposizione a circostanze acute, traumatiche
(Bambini in sofferenza, corpi carbonizzati). Ma non tutte queste professioni portano a rischi
psicosociali poiché alcuni soggetti possiedono risorse psicologiche in grado di proteggerli da effetti
negativi sulla salute come per esempio la consapevolezza di condurre un'attività socialmente utile.

CAUSE E MANIFESTAZIONI DELLA TRAUMATIZZAZIONE VICARIA


Il disturbo post traumatico da stress (DPTS) deriva dall'esposizione a eventi traumatici che
implicano l'esperienza diretta o l'osservazione di situazioni di minaccia, morte o gravi ferite. I
professionisti dell’aiuto ne rappresentano una categoria a rischio. A differenza del DPTS, la TV può
essere sviluppata anche senza avere direttamente esperito l'evento traumatico ma può derivare
anche dalla semplice conoscenza di eventi di tale genere, vissuti da altre persone (raccontati dalla
vittima). Chi si prende cura di persone fisicamente e psicologicamente traumatizzate può
sviluppare le stesse manifestazioni emotive diventando vittime indirette o vicarie. I sintomi con la
TV sono del tutto sovrapponibili a quelli dimostrati dalle vittime, che soggette DPTS trasmettono in
maniera indiretta il proprio malessere a coloro che in maniera empatica offrono il loro supporto. I
sintomi sono: pensieri intrusivi (pensieri, immagini, incubi, e flashback e allucinazioni), evitamento
degli stimoli associati all'evento (luoghi, persone), iperattivazione (ansia, irritabilità, rabbia,
difficoltà di concentrazione, ipervigilanza e difficoltà di sonno).
VALUTAZIONE DELLA TRAUMATIZZAZIONE VICARIA
Uno degli strumenti per la valutazione della TV è la secondary traumatic stress scale che include 17
item in cui lo stressor è rappresentato non dall'esposizione all'evento critico ma alla vittima che lo
ha subito. Questo questionario valuta la frequenza di sintomi della TV. [versione italiana 15 item].
INTERVENTI
(I Professionisti dell'aiuto hanno a disposizione risorse psicologiche in grado di contrastare gli
effetti negativi derivanti da eventi critici). Il critical incident stress management (CISM) è Un
approccio costituito da più interventi tra di loro combinati. L'obiettivo è quello di limitare il più
possibile lo stress psicologico riducendo l'insorgenza di reazioni post traumatiche. Il CISM Include 7
elementi basilari: 1. la preparazione pre-crisi Attraverso consulenze 2. procedure di smobilitazione
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di massa da implementare dopo disastri 3. consulenza individuale per il supporto in situazione di


crisi acuta 4. brevi discussioni in piccoli gruppi 5. lunghe discussioni in piccoli gruppi (vicinanza tra
le persone dopo la crisi) 6. interventi di supporto alle famiglie 7. procedura di follow-up e di
eventuale rimando professionale per valutazioni o interventi psicologici. È un intervento che copre
l'intero processo, dalla fase pre a quella post crisi. Altri tipi di intervento sono gli interventi
individuali di supporto alla crisi, realizzati subito dopo l'evento critico durante i quali vengono
ascoltati i fatti, si opera sulle sensazioni della vittima, si facilita il supporto sociale, viene fornito
conforto emotivo nel quale si cerca di mobilitare le risorse necessarie per reagire all'accaduto. Il
debrifing psicologico di gruppo è un intervento sviluppato al fine di supportare gli operatori delle
emergenze esposti a circostanze critiche. Esso punta a prevenire risposte disfunzionali a eventi
critici, a ristabilire un'adeguata padronanza delle capacità e risorse, incrementare il supporto
sociale (ridare un senso alla vita) accettando l’accaduto e infine ridurre i sintomi. Un’altra Tecnica di
debriefing è il critical incident stress debriefing (CISD) per cui si parte dall'elaborazione cognitiva
dell'evento, poi si ha la rielaborazione emotiva dell'accaduto e infine si torna a focalizzare
l'attenzione sugli aspetti cognitivi.
CONCLUSIONI
La psicologia occupazionale (occupational Health psychology) ha l'obiettivo di prevenire il
malessere psicologico e i rischi correlati tramite la realizzazione di ambienti lavorativi sani. Per fare
ciò occorre individuare e analizzare quali siano i fattori organizzativi che maggiormente portano
rischi attraverso lo studio di varie discipline. Luczak osserva che tradizionalmente la progettazione
dei luoghi di lavoro avveniva secondo una prospettiva tecnocentrica in base alla quale ci si aspetta
che siano le persone ad adattarsi alle caratteristiche dell'ambiente di lavoro, al contrario l'autore
suggerisce che un buon ambiente di lavoro è quello costruito secondo una visione andropocentrica
che pone l'individuo al centro del processo di progettazione. Un'altra strategia per promuovere il
benessere organizzativo è quella di costruire centri di salute organizzativa all'interno dei luoghi di
lavoro che si occupano di valutare e monitorare costantemente le condizioni di salute psicologica
per impostare piani di prevenzione ed intervento.

CAP 10 – I COMPORTAMENTI CONTROPRODUTTIVI


È importante studiare i comportamenti controproduttivi come frode, corruzione, conflitto di
interessi, furto in ambito organizzativo, bullismo ecc perché rappresentano spesso la causa delle
perdite nel mercato economico.
CHE COSA SONO I COMPORTAMENTI CONTROPRODUTTIVI
I comportamenti controproduttivi si manifestano in diversi modi: comportamento immorale
organizzativo, cattivo comportamento, comportamento controproduttivo al lavoro, aggressione
organizzativa, comportamento antisociale, ritorsione, vendetta, delinquenza, violenza, abuso
emotivo, mobbing/bullismo. Questi sono comportamenti intenzionali che danneggiano
l'organizzazione, violando nome e minacciando il benessere dei suoi membri. L’intenzionalità si
riferisce alla consapevolezza del lavoratore di non attenersi alle norme e alle procedure
organizzative e sociali e alla consapevolezza che quel comportamento potrà arrecare danni. Non
tutti i comportamenti controproduttivi possono essere intenzionali. Kolloway e coll. considerano i
comportamenti controproduttivi come una forma di protesta in cui individui e gruppi cercano di
modificare una situazione di ingiustizia. Skarlicki e Folger hanno introdotto la nozione di
comportamenti negativi riferendosi ad azioni messe in atto in risposta a un'ingiustizia organizzativa
con lo scopo di punire il responsabile e sono intenzionali a produrre un danno. I comportamenti
devianti (volontari) sono distinti dall'aggressione o dalla ritorsione in quanto sono generalmente
meno espliciti i motivi sottostanti. Sono state identificate diverse tipologie di comportamenti
controproduttivi: quelli attivi come l'aggressione e il furto, quelli passivi cioè non attenersi di
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proposito a istruzioni e non essere consapevoli dello svolgimento scorretto del proprio lavoro.
Robbinson e Bennett classificano i comportamenti contro produttivi lungo due assi: target
(organizzativo vs individuale) e gravità del comportamento (grave vs marginale). Identificano
quattro gruppi di comportamenti controproduttivi: production deviance (Organizzativi marginali ->
Pendersi pausa più lunga del dovuto o lavorare lentamente in modo intenzionale), property
deviance (Organizzativi gravi-> sabotaggio, furto di attrezzature), political deviance (interpersonali
marginali-> diffondere pettegolezzi, incolpare altri) e Personal aggression (interpersonali gravi ->
molestie sessuali, abusi verbali). Spector individua 5 categorie: abuso dell'altro -> forme dirette o
indirette di aggressione nei confronti di un collega (forme dirette di aggressione fisica tendono a
essere infrequenti mentre forme dirette di aggressione verbale e forme indirette di aggressione
tendono ad essere più frequenti), devianza produttiva (comportamenti passivi) -> il lavoratore
sceglie intenzionalmente di non eseguire efficacemente e correttamente un compito, sabotaggio
(comportamenti attivi) -> attiva manomissione o consapevole danneggiamento di una proprietà
dell'organizzazione, furto -> da parte dei lavoratori è considerato una forma di aggressione contro
l’organizzazione, i comportamenti di ritiro o whithdrawal -> situazioni in cui la qualità di tempo
dedicato al lavoro viene ridotta rispetto a quando richiesto dall'organizzazione (assenza, ritardi,
andarsene prima dal lavoro e prendersi più pause).
COSA SPINGE UN LAVORATORE A METTERE IN ATTO UN COMPORTAMENTO CONTROPRODUTTIVO?
I comportamenti aggressivi sono spesso considerati il frutto di emozioni negative come rabbia,
frustrazione oppure come risposta a condizioni ambientarli e lavorative. Vengono identificati due
motivi di base: Ostile e strumentale. L'aggressione ostile (definita calda) è chiamata affettiva,
impulsiva o reattiva e fa riferimento a quell'insieme di comportamenti aggressivi di natura
impulsiva e non pianificati, ha origine dalla rabbia e ha l'obiettivo di danneggiare e fare male alla
vittima (es forme di abuso). L'aggressione strumentale (definita fredda) viene definita proattivo e
ha l'obiettivo di ottenere qualche beneficio personale attraverso il danneggiamento della vittima
(per es il furto).
Secondo alcuni autori i comportamenti controproduttivi possono avere motivazioni prosociali
(Possono fornire aiuto e supporto). Secondo lo stressor-emotion model (Spector e Fox) la messa in
atto di comportamenti controproduttivi deriva sia da elementi del contesto organizzativo che da
meccanismi emotivi e cognitivi individuali. Gli eventi organizzativi frustranti possono considerarsi
stressor lavorativi che potrebbero condurre a una reazione emotiva negativa la quale indurrebbe la
messa in atto di comportamenti controproduttivi. Dunque gli stressor danno l'avvio a
comportamenti contro produttivi attraverso l’arousal delle emozioni negative. Gli elementi
costitutivi di questo modello sono: un ambiente lavorativo caratterizzato da forti stressor che
interferiscono con performance come conflitti, ingiustizie ecc.; la percezione del lavoratore di tali
situazioni come stressanti; l'esperienza di emozioni negative come reazioni a tale percezione; e la
messa in atto di comportamenti contro produttivi. [I fattori di personalità influiscono perché sono
in grado di modulare la risposta emotiva e comportamentale.] I comportamenti controproduttivi
sono funzionali per l'individuo che li mette in atto per gestire la situazione stressante e
disfunzionali per l'intera organizzazione che viene danneggiata. I comportamenti controproduttivi
sono influenzati da vincoli organizzativi (come indisponibilità di risorse) e dal carico di lavoro. I
comportamenti controproducenti possono anche derivare dall'aver subito comportamenti
aggressivi a lavoro (questo viene considerato una forma di comportamento controaggressivo) ma
non sono necessariamente diretti verso la persona responsabile delle aggressioni ma verso altri,
finendo per riprodurre le spesse sofferenze. Un'ulteriore causa di comportamenti aggressivi di cui
sono vittime i lavoratori possono essere i clienti (maleducati), oppure i capi/supervisori che
trattano ingiustamente il lavoratore, che di conseguenza è portato a reagire aggressivamente
contro l'organizzazione ma mai contro i capi per timore di ulteriori ritorsioni. Uno stile di leadership
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che può portare a comportamenti controproduttivi è lo stile di leadership ostile/abusante cioè


oppositivo e non supportivo.
IL RUOLO DEL DISIMPEGNO MORALE
Nei comportamenti strumentali è necessario analizzare il ruolo dei meccanismi cognitivi di
giustificazione per cogliere la componente di intenzionalità. I meccanismi di disimpegno morale
descritti nella teoria social-cognitiva di Bandura spiegano come le persone possono mettere in atto
comportamenti in contrasto con i propri standard morali ed etici senza riconoscerne l'incoerenza e
riducendo i sentimenti di colpa, rimorso ed imbarazzo. L’adozione di specifici standard morali non
va per forza ad autoregolare la condotta. Ricerche hanno evidenziato il ruolo del disimpegno
morale all'interno del modello stressor-Emotion, mostrando come affinché si attui una risposta
controproduttiva all'attivazione emotiva negativa sia necessario che vengano attivati meccanismi di
disimpegno morale. Quindi la messa in atto di comportamenti controproduttivi è possibile solo
dopo una temporanea disattivazione del proprio controllo morale grazie ai meccanismi di
disimpegno morale.
IL RUOLO DELLE CARATTERISTICHE DI PERSONALITA’
La personalità e vari fattori individuali possono sostenere o contrastare comportamenti
controproduttivi.
I 5 GRANDI FATTORI DI PERSONALITA’ (coscienziosità, energia, amicalità, stabilità emotiva e
apertura mentale). Gli individui coscienziosi sono descritti come persone serie, affidabili che
rispettano le regole e che cercano di utilizzare al meglio le proprie risorse per raggiungere gli
obiettivi. Le persone amicali sono descritte come sensibili ai bisogni degli altri mentre le persone
ad alta Stabilità emotiva sono descritti come rilassati, sicuri, pazienti e tendono ad avere bisogno di
meno tempo ed energie per regolare le loro emozioni e hanno maggiore capacità nel saper usare
al meglio le risorse. Tutte queste caratteristiche portano a una bassa probabilità di comportamenti
controproduttivi.

INTEGRITA’
L'integrità è un altro fattore che è influenza le condotte devianti e antisociali. i test di integrità sono
stati utilizzati nei processi di selezione del personale per identificare ed escludere candidati che
sono al rischio di condotte controproduttive. Le persone con punteggi elevati nei test di integrità
sono più produttive, fanno meno essenze e mettono in atto meno comportamenti
controproduttivi.
OTTIMISMO, LOCUS OF CONTROL E PERCEZIONE DI AUTOEFFICACIA
Ottimismo, locus of control percezione di autoefficacia sono altre caratteristiche di personalità che
influenzano i comportamenti contro produttivi. le persone che hanno un orientamento positivo
verso il futuro e si sentono più capaci di gestire l'attività lavorativa e tendono meno a
comportamenti contro produttivi. i lavoratori con un locus of control esterno cioè che tendono ad
attribuire le cause degli eventi a fattori esterni sono quelli che mettono in atto più frequentemente
comportamenti contro produttivi. L’autoefficacia influenza il modo in cui lavoratori gestiscono le
situazioni lavorative riconosciute come difficili e minacciose e le persone che sanno gestire i
compiti e le emozioni provano meno emozioni negative e mettono in atto o meno comportamenti
controproduttivi.
MACCHIAVELLISMO, NARCISISMO E PSICOPATIA
Gli individui Machiavellici sono meno vincolati dal desiderio di eseguire le richieste normative,
hanno la tendenza ad essere cinici e manipolativi. Un maggiore machiavellismo porta a maggiore
probabilità di Comportamenti contro produttivi, a vendicarsi di un torto subito, a mentire anche ai
propri amici. Le persone narcisiste sono più frequentemente ostili e aggressive soprattutto se viene
minacciato il loro ego, per loro gli standard comuni non si applicano a loro stessi e questo porta un
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aumento di comportamenti controproduttivi come frode, bullismo e aggressione. La psicopatia è


associata a varie forme di criminalità come molestia sessuale, stupro ed omicidio. Questi lavoratori
non sono empatici ed affettivi e sono disinteressati dagli obblighi sociali.
AFFETTIVITA’ NEGATIVA, RABBIA E ANSIA DI TRATTO
Affettività negativa porta a provare stress e disagio in diverse situazioni, ruminare sugli errori,
provare emozioni negative, vedere tutto negativo e di conseguenza mettere in atto comportamenti
aggressivi. Le persone con livelli elevati di rabbia percepiscono tutto più negativamente mettono in
atto comportamenti come sbattere porte, utilizzare sarcasmo e ferire altre persone. Mentre elevati
punteggi d'ansia portano a maggiore frustrazione, insoddisfazione, stati affettivi che
predispongono più facilmente la messa in atto di comportamenti controproduttivi.
INTERAZIONE PERSONA-AMBIENTE
Oltre ai fattori di personalità le caratteristiche dell'ambiente possono influenzare il
comportamento. Non tutti gli individui però rispondono allo stesso modo alle stesse condizioni
contestuali ->per esempio gli stressor hanno un effetto maggiore tra le persone con alta affettività
negatività piuttosto che quelle con bassa affettività negativa.
IL RUOLO DEL CONTROLLO
Il modello stressor-emotion prevede flusso che va dall'ambiente ai comportamenti attraverso la
risposta emotiva negativa. Ma ci sono diversi fattori che possono mitigare la risposta emotiva e
controproduttiva come il ruolo del controllo. Un lavoratore che è orientato ad arrabbiarsi non
necessariamente esplode in ogni situazione, perché subentra l'autocontrollo cioè la capacità di
gestire i propri stati emotivi e inibire una reazione impulsiva o aggressiva nei confronti di una
provocazione o una situazione frustrante. Inoltre si è dimostrato come la convinzione di
autoefficacia lavorativa e autoefficacia emotiva cioè la capacità di gestire le proprie attività
professionali ed emozioni negative tende a ridurre la percezione degli stressor lavorativi e risposte
emotive negative e quindi sarà bassa la probabilità di comportamenti controproduttivi.
[Il comportamento controproduttivo è un sintomo di disfunzionalità del sistema organizzativo]

CAP 11 – LA CARRIERA
GLI STUDI PSICOLOGICI SULLA CARRIERA
Nel senso comune del termine, la carriera è la carriera lavorativa o professionale: un percorso a
gradini, marcato da indicatori evidenti quali i livelli di inquadramento, la collocazione nella linea
gerarchica, gli ambiti di responsabilità attribuiti. Form e Miller definiscono l'occupational career
pattern come la sequenza e la durata delle posizioni lavorative occupate dagli individui, una scala
di promozioni. Col tempo l’interesse si sposta sul rapporto individuo-organizzazione, volgendo
l’attenzione al momento della scelta professionale e al processo di mutuo adattamento tra la
persona e l’organizzazione. Holland studia la congruenza tra il tipo di personalità e il tipo di
ambiente lavorativo, mentre Schein interpreta la carriera come un processo di negoziazione
continua tra individuo e organizzazione. Un altro filone di studi è inaugurato da Super che
sostituisce il termine “career path” con quello di “life stage” (fasi della vita o stadi di sviluppo).
Nella teoria di Super la carriera è più ampiamente una carriera di vita (lavoro, famiglia, tempo
libero) e non solo carriera professionale. L'attenzione è volta all'interpretazione da parte dei
soggetti dei comportamenti e delle interazioni. La tendenza a cogliere nella carriera il punto di vista
soggettivo, i processi di costruzione di sé e del mondo esterno, distingue i contributi teorici dei
paradigmi costruttivista e sociocostruzionista. In quest’ottica prevale la tendenza a raffigurare la
carriera non più come sequenza di promozioni governata dall’organizzazione, ma come processo di
autoformazione e self management gestito individualmente e sorretto dall’apprendimento di
diverse competenze. Le carriere “senza confini” comprendono diversi tipi di impegni in diverse
organizzazioni.
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TEORIE A CONFRONTO:
LA TEORIA DI SUPER E GLI SVILUPPI SUCCESSIVI
La psicologia del ciclo di vita ha elaborato modelli volti a comprendere come le persone integrano il
loro lavoro nelle loro vite e come lo sviluppo individuale si nutra dell'esperienza di crescita
professionale. Super la carriera è un processo decisionale che porta a scelte professionali che
rappresentano l’attualizzazione del concetto di sé relativo alla professione. Super individua 2
dimensioni che si incrociano:  La dimensione life-span (arco di vita), che denota le 5 diverse tappe
(maxi-cicli di sviluppo) nel corso della vita: la crescita (infanzia), l’esplorazione (adolescenza), la
stabilizzazione (dai 24 ai 44 anni), il mantenimento (45/65 anni) e il declino (dopo i 65 anni);  e la
dimensione life-space (spazio di vita) che denota i diversi ruoli assunti dall’individuo nel corso
dell’esistenza (bambino, studente, donna, uomo, padre, lavoratore ecc). La maturità di carriera di
un individuo dipenderà dalla sua capacità di realizzare un compromesso tra i diversi ruoli che
ricopre, tra i diversi concetti di sé e le diverse realtà con cui si confronta, tra i compiti di sviluppo e
le risorse cognitive e affettive a sua disposizione per affrontarli. Savickas propone la carrer
costruction Theory che si concentra su come gli individui costruiscono i ruoli di vita, compresa la
carriera lavorativa (descrive i life stages->stadi della vita). Secondo egli la carriera è costruita
dall'ambiente di lavoro e dall'insieme di relazioni interpersonali. Savickas a differenza di Super
sostiene che gli stadi di carriera non sono lineari ed evidenzia percorsi di carriera meno prevedibili.
Gli individui possono passare attraverso un mini ciclo di crescita, esplorazioni, creazioni,
realizzazioni e disimpegno. Questi passaggi non lineari derivano da cambiamenti imprevisti
(malattie) e che sviluppano la capacità di adattamento individuale.
LA TRANSAZIONE BIOGRAFICHE E PROFESSIONALI
Intorno agli anni Ottanta, vi è una nuova visione che supera il modello stadiale di Super per un
modello transizionale dovuto alle nuove prospettive di carriera non più a “scalata” ma trasversali
all’organizzazione le cosiddette boundaryless career. La rappresentazione transazionale della
carriera avviene maggiormente durante l'età adulta in quanto questa è dominata da eventi non
normativi (licenziamenti, malattie). [Transazioni costituiscono dei momenti cruciali di svolta nello
sviluppo adulto] Quindi diviene importante cogliere i fattori che influenzano le capacità
dell'individuo a fare fronte a questi eventi non normativi. Nicholson ha proposto “un ciclo di
transizione” per analizzare ogni transizione lavorativa che prevede le seguenti fasi: 1) Preparatoria
(precede l’assunzione di ruolo); 2) Incontro (il soggetto attribuisce un significato a fronte di un
vissuto di disorientamento); 3) Aggiustamento (il soggetto si consolida e si interroga sulle possibili
strategie di sviluppo da adottare); 4) Stabilizzazione (il soggetto si concentra sulla prestazione e
progetta un ulteriore passaggio di ruolo. Spesso questa fase è attraversata da noia e stagnazione).
Allargando ulteriormente lo sguardo fino a comprendere l’intero ciclo di vita professionale,
Schlossberg individua 4 tipi di transizioni lavorative: 1) L’ingresso nel mondo del lavoro 2) La
mobilità interna (promozioni, cambiamenti di ruolo) 3) La perdita del lavoro (coatta o volontaria) 4)
Ritorno a un lavoro o a un contesto precedente. Le transizioni lavorative o di carriera possono
avere un impatto sugli altri ambiti dell'esistenza (es Intrapsichiche) e sulla vita delle persone con le
quali si entra in contatto. L'adattamento al lavoro non è l'unica preoccupazione di un individuo ma
vi sono anche altri transiti che possiamo definire quotidiani (famiglia).
L’APPROCCIO SVILUPPO-CONTESTO
Vondraceck e coll. hanno focalizzato il loro interesse sul percorso che conduce l’adolescente o il
giovane adulto a compiere determinate scelte professionali (influenza: della famiglia, scuola, amici;
dei comportamenti devianti; e dei problemi di salute mentale). Vondraceck riprende gli assunti di
Bronfenbrenner che distingue quattro livelli di contesti che influenzano l'individuo:  microsistemi
sono costituiti da contesti più prossimi all’individuo (famiglia->microsistema fondamentale, lavoro)
e interazioni diadiche (madre-figlia)  mesosistemi sono l’insieme delle interazioni fra i
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microsistemi,  gli esosistemi indicano contesti ambientali a cui il soggetto non partecipa
direttamente o continuamente: es. mercato del lavoro, lavoro del coniuge  ed infine i
macrosistemi, che rappresentano il sistema socio-economico e le culture che influenzano le scelte
professionali. Lo sviluppo resta comunque un processo dotato di plasticità, perché i contesti sono
oggetto di costruzione continua da parte degli individui e perché queste “costruzioni” provocano in
essi delle retroazioni, feedback verso l’individuo.
IL COSTRUTTIVISMO E IL SOCIOCOSTRUZIONISMO
Il costruttivismo si interessa alla costruzione del mondo psichico e sociale attraverso i processi
cognitivi individuali e intrapsichici, prestando poca attenzione alle interazioni sociali. Mentre
concentra l'interesse su come l'individuo costruisce il proprio sé e dà significato alla propria
esistenza. Viene considerato il “significato” quale aspetto centrale della carriera e la narrazione la
forma in cui quel significato si esprime e può essere colto. É infatti attraverso il racconto di una
storia (come processo di ricostruzione e interpretazione dell’esperienza) che gli individui danno un
senso alle loro carriere. Al contrario, il sociocostruzionismo sostiene che il mondo psichico e sociale
sono costruiti nelle interazioni sociali e nelle pratiche discorsive. La carriera quindi è il prodotto di
pratiche discorsive e sociali che replicano le istituzioni, le norme culturali, i quadri ideologici
“dominanti”.
IL SOCIOCOGNITIVISMO
La teoria sociocognitiva ripresa dagli studi di Bandura ha l’obiettivo di comprendere come gli
individui sviluppano gli interessi e le scelte di carriera. Per egli il comportamento, l’ambiente
sociale e la persona sono i tre fattori che contribuiscono allo sviluppo psicologico. In questa teoria
è molto importante la self-efficacy (autoefficacia), buon predittore di molti comportamenti. Più
recentemente, la self-efficacy diviene la componente centrale della “Social-cognitive career
theory” (SCCT) di Lent, Brown e Hackett. Questa teoria cerca di comprendere il processo dinamico
e i meccanismi attraverso cui: a) il percorso di carriera si sviluppa, b) le scelte vengono portate
avanti, e c) le prestazioni lavorative sono realizzate. La SCCT evidenzia anche come tre variabili
personali di carattere cognitivo, la self-efficacy, le aspettative e credenze circa i propri risultati, e
l’intenzione di portare avanti gli obiettivi, interagiscano con il contesto socioculturale e le variabili
personali per predire gli interessi e il percorso di carriera scolastica e lavorativa. Gli interessi,
determinati dalla self-efficacy e dall'esperienza, guidano il raggiungimento degli obiettivi e i
risultati ottenuti vanno a modificare la self-efficacy e le aspettative. La self-efficacy e le aspettative
sono influenzate sia dalle caratteristiche individuali (genere, etnia, salute) sia dalle variabili
contestuali (l’ambiente). La SCCT recentemente ha esteso i suoi obiettivi alla comprensione delle
dinamiche legate alla soddisfazione lavorativa e scolastica. Lent e Brown hanno dimostrato che le
stesse variabili predittive della soddisfazione lavorativa possono influenzare gli esiti di retirement
(pensionamento). Oltre ai tratti di personalità anche i livelli di abilità adattive fanno fronte alla
transizione di ruolo e la self-efficacy Adegua i propri progetti di carriera sulla base di ostacoli.
IL BUON ADATTAMENTO TRA PERSONA E AMBIENTE
La teoria di Holland dei tipi di personalità e degli ambienti lavorativi si è sviluppata nell’arco di
cinquant’anni e ha esercitato un’enorme influenza nella pratica dell’orientamento professionale.
L’assunto implicito della teoria di Holland è che le scelte di carriera sono espressione della
personalità individuale e che le persone che operano in un medesimo contesto professionale
hanno strutture di personalità simili. L’autore descrive sei tipi di personalità che possono essere
dominanti o secondari: 1) Realistica 2) Intellettuale o investigativa 3) Artistica 4) Sociale 5)
Imprenditoriale 6) Convenzionale. Ogni individuo non corrisponde a un tipo “puro” ma può avere
un tipo dominante e tipi secondari. Tipi di personalità vanno a determinare il tipo di ambiente di
lavoro. Il grado di congruenza tra i tipi di personalità e i tipi di ambienti va a predire le scelte
professionali, la persistenza o il turnover in un ambiente del lavoro, la soddisfazione e il successo
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professionale di un individuo in un dato contesto. La Teoria di adattamento del lavoro (TWA,


Theory of Work Adjustment) di Dawis e Lofquist, è simile a quella di Holland (filone person-
environment fit) ma più interessata ai processi di adattamento dell’individuo sul luogo del lavoro.
Primo assunto della teoria è che il soggetto tende a mantenere una relazione armoniosa tra le
proprie esigenze e il proprio lavoro sia in termini di registro delle abilità (abilità che l’individuo
possiede e che sono richieste dall’organizzazione) che di registro dei valori (insieme di bisogni che
ha l’individuo e che l’organizzazione può soddisfare). La corrispondenza tra abilità possedute e
quelle richieste genera la satisfactoriness (soddisfazione organizzativa, sulla base della quale gli
individui possono essere promossi, trasferiti o licenziati). La corrispondenza fra i valori
dell’individuo e le risposte dell’organizzazione genera una soddisfazione individuale, sulla base
della quale gli individui decideranno se restare o licenziarsi. La non corrispondenza tra sé e
l’ambiente di lavoro può portare il soggetto a modificare se stesso oppure l’ambiente in modo da
adattarsi prima di decidere di cambiare lavoro.
LE ANCORE DI CARRIERA
Nell’ambito degli studi sulle carriere nelle organizzazioni, fondamentale è il contributo di Schein,
che descrive la carriera come un processo di socializzazione caratterizzato dall’influenza reciproca
tra individuo e organizzazione. Il concetto di ancore di carriera rimanda gli aspetti centrali del sé a
cui la persona non rinuncerà nei casi di difficili scelte o di transazioni di ruolo. È un insieme di auto-
percezioni basate sui successi lavorativi e sul feedback di terzi, che l’individuo ha rispetto a talenti,
motivazioni, bisogni, interessi e basati sull’incontro tra sé e l’organizzazione. Nei primi studi in
proposito, Schein definisce 5 àncore di carriera:  Competenza manageriale  Competenza tecnica
 Sicurezza e stabilità  Creatività e intraprendenza  Autonomia e indipendenza. Successivamente,
DeLong individua altre 3 ancore di carriera: identità (prestigio), servizio (aiuto agli altri) e varietà
(molteplici cambiamenti). Il contributo di Schein vuole porre l’attenzione sugli aspetti dinamici e di
interazione tra individuo e organizzazione, cogliendo l’incontro tra le aspettative individuali e le
opportunità e i vincoli organizzativi. Le ancore di carriera sono state utilizzate in molti contributi di
ricerca con l'obiettivo di individuare i profili in grado di descrivere le diverse concezioni di carriera.
NUOVI SCENARI E NUOVE SFIDE
Tradizionalmente la carriera era descritta come una progressione lineare di responsabilità
lavorative che si svolgeva all’interno di pochi, se non di un unico, contesti organizzativi. Negli anni
90 si diffondono molti contributi teorici in cui si evidenzia la necessità di oltrepassare questa
concezione di carriera e di proporre una nuova definizione in grado di considerare la carriera come
un concetto dinamico e multidimensionale. La nuova concezione di carriera si rifà all'acquisizione
di abilità ed esperienze che derivano dall'appartenenza a un'organizzazione che evolve in direzioni
inattese e non lineari. La carriera senza confini cioè la boundaryless career caratterizza le nuove
organizzazioni. Riguardo a ciò si può fare riferimento ai “successi psicologici”, agli obiettivi
personali raggiunti piuttosto che quelli convenzionalmente imposti da terzi (genitori, pari,
organizzazioni, società in generale). Inoltre le crescenti richieste legate ai nuovi criteri per fare
carriera possono entrare in conflitto con gli obblighi famigliari, domestici e civili, generando un
senso di sovraccarico e conflitto di ruolo. Le organizzazioni inoltre non sono più in grado di
sviluppare la carriera dell’individuo, pertanto l’individuo si deve arrangiare a crescere
autonomamente con la conseguente scarsa identificazione con l’organizzazione di appartenenza.
Questo focus sull’individuo è particolarmente evidenziato quando si parla di protean career,
termine associato a quello di boundaryless career. La protean career è una carriera polimorfica,
cioè che può assumere diversi aspetti. È un processo gestito dalla persona e non
dall'organizzazione e che comprende diverse esperienze che la persona fa nei vari settori
occupazionali. Secondo la protean career per raggiungere il successo psicologico si deve
abbandonare la classica definizione di carriera che prevede la suddivisione tra il lavoro pagato e i
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compiti di cura invece i due domini di vita devono unirsi. Le scelte di carriera dell'individuo e la sua
autorealizzazione sono gli elementi di integrazione e unificazione della propria vita. [Non si può
prevedere come la carriera cambierà nei prossimi anni perché lo scenario socio economico è
caratterizzato da incertezza, dinamismo e complessità]

CAP 12 – I VALORI PERSONALI NEI CONTESTI ORGANIZZATIVI


VALORI COME CREDENZE
Allport parte dalla concezione di valore come credenza che l'individuo possiede riguardo ciò che
preferisce e presuppone che le persone agiscono in base alla preferenza verso qualcosa. Ogni
comportamento può essere classificato come:  Teorico (orientato alla ricerca della verità) 
Economico (utilità)  Estetico  Sociale  Politico (potere)  Religioso. I values test rilevano i singoli
valori in diversa misura e i risultati servono per comprendere le scelte quotidiane del soggetto. I
valori vengono intesi come elementi stabili. I cambiamenti che intervengono attraverso le
esperienze personali, sociali e culturali non solo generano differenze individuali nel sistema di
valori ma creano anche modificazioni all'interno della stabilità. [ i valori sono determinanti degli
atteggiamenti; si distinguono dalle norme sociali poiché più personali e più interni mentre le
norme sociali si riferiscono ai modi di comportarsi in specifiche situazioni, provengono dall'esterno
e si aderisce con il consenso; Gli interessi sono una conseguenza dei valori. I sistemi di valori si
distinguono dagli orientamenti valoriali, i primi sono posti su di un continuum tra due poli e i
secondi sono descritti attraverso la presenza/assenza di alcuni fattori.] attraverso lo strumento
value survey si possono distinguere valori finali (vita confortevole, eccitante, sicurezza, libertà,
felicità ecc) e valori strumentali (l’essere ambizioso, tollerante, capace, allegro, utile, onesto,
intelligente ecc.). Secondo questa teoria gli antecedenti dei valori personali sono rintracciabili nella
cultura, nella società, nelle istituzioni e nella personalità mentre le conseguenze dei valori si
manifestano in fenomeni osservabili nel comportamento.
VALORI COME OBIETTIVI
Super descrive i valori non più come sistemi di credenze, ma come obiettivi che l'individuo intende
raggiungere. Egli distingue i valori dai bisogni e dall'interesse: i bisogni sono le necessità, i valori
sono il risultato di un'interazione con l'ambiente -> si stabiliscono gli obiettivi che le persone
desidero raggiungere per soddisfare i propri bisogni e gli interessi sono le attività che le persone
realizzano per raggiungere i propri valori e quindi soddisfare i bisogni. Per capire perché le persone
agiscono si guardano i bisogni; per capire cosa le persone cerchino per soddisfare i propri bisogni si
guardano i valori; per capire come le persone intendono comportarsi per raggiungere gli obiettivi ci
si riferisce agli interessi.
VALORI COME STATI DESIDERABILI
Secondo Schwartz i valori sono stati desiderabili, obiettivi, scopi o comportamenti applicati come
standard normativi per agire, strutturandosi in relazioni conflittuali. La conflittualità riguarda i
bisogni dell'esistenza umana, le ci principali dimensioni vengono evidenziate attraverso 2 tensioni
bipolari (apertura al cambiamento VS conservativismo, e autoaffermazione VS autotrascendenza).
L’autore individua 10 tipi motivazionali di valori che vengono rappresentati nel modello della
struttura dei valori universali: L'apertura al cambiamento è composta
da stimolazione e auto direzione, l’auto-trascendenza da
universalismo e benevolenza, il conservativismo da conformismo,
tradizione e sicurezza, l’autoaffermazione da potere, successo ed
edonismo. Vi è una compatibilità tra i valori adiacenti mentre
emergono conflitti tra le direzioni opposte.
MODELLI DI RELAZIONE TRA VALORI E VALORI LAVORATIVI

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Possiamo distinguere tra valori generali e alcuni valori specifici come i valori lavorativi. Possiamo
ipotizzare che i valori lavorativi siano la sorgente dei valori generali o che i valori generali generino i
valori lavorativi.
VALORI LAVORATIVI COME INDIPENDENTI
I valori generali e i valori lavorativi sono spesso studiati in modo indipendente. Tre sfaccettature
secondo cui i valori sono distinti sono: - la modalità-> i valori materiali hanno conseguenze pratiche
e sui risultati, i valori affettivi riguardano i sentimenti e quelli cognitivi sono relativi alle opinioni e
credenze che riguardano il mondo esterno; - il focus -> l'attenzione nei valori concentrati è centrata
su un tema molto specifico mentre per i valori diffusi può riferirsi a un tema generale; - le aree
della vita -> l'area specifica del lavoro e la più ampia area della vita in generale. Tale approccio
porta a descrivere i valori lavorativi come una specifica area all'interno dei valori generali rilevabile
e misurabile mantenendo la struttura relativa alla modalità e al focus.
VALORI LAVORATIVI COME ORIGINE
L’acculturazione psicologica fa riferimento al cambiamento che gli individui attuano nel
comportamento e nei tratti interiori grazie all'esperienza. L'esperienza professionale che le
persone svolgono nelle diverse organizzazioni fornisce il formarsi dei valori lavorativi e quindi
l'individuo apprende le norme di comportamento, gli atteggiamenti e i valori. la socializzazione
organizzativa fa riferimento agli elementi, che gli individui si trovano ad apprendere come prezzo di
appartenenza, come valori, norme e modelli di comportamento. L'adozione dei valori lavorativi
appresi nell'organizzazione può modificare la struttura dei valori generali degli individui.
VALORI LAVORATIVI COME INTERRELATI
Roe e Ester propongono un modello in cui si evidenziano le connessioni di valori tra società,
gruppo e individuo. Per ogni livello si prevedono legami tra i valori generali (obiettivi della vita),
valori lavorativi (risultati del lavoro) e l’attività lavorativa (ruolo). [vi è un rapporto di relazione
reciproca traduci questi elementi].
VALORI LAVORATIVI COME CORRELATI
Secondo Schwartz il lavoro correla positivamente con le società in cui valori di supremazia e di
gerarchia sono importanti, mentre l'importanza del lavoro è minore dove prevalgono i valori di
autonomia affettiva, eguaglianza e conformità. I valori lavorativi si riferiscono a fini o ricompense
che le persone cercano di raggiungere attraverso il lavoro. Quindi essi sono utilizzati dalle persone
come principi guida relativi alla valutazione dei ritardi, al contesto e alla decisione; sono riferiti alle
situazioni lavorative e quindi più specifici dei valori generali; sono le richieste che le persone fanno
verso il lavoro in generale; e sono anche le rappresentazioni verbali delle esigenze di un individuo o
di un gruppo.
ORIENTAMENTI VALORIALI E TIPI
Super conduce un progetto internazionale denominato WIS, in cui gli obiettivi sono: comprendere
l'importanza che il ruolo lavorativo ha nella vita delle persone in relazione agli altri principali ruoli
della vita (famiglia, studio, tempo libero) e rilevare a cosa giovani e adulti danno importanza. Viene
definito il Modello gerarchico dell’importanza del ruolo dove alla base si trovano -> Commitment +
partecipazione + conoscenza (considerati fondamentali, una loro combinazione è sempre
presente). La combinazione delle 3 componenti di base definisce il secondo livello: involvement
(commitment+partecipazione), interesse (commitment+partecipazione+conoscenza), engagement
(partecipazione e conoscenza). Alla punta vi è l’importanza, formata dalla combinazione degli
elementi del secondo livello. Riguardo allo studio dei valori lavorativi ogni cultura ha messo a
punto il proprio strumento. La ricerca WIS ha identificato 5 orientamenti valoriali e 6 tipi valoriali
che consentono una descrizione delle differenze più agevole e più consistente:
1. Orientamento materialistico (concezione pragmatica e utilitarista della vita - es prestigio,
guadagno, autorità) 2. Orientamento al sé (lavoro come mezzo di auto espressione - es sviluppo
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personale, estetica, altruismo, creatività) 3. Orientamento agli altri (strumento di relazione – es


relazioni sociali, altruismo, attività fisica) 4. Orientamento all’indipendenza (autonomia - es stile di
vita, autonomia, creatività) 5. Orientamento alla sfida (competizione – es rischio, autorità,
creatività, prestigio). 6 tipi valoriali: 1. Il creativo 2. Il rampante 3. Il tranquillo 4. Il duro 5. Il
battitore libero 6. Il sociale.
VALORI, RUOLI, ORGANIZZAZIONI E AMBITI LAVORATIVI
Ad influenzare i valori sono la cultura e i diversi stili di vita, mentre per quanto riguarda i valori
lavorativi influenzano fattori come l’età, il genere, la scolarizzazione ed anche l’ordine di genitura
(es. battitore libero tra i figli unici, il tranquillo tra i primogeniti ed il rampante tra i secondogeniti,
sociale tra i terzogeniti).
VALORI, CULTURE E VARIABILI ORGANIZZATIVE
È importante che ogni organizzazione coniughi i valori della propria cultura con i valori personali
dei membri in modo da migliorare le performance e inoltre i valori condivisi rende il contesto
organizzativo più vivibile sia professionalmente che emozionalmente sostenendo i processi di
cooperazione tra ruoli. Schein individua nei valori una dimensione emblematica delle culture
organizzative fondate sugli assunti ed espresse a livello più immediato degli artefatti. I fattori che
spiegano le differenze dei comportamenti Sono molti e interdipendenti e secondo Weich vi è un
effetto che viene chiamato mancanza di confini cioè l'organizzazione è scarsamente strutturata e gli
obiettivi poco chiari e si viene a creare un ambiente più favorevole all'effetto dei valori individuali.
VALORI, COMPORTAMENTI ORGANIZZATIVI E RUOLI LAVORATIVI
Riguardo il rapporto tra valori e ruoli svolti è importante ricordare che le decisioni prese
nell'esercizio dei suoi ruoli lavorativi risultano influenzate dai valori personali, Determinate
strutture valoriali rendono più probabile l'assunzione di determinati ruoli lavorativi ma anche
svolgere un ruolo porta ad assumere determinati valori (Es chi possiede valori filantropici da
maggiore importanza, chi ha valori di giustizia da peso ai fattori normativi, i manager danno
importanza agli aspetti economici). Sono state rilevate differenze significative sia in funzione del
livello di lavoro (settore pubblico e privato) svolto nelle organizzazioni e sia in funzione dei diversi
ambiti professionali. I valori sono legati anche al commitment organizzativo (es valori di tipo
umanitario predicono un commitment affettivo), alla soddisfazione lavorativa, alla motivazione,
allo stress lavorativo e all'etica. I valori lavorativi sono strettamente legati alle caratteristiche del
lavoro (chi ha ruoli di servizio e contatto con i clienti presenta valori più inclini all'altruismo e alla
cura). Da un’analisi dei tipi valoriali sulle professioni è emerso che l’orientamento al sé e
all’indipendenza sono + presenti nei liberi professionisti; l’orientamento alla sfida è più presente
negli artigiani e nei commercianti, mentre l’orientamento materialistico compare in misura
omogenea. L’orientamento agli altri è più presente nei dipendenti.
STRUMENTI DI MISURAZIONE DEI VALORI
La misura e l'analisi delle motivazioni, degli scopi, dei desideri delle persone costituisce serve
all'attività di orientamento, alla selezione, alla valutazione del potenziale nelle diverse situazioni
professionali per comprendere come il soggetto percepisce e intende il suo presente e il suo
futuro.
ASPETTI CRITICI E PROSPETTIVI
Attraverso l'approccio cognitivista si rilevano le credenze rispondendo a predefiniti item di
questionari mentre l'approccio psicodinamico si avvale della psicanalisi e si basa sulla relazione
diretta con gli interlocutori. Riguardo ai valori è tuttora aperta la questione se utilizzare l'uno o
l'altro approccio.

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