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RELAZIONI

INTERNAZIONALI
Prof. Anna Caffarena
POLITICA E POTERE (ppt 2)
L’oggetto di studio delle relazioni internazionali è la politica internazionale.

Cosa è la politica?
Politica= processo attraverso il quale l’autorità pubblica assume decisioni vincolanti
per la collettività relativamente a chi riceverà che cosa, come e quando.

A orientare l’azione dell’autorità pubblica, in particolare nelle democrazie, sono


alcuni valori sociali quali:
● Sicurezza
● Libertà
● Ordine
● Giustizia
● Benessere
Tutti questi valori sono importanti per la qualità della vita degli individui, ma garantire
la sicurezza dei cittadini è compito primario dello stato. È questa funzione a
legittimarlo in primo luogo.
Poiché lo stato ha come compito primario tutelare la sicurezza dei propri cittadini, le
prerogative che lo contraddistinguono riflettono questa funzione essenziale. A
sintetizzarle è il concetto di sovranità.

Sicurezza e sovranità—> lo Stato è sovrano in quanto:


● Detiene il monopolio della forza legittima sul piano interno (componente
essenziale della sovranità è la territorialità)
● Non riconosce autorità superiore sul piano internazionale.
In particolare è indipendente nelle decisioni che attengono a 3 sfere: scelta del
regime politico, rapporto con i propri cittadini, gestione delle risorse naturali.

La Carta istitutiva dell’ONU, all’art 2, comma 1, recita:


“L’organizzazione è fondata sulla sovrana eguaglianza dei membri”
E al comma 7 specifica: “Nessuna disposizione del presente statuto autorizza l’ONU
a intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna
di uno stato”.

La sovranità che caratterizza gli stati moderni rende impossibile l’esistenza di un


soggetto Terzo, nella sfera internazionale, che svolga le funzioni proprie dell’autorità
pubblica nello stato (fissare regole e imporre sanzioni a chi le viola). Gli stati si
trovano dunque ad agire in una sfera anarchica (decentralizzata).

Agendo in una sfera anarchica dove nessuno lo tutela, lo stato ha dunque il dovere
nei confronti dei propri cittadini di difendere innanzitutto l’interesse collettivo primario,
ovvero la sicurezza. Difendere la sicurezza si traduce in esercitare il potere che
detiene per dissuadere eventuali antagonisti aggressivi o vincere la guerra in caso di
attacco (se ampliamo la concezione di sicurezza, anche per imporre le proprie
priorità).
Si conviene quindi che, quanto più potere detiene un paese, tanto più sarà sicuro.
Non stupisce quindi che la politica internazionale sia concepita come un gioco a
somma zero, che è tale in quanto chi vince crea automaticamente un perdente.
In un sistema internazionale costituito da stati sovrani, dunque anarchico, si
determina così un paradosso noto come “dilemma della sicurezza”—> ciascuno
stato si sforza di incrementare la propria potenza in funzione difensiva. In un sistema
anarchico, dove nessuno li protegge, gli stati non possono tuttavia che attribuire
precauzionalmente agli altri le intenzioni peggiori, e dunque considerare tale
comportamento come potenzialmente offensivo. Ciò induce ciascuno a impegnarsi
per migliorare la propria posizione relativa innescando una pericolosa spirale.

Questa dinamica aumenta il livello di incertezza nel sistema internazionale, fa


diminuire la sicurezza percepita da ciascuno alimentando la ricerca del potere, e può
dunque portare a una guerra preventiva, innescata da una crisi, o per errore.

Il “dilemma della sicurezza” spiega la centralità del potere (militare) nella sfera
internazionale e le preoccupazioni per i cambiamenti dei rapporti di forza nel
sistema.

Se la politica internazionale è lotta per il potere, per comprendere la natura della


lotta, e dunque della politica internazionale, occorre chiarire la natura del potere.

Potere= capacità di realizzare i propri obiettivi


Due concezioni di potere rilevanti:
● Strumentale—> il potere equivale al possesso di risorse (materiali);
● Relazionale—> il potere consiste in una relazione asimmetrica in virtù della
quale un attore è in grado di finalizzare le azioni altrui al raggiungimento dei
propri obiettivi.
Nelle fasi più dinamiche della politica mondiale, per le potenze emergenti è quindi
fondamentale valutare con precisione i rapporti di forza, per evitare di agire in modo
più aggressivo o in anticipo rispetto a quanto le realtà del potere non consentano. Si
chiederanno dunque:
“Quanto è ampio il serbatoio di potere dello stato più potente?
Quanto sono spendibili le sue risorse di potere?
Quanto è determinato a investirle per rimanere al vertice?
In che misura è disposto a difendere i propri interessi su questioni e in aree che
alimenterebbero la tensione con la potenza emergente?”

È però possibile misurare il potere oggettivamente? No, perché


● La contabilizzazione delle risorse non è sempre automatica;
● Esiste un problema di convertibilità delle risorse in potere;
● Il potere è una misura delle risorse possedute, oppure di quelle attivate?
● Trascurare le risorse immateriali è un limite.

Nel potere relazionale invece, cosa rende asimmetrica una relazione?


● Una ripartizione diseguale delle risorse materiali;
● L’istituzionalizzazione di ruoli che strutturano la relazione in modo gerarchico.

Nye, il paradosso del potere americano—> l’America, pur avendo una dotazione di
risorse materiali immensamente superiore agli altri membri del sistema
internazionale, fatica a raggiungere i propri obiettivi. Perché?
Il problema starebbe, secondo Nye, nella perdita di Soft Power, cioè di influenza.
"L'hard power si può basare sulla minaccia (il bastone) o l'induzione (la carota).
Esiste, però, anche un modo indiretto per esercitare il potere. Un paese può
raggiungere i propri intenti in politica internazionale perché gli altri stati vogliono
seguirlo [...] Questo aspetto del potere, indurre gli altri a volere ciò che tu vuoi, è ciò
che definisco soft power. Il soft power si affida alla capacità di definire le priorità,
plasmando le preferenze altrui”.

Secondo Slaughter il modo maschile di concepire il mondo come se fosse strutturato


in gerarchie di potere che occorre scalare è superato.
Nel 21esimo secolo si affermerà la visione femminile: il mondo è fatto di reti di
relazioni. Chi vuole contare deve portarsi al centro delle stesse.

Potere= connectivity —> capacità di instaurare il maggior numero di relazioni utili e


finalizzarle con competenza al raggiungimento dei propri obiettivi.
POTERE E POLARITÀ’ (ppt 3)

Sulla concezione strumentale del potere si fonda una delle principali interpretazioni
del funzionamento del sistema internazionale, quella basata sulla polarità.

Per i sostenitori della polarità la distribuzione del potere materiale nel sistema
internazionale è il singolo aspetto più rilevante per comprendere (e prevedere) il
comportamento degli stati.
Il presupposto di questa interpretazione è che gli stati stabiliranno la propria condotta
in funzione della distribuzione del potere/configurazione della polarità(uni-bi-
multipolare) del sistema internazionale.

Buzan—> la polarità gioca un ruolo cruciale nel determinare l’interpretazione del


mondo in cui viviamo, perché è condivisa da un gran numero di persone. La
rilevanza stessa del concetto di polarità fa parte della realtà politica che si propone di
spiegare.

Philip Stephens—> dopo 9/11 a new, chaotic, multipolar world.

Angelo Panebianco—>effetto crisi finanziaria definitivo passaggio dall’unipolarismo


al multipolarismo. Dopo crisi US sempre la potenza più forte, ma in un gioco
multipolare, e il divario con le altre potenze tenderà a ridursi. Ma non sarà un mondo
più pacifico, bensì più pericoloso del precedente, probabilità di guerra maggiori.

In linea di principio un sistema internazionale multipolare potrebbe essere:


● Più instabile per via della competizione tra stati (rivali);
● Più efficace nel produrre governance in virtù della partecipazione attiva nei
processi di governance di più soggetti capaci.

Le ragioni del pessimismo—> nel discorso pubblico, la multipolarità è stata


promossa da paesi che sostengono la necessità di cambiare la politica
internazionale, in particolare di svolgere un ruolo più incisivo a scapito della
leadership degli Stati Uniti (per esempio da Russia e Cina).

Clinton—> proponeva un mondo non multipolare ma multipartner, riconoscendo


implicitamente che il multipolarismo sia intrinsecamente competitivo, perciò basato
sulla rivalità.

Il successo della polarità è dovuto anche al fatto che riesca a spiegare molto
guardando a un solo fattore: ossia quanti paesi dispongono di una “quota” molto
rilevante di potere. È una scelta verso la semplificazione.
I pregi della polarità:
● Ribadisce la centralità dello stato come attore;
● Semplifica richiamando l’attenzione su superpotenze/ grandi potenze/
potenze regionali;
● Consente di ragionare (intuitivamente) in termini di bilanciamento reciproco;
● Offre un quadro elementare in base al quale misurare continuità è
cambiamento.

Ma cosa è un polo? Secondo Waltz è una rappresentazione della capacità materiale


ma include anche caratteristiche politiche e istituzionali come la competenza, che
racchiude l’abilità di una grande potenza di tradurre gli assetti materiali in influenza.

Ikenberry—>polo come hub perché provvede all’organizzazione delle infrastrutture


delle relazioni internazionali nel sistema globale.

Configurazioni della polarità—>l’assetto del sistema può essere:


● Bipolare—> due potenze si bilanciano (l’equilibrio del terrore durante la
guerra Fredda);
● Unipolare—> una sola potenza domina. In letteratura è concepita come un
momento transitorio verso un impero mondiale o l’emergere di potenze capaci
di controbilanciarla. Momento unipolare post Guerra Fredda. Se l’America
avesse sfruttato bene le sue carte saremmo ora in un’era unipolare, non solo
un momento. Un’unipolarità consolidata dall’unilateralismo (questi due fattori
si influenzano a vicenda, senza l’uno non esiste l’altro).
● Multipolare—> più superpotenze, una superpotenza più diverse grandi
potenze, oppure varie grandi potenze in una condizione di equilibrio classico.
● Nonpolare, apolare, postpolare—> potere diffuso nella sfera internazionale.
In un’era non polare (come si prospettava essere il 21esimo secolo) il potere e
l’influenza sono sempre meno legati tra loro.
La politica globale è un mix tra anarchia e società. La nonpolarità può essere ben
orchestrata verso una multipolarità e un periodo di pace, o verso un nuovo disordine.

La logica di condotta di un attore non è influenzata però solo dalla struttura polare
del sistema, ma anche da altri variabili, quali: la sua cultura politica e politico-
internazionale, i rapporti pregressi con i principali attori del sistema, gli interessi che
attribuisce agli altri, il livello di istituzionalizzazione del sistema, il livello di
fiducia/sfiducia che caratterizza le relazioni.
Amico—>partenariato
Rivale—>competizione
Nemico—>conflitto
Definire la politica internazionale come lotta al potere è dunque generico:

● non è chiara la natura del potere (quale conta di più?) nè quella della lotta
(competizione pacifica? Lotta?);
● le regole del gioco sono un fattore immateriale di primaria importanza perchè
influenzano l’esercizio del potere e la sua efficacia nel conseguire gli obiettivi.

Il governo dei problemi conta sempre di più nel rapporto con la lotta per il potere
Avvicinando la concezione della politica internazionale a quella interna.
Differenze high politics e low politics [….]

GOVERNANCE—> “attività di governo” a livello internazionale non esiste, ma è un


prodotto della cooperazione tra i paesi; non emana da un’autorità terza, esterna,
l’unica possibilità è affrontare i problemi internazionali sostituendo l’autorità terza con
la collaborazione.
LO STATO COME ATTORE E I LIVELLI DI ANALISI (ppt 4)

L’oggetto di studio delle RI è la politica internazionale intesa come insieme dei


rapporti reciproci tra stati sovrani——> centralità dello stato come attore.

La centralità dello stato nella disciplina delle RI ha posto la disciplina stessa sotto
critica; questo perché spesso altri attori hanno guadagnato la ribalta internazionale
(individui, oing, “pezzi di stati”, imprese, organizzazioni criminali, reti terroristiche,
personaggi pubblici ecc…)

La visibilità di questi attori differenti è aumentata dopo che le RI hanno iniziato a


occuparsi di governance/ low politics, non solo di sicurezza.
Questi attori extra vengono studiati in particolare dalla politica globale “global
politics”, filone di analisi che si concentra su fenomeni di natura transnazionale e
multilivello. Conseguente alla presenza di diversi attori ha portato a una rivalutazione
e studio degli spazi interni e internazionali contemporaneamente. Spazio integrato E
globale nel quale gli attori si muovono e influenzano contemporaneamente le RI e la
governance. POLITICA MULTILIVELLO

Le OIG (organizzazioni internazionali governative) possono essere considerate attori


internazionali; ciò implica che a queste sia riconosciuto un certo grado di autonomia
rispetto alla volontà degli stati membri. Spesso le OIG hanno una propria visione del
mondo, una missione da assolvere e degli interessi in quanto organizzazioni (per
esempio aspirano a dei finanziamenti..)

Lo stato come attore oggi—> La molteplicità di attori che hanno assunto rilievo e
l'evidente condizionamento che alcuni (OIG incluse) esercitano sugli stessi stati
spiegano le critiche che vengono rivolte alle RI per la centralità che ancora oggi
attribuiscono agli stati.
L'attività degli attori non-stati sembra aver cambiato a tal punto le condizioni nelle
quali gli stati definiscono e poi perseguono i loro interessi da rendere inadeguato un
approccio che metta lo stato al centro.

L’insoddisfazione deriva anche dal fatto che a lungo l’attenzione si è concentrata


sulle grandi potenze, a dispetto del fatto che si tratta di un numero esiguo di stati in
rapporto ai 193 membri della comunità internazionale.

La rilevanza degli attori, nelle RI, è influenzata dalle contingenze politico-strategiche.


Dopo l'undici settembre gli stati deboli erano percepiti come una minaccia in quanto
spazi facilmente sfruttabili da organizzazioni criminali "parassitarie" per occultarsi e
rafforzarsi.
Oggi la percezione dell'ascesa di nuove grandi potenze richiama l'attenzione sugli
stati forti e sulla concezione tradizionale della potenza.
Sarà dunque opportuno tenere conto degli sviluppi più recenti della politica globale,
ma considerare la persistente centralità dello stato e che cosa essa comporti in
termini di concezione e pratica della politica mondiale.

La centralità dello stato come attore indurrebbe a ritenere che la politica


internazionale sia semplicemente la somma delle politiche estere dei
membri della comunità internazionale.
È cosi?
No, se riteniamo che il contesto nel quale sono calati ponga vincoli e offra loro
opportunità.

Quanto lo studioso ritiene - in relazione alla specifica ricerca che sta conducendo -
che lo stato sia libero di agire oppure condizionato dal. contesto nel quale si trova
calato influenzerà la sua prospettiva:
si concentrerà sullo stato nel primo caso (è lo stato a decidere), sul contesto nel
secondo (lo stato agisce condizionato da vincoli e opportunità).

La scelta del livello di analisi


- stato o sistema internazionale?-
è l'operazione attraverso la quale il ricercatore stabilisce dove cercare in via
prioritaria la risposta a una determinata domanda di ricerca.

Waltz suggerisce che le cause delle guerre risiedono nella natura dell’uomo, dello
stato o dell’ambiente internazionale (cioè dell’anarchia)—> esempio del dilemma
della sicurezza, in un sistema anarchico i paesi si devono difendere.
I livelli di analisi sono 3:
● Individuo e Stato —-> livelli sostanziali e materiali (è possibile osservare la
condotta di entrambi)
● Sistema Internazionale —-> livello materiale, astratto (per questo non corretto
utilizzo “panorama”). Del sistema sono osservabili vincoli e opportunità (pone
dei vincoli e offre delle opportunità). Il sistema internazionale è osservabile
attraverso la condotta degli attori—> x esempio nel sistema apolare un certo
tipo di comportamento rispetto a bipolarità o multipolarità; vincoli e opportunità
differiscono, relazioni tra gli attori cambiano.
Singolarmente:
● L’INDIVIDUO—> unità elementare delle scienze sociali; in ambito
internazionale, guardare all’individuo vuol dire considerare i tratti che
accomunano tutti gli esseri umani (es. egoismo). Questo comportamento può
spiegare a livello internazionale per esempio la propensione al conflitto e la
non propensione alla collaborazione, più invece alla competitività. Questo tipo
di studio però. Può essere concentrato su un soggetto particolarmente
rilevante (es. Trump, Xi ecc..);
● AGENTI E STRUTTURE ——> problema: l’impatto del singolo individuo sulla
politica Internazionale è diretto o mediato dalle istituzioni delle quali i soggetti
fanno parte? STATO—> concentrarsi sullo stato significa spiegare la realtà
internazionale guardando alle caratteristiche politiche e/o economiche dello
stato EX: teoria della pace Democratica ipotizza che la pace si realizzerà una
volta che tutti i paesi adotteranno una democrazia, in quanto storicamente
queste non si sono fatte la guerra. (Questa teoria ha base empirica ma non è
condivisa da tutti).

Stato mercantilista —-> questo stato considera l’economia uno strumento della
politica, funzionale al rafforzamento dello stato, il suo fine sarà quindi quello di
arricchirsi relativamente agli avversari.
Stato liberale—-> Lo stato che coltiva una visione liberale punta al benessere dei
cittadini attraverso scambi commerciali che riducono il rischio di conflitto alimentando
l’interdipendenza.

Lo Stato è il livello di analisi più efficace? No, se consideriamo che il contesto


influenzi significativamente le scelte degli stati.
In questi casi occorre passare al livello SISTEMA INTERNAZIONALE che induce a
concentrarsi su vincoli e opportunità che influenzano gli stati.

● IL SISTEMA INTERNAZIONALE——> insieme di relazioni strutturare che


condizionano i soggetti che ne fanno parte, il loro comportamento ecc.
Nel sistema internazionale le strutture possono essere concepite come il riflesso
della sovranità (anarchia) (per esempio nel caso del dilemma della sicurezza, una
matrice di aspettative), della distribuzione della potenza (polarità), delle
regole/istituzioni (ordine). Sistema decentralizzato(?)

Il fatto che le relazioni nel sistema non siano casuali, strutturate, permette di
individuare dei modelli di comportamento (utili ai fini della previsione).
Ciò che giustifica la scelta di concentrare l'attenzione sul sistema internazionale è
dunque la convinzione che, per spiegare/prevedere il comportamento degli stati,
occorra conoscere il contesto nel quale sono
calati perché il modo in cui è strutturato (vincoli e incentivi) influenza la loro condotta.

Chi adotta la prospettiva del sistema internazionale e ritiene che la sua struttura sia
anarchica perché gli stati sono sovrani così ne spiega la condotta:
l'assenza di un soggetto Terzo sopra le parti induce gli stati, che hanno come
interesse primario la propria sicurezza, a praticare l'autodifesa.
L'orientamento alla massimizzazione della sicurezza degli stati dipende dunque dal
contesto. Il regime politico non fa differenza perché le pressioni strutturali agiscono
su tutti gli attori nello stesso modo.
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA (ppt 5)

Ingresso in accademia nel 1919, la disciplina si sviluppa attraverso un costante


dialogo e confronto tra filoni.
Prima cattedra di RI, la Woodrow Wilson Chair of International Politics in Galles nel
1919.
La prima guerra mondiale aveva posto in nuovi termini il problema della guerra.
Gli intellettuali che raccolsero la sfida di studiare come evitare il ripetersi di simili
tragedie sono noti come IDEALISTI, per la loro fiducia nel progresso.
Secondo loro le relazioni internazionali potevano diventare più simili al tipo di
politiche interne a un paese e non una “palestra” per dimostrare la propria forza.
E.H. Carr vedeva le relazioni internazionali come una strenua competizione fra stati
per la realizzazione di interessi inconciliabili, il suo libro “the twenty years crisis” del
1939, preannuncia di fatto, la 2gm. Anche nel periodo dopo l’attentato del 9/11 si
teme ci sia il cosiddetto ventennio di crisi.

L’americanizzazione della disciplina


Realismo nelle RI —> Morgenthau nel suo “Politics among nations” nel 1948
Questa pubblicazione sancisce l’inizio dell’americanizzazione della disciplina dopo
una prima fase britannica.
Diventa un’impronta nella formazione degli internazionalisti.
L’americanizzazione influenza anche il metodo di ricerca, privilegiato approccio
basato sull’osservazione empirica alla ricerca delle leggi di funzionamento della
politica internazionale.

Approccio scientifico (americano) VS approccio classico


H.Bull—> “the case for a classical approach” 1969
L’approccio classico è basato sulla storia, sulla filosofia; secondo Bull è più efficace
per analizzare fenomeni che hanno una componente normativa. L’approccio
scientifico non garantisce l’oggettività.
NATURA DEI FENOMENI:
—-> esterni e indipendenti per i fautori dell’approccio scientifico;
—-> sociali e non separabili dall’esperienza dello studioso per i fautori dell’approccio
classico.
Negli anni ‘70 studi in chiave liberale. Il liberalismo si articola in 4 filoni:
-sociologico (ruolo delle persone ecc)
-interdipendenza (politica, economica, sociale(?))
-istituzionale
-repubblicano
L’opera che porrà fine alla centralità del liberalismo sarà “Theory of international
politics” di K. Waltz nel 1979, il quale richiama l’interesse sul realismo, in una
variante strutturale.

La branca che si occupa della dimensione economica dei processi politici


internazionali è l’International Political Economy, e nasce negli anni ‘70.
Tema della disparità di ricchezza a livello internazionale e dei meccanismi che ne
consentono la perpetuazione (teoria della dipendenza).

La “scuola inglese” rimane fedele all’approccio classico rifiutando la rigida distinzione


tra realismo e liberalismo.
La visione di Bull è definita proto-costruttivista perché mostra attenzione per la
costruzione sociale delle regole e istituzioni nella sfera internazionale. Nella società
anarchica il potere pesa, ma anche le norme contano.

Approccio costruttivista (Wendt) —-> viene dalla sociologia, e ritiene che si debbano
indagare i meccanismi che orientano l’uso del potere (identità degli stati, i loro
interessi, le istituzioni sociali che plasmano la vita della comunità internazionale)

Oggi osserviamo un importante ritorno al realismo, in particolare come chiave


interpretativa delle dinamiche di di distribuzione del potere nel sistema
internazionale.
Anche il liberalismo rivendica la propria rilevanza indagando fattori diversi dal potere
(ruolo degli attori privati, interdipendenza ecc..)
L’IDEALISMO (ppt 6)
La scuola nasce nei primi anni del ventesimo secolo in Gran Bretagna; titolare della
prima cattedra di Relazioni Internazionali è l’idealista Alfred Zimmern. Aderiscono a
questa scuola individui provenienti da esperienze diverse : accademici, attivisti,
esponenti politici, giornalisti, funzionari del Foreign Office.

L’obiettivo degli idealisti è individuare le condizioni per realizzare una PACE


STABILE, non una tregua tra due guerre, ma una situazione nella quale la
risoluzione delle problematiche internazionali non risiede più nel conflitto bellico.
Sono accomunati dal desiderio di sviluppare un approccio professionale (scientifico)
allo studio della politica mondiale, fondato sull’analisi della realtà

Presupposti della riflessione:


● La pace è un bene;
● La pace è realizzabile (punto che in particolare li distingue dai realisti), questo
presupposto riflette la convinzione che i fondamenti della morale individuale si
riflettano nella moralità di gruppo. Se la pace è possibile all’interno di uno
stato, lo è anche a livello internazionale.

Come spiegano, gli idealisti, lo scoppio delle guerre?


“The great illusion”-Sir Norman Angell 1909
Secondo lui i decisori sono preda di una grande illusione, ossia quella che attraverso
il militarismo e il conflitto armato si possano ottenere dei benefici. Per lui la guerra è
futile, perchè anche il vincitore non guadagna mai dal conflitto abbastanza da coprire
invece i costi della stessa.
La guerra dipende dalla ricerca egoistica del potere da parte degli statisti.
Se le guerre scoppiano è anche per l’irrazionalità della pubblica opinione, manipolata
dai leader. Per questo l’istruzione è fondamentale.

Peace societies—-> ong


Croce Rossa internazionale—> nasce dopo la battaglia di Solferino, quando il suo
fondatore Dunant si rende conto che non c’è nessuno a prendersi cura dei feriti.

Le cause dei conflitti per gli idealisti:


● L’esistenza di stati non democratici (il regime politico conta);
● L’equilibrio di potenza come principio guida della politica estera (e le alleanze
come strumento per la sua realizzazione);
● Il metodo diplomatico classico, ovvero la politica segreta, che alimenta il
sospetto.
Come rimuoverle?
● Promuovendo la democrazia sul piano interno;
● Andando oltre il bilanciamento e adottando procedure democratiche anche a
livello internazionale per comporre le controversie e gestire i problemi comuni.
Il ruolo delle OIG
Per gli idealisti, soltanto creando un organo che possa mediare nella sfera
internazionale, risultando un soggetto terzo, è possibile sviluppare forme di
cooperazione istituzionalizzata.

Esempio—> La Società delle Nazioni 1919, prima OIG politica a vocazione


universale. Lèon Bourgeois creò la società delle nazioni, avendo in mente la
divisione tra economia e politica che ancora viene denunciata.

L’internazionalismo liberale wilsoniano (presidente degli USA Wilson), per


scongiurare nuove guerre, puntava su:
1. La diffusione della democrazia;
2. Il libero scambio —> l’interdipendenza economica spingeva alla ricerca del
benessere e non del potere;
3. Un’organizzazione razionale razionalmente costruita;
4. La leadership degli USA
Questa organizzazione si impegna a garantire la pace attraverso un complesso
meccanismo di sicurezza collettiva (non ancora identificato attraverso questa
formula).
L’ammissione di paesi anche non democratici era funzionale a favorirne la
democratizzazione.
Il diritto internazionale era concepito come una leva di socializzazione alle regole.

Promozione della cultura internazionalistica


Gli idealisti attribuivano grande importanza al ruolo dell’opinione pubblica, perciò
promuovono la giusta educazione e informazione.
Più i cittadini sono consapevoli del costo dei conflitti e del valore della pace, tanto più
efficacemente svolgeranno il loro compito, ossia il controllo che esercitano sui
governanti (attraverso il principio dell’accountability)

Idealisti utopisti?
Vengono spesso definiti tali, ma erano ottimisti e dunque progressisti. Si rivelarono
però incapaci di valutare il peso di fattori quali il nazionalismo e la possibilità di
regimi autoritari di manipolare l’opinione pubblica.

I LIBERALI condividono con gli idealisti la fiducia nel progresso e studiano:


● La cooperazione internazionale dal punto di vista teorico, chiedendosi come e
quanto le istituzioni internazionali possano aiutare gli stati a liberarsi dal
sospetto reciproco che li spinge a ragionare in termini di autodifesa e
egoisticamente di fronte alla possibilità di collaborare.
● L’organizzazione internazionale come modalità che la comunità internazionale
sceglie per governare se stessa.
● Processi di integrazione regionale attraverso i quali si sviluppano rapporti di
amicizia e fiducia grazie a multilateralismo.
IL MULTILATERALISMO

Il ML è la pratica di coordinare le politiche nazionali in gruppi di tre o più stati


(definizione nominale)
Ma se fosse solo questo, come si spiega che questo sia al centro del discorso
pubblico sul futuro dell’ordine internazionale basato su regole?

Perché e come coordinarsi?

Sovranità—> rende gli stati indipendenti (sostrato)


Multilateralismo—-> per neutralizzare gli effetti negativi della sovranità (strato
superiore)
OIG—> incarnano il multilateralismo (punta piramide)

Gli stati da una parte costruiscono la sovranità (costrutto sociale), e dall’altra creano
un’ente terzo per mitigare gli effetti negativi della sovranità stessa.

In un’impresa cooperativa multilaterale, ciò che conta non è il numero degli attori
coinvolti , ma il tipo di relazione alla quale essi danno vita.
Quali sono i caratteri di questo progetto?

-universalismo—>inclusivo e non discriminatorio. È possibile fissare dei parametri


ma non escludere o discriminare. Per esempio, per far parte dell’Unione Europea,
bisogna essere un paese europeo, ma questa clausola rappresenta un parametro.
Se per esempio, la società delle nazioni, non avesse permesso ai paesi sconfitti di
partecipare, non avrebbe rispettato il principio di universalità. Viene criticato per
esempio, l’ingresso della Cina nell’organizzazione Mondiale del Commercio.
Un ordine multilaterale è basato su regole perché gli stati devono essere messi in
condizione di cooperare verso un obiettivo comune, non lavorare individualmente in
ottica competitiva.

Non discriminatoria——> regole uguali per tutti!

ML:gli elementi costitutivi

-norme generali di condotta


Indivisibilità dei membri del gruppo—-> la pace c’è quando c’è per tutti, anche un
solo stato membro in guerra determina lo stato di non pace.
Reciprocità “diffusa”—> aspettativa che la cooperazione porterà benefici più o meno
equivalenti a tutti i soggetti coinvolti nel tempo e in aggregato (dunque conta il
gruppo). Il vantaggio in questo caso non è né immediato, né individuale.

Esempio—> principio di sicurezza collettiva= alleanza permanente contro un nemico


sconosciuto a favore di una vittima altrettanto sconosciuta. Parte dal presupposto
che la pace sia indivisibile, dunque, la minaccia è indivisibile.
La reciprocità diffusa porta a sottoscrivere regole generali di condotta: risposta
collettiva incondizionata .

Perché gli stati hanno scelto il Multilateralismo?


Il ML è molto impegnativo per le sue caratteristiche:
● Le regole generali di condotta limitano lo spazio di manovra degli stati, ossia
la loro sovranità e la possibilità di reagire opportunisticamente alle
sollecitazioni esterne;
● La reciprocità diffusa implica una notevole fiducia reciproca.

Per questi motivi un’impresa multilaterale è la somma di una costruzione sociale


dell’indivisibilità dei problemi (mali da evitare/beni da conseguire) e della comunità di
riferimento.

Come si spiega quindi il successo del multilateralismo?


Aumentando l’interdipendenza è aumentata la necessità di cooperare e di farlo
attraverso canali e modalità istituzionalizzate.

Stati che riconoscono la loro crescente interdipendenza e che vanno


democratizzandosi, ricercano l’interazione con i loro omologhi sulla base di norme di
diritto. Il multilateralismo consente di codificare le norme di diritto internazionale nel
rispetto dei principi minimi della democrazia procedurale.

Il successo del ML viene quindi spiegato dall’incremento numerico degli stati


democratici e la crescente legittimità della democrazia come forma di governo.
Multilateralismo—> variante internazionale dello “Stato di diritto” (norme uguali per
tutti, definite con il concorso di coloro che saranno poi tenuti a rispettarle, piuttosto
che esercizio arbitrario del potere).

L’ordine liberale multilaterale, dopo il ‘45, garantiva stabilità alle relazioni


internazionali:
● La sua legittimità riduceva l’esigenza di ricorrere alla coercizione per ottenere
il rispetto delle regole da parte degli USA;
● Le norme e la rete di istituzioni che esso prevedeva mettevano gli USA al
riparo dai rischi che l’eventuale declino del loro potere poteva comportare.

Il multilateralismo si è poi progressivamente autolegittimato grazie alla sua inclusività


ed efficacia, rafforzando e indebolendo la sovranità degli stati influenzando le loro
aspettative e favorendo la percezione del moltiplicarsi di problemi globali gestibili
soltanto per via multilaterale. Dopo l’89 il ML integra anche chi ne era rimasto fuori.

La resilienza del ML dipende dal fatto che:


● È costituzionalizzato;
● È coerente con la democrazia sul piano interno;
● Ci sono sempre più problemi da gestire collettivamente;
● L’indivisibilità di alcuni beni/mali può essere soltanto il riflesso di un’adesione
al ML.

Cosa minaccia il ML:


● Criticità endogene—> un difetto di governance sta “frammentando” la
comunità internazionale richiedendo e favorendo soluzioni parziali, regionali o
issue specific (minilateralismo).
● Criticità esogene—> ML sfidato da chi ha progetti alternativi o non approva il
ML così come è incarnato nelle attuali organizzazioni internazionali.

Alternative al ML? Il bisogno di governance efficace e globale crescerà più


rapidamente di quanto i meccanismi esistenti non riescano a rispondere. I decisori
perseguiranno dunque approcci alternativi per risolvere problemi transnazionali con
nuove istituzioni o raggruppamenti informali.

Andiamo quindi verso un ordine o concertazione allargata? Verso una forma di


concertazione de-istituzionalizzata? I paesi coinvolti si attiverebbero per affrontare
problemi che esulano dal loro interesse nazionale concepito in senso restrittivo? Che
impatto avrebbero sulle RI i problemi trascurati e quindi irrisolti?
IL REALISMO CLASSICO

Dopo ‘89 speranze che si aprisse una nuova era nella storia dell’uomo erano
altissime, a causa di una circostanza irripetibile: la temporanea assenza della
tradizionale competizione tra grandi potenze. I realisti mettevano in guardia circa il
fatto che questa condizione non sarebbe durata a lungo, perchè la competizione
internazionale era parte della natura dell’uomo e sarebbe tornata.
I realisti avevano una chiara consapevolezza dell’immutabilità della natura umana. Il
mondo non stava sperimentando una trasformazione, ma una pausa
nell’interminabile competizione tra paesi e genti.

Now as ever, great-power politics will drive events; that means the course of the
coming century will largely be determined by how china and the United States
manage their power resources and their relationship. We europeans must adjust our
mental maps to deal with the world as it is, not as we hoped it would be. To avoid
being the losers in today’s China-US competition, we must relearn the language of
power. Cooperation won’t provide lasting solutions to the intractable reality of conflict
and competition as countries pursue their own interests. The enduring power of
realism is its ability to offer a clear baseline for coming to grips with why the world is
and will likely remain a world full of pain and despair.

Il realismo costituisce l’intelaiatura teorica fondamentale delle RI e la lente attraverso


la quale molti di noi guardano alla politica internazionale accettandone i presupposti.
Il realismo è un costrutto polemico che si vorrebbe antidoto a ogni utopia e ideologia;
indirizzato agli illusi, gli ingenui, i sognatori, le “anime belle” della politica. Arma
irrinunciabile contro coloro che cedono per quieto vivere alle lusinghe
dell’autoinganno finendo per ingannare.
Strumento duttile nelle mani dei cinici che in nome del realismo propagandano le più
diverse miscele di pregiudizio e interesse. Cit Portinaro.

Realismo inteso come “rispetto dei fatti” è una condizione del lavoro scientifico.
Teoria realista è una interpretazione che contiene:
● un’idea della natura dell’uomo (antropologia);
● un’idea di ciò che è la politica, e dunque la società (ontologia);
● un’idea di come la politica dovrebbe essere compresa (epistemologia);
● un’idea di come si debba agire essendo la politica internazionale ciò che è
(prasseologia).
Realismo struttura solida, è difficile criticare i realisti.

Il nucleo normativo del realismo

SICUREZZA—> valore primario; lo Stato ha il dovere di assicurare il benessere dei


cittadini e perseguire l’interesse nazionale. Distinzione tra etica politica ed etica
privata. Perchè perseguire l’interesse nazionale può portare a rompere regole
morali. Lo Stato non ha doveri morali nei confronti di altri che non siano i propri
cittadini.
Gli accordi internazionali vanno sempre considerati provvisori perchè i realisti
subordineranno il rispetto degli obblighi internazionali in base al perseguimento del
proprio interesse nazionale.

Moralità politica e prudenza

I presupposti del realismo classico


● la politica è lotta per il potere;
● gli Stati (concepiti come agenti unitari e razionali) sono gli unici attori
significativi;
● la politica internazionale è sempre uguale a sè stessa perchè l’uomo è
egoista e così lo stato;
● Il movente degli stati è l’interesse (concetto chiave: interesse nazionale);
● Il realismo si concentra dunque sullo stato (secondo livello di analisi), ma fa
derivare le sue caratteristiche dalla natura dell’uomo (primo livello di analisi).
Per questa ragione esse sono immodificabili.

Morgenthau—>"La politica è una lotta per esercitare il potere sugli altri;


quale che sia la sua finalità ultima, l'obiettivo immediato è il potere, e i sistemi per
acquisirlo, conservarlo e mostrarlo determinano le tecniche del comportamento
politico."
Il realismo classico di Morgenthau
La teoria di Morgenthau in 5 punti:
1. la politica, come tutta la realtà, è governata da leggi oggettive, che hanno
origine nell’egoismo della natura umana. Sono leggi immodificabili, sorde alle
nostre preferenze, sfidarle può rappresentare rischi e pericoli;
2. siccome sono leggi oggettive, è possibile sviluppare una teoria razionale che
le rifletta. Ciascun paese quindi, in quanto egoista razionale, agisce in
funzione di un interesse definito in termini di potere;
3. il concetto di interesse di cui si serve il realismo è definito come potere;
4. il concetto di (interesse definito in termini di) potere consente un’analisi
neutrale, oggettiva e razionale;
5. Il realismo è in grado di dettare i principi generali dell’azione politica razionale
(è anche una dottrina politica estera).

L’interesse per il potere come guida per l’azione—> Per quanto riguarda l'attore, [il
concetto di interesse definito come potere] fornisce una disciplina razionale per
l'azione.

ll realismo politico considera una politica estera razionale


come una buona politica estera, poiché soltanto essa minimizza i
rischi e massimizza i vantaggi, rispettando quindi tanto il
precetto morale della prudenza quanto il requisito politico del
successo.

Secondo molti suoi critici il realismo classico non fa che


riproporre la politica di potenza
● Se ciascun attore è portatore di un interesse nazionale, gli interessi sono in
competizione tra loro e il potere è ciò che consente di realizzarli, quanto più
uno stato sarà potente tanto più sarà probabile che il suo interesse si realizzi.
● La potenza da mezzo della politica ne diventa il fine.
● Se questa è la natura del gioco, ogni attore razionale praticherà la politica di
potenza.

La competizione tra gli stati per la realizzazione dei propri interessi (che soltanto
molto raramente sono identici o complementari) rende la guerra ineliminabile. Anche
quando regna la pace, le relazioni internazionali si svolgono all"'ombra della guerra"
(R. Aron, Pace e guerra tra le nazioni: gli stati devono sempre considerare la
possibilità che qualcuno ricorra alla guerra.
Per questo motivo comportamenti difensivi vengono letti come potenzialmente
offensivi (dilemma della sicurezza).
L'unico strumento in grado di garantire periodi di pace è l'equilibrio di potenza che,
attraverso il bilanciamento delle forze, favorisce la dissuasione e induce alla
prudenza.
La natura conflittuale della politica internazionale dipende dalla pratica della politica
di potenza (comportamento razionale per lo stato).

Si raggiunge una condizione di equilibrio quando nessun attore, da solo o attraverso


un'alleanza, può dominare tutti gli altri.

Dinamica dei rapporti int. = bilanciamento


(ricercato volontariamente oppure, nella logica sistemica, spontaneo).
Dato l'egoismo degli stati che perseguono i loro interessi in un contesto anarchico,
l'unico freno alla politica di potenza è la dissuasione reciproca che induce prudenza.
Il bilanciamento rende efficace la dissuasione e dunque possibile la pace. La guerra
è il prodotto di un vuoto di potenza
(squilibrio).

Al termine sono in realtà associati vari significati.


Per Equilibrio si intende:
● un'equale distribuzione di potenza;
● la distribuzione di potenza esistente (= assetto dei rapporti internazionali);
● il principio secondo cui la potenza dovrebbe essere distribuita egualmente
(dottrina di politica estera);
● un'intrinseca (spontanea) tendenza della politica int. a produrre un'eguale di
distribuzione di potenza.

Oltre a essere ambiguo per i diversi significati che sono associati al termine, un
limite importante del concetto di equilibrio è che descrive, ma non spiega. Come e
perché si passa dal bilanciamento al vuoto di potenza?

Stephen Walt propone una versione rivisitata della teoria dell'equilibrio in termini di
balance of threat invece di balance of power.
I fattori che incidono sui comportamenti volti al bilanciamento in questo caso sono:

● La potenza aggregata (capacità, come in b. of power);


● La tecnologia militare (capacità offensive, funzione della tecnologia
posseduta);
● La geografia (distanza/ vicinanza dell'antagonista);
● Le intenzioni (aggressività percepita).
Le critiche al realismo in 5 punti:

1. Ambiguità nell'utilizzo del concetto di potere: è un mezzo o il fine dell'azione


politica ?
2. Equiparazione di tutte le forme di azione esterna dello stato purché siano
mezzi razionali (efficaci) per la realizzazione dell'interesse.
3. Non illustra come viene elaborato l'interesse nazionale, lo recepisce
semplicemente, precludendosi la possibilità di formulare previsioni. Ma se
l'interesse nazionale è sempre uguale (in quanto consiste nella conquista
della maggior quota di potere, come vogliono i realisti), la storia è immobile.
Se invece l'interesse nazionale muta per effetto a) di dinamiche interne: come
prevederle? Il realismo non offre strumenti per comprenderle/ non attribuisce
peso al regime politico; se muta per effetto b) di dinamiche internazionali,
allora occorre passare ad un'analisi sistemica.
4. Non è una teoria della politica internazionale, ma una dottrina di politica
estera. Non coglie la specificità del contesto internazionale.
5. Non è scientifico perché si basa su un giudizio di valore circa la natura
umana. Se mai è coerente: date le premesse, le conclusioni derivano
logicamente.

IL REALISMO STRUTTURALE (ppt 8)

Il realismo di Waltz ha come obiettivo ovviare ai limiti del realismo classico, che
a) muove da un giudizio di valore (egoismo umano);
b) Spiega la politica internazionale concentrandosi sulla condotta degli stati
(secondo livello di analisi); si rivela una dottrina di politica estera.

Waltz si propone di mettere in luce la specificità della politica internazionale, e le


conseguenze sulla condotta degli attori, grazie a un approccio sistemico.
Presupposto: l'insieme - cioè la politica internazionale non è conoscibile attraverso lo
studio delle sue parti, ovvero le politiche estere (come vorrebbero gli studiosi della
politica estera, fautori di un approccio
riduzionistico).

Il giudizio sulla natura umana viene sostituito dal concetto neutro di struttura.
La struttura è il principio organizzatore del sistema ed è quindi l'elemento che
consente di distinguerlo dalla somma delle sue parti.
Esempio: una famiglia, in quanto insieme di individui tra i quali intercorrono relazioni
strutturate, può essere concepita con un sistema. Quattro individui che si trovano per
caso in un ascensore no.

Per Waltz è la struttura del sistema a determinare regolarità nella condotta di attori -
gli stati - concepiti come egoisti razionali, massimizzatori di sicurezza.
La struttura pone vincoli e offre opportunità con i quali ogni attore deve fare i conti.
Lo strutturalismo di Waltz è tale che, nella sua concezione, la struttura determina i
comportamenti degli attori.

Waltz è senz'altro consapevole di aver a che fare con un fenomeno complesso,


influenzato tanto da fattori interni agli stati (capacità economica, ad esempio, come
determinante della politica estera) quanto da fattori sistemici/internazionali (es. la
distribuzione della potenza/polarità).

La sua scelta di concentrarsi esclusivamente su quelli sistemici appare dettata


dall'obiettivo che si è dato: proporre una Teoria della politica internazionale che
spieghi dunque l'impatto dei condizionamenti che il sistema internazionale esercita
sulla condotta degli attori.

Posen—>"Structural realism is a theory of environmental constraints and incentives.


Structures constrain. They push and they pull. The combination of global anarchy
and the distribution of capabilities creates fields of force that affect all the states in
the system but do not determine anything.

Una forma moderata di strutturalismo comporta, accanto ai fattori sistemici (come la


distribuzione della potenza nel sistema/ configurazione della polarità) che si dia
attenzione anche agli elementi di secondo livello: caratteristiche e condotta degli
attori. Posen parla di «creative expansionist». Nel discorso sulla transizione
dell'ordine, ad esempio, si valuta la «propensione al rischio» di un attore.

Ciascun approccio strutturale è caratterizzato dalla concezione della struttura che


adotta. Ragionando di politica internazionale è cruciale
stabilire se i vincoli siano endogeni o esogeni rispetto al processo politico.

Nella concezione della struttura proposta da Waltz i vincoli sono esogeni rispetto al
processo politico. Dove originano?—> Dalla sovranità.

Per Waltz la struttura del sistema riflette la disposizione delle sue parti (che è una
proprietà del sistema, elemento cruciale per non cadere nel riduzionismo).
Poiché gli stati sono sovrani, essi si trovano in un rapporto di pari ordinazione:
nessuno comanda, nessuno è tenuto a obbedire.
Il sistema è dunque anarchico in quanto decentralizzato.
In che modo la concezione waltziana dell'anarchia come decentralizzazione
influenza la risposta al quesito fondamentale che orienta la riflessione delle Relazioni
internazionali?
Perché scoppia la guerra?

Per Waltz l'anarchia è una causa permissiva della guerra. In un contesto


decentralizzato, dove manca un soggetto Terzo che garantisca il rispetto delle
regole, nulla impedisce che le guerre scoppino.
Per Waltz l'anarchia è anche una causa efficiente o immediata della guerra.
L'anarchia in sé può provocarne lo scoppio perché il reciproco timore incentiva
un'azione preventiva. La guerra è dunque connaturata
a un ambiente internazionale anarchico.

Waltz, l’uomo, lo stato, la guerra—> "La guerra può scoppiare perché lo stato A
possiede qualcosa che lo stato B vuole. La causa efficiente è il
desiderio dello stato B; la causa permissiva il fatto che non c'è nulla che [la]
impedisca. In altre circostanze l'interrelazione fra causa
efficiente e causa permissiva diviene ancora più stretta”.
"Lo stato A può temere che, se non rimette a posto lo stato B ora, potrà non essere
in grado di farlo fra dieci anni. Lo stato A diviene l'aggressore nel presente perché
teme ciò che lo stato B sarà in grado di fare nel futuro. La causa efficiente di una
guerra di questo tipo deriva dalla causa da noi definita permissiva [ovvero
dall'anarchia]”.

Nesso tra anarchia e guerra—>Poiché per Waltz gli stati sono egoisti razionali
massimizzatori di sicurezza, l'anarchia li induce a praticare l'autodifesa. L'autodifesa
indotta dall'anarchia li induce però anche a ragionare in termini di dilemma della
sicurezza, attribuendo agli altri sempre le peggiori intenzioni (presunzione di
inimicizia dovuta al timore reciproco).

L’anarchia come causa efficiente della guerra—> poiché l’anarchia è il semplice


riflesso della sovranità ci sarà guerra fino a che esisteranno gli stati. L’anarchia da
causa permissiva diventa causa efficiente.

Gli ostacoli alla cooperazione per Waltz—> la cooperazione non sarà facile in un
simile contesto; per tutti i realisti essere tratti in inganno (cheating) è il rischio più
grave insito nella cooperazione.
Oltre il rischio cheating, secondo i neorealisti l’anarchia riduce la propensione a
cooperare in altri dua modi:
 Per il rischio di divenire dipendenti come effetto della specializzazione che la
cooperazione induce;
 Per il rischio di essere svantaggiati nella ripartizione dei guadagni ottenuti
tramite la cooperazione (la razionalità degli stati è posizionale; il loro obiettivo:
evitare che altri migliorino le loro capacità relative).

La logica di Waltz disincentiva alla cooperazione per attori che hanno una razionalità
difensiva (security maximisers).
Se attribuissimo agli stati una razionalità offensiva (power maximisers), il forte
interesse a migliorare la propria posizione relativa renderebbe più attraente la
possibilità di cooperare per poi trarre in inganno i propri partner. Il peso dei tre
ostacoli individuati sarebbe dunque meno significativo.

Le critiche al realismo strutturale


 Il realismo waltziano (strutturale) non tiene conto dell’interazione perchè non
vuole cadere nel riduzionismo (ossia tenere conto del singolo attore, vista la
sua teoria a livello internazionale). Però ci sono dinamiche sociali di livello
sistemico quali l’intensità dell’interdipendenza o il grado di
istituzionalizzazione. Quale è quindi la rilevanza delle dinamiche sociali di
livello sistemico?
 L’anarchia riflette la sovranità, ma il modo in cui la interpretano può non
contare?
 Per Waltz la struttura limita talmente la propensione degli attori a cooperare
che l’incidenza della cooperazione dovrebbe essere minima, ma le cose non
stanno così. Come si spiega?

Guardando alle istituzioni. Per questo occorrerà aspettare di incontrare il


liberalismo.

IL REALISMO NEOCLASSICO (ppt. 8b)

Il realismo neoclassico—> etichetta coniata nel 1998 da Gideon Rose che afferma
che l’ambizione della policy estera di un paese è guidata dal potere materiale
relativo del paese.

Secondo Waltz, attori che subiscono la stessa pressione strutturale concede loro
uguali incentivi e vincoli sistemici, perciò dovrebbero comportarsi allo stesso modo.
Waltz non tiene conto delle differenze tra decisori e la presenza di differenti
istituzioni (ex Parlamento).
Il Realismo neoclassico vuole spiegare scelte di politica estera guardando allo stato,
secondo questo, fra vincoli e incentivi sistemici e scelte di politica estera
effettivamente compiute ci sia una “cinghia di trasmissione” imperfetta,
rappresentata da decisori e istituzioni.

Nel Realismo Neoclassico rientrano teorie che si propongono di spiegare scelte di


politica estera guardando allo stato.
Ciò che le accomuna è la convinzione che fra vincoli e incentivi sistemici, da una
parte, e scelte di politica estera effettivamente compiute, dall'altra, vi sia una
"cinghia di trasmissione" imperfetta.
Questa è rappresentata dai decisori - con le loro caratteristiche e propensioni - e
dalle istituzioni dello stato, appunto.
Il ruolo dei decisori—>"How do states, or more specifically the decision-makers and
institutions that act on their behalf, assess international threats and opportunities?"
(p. 1)

Il realismo neoclassico riconosce che fattori strutturali-a cominciare dall'anarchia -


esercitino un'influenza sulla condotta dello stato in politica estera, ma non ritengono
che questa sia automatica o univoca (a differenza dei neorealisti.
A determinare una certa variabilità sono le caratteristiche proprie di ciascuno stato (a
partire dai decisori).

Le domande di ricerca
 Perché lo stato A, sottoposto agli stessi vincoli e incentivi, si è comportato in
modo diverso cinque anni fa rispetto a ora?
 Perché lo stato A e lo stato B sottoposti ai medesimi vincoli e incentivi, si
comportano in modi diversi?
Il realista neoclassico ritiene che per trovare una risposta occorra guardare ai
decisori, cioè concentrarsi sul secondo livello di analisi.

Spiegare la politica internazionale—> Il realismo neoclassico attribuisce dunque il


primato, dal punto di vista esplicativo, alle variabili strutturali, ma ritiene che, per
coglierne
adeguatamente l'impatto (soprattutto nel breve periodo), occorra guardare alle
caratteristiche delle unità.
La perdita in termini di parsimonia (cara a Waltz) è compensata dalla potenza
esplicativa
dell'approccio, secondo i realisti neoclassici.
IL REALISMO OFFENSIVO (ppt 9)

Libri—> la logica di potenza (John Mearsheimer) “the tragedy of great power politics”

Novecento secolo di enorme violenza internazionale, questo ciclo di violenza si


ripeterà perchè le grandi potenze si temono a vicenda e si contendono il potere.—>
guidati da paura.
Forza garantisce sicurezza e massima forza è la migliore assicurazione contro
l’insicurezza. Situazione tragica, ma inevitabile.

Mearsheimer è uno strutturalista, sistema condiziona gli attori, ma lui mette la paura
al centro, non rifiutandosi di combinare diversi livelli di analisi.
Specificità del realismo offensivo—> ipotizzare un comportamento offensivo da parte
degli stati, solo massimizzando la potenza si può salvaguardare la sicurezza dello
stato.
Mearsheimer da per scontato che tutti i grandi attori siano in una corsa costante per
l’egemonia (slide 7 riguardante Cina).

Un sistema multipolare di cui fa parte un potenziale/aspirante egemone


(“multipolarismo sbilanciato”) tende a sfociare in una guerra più di altri.
Conflitto inevitabile perché il fine ultimo delle grandi potenze è l’egemonia.
Grandi potenze sono sempre revisioniste e la politica internazionale è una
competizione permanente.
Revisionismo—> atteggiamento di Stati di rivedere e modificare l’assetto
internazionale.
Mearsheimer non è un innovatore, combina più che altro degli spunti.la sua
interpretazione riflette lo spirito del tempo in cui scrive, mettendo al centro
esplicitamente la paura alimentata dall’incertezza (pessimista).
Kagan—> le grandi potenze temono di più le norme che l’anarchia, perché in
anarchia è possibile raggiungere la massima potenza.
Mearsheimer invece insiste sulla oggettività dei presupposti della sua teorizzazione,
perché sostiene che sia una rappresentazione accurata della realtà; la sua teoria
perciò sarebbe realist(ic)a perché si attiene ai fatti e di conseguenza oggettiva.

Ascesa cinese rappresenta minaccia per grandi potenze. Se la Cina diventa una
potenza economica, tradurrà la sua forza economica in militare, concorrendo per
l’egemonia. Cina e Stati Uniti destinati ad essere avversari, perché US cercherebbe
di intervenire e contenerla, cercando una coalizione che faccia contrappeso.
Mearsheimer parla di trappola mortale nella quale sono prigionieri Cina e Usa,
rimandando alla trappola di Tucidide.

Approccio di Mearsheimer basato su 5 proposizioni fondamentali:


● Il sistema internazionale è anarchico;
● Le grandi potenze hanno per definizione capacità offensive;
● Vi è incertezza circa le intenzioni altrui (in un contesto anarchico), attribuendo
agli altri le peggiori intenzioni abbiamo una buona preparazione difensiva ma
questo ha anche tanti lati negativi. L’incertezza è varia ma non è mai ridotta a
zero;
● La sopravvivenza (integrità territoriale e autonomia del proprio ordine politico
—> sovranità) è lo scopo primario delle grandi potenze;
● Le grandi potenze sono attori razionali, consapevoli dell’ambiente circostante
e pensano strategicamente a come sopravvivervi.

Nessuno di questi concetti impongono la reciproca aggressività delle grandi potenze,


ma quando queste 5 proposizioni si si combinano, creano incentivi affinché le
potenze pensino e agiscano aggressivamente le une con le altre.

Non sono le caratteristiche specifiche degli stati a spingere gli stessi a ricercare
l’egemonia, bensì è la struttura del sistema internazionale. In condizioni di anarchia,
l’istinto di sopravvivenza, incoraggia gli stati ad agire aggressivamente.

Mearsheimer individua dunque tre modelli generali di comportamento:


● Timore
● Autodifesa
● Massimizzazione del potere

Il ruolo della paura nelle relazioni internazionali permea tutta l’ideologia realista, non
è caratteristica del realismo offensivo, però Mearsheimer le attribuisce molto più
peso dei suoi colleghi, mettendola al centro.
Il timore è il movente primario del comportamento degli stati nella politica mondiale.
Morgenthau invece non considera l’anarchia, vede la politica internazionale come
una contesa per conseguire potere per realizzare la propria politica a livello
internazionale.
Il dilemma della sicurezza riflette la logica di base del realismo offensivo—> anarchia
insuperabile perché gli stati hanno una sovranità che non permette di riconoscere
una figura o istituzione superiore. Finché c’è anarchia, avremo gli effetti del dilemma
della sicurezza, che porteranno alla guerra. Il livello di timore varia nel tempo e nello
spazio, ma non può essere azzerato.

La natura anarchica del sistema e la non presenza di un terzo amplifica quindi


l’importanza della paura nella politica mondiale. Il timore delle conseguenze della
guerra fanno sì che gli stati non si vedano solo come concorrenti, ma come nemici
mortali (al contrario di chi sostiene che i costi pre e post guerra scoraggino gli stati a
muoversi verso quella direzione). Waltz sosteneva invece che gli stati si
comportassero come imprese nel mercato (contrapposizione realismo classico a
realismo offensivo).
L’obiettivo di sopravvivenza e autodifesa non impedisce di formare alleanze , ma
queste sono soltanto temporanei matrimoni di convenienza: l’alleato di oggi potrebbe
essere il nemico di domani. Perciò anche la “cooperazione” tra gli stati ha sempre
finalità individuale, gli stati agiscono nel proprio interesse non subordinandolo nè a
quello degli altri stati nè a quello della comunità internazionale.

Mentalità da gioco “a somma zero” (se io divento più potente, tu ti indebolisci e


viceversa).
La riduzione dei divari di potere incentiva comportamenti offensivi, perciò mantenere
i rapporti di forza è nell’interesse delle grandi potenze. Gli stati cercano dunque di
massimizzare il potere relativo, perciò, nonostante l’obiettivo sia la sopravvivenza,
sono orientati aggressivamente nei confronti degli altri.

Questi mezzi aggressivi sono finalizzati al raggiungimento dell’egemonia, gli stati


non diventano potenze conservatrici (status quo), ma revisioniste, finché non
arrivano a dominare completamente un sistema.

Mondo in costante competizione per la sicurezza, dove gli stati sono pronti a
mentire, ingannare e ricorrere alla forza bruta, se questo li aiuta a guadagnare un
vantaggio sui rivali. Pace definita come stato di quiete o mutua concordia non ha
probabilità di insediarsi in questo mondo.

Massimizzazione della propria potenza e non della propria sicurezza perché


diventare l’attore più potente del sistema è il modo più sicuro di garantirsi la
sopravvivenza. Conta il potere relativo, non quello assoluto.
Le grandi potenze hanno sempre intenzioni aggressive;
Il perseguimento del potere cessa solo quando viene conseguita l’egemonia,
accettabile anche a livello regionale, vista l’irrealisticità dell’egemonia globale.

(Mearsheimer non considera l’interdipendenza perché considera l’aspetto


economico sostenendo che risponda alle esigenze politiche e quindi rientra nelle
dinamiche della lotta al potere)

La razionalità come limite


Le grandi potenze non possono sempre agire in base alle proprie intenzioni
offensive perchè il loro comportamento non è influenzato solo da ciò che vogliono,
ma anche dalla capacità di realizzare i propri desideri. (Critica al realismo difensivo).
Il dilemma della sicurezza riflette la logica del realismo offensivo.
IL LIBERALISMO (ppt 11)

Dopo l’89→la fine della guerra fredda venne interpretata come portatrice di un nuovo ordine
mondiale liberale. Il liberalismo sembrava essere appropriato ai processi di sviluppo
mondiale spingendo verso una egemonia liberale che prometteva la realizzazione della
visione liberale a livello mondiale.
La vasta diffusione del liberalismo portò a un periodo di profondo ottimismo, e gli
attori liberali si imbarcarono in politiche estere e internazionali proattive, create per
realizzare le promesse liberali.

Ma la disgiuntura tra la teoria e la pratica liberale o i risultati contraddittori portarono


l’ascesa del realismo a una sconfitta.

I punti di interesse:
● Progetto liberale e modernità: gli anni ‘90;
● Il ruolo degli USA e dei paesi liberaldemocratici;
● Ottimismo e politica estera proattiva;
● I limiti delle politiche liberali: aspettative e fallimenti.

L’ottimismo dei liberali


Che cosa rende ottimisti i liberali? Perchè credono nella possibilità di un mondo più
pacifico e in una comunità internazionale più cooperativa rispetto ai realisti?
Quali sono i presupposti della loro teorizzazione e in che modo argomentano le loro
tesi?

Le ragioni dell’ottimismo
1) I liberali hanno fiducia nella ragione e dunque nella possibilità di gestire la
politica internazionale in modo razionale. La ragione può avere la meglio sulla
brama di potere e la paura grazie all’affermarsi del diritto internazionale.
2) Riconoscono il peso degli interessi, dunque ritengono che stati e individui
siano orientati a una cooperazione reciprocamente vantaggiosa. L’attenzione
per gli attori non-stati e la low politics cambia i termini della riflessione sulla
cooperazione.
3) Poiché la modernizzazione incrementa costantemente ambiti ed esigenze di
cooperazione, questa finirà per prevalere sulla dimensione competitiva della
politica mondiale—> i liberali sono progressisti.
Le varianti del liberalismo
Negli anni ‘20 del Novecento il liberalismo si è manifestato nella sua variante
idealistica.
Dopo 2^ guerra mondiale si evolve in 4 filoni:
● Sociologico;
● Dell’interdipendenza;
● Istituzionale;
● Repubblicano.

Il liberalismo sociologico—> dedica attenzione anche ai soggetti diversi dagli stati


(persone, gruppi, organizzazioni private). Il fuoco della sua analisi è costituito dalle
relazioni transnazionali. Cit “ al giorno d’oggi il potere è molto più diffuso, con stati
non-attori forti abbastanza da creare problemi internazionali e aiutare a risolverli”.
La convinzione dei liberali che si concentrano sulle relazioni tra gruppi e
organizzazioni diverse dagli stati è che queste siano più pacifiche e cooperative di
quelle interstatali.

“Comunità di sicurezza”—> caratterizzata da legami fiduciari (presunzione di


amicizia) che alterano le dinamiche previste dal dilemma della sicurezza.

John Burton, il modello a ragnatela (cobweb)—> rappresentazione più efficace delle


relazioni tra i soggetti della politica mondiale rispetto al classico modello a “palla da
biliardo” (dinamica azione/reazione).

Se ogni attore fa parte di vari gruppi e le relazioni fra i gruppi sono molteplici, la
sovrapposizione delle appartenenze (loyalties) minimizza il rischio di conflitto. Un
mondo con un gran numero di relazioni transnazionali (network) sarà più pacifico.

(Il liberalismo dell’interdipendenza)


Interdipendenza—> reciproca dipendenza (ciascuno risente delle azioni compiute e
delle decisioni assunte altrove). È cresciuta con la modernizzazione. Nel secondo
dopoguerra è cambiata, ora è definita “complessa”—> riflette l’affermarsi delle low
politics come dimensione prevalente rispetto alla tradizionale politica di sicurezza
(high politics), circolo vizioso: gestione dei problemi comuni—> incremento
interdipendenza.
La politica mondiale ha subito un processo di domestification, che la rende sempre
più simile alla politica interna nonostante la differenza strutturale tra le due sfere:
ormai anche a livello internazionale si parla di politiche pubbliche/governance. La
dimensione cooperativa prevale su quella competitiva.
Lo stato commerciante—> I paesi industrializzati cercano di accrescere il proprio
peso politico attraverso lo sviluppo economico e il commercio (rispetto all’esercizio
della potenza militare e la conquista territoriale). Il modello vincente è quello dello
“stato commerciante” rispetto allo “stato combattente”.

Con la fine della Guerra Fredda, anche le grandi potenze hanno adottato il modello
di stato commerciante—> stati più interdipendenti= stati più pacifici. Perciò liberali
ottimisti sulle prospettive della pace.

Ritorno visione mercantilista—> l’economia deve servire l’interesse pubblico


preminente, cioè la sicurezza dello stato.

L’interdipendenza genera anche nuovi problemi condivisi e favorisce la percezione


della loro esistenza. Questo, secondo i liberali, porterà a individuare e ricercare
soluzioni comuni. A implementare tali soluzioni saranno chiamate organizzazioni
internazionali settoriali, depositarie di competenze specifiche.

(Il liberalismo istituzionale)


David Mitrany—> Teoria funzionalista dell’integrazione: gli stessi problemi generano
soluzioni istituzionali appropriate.
Integrazione diffusa per spillover. Problemi non più risolvibili in modo autonomo dagli
stati spiegano la proliferazione di OIG a partire dal secondo dopoguerra. L’efficacia
delle organizzazioni internazionali induce i cittadini del mondo a giustificare la loro
attività e ciò rafforzerà la pace.
Sempre secondo Mitrany, rispetto ai tipi di vecchie alleanze “a blocco” ora abbiamo
alleanze a costellazione, che si sovrappongono e si intersecano. E per quanto
riguarda la leadership, non si cerca più un singolo leader globale, ma ci si concentra
su chi ha capacità, desiderio e legittimità di gestire una qualsiasi policy area.

Il rapporto con il realismo


Secondo Nye: il realismo non è da screditare, bensì da riconoscerne i limiti e
integrare con alcune intuizioni dell’approccio liberale.

Il liberalismo istituzionale—> si propone di spiegare il successo della cooperazione


in un contesto decentralizzato (anarchico, nella definizione di Waltz). Sono le
istituzioni a consentire agli stati di raggiungere obiettivi comuni in presenza di
importanti incentivi in senso contrario.
Le istituzioni riducono l’impatto del rischio di essere ingannati e del rischio di essere
svantaggiati nella ripartizione dei guadagni derivanti dalla cooperazione.

Regimi internazionali—> forme di cooperazione istituzionalizzata prive di alcuni tratti


che contraddistinguono le OIG (segretariato, sede, ecc..).
Possono essere definiti anche come “accordi dotati di continuità istituzionale”. Utili
quando i problemi collettivi devono essere gestiti nel tempo e gli strumenti della
cooperazione adattati allo scopo.
Definizione regimi internazionali—> Sono insiemi di principi, norme, regole e
procedure decisionali attorno alle quali le aspettative degli attorni convergono in una
determinata area tematica delle relazioni internazionali. (Ciò che emerge come
elemento cruciale è la convergenza delle aspettative, che favorisce appunto la
cooperazione).

Secondo gli istituzionalisti, le istituzioni riducono l’impatto di entrambi i vincoli alla


cooperazione prefigurati dal realismo strutturale waltziano: il rischio di essere
ingannati e il rischio di essere svantaggiati nella ripartizione dei guadagni derivanti
dalla cooperazione.

Le istituzioni mitigano l’impatto del rischio di essere tratti in inganno sulla


propensione a cooperare :
● Stabilizzando la cooperazione nel tempo;
● Migliorando la circolazione delle informazioni e quindi favorendo il controllo
reciproco;
● Consentendo agli attori che rispettano i patti di guadagnarsi la fama di partner
affidabili;
● Creando aspettative convergenti circa la saldezza degli accordi.
Il realismo repubblicano—> mette al centro della riflessione la democrazia, sulla
base dell’aspettativa che le relazioni internazionali tra paesi democratici saranno
pacifiche e collaborative.

Esempio summit tenuto da Biden il 9-10 dicembre 2021, i cui punti chiave erano:
● Difesa contro autoritarismo
● Riconoscere e combattere la corruzione
● Promuovere il rispetto per i diritti umani

Per i liberali repubblicani, l’ottimismo circa le prospettive di pace dipende dalla


convinzione che le democrazie siano pacifiche (peace-loving), dunque aumentando
il numero dei regimi democratici i rapporti internazionali diventeranno più pacifici e
collaborativi.

La pace democratica—> “legge” frutto di un’indagine empirica condotta in un arco di


tempo ampio, la quale dimostra come le democrazie non si facciano (quasi mai) la
guerra: tendono piuttosto a ricercare la pace.
Le democrazie combattono invece contro i regimi non democratici, sebbene evitino
di norma guerre preventive, optando per alleanze difensive.

Gli assetti istituzionali e i meccanismi decisionali delle democrazie favoriscono un


atteggiamento pacifico che le porta a ricercare soluzioni non violente contro paesi
che manifestano intenzioni aggressive.
—> quali sono questi assetti e meccanismi?
La divisione dei poteri, il controllo dell’opposizione, la pubblicità dei processi
decisionali, e l’esigenza di mantenere il consenso dei cittadini.

Le ragioni normative:
● La loro cultura politica alimenta la convinzione che sia possibile risolvere
pacificamente le controversie;
● I valori morali condivisi nutrono la fiducia reciproca;
● La condivisione di cultura politica, valori morali e forma istituzionale le rende
reciprocamente più credibili quando assumono impegni nella negoziazione e
implementazione di accordi.

Le ragioni economiche

Il fatto che i regimi democratici proteggano le proprietà privata e la libertà economica


facilita lo sviluppo di un'economia di mercato, che a sua volta alimenta
l'interdipendenza, che come si è detto può far aumentare i costi di una guerra.

Anche per effetto di questa associazione tra democrazia ed economia di mercato


alcuni osservano che ciò che conta non è soltanto l'esistenza di procedure
democratiche, ma di una cultura politica liberale in senso ampio.
In una pubblicazione recente, D. Kliman sostiene che a rendere pacifici gli
avvicendamenti al vertice del sistema internazionale tra democrazie sono
essenzialmente due fattori:
la trasparenza e l’opportunità di accesso (cioè di parola) che offrono a soggetti
esterni.

Questa conclusione è importante perché naturalmente queste due condizioni


possono essere in qualche misura replicate dalle non democrazie (a differenza della
cultura politica e dell’assetto istituzionale).

Le ragioni dell’ottimismo e del pessimismo

La diffusione della democrazia, dopo l'Ottantanove, ha rafforzato l'ottimismo dei


fautori del liberalismo repubblicano.
La fragilità dei regimi democratici, non soltanto più quelli di nuova istituzione, e le
difficoltà insite in ulteriori transizioni suggerisce, tuttavia, prudenza.

Anche l'indebolimento delle istituzioni internazionali dovrebbe preoccupare: le


democrazie saranno pacifiche anche in un contesto diverso da quello dell'ordine
liberale?

La critica dei realisti—>liberalismo non coglie la centralità delle questioni di sicurezza


nelle RI. La dimensione economica è rilevante e la cooperazione influisce
positivamente sulla natura dei rapporti internazionali attuali, ma in un ambiente
anarchico le circostanze possono sempre riportare gli stati a una condizione di
competizione violenta.
I liberali sottovalutano il rischio del conflitto.
Per sfuggire a questa critica bisogna discutere la concezione dell’anarchia come
faranno i costruttivisti.
Liberali deboli—> accettano le basi del realismo strutturale riguardo l’anarchia.
Liberali forti—> costruttivisti, valorizzano interazione tra gli attori al punto di far
emergere una concezione della sfera internazionale molto diversa da quella liberale
debole, strutturalmente anarchica.

Il problema della pratica—> liberalismo ha obiettivi nobili, ma sistematicamente non


vive all’altezza di questi obiettivi.
Dibattito tra studiosi perchè c’è chi ancora crede nel liberalismo.
Risposta di Ikenberry—> nessun paese liberale ha mai agito solo sulla base dei
presupposti liberali.

LA SCUOLA INGLESE (ppt 12)

Costituisce una terza via rispetto a realismo e liberalismo. Chi vi aderisce riconosce
che gli stati operano in un contesto anarchico (realismo), ma hanno sviluppato
norme, regole e istituzioni sociali che consentono loro di perseguire collettivamente
alcuni fili essenziali in modo da creare aspettative reciproche stabili.

La società anarchica—>scritto da Hedley Bull, definisce quasi un ossimoro e


rappresenta la situazione degli attori che hanno dato norme e istituzioni per gestire
la situazione anarchica.

La scuola inglese studia le dinamiche attraverso le quali essa si è costituita ed


evolve. Pur riconoscendo il ruolo giocato dagli attori non stati, essi ritengono che
siano secondari rispetto agli stati.

Per i teorici, l’esistenza di un sistema internazionale costituisce un prerequisito per la


costituzione di una società internazionale.
Sistema internazionale—> insieme di soggetti le cui rispettive condotte hanno un
impatto reciproco così significativo da dover essere tenute in considerazione da
parte degli altri componenti del sistema.
Esiste quindi un sistema, e va quindi regolato.

Le istituzioni della società internazionale—> una società internazionale esiste


quando esistono norme, regole e istituzioni sociali nel sistema internazionale, che
sono state create dagli stati attraverso un “dialogo”, dunque per consenso. Il rispetto
di tali norme, regole e istituzioni presuppone il riconoscimento, da parte dei suoi
componenti, del valore che la società definita in questo modo venga preservata.
Le istituzioni fondamentali della società internazionale sono quelle che ne
definiscono i caratteri e il funzionamento:
● La sovranità (e di conseguenza, la territorialità);
● L’equilibrio di potenza;
● La diplomazia;
● Il diritto internazionale;
● Il concerto (la gestione delle relazioni internazionali da parte delle grandi
potenze);
● La guerra (oggi discussa come istituzione fondamentale)

Enfatizzata la dimensione di costruzione sociale della realtà internazionale e quella


relazionale-diplomatica della politica mondiale; in generale, la dimensione
prettamente sociale della società internazionale.
Società internazionale diversa da sistema internazionale e da comunità
internazionale.
Sistema internazionale—> insieme di unità interagenti;
Comunità internazionale—> insieme degli stati sovrani.

La Scuola inglese si divide in due filoni:


-sostenitori del carattere “pluralistico” della società internazionale—> riconoscono la
centralità delle dinamiche competitive e di potere.
-sostenitori del carattere “solidaristico” della società internazionale—> sostengono
che l’affermarsi di norme e regole condivise ridimensiona il peso del potere e della
competizione, riducendo la necessità di ricorrere alla forza.

Queste due condizioni possono essere concepite come estremi di un continuum. Da


una parte si avrà una società internazionale pluralistica, dall’altra una solidaristica.

Nella riflessione della Scuola Inglese due valori sono particolarmente centrali:
l’ordine e la giustizia internazionali.

L’ordine internazionale—> per definizione, disposizione dell’attività internazionale


che promuove il raggiungimento di quelle finalità della società degli stati che
consideriamo elementari o primarie, prima tra tutte la preservazione della società
internazionale come comunità di stati sovrani , quindi difesa dell’indipendenza degli
stati (limitazione della violenza), saldezza degli accordi, stabilizzazione dei diritti di
proprietà.

La responsabilità di mantenere l’ordine è affidata alle grandi potenze—> l’equilibrio


di potenza consapevolmente perseguito, per la SI, ne è uno strumento.

Gli statisti hanno dunque una doppia responsabilità:


● Verso i propri cittadini (perseguimento dell’ interesse nazionale);
● Verso gli stati e la società internazionale nel suo complesso, in quanto ogni
stato ha diritti e doveri.
Terza responsabilità degli statisti, in quanto esseri umani, è quella nei confronti di
tutti gli altri esseri umani, indipendentemente dal paese di appartenenza (obblighi
diagonali: tra uno stato e i cittadini di altri stati di rispettare e proteggere i diritti
umani).

Conciliare queste tre dimensioni della responsabilità è una delle maggiori sfide che il
mondo contemporaneo pone agli statisti.

La giustizia come valore—> la giustizia commutativa corrisponde essenzialmente


all’equità delle regole del gioco, che sono contenute negli accordi e nelle prassi
diplomatiche.
La giustizia distributiva riguarda i criteri che dovrebbero presiedere all’allocazione dei
beni. È una dimensione della giustizia che riguarda in primo luogo la sfera della
politica interna, ma- con la crescente integrazione del mondo e l’affermarsi di un più
profondo senso di comunità universale- ha investito anche le relazioni internazionali,
assumendo un peso crescente nelle nostre dinamiche della politica mondiale.

La questione del metodo—> la SI ritiene che le relazioni internazionali rientrino nella


sfera dell’esperienza umana, costituendone una delle varie dimensioni,

L’approccio classico—> Bull, fautore dell’approccio classico, ritiene che per


comprenderne natura e sviluppi occorra rifarsi alla filosofia, alla storia e al diritto, e in
particolare fare “esercizio di discernimento” consapevole della complessità della
politica mondiale e delle scelte che i decisori sono chiamati ad assumere.

Wight—> per comprendere la politica mondiale occorre “unirsi alla conversazione”.


Il pregio dell’approccio classico è l’apertura agli stimoli che vengono dalle varie
discipline e filoni, nonché dall’esperienza storica. Questa ricettività consente agli
studiosi di avvicinarsi alla complessità della realtà internazionale, ma può rivelarsi un
elemento di fragilità, rendendo più difficile un’analisi rigorosa dei fenomeni.

La critica dei realisti—> ritengono che:


● Non vi siano prove della capacità delle norme di condizionare la condotta
degli stati. Ovvero gli stati sottoscriverebbero le norme soltanto quando e
nella misura in cui favoriscono il conseguimento di obiettivi nazionali;
● Quando vi è un conflitto fra diverse dimensioni della responsabilità prevale
sempre quella interna.

La critica dei liberali—> loro invece ritengono che:


● Sia troppo debole il riconoscimento del ruolo di fattori interni, come il regime
politico;
● Sia troppo debole il peso attribuito alla dimensione economica delle relazioni
internazionali. La risposta della SI è che la dimensione economica che
interessa è quella della governance, cioè delle istituzioni.

Le critiche degli studiosi della politica globale riguardano lo statocentrismo della SI.
Si osserva che in assenza di norme e istituzioni che costituiscano una società
internazionale sarebbe difficile ragionare di un tessuto nel quale gli attori non stati
trovino una loro dimensione operativa (si pensi alla dinamica di relazione OIG/ONG).

L’agenda di ricerca oggi:


● La questione dell’evoluzione della società internazionale per effetto della
trasformazione di una delle sue istituzioni primarie, la sovranità (insieme a
territorialità, diplomazia, great power management).
● Il tema della legittimità internazionale e dunque come si possa costruire e
preservare un ordine a fronte di una crescente eterogeneità del sistema
internazionale.
● I problemi di responsabilità posti dalla crisi ecologica (tra paesi, comunità,
generazioni).
IL COSTRUTTIVISMO (ppt. 13)

Si sviluppa come reazione al neorealismo strutturale. Secondo i costruttivisti, il


neorealismo strutturale assume quasi tutto ciò che, della politica internazionale, è
invece interessante spiegare.

Il neorealismo strutturale (in sintesi)—> assume che gli stati siano egoisti razionali.
In un sistema anarchico (per effetto della sovranità) essi praticheranno dunque
l’autodifesa. Ciò innesca il dilemma della sicurezza che crea i presupposti per il
conflitto armato.
I costruttivisti si propongono di spezzare questo automatismo.

I costruttivisti si propongono di spiegare come gli stati elaborino la propria identità e


di conseguenza definiscano gli interessi che poi difenderanno nell’interagire con gli
altri attori.

Wendt sostiene che non esista una logica anarchica; che autodifesa e politica di
potenza sono istituzioni, non corollari dell’anarchia. L’anarchia è ciò che gli stati ne
fanno.

In un sistema decentralizzato (anarchico) gli stati possono essere orientati, nelle loro
decisioni, dal dilemma della sicurezza, una struttura sociale costituita da concezioni
intersoggettive che denotano totale mancanza di fiducia reciproca. Il problema non è
l’assenza di un Terzo, ma la mancanza di fiducia reciproca che induce ad agire sulla
base di una presunzione di inimicizia.

In un sistema anarchico è però possibile costruire socialmente una comunità di


sicurezza, caratterizzata da una comune fiducia nella rinuncia alla violenza come
strumento di risoluzione delle controversie.
La situazione è quindi definita da reciproca fiducia che alimenta la reciprocità diffusa
(sicurezza collettiva). L’identità è inclusiva: l’interesse nazionale di ciascuno fa
spazio agli interessi collettivi.
L’internalizzazione di ruoli e norme—> 3 gradi di internalizzazione:
1. Coercizione (meno stabile)
2. Interesse
3. Legittimità (più stabile)
Per interpretare un contesto anarchico, bisogna conoscerne la cultura e stabilire in
che misura sia internalizzata dagli attori.

Gli approcci che enfatizzano la dimensione sociale della RI sono sempre visti con
sospetto, come se questo comportasse una sottovalutazione degli aspetti conflittuali.
Ma un mondo costruito socialmente non significa che sia il migliore possibile, ma che
non può essere assunto come costante.

Per i costruttivisti, le strutture sociali (anarchia compresa) vengono create e


“trasportate” nel tempo dagli attori, che le riproducono e le trasformano. Per
trasformarle devono “vincerne” il condizionamento (che varia nel tempo e nello
spazio).

Come si sviluppa il processo di costruzione sociale della realtà internazionale?—>


Attraverso idee condivise che, una volta divenute fatti sociali, strutturano i contesti
sociali influenzando il comportamento degli agenti.

Il concetto di fatto sociale—> i fatti sociali sono tali, cioè esistono indipendentemente
dalla nostra volontà o interpretazione individuale (perciò usiamo il termine “fatti”), in
quanto sono condivisi all’interno della collettività della quale facciamo parte e ciò li
rende capaci di condizionare la nostra condotta.
Possono essere concepiti come norme costitutive, in quanto “creano” un determinato
gioco. La sovranità per esempio, rappresenta una norma costitutiva in quanto ha
“creato” la politica internazionale moderna intesa come “gioco” giocato dagli stati.
Il riconoscimento reciproco degli stati in quanto sovrani è infatti il presupposto
dell’esistenza della politica internazionale che conosciamo.

Secondo i costruttivisti il nostro è dunque un World of our making.


Infatti se a lungo solo gli stati hanno partecipato al gioco della politica internazionale
ciò dipende da un’idea condivisa circa i requisiti per partecipare al gioco stesso (in
questo caso la sovranità).

Le norme regolative—> disciplinano un’attività preesistente; per esempio il diritto


commerciale, il codice stradale, le regole della condotta diplomatica nella politica
internazionale.

Le norme costitutive—> definiscono l’ambito del possibile piuttosto che quello del
lecito (sfera tipica delle norme regolative, che presuppongono l’esistenza dell’attività
da regolare).

La guerra è un fatto sociale (norma costitutiva) in quanto conferisce significato e


valore ad atti violenti che in un diverso contesto sarebbero puniti e disprezzati. Quali
atti violenti sono legittimi i guerra è stabilito dal diritto bellico, cioè invece, l’insieme di
norme regolative che la guerra in quanto fatto sociale ha reso necessario fissare.

Per i costruttivisti le norme costitutive definiscono i caratteri del sistema


internazionale e poi inducono gli attori a definire la propria identità, interessi e
condotta utile a conseguirli in rapporto al contesto sociale in cui sono immersi.
Ciò accade in quanto i costruttivisti ipotizzano che gli stati seguano la logica
dell’appropriatezza rispetto al ruolo che ricoprono e che gli altri si aspettano che
ricoprano. In questa dinamica pesa molto la ricerca del riconoscimento degli altri.
Alternativa all’appropriatezza è la logica delle conseguenze, secondo la quale attori
razionali, con identità e preferenze dati, decideranno come comportarsi sulla base
del calcolo del ritorno atteso di una opzione rispetto alle alternative.

Idee condivise, fatti e norme sociali, aspettative, influenzano non soltanto il modo in
cui gli stati perseguono i loro fini tradizionali (sicurezza, potenza e benessere), ma
l’elaborazione della loro stessa identità e, attraverso questa, dei loro interessi.
Nesso identità—> interessi
È estremamente importante nel costruttivismo.

Gli interessi degli attori non sono indipendenti dal contesto sociale, ma vengono
definiti nel definire le situazioni.

Corporate—> identità organizzativa che definisce la natura di ogni agente collettivo.


Questa identità genera interessi fondamentali che, “attraverso la motivazione,
forniscono l’energia che spinge a impegnarsi in un’attività”, nel nostro caso sono
all’origine della stessa società internazionale.

La sovranità può essere concepita come identità organizzativa, perchè lo stato


moderno si identifica attraverso questo principio.
All’identità “stato sovrano” sono intrinsecamente legati 4 interessi fondamentali:
1. Sicurezza;
2. Prevedibilità;
3. Riconoscimento;
4. Espansione delle proprie capacità.

Le identità sociali sono, invece, “ insiemi di significati che un attore attribuisce a se


stesso assumendo la prospettiva dell’altro”-Wendt
Ogni attore avrà identità sociali multiple che variano, quanto a salienza, in rapporto
ai contesti nei quali agisce e nel tempo.

Secondo March e Olsen è proprio la identità sociale che spinge gli attori ad adottare,
nell’agire, la “logica dell’appropriatezza”, comportandosi come il ruolo che hanno
assunto richiede. In questo modo essi ottengono conferma della loro identità sociale
da parte degli omologhi.
Infatti, “nella logica dell’appropriatezza è sensato chi non perde di vista la propria
identità, nel senso che mantiene una congruenza tra il comportamento e la
concezione di sè in un ruolo sociale”.

Come si stabilisce ciò che il ruolo richiede?—> le regole definiscono le relazioni tra
ruoli in termini di ciò che il titolare di un ruolo deve ai titolari di altri ruoli.

Fini e mezzi
Ponendo che l’obiettivo minimo degli attori sia sopravvivere, le modalità che essi
sceglieranno per perseguirlo dipendono dalle pratiche sociali che caratterizzano
l’ambiente in cui si trovano. Per prevedere il comportamento degli attori in un
sistema decentralizzato contano le norme, le idee condivise, i fatti sociali e le
aspettative.

Un contesto decentralizzato può essere quindi governato da norme sociali molto


diverse tra loro, le quali danno origine a pratiche che influenzano la definizione di
identità e interessi degli attori.
Conseguenze:
● La storia conta (amici/nemici non si nasce, si diventa). Il costruttivismo si
pone di gettare luce sui processi di costruzione sociale della realtà
internazionale. L’approccio è dinamico: norme, fatti sociali, aspettative, sono
riprodotte dalle pratiche sociali.
● La distribuzione delle risorse materiali in sè non ci aiuta a capire gli sviluppi
della politica internazionale—> i realisti hanno ragione a sostenere che conta,
ma in quale modo dipende da concezioni intersoggettive.

Relazioni sociali di amicizia, fiducia, sospetto e rivalità danno senso ai fatti, e in


questo senso influenzano la realtà fisica.
Molta teoria delle RI si occupa di come gli attori difendano i propri interessi, mentre il
costruttivismo si chiede come li definiscano.
Questo rende il costruttivismo alternativo a neorealismo e neoliberalismo:
assumendo identità e interessi come esogeni al processo sociale questi ultimi si
costringono a considerare il mondo come dato (trascurando le norme costitutive e
guardando soltanto a quelle regolative).

La tesi di Finnemore—> il sistema internazionale può “cambiare ciò che gli stati
vogliono”. In questo senso è costitutivo e generativo in quanto crea nuovi interessi e
valori per gli attori coinvolti nell’interazione.
Ciò implica che le preferenze degli stati non possano essere semplicemente
assunte, ma debbano essere problematizzate, anche chiedendosi dove abbiano
origine. Di norma si assume che abbiano origine all’interno dello stato dove si
formerebbe l’interesse nazionale, ma il quadro cambia se la dimensione sociale della
loro esistenza viene accentuata.

Finnemore illustra 3 casi nei quali organizzazioni internazionali hanno “socializzato”


gli stati membri a nuovi obiettivi e nuovi valori che hanno poi avuto un impatto
significativo nella loro condotta successiva.
Esempio UNESCO e la creazione di burocrazie scientifiche da parte di paesi che
integrano questo aspetto in una specifica concezione di “stato moderno” con la quale
vengono così a identificarsi (identità sociale).

Oltre l’identità egoista—> la logica dell’appropriatezza può spingere gli attori a


comportarsi in modi molto diversi in termini di cooperazione o competizione per
raggiungere i propri obiettivi, anche questi non impermeabili alla vita di relazione: si
pensi all’identità di responsible stakeholder.
—> attraverso questo concetto uno specifico paese o la comunità internazionale
possono trasmettere le aspettative che nutrono rispetto al comportamento di un
determinato soggetto, introducendo un parametro di giudizio dello stesso.
In secondo luogo, richiamare la responsabilità vuol dire mandare un messaggio
rispetto alla elaborazione degli interessi nazionali:
Ci si aspetta che saranno ampi abbastanza da includere il mantenimento e la
gestione dell’ordine internazionale.
ANALISI DELLA POLITICA ESTERA (ppt 14)

La politica estera è l’insieme di obiettivi, strumenti e risorse attraverso i quali uno


stato si propone di influenzare attori e processi esterni rispetto alla sua sfera di
autorità. L’analisi della politica estera guarda a tutte queste dimensioni, in relazione
al contesto nel quale dovrebbero dispiegare il loro effetto, per valutare praticabilità
ed efficacia di corsi d’azione alternativi fra loro. Può spingersi a formulare
raccomandazioni.

La politica estera è l’insieme delle azioni compiute dai governanti di uno stato allo
scopo di influenzare il comportamento di attori esterni al sistema politico nazionale
(accezione restrittiva).

Concependo la politica estera con accezione estensiva invece, può essere qualsiasi
azione abbia una generica rilevanza politica e produca effetti al di fuori dei confini
nazionali indipendentemente da chi la compia. In questo caso vale il principio
dell’effettività: se produce un effetto è rilevante per chi fa ricerca. Questa definizione,
seppur ragionevole, rende l’oggetto della ricerca molto più difficile da circoscrivere e
dunque da analizzare.

Perchè studiare la politica estera?


1. Per analizzare gli obiettivi che i diversi governi si pongono nell’interagire con
gli altri paesi e gli strumenti ai quali si affidano per realizzarli (inclusa la
diplomazia pubblica). Questi possono infatti anche influenzare il clima
generale della politica internazionale, oltre alle relazioni tra specifici stati.
2. Per considerare il rapporto costi-benefici di ciascuna linea d’azione in
relazione a determinati obiettivi di politica estera. Ovvero per valutare
l’efficacia di una specifica politica attuata da un governo.
3. Per offrire (al proprio governo, di norma) raccomandazioni circa gli obiettivi da
porsi e i mezzi più idonei per conseguirli.

Come si studia la politica estera?


-l’approccio tradizionale—> si propone di interpretare il comportamento dei decisori
studiandone con cura le scelte passate e presenti alla luce dei fattori che influenzano
il processo decisionale di politica estera (storia, posizione geografica, risorse,
interessi, preoccupazioni, aspirazioni in termini di ruolo da giocare o di rango che si
vuole venga riconosciuto. Si tratta di un approccio eminentemente descrittivo.

Gli approcci alternativi:


● L’approccio comparativo—> individuazione e classificazione di variabili/fattori
che incidono sulle decisioni di politica estera. Rosenau individua 5
variabili/fattori:
-caratteri del decisore;
-ruolo del decisore;
-struttura istituzionale;
-fattori sociali (valori, coesione, natura del sistema economico..)
-fattori sistemici, cioè esterni/ambientali.
Utile come base per analisi empiriche, non si è mai affermato in quanto tale.

● L’approccio basato su strutture e processi burocratici—> per sviluppare una


conoscenza empirica della politica estera, propone di concentrarsi sul
contesto organizzativo nel quale si sviluppa il processo decisionale. Punto di
forza: attenzione che presta alle effettive modalità di formazione delle
decisioni (inclusi gli interessi di individui e organizzazioni coinvolti.

● L’approccio cognitivo—> si concentra sul/sui decisori intesi come singoli


individui e sulle percezioni che ne orientano le decisioni. Importante l’apporto
dello studio sulle misperception di R. Jervis (1976), ovvero sulle distorsioni
che provocano nel processo decisionale le convinzioni pregresse (incluse le
visioni del mondo/worldviews).

● L’approccio costruttivista—> considerando decisiva l’influenza delle idee nella


sfera (sociale) della politica mondiale, i costruttivisti osservano come gli attori
perseguono gli interessi che elaborano nel processo di definire la propria
identità. Pionieristico, in questo ambito lo studio di K. Holsti (1970) sulle
national role conceptions, che influenzano la definizione degli obiettivi e la
scelta dei mezzi per perseguirli.

Un modo utile di affrontare un quesito di ricerca legato alla politica estera è stabilire
a quale livello di analisi cercare (prioritariamente) la risposta, considerando i tre
livelli: individuo, stato e sistema internazionale.

Primo livello: il decision maker—> chi pone il decisore al centro della propria analisi
assume che incida significativamente sul processo di definizione della politica
estera. Quanto e come incida, dipende dalla concezione del decisore che adotterà:
se lo considererà un attore essenzialmente razionale oppure un attore cognitivo. La
dimensione soggettiva conterà di più se l’attore viene concepito come cognitivo.

Gli studiosi convengono che la razionalità dei decisori sia comunque spesso limitata:
● Dalla capacità di elaborare soltanto una certa mole di informazioni;
● Di vedere soltanto un certo numero di opzioni alternative (essendo
condizionati da convinzioni consolidate ed esperienze pregresse) senza
essere in grado di valutarne a pieno le conseguenze;
● Dalla difficoltà di ordinare le preferenze secondo un’unica scala.
Il dibattito sulla razionalità e i processi cognitivi dei decisori è importante perchè
questi rappresentano le “cinghie di trasmissione” non neutre/passive delle
informazioni sistemiche (vincoli e opportunità) che entrano nel processo decisionale
di politica estera.

Secondo livello: lo Stato —> concentrarsi sullo stato (cioè sulle istituzioni deputate a
“fare” la politica estera) significa porre al centro dell’analisi gli obiettivi che definisce-
l’interesse nazionale, in chiave realista- e ragionare su come e quanto l’autorità
politica è in grado di mobilitare le risorse necessarie a conseguire quegli obiettivi.
Una notevole capacità di mobilitazione delle risorse può indurre lo stato a fissare via
via obiettivi più ambiziosi e, viceversa, una modesta capacità può indurre lo stato a
ridimensionare i propri obiettivi.
Porre lo stato al centro dell’analisi consente di focalizzare l’attenzione sul regime
politico, e in particolare di analizzare l’impatto della democrazia nella conduzione dei
rapporti internazionali.
I liberali sono pure interessati a osservare come i differenti gruppi concorrono a
definire le preferenze dello stato anche in ambito di politica estera.

Terzo livello di analisi—> gli approcci che si concentrano su questo livello devono
proporre una concezione della sfera internazionale e dei vincoli/opportunità che ne
discendono, quindi stabilire un nesso plausibile tra informazioni sistemiche e scelte
di politica estera.
Il livello del sistema internazionale fornisce dunque le informazioni circa il contesto
generale (sistema politico internazionale) nel quale le decisioni vengono elaborate.

Posen, ad esempio, propone l’esistenza di un nesso (non deterministico) tra


distribuzione del potere nel sistema internazionale e condotta degli stati. Le diverse
forme della polarità incentiverebbero determinati comportamenti che sarebbero
indotti dalla (percezione della) distribuzione della potenza maturata dai decisori. Il
nesso tra informazioni sistemiche (incentivi e disincentivi, vincoli e opportunità) e
politica estera è costituito dai decisori.
La politica estera italiana: come studiarla?—> la domanda di ricerca è: la politica
estera italiana ha integrato le trasformazioni che hanno interessato la sfera
internazionale dopo l’89?

Per dare una risposta guardo le relazioni. Un rafforzamento delle relazioni con i
paesi BRIC potrebbe essere assunto come indicatore del fatto che l’Italia ha recepito
la multipolarizzazione del sistema internazionale. Gli indicatori di un rafforzamento
delle relazioni possono essere vari: dialoghi dedicati, un incremento degli scambi
commerciali, culturali o nell’ambito della formazione, ecc..
Oppure posso guardare alle idee espresse dai decisori e raffrontarle con quelle che
identificavano il paese in un periodo precedente per verificare se siano state
aggiornate (in questo caso la rassegna della letteratura mi avrà detto che uno studio
di questo genere è stato condotto in precedenza e le risultanze possono essere
utilizzate come parametro di raffronto).

Se decido di lavorare sulle idee, devo stabilire:


● Quali sono i soggetti a cui è delegata la funzione di “leggere” il contesto
internazionale in funzione di policy-making di politica estera (ministri degli
esteri, presidente del consiglio);
● “Dove” raccogliere le idee (i discorsi ufficiali, quali?);
● Come seleziono e organizzo le idee ai fini della ricerca;
● Stabilire un nesso fra idee normative e concezioni di ruolo di un attore (l’idea
che guida l’azione è appropriata rispetto al ruolo che ricopro o vorrei
ricoprire).

Esempi di idee nei discorsi di politica estera:


● The international system is complex and dynamic, presenting new challenges
and threats;
● Globalization creates opportunities;
● A power shift is occurring:
● The EU can make the difference in world politics;
● The transatlantic partnership is a pillar of global governance;
● Multilateralism is the cornerstone of world order;
● Effective multilateralism entails state responsibility;
● Democracy fosters security and development;
● Setting priorities is crucial for middle powers.

Nel 1970 Holsti associava all’Italia 4 concezioni di ruolo (NCR):


● Integratore/mediatore;
● Collaboratore a livello regionale/ sottosistemico;
● Agente di sviluppo (developer);
● Alleato (fedele).
Nel 2017 l’italia di aver assunto altre 5 concezioni di ruolo:
● Ponte;
● Multilateralista efficace/ stato responsabile;
● Globalization surfer/ economic networker;
● Potenza culturale;
● Attore “di principi”.

Queste 5 nuove concezioni di ruolo dimostrano che l’Italia ha, in qualche modo,
integrato il cambiamento. È però a rischio l’efficacia della politica estera di un attore
che, con mezzi ridotti, si sforzi di agire in modo appropriato rispetto a tanti diversi
ruoli che vuole vedersi riconosciuti.

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