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INTERNAZIONALI
Prof. Anna Caffarena
POLITICA E POTERE (ppt 2)
L’oggetto di studio delle relazioni internazionali è la politica internazionale.
Cosa è la politica?
Politica= processo attraverso il quale l’autorità pubblica assume decisioni vincolanti
per la collettività relativamente a chi riceverà che cosa, come e quando.
Agendo in una sfera anarchica dove nessuno lo tutela, lo stato ha dunque il dovere
nei confronti dei propri cittadini di difendere innanzitutto l’interesse collettivo primario,
ovvero la sicurezza. Difendere la sicurezza si traduce in esercitare il potere che
detiene per dissuadere eventuali antagonisti aggressivi o vincere la guerra in caso di
attacco (se ampliamo la concezione di sicurezza, anche per imporre le proprie
priorità).
Si conviene quindi che, quanto più potere detiene un paese, tanto più sarà sicuro.
Non stupisce quindi che la politica internazionale sia concepita come un gioco a
somma zero, che è tale in quanto chi vince crea automaticamente un perdente.
In un sistema internazionale costituito da stati sovrani, dunque anarchico, si
determina così un paradosso noto come “dilemma della sicurezza”—> ciascuno
stato si sforza di incrementare la propria potenza in funzione difensiva. In un sistema
anarchico, dove nessuno li protegge, gli stati non possono tuttavia che attribuire
precauzionalmente agli altri le intenzioni peggiori, e dunque considerare tale
comportamento come potenzialmente offensivo. Ciò induce ciascuno a impegnarsi
per migliorare la propria posizione relativa innescando una pericolosa spirale.
Il “dilemma della sicurezza” spiega la centralità del potere (militare) nella sfera
internazionale e le preoccupazioni per i cambiamenti dei rapporti di forza nel
sistema.
Nye, il paradosso del potere americano—> l’America, pur avendo una dotazione di
risorse materiali immensamente superiore agli altri membri del sistema
internazionale, fatica a raggiungere i propri obiettivi. Perché?
Il problema starebbe, secondo Nye, nella perdita di Soft Power, cioè di influenza.
"L'hard power si può basare sulla minaccia (il bastone) o l'induzione (la carota).
Esiste, però, anche un modo indiretto per esercitare il potere. Un paese può
raggiungere i propri intenti in politica internazionale perché gli altri stati vogliono
seguirlo [...] Questo aspetto del potere, indurre gli altri a volere ciò che tu vuoi, è ciò
che definisco soft power. Il soft power si affida alla capacità di definire le priorità,
plasmando le preferenze altrui”.
Sulla concezione strumentale del potere si fonda una delle principali interpretazioni
del funzionamento del sistema internazionale, quella basata sulla polarità.
Per i sostenitori della polarità la distribuzione del potere materiale nel sistema
internazionale è il singolo aspetto più rilevante per comprendere (e prevedere) il
comportamento degli stati.
Il presupposto di questa interpretazione è che gli stati stabiliranno la propria condotta
in funzione della distribuzione del potere/configurazione della polarità(uni-bi-
multipolare) del sistema internazionale.
Il successo della polarità è dovuto anche al fatto che riesca a spiegare molto
guardando a un solo fattore: ossia quanti paesi dispongono di una “quota” molto
rilevante di potere. È una scelta verso la semplificazione.
I pregi della polarità:
● Ribadisce la centralità dello stato come attore;
● Semplifica richiamando l’attenzione su superpotenze/ grandi potenze/
potenze regionali;
● Consente di ragionare (intuitivamente) in termini di bilanciamento reciproco;
● Offre un quadro elementare in base al quale misurare continuità è
cambiamento.
La logica di condotta di un attore non è influenzata però solo dalla struttura polare
del sistema, ma anche da altri variabili, quali: la sua cultura politica e politico-
internazionale, i rapporti pregressi con i principali attori del sistema, gli interessi che
attribuisce agli altri, il livello di istituzionalizzazione del sistema, il livello di
fiducia/sfiducia che caratterizza le relazioni.
Amico—>partenariato
Rivale—>competizione
Nemico—>conflitto
Definire la politica internazionale come lotta al potere è dunque generico:
● non è chiara la natura del potere (quale conta di più?) nè quella della lotta
(competizione pacifica? Lotta?);
● le regole del gioco sono un fattore immateriale di primaria importanza perchè
influenzano l’esercizio del potere e la sua efficacia nel conseguire gli obiettivi.
Il governo dei problemi conta sempre di più nel rapporto con la lotta per il potere
Avvicinando la concezione della politica internazionale a quella interna.
Differenze high politics e low politics [….]
La centralità dello stato nella disciplina delle RI ha posto la disciplina stessa sotto
critica; questo perché spesso altri attori hanno guadagnato la ribalta internazionale
(individui, oing, “pezzi di stati”, imprese, organizzazioni criminali, reti terroristiche,
personaggi pubblici ecc…)
Lo stato come attore oggi—> La molteplicità di attori che hanno assunto rilievo e
l'evidente condizionamento che alcuni (OIG incluse) esercitano sugli stessi stati
spiegano le critiche che vengono rivolte alle RI per la centralità che ancora oggi
attribuiscono agli stati.
L'attività degli attori non-stati sembra aver cambiato a tal punto le condizioni nelle
quali gli stati definiscono e poi perseguono i loro interessi da rendere inadeguato un
approccio che metta lo stato al centro.
Quanto lo studioso ritiene - in relazione alla specifica ricerca che sta conducendo -
che lo stato sia libero di agire oppure condizionato dal. contesto nel quale si trova
calato influenzerà la sua prospettiva:
si concentrerà sullo stato nel primo caso (è lo stato a decidere), sul contesto nel
secondo (lo stato agisce condizionato da vincoli e opportunità).
Waltz suggerisce che le cause delle guerre risiedono nella natura dell’uomo, dello
stato o dell’ambiente internazionale (cioè dell’anarchia)—> esempio del dilemma
della sicurezza, in un sistema anarchico i paesi si devono difendere.
I livelli di analisi sono 3:
● Individuo e Stato —-> livelli sostanziali e materiali (è possibile osservare la
condotta di entrambi)
● Sistema Internazionale —-> livello materiale, astratto (per questo non corretto
utilizzo “panorama”). Del sistema sono osservabili vincoli e opportunità (pone
dei vincoli e offre delle opportunità). Il sistema internazionale è osservabile
attraverso la condotta degli attori—> x esempio nel sistema apolare un certo
tipo di comportamento rispetto a bipolarità o multipolarità; vincoli e opportunità
differiscono, relazioni tra gli attori cambiano.
Singolarmente:
● L’INDIVIDUO—> unità elementare delle scienze sociali; in ambito
internazionale, guardare all’individuo vuol dire considerare i tratti che
accomunano tutti gli esseri umani (es. egoismo). Questo comportamento può
spiegare a livello internazionale per esempio la propensione al conflitto e la
non propensione alla collaborazione, più invece alla competitività. Questo tipo
di studio però. Può essere concentrato su un soggetto particolarmente
rilevante (es. Trump, Xi ecc..);
● AGENTI E STRUTTURE ——> problema: l’impatto del singolo individuo sulla
politica Internazionale è diretto o mediato dalle istituzioni delle quali i soggetti
fanno parte? STATO—> concentrarsi sullo stato significa spiegare la realtà
internazionale guardando alle caratteristiche politiche e/o economiche dello
stato EX: teoria della pace Democratica ipotizza che la pace si realizzerà una
volta che tutti i paesi adotteranno una democrazia, in quanto storicamente
queste non si sono fatte la guerra. (Questa teoria ha base empirica ma non è
condivisa da tutti).
Stato mercantilista —-> questo stato considera l’economia uno strumento della
politica, funzionale al rafforzamento dello stato, il suo fine sarà quindi quello di
arricchirsi relativamente agli avversari.
Stato liberale—-> Lo stato che coltiva una visione liberale punta al benessere dei
cittadini attraverso scambi commerciali che riducono il rischio di conflitto alimentando
l’interdipendenza.
Il fatto che le relazioni nel sistema non siano casuali, strutturate, permette di
individuare dei modelli di comportamento (utili ai fini della previsione).
Ciò che giustifica la scelta di concentrare l'attenzione sul sistema internazionale è
dunque la convinzione che, per spiegare/prevedere il comportamento degli stati,
occorra conoscere il contesto nel quale sono
calati perché il modo in cui è strutturato (vincoli e incentivi) influenza la loro condotta.
Chi adotta la prospettiva del sistema internazionale e ritiene che la sua struttura sia
anarchica perché gli stati sono sovrani così ne spiega la condotta:
l'assenza di un soggetto Terzo sopra le parti induce gli stati, che hanno come
interesse primario la propria sicurezza, a praticare l'autodifesa.
L'orientamento alla massimizzazione della sicurezza degli stati dipende dunque dal
contesto. Il regime politico non fa differenza perché le pressioni strutturali agiscono
su tutti gli attori nello stesso modo.
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA (ppt 5)
Approccio costruttivista (Wendt) —-> viene dalla sociologia, e ritiene che si debbano
indagare i meccanismi che orientano l’uso del potere (identità degli stati, i loro
interessi, le istituzioni sociali che plasmano la vita della comunità internazionale)
Idealisti utopisti?
Vengono spesso definiti tali, ma erano ottimisti e dunque progressisti. Si rivelarono
però incapaci di valutare il peso di fattori quali il nazionalismo e la possibilità di
regimi autoritari di manipolare l’opinione pubblica.
Gli stati da una parte costruiscono la sovranità (costrutto sociale), e dall’altra creano
un’ente terzo per mitigare gli effetti negativi della sovranità stessa.
In un’impresa cooperativa multilaterale, ciò che conta non è il numero degli attori
coinvolti , ma il tipo di relazione alla quale essi danno vita.
Quali sono i caratteri di questo progetto?
Dopo ‘89 speranze che si aprisse una nuova era nella storia dell’uomo erano
altissime, a causa di una circostanza irripetibile: la temporanea assenza della
tradizionale competizione tra grandi potenze. I realisti mettevano in guardia circa il
fatto che questa condizione non sarebbe durata a lungo, perchè la competizione
internazionale era parte della natura dell’uomo e sarebbe tornata.
I realisti avevano una chiara consapevolezza dell’immutabilità della natura umana. Il
mondo non stava sperimentando una trasformazione, ma una pausa
nell’interminabile competizione tra paesi e genti.
Now as ever, great-power politics will drive events; that means the course of the
coming century will largely be determined by how china and the United States
manage their power resources and their relationship. We europeans must adjust our
mental maps to deal with the world as it is, not as we hoped it would be. To avoid
being the losers in today’s China-US competition, we must relearn the language of
power. Cooperation won’t provide lasting solutions to the intractable reality of conflict
and competition as countries pursue their own interests. The enduring power of
realism is its ability to offer a clear baseline for coming to grips with why the world is
and will likely remain a world full of pain and despair.
Realismo inteso come “rispetto dei fatti” è una condizione del lavoro scientifico.
Teoria realista è una interpretazione che contiene:
● un’idea della natura dell’uomo (antropologia);
● un’idea di ciò che è la politica, e dunque la società (ontologia);
● un’idea di come la politica dovrebbe essere compresa (epistemologia);
● un’idea di come si debba agire essendo la politica internazionale ciò che è
(prasseologia).
Realismo struttura solida, è difficile criticare i realisti.
L’interesse per il potere come guida per l’azione—> Per quanto riguarda l'attore, [il
concetto di interesse definito come potere] fornisce una disciplina razionale per
l'azione.
La competizione tra gli stati per la realizzazione dei propri interessi (che soltanto
molto raramente sono identici o complementari) rende la guerra ineliminabile. Anche
quando regna la pace, le relazioni internazionali si svolgono all"'ombra della guerra"
(R. Aron, Pace e guerra tra le nazioni: gli stati devono sempre considerare la
possibilità che qualcuno ricorra alla guerra.
Per questo motivo comportamenti difensivi vengono letti come potenzialmente
offensivi (dilemma della sicurezza).
L'unico strumento in grado di garantire periodi di pace è l'equilibrio di potenza che,
attraverso il bilanciamento delle forze, favorisce la dissuasione e induce alla
prudenza.
La natura conflittuale della politica internazionale dipende dalla pratica della politica
di potenza (comportamento razionale per lo stato).
Oltre a essere ambiguo per i diversi significati che sono associati al termine, un
limite importante del concetto di equilibrio è che descrive, ma non spiega. Come e
perché si passa dal bilanciamento al vuoto di potenza?
Stephen Walt propone una versione rivisitata della teoria dell'equilibrio in termini di
balance of threat invece di balance of power.
I fattori che incidono sui comportamenti volti al bilanciamento in questo caso sono:
Il realismo di Waltz ha come obiettivo ovviare ai limiti del realismo classico, che
a) muove da un giudizio di valore (egoismo umano);
b) Spiega la politica internazionale concentrandosi sulla condotta degli stati
(secondo livello di analisi); si rivela una dottrina di politica estera.
Il giudizio sulla natura umana viene sostituito dal concetto neutro di struttura.
La struttura è il principio organizzatore del sistema ed è quindi l'elemento che
consente di distinguerlo dalla somma delle sue parti.
Esempio: una famiglia, in quanto insieme di individui tra i quali intercorrono relazioni
strutturate, può essere concepita con un sistema. Quattro individui che si trovano per
caso in un ascensore no.
Per Waltz è la struttura del sistema a determinare regolarità nella condotta di attori -
gli stati - concepiti come egoisti razionali, massimizzatori di sicurezza.
La struttura pone vincoli e offre opportunità con i quali ogni attore deve fare i conti.
Lo strutturalismo di Waltz è tale che, nella sua concezione, la struttura determina i
comportamenti degli attori.
Nella concezione della struttura proposta da Waltz i vincoli sono esogeni rispetto al
processo politico. Dove originano?—> Dalla sovranità.
Per Waltz la struttura del sistema riflette la disposizione delle sue parti (che è una
proprietà del sistema, elemento cruciale per non cadere nel riduzionismo).
Poiché gli stati sono sovrani, essi si trovano in un rapporto di pari ordinazione:
nessuno comanda, nessuno è tenuto a obbedire.
Il sistema è dunque anarchico in quanto decentralizzato.
In che modo la concezione waltziana dell'anarchia come decentralizzazione
influenza la risposta al quesito fondamentale che orienta la riflessione delle Relazioni
internazionali?
Perché scoppia la guerra?
Waltz, l’uomo, lo stato, la guerra—> "La guerra può scoppiare perché lo stato A
possiede qualcosa che lo stato B vuole. La causa efficiente è il
desiderio dello stato B; la causa permissiva il fatto che non c'è nulla che [la]
impedisca. In altre circostanze l'interrelazione fra causa
efficiente e causa permissiva diviene ancora più stretta”.
"Lo stato A può temere che, se non rimette a posto lo stato B ora, potrà non essere
in grado di farlo fra dieci anni. Lo stato A diviene l'aggressore nel presente perché
teme ciò che lo stato B sarà in grado di fare nel futuro. La causa efficiente di una
guerra di questo tipo deriva dalla causa da noi definita permissiva [ovvero
dall'anarchia]”.
Nesso tra anarchia e guerra—>Poiché per Waltz gli stati sono egoisti razionali
massimizzatori di sicurezza, l'anarchia li induce a praticare l'autodifesa. L'autodifesa
indotta dall'anarchia li induce però anche a ragionare in termini di dilemma della
sicurezza, attribuendo agli altri sempre le peggiori intenzioni (presunzione di
inimicizia dovuta al timore reciproco).
Gli ostacoli alla cooperazione per Waltz—> la cooperazione non sarà facile in un
simile contesto; per tutti i realisti essere tratti in inganno (cheating) è il rischio più
grave insito nella cooperazione.
Oltre il rischio cheating, secondo i neorealisti l’anarchia riduce la propensione a
cooperare in altri dua modi:
Per il rischio di divenire dipendenti come effetto della specializzazione che la
cooperazione induce;
Per il rischio di essere svantaggiati nella ripartizione dei guadagni ottenuti
tramite la cooperazione (la razionalità degli stati è posizionale; il loro obiettivo:
evitare che altri migliorino le loro capacità relative).
La logica di Waltz disincentiva alla cooperazione per attori che hanno una razionalità
difensiva (security maximisers).
Se attribuissimo agli stati una razionalità offensiva (power maximisers), il forte
interesse a migliorare la propria posizione relativa renderebbe più attraente la
possibilità di cooperare per poi trarre in inganno i propri partner. Il peso dei tre
ostacoli individuati sarebbe dunque meno significativo.
Il realismo neoclassico—> etichetta coniata nel 1998 da Gideon Rose che afferma
che l’ambizione della policy estera di un paese è guidata dal potere materiale
relativo del paese.
Secondo Waltz, attori che subiscono la stessa pressione strutturale concede loro
uguali incentivi e vincoli sistemici, perciò dovrebbero comportarsi allo stesso modo.
Waltz non tiene conto delle differenze tra decisori e la presenza di differenti
istituzioni (ex Parlamento).
Il Realismo neoclassico vuole spiegare scelte di politica estera guardando allo stato,
secondo questo, fra vincoli e incentivi sistemici e scelte di politica estera
effettivamente compiute ci sia una “cinghia di trasmissione” imperfetta,
rappresentata da decisori e istituzioni.
Le domande di ricerca
Perché lo stato A, sottoposto agli stessi vincoli e incentivi, si è comportato in
modo diverso cinque anni fa rispetto a ora?
Perché lo stato A e lo stato B sottoposti ai medesimi vincoli e incentivi, si
comportano in modi diversi?
Il realista neoclassico ritiene che per trovare una risposta occorra guardare ai
decisori, cioè concentrarsi sul secondo livello di analisi.
Libri—> la logica di potenza (John Mearsheimer) “the tragedy of great power politics”
Mearsheimer è uno strutturalista, sistema condiziona gli attori, ma lui mette la paura
al centro, non rifiutandosi di combinare diversi livelli di analisi.
Specificità del realismo offensivo—> ipotizzare un comportamento offensivo da parte
degli stati, solo massimizzando la potenza si può salvaguardare la sicurezza dello
stato.
Mearsheimer da per scontato che tutti i grandi attori siano in una corsa costante per
l’egemonia (slide 7 riguardante Cina).
Ascesa cinese rappresenta minaccia per grandi potenze. Se la Cina diventa una
potenza economica, tradurrà la sua forza economica in militare, concorrendo per
l’egemonia. Cina e Stati Uniti destinati ad essere avversari, perché US cercherebbe
di intervenire e contenerla, cercando una coalizione che faccia contrappeso.
Mearsheimer parla di trappola mortale nella quale sono prigionieri Cina e Usa,
rimandando alla trappola di Tucidide.
Non sono le caratteristiche specifiche degli stati a spingere gli stessi a ricercare
l’egemonia, bensì è la struttura del sistema internazionale. In condizioni di anarchia,
l’istinto di sopravvivenza, incoraggia gli stati ad agire aggressivamente.
Il ruolo della paura nelle relazioni internazionali permea tutta l’ideologia realista, non
è caratteristica del realismo offensivo, però Mearsheimer le attribuisce molto più
peso dei suoi colleghi, mettendola al centro.
Il timore è il movente primario del comportamento degli stati nella politica mondiale.
Morgenthau invece non considera l’anarchia, vede la politica internazionale come
una contesa per conseguire potere per realizzare la propria politica a livello
internazionale.
Il dilemma della sicurezza riflette la logica di base del realismo offensivo—> anarchia
insuperabile perché gli stati hanno una sovranità che non permette di riconoscere
una figura o istituzione superiore. Finché c’è anarchia, avremo gli effetti del dilemma
della sicurezza, che porteranno alla guerra. Il livello di timore varia nel tempo e nello
spazio, ma non può essere azzerato.
Mondo in costante competizione per la sicurezza, dove gli stati sono pronti a
mentire, ingannare e ricorrere alla forza bruta, se questo li aiuta a guadagnare un
vantaggio sui rivali. Pace definita come stato di quiete o mutua concordia non ha
probabilità di insediarsi in questo mondo.
Dopo l’89→la fine della guerra fredda venne interpretata come portatrice di un nuovo ordine
mondiale liberale. Il liberalismo sembrava essere appropriato ai processi di sviluppo
mondiale spingendo verso una egemonia liberale che prometteva la realizzazione della
visione liberale a livello mondiale.
La vasta diffusione del liberalismo portò a un periodo di profondo ottimismo, e gli
attori liberali si imbarcarono in politiche estere e internazionali proattive, create per
realizzare le promesse liberali.
I punti di interesse:
● Progetto liberale e modernità: gli anni ‘90;
● Il ruolo degli USA e dei paesi liberaldemocratici;
● Ottimismo e politica estera proattiva;
● I limiti delle politiche liberali: aspettative e fallimenti.
Le ragioni dell’ottimismo
1) I liberali hanno fiducia nella ragione e dunque nella possibilità di gestire la
politica internazionale in modo razionale. La ragione può avere la meglio sulla
brama di potere e la paura grazie all’affermarsi del diritto internazionale.
2) Riconoscono il peso degli interessi, dunque ritengono che stati e individui
siano orientati a una cooperazione reciprocamente vantaggiosa. L’attenzione
per gli attori non-stati e la low politics cambia i termini della riflessione sulla
cooperazione.
3) Poiché la modernizzazione incrementa costantemente ambiti ed esigenze di
cooperazione, questa finirà per prevalere sulla dimensione competitiva della
politica mondiale—> i liberali sono progressisti.
Le varianti del liberalismo
Negli anni ‘20 del Novecento il liberalismo si è manifestato nella sua variante
idealistica.
Dopo 2^ guerra mondiale si evolve in 4 filoni:
● Sociologico;
● Dell’interdipendenza;
● Istituzionale;
● Repubblicano.
Se ogni attore fa parte di vari gruppi e le relazioni fra i gruppi sono molteplici, la
sovrapposizione delle appartenenze (loyalties) minimizza il rischio di conflitto. Un
mondo con un gran numero di relazioni transnazionali (network) sarà più pacifico.
Con la fine della Guerra Fredda, anche le grandi potenze hanno adottato il modello
di stato commerciante—> stati più interdipendenti= stati più pacifici. Perciò liberali
ottimisti sulle prospettive della pace.
Esempio summit tenuto da Biden il 9-10 dicembre 2021, i cui punti chiave erano:
● Difesa contro autoritarismo
● Riconoscere e combattere la corruzione
● Promuovere il rispetto per i diritti umani
Le ragioni normative:
● La loro cultura politica alimenta la convinzione che sia possibile risolvere
pacificamente le controversie;
● I valori morali condivisi nutrono la fiducia reciproca;
● La condivisione di cultura politica, valori morali e forma istituzionale le rende
reciprocamente più credibili quando assumono impegni nella negoziazione e
implementazione di accordi.
Le ragioni economiche
Costituisce una terza via rispetto a realismo e liberalismo. Chi vi aderisce riconosce
che gli stati operano in un contesto anarchico (realismo), ma hanno sviluppato
norme, regole e istituzioni sociali che consentono loro di perseguire collettivamente
alcuni fili essenziali in modo da creare aspettative reciproche stabili.
Nella riflessione della Scuola Inglese due valori sono particolarmente centrali:
l’ordine e la giustizia internazionali.
Conciliare queste tre dimensioni della responsabilità è una delle maggiori sfide che il
mondo contemporaneo pone agli statisti.
Le critiche degli studiosi della politica globale riguardano lo statocentrismo della SI.
Si osserva che in assenza di norme e istituzioni che costituiscano una società
internazionale sarebbe difficile ragionare di un tessuto nel quale gli attori non stati
trovino una loro dimensione operativa (si pensi alla dinamica di relazione OIG/ONG).
Il neorealismo strutturale (in sintesi)—> assume che gli stati siano egoisti razionali.
In un sistema anarchico (per effetto della sovranità) essi praticheranno dunque
l’autodifesa. Ciò innesca il dilemma della sicurezza che crea i presupposti per il
conflitto armato.
I costruttivisti si propongono di spezzare questo automatismo.
Wendt sostiene che non esista una logica anarchica; che autodifesa e politica di
potenza sono istituzioni, non corollari dell’anarchia. L’anarchia è ciò che gli stati ne
fanno.
In un sistema decentralizzato (anarchico) gli stati possono essere orientati, nelle loro
decisioni, dal dilemma della sicurezza, una struttura sociale costituita da concezioni
intersoggettive che denotano totale mancanza di fiducia reciproca. Il problema non è
l’assenza di un Terzo, ma la mancanza di fiducia reciproca che induce ad agire sulla
base di una presunzione di inimicizia.
Gli approcci che enfatizzano la dimensione sociale della RI sono sempre visti con
sospetto, come se questo comportasse una sottovalutazione degli aspetti conflittuali.
Ma un mondo costruito socialmente non significa che sia il migliore possibile, ma che
non può essere assunto come costante.
Il concetto di fatto sociale—> i fatti sociali sono tali, cioè esistono indipendentemente
dalla nostra volontà o interpretazione individuale (perciò usiamo il termine “fatti”), in
quanto sono condivisi all’interno della collettività della quale facciamo parte e ciò li
rende capaci di condizionare la nostra condotta.
Possono essere concepiti come norme costitutive, in quanto “creano” un determinato
gioco. La sovranità per esempio, rappresenta una norma costitutiva in quanto ha
“creato” la politica internazionale moderna intesa come “gioco” giocato dagli stati.
Il riconoscimento reciproco degli stati in quanto sovrani è infatti il presupposto
dell’esistenza della politica internazionale che conosciamo.
Le norme costitutive—> definiscono l’ambito del possibile piuttosto che quello del
lecito (sfera tipica delle norme regolative, che presuppongono l’esistenza dell’attività
da regolare).
Idee condivise, fatti e norme sociali, aspettative, influenzano non soltanto il modo in
cui gli stati perseguono i loro fini tradizionali (sicurezza, potenza e benessere), ma
l’elaborazione della loro stessa identità e, attraverso questa, dei loro interessi.
Nesso identità—> interessi
È estremamente importante nel costruttivismo.
Gli interessi degli attori non sono indipendenti dal contesto sociale, ma vengono
definiti nel definire le situazioni.
Secondo March e Olsen è proprio la identità sociale che spinge gli attori ad adottare,
nell’agire, la “logica dell’appropriatezza”, comportandosi come il ruolo che hanno
assunto richiede. In questo modo essi ottengono conferma della loro identità sociale
da parte degli omologhi.
Infatti, “nella logica dell’appropriatezza è sensato chi non perde di vista la propria
identità, nel senso che mantiene una congruenza tra il comportamento e la
concezione di sè in un ruolo sociale”.
Come si stabilisce ciò che il ruolo richiede?—> le regole definiscono le relazioni tra
ruoli in termini di ciò che il titolare di un ruolo deve ai titolari di altri ruoli.
Fini e mezzi
Ponendo che l’obiettivo minimo degli attori sia sopravvivere, le modalità che essi
sceglieranno per perseguirlo dipendono dalle pratiche sociali che caratterizzano
l’ambiente in cui si trovano. Per prevedere il comportamento degli attori in un
sistema decentralizzato contano le norme, le idee condivise, i fatti sociali e le
aspettative.
La tesi di Finnemore—> il sistema internazionale può “cambiare ciò che gli stati
vogliono”. In questo senso è costitutivo e generativo in quanto crea nuovi interessi e
valori per gli attori coinvolti nell’interazione.
Ciò implica che le preferenze degli stati non possano essere semplicemente
assunte, ma debbano essere problematizzate, anche chiedendosi dove abbiano
origine. Di norma si assume che abbiano origine all’interno dello stato dove si
formerebbe l’interesse nazionale, ma il quadro cambia se la dimensione sociale della
loro esistenza viene accentuata.
La politica estera è l’insieme delle azioni compiute dai governanti di uno stato allo
scopo di influenzare il comportamento di attori esterni al sistema politico nazionale
(accezione restrittiva).
Concependo la politica estera con accezione estensiva invece, può essere qualsiasi
azione abbia una generica rilevanza politica e produca effetti al di fuori dei confini
nazionali indipendentemente da chi la compia. In questo caso vale il principio
dell’effettività: se produce un effetto è rilevante per chi fa ricerca. Questa definizione,
seppur ragionevole, rende l’oggetto della ricerca molto più difficile da circoscrivere e
dunque da analizzare.
Un modo utile di affrontare un quesito di ricerca legato alla politica estera è stabilire
a quale livello di analisi cercare (prioritariamente) la risposta, considerando i tre
livelli: individuo, stato e sistema internazionale.
Primo livello: il decision maker—> chi pone il decisore al centro della propria analisi
assume che incida significativamente sul processo di definizione della politica
estera. Quanto e come incida, dipende dalla concezione del decisore che adotterà:
se lo considererà un attore essenzialmente razionale oppure un attore cognitivo. La
dimensione soggettiva conterà di più se l’attore viene concepito come cognitivo.
Gli studiosi convengono che la razionalità dei decisori sia comunque spesso limitata:
● Dalla capacità di elaborare soltanto una certa mole di informazioni;
● Di vedere soltanto un certo numero di opzioni alternative (essendo
condizionati da convinzioni consolidate ed esperienze pregresse) senza
essere in grado di valutarne a pieno le conseguenze;
● Dalla difficoltà di ordinare le preferenze secondo un’unica scala.
Il dibattito sulla razionalità e i processi cognitivi dei decisori è importante perchè
questi rappresentano le “cinghie di trasmissione” non neutre/passive delle
informazioni sistemiche (vincoli e opportunità) che entrano nel processo decisionale
di politica estera.
Secondo livello: lo Stato —> concentrarsi sullo stato (cioè sulle istituzioni deputate a
“fare” la politica estera) significa porre al centro dell’analisi gli obiettivi che definisce-
l’interesse nazionale, in chiave realista- e ragionare su come e quanto l’autorità
politica è in grado di mobilitare le risorse necessarie a conseguire quegli obiettivi.
Una notevole capacità di mobilitazione delle risorse può indurre lo stato a fissare via
via obiettivi più ambiziosi e, viceversa, una modesta capacità può indurre lo stato a
ridimensionare i propri obiettivi.
Porre lo stato al centro dell’analisi consente di focalizzare l’attenzione sul regime
politico, e in particolare di analizzare l’impatto della democrazia nella conduzione dei
rapporti internazionali.
I liberali sono pure interessati a osservare come i differenti gruppi concorrono a
definire le preferenze dello stato anche in ambito di politica estera.
Terzo livello di analisi—> gli approcci che si concentrano su questo livello devono
proporre una concezione della sfera internazionale e dei vincoli/opportunità che ne
discendono, quindi stabilire un nesso plausibile tra informazioni sistemiche e scelte
di politica estera.
Il livello del sistema internazionale fornisce dunque le informazioni circa il contesto
generale (sistema politico internazionale) nel quale le decisioni vengono elaborate.
Per dare una risposta guardo le relazioni. Un rafforzamento delle relazioni con i
paesi BRIC potrebbe essere assunto come indicatore del fatto che l’Italia ha recepito
la multipolarizzazione del sistema internazionale. Gli indicatori di un rafforzamento
delle relazioni possono essere vari: dialoghi dedicati, un incremento degli scambi
commerciali, culturali o nell’ambito della formazione, ecc..
Oppure posso guardare alle idee espresse dai decisori e raffrontarle con quelle che
identificavano il paese in un periodo precedente per verificare se siano state
aggiornate (in questo caso la rassegna della letteratura mi avrà detto che uno studio
di questo genere è stato condotto in precedenza e le risultanze possono essere
utilizzate come parametro di raffronto).
Queste 5 nuove concezioni di ruolo dimostrano che l’Italia ha, in qualche modo,
integrato il cambiamento. È però a rischio l’efficacia della politica estera di un attore
che, con mezzi ridotti, si sforzi di agire in modo appropriato rispetto a tanti diversi
ruoli che vuole vedersi riconosciuti.