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IL POTERE NELLE ORGANIZZAZIONI

ACCENTRAMENTO DISTRIBUZIONE EQUILIBRI


Eugenio Bastianon

Abstract

Questo lavoro discute il problema della quantità possibile di potere da introdurre nelle
imprese economiche. Per questo analizza le principali teorie di filosofia della scienza, di
filosofia politica e di teorie dell’organizzazione e giunge ad affermare che la quantità di potere
nelle organizzazioni si articola nel seguente modo:
 quantità necessaria di potere per l’esistenza dell’organizzazione;
 criticità auto-organizzata del potere come quantità di nuovo potere che può essere
immesso nell’organizzazione;
 potere caotico: la quantità di potere che può causare la perdita di forma
dell’organizzazione.
Per evitare il rischio del potere caotico, il lavoro argomenta la tesi del governo statistico
dell’aumento del potere

INDICE

Capitolo 1 - Pluralità di forme di conquista del potere


1.1 – La conquista del potere nel sapere
 Popper: la falsificazione è innovazione, ovvero una disobbedienza andata a buon fine
 Lakatos: una ricorsività di cooperazione per conquistare il potere nella scienza
 Goethe: Faust e il prezzo del desiderio di conoscenza
1.2 – La conquista del potere in politica
 Machiavelli: come il principe conquista il potere
 Gramsci: il blocco storico come cooperazione per la conquista del potere
 Rousseau: il fascino discreto del principe di fronte alla cooperazione impossibile
 Il punto di crisi
1.3 – La conquista del potere nelle organizzazioni
 Il caso Arthur Andersen: il conflitto per la successione al potere

Capitolo 2 - Pluralità di forme di gestione del potere: il potere accentrato


2.1 - Il potere accentrato nel sapere
 Hawking: la teoria del tutto e il tentativo impossibile di costruire una teoria che non ammette teorie
disobbedienti
2.2 - Il potere accentrato nella politica
 Kelsen: l’unico diritto è quello dello Stato
2.3 - Il potere accentrato nelle organizzazioni
 La chiesa nel caso Galileo: la gerarchia che impone l’abiura
 La chiesa nel caso Giordano Bruno: la gerarchia che arriva al rogo
 La chiesa di Bellarmino: la gerarchia illuminata che vorrebbe la pluralità delle teorie
 Likert: l’organizzazione come gerarchia piena
1
 Il caso della marina militare italiana nella seconda guerra mondiale
 Il movimento evolutivo

Capitolo 3 - Pluralità di forme di gestione del potere: il potere distribuito


3.1 - Il potere distribuito nel sapere
 Peirce: la scienza ha un codice fraterno
 Una relazione intrigante tra paradigmi socio-politici e scienza
 Bohr: il principio di complementarietà per gestire l’aumento degli elementi di potere in ambito
scientifico
3.2 - Il potere distribuito nella politica
 Popper: la società aperta per governare la distribuzione del potere
3.3 - Il potere distribuito nelle organizzazioni
Il caso UniCredito italiano: le organizzazioni multidivisionali
Il punto di crisi; le strategie opache delle alleanze di manager
Una metafora euristica: Giuseppe il nutritore
 Warnecke: le organizzazioni a frattale
 Morieux-Tollman: la distribuzione del potere come base per il successo delle organizzazioni
 I casi InterLodge e Grande Mart
 Il caso Oticon e il difficile equilibrio dell’attrattore caotico nella distribuzione del potere

Capitolo 4 – Coesistenza di potere accentrato e distribuito: gerarchia e auto-organizzazione


4.1 - La coesistenza di potere accentrato e distribuito nel sapere
 La nascita dei paradigmi secondo Kuhn: dalla emergenza alla costruzione del sistema
4.2 - La coesistenza di potere accentrato e distribuito nella politica
 Adriano: le capability nella gestione della complessità “gerarchia e auto-auto-organizzazione”
dell’impero romano
 Giuseppe, figlio di Giacobbe, il nutritore: il codice materno del potere
4.3 - La coesistenza di potere accentrato e distribuito nelle organizzazioni
 Il caso Taco Bell: un caso di aumento di potere e di cooperazione
 Il punto critico: il caso HP
 Il caso SMH: potere accentrato e distribuito nelle organizzazioni complesse

Conclusioni
 Aumento necessario del potere
 Criticità auto-organizzata del potere
 Potere caotico
 Potere modulare: governo statistico dell’aumento del potere
 Potere a razionalità limitata
 La razionalità limitata come opportunità

Glossario
 Codici affettivi
 Criticità auto-organizzata
 Teoria generale dei sistemi

2
Introduzione

Il lavoro sviluppa il tema del potere all’interno di una teoria complessa dei sistemi prendendo in
icotesame il sistema scienza, il sistema politica/stato, il sistema imprese, sostenendo che nei diversi
sistemi coesistono sempre comuni e diverse forme di potere. Il potere è la possibilità per una
persona – ma, nel nostro lavoro, anche per una teoria scientifica e per un sistema politico e
istituzionale- di fare la differenza su questioni importanti (interessi) per qualcun altro”(De Toni La
natura del potere, in ilFriuli Business, Giugno 2016; Morieux,Tollman Smart Simplicity, Milano
2015 p.78). È evidente, comunque, che il significato di questo termine così come è definito nell’
ambito di teorie del management acquista sfumature diverse ogni volta che viene trasferito in
sistemi diversi, dovendosi confrontare con i diversi significati che questi stessi sistemi gli hanno già
attribuito (voce “Potere”in Treccani.it). Il “sistema” è un “complesso di elementi interagenti, in
modo tale che ad interazioni diverse corrispondono comportamenti diversi degli elementi”
(Bertalanffy Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Milano 2004, p. 97).
Questo lavoro pensa i sistemi scienza, politica/stato, imprese come aperti, in grado di stabilire
interazioni non solo al proprio interno ma anche tra di loro. L’isomorfismo dei sistemi sembra
confermato dalla presenza di alcuni codici affettivi fondamentali1 – paterno, materno, fraterno- nella
famiglia, nell’organizzazione, nella società, come avremo modo di argomentare (De Toni Il bivio da
imboccare, in ilFRIULI BUSINESS, marzo 2014; De Toni Declinazione al plurale, in ilFRIULI
BUSINESS, aprile 2014). Il nostro stesso lavoro avrà modo di mostrare come le chiavi
interpretative di un sistema possa valere anche per gli altri sistemi.
In particolare, analizzeremo:
 le forme di conquista del potere;
 le forme di gestione del potere: accentrata, distribuita,
 sottolineando di volta in volta i modi di manifestarsi dell’isomorfismo dei sistemi del sapere
e della politica con il sistema delle imprese economiche
Uno dei punti caratterizzanti della ricerca è una definizione completa ed articolata del rapporto tra
potere e organizzazione.
In analogia con il teorema di Ashby sulla varietà necessaria del sistema di controllo/modellazione
dei sistemi, noi affermiamo che in assenza di una quantità e varietà necessaria di potere non vi è
organizzazione. A partire da questa soglia, la quantità e la varietà del potere cominciano a crescere
in un percorso che possiamo sintetizzare in cinque modelli, non necessariamente connessi in un
processo evolutivo:
 potere gerarchico: hard, di tipo esclusivamente verticale
 potere illuminato: ricorsivo-a mulinello, con distribuzione del potere ma sempre saldamente
focalizzata sul potere centrale;
 potere soft, auto-organizzazione: al margine del caos 2 . Il caso Oticon dimostrerà che la
crescita della quantità e della varietà, della distribuzione, del potere non può però essere
indefinita. Essa, infatti, sembra raggiungere, con il livello del potere auto-organizzato, la

1
Per una tematizzazione dei codici affettivi si veda il Glossario
2
Il caos è la perdita di equilibrio in una qualsiasi forma di organizzazione. Le ricerche sulla complessità hanno mostrato
che il margine del caos è, allo stesso tempo, la situazione più dinamica e, quindi, più produttiva, ma anche la più
rischiosa perché sempre esposta al rischio della perdita dell’equilibrio De Toni et Alii Prede o ragni. Uomini e
organizzazioni nella ragnatela della complessità, Torino 2005 p.109 ss. Occorre qui sottolineare che il significato di
potere soft che noi diamo all’auto-organizzazione è in parte diverso dal senso originale che Morieux, Tollmann Smart
Simplicity Milano 2015 pp. 43. Noi lo mutuiamo come sinonimo di potere generatore di empowerment e nei rischi che
esso sottolinea di una distribuzione inefficiente del potere
3
soglia della criticità auto-organizzata, la soglia oltre la quale non possono essere introdotti
nuovi elementi in un qualsiasi sistema complesso3.
Superata questa soglia, come accade ad Oticon ma non necessariamente a tutte le imprese auto-
organizzate, l ’organizzazione può;
 degenerare nel potere caotico, dissolversi nella catastrofe da errore, nella perdita della
forma4 .È quanto accade nel caso dell’industria informatica argomentato da Antonello Bove
che va in tilt a causa dei conflitti tra tutti i centri di potere5
 regredire ad una forma organizzativa precedente e più stabile, come fa Oticon che regredisce
alla forma a matrice;
 assumere una forma di potere modulare che gli permetta il governo statistico della
generazione del potere, secondo il paradigma della razionalità limitata

All’interno di una teoria degli stakeholder


Le strategie di aumento del potere implicano evidentemente una teoria degli stakeholder, su diversi
piani 6 . Sono, infatti, coinvolti non solo i dipendenti interessati direttamente dall’incremento di
potere. Sono coinvolti anche tutti i partner dell’azienda che possono veder cambiare i propri
rapporti con l’azienda stessa proprio in seguito alla ristrutturazione degli assetti di potere.
La possibilità, infine, che l’aumento non governato del potere porti l’organizzazione alla catastrofe
da errore può coinvolgere tutto il contesto nel quale l’organizzazione è inserita. Si tratta, a ben
vedere, di una specificazione della responsabilità dell’impresa verso l’ambiente più ampio già
evidenziato da Mintzberg (Mintzberg Management. Mito e realtà, Milano 1991, p.93).

CAPITOLO 1. LA PLURALITÀ DI FORME DI CONQUISTA DEL POTERE

La conquista del potere nel sapere


La scienza trova posto nella nostra ricerca in quanto l’età moderna vede nella scienza una forma di
dominio sulla natura e sugli altri uomini (Horkheimer, Adorno Dialettica dell’illuminismo, Torino
1980, p. 11 ss.)
Possiamo introdurre questo capitolo con la seguente domanda: che ne è nel sistema del sapere della
definizione di potere secondo il paradigma7 manageriale: “ il potere è la possibilità per una persona
di fare la differenza su questioni importanti (interessi) per qualcun altro” (De Toni La natura del
potere, in ilFriuli Business, Giugno 2016; Morieux,Tollman Smart Simplicity, Milano 2015 p.78)?
In altri termini: come, quando e perchè una teoria scientifica è in grado di fare la differenza rispetto
ad altre teorie scientifiche rispetto ai fini del governo della natura?

3
De Toni et Alii Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità, Torino 2005 p.118 ss.
4
Kauffman S. Esplorazioni evolutive Torino 2005 pp. 158., 244. 266 ss
5
Antonello Bove Project Management: la metodologia dei 12 step, Come applicarla in tempo reale per gestire con
successo piccoli e grandi progetti, Milano 2008, p.255
6
Clarkson M.E.B. I principi dello stakeholder management, in Freeman E., Rusconi G., Dorigatti M. Teoria degli
stakeholder, Milano 2007, pp. 101 ss.
7
Poiché nella nostra ricerca faremo spesso uso della nozione di paradigma, conviene qui darne una sintetica
definizione, riservandoci di tornare in modo più ampio sul tema nel capitolo propriamente focalizzato su questo tema:
 paradigma metafisico: è l’insieme delle credenze condivise da un gruppo, anche di carattere religioso, che
viene adottato più per fede che sulla base di prove, avendo fiducia nelle possibilità future,
 paradigma metodologico: le conquiste scientifiche universalmente riconosciute le quali, per un certo periodo,
forniscono un modello accettabile di soluzione dei problemi a coloro che praticano un certo campo di ricerca
(T. Kuhn La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi Torino 1978 pp. 213 ss.)

4
Faust e lo streben come mulinello generatore di conoscenza
Il personaggio goethiano di Faust rappresenta per molti aspetti la figura tipica della nostra ricerca:
l’inesausta e insoddisfatta ricerca del sapere-potere8. Il potere nelle imprese ha bisogno anche di
conoscenza. Senza conoscenza/competenza non c’è leadership. Senza leadership il potere è fragile9
Ascoltiamo Faust:”Ahimé!, ho studiato, a fondo filosofia e giurisprudenza e medicina, e, purtroppo,
anche teologia. Eccomi qua, povero e pazzo, e ne so quanto prima….E scopro che non possiamo
sapere nulla! Ciò mi brucia quasi il cuore. Ne so, è vero, un po’ di più di dottori, maestri, scribi e
preti….Però mi è stata tolta in cambio di ciò ogni gioia…..Mi sono dato pertanto alla magia, se mai
il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche segreto”(Goethe 1965, p.21).
A Faust che non accetta la logica della rinuncia, viene in soccorso Mefistofele, che si auto-
caratterizza in questo modo: “Sono lo spirito che sempre nega! E a ragione: perché tutto ciò che
nasce è degno di andare in rovina. Così è tutto ciò che voi chiamate peccato, distruzione. In breve, il
Male - è – il mio vero e proprio elemento” (Goethe 1965, p.67). Su queste basi, Mefistofele propone
a Faust un patto: ”Io voglio obbligarmi con te al tuo servizio, ad un tuo cenno non riposare e non
avere tregua”. Da parte sua, Faust afferma: “Se mai mi adagerò placato, su un letto di pigrizia, sia
per me subito finita! Se tu, illudendomi, mi ingannerai così ch’io possa compiacermi di me, sia
quello l’ultimo giorno per me!”(Goethe 1965, p.83). Mefistofele accetta. È proprio questo il tema
fondante del Faust: lo streben. Lo streben è il cercare, il perpetuo tendere a qualcosa, un’ansia che
supera ogni tentazione ad appagarsi di un obiettivo già raggiunto. In realtà, ad un certo punto, però,
Faust afferma di godere il massimo della felicità, perdendo la scommessa. Un esercito celeste
interviene, salva l’anima di Faust da Mefistofele e la porta in paradiso:” colui che sempre si è nella
ricerca affaticato, noi lo possiamo redimere!”(Goethe 1965, p.665). Sostanzialmente, Faust ha
incarnato l’idea di un superuomo, la cui vita si è compiuta entro i limiti dell’umano anche se ha
avuto il desiderio di uscirne e di addentrarsi nell’infinito, nel divino.

Popper: il falsificazionismo è un attacco al potere di una teoria scientifica


Chi è
Karl Raimund Popper (1902-1994) nasce a Vienna, ma, all’avvento del nazismo, si trasferisce,
essendo di origine ebraica, prima in Nuova Zelanda e poi in Inghilterra. Insegna presso la London
School of Economics. Tra le sue opere ricordiamo: Logica della scoperta scientifica (1959), La
società aperta e i suoi nemici (1945); Miseria dello storicismo (1944-45), Congetture e
confutazioni (1963).
E’ proprio quest’ultima opera a dare il via alle nostre riflessioni sulle teorie popperiane. In essa la
teoria della scienza incontro il più vasto ambito delle teorie della conoscenza, le scienze sociali e la
filosofia della politica. E’ in quest’opera che Popper definisce, tra l’altro, il concetto di
“falsificazione di una teoria ”come principio di demarcazione tra teorie scientifiche, che a questo
concetto devono attenersi, e teorie non scientifiche, libere da questo concetto. Popper articola la

8
La stesura del Faust occupa praticamente tutta la vita Goethe. Una prima, parziale, stesura è pubblicata nel 1790, una
seconda, sempre parziale stesura è pubblicata nel 1808. La stesura completa è del 1831. Per dare conto di questa storia,
si suole distinguere le stesure parziali dalla stesura completa con due titoli diversi: le prime stesure sono definite
Urfaust e solo la stesura del 1831 ha il titolo di Faust. Noi seguiamo Goethe Faust e Urfaust.( Amoretti G.V. curatore)
Milano 1965. È evidente che l’economia e la ratio di questo lavoro si fonda sulla individuazione solo del tema fondante
dell’opera goethiana, al di là di ogni complessità di articolazione filologica, di temi, di personaggi, di situazioni, che
individuiamo nel patto tra Faust e Mefistofele; Popper K.R. Congetture e confutazioni, Bologna 1972, pp. 397 ss
9
Kreitner R..Kinicki A. Comportamento organizzativo, Milano 2013 p. 357. Mintzberg Management Mito e realtà,
Milano 1991 pp 162 ss
5
propria epistemologia fallibilista in tensione dialettica con l’epistemologia hegeliana (Antiseri 1984,
p.123)10
L’opera
“(…) Le teorie vengono controllate mediante tentativi diretti a confutarle, tentativi da cui
impariamo molte cose …..Una teoria non viene controllata soltanto applicandola o mettendola alla
prova, bensì applicandola a casi molto particolari, in cui essa conduce a risultati diversi da quelli
che ci saremmo dovuti aspettare senza quella teoria o alla luce di altre teorie. In altre parole,
cerchiamo di prescegliere per i nostri controlli quei casi cruciali in cui dovremmo attenderci che la
teoria fallisca se non è vera”(Popper 1972 p. 193)
“Se la teoria di Newton, che era stata controllata nel modo più rigoroso ed era stata confermata
meglio di quanto uno scienziato si sarebbe mai potuto sognare, era stata poi smascherata come
ipotesi malsicura e superabile, allora era cosa disperata l’aspettarsi che una qualsiasi altra teoria
fisica potesse raggiungere qualcosa di più che non lo stato di un’ipotesi”(Popper 1987, p. XX)
Sulla questione falsificabilità
In questo testo Popper pone al centro della sua teoria e della nostra attenzione la questione degli
esperimenti cruciali come principio di falsificazione delle teorie scientifiche. Lakatos, come
mettiamo in evidenza nel capitolo a lui dedicato, mette in dubbio la validità di questo principio
(Lakatos 1996, p. 24)
Gli esperimenti cruciali, tuttavia, servono bene a esemplificare la teoria di Popper sulla scienza, che
Popper stesso definisce “razionalismo critico” (Popper 1972, pp. 17-52).
Tornando comunque al nostro tema, possiamo dire che, in questa fase, il principio di falsificabilità è
anche il principio in relazione al quale dovrebbe avvenire il cambiamento di teorie, e quindi il
cambiamento di potere, all’interno della ricerca scientifica. La sfiducia del consiglio di
amministrazione di Unicredit che colpisce, come vedremo, l’amministratore delegato portandolo
alle dimissioni è, a suo modo, una falsificazione delle strategie dello stesso amministratore delegato.
In La ricerca non ha fine (1976) Popper afferma che secondo il principio di falsificabilità un
sistema teorico è scientifico se e solo se può risultare in conflitto con certi dati dell’esperienza
(Abbagnano 1991, p. 600).
A partire dal principio di falsificabilità è evidente, continua La ricerca non ha fine, che tutte le
teorie scientifiche sono sempre e solo ipotesi, congetture (Abbagnano 1991, p. 602), in attesa:
 di essere falsificate dall’esperienza
 che nuove teorie diano maggiormente conto dell’esperienza stessa.
Popper ritiene decisiva da questo punto di vista la teoria di Newton, che, ritenuta ormai sicura e
provata, ha rivelato, invece, molti punti deboli alla luce della critica di Einstein: comunque sia ogni
teoria è e rimane fallibile (Abbagnano 1991, p. 602).
Un principio di demarcazione
Popper, non solo ritiene che la scienza si costruisca secondo il principio di falsificabilità ma
sottolinea anche che esso riguarda solo la scienza in quanto sapere empirico e non gli altri saperi
(filosofia...), che hanno propri criteri di validità. Il principio di falsificazione è quindi un principio
di demarcazione che fa sì che il criterio secondo il quale è significativo il linguaggio scientifico non
sia il criterio di significatività anche degli altri linguaggi, dalla filosofia alla poesia (Popper 1972,
p.426)
In questo modo Popper può sottrarre tutti gli altri saperi al dominio del neo-positivismo logico del
Circolo di Vienna fondato da Moritz Schlick (1822-1936) e sviluppatosi tra il 1921 e il 1938 circa.
É Moritz Schlick che, in Positivismo e realismo (1911), argomenta il principio di verificazione,
secondo il quale la sensatezza di una proposizione è affidata al fatto che ad essa corrisponda un
“determinato stato di cose”. D’altra parte, sempre nel Circolo di Vienna, Rudolf Carnap sostiene, in

10
Antiseri D, La sfida di Popper, Armando, Roma 1984

6
Il linguaggio fisicalistico come linguaggio universale della scienza (1931), che l’unico linguaggio
significativo è quello della fisica.
Popper è stato molto vicino al Circolo di Vienna e con il principio di demarcazione vuole
prenderne le distanze (Abbagnano1991, p. 592). Come vedremo questo principio di demarcazione
risulta purtroppo fragile
La questione verità
Popper articola ulteriormente il suo discorso sulle teorie scientifiche, ponendo al centro
dell’argomentazione la questione verità in Congetture e confutazioni (Abbagnano 1991, p. 614).
La verità è corrispondenza tra teorie e fatti, ed anche se difficilmente raggiungibile, va mantenuta
come orizzonte regolativo, di indirizzo, meta finale sempre ricercata dallo scienziato, anche se mai
ottenibile :”lo status della verità intesa in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti, con il suo
ruolo di principio regolativo, può paragonarsi a quello di una cima montuosa, normalmente avvolta
tra le nuvole. Uno scalatore può, non solo avere difficoltà a raggiugerla, ma anche non accorgersene
quando vi giunge per via delle nuvole…Questo tuttavia non mette in discussione l’esistenza
oggettiva della vetta (…..) L’idea stessa di errore o di dubbio comporta il concetto di una verità
oggettiva, che possiamo essere incapaci di raggiungere “(Popper 1972 p. 388). Il problema è, come
vedremo riconoscere lo stesso Popper, che troppo spesso, nella storia della scienza, si è pensato di
aver conquistato la vetta.
É evidente che la certezza chiara e distinta del principio di falsificazione si è, a questo punto quasi
dissolta, come si dissolvono le certezze dello scalatore tra le nubi. È questa la ragione della lentezza
con cui avviene, storicamente, il cambio di teorie scientifiche.
Per questo Popper, in La società aperta e i suoi nemici (1973-1974, vol.II, pp.514-515) giunge,
continuando nella metafora popperiana, a modificare le regole, le strategie della scalata: il confronto
scientifico non avviene tra una teoria e l’esperienza, ma tra teorie diverse, che “costruiscono”
l’esperienza in modi diversi.
Non si dà una esperienza senza una teoria che la costruisca e la razionalità è proprio la critica delle
teorie, scientifiche e non scientifiche. Si tratta di un principio costruttivista, debitore al filosofo
tedesco del 1700 Kant (Popper 1975, pp. 124-126), su cui concordiamo. Kant, tuttavia - che accanto
alla Critica della ragion pura (1787), dedicata alla conoscenza, scrive la Critica della ragion
pratica (1788), dedicata alla moralità ed alla libertà e la Critica del giudizio (1790) tentando una
sintesi nella diversità -porrebbe a Popper alcune domande capitali: i modi di “costruzione” dei
fenomeni naturali, che occupano Congetture e confutazioni, sono gli stessi dei modi di costruzione
dei fenomeni sociali, che occupano La società aperta e i suoi nemici ? É possibile far interagire i
due ambiti? Non sarebbe conveniente far valere il principio di demarcazione? (Forni 1979, p. 24)
A partire da questa nuova consapevolezza Popper, superando il principio di demarcazione (Popper
1972 p. 383) Abbagnano 1991, p. 623), ritiene che:
1) tra le teorie scientifiche, siano da preferire quelle che dimostrano di avere:
a) un sistema critico-riflessivo più resistente alle argomentazioni contrarie;
b) il maggior numero di informazioni sulla realtà.
2) le teorie che resistono al confronto con altre teorie possano definirsi “corroborate”
3) le teorie scientifiche siano superiori alle altre teorie (filosofia....) perché offrono una migliore
sintesi tra argomentazione razionale e metodo sperimentale
Su queste basi, osserva Popper, Newton ha sostituito Galileo e Keplero ed Einstein, a sua volta, in
alcune parti, ha sostituito Newton (Popper 1972, p. 377; Abbagnano 1991, p. 628)
Posta la superiorità delle teorie scientifiche, Popper afferma che, tra esse, vanno preferite quelle che
più si approssimano alla verità à, anche se sa di non poter quantificare e confrontare il livello di
verità di due teorie, per scegliere la più verisimile (Abbagnano 1991, p. 623-624)
In questo senso, osserva che l’eliocentrismo di Galileo e Copernico è più verosimile del
geocentrismo di Tolomeo, l’eliocentrismo di Keplero è più verosimile di quello di Galileo e
Copernico....

7
Si tratta di una prudenza necessaria, visto che non è possibile di principio escludere che emerga una
nuova teoria a modificare il quadro attuale, come è accaduto alla teoria di Newton con la teoria
della relatività. Noi potremmo dire che il principio di falsificabilità “va a lezione di disobbedienza e
che innovare significa rompere gli schemi consolidati” (De Toni A lezione di disobbedienza, ilFriuli
Business, Febbraio 2016)

Bibliografia
I testi
 Popper K.R. (1969) Congetture e confutazioni, il Mulino, Bologna 1972
 Popper K.R. (1959) Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970
 Popper K.R.(1979) I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Milano 1987
 Popper K.R.(1972) Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Armando, Roma 1975
I saggi
 Lakatos I. (1978) Il metodo dei programmi di ricerca il Saggiatore, Milano 1996
 Abbagnano N. La filosofia contemporanea, UTET. Torino 1991
 Forni E. M. Saggio introduttivo in Deleuze G. (1971) La filosofia critica di Kant, Biblioteca
Cappelli, Bologna 1979
 Antiseri D, La sfida di Popper, Armando, Roma 1984
 Fistetti F. Neurath contro Popper: Otto Neurath riscoperto, Dedalo, Bari 1985

Imre Lakatos: la cooperazione a mulinello per conquistare il potere

Chi è
Imre Lakatos (1922-1974) è di origine ungherese, fuggito in occidente dopo il 1956 per le sue
posizioni antistaliniste. Ha sempre insegnato logica e filosofia della matematica presso la London
School of Economics, negli stessi anni in cui vi insegnava Popper. Oltre all’opera che qui
esaminiamo, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici del 1978, è importante ricordare
un altro scritto di Lakatos, probabilmente del 1967: Tradimento della ragione da parte degli
intellettuali. Qui Lakatos condanna ogni tentativo di ridurre la ragione alla forza, mettendo in
discussione il valore delle scienze. La questione epistemologica si fa questione politica, con il
disegno di un impegno dell’intellettuale che per alcuni aspetti, pur in modi plurali e diversi, ci
rimanda alla questione gramsciana (Lakatos 1967/1996 pp. 323).
Il tema di fondo de La metodologia dei programmi di ricerca scientifici è lo spostamento
dell’attenzione, in sede di valutazione della crescita della scienza dalle teorie isolate, alle sequenze
di teorie. Sono queste sequenze, che, a certe condizioni, possono essere definite, secondo Lakatos,
“programmi di ricerca”. Non mancano tematizzazioni dei rapporti tra Lakatos e l’epistemologia
tracciata da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito (Larvor 1999, p. 1 ss)
L’opera
“Nella crescita della scienza, le più importanti fra le serie di teorie scientifiche sono caratterizzate
da una certa continuità che connette i loro lineamenti. Questa continuità ha origine da un vero e
proprio programma di ricerca abbozzato all’inizio. Il programma consiste di regole metodologiche:
alcune ci dicono quali vie di ricerca evitare (euristica negativa), altre quali vie seguire (euristica
positiva) (….)
 L’euristica negativa: il nucleo del programma. Tutti i programmi di ricerca scientifici possono
essere caratterizzati dal loro “nucleo”(hard core). L’euristica negativa proibisce di rivolgere il
modus tollens verso di esso. Dobbiamo invece usare la nostra ingegnosità per esprimere o anche per
inventare opportune “ipotesi ausiliarie “, che formino una cintura protettiva attorno a questo nucleo,
e deviare verso di esse la freccia del modus tollens
 L’euristica positiva: la costruzione della cintura protettiva e l’autonomia relativa della scienza
teorica
8
Non si deve pensare che la cintura protettiva sia senza alcun ordine prestabilito. Questo ordine
viene solitamente stabilito nello studio del teorico, indipendentemente dalle “confutazioni”che il
programma deve affrontare …L’euristica positiva traccia un programma che prefigura una catena di
modelli sempre più complicati che simulano la realtà ….Newton elaborò il suo programma per un
sistema planetario con un sole fisso e un unico pianeta, entrambi rappresentati da punti. Fu in questo
modello che derivò la legge dell’inverso del quadrato per l’ellisse di Kepler “(Lakatos 1996, p. 56-
60)
Il programma di ricerca afferma il potere della teoria della gravitazione newtoniana
Un programma di ricerca, argomenta Lakatos, non si deve solo al suo “fondatore” ma a tutti quanti
si richiamano al suo nucleo portante per sviluppare teorie di cintura. Il passaggio dalla
focalizzazione su una teoria e sui modi di falsificarla alla focalizzazione su una serie – su un
“grappolo” di teorie - è il cambiamento radicale che la ricerca di Lakatos introduce rispetto a
Popper (Abbagnano 1991, p. 810) e che, nostro avviso, avvicina, invece, Lakatos al modo in cui
Kuhn argomenta il formarsi di un paradigma. Rimane ovvio che Lakatos rifiuterebbe questo
accostamento, come avremo modo di constatare, in quanto reputa il paradigma espressione di
irrazionalità ( Lakatos 1996, pp. 20-21 .
Il caso esemplare di un programma di ricerca è la teoria della gravitazione di Newton esposta nei
Philosophiae naturalis principia mathematica del 1687. Al suo comparire subì diverse confutazioni
– grande critico delle teorie newtoniane fu, tra gli altri, il filosofo/ matematico Leibiniz (1646-1716)
(Gliozzi 2005, p. 309) - ma i newtoniani (ad esempio Roger Cotes (1682-1716) ed Henry
Pemberton (1694-1771) (Gliozzi 2005, p. 281) -con grande tenacia ed abilità, riuscirono a
trasformare ogni tentativi di falsificazione in altrettanti casi di corroborazione. Cotes curò con
Newton la prima riedizione dei Principia, aggiornata a corroborata, nel 1713, Pemberton curò,
sempre con Newton, l’edizione, ancora rivista, del 1726. La strategia di Newton e dei suoi allievi fu
quella di ritenere inattaccabile il nucleo fondante della teoria newtoniana – le tre leggi della
dinamica e la legge di gravitazione – creando alcune leggi di “cintura” verso le quali indirizzarono
le obiezioni dei critici (Lakatos 1996, pp. 57-58).La teoria di Newton ha generato un mulinello di
cooperazione (De Toni La gerarchia illuminata in “ilFriuli Business”gennaio 2016).
La regola fondamentale dello sviluppo di un programma di ricerca mostra già la lontananza di
Lakatos dall’approccio falsificazionista di Popper: “non si deve pensare che la cintura protettiva sia
senza alcun ordine prestabilito. Questo ordine viene solitamente stabilito nello studio del teorico,
indipendentemente dalle “confutazioni” che il programma deve affrontare”(Lakatos 1996, p. 56).
In questo modo, lo sviluppo di un programma di ricerca permette al programma stesso di diventare
“progressivo”. E’ teoricamente progressivo se ciascuna modifica alle teorie proposte dal programma
conduce a nuove predizioni inaspettate ed è empiricamente progressivo se almeno alcune di queste
predizioni sono corroborate. E’ questa capacità predittiva che rende un programma di ricerca
“progressivo”( Lakatos 1996, p. 228).
Inoltre, continua Lakatos, una teoria scientifica resiste a lungo anche quando sembra invalidata, e,
quindi, il passaggio ad una teoria diversa è lungo e laborioso, perché, in realtà non è stato invalidato
il suo hard core, ma una parte, più o meno ampia, delle sue teorie di cintura. La teoria di nucleo, del
resto, può sostituire le teorie di cintura invalidate con nuove teorie.
É il caso, come abbiamo già osservato, della teoria della gravitazione di Newton, che: a) resiste,
innanzi tutto, a tutte le teorie, basate su osservazioni sperimentali, che le si oppongono, b) molte
volte trasforma questa difesa in nuove teorie di cintura c) risultando così corroborata dagli stessi
tentativi di falsificazione E’ questo secondo Lakatos un altro motivo che rende il programma di
ricerca newtoniano uno dei più solidi nella storia della scienza (Lakatos 1996, p. 57-58). Kuhn, a
questo proposito, argomenta che il “paradigma”newtoniano si dimostrò talmente forte da diventare
un ostacolo allo sviluppo della scienza (Kuhn 1978, p.133-134): ancora un’inquietante, per Lakatos,
prossimità con Kuhn.
Per questo un programma di ricerca può essere falsificato solo da un altro programma di ricerca
(Lakatos 1996, p. 45).
9
Come cambia un programma di ricerca
Si potrebbe addirittura osservare che, fin qui, Lakatos ha dato conto del perché una teoria scientifica
è stabile e si corrobora, non del perché essa cambia.
Lakatos si impegna, su questo punto, nell’analisi del programma di ricerca copernicano.
Il cambiamento, in questo caso, è, però, anche in Lakatos, quasi come in Kuhn, un processo
complesso e non del tutto trasparente. La limpidità metodologico-concettuale del programma di
ricerca si offusca, quasi si perde.
L’eliocentrismo proposto da Copernico nel 1543 nel De revolutionibus orbium coelestium rivela,
infatti, tutta la propria efficacia predittiva, dimostrandosi progressivo rispetto al sistema tolemaico e
portando alla rivoluzione scientifica, solo quando entra a far parte - con le modifiche apportate da
Keplero (1619) e da Galileo (1632) - del sistema newtoniano nei Principia, di cui abbiamo appena
parlato (Lakatos 1996, pp. 230-233).
A nostro avviso, però, questa prospettiva - temporalmente ampia e complessa nella costruzione del
programma di ricerca - rende il programma di ricerca stesso un processo molto più complesso ed
articolato di quanto Lakatos aveva lasciato intendere non solo nella sua definizione teorica ma
anche nel suo rinvio al programma di ricerca newtoniano. La scansione metodologica – euristica
negativa, euristica positiva….- sfuma e i processi di sviluppo non sono più governati.
Lo stesso Lakatos, del resto, argomentando il passaggio dalla teoria corpuscolare della luce alla
teoria ondulatoria definisce l’adesione di Fresnel alla teoria ondulatoria un “atto di gusto” (Lakatos
1996, p. 227).
Tornando alla questione geocentrismo-eliocentrismo, anche Lakatos avverte il rischio che, nella sua
stessa ricostruzione, la rivoluzione scientifica abbia i tratti di un più ampio cambiamento di cultura
e di civiltà, quasi di paradigma, sulle orme di Kuhn e Feyerabend (Lakatos 1996, p. 237). Propone,
per questo, la ricostruzione storica dello sviluppo del programma copernicano prodotta da un altro
studioso dei programmi di ricerca in grado di dare maggior peso predittivo alla ricerca dello stesso
Copernico prima degli sviluppi kepleriani e newtoniani. I risultati, però, secondo lo stesso Lakatos,
non sono tali da capovolgere la situazione (Lakatos 1996, p. 233-236),
Cosa Lakatos pensa di Popper
Secondo Lakatos, a Popper, con la sua adesione al falsificazionismo, sostanzialmente sfugge la
complessità delle teorie scientifiche e la resistenza che le teorie scientifiche oppongono a
falsificazioni meramente empiriche (Lakatos 1996, p. 24 ss; Abbagnano 1991, p. 809). Da questo
punto di vista si rivela fragile anche il principio popperiano degli esperimenti cruciali, quei casi cioè
in cui “dovremmo attenderci che la teoria fallisca se non è vera” e a cui Popper, come
argomentiamo nelle pagine a lui dedicate, attribuisce grande importanza (Popper 1972 p. 193). Su
questo punto Lakatos è radicale: “non esiste nulla di simile agli esperimenti cruciali”(Lakatos 1996,
p. 24; Popper 1972, p. 193).
I codici affettivi – paterno, materno, fraterno - con i quali definiamo in questo lavoro i diversi tipi di
potere appartengono in realtà al programma di ricerca della psicoanalisi inaugurato da Carl Gustav
Jung (1875-1961).

Bibliografia
I testi
 Lakatos I. (1978) Il metodo dei programmi di ricerca il Saggiatore, Milano 1996
 Lakatos I. (1967) Tradimento della ragione da parte degli intellettuali, il Saggiatore, Milano 1996
I saggi
 K. R. Popper (1969) Congetture e confutazioni, il Mulino, Bologna 1972
 Abbagnano N.(Fornero G. ed.) La filosofia contemporanea, UTET, Torino 1991
 T. Kuhn (1969) La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1978
 Dosi G. Technological paradigms and technological trajectories. A suggested interpretation of the
determinants and direction of technical change, in “Research Policy 11 (1982) 147-162, North-

10
Holland Publishing Company, in Dosi G. Innovation, Organization, and Economic Dynamics,
Selected Essays, Edward Elgar, UK, 2000
 Gliozzi M. Storia della fisica, Bollati Boringhieri, Torino 2005
 Larvor B. Lakatos’ Mathematical Hegelianism in https://uhra.herts.ac.uk., 1999
 Bertola P, Manzini E. Desin Multiverso. Appunti di fenomenologia del desin, Edizioni Poli.desin,
Milano 2004

Nella politica

Niccolò Machiavelli: il capo ha la stoffa giusta?

L’autore
Il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527) è in qualche misura il fondatore della scienza politica
attuale, in quanto sapere che va costruito in autonomia da istanze estrinseche, di carattere religioso
e/o morale. Machiavelli stesso, del resto, ha ricoperto per diversi anni – dal 1498 al 1512 –
importanti incarichi di governo nella Repubblica di Firenze, conclusasi, appunto nel 1512, con il
ritorno al potere dei Medici. La figura chiave del cambiamento politico in Machiavelli è il principe,
così come lo tratteggia nel suo Il Principe, scritto nel 1513 ma pubblicato nel 1531 ( Einaudi,
Torino 1968). I riferimenti storici fondamentali di Machiavelli sono il papa Alessandro VI Borgia e
il figlio dello stesso Alessandro VI Cesare Borgia. Proprio analizzando le riflessioni di Machiavelli
su queste figure tematizzeremo il tema del cambiamento politico come formazione di un nuovo
stato. Hegel, nella Costituzione della Germania (1801-1803, pubblicata postuma, 1893) contesta
ogni lettura riduttiva di Machiavelli, giungendo alla conclusione che il Principe è il prodotto di “una
autentica mente politica di grandissimo e nobilissimo sentire”( cit. in Dizionario di filosofia)
L’opera
Premessa metodologica: per facilitare il lettore proponiamo qui una “traduzione” in lingua
contemporanea del testo machiavelliano, assicurando la massima fedeltà.
Il Valentino: per forza o per fraude
“Avendo dunque esaminato tutte le azioni di Cesare Borgia, figliuolo di Alessandro VI, chiamato
dal vulgo duca Valentino, mi pare di doverlo proporre come imitabile a tutti coloro che per buona
sorte o con la forza sono riusciti a conquistare il potere. Vi erano nell’animo del duca tanta ferocia e
tanto valore, conosceva così bene come si deve creare il consenso ed erano così valide le basi del
potere che in poco tempo era riuscito a crearsi, che, se non avesse avuto come nemici gli eserciti
francesi e spagnolo e fosse stato sano avrebbe superato ogni difficoltà. Chi, dunque, giudica
necessario nell’esercizio del potere appena acquisito, mettersi al riparo dai nemici, farsi degli
alleati, vincere o con la forza o con l’imbroglio, farsi amare o temere dai popoli, seguire e onorare
dai soldati, eliminare gli avversari innovare le istituzioni, governare quando è necessario con
durezza e quando è necessario con liberalità, reprimere le rivolte nella milizia infedele trova nelle
strategie del Valentino i migliori esempi (Machiavelli 1968, pp. 31.38-40)
Le arti della golpe e del lione di Alessandro VI
“Dovete dunque sapere che ci sono due modi di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza ;
il primo è proprio dell’uomo, il secondo delle bestie; ma poiché il primo non basta, conviene
ricorrere al secondo….Se è vero che un principe deve ricorrere con intelligenza all’uso della forza,
al modo degli animali, le strategie che deve usare sono quelle della volpe e del leone; perché il
lenone non si difende dalle trappole e la volpe non si difende dai lupi. Bisogna dunque essere volpe
per difendersi dalle trappole e leone per difendersi dai lupi. Per questo un principe non deve
mantenere le promesse quando il mantenere la parola sia per lui pericoloso e siano cambiate le
condizioni in cui si impegnò nella promessa. Questa indicazione sarebbe sbagliata se gli uomini
fossero tutti buoni, ma poiché sono cattivi e non mantengono le loto promesse, neppure il principe
deve farlo…..Alessandro VI, ad esempio, non pensò mai ad altro che ad ingannare gli uomini, e
11
trovò sempre l’occasione per farlo E non c’è mai stato uomo così pronto a promettere ed altrettanto
pronto a non mantenere la promessa. Per un principe, dunque è dannoso essere pietoso, fedele,
umano, integro, religioso. É piuttosto necessario che sembri tale e sia pronto a comportarsi in modo
diverso. Si deve capire che un principe, e soprattutto un principe che abbia appena conquistato il
potere, non può osservare tutti i principi per il quali gli uomini sono ritenuti buoni, in quanto è
spesso costretto, per mantenere lo stato, ad agire contro la carità, contro l’umanità, contro la
religione. É tuttavia opportuno che egli sappia cambiare strategia in relazione a fatti imprevisti ed
imprevedibili, non allontanandosi dal bene, se possibile, ma sapendo usare il male quando è
necessario “(Machiavelli 1968, p. 85-87).
Costruire uno stato
Ricordiamo, intanto, che tra il 1400 e il 1500, l’Italia è divisa in diversi stati regionali, tra i quali il
Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli. Sia Francia che
Spagna hanno mire espansionistiche su questa fragile realtà: i francesi occupano il Ducato di
Milano, gli spagnoli il Regno di Napoli, dopo aver sconfitto i francesi con cui, originariamente
avevano concordato la spartizione dello stesso Regno di Napoli. Il tentativo di Cesare Borgia è di
costituire, in una situazione tanto tesa, un forte stato pontificio nell’Italia centrale.
La caratteristica fondamentale del disegno machiavelliano del cambiamento politico come
costruzione di un nuovo stato è quella di mettere in primo piano le strategie di un individuo che di,
volta in volta, sappia muoversi anche con la forza e la frode, nel caso del Valentino, e con le arti
della golpe e del lione, nel caso di Alessandro VI. Non può che essere così. Una qualsiasi ipotesi
“contrattuale” dello stato come organismo sociale è vietata a Machiavelli dalla sua convinzione che
non esista una legge universale che non sia l’egoismo, l’avidità, l’ingordigia, l’insoddisfazione. Per
questo al Principe non restano che le arti della golpe e del lione, il senso delle circostanze, la
conoscenza dell’animo umano. Questo insieme di competenze è ciò che secondo Machiavelli forma
la “virtù “del Principe (Machiavelli 1968, pp. 120 ss). Le arti della golpe, intese come strategie
opportunistiche in vista del potere, sono del resto presenti anche nelle imprese (Mintzberg
Management. Mito e realtà, Milano 1991, p.313)
Ogni prospettiva religiosa e/o morale è esclusa dalla vision del Principe: il suo unico scopo è la
costruzione dello stato (Machiavelli 1968, pp. 75-76).
Esclusivamente sulla base di questa “virtù”, il principe deve affrontare anche la “fortuna”. La storia
è, infatti, un succedersi di eventi senza senso che continuamente si ripetono, senza alcuna possibilità
di individuarne le regole (Machiavelli 1968 pp. 120-125).
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: mantenere il potere dello stato
Si conferma, infine, fondata sul paradigma individualista anche la seconda opera politica di
Machiavelli, i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-1521), che non ha tanto come tema
la formazione di un nuovo stato quanto il mantenimento degli stati già esistenti, secondo le modalità
della repubblica.
Machiavelli scrive quest’opera a partire dalla prima parte (deca) della storia di Roma scritta dallo
storico Tito Livio (59 a.C.- 17 d.C.). Qui l’egoismo insopprimibile della natura umana è governato
dalla religione e dalla morale. La morale consiste nel rispetto delle leggi e nell’esercizio della
libertà; la religione assume il compito di essere il cemento della vita ordinata e compatta. La
religione è la religione dello stato e per lo stato, secondo la tradizione delle divinità civiche greche e
romane. L’esito del disegno machiavelliano è quello dell’estensione a 360 gradi della dimensione
politica che prevale su qualsiasi altra istanza - giuridica, etica o religiosa - che le siano esterne.
La politica del resto mantiene intatte le caratteristiche fondamentali disegnate ne Il Principe. Solo in
questo modo, secondo Machiavelli, è possibile per la politica governare l’egoismo della natura
umana.
In questo quadro, le diverse forme di governo –monarchica, aristocratica, repubblicana – sembrano
quasi situarsi sullo sfondo (Machiavelli Milano 1960-1965, l. 1, cap. II, pp. 95-100. 220-228; cap.
XI pp. 124-125; cap. XII pp. 127-128).

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Vedremo come le riflessioni di Machiavelli - che alcuni studi definiscono, nel paradosso, sintomi di
“sociopatia” (Smith V. 2010, p.412) - diventeranno tema per le elaborazioni politiche di Antonio
Gramsci. Noi potremmo dire che con il suo individualismo, Machiavelli non disegna un capo “dalla
stoffa giusta” (De Toni La stoffa giusta del ‘capo’, in”ilFriuli Business”, agosto 2013)
Testi
 Machiavelli N. (1531) Il Principe, Einaudi, Torino 1968
 Machiavelli N. Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, in Bertelli S. Gaeta F. Machiavelli,
Opere, Milano 1960-1965.
Saggi
 Malusa L. Dall’umanesimo alla controriforma, volume 3 di AA.VV Storia del pensiero
occidentale, Marzorati, Milano 1975
 Villari R. Storia moderna, Laterza, Bari 1973
 Binmore K. (2007) Teoria dei giochi, Codice Edizioni, Torino 2008
 Smith Maynard J. ( 1982) Evolution and the Theory of Games, Cambridge University Press 2010
 Smith Vernon (2008) La razionalità nell’economia, IBILibri Torino 2010
 Dizionario di filosofia, in www.treccani.it>enciclopedia>machiavellismo
 Stoica G.L. Machiavelli filosofo della politica, La città del sole, Reggio Calabria 2003

Jean-Jacques Rousseau: è superabile la gerarchia?

L’autore
Jean Jacques Rousseau (1712-1778) è per molti aspetti uno dei principali esponenti
dell’illuminismo. L’illuminismo afferma di voler fondare un modello dinamico di razionalità sulla
base del quale disegnare le caratteristiche culturali, sociali, politiche, economiche del mondo
moderno. In particolare, nella riflessione politica dell’illuminismo francese, accanto al pensiero di
Rousseau, si articola anche la riflessione di Carlo di Montesquieu (1689-1755) che ne Lo spirito
delle leggi (1748), a difesa da ogni dispotismo, argomenta la divisione dei poteri legislativo,
esecutivo, giudiziario.
Ricordiamo alcune opere di Rousseau:

 Discorso sulle origini e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, 1754
 Emilio, 1762
 Contratto sociale, 1762.
Vale la pena ricordare tratti fondamentali dell’Emilio, il manifesto educativo di Rousseau a cui
fanno riferimento come vedremo, anche le opere politiche di Rousseau. Emilio, infatti, è educato
alla libertà, affidato alle forze dell’istinto buono e del sentimento. Emilio, poi, non deve imparare la
scienza, deve piuttosto inventarla.
Noi analizzeremo gli scritti di Rousseau per argomentarne le riflessioni sui cambiamenti evolutivi
delle forme sociali e di governo analizzando come esse abbiano influito anche sulla rivoluzione
francese.
L’opera
Tratteggiamo brevemente il Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli
uomini. Rousseau articola l’evoluzione sociale in tre stadi.
Il primo stadio
Il primo stato è rappresentato dallo stato di natura in cui prevalgono le dimensioni personali e
relazionali di tipo spontaneo, ingenuo. Gli altri uomini sono dati come scontati, quanto è scontata la
natura: Guardiamoci bene dal confondere l’uomo selvaggio con gli uomini che abbiamo sotto gli
occhi Dal punto di vista metafisico e morale, l’uomo selvaggio …. comincerà dunque con le
funzioni puramente animali: percepire e sentire sarà la sua prima condizione, che avrà in comune
13
con tutti gli animali. Volere e non volere, desiderare e temere, saranno le prime e quasi le sole
operazioni della sua anima, fino a che nuove circostanze non vi determineranno nuovi sviluppi …I
desideri dell’uomo selvaggio non oltrepassano i suoi bisogni fisici; i soli beni che conosce al mondo
sono il cibo, la femmina, il sonno…” (Rousseau 1971, pp. 147-151)
Il secondo stadio
Il secondo stadio vede il passaggio dell’uomo al rapporto con gli altri uomini di tipo riflesso,
consapevole, anche a partire dalla nascita della proprietà privata. Gli altri diventano in qualche
modo un problema, di cui si devono decifrare intenzioni e comportamenti
“Il primo che, cintato un terreno, pensò di affermare questo è mio e trovò persone abbastanza
ingenue da credergli fu il vero fondatore della società civile…Via via che il genere umano andava
crescendo le fatiche si moltiplicavano insieme agli uomini…Benché i suoi simili non fossero per lui
ciò che sono per noi e non avesse per loro molto più rapporto che con gli altri animali, non mancò
tuttavia di osservarli…Concluse che la loro maniera di pensare e di sentire era del tutto conforme
alla sua, e questa importante verità, avendo messo radici nella sua mente, gli fece seguire …le
migliori regole di condotta che gli conveniva mantenere con loro per il suo vantaggio e la sua
sicurezza. Avendo imparato per esperienza che l’amore del benessere è il solo movente delle azioni
umane, si trovò a essere in grado di distinguere le rare occasioni in cui l’interesse comune doveva
portarlo a contare sull’aiuto dei suoi simili.
Il gioco del cervo
Ecco in che modo gli uomini poterono…acquistare qualche grossolana dei reciproci impegni e del
vantaggio di mantenerli, ma solo nei limiti in cui poteva esigerlo l’interesse presente e tangibile;
infatti per loro la previdenza non esisteva, e lungi dall’occuparsi di un lontano avvenire, non
pensavano nemmeno al domani. Se si trattava di prendere un cervo ogni uomo era senz’altro
convinto di dovere allo scopo tenere fedelmente il proprio posto; ma se una lepre si trovava a
passare a tiro di uno di loro, non c’è da dubitare che questo la inseguisse senza scrupolo e che,
raggiunta la sua preda, ben poco si curasse di far perdere la loro ai suoi compagni”(Rousseau 1971,
p. 1173-176).
Il terzo stadio
Nel terzo stadio si creano relazioni competitive e gravi diseguaglianze collegate al sorgere delle
attività economiche.
Sempre a seguito della nascita della proprietà privata “il lavoro diventò necessario e le vaste foreste
si trasformarono in campagne ridenti che dovevano essere bagnate dal sudore degli uomini, e dove
presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria. Questa grande
rivoluzione nacque dall’invenzione di due arti: la metallurgia e l’agricoltura …-A seguito dei
differenti vantaggi offerti da queste due arti e dei differenti talenti che ciascun uomo possiede- la
rottura dell’uguaglianza dello stato di natura prodotta dalla nascita della proprietà privata fu seguita
dal più spaventoso disordine; così le usurpazioni dei ricchi, il brigantaggio dei poveri, le passioni
sfrenate di tutti, soffocando la pietà naturale e la voce ancora debole della giustizia, resero gli
uomini avari, ambiziosi e malvagi”(Rousseau 1971, p. 181-186).
Commento: Rousseau interprete di Machiavelli
In questa vision evolutiva del genere umano, Rousseau, come abbiamo visto, coglie e modellizza,
circa 200 anni dopo, nel gioco del cervo, le linee strategiche essenziali che abbiamo visto anche nel
Principe (McKenzie, 1982, pp. 209-228), il suo radicale pessimismo sulle attitudini sociali
dell’uomo. Più in generale, Rousseau nel suo Discorso sull’origine e i fondamenti della
disuguaglianza tra gli uomini (1755, Laterza, Bari 1971) narra, come abbiamo letto, il percorso
evolutivo dell’uomo che, partito da un ideale, e del tutto ipotetico stato di natura, ha
progressivamente conosciuto la decadenza, il conflitto, l’ingiustizia. Occorre segnalare, a questo
proposito, che Rousseau si differenzia in questo modo dal filosofo inglese Hobbes (1558-1679, che,
nel Leviatano (1651) aveva assegnato allo stato di natura le divisioni, gli odi reciproci, i conflitti ed
aveva assegnato allo stato, unico detentore legittimo della forza, la capacità di sedarli (Hobbes
1974, p. 175 ss). Lo scopo di Rousseau non è, tuttavia, regressivo. Rousseau sa bene che lo stato di
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natura di cui parla è solo un’ipotesi ed egli stesso non manca di sottolinearne i limiti e le povertà.
Ciò che interessa a Rousseau, in questa e in altre sue opere, è mettere in evidenza che ciò che
l’uomo è ora, nelle sue ineguaglianze e violenze, non appartiene alla sua natura, ma alla sua storia,
ed è, quindi, modificabile, trasformabile, con l’educazione, i cui principi Rousseau disegna nell’
Emilio (1763) e che abbiamo sintetizzato all’inizio di questo capitolo, e l’azione politica, che
Rousseau tratteggia, tra l’altro, nel Contratto sociale (1762) che qui approfondiamo.
Sentiamo cosa ne pensa Hegel. Per Hegel, gli uomini a cui Rousseau fa riferimento sono
“profondamente colpiti dalla miseria del loro popolo, di uomini che conoscono profondamente ed
espongono in modo commovente la corruzione etica che ne deriva, la rabbia, la ribellione degli
uomini per la loro miseria, per la contraddizione fra ciò che essi sono in grado di pretendere e la
condizione in cui si trovano ( Hegel Vorlesungen über Rechtsphilosophie 1818-1831, cit. in Bodei
1975, p. 323)

La formazione dello stato e la cooperazione


Più aperto ad una possibile logica cooperativa sembra essere il Contratto sociale in cui Rosseau
tratteggia il formarsi dello stato.
Alla base di questo stato, Rousseau pone, infatti, un ancora mai realizzato patto sociale che veda
“l’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità”(Rousseau 1971,
vol. 2, p. 93). L’obiettivo di questo patto è “trovare una forma di associazione che difenda e
protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno,
unendosi con tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga così libero come era libero in
natura “(Rousseau 1971, vol. 2 p. 93). Da questo patto sociale nasce lo stato, fondato sulla sovranità
popolare (Rousseau 1971, vol. 2. p. 101 ss.). La forza della sovranità popolare è praticamente
assoluta. Al contrario della divisione dei poteri disegnata da Montesquieu, e presente in gran parte
degli stati democratici attuali, Rousseau, infatti, non prevede un potere esecutivo realmente distinto
dal potere legislativo: i depositari delle funzioni esecutive possono solo obbedire alla sovranità
popolare, senza alcuna discussione e argomentazione (Roussseau 1971, vol. 2, pp. 168-169).

Il ruolo della coercizione e la rivoluzione francese


La stessa sovranità popolare può costringere all’obbedienza chiunque tenti di sottrarsi in qualche
modo al patto originario. Questo, però, secondo Rousseau non è riduttivo della libertà individuale.
L’individuo, infatti, è completamente subordinato alla volontà generale perché fuori da essa non
può avere che interessi e moventi particolari, e quindi ingiusti. Solo all’interno della volontà
generale egli trova l’unica e vera libertà e felicità (Rousseau 1971, vol. 2, p. 96). Occorre, infine,
osservare che la volontà generale ha le caratteristiche di una realtà a suo modo astratta. Da essa,
infatti, può differenziarsi ed allontanarsi perfino la concreta ed empiricamente verificabile volontà
di tutti, quale si esprime, ad esempio, negli atti legislativi in cui prevalgano condizionamenti e
opacità particolari (Rousseau 1971, vol. 2 p. 104-105). Popper (1973, vol. 1, p. 338) non manca di
osservare come questa pretesa di un sistema politico che si ritiene “razionale” di poter
legittimamente punire chiunque si allontani da esso cedendo, quindi all’irrazionalità, sia in realtà
una nota comune a molte utopie politiche. Come a dire, con Binmore (2008, p.80), che molte di tali
utopie sono convinte che senza coercizione sia difficile evitare la defezione, nel caso di Rousseau:
la rottura contratto. Anche qui, dunque, non manca di emergere il pessimismo che già abbiamo visto
nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza.
Questa dimensione del pensiero politico di Rousseau avrà, fra circa 30 anni, forte impatto sulla
Rivoluzione francese, a partire dalla proclamazione della repubblica da parte della Convenzione nel
settembre del 1792 per finire, anche al di là di ogni intenzione rousseauiana, con il Terrore Il
Terrore, infatti, a suo modo, sembra interpretare la dimensione totalitaria della volontà generale.

15
Torna la dimensione individuale
Non a caso torna ad emergere la dimensione individuale anche nell’identificazione del soggetto
costruttore dello stato.
Possiamo leggere per questo il compito che Rousseau affida al “legislatore”, colui che può portare
alla formazione di uno stato:” Colui che osa prendere l’iniziativa di fondare una nazione, deve
sentirsi in grado di cambiare, per così dire, la natura umana; deve essere capace di trasformare ogni
individuo, che per se stesso è un tutto perfetto e solitario...Il legislatore è, sotto ogni aspetto, un
uomo eccezionale nello stato”(Rousseau 1971, vol. 2 p.115). Come si vede, il legislatore non è più
qui il corpo sociale, a cui, originariamente dovrebbe appartenere il potere, ma un singolo individuo
dalle doti eccezionali.
Sarà Gramsci a sottolineare come lo stesso Rousseau si riconoscesse profondamente nel pensiero
politico di Machiavelli (Gramsci 1977, p. 1617). Potremmo concludere dicendo, sempre con
Gramsci, che Rousseau ratifica in qualche modo Machiavelli: le strategie di cambiamento sociale e
politico non possono che essere individuali.
Del resto la stessa rivoluzione francese è largamente caratterizzata dallo scontro tra le diverse
componenti culturali che la promuovono e la animano. Proprio questa incapacità di cooperare è alla
radice dell’andamento sussultorio e contraddittorio nella vision di fondo della rivoluzione stessa11.
Ritroviamo l’incapacità di cooperare nelle organizzazioni politiche (Mintzberg Management. Mito e
realtà, Milano 1991p. 296 ss)

Rousseau si auto-interpreta dal punto di vista della teoria dei giochi: Il gioco del cervo
É nel secondo stadio dello sviluppo storico-sociale che Rousseau, nel Discorso sull’origine e i
fondamenti della disuguaglianza, colloca il gioco della caccia al cervo ed è proprio questo renderlo
altamente significativo. In generale, Mintzberg (1991 p. 300) ci ricorda che la teoria dei giochi è
utile per interpretare i conflitti tra manager.
Seguiamo di nuovo il testo: ”Ecco in che modo gli uomini poterono…- nel corso dell’evoluzione
storica e sociale - …acquistare qualche grossolana dei reciproci impegni e del vantaggio di
mantenerli, ma solo nei limiti in cui poteva esigerlo l’interesse presente e tangibile; infatti per loro
la previdenza non esisteva, e lungi dall’occuparsi di un lontano avvenire, non pensavano nemmeno
al domani. Se si trattava di prendere un cervo ogni uomo era senz’altro convinto di dovere allo
scopo tenere fedelmente il proprio posto; ma se una lepre si trovava a passare a tiro di uno di loro,
non c’è da dubitare che questo la inseguisse senza scrupolo e che, raggiunta la sua preda, ben poco
si curasse di far perdere la loro ai suoi compagni “(Rousseau 1971, vol. 1, p. 176).
Il tema, come abbiamo letto, è semplice: due giocatori concordano di unirsi per cacciare un cervo.
Cosa accadrebbe, però, si chiede Rousseau, se mentre attendono un incerto cervo si offrisse la
possibilità per uno dei due di fare preda di una allettante, e molto più diffusa del cervo, lepre,
portandolo a rinunciare al progetto condiviso della cattura del cervo? Il cacciatore “tentato”dalla
lepre rimarrebbe fedele alla cooperazione o defezionerebbe verso la lepre, pur sapendo che il
risultato più conveniente sarebbe il cervo? Rousseau lascia il quesito senza risposta (Motta Ordine
sociale e teoria dei giochi, Roma 2010, p. 70). Rousseau apre così la strada al dubbio sulla reale
possibilità della cooperazione tematizzato ed argomentato dal dilemma del prigioniero. Binmore
(Teoria dei giochi, Torino, 2008, p. 79) non manca di proiettare il paradigma scettico del Dilemma
sul gioco rousseauiano ( Binmore 2008 p. 79).
Questa la matrice, dove C indica la caccia al cervo e D la caccia alla lepre:

11
Villari R. Storia moderna, Roma-Bari 2005 pp. 357 ss
16
Secondo giocatore
Primo giocatore D C
D 1,1 2,0
C 0,2 3,3

La cooperazione è C,C, con il payoff più alto (3;3), la cattura del cervo. La cooperazione, però,
rimane ingiocata perché entrambi i giocatori preferiscono l’equilibrio di Nash, la cattura della lepre,
con payoff 1,1. Se, infatti, un giocatore rimane fedele alla cattura del cervo mentre l’altro defeziona
verso la lepre, si trova ad avere un payoff uguale a 0, l’impossibilità della cattura del cervo, mentre
l’altro ha il payoff 2, dato dal fatto di essere l’unico che torna a casa con una preda.
L’orizzonte fondamentale che il gioco lascia emergere è il radicale pessimismo rousseauiano
sull’uomo e sulle sue relazioni, che emerge come il negativo dell’ottimismo sul del tutto ipotetico
stato di natura. La “sociopatia”(Vernon Smith 2010, p, 412) appartiene, davvero, solo a Machiavelli
o è, anche alla luce di Rousseau, una dimensione costante dell’esperienza umana ?
Nelle organizzazioni di grandi dimensioni è possibile superare la gerarchia? (De Toni Rivincita
della gerarchia, in “ilFriuli Business”, novembre 2015)

Bibliografia
Testi
 Rousseau J. J. (1754) Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza, in Rousseau J,J.
Scritti politici, Laterza, Bari 1971
 Rousseau J.J. (1762) Contratto sociale, in Rousseau J.J. Scritti politici, Laterza, Bari 1971
 Hobbes T. (1651) Leviatano, Laterza, Bari 1974
Saggi
 Abbagnano N. Storia della filosofia, volume II, UTET, Torino 1982
 Villari R. Storia moderna, Laterza, Bari 1973
 Motta R. Ordine sociale e teoria dei giochi, Bonanno Editore, Roma 2010
 Binmore K. (2007) Teoria dei giochi, Codice Edizioni, Torino 2008
 Axelrod R. (1984) Giochi di reciprocità. L’insorgenza della cooperazione, Feltrinelli, Milano 1985
 McKenzie L. Rousseau’s Debate with Machiavelli in the social contract, in “Journal of the History
of Ideas”, vol. 43, No.2, (Apr.-Jun,. 1982), pp. 209-228

Gramsci: un sistema cooperativo


L’Autore
Antonio Gramsci (1891-1937) è stato uno dei fondatori del partito comunista nel 1921, Nel 1922
conosce a Mosca Lenin, la guida della rivoluzione comunista russa del 1917. Gramsci è stato il
maggior esponente del marxismo teorico italiano e per questo fu a lungo perseguitato dal fascismo .
Fu arrestato dalla polizia fascista nel 1926, condannato a 24 anni dal tribunale speciale nel 1928,
scarcerato, viste le gravi condizioni di salute, nel 1937. Muore una settimana dopo la scarcerazione.
Il nodo più originale ed innovativo in ambito marxista del pensiero gramsciano è senz’altro la
questione politica. Proprio questa originalità costò a Gramsci anche alcune incomprensioni
all’interno dello stesso movimento marxista.
Il potere immateriale/filosofico
Noi la analizzeremo focalizzando il tema della formazione di un nuovo blocco storico capace di
assumere il governo culturale, economico, politico della società e dello stato per modificarne gli
indirizzi fondamentali. L’idea e la concreta formazione di un “blocco storico”è secondo Gramsci
l’unica soluzione possibile al problema squisitamente filosofico, della dialettica dei distinti,
dell’unità e della distinzione di un qualsiasi concetto nella relazione con tutti gli altri concetti
(Donzelli 2012, p. 32). Diremmo noi che, in Gramsci si realizza una particolarissima reciprocità: il
17
potere filosofico guida il formarsi del potere materiale, del blocco storico, ma, a sua volta, il potere
immateriale/filosofico per definirsi e risolvere i propri dilemmi, ha bisogno di concretarsi nel potere
materiale, nel blocco storico.
Il potere materiale: il blocco sociale per l’egemonia
“Due forze “simili “non possono fondersi in un organismo nuovo che attraverso una serie di
compromessi, oppure con la forza delle armi; alleandosi su un piano di eguaglianza o subordinando
una forza all’altra con la coercizione. Se l’unità delle due forze è necessaria per vincere una terza
forza, evidentemente il ricorso alla coercizione è una pura ipotesi metodologica e l’unica possibilità
concreta è un compromesso … Dalla politica dei moderati appare chiaro che ci può e ci deve essere
una attività egemonica anche prima dell’andata al potere – in quanto – un gruppo sociale può e anzi
deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo ( è questa una delle condizioni
principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene
fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche classe
dirigente”(Gramsci 1977, pp. 1120.. 2010-2011). Il concetto gramsciano di egemonia come
elemento culturale di consenso ampio e non limitato alla gestione del potere deriva anche dalla
lettura gramsciana dell’etica hegeliana (Durst 2005, p. 1). L’importanza della formazione di
coalizioni di manager per la leadership e il governo nelle imprese industriali è sottolineato da
Mintzberg (1991 p. 135 ss.)
La funzione degli intellettuali
Commentando alcuni studi dei gesuiti sulle missioni in India Gramsci afferma: “il papa sa che una
grande massa non si può convertire molecolarmente; occorre, per affrettare il processo, conquistare
i dirigenti naturali delle grandi masse gli intellettuali sono i “commessi”, gli impiegati specializzati,
del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo
politico, cioè 1) del consenso spontaneo dato dalle grandi masse all’indirizzo impresso alla vita
sociale dal gruppo dominante ; 2) all’apparato di coercizione statale che assicura “legalmente”la
disciplina dei gruppi di opposizione …Questa impostazione del problema dà come risultato
un’estensione molto grande del concetto di intellettuale …- fino a concretizzarsi nella figura del
partito politico moderno che – altro non è per i gruppi sociali che il modo proprio di elaborare la
propria categoria di intellettuali organici che si formano così, e non possono non formarsi
direttamente nel campo politico … “(Gramsci 1977 pp. 908; 1513.1518-1522).
Il nuovo Principe: oltre Machiavelli
Il partito-intellettuale organico - è il nuovo Principe, che, al di là di ogni cesarismo individuale), è
l’espressione compiuta del blocco storico e della sua funzione di governo:”Il moderno Principe
deve e non può non essere il banditore e l’organizzatore di una riforma intellettuale e morale, ciò
che poi significa creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale
popolare verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà moderna….Una riforma
intellettuale e morale non può non essere legata a un programma di riforma economica, anzi il
programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si si presenta ogni riforma
intellettuale e morale … Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo
categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e
di tutti i rapporti di costume … Il partito politico, per tutti i gruppi, è il meccanismo che nella
società civile compie la saldatura tra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e
tutti gli altri intellettuali …..”. (Gramsci 1977, p. 1620.1522
il blocco storico: sintesi di potere immateriale/filosofico e materiale/storico
Il concetto fondamentale della visione politica di Gramsci è quello di Blocco storico come soggetto
politico progressivo capace di esercitare l’egemonia, e cioè la guida effettiva della società.
La caratteristica fondamentale del blocco storico gramsciano è di essere il risultato di una coalizione
di forze sociali e culturali diverse ma “simili”nella vision storico/sociale, che si uniscono in
un’unica aggregazione politica sulla base di alcuni compromessi E’ una prospettiva che Gramsci
mutua dall’analisi storica

18
L’originalità di Gramsci rispetto all’ allora prevalente interpretazione leninista del marxismo
consiste proprio nel pensare all’egemonia come una questione innanzi tutto sociale e culturale, che
deve preparare la conquista del governo ma che non coincide con essa. É chiaro anche che
l’egemonia intesa in questo modo, come la caratteristica intrinseca di una qualsiasi gestione del
governo, fa sì che l’egemonia del blocco storico formato dalla classe operaia e dai suoi alleati non
scada, in mera e vuota gestione del potere. Il risultato complessivo della prospettiva gramsciana
sull’egemonia è, come sottolineato da Norberto Bobbio il suo differenziarsi dai paradigmi leniniani
della dittatura del proletariato.
La questione “intellettuali” e la forma del potere immateriale/filosofico
Un’altra dimensione caratteristica del pensiero gramsciano è il peso che viene assegnato agli
intellettuali. Ad essi Gramsci assegna il compito di dare omogeneità e chiarezza di analisi e
d’intenti al blocco storico che li esprime, sia in senso di formazione del consenso per il blocco
storico al governo sia in senso progressivo. In questo caso gli intellettuali saranno capaci di
esprimere le esigenze e le aspirazioni più ampie e profonde di tutto un popolo e di una nazione.
Questi sono gli intellettuali che Gramsci chiama “organici”.
L’intellettuale organico per eccellenza è, secondo Gramsci, non un singolo individuo ma il Partito
comunista in quanto capace di esprimere l’orizzonte il più ampio possibile degli interessi e, quindi,
come un moderno Principe, di guidare il blocco storico che lo esprime..
Su questo avremo modo di tornare più avanti.
Occorre a questo punto osservare che il pensare la realizzazione dell’egemonia come gioco tra
coalizioni è la svolta che Gramsci compie consapevolmente rispetto a Machiavelli, uno dei più
importanti teorici della politica moderna con la sua trattazione della figura del Principe. Come
vedremo, lo stesso Gramsci da una parte evoca il principe come metafora del Partito comunista e,
dall’altra, lo critica proprio in nome del paradigma individualista che ne caratterizza la prospettiva
politica.
Gramsci analizza approfonditamente le riflessioni di Machiavelli. Secondo Gramsci il cambiamento
politico affidato ad un singolo individuo, il Principe, altro non è che una forma di “cesarismo”.
Gramsci, del resto, osserva che la politica come ambito di strategie cesariste continua a suo modo
anche nelle moderne democrazie, che conoscono aggregazioni politico-sociali fondate su piccoli
gruppi di potere finanziario che le condizionano e le determinano. Alla fine, sembra dire Gramsci,
questi piccoli gruppi di potere governano il proprio blocco storico con la defezione.
Il moderno Principe disegnato da Gramsci è, invece, il Partito comunista che rappresenta, esprime e
trasforma in prassi politica la vision progressiva del blocco storico cui fa riferimento.
Proprio nel disegno del Partito come Principe sono presenti i tratti più critici per una prospettiva
democratica, del pensiero gramsciano. I tratti del partito come organizzazione autoritaria e
monolitica sono, infatti, diffusi, non mancando di suscitare forti perplessità.
Al di là di questo, tuttavia, resta importante il disegno dell’azione politica come caratterizzata non
da individui ma dai blocchi storici alla ricerca dell’egemonia, anche prima e anche oltre la presenza
del partito/principe, superando il pessimismo verso i movimenti sociali più ampi che unisce
Machiavelli a Rousseau. É superata, insomma, la sociopatia e si percorre la via della reciprocità,
dell’interdipendenza (De Toni La culla della reciprocità in “ilFriuli Business”, maggio 2016)
Il punto di crisi
Anticipando qui un tema organizzativo, vale la pena ricordare le criticità provocate in una
importante banca italiano dalla difficoltà di sostituire l’amministratore delegato di fatto sfiduciato.
Il consiglio di amministrazione della banca aveva, infatti, deciso di introdurre discontinuità
strategica e manageriale portando, appunto, alle dimissioni l’amministratore delegato in carica. Il
consiglio di amministrazione, però, non è stato poi in grado di trovare al proprio interno una
maggioranza sufficiente ad eleggere un nuovo amministratore delegato. Non è stato in grado di
formare una coalizione utile ad eleggere il nuovo AD. La banca è rimasta così senza CEO a partire
dal 24 maggio 2016 e fino al 30 giugno 2016, con gravi ripercussioni sull’andamento del titolo in

19
borsa e preoccupando la Banca Centrale Europea. Si trattava, infatti, di decidere anche su un
possibile aumento di capitale12

Bibliografia
Testi
 Gramsci A. Quaderni del carcere, Einaudi Torino 1975
Saggi
 Abbagnano N. La filosofia contemporanea, UTET, Torino 1991
 Bobbio N. voce “Società civile”, in AA.VV. Dizionario di politica, Torino 1983
 Durst D.C. Hegel’s Conception of the Ethical and Gramsci’s Notion of Egemony . in
“Contemporary Political Theory”, 4, 175-191, (May 2005).
 Izzo F. Democrazia e cosmopolitismo in Antonio Gramsci, Carocci 2009
 Carmine Donzelli Introduzione, in Gramsci A. Il moderno principe. Il partito e la lotta per
l’egemonia. Quaderno 13, Donzelli Editore 2012

Nelle organizzazioni

Il caso Arthur Andersen il conflitto per la conquista del potere

La Arthur Andersen & Co, nella descrizione di Gianfranco Rebora (2001, pp. 403-407), è una
società di consulenza organizzativa, finanziaria, amministrativa e contabile, fondata dallo stesso
Arthur Andersen nel 1913, a cui succede nel 1947 Leonardo Spacek. Andersen e Spacek danno alla
società un’identità ben definita e molto forte, con uno straordinario spirito di corpo che si potrebbe
chiamare “evangelismo professionale condiviso”: ciascuno guarda al proprio lavoro come ad una
missione di cui è investito e ne trae soddisfazione individuale. Dal punto di vista organizzativo, la
struttura è ridotta al minimo: pochi uffici con capacità di rapporto con i clienti e in diretta relazione
con Spacek, senza filtri organizzativi. La svolta avviene nel 1963. La Andersen, infatti, deve far
fronte alla propria crescita dimensionale e a problemi organizzativo-amministrativi e finanziari.
Oliphant, il nuovo vertice aziendale, cambia radicalmente conformazione all’azienda. Gli uffici
acquistano autonomia di indirizzo e di sviluppo, quasi in una forma di organizzazione federale.
Si apre una fase di confusione, governata da Oliphant con un sistema di tipo politico, con effetti
devastanti sui valori etico-professionali della società. Oliphant viene sostituito da Harvey Kapnick,
che cerca di mantenere il decentramento richiesto dalle dimensioni della società e, nello stesso
tempo, di riportare unitarietà di indirizzo organizzativo creando organismi di coordinamento tra le
varie aree e uffici, con una struttura di tipo innovativo, anche se appesantita da apparati burocratici.
È una organizzazione che progressivamente evolve in forma multidivisionale, con un ufficio di
presidenza che raccoglie alcuni dei collaboratori più stretti. Le difficoltà manifestate nella forma
innovativa esplodono ora in conflitto aperto, con una assemblea straordinaria, la prima nella storia
della società. Il conflitto ha, però, un grande merito: per la prima volta permette la tematizzazione
esplicita e organica della diversità reale delle posizioni e della gravità delle divisioni che
attraversano la Arthur Andersen, con il rischio di lacerarla. Kapnick si dimette e il nuovo
responsabile, Duane Kullberg, guida la società verso una forma organizzativa di tipo professionale,
con effetti positivi.
L’ombra nelle organizzazioni

12
De Rosa Unicredit, la spinta per il nuovo CEO, in Corriere della sera economia 14 giugno 2016
Massaro Unicredit. Rinuncia Federico Ghizzoni , Corriere della sera economia 24 maggio 2016,
Massaro Unicredit: è Jean Pierre Mustier il nuovo amministratore delegato, Corriere della sera economia 30 giugno
2016
20
Cosa è avvenuto nella Arthur Andersen? Esiste un modello per descriverlo, interpretarlo,
generalizzarlo? In Arthur Andersen è esplosa l’ombra e sono stati individuati de capri espiatori
(Quaglino 2004, p. 224). Conviene andare alla radice. È possibile pensare che per la sua stessa
natura di organizzazione fondata sulle eccellenti competenze professionali dei suoi soci, Arthur
Andersen abbia caratterizzato la propria esistenza sull’esclusivo interesse per la dimensione
razionale. Le funzioni del sentimento, invece, potrebbero essere state negate, nella convinzione che
non fossero necessarie al funzionamento efficace ed efficiente dell’organizzazione (Quaglino 2004,
p. 223). D’altra parte, è difficile immaginare che Arthur Andersen abbia potuto accompagnare
percorsi individuali diversi (Quaglino 2004, p 224). In questo modo le vite delle persone in Arthur
Andersen rimangono sostanzialmente incomplete, amputate della loro parte inconscia che, in molti
casi, è anche la più creativa. In questo modo, Arthur Andersen ha “decretato la propria ombra, la cui
origine è dunque da ricondursi essenzialmente alla repressione (alla rimozione) di quei valori e di
quei comportamenti considerati non funzionali al perseguimento degli obiettivi
prestabiliti”(Quaglino 2004, p. 224).13 La crisi è il momento in cui l’ombra organizzativa trova il
modo di mostrarsi. In Arthur Andersen l’ombra emerge nel conflitto che lacera l’organizzazione e
nei due capri espiatori: Oliphant e Kapnick. Oliphant e Kapnick sono le figure del potere chiamate a
rispondere dell’oblio dell’ombra da parte di quanti li hanno preceduti alla guida dell’organizzazione
(Quaglino 2004, p.225).
Noi potremmo dire che in Arthur Andersen si è reso evidente il potere dell’ombra: l’ombra richiede
di essere agita, condivisa, disseminata in tutti e tra tutti i livelli dell’organizzazione, e il cancellarla
può avere prezzi altissimi (Quaglino 226)

Bibliografia
Carl Gustav Jung et Alii L’uomo e i suoi simboli, Milano 1980
Quaglino G.P. Ka vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di Lavoro, Milano
2004
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Carocci, Roma 2001
Bastianon E. Dalla biosfera all’econosfera: un modello euristico sui processi organizzativi, in
“Sistemi & Impresa”, n. 7, Settembre 2006, p. 21.
Mintzberg H., Management. Mito e realtà, Garzanti, Milano 1991, p. 296 s.
Kauffman S., Esplorazioni evolutive, Einaudi, Torino 2005 pp. 97-106.
Popper K.R., Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Armando, Roma 1994, p.
352- 353.

Pluralità di forme di conquista del potere

DOMINIO TESI NOTE PARADIGMA

13
Jung e il concetto di ombra. L’ombra, come stiamo vedendo, è spesso il dimenticato elemento vitale di una
organizzazione. In Jung l’ombra è una parte della personalità inconscia che spesso di manifesta nei sogni. L’ombra è
una dimensione articolata. Può innanzitutto custodire qualità e impulsi negativi che neghiamo essere presenti in noi
stessi e che tuttavia scorgiamo spesso negli altri: egoismo, pigrizia, sciatteria. Allo stesso modo, appartengono
all’ombra atti impulsivi o involontari cui diamo luogo per non rimanere isolati in un gruppo che li pratichi abitualmente.
L’ombra, però, può anche contenere valori – sempre presenti in forma personificata nei sogni - di cui la coscienza
avverte il bisogno, ma che esistono in forma tale da renderne estremamente difficile il recupero nella nostra vita. Uno
degli elementi fondamentali che l’ombra custodisce è il desiderio di interiorità, di introversione, di passiva solitudine. In
un sogno questa tensione all’interiorità è rappresentata da un giovane disteso su un letto. Nello stesso sogno il giovane
rappresentante la tensione all’interiorità ha un drammatico incontro con un uomo corpulento, apparentemente molto
facoltoso. È il rappresentante dell’esteriorità, dell’attivismo di successo. L’elemento drammatico del sogno è costituito
dalla morte dell’uomo corpulento: quanto potrebbe accadere al sognante se, come già gli è successo di fare, rinunciasse
all’interiorità a favore dell’esteriorità (Jung et Alii p. 1980, pp. 154-158)

21
POLITICA
Machiavelli Conquista del potere da Pessimismo sulla natura umana Conquista individuale
parte del principe con le che porta il principe a diffidare del potere mediante astuzia e
arti della “golpe” e del sempre degli altri (sociopatia) forza
“lione” Analogia tra le arti della “golpe”
e le strategie opportunistiche del
potere nelle imprese
(Mintzberg)
Rousseau L’individuo che legifera in Pessimismo sulla natura umana Conquista individuale
quanto si ritiene messo in evidenza dal formarsi del potere mediante la forza
rappresentante della della proprietà privata e dei che si auto legittima
volontà popolare è il fenomeni conseguenti quali la
fondatore dello Stato difficoltà a cooperare.Si ricordi
la difficoltà a cooperare nelle
organizzazioni politiche
(Mintzberf)
Gramsci Formazione del blocco Funzione guida degli Conquista di coalizione
storico come coalizione intellettuali nel blocco storico del potere mediante gli
per l’egemonia e la intellettuali che consentono
conquista del potere l’egemonia
Si ricordi la formazione
delle coalizioni di manager
nelle imprese (Mintzberg)
LETTERATURA La scienza è potere sulla natura
E SCIENZA e sull’uomoppa
Goethe La tensione inesauribile Faust fa con Mefistofele un Conquista individuale
verso la conoscenza patto perché lo assecondi nella del potere mediante un patto
sua tensione (il patto con il col diavolo
Nelle organizzazioni il diavolo)
potere ha bisogno di
conoscenza per legittimare
il proprio ruolo
Popper Una teoria falsifica le Visione “semplificata” sulla Conquista
teorie precedenti falsificazione di una teoria individuale (da parte di una
scientifica teoria) del potere scientifico
Il consiglio di
amministrazione di
Unicredt che porta
l’amministratore delegato
alle dimissioni ne falsifica
le strategie
Lakatos Un gruppo di teorie Visione “complessa” sulla Conquista cooperativa (da
falsifica le teorie falsificazione di una teoria parte di un gruppo di teorie)
precedenti scientifica del potere scientifico
I codici affettivi
appartengono al programma
di ricerca della psicoanalisi
secondo Jung
ORGANIZZAZIO
NI
Arthur Andersen La scalata al potere Il conflitto aperto e trasparente Conquista individuale
avviene tra conflitti latenti rende più rapida e solida la del potere tramite coalizioni
e aperti scalata del potere e conflitti sulla base di una
ipotesi di sviluppo
dell’organizzazione

22
CAPITOLO 2. LA PLURALITÀ DI FORME DI GESTIONE DEL POTERE:
IL POTERE ACCENTRATO

Nella scienza

La teoria del tutto: un tentativo fallito di costruire una scienza che non ammetta teorie disobbedienti
La teoria del tutto si propone come teoria completa e unificata del cosmo. È il tentativo di
ricompattare in un unico programma di ricerca il potere nella scienza, secondo una logica del tutto
diversa da quella della distribuzione del potere tra diverse linee di ricerca seguita da Bohr.
La teoria del tutto di Stephen Hawking (2003, p. 151) nasce dal tentativo di unificare tutti i diversi
programmi di ricerca presenti nella fisica dall’elettromagnetismo, alla fisica quantistica, alla teoria
della relatività.
In realtà l’idea di una teoria unificata ha una lunga tradizione.
Tentativi di unificare la gravità con l'elettromagnetismo vengono datati almeno agli esperimenti
di Michael Faraday del 1849–5014.
La questione, però, diventa seria dopo la pubblicazione della teoria della gravità di Albert
Einstein (relatività generale) nel 1915 Lo stesso Einstein riconosceva la necessità di una teoria
unificata dei campi che combinasse la gravità con l'elettromagnetismo cominciò a rendersi seria:
«Senza dubbio la gravitazione è stata riportata alla struttura dello spazio; ma, al di fuori del
campo di gravitazione, c'è ancora il campo elettromagnetico; è stato necessario introdurre
quest'ultimo nella teoria, come una formazione indipendente dalla gravitazione attraverso dei
termini supplementari nell'equazione di condizione per il campo. Ma il pensiero non potrebbe
sopportare l'idea che ci sono due strutture di spazio indipendenti una dall'altra: una di gravitazione
metrica, l'altra elettromagnetica. S'impone la convinzione che queste due specie di campo devono
corrispondere a una struttura unitaria dello spazio. Ora la teoria del campo unitario, che si
presenta come un'estensione matematicamente indipendente della relatività generalizzata, cerca di
rispondere a questo postulato. [...] La struttura di spazio fondamentale si descrive come segue e si
applica a uno spazio di dimensioni qualsiasi»15
Einstein stesso suggerì, infatti, che la relatività generale non era una teoria ultima e che un percorso
verso una teoria del campo unificante era lo studio delle proprietà geometriche dello spazio-tempo,
luogo comune del campo elettromagnetico e gravitazionale, e l'estensione a n dimensioni di questa
costruzione geometrica, possibile e ancora incompiuta nel suo potenziale di fisica teorica e
sperimentale
Il nodo fondamentale che i tentativi di teoria unificata devono oggi sciogliere è quella della teoria
quantistica di Planck. 16
Per due motivi:
 le pretese della teoria quantistica di aver di fatto esaurito il compito di base della fisica17;

14
M. Faraday, 1850 pagine 994-995.

15
Einstein, 1955, cap. "Lo spazio, l'etere e il campo"

16
Hawking La teoria del tutto, p.165

17
Dirac 1929 pagina 714

23
 il rifiuto dello stesso Einstein di riconoscere la meccanica quantistica (Hawking 2003,
p.152)
Il primo passo da compiere verso una teoria unificata è quello di combinare il la relatività generale
con il principio di indeterminazione. Il problema di questa prospettiva è la spiegazione dei
comportamenti delle particelle. Questo sarebbe possibile solo forzando le procedure matematiche e
si dimostrerebbe comunque inutile (Hawking 2003, p.153-154).
Proprio queste difficoltà di carattere matematico rendono interessante, secondo Hawking, una
nuova prospettiva: la teoria delle stringhe (1984). Le stringhe, infatti, sostituiscono le particelle e
non hanno dimensione puntuale ma di esclusiva lunghezza (Hawking 2003, p.155). La difficoltà
della teoria delle stringhe è che esige che lo spazio-tempo non abbia le consuete quattro dimensioni
dello spazio-tempo ma dieci o ventisei dimensioni (Hawking 2003, p.158).
Una soluzione ipotetica, che Hawking prende in considerazione (Hawking 2003, p. 160), è che
molte o tutte queste dimensioni possibili fossero potenzialmente presenti all’inizio dell’universo e
che si siano realizzate, secondo il principio antropico (Barrow, Tipler 2002 p. 30 ss), solo quelle
utili all’esistenza umana e che esistano altri universi in cui esiste una vita a più di quattro
dimensioni (Hawking 2003, p. 162)
Popper osserverebbe che questo approccio non è riconducibile ad una teoria scientifica in quanto é
la teoria, abbastanza flessibile per contenere quasi tutte le osservazioni, non può fare previsioni utili
(cioè falsificabili e verificabili). In quest'ottica la teoria delle stringhe sarebbe considerata
una pseudoscienza, in quanto sarebbe una teoria infalsificabile che viene adattata costantemente ai
risultati sperimentali.
Lo stesso Hawking ne ammette le difficoltà ed afferma che, alla fine, la strada verso una teoria
unificata dell’universo è attualmente sbarrata dalla insufficienza degli strumenti matematici. Anche
se non la ritiene impossibile di principio (Hawking 2003, p.165)
La ridistribuzione del potere è insuperabile
Il tema è: quale vantaggio di conoscenza rispetto al potere distribuito governato dai principi di
Bohr? In realtà al momento pare non ci sia e che il tentativo di costruire una teoria unificata sia
quasi un atto di hybris.
Un piccolo numero di scienziati afferma che i teoremi di incompletezza di Gödel dimostrano che un
qualsiasi tentativo di costruire una teoria del tutto è destinato a fallire18
Nel suo libro del 1966, Stanley Jaki ha osservato che, siccome ogni "teoria del tutto ”sarebbe
certamente una teoria matematica consistente non banale, non dovrebbe essere incompleta, come,
invece argomentano i teoremi di Gödel. Questo condanna le ricerche su una teoria deterministica
del tutto.19
Freeman Dyson ha affermato che:
«Il teorema di Gödel implica che la matematica pura è inesauribile. Non importa quanti problemi
vengono risolti, ci saranno sempre altri problemi che non possono essere risolti con le regole
esistenti. [...] A causa di questo teorema, anche la fisica è inesauribile. Le leggi della fisica sono un
insieme finito di regole e includono quelle della matematica, quindi il teorema di Gödel si applica
anche a loro» 20
Lo stesso Stephen Hawking dopo aver considerato il Teorema di Gödel, ha concluso che non vi è
una teoria unificata ottenibile: «Alcune persone si arrabbierebbero molto se non dovesse esistere
una teoria definitiva, che possa essere formulata come un numero finito di principi. Io appartenevo
a quel gruppo di persone ma ho cambiato idea. »21
I teoremi di Gödel svolgono una funzione essenziale nella definizione delle imprese a razionalità

18
Douglas S. Robertson, 2007, pp. 22-27

19
Jaki, S.L.1966
20
Barrow J.D. 2010 pp. 14 ss.
21
Stephen Hawking, 2002 p. 20
24
limitata e delle loro strategie.

Bibliografia
Steven Weinberg Dreams of a Final Theory: The Search for the Fundamental Laws of
Nature (Hutchinson Radius, London, 1993)
M. Faraday, Experimental Researches in Electricity. Twenty-Fourth Series. On the Possible
Relation of Gravity to Electricity, Abstracts of the Papers Communicated to the Royal Society of
London, volume 5
Hawking S. La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo Milano 2003
Stephen Hawking, Gödel and the end of physics, July 20, 2002
Barrow J.D. Gödel and Physics, Cambridge University 2010
Douglas S. Robertson, Goedel's Theorem, the Theory of Everything, and the Future of Science and
Mathematics, in Complexity, vol. 5, 2007
John Ellis, The superstring: theory of everything, or of nothing?, Nature, volume 323, 1986
Jaki, S.L.: "The Relevance of Physics", Chicago Press,1966
Dirac, Quantum mechanics of many-electron systems, Proc. Royal Soc. London, Series A, volume
123, 1929
M. Faraday, Experimental Researches in Electricity volume 5, 1850.
Einstein, Come io vedo il mondo, Bologna 1955
Barrow J.D., Tipler F.J. Il principio antropico, Milano 2002

Nelle organizzazioni politiche

Kelsen e la forma pura del diritto: la rivincita della gerarchia messa sotto critica
L’autore
Hans Kelsen è nato a Praga nel 1881. Dal 1940 è stato insegnante in diverse Università americane.
È morto nel 1973, a Berkeley. Tra le sue opere possiamo ricordare: Teoria generale dello stato,
1925; Teoria pura del diritto, 1934, Teoria generale del diritto e dello stato, 1943, Società e natura,
1943.
La non falsificabilità nel paradigma formale
Kelsen, innanzi tutto, sostiene che la scienza non è autorizzata a pronunziare giudizi di valore. Ogni
considerazione su un possibile diritto naturale è preclusa alla scienza. I giudizi di valore morale
appartengono alla sfera emotiva e non è possibile pensare a norme morali che pretendano
l’assolutezza. Il concetto fondamentale delle riflessioni di Kelsen è quello di norma, in quanto
principio formale – un indubbio debito verso Kant - capace di vincolare il comportamento di coloro
ai quali è rivolta. La forma pura della norma, in qualsiasi forma-stato, osserva Kelsen è: se A, allora
B. A è il possibile comportamento di un cittadino diverso da quello definito dalla norma e B è la
sanzione prevista dalla norma per questa trasgressione. E’ la forma tipica dei codici penali (Hans
Kelsen 1952, p. 142).Si tratta, quindi, di una struttura formale che non ammette né cooperazione né
falsificazioni concettuali da parte di altri poteri immateriali/teorici
La morale, al contrario, è “un ordinamento sociale che non prevede alcuna di tali sanzioni, un
ordinamento, cioè, le cui sanzioni consistono solo nell’approvazione del comportamento conforme
alla norma e nella disapprovazione del comportamento in contrasto con essa”(Kelsen 1952, p. 78).
La dottrina pura del diritto non ammette distribuzione del potere.
Kelsen fa derivare dall’ordinamento giuridico tutti gli altri concetti:
 lo stato è l’ordinamento giuridico;
 il territorio dello stato è la sfera spaziale di validità dell’ordinamento giuridico statale;
 il popolo è la sfera personale di validità dello stesso ordinamento. (Kelsen 1943, pp. 211-238).
Stato, territorio, popolo sono definiti dal gioco e dalle sue regole.

25
Kelsen argomenta ulteriormente questa connessione tra stato e norma: è la norma che forma lo
stato, ma, nello stesso tempo, è lo stato, in quanto fondato sulla costituzione approvata dai cittadini,
che fonda la doverosità delle norme ( Kelsen 1943 p. 401). L’ordinamento giuridico altro non è che
il corpus di tali norme, di tali giochi. L’ordinamento giuridico deve essere capace di risolvere,
mediante le sue norme, ogni problema che possa presentarsi al proprio interno. Forse Gödel avrebbe
qualcosa da eccepire su questa affermazione kelseniana. Comunque, per Kelsen, l’ordinamento
giuridico “tenta di generare un certo comportamento umano, ricollegando al comportamento
opposto un atto coercitivo dell’organizzazione sociale”(Kelsen 1952, p. 78) e può assolvere a
questo compito perché la validità delle singole norme deriva da norme che gli sono gerarchicamente
superiori e che non ammettono eccezioni estrinseche: l’unico diritto possibile è quello scritto, Non
esiste un diritto alternativo, fondato su istanze etiche.
Kelsen dalla parte di Creonte contro Antigone
Antigone è una tragedia sofoclea, rappresentata per la prima volta nel 442 a.C.
Ripercorriamo brevemente il tema di fondo nella ricostruzione che ne fa Hegel ovviamente
superando i limiti della stretta filologia (Hegel 1978, pg. 612; Hegel 1973, volume 2, p. 7 ss).
Polinice, figlio di Edipo - re di Tebe ormai in esilio con i figli - e fratello di Antigone - rimasta,
invece, presso Tebe – “combattendo contro la propria città natale, era caduto di fronte alle porte di
Tebe. Creonte, il sovrano, minaccia di morte con una legge, pubblicamente bandita, chiunque dia
l’onore della sepoltura a quel nemico della città. Ma di quest’ordine, Antigone non si cura, e come
sorella adempie al sacro dovere della sepoltura, per la pietà del suo amore verso il fratello. Ella
invoca in tal caso la legge degli dei…”(Hegel 1978, tomo primo, p. 612).
Gli esiti sono disastrosi. Creonte, secondo il proprio editto, condanna a morte Antigone, ma la
morte di Antigone viene pagata cara da Creonte: l’indovino Tiresia maledice Creonte a nome degli
dei ( vv 1065-1080), il figlio Emone, fidanzato di Antigone, e la moglie Euridice si suicidano (v.
1176.1283).
Entrambi, nelle loro decisioni, sono guidati, in misura ampiamente diversa dal mancato rispetto
della legge.
Creonte supera i limiti di ogni legittima autorità dello stato e delle leggi divine: avrebbe potuto
seppellire Polinice lontano dalla città, seguendo le indicazioni della legge panellenica, riconosciuta,
cioè, da tutte le città greche. Per questo commette ybris, tracotanza (vv. 450 ss). L’ybris come
tracotanza, violazione delle leggi umane e divine, è una figura costante della tragedia greca.
Anche Antigone sbaglia a non tenere sufficientemente in considerazione l’editto di Creonte, come
le fa notare la sorella Ismene. Pretendendo la sepoltura in città compie “un’empietà pia”( v, 74).
Molti ritengono, però, che questo sbaglio non configuri tracotanza (Lesky A. Storia della
letteratura greca, il Saggiatore, Milano 1982 vol.1 p.367), Rimane così confermato il fatto che
secondo l’ispirazione sofoclea solo Antigone è vittima di ybris e che l’attore di tale ybris è Creonte.
Per questo Antigone rappresenta in diversi autori il diritto naturale, la legge non scritta che può
opporre le proprie istanze etiche alla legge scritta22. Kelsen – contrario, come si è detto, ad ogni
ipotesi di diritto naturale- direbbe che non vi è alcuna ybris e che Creonte si è limitato a far valere
l’unico diritto possibile, quello scritto. Per molti aspetti lo stato di Kelsen si configura secondo il
codice paterno (De Toni Il bivio da imboccare, in “ilFriuli Business”, Marzo 2014)
È evidente che i modi di comprensione e gestione del potere e dei conflitti riguardano da vicino
anche le imprese industriali, attraversando del resto tutta la nostra ricerca. Mintzberg affronta anche
il tema del “potere illegittimo” (1991 pp. 310-311).
Bibliografia
Kelsen H. Teoria generale del diritto e dello stato, Milano 1954
Kelsen H. Teoria pura del diritto, Einaudi, Torino 1952
22
Maritain L’uomo e lo stato, Milano Vita e Pensiero 1975 p. 100 fa di Antigone la figura tipica dell’opposizione tra
diritto naturale e diritto positivo

26
Pieretti A. Dalla critica del positivismo ad oggi, Storia del pensiero occidentale, vol. 6, Marzorati,
Milano 1975
Sofocle (Ezio Savino ed.) Antigone, Milano 1988
Hegel G.W. F. (1836-1838) Estetica, Feltrinelli, Milano 1978,Hegel G.W.F. (1807),
Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze, 1973
Maritain L’uomo e lo stato, Milano Vita e Pensiero 1975

Nella chiesa
Inseriamo la chiesa tra le organizzazioni politiche avendo ben presente che Essa afferma che la sua
dimensione organizzativa umana è la dimensione manifestativa ed imperfetta di una dimensione più
originaria e profonda, di natura divina (Catechismo della chiesa cattolica, pubblicato su ordine di
Giovanni Paolo II nel 1992, p. 212 ss)

La chiesa interviene sulla scienza: condanna Giordano Bruno al silenzio e propone a Galileo una
nuova epistemologia

La questione Galileo: un percorso verso Duhem


Il 24 febbraio 1616 il Santo Uffizio si pronuncia contro le tesi eliocentriche di Galileo.
Galileo aveva esposto le sue teorie eliocentriche nel Sidereus Nuncius, fondandole sulle
osservazioni condotte con il telescopio, soprattutto sulla scoperta degli anelli di Giove, che
permettevano di pensare che la terra potesse orbitare attorno al sole trascinando con sé la luna, e
sulle caratteristiche del suolo lunare, che contraddiceva le teorie aristoteliche/tolemaiche di
Aristotele
La decisione di legare il futuro della fede al futuro di una teoria scientifica non fu evidentemente
delle più avvedute. Di conseguenza venne bandito anche il De revolutionibus di Copernico e a
Galileo fu ingiunto di non divulgare la propria teoria. La questione si ripresentò nel 1632, con la
pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.
Nonostante l’imprimatur anche il Dialogo era, infatti, decisamente eliocentrico, e, quindi,
dottrinalmente inaccettabile. Il processo del 1633 si concluse con la condanna e l’ingiunzione a
Galileo di abiurare. Galileo non scelse la strada del martirio.
Di grande saggezza fu la proposta di mediazione del cardinale Bellarmino. Bellarmino chiese,
infatti, a Galileo di assestarsi sulla linea espressa dal teologo protestante Osiander a proposito
dell’opera di Copernico. Si tratta di una proposta di grande importanza. Il potere materiale, infatti,
non chiede alla scienza il silenzio. Le suggerisce, piuttosto, una diversa forma epistemologica, non
priva di attualità (Dijksterhuis 1971 pp. 512-515).
Osiander, infatti, nel 1543 aveva fatto il correttore di bozze per il De revolutionibus orbium
coelestium di Niccolò Copernico. Per quest'opera, aveva scritto di sua iniziativa una prefazione
anonima, intitolata Ad lectorem de hypothesibus huius operis (Al lettore sulle ipotesi di questo
scritto), in cui sosteneva che l'eliocentrismo era solo un'ipotesi matematica funzionale alla
facilitazione dei calcoli relativi al moto dei pianeti, non una descrizione dell'Universo com'è
effettivamente (Dijksterhuis 1971, p. 394). In realtà che la prefazione non fosse propria di
Copernico apparve subito evidente a tutti i discepoli di Copernico che la rifiutarono sdegnosamente.
Noi, però, non possiamo sapere se Copernico sarebbe stato altrettanto radicale. Ma il dato più
significativo è l’originalità, e, per certi aspetti, la modernità del profilo epistemologico che Osiander
tratteggia per l’eliocentrismo di Copernico e che Bellarmino offre all’eliocentrismo di Galileo. A
ben vedere, secondo criteri di economicità si muove anche la ricerca di Pierre Duhem23

23
Pierre Duhem Duhem P. La théorie physique, son objet, sa structure, Paris 1906, p. 34

27
Il caso Giordano Bruno: la condanna a morte
Il primo a mettere in dubbio la paternità copernicana dell'introduzione anonima dell'Osiander
fu Giordano Bruno nel Dialogo terzo de La cena de le Ceneri (1584), scritto da Bruno durante il
suo soggiorno a Londra (1583-1586). In questo dialogo, dopo aver definito l'introduzione di
Osiander una "epistola superliminare attaccata non so da chi asino ignorante e presuntuoso", il
Bruno motiva diffusamente i suoi dubbi. In primo luogo rimanda all'Epistola dedicatoria del De
revolutionibus, indirizzata a Papa Paolo III, in cui Copernico, "protesta e conferma”la sua
convinzione circa il moto della terra attorno al sole. In seconda istanza sottolinea che nel primo
libro del De revolutionibus Copernico "non solo fa ufficio de matematico che suppone, ma anco de
fisico che dimostra il moto de la terra”( Bruno La cena p. 28 ss).
Al contrario di Galileo che, dal punto di vista strettamente teologico, non si allontana mai dai
fondamenti cristiani, Bruno inserisce la sua prospettiva eliocentrica all’interno di un paradigma
filosofico più ampio, di tipo panteistico. Bruno espone queste teorie in una molteplicità di opere,
non sempre di facile ed univoca interpretazione.
Noi prendiamo come punto di riferimento per questi appunti il testo De la Causa, Principio e Uno
che Bruno pubblica sempre durante il suo soggiorno a Londra a partire dal 158324
Dio e natura, materia e forma costituiscono un tutto unico, per molti aspetti simile, secondo Bruno,
all’essere parmenideo ( Bruno De la causa, pp. 230-250) È questo contesto ampio che Bruno si
rifiuta di ritrattare, nonostante tentativi di mediazione. Bruno, infatti, dichiarò di non aver alcuna
difficoltà a sottomettersi ai principi della fede ma non fu disposto a rinunciare alle sue teorie
filosofiche non ritemendole eretiche. E fu questo rifiuto a portarlo alla condanna a morte sul rogo,
nonostante l’intervento ancora una volta mediatore del cardinale Bellarmino (17 febbraio 1600).
La figura del cardinale Bellarmino, e il ruolo di mediatore che costantemente assume, si presenta
per molti aspetti come figura della gerarchia illuminata che cerca il coinvolgimento di una pluralità
di intellettuali e di teorie. Bellarmino, infatti, cerca una mediazione sulla base del
confronto/collaborazione, in modo che la chiesa da una parte e Galileo e Giordano Bruno dall’altra
possano mantenere sostanzialmente i propri valori e le proprie posizioni. La proposta a Galileo è, da
questo punto di vista, significativa (De Toni, La gerarchia illuminata ilFriuli Business, gennaio
2016).
La figura di Bellarmino può, infine:
 catalizzare l’analisi sulle possibilità di sviluppo della figura del mediatore nel conflict
management e nell’incertezza che esso gernera per il ripristino del clima relazionale ed
aziendale (Argentero P., Setti I. La gestione delle emergenze, in Argentero P. Cortese C.
Piccardo C. Psicologia delle organizzazioni, 2009 p. 449 ss);
 focalizzare il ruolo di negoziatore del manager (Mintzberg Management. Mito e realtà.
Milano1991 p. 43)

Bibliografia
Dijksterhuis Il meccanicismo e l’immagine del mondo dai presocratici a Newton, Milano 1971
Malusa L. Storia del pensiero occidentale. Dall’umanesimo alla controriforma, volume terzo,
Milano 1975

Nelle organizzazioni economiche

Likert e il profilo organizzativo 1: il capo non ha la stoffa giusta

24
Giordano Bruno Opera latine conscripta, Napoli 1879-1891
28
Vediamo come la forma del potere politico immaginata da Machiavelli possa diventare forma del
potere anche nelle organizzazioni industriali. Costruiamo, quindi, per intero il profilo delle
organizzazioni fondate sulla diffidenza reciproca proposto da Likert in quello che per comodità qui
chiamiamo Profilo 1. Ricordiamo, infatti, che lo stesso Likert propone quattro possibili profili di
rapporti di potere, in tutte le sue articolazioni, all’interno delle organizzazioni (1971, p.233 ss.):
 i superiori non hanno fiducia e confidenza nei subordinati, non conoscendone i problemi;
 i subordinati, a loro volta, non hanno fiducia e confidenza nei superiori e sviluppano verso i
superiori comportamenti servili;
 i superiori non hanno comportamenti supportivi e non manifestano empatia verso i propri
collaboratori
 i subordinati hanno paura di discutere di lavoro con i superiori e i superiori cercano raramente le
opinioni dei subordinati sui problemi di lavoro;
 sono scarsissimi i processi di comunicazione interna sugli obiettivi e sullo stato dell’organizzazione
e i subordinati forniscono spesso ai superiori informazioni distorte: in questo modo le decisioni
sono spesso prese in situazione di informazione incompleta ed imperfetta
 la responsabilità per l’organizzazione è presente in modo chiaro e pieno solo ai livelli più alti
dell’organizzazione stessa;
 la motivazione sul lavoro è soprattutto egotista e spesso contraria agli obiettivi dell’organizzazione;
viene attivata soprattutto con la paura e le minacce; le motivazioni sono spesso in conflitto
reciproco;
 le persone non si riconoscono nei valori dell’organizzazione, non si sentono adeguatamente formate
e non sono abituate a lavorare in team e le decisioni sono discusse e prese solo ai livelli più alti;
anche le funzioni di revisione e controllo sono accentrate.
È il caso del Ministero della Marina italiana durante la seconda guerra mondiale, al contrario
dell’ammiragliato britannico, rispettoso della tradizione auto-organizzata nelsoniana. Le navi
italiane erano dirette e comandate da Roma, che concepiva i piani di guerra, redigeva gli ordini di
operazione, sceglieva le unità che dovevano partecipare ad ogni operazione, stabiliva le ore di
partenza, le rotte e le velocità utili a raggiungere il nemico, senza consultare o interpellare i
comandanti in mare. L’ammiragliato britannico, da parte sua si guardava bene dall’intervenire
nell’indipendenza e nell’autonomia di quanti avevano la responsabilità sui diversi campi di
battaglia. Proprio a questa struttura accentrata alcuni studiosi imputano molte sconfitte in mare della
marina militare italiana 25.
Ricordiamo che già secondo Mintzberg, in generale, il potere nelle organizzazioni è tanto più
accentrato quanto più è forte è il controllo esercitato sull’impresa dall’esterno (1991 p. 147). Un
ulteriore elemento che inserisce la questione del potere nelle imprese all’interno di una teoria degli
stakeholder.

Il movimento evolutivo
Vedremo che, nel caso di Unicredito italiano, il potere accentrato può evolvere in forme di potere
distribuito. In realtà, l’esempio di Charta 77, il manifesto della dissidenza cecoslovacca nel 1977,
insegna che “processi di emersione dal basso hanno una forza tale che possono abbattere anche una
dittatura: in questo caso l’impresa può imparare dalla politica” (De Toni il FRIULIBUSINESS,
Dicembre 2013)
Bibliografia
Likert R. Il fattore umano nelle organizzazioni, Milano 1971

25
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Roma 1986, p.86: De Toni et Alii Auto-organizzazioni 2011, p. 179
29
Il potere accentrato

TESI NOTE PARADIGMA


SCIENZA
Hawking Teoria del tutto: Accentramento del Potere accentrato
teoria unificante potere della scienza in (insostenibile)
di tutte le fisiche una unica teoria che
però è smentita dal
teorema di Gӧdel
Il teorema di Gӧdel
motiva anche la
razionalità limitata
delle imprese
erePOLITICA
Kelsen, Dottrina pura del Accentramento nel Potere accentrato
diritto: potere nello stato delle (insostenibile)
l’unico diritto norme del vivere
valido è quello sociale: insostenibile di
scritto fronte al diritto
naturale
Conflitti di potere e
potere illegittimo nelle
imprese (Mintzberg)
Bellarmino Il potere Il potere accentrato Potere accentrato
dottrinale della cerca di essere (sostenibile)
chiesa è sostenibile grazie alla
accentrato su base negoziazione
teologica Importanza del conflict
management e del
negoziatore nelle
imprese
ORGANIZZAZI
ONI
Ministero della Accentramento Anche la velocità di Potere accentrato
Marina Militare delle decisioni crociera è stabilita dal (insostenibile)
Italiana strategiche ed Ministero. Il potere
operative accentrato è
insostenibile (vedi
sconfitta sul campo)

Credito Italiano Il cambio di Il passaggio da banca Evoluzione


proprietà può statale IRI a banca dell’assetto del potere
modificare privata modifica è influenzato dagli
l’assetto del l’assetto da potere attori esterni
potere accentrato a potere
distribuito divisionale

30
CAPITOLO 3. LA PLURALITÀ DI FORME DI GESTIONE DEL POTERE:
IL POTERE DISTRIBUITO
Nella scienza
Niels Bohr: un nuovo progetto di costruzione e di governo della crescita degli elementi di potere
nella scienza

L’autore
Niels Bohr nacque a Copenhagen nel 1885 e morì nella stessa città nel 1962. Sempre a Copenhagen
si laureò in fisica nel 1911. Nel 1911 si trasferì a Cambridge e nel 1912 a Manchester, presso il
laboratorio di Rutheford, famoso per i suoi studi sui raggi X. Fu presso il laboratorio di Rutheford
che Bohr entrò in contatto con le più avanzate teorie sull’atomo, la relatività, la teoria dei quanti.
Nel 1916 fu nominato professore di fisica teorica presso l’Università di Copenhagen. Le sue
ricerche sulla struttura dell’atomo, sulle relazioni tra la fisica classica e fisica quantistica secondo i
principi di corrispondenza e complementarità e le sue nuove concezioni di filosofia della scienza
rinnovarono la ricerca fisica e, dal nostro punto di vista, hanno proposto un inedito disegno del
potere immateriale della scienza.
Il commento: alle origini della ricerca di Bohr. una ricerca di coalizione
I temi fondamentali del programma di ricerca di Bohr sono l’atomo e la natura della luce (Lakatos
p. 65).
In realtà occuparsi dell’atomo significa inevitabilmente occuparsi anche del fenomeno dello spettro,
e cioè dell'insieme delle lunghezze d'onda presenti nella luce che gli elettroni di un atomo sono
capaci di emettere o assorbire nei loro assetti e nelle loro orbite attorno al nucleo.
Bohr, che nel 1916 diventa punto di riferimento della scuola di fisica di Copenaghen, decide di
seguire, per argomentare la sua teoria della luce, la teoria dell’atomo come micro sistema planetario
con elettroni orbitanti attorno ad un nucleo positivo proposta pochi anni prima da Ernest Rutheford.
Questo anche se le teorie di Rutheford sono in contraddizione insanabile con l’elettromagnetismo
classico in quanto non ritengono, al contrario dell’elettromagnetismo classico, che l’elettrone
rotante emetta continuamente un’onda elettromagnetica, perdendo in questo modo continuamente
energia fino ad avvicinarsi al nucleo e a cadervi, anche distruggendolo ( Gliozzi 2005, p. 900).
Nella celebre memoria Sulla costituzione dell’atomo e delle molecole del 1913 (Gliozzi 2005 p.902)
Bohr afferma che l’elettrone rotante intorno al nucleo obbedisce a tutte le leggi della meccanica
classica, ma, e in questo concorda con Rutheford, non alle leggi elettromagnetiche. Vi sono infatti
momenti, continua Bohr, in cui “almeno durante qualche tempo”l’elettrone, non emette radiazioni.
Per arrivare a queste conclusioni sulle orbite degli elettroni, Bohr deve rifarsi alle teorie della fisica
quantistica, a fondamento statistico, modificando sostanzialmente la questione della stabilità delle
configurazioni dell’atomo. Secondo la fisica quantistica, infatti, un corpo può anche emettere
energia in modo discontinuo. Solo per grani, per quanti, appunto (Gliozzi 2005 p. 902-908,
822.948).
Le teorie di Bohr hanno una implicazione che presenta notevoli criticità: le orbite degli elettroni
periferici devono essere esattamente circolari, mentre secondo la meccanica classica sono ellissi
kepleriane (Gliozzi 2005, p. 906).
La teoria di Bohr si mostra, in realtà, efficace con atomi dalla struttura molto semplice, come quelli
dell’idrogeno, debole quando prende in considerazioni atomi con più elettroni rotanti, in quanto su
ogni elettrone non agisce solo il nucleo ma anche gli altri elettroni (Gliozzi 2005, p.906).

Le teorie di Bohr mostrano, alla fine, tre caratteristiche fondamentali:


 tentano una sintesi della spettroscopia;
 appaiono per molti aspetti insufficienti;

31
 nel descrivere l’azione tra nucleo ed elettrone introducono, in modo non sufficientemente
argomentato, nel quadro classico elementi provenienti dalla meccanica quantistica, dando così
luogo ad “un’intima incongruenza”(Gliozzi 2005 p. 908).

Le invalidazioni
Subito dopo la pubblicazione, la ricerca di Bohr viene sottoposta a diverse falsificazioni. Moseley,
un allievo di Rutheford ( 1887-1915), osserva che essa non riesce a dar conto di alcuni fenomeni già
conosciuti e studiati da Michelson nel 1891 a proposito dello spettro dell’idrogeno (Lakatos 1986,
p. 72).
Altri la mettono in discussione dal punto di vista sperimentale. Pickering e Fowler (Lakatos 1986,
p. 70) dimostrano, infatti, a partire dall’osservazione dello spettro di una stella, che si danno
fenomeni riproducibili anche in laboratorio che la teoria di Bohr escludeva potessero essere presenti
(Lakatos 19865, pp. 70-71). Bohr riesce a rispondere, non senza una qualche difficoltà, alle
obiezioni dei fisici sperimentali evolvendo in due fasi successive il proprio modello, a partire dagli
studi sull’elio ionizzato (Lakatos 1986, p. 71-72).
Ammette, tuttavia, che si tratta pur sempre di modelli “grossolani”(Lakatos 1986, p. 71-72).
Continua inoltre a pesare sullo sviluppo della teoria di Bohr la scelta di non aver subito sciolto le
difficoltà e le contraddizioni presenti fin dall’inizio nella propria teoria, evidenziate, tra l’altro, dalle
obiezioni di Moseley.
In questo modo la teoria di Bohr viene più volte sconfitta e falsificata (Lakatos 1986, p. 72).

Principi di corrispondenza e complementarità per un sistema complesso delle scienze


Il principio di corrispondenza e la cooperazione
Bohr, tuttavia, non rimane solo. Adottando modelli matematici decisamente superiori a quelli di
Bohr, la Scuola di Monaco, rappresentata soprattutto da Sommerfeld, propone infatti nel 1915 uno
sviluppo della teoria sull’atomo di Bohr alla luce della meccanica relativistica di Einstein. La
ricerca di Sommerfeld afferma che l’orbita dell’elettrone non è più un’elisse fissa ma un’elisse che
ruota nel proprio piano intorno al fuoco occupato dal nucleo (Gliozzi 2005, p. 907, Lakatos 1986, p.
72). In questo modo attenua il peso della rottura di Bohr rispetto alle elissi kepleriane.
La soluzione di Sommerfeld, anche se a lungo termine mostra di poter ottenere risultati solo
parziali, nell’immediato fa molta impressione e si presenta come una fondamentale convalida sia
dei metodi quantici sia della relatività (Gliozzi 2005, p. 907).
Bohr, a questo punto, vedendo la necessità di consolidare i risultati ottenuti nel campo di una teoria
unificata della spettroscopia, enuncia il principio di corrispondenza.Nella seconda delle sue
conferenze del 1923 sullo spettro dell’idrogeno, osserva che vi è “une relation entre le spectre qu’on
peut espérer sur la base de la théorie des quanta et le modèle atomique de l’hydrogène. Cette
correspondance entre les fréquences déterminées par les deux méthodes doit avoir un sens plus
profond, et nous sommes portés à dire par anticipation qu’elle s’appliquera aussi aux intensités....-
Ainsi - ....nous pouvons voir qu’il est possible de développer une theorie formelle du rayonnement
dans laquelle le modèle atomique de l’hydrogène et le spectre simple d’un oscillateur de Plank
apparaissent complètement analogues”. Questo lo porta ad affermare nella terza conferenza:”Ainsi
que j’ai essayé de le montrer dans ces dernières années, il semble possibile cependant d’adopter un
point de vue relatif à l’usage de la theorie des quanta qui nous porte à penser que cette théorie peut
néamoins être considérée comme une generalisation rationelle de nos conceptions usuelles”( Bohr
1923, pp. 36-38.98).
La nuova fisica è il quadro di riferimento anche della fisica classica e può rifarsi ad essa nelle parti
in cui non si è ancora sufficientemente sviluppata (Gliozzi 2005, p. 908). Einstein ne è

32
effettivamente entusiasta, vedendolo come un preludio dell’inserimento della teoria dei quanti nella
meccanica classica (Gliozzi 2005 p. 912) Su questo torneremo26.
Il principio di complementarità e il potere articolato nella cooperazione tra contraddittori
Gli sviluppi delle teorie dell’atomo promossi da Bohr fanno giungere a maturazione un ulteriore
problema: la discussione su quale sia la natura della luce (Gliozzi 2005 p.914).
Si contrappongono, infatti, la teoria corpuscolare di Bohr e la teoria ondulatoria, con la luce
descritta come fenomeno elettromagnetico, elaborata da Maxwell e Lorentz, con studi diversi, tra il
1864 e il 1892 (Lakatos 1986, p. 65, Gliozzi 2005, p. 712.724). Bohr, tuttavia, con atteggiamento
cooperativo spinto fino al paradosso, rifiuta decisamente, all’inizio come in tutta la sua ricerca, di
far entrare in competizione il proprio programma di ricerca con altri programmi di ricerca ( Lakatos
19186, p. 66).
E’ in questo quadro che Bohr tematizza il principio di complementarità, che qui ricordiamo e
argomentiamo:
“Within the scope of classical physics, all characteristic properties of a given object can in principle
be ascertained by a single experimental arrangement, although in practice various arrangements are
often convenient for the study of different aspects of the phenomena. In fact, data obtained in such a
way simply supplement each other and can be combined into a consistent picture of the behaviour
of the object under investigation. In quantum mechanics, however, evidence about atomic objects
obtained by different experimental arrangements exhibits a novel kind of complementary
relationship. Indeed, it must be recognized that such evidence which appears contradictory when
combination into a single picture is attempted, exhaust all conceivable knowledge about the object.
Far from restricting our efforts to put questions to nature in the form of experiments, the notion of
complementarity simply characterizes the answers we can receive by such inquiry, whenever the
interaction between the measuring instruments and the objects form an integral part of the
phenomena.”27

26
Qui interessa sottolineare, con modi linguistici tipici della teoria dei giochi su cui torneremo più avanti, che di fronte
alle fragilità della ricerca teorica della scuola di Bohr, la scuola di Monaco non defeziona ma cerca il payoff scientifico
più alto con una strategia di coalizione. Con le sue ricerche sulle orbite ellittiche degli elettroni trasforma, infatti, come
abbiamo già detto, le sconfitte dei modelli di Bohr in altrettante vittorie per la stessa ricerca di Bohr . Era quanto lo
stesso Bohr si aspettava (Lakatos 1986, pp. 72-73).
E’ un atteggiamento che non riconosce come proprio quello che Lakatos chiama “falsificazionismo dogmatico”, nel
senso positivo di coerente, organico (Lakatos 1986, p. 71).
Il falsificazionismo dogmatico - a cui appartiene per alcuni aspetti anche Karl R. Popper (Lakatos p. 24 – afferma,
infatti, che una qualsiasi teoria deve essere abbandonata se vi sono teorie e/o esperimenti che la confutano (Lakatos
1986, p. 24).
Ancora più rigorosamente: una teoria deve specificare in anticipo un esperimento tale che se il suo risultato contraddice
la teoria quest’ultima deve essere abbandonata ( Lakatos 1986, p. 24).
La teoria di Bohr era inadempiente rispetto ad entrambi questi criteri.
Per questo la scuola di Monaco avrebbe potuto/dovuto abbandonarla, defezionando.
La scuola di Monaco, invece, adotta, secondo il falsificazionismo, una linea “ permissiva” (Lakatos p. 39).
La ricerca sull’atomo e, di conseguenza, sulla luce è dunque, facilmente tratteggiabile come una ricerca costituita anche
da un gioco di coalizione tra la Scuola di Copenhagen, che ha il suo principale esponente in Niels Bohr e la Scuola di
Monaco, che si esprime soprattutto nella ricerca di Arnold Sommerfeld. Noi potremmo dire che una teoria per affermare
il proprio potere ha bisogno dell’alleanza con una teoria diversa con la quale accetta di condividere il potere

27
Bohr N. Quantum physics and Philosophy: Causality and Complementarity 1958, p.4
“Nell'ambito della fisica classica, tutte le proprietà caratteristiche di un dato oggetto possono in linea di principio essere accertate da un unico
dispositivo sperimentale, anche se in pratica varie modalità sperimentali sono spesso convenienti per lo studio dei diversi aspetti dei fenomeni. Infatti,
i dati ottenuti in modo semplice si integrano tra loro e possono essere combinati in un quadro coerente del comportamento dell'oggetto in esame.
Nella meccanica quantistica, però, le prove sugli oggetti atomici ottenuti dai diversi dispositivi sperimentali mostrano un nuovo tipo di rapporto di
complementarità. In effetti, si deve riconoscere che tali elementi di prova che appaiono contraddittori quando si tenta la combinazione in una singola
immagine, esauriscono, in realtà, tutta la conoscenza concepibile circa l'oggetto. Lungi dal limitare i nostri sforzi per porre domande alla natura in
forma di esperimenti, la nozione di complementarità caratterizza semplicemente le risposte che possiamo ricevere da tale indagine, ogni volta che
l'interazione tra gli strumenti di misura e gli oggetti costituiscono una parte integrante dei fenomeni”.
33
Nel testo da noi citato, Bohr riprende e chiarisce quanto affermato a Como al Congresso
internazionale dei fisici del 1927. Si chiede, infatti, come mai “per rappresentarsi un ente come
l’elettrone si possano impiegare, senza contraddizioni, due modelli molto diversi tra loro: il modello
corpuscolare e il modello ondulatorio. Egli dimostra poi che i due modelli non possono mai
contraddirsi, perché più si cerca di precisare un modello, più l’altro diventa indistinto. I due aspetti,
ondulatorio e corpuscolare, non entrano in conflitto perché non si presentano mai
contemporaneamente ….L’elettrone, insomma, ha due aspetti e ne presenta ora l’uno ora l’altro, ma
mai contemporaneamente entrambi; i due aspetti si escludono a vicenda pur completandosi, come si
escludono e si completano le due facce di una medaglia. Si capisce che ciò che si dice dell’elettrone
vale anche per il fotone e per ogni altro ente elementare della fisica. …. Bohr dice che i due aspetti
sono complementari. Secondo Bohr, la complementarità è una caratteristica profonda della nostra
fisica ….”(Gliozzi, 2005, p. 941)
Bohr, tematizzando il principio di complementarità (Gliozzi 2005, p. 941), non si preoccupa di
eliminare questa ed altre incongruenze iniziali della propria teoria e non prevede la
falsificazione/sostituzione della teoria di Maxwell- Lorentz neppure nello sviluppo del proprio
programma di ricerca: le due teorie si escludono a vicenda e, tuttavia, si completano. Questo perché
non entrano direttamente in conflitto, non presentandosi mai contemporaneamente: quanto più nette
in un fenomeno sono le proprietà corpuscolari di un elettrone tanto più sfumate sono le sue
proprietà ondulatorie (Gliozzi 2005, p. 941).
Non dobbiamo, del resto, dimenticare che nell’elaborare il principio di complementarità Bohr si
dichiara almeno in parte debitore di Hegel e del suo tentativo di far coesistere gli opposti (Plotnitsky
2012, p. 13) 28 . È un tratto di un progetto di costruzione del potere di una teoria scientifica
decisamente ulteriore anche rispetto al principio di corrispondenza. Non a caso Popper nelle pagine
che dedica ad Heisenberg e a Bohr, in Logica della scoperta scientifica, parla di questo approccio
come di una disseminazione quasi inconsapevole di un quadro metafisico – non sottoponibile alle
verifiche ed alle falsificazioni scientifiche - spesso combinata con professioni di antimetafisica
(1970, p. 515). Non a caso Lakatos (1986, p. 69), che pure si fa sostenitore del metodo dei
programmi di ricerca, qualifica come “famigerato”il principio di complementarità.
Un nuovo profilo di potere scientifico
Da parte nostra concordiamo con Edgar Morin quando afferma che Bohr con il principio di
complementarità, ma anche con il principio di corrispondenza, indica una delle vie fondamentali del
pensiero complesso: pensare la contraddizione, pensare nella contraddizione. Si tratta di
abbandonare la pretesa del chiaro e distinto che da Aristotele a Cartesio ha fondato l’occidente per
guadagnare la prospettiva della multidimensionalità e della polivalenza. In questo quadro di
approcci multidimensionali e polivalenti, Pauli, uno dei padri della meccanica quantistica, mostra
come il principio di complementarità possa aprire orizzonti nuovi anche nella ricerca psicoanalitica,
permettendo una nuova tematizzazione della bipolarità “conscio-inconscio”(Pauli 2006 pp.37 ss)29.
I principi di corrispondenza e complementarità sono modi di gestire la complessità fidando
sull’intelligenza distribuita tra tutte le teorie scientifiche e, diremmo noi in tutte le imprese
industriali anche nel governo della complessità (De Toni Gestire la complessità, in “ilFriuli
Business”aprile 2016)

Peirce : la scienza è potere complesso e diffuso secondo un codice fraterno

28
Plotnitsky A. Niels Bohr and Complementarity: An Introduction, Springer Science & Business Media 2012

29
Pauli W. (1992) Psiche e natura, Adelphi, Milano 2006

34
Una delle elaborazioni più interessanti per la nostra ricerca ci sembra quella proposta dal filosofo
americano Charles Sanders Peirce (1839-1913).
La retroduzione
Momento fondamentale del programma di ricerca peirceano è senz’altro lo studio del sistema delle
inferenze, tra le quali occupa un posto privilegiato la retroduzione30. La retroduzione, è il risalire dal
conseguente all’antecedente, ed è il modo privilegiato di inferenza, di costruzione della realtà. Si
presenta come l’azione mentale che parte da un fatto sorprendente; formula un’ipotesi che permetta
di pensare come ovvio il fenomeno straordinario, e sulla base del fatto che, se questa ipotesi fosse
vera, quello stesso fenomeno sarebbe naturale, ritiene plausibile pensare che la sua ipotesi sia vera:
“… At length a conjecture arises that furnishes a possible Explanation, by which I mean a syllogism
exhibiting the surprising fact as necessarily consequent upon the circumstances of its occurrence
together with the truth of the credible conjecture, as premisses. On account of this Explanation, the
inquirer is led to regard his conjecture, or hypothesis, with favor. As I phrase it, he provisionally
holds it to be “Plausible”; this acceptance ranges in different cases – and reasonably so- from a
mere expression of it in the interrogative mood, as a question meriting attention and reply; up
through all appraisals of Plausibility, to uncontrollable inclination to believe. The whole series of
mental performances between the notice of the wonderful phenomenon and the acceptance
hypothesis, during which the usually docile understanding seems to hold the bit between its teeth
and to have us at its mercy, the search for pertinent cirumstances and the laying hold of them,
sometimes without our cognizance, the scrutiny of them, the dark laboring, the bursting out of the
startling conjecture, the remarking of its smooth fitting to the anomaly, as it is turned back and forth
like a key in a lock, and the final estimation of its Plausibility, I reckon as composing the First Stage
of Inquiry. Its characteristic formula of reasoning I term Retroduction, i.e. reasoning from
consequent to antecedent”31 E’ proprio questa dinamica, ipotetico-fallibilista, che permette di fare
congetture sull’esistenza di fatti diversi da quelli osservati, a distinguere e a far privilegiare la
retroduzione rispetto alle altre forme di costruzione della realtà.
30
C.S. PEIRCE Some consequences of four incapacities, in C.S.PEIRCE Collected Papers, volume V, Edited by C.
HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par. 5.274; 5.276.Gli altri tipi di
inferenza sono, secondo Peirce, l’inferenza apodittico-deduttiva e l’inferenza probabile-induttiva. La retroduzione appartiene
alle inferenze probabili-ipotetiche. Peirce ne indica otto tipi, ma a sostegno della retroduzione riporta, tra gli altri, i pareri “
autorevoli” di Newton, J.S. Mill, Kant e chiarisce che la retroduzione come inferenza che si sviluppa “from consequences and
consequent to antecedent “ (“ a partire dalle conseguenze, e dal conseguente all’antecedente”) “ is my use of the term” ( “ è il
mio modo di praticare l’inferenza probabile-ipotetica”). Peirce, infine, osserva che la retroduzione, nella sua forma, sembra
poter ricomprendere in sé anche l’inferenza deduttiva: la premessa minore dell’inferenza deduttiva si presenta come
l’antecedente della retroduzione.
125 C.S. PEIRCE Religion, in Collected Papers, volume VI, Edited by C. HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University
Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par.6.469. Peirce sta trattando qui delle ipotesi su Dio. In questo contesto si occupa
della retroduzione come la prima delle tre fasi in cui si articola la ricerca:” Infine una congettura sorge perché fornisce una
possibile spiegazione, intendo cioè un sillogismo che mostra un fatto sorprendente come necessariamente conseguente dalle
circostanze del proprio presentarsi e mostra contemporaneamente la verità della congettura posta come premessa. Grazie a
questa spiegazione, il ricercatore è condotto a considerare questa congettura, questa ipotesi, con favore. Come la vedo io, il
ricercatore provvisoriamente ritiene che questa ipotesi sia “plausibile”; questa accettazione si colloca su differenti piani – e
molto ragionevolmente – a partire dalla semplice proposizione della congettura in forma interrogativa, come una questione che
merita attenzione e risposta, salendo in cogenza attraverso tutte le valutazioni di plausibilità, per arrivare alla incontenibile
inclinazione a credere. Io valuto come componenti la prima fase della ricerca tutta la serie di azioni mentali tra la notizia del
fenomeno sorprendente e l’accettazione dell’ipotesi, durante la quale l’usualmente docile intelletto sembra tenere il boccone
tra i denti ed averci in suo potere, la ricerca di circostanze pertinenti e l’impossessarsi di esse, qualche volta senza una nostra
precisa consapevolezza, l’esame delle circostanze, l’oscuro lavorìo, l’esplodere della congettura sorprendente, l’osservare il
suo facile accomodarsi all’evento sorprendente, come è girata avanti e indietro una chiave in una serratura, e la valutazione
finale di plausibilità . Chiamo retroduzione la caratteristica formula di ragionamento di questa prima fase di ricerca, cioè il
ragionare dal conseguente all’antecedente” (trad. E.B.). Peirce tratta qui il tema della retroduzione all’interno della
argomentazione su Dio. Si veda anche M. RONAT ( a cura di) N. CHOMSKY Intervista sul linguaggio, Laterza, Bari 1977, p.
72

35
La pratica e l’abito
L’unico momento, però, in cui la retroduzione, come qualsiasi altra inferenza, mostra la propria
validità ed il proprio significato è l’azione, come chiarisce Peirce nella sua massima pragmatica:
“..Consider what effects, that might conceivably have practical bearings, we conceive to have.
Then, our conception of these effects in the whole of our conception of the object”32. Il che non
significa cadere in una qualche forma di utilitarismo. Significa piuttosto affermare che il significato
di una qualsiasi inferenza si costruisce nel praticarlo, nell’agirlo: “To develop its meaning, we have,
therefore, simply to determine what habits it involves(…..) Thus, we come down to what is tangible
and conceivably practical, as the root of every real distinction of thought, no matter how subtile it
may be;and there is no distinction of meaning so fine as to consist in anything but a possible
difference of practice”33
Dalla massima pragmatica così articolata deriva anche il concetto di pratica, che già è presente in
Aristotele 34, di cui più volte Peirce si dichiara debitore soprattutto sulle questioni del sillogismo e
della logica in generale 35. Per definirlo in modo chiaro occorre, tuttavia, definire anche un secondo
concetto, sempre di provenienza aristotelica 36 - il concetto di abito – con cui si interseca
continuamente. L’abito, infatti, nasce dalla pratica e la pratica genera l’abito, presente anche in
Tommaso d’Aquino: “Nihil est aliud habitus consuetudinalis quam habitudo acquisita per
consuetudinem” 37 . Una volta formatosi, continua Tommaso, l’abito è quasi una disposizione
naturale – “quasi per modum naturae”- che “inclinat ad quaedam operationum genera”, in modo tale
da rendere quegli stessi atti piacevoli, privilegiati dal punto di vista di chi li compie38.
In modo non molto diverso si articola l’argomentazione peirceana. Analizziamola brevemente.
La massima pragmatica ha affermato che il significato dell’inferenza si costruisce nel praticarlo,
nell’agirlo. Ora Peirce afferma che, agendola, l’inferenza, anche in nome della continuità mente-
natura39, diventa abito, si propone quasi come un sillogismo divenuto fatto biologico, organico:
“But it is matter of constant experience, that if a man is made to believe in the premises, in the sense
that he will act from them and will say they are true, under favorable conditions he will also be
ready to act from the conclusion and so tay that that is true” 40. Gli abiti sono, dunque, secondo
Peirce, l’incarnazione biologica – Tommaso aveva detto una consuetudine divenuta quasi natura -
dell’induzione - “Induction, therefore, is the logical formula which expresses the physiological

32
C.S. PEIRCE How to make our ideas clear, in C.S. PEIRCE Collected Papers, volume V, Edited by C. HARTSHORNE and
P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par. 5.402. Del testo proponiamo anche la
traduzione:” Considerate quali effetti, che possono avere concepibilmente portate pratiche, noi pensiamo che l’oggetto della
nostra concezione abbia. Allora la nostra concezione di questi effetti è l’intera concezione dell’oggetto” ” C. SINI Il
pragmatismo americano, Laterza, Bari, 1972, p. 198
33
C.S. PEIRCE How to make our ideas clear, cit. par. 5.400: “ Per sviluppare il significato di una cosa non dobbiamo far
altro, dunque, che determinare quali abitudini essa produce, giacché quello che una cosa significa equivale a quali abiti
comporta (….) Dobbiamo scendere al tangibile e al pratico (concepibile), per trovare la radice di ogni vera distinzione di
pensiero per sottile che sia; e non vi è distinzione di significato per fine che sia, che possa consistere in altro che in una
possibile differenza pratica” C. SINI Il pragmatismo americano, p. 197
34
Si vedano i paragrafi Quale identità epistemologica per l’etica ? e La soluzione aristotelica:la fronesis mediata dall’epikeia
35
C.S.PEIRCE Scritti di logica, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 215, 349, 358. Per una tematizzazione più organica del
rapporto Peirce-Aristotele, rinvio a C. SINI Il pragmatismo americano …cit pp. 124 ss ; 226
36
Si vedano i paragrafi Quale identità epistemologica per l’etica ? e La soluzione aristotelica:la fronesis mediata dall’epikeia
37
S. THOMAE AQUINATIS op. cit. I^,II^, 56, 5 co
38
S. THOMAE AQUINATIS op. cit. I^,18, 2 ad 2
39
C.S. PEIRCE Categorie, Laterza, Roma-Bari 1992, p.69

136 C.S. PEIRCE Some consequence of four incapacities, in C.S. PEIRCE Collected Papers, volume V, Edited by C.
HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par. 5.268. Del testo
proponiamo anche la traduzione: “E’ materia di costante esperienza che, se un uomo è indotto a credere nelle premesse, nel
senso che egli agirà in base ad esse e dirà che sono vere, in circostanze favorevoli egli sarà anche pronto ad agire in base alla
conclusione e a dire che pure quella è vera. In tal modo, all’interno dell’organismo, prende posto qualcosa di equivalente al
processo sillogistico” C. SINI Il pragmatismo americano, p. 153
36
process of formation of a habit”41- ma, più in generale, dell’inferire. Una volta formati, gli abiti
intervengono nella selezione delle possibili ipotesi scientifiche da elaborare attraverso la
retroduzione e nella costruzione della realtà in generale 42 . Il fatto che a noi qualcosa sembri
immediato, evidente deriva dal fatto che esso è il prodotto di abiti la cui acquisizione è ormai
inconscia o dimenticata 43. Possiamo quindi dire: l’inferenza trova significato nell’azione; l’essere
agita trasforma l’inferenza in un abito, l’abito promuove il consolidarsi dell’agire conoscitivo
secondo quell‘inferenza. Il risultato di questo circolo è che, in realtà, solo apparentemente il
processo di pensiero precede l’azione, in quanto esso stesso si realizza in pienezza solo nel farsi
azione e nel trasformarsi in abito, in matrice di altre credenze e di altre azioni. Alla fine è possibile
dire che "...una pratica non è fatta d'altro che di abiti precedenti i quali, via via combinandosi in
forme nuove innescano nuove funzioni e nuovi usi, ovvero nuovi usi di vecchie funzioni, e così
rendono possibili abiti nuovi e imprevedibili."44 e che i saperi sono delle pratiche45.
Il paradigma costruttivista
L’articolazione del conoscere come pratica diventa in Peirce paradigma costruttivista, tanto che, alla
fine, la realtà si identifica con il suo modo di costruzione:”la realtà non è che una retroduzione,
un’ipotesi operativa che noi mettiamo alla prova, la nostra sola speranza, disperata e miseranda di
conoscere alcunché “46.
Per Peirce, in realtà, è difficile immaginare di poter parlare di qualcosa collocandolo come esterno
ai processi di inferenza e all’economia dei segni se è vero che l’impossibilità di distinguere il
pensiero dal segno significa per lui l’impossibilità di un originario “pensiero di qualcosa”, perché
anche là dove noi pensiamo che ci sia intuizione, e quindi contatto immediato con la cosa in sé, c’è
solo inferenza 47:”la ‘cosa reale ‘ è perciò l’insieme dei segni che la denotano”48. Peirce, però, che
una realtà esterna dobbiamo comunque, in qualche modo, postularla. La conoscenza è un
approssimarsi inesausto ed infinito a questo punto49 .
Un sapere comunitario teologicamente ed eticamente fondato

41
C.S. PEIRCE Deduction, induction, hypothesis, in C.S. PEIRCE Collected Papers, volume II, Edited by C. HARTSHORNE
and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par. 2.643: “ L’induzione, quindi, è la formula
logica che esprime il processo fisiologico di formazione di un abito” ( trad. E.B.)
42
C.S. PEIRCE The fixation of belief, in in C.S. PEIRCE Collected Papers, volume V, Edited by C. HARTSHORNE and P.
WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978, par. 5.387: “ The force of habit will sometime cause a
man to hold on to old beliefs, after he is in a condition to see that they have no sound basis” : “ La forza di un abito può talora
spingere una persona a sostenersi su vecchie credenze, dopo egli è in condizione di vedere che esse non hanno solide basi” (
trad. E.B.)
43
C.S. PEIRCE How to make our ideas clear, cit par. 5.492 “…habits in themselves are entirely unconscious” :” gli abiti in se
stessi sono interamente inconsci” ( trad. E.B.)
44
C. SINI Gli abiti, le pratiche, i saperi Jaca Book, Milano 1996, p. 71
45
S. LASH (1990) Modernismo e postmodernismo, cit. p.100
46
C.S. PEIRCE Categorie, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 68
47
C.S. PEIRCE Some Consequences of four Incapacities, cit. parr.5.301; 5.250; 5.253 Per una interpretazione organica di
questo si veda C. SINI Il pragmatismo americano cit. p. 139-150; 173-175
48
C.SINI Il pragmatismo americano…cit. p. 167
49
C.S. PEIRCE Grounds of Validity of the Laws of the Logic: Further Consequences of four Incapacities, in C.S. PEIRCE
Collected Papers, volume V, Edited by C. HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusetts, 1978, par.5.320:” It was there shown that real things are of a cognitive and therefore significative nature, so
that the real is that which signifies something real”. Per questa interpretazione: C. SINI Il pragmatismo americano cit. p. 161
50
C.S. PEIRCE Grounds of Validity of the Laws of the Logic: Further Consequences of four Incapacities, in C.S. PEIRCE
Collected Papers, volume V, Edited by C. HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusetts, 1978, par.5.320:” It was there shown that real things are of a cognitive and therefore significative nature, so
that the real is that which signifies something real”. Per questa interpretazione: C. SINI Il pragmatismo americano cit. p. 161
51
C.S. PEIRCE Grounds of Validity of the Laws of the Logic: Further Consequences of four Incapacities, in C.S. PEIRCE
Collected Papers, volume V, Edited by C. HARTSHORNE and P. WEISS, Harvard University Press, Cambridge,
37
Non si tratta, del resto, di una ricerca individuale. La comunità vi è sempre presente. Essa, intanto,
ha in qualche modo il compito di “certificare”la ricerca: la realtà, infatti, consiste “nell’accordo che
l’intera comunità verrà a far proprio”52 .Ma, in modo forse ancora più pregnante, la comunità è
presente nella ricerca come scopo, obiettivo della ricerca stessa 53 . Peirce argomenta questa sua
convinzione avendo come continuo riferimento e come trama concettuale di riferimento i testi
paolini sulla Carità, sulla Fede, sulla Speranza 54, e conclude affermando “…interest in an indefinite
community, recognition of the possibility of this interest being made supreme and hope in the
unlimited continuance of intellectual activity, as indispensable requirements of logic….”55. Si tratta
di un’osservazione tutt’altro che marginale. La comunità come momento essenziale della
costruzione del sapere non ha qui, infatti, soltanto le caratteristiche del paradigma tipico della
tradizione pragmatista. Qui, piuttosto, la comunità rappresenta l’intersezione di paradigma
filosofico e paradigma teologico-etico fin dalle origini della stessa riflessione filosofica. Peirce
fonda e motiva la sua ricerca sui modi e sui tipi dell’inferenza logica sulla base di un’istanza altra
dalla logica stessa, e che fa riferimento agli orizzonti teologici ed etici. La prospettiva peirceana
offre diversi motivi di interesse. Afferma il fare come elemento costitutivo del sapere
stesso.Tematizza il sapere/potere come opera propria di tutta la comunità in una profonda sinergia
tra diversi paradigmi. Sembra l’affermarsi del codice fraterno, del valore dell’assunzione comune di
responsabilità (De Toni Declinazione al plurale in “ilFriuli Business”, aprile 2014).
Una relazione intrigante tra paradigmi socio-politici e scienza
Abbiamo già visto il ruolo restrittivo che il più ampio quadro di riferimento dottrinale della chiesa
esercita sulla scienza nei casi Galileo e Bruno. Il caso di Peirce mostra come i diversi paradigmi
culturali e politici esercitino comunque un ruolo significativo nello sviluppo scientifico. Non è,
infatti, difficile ipotizzare che la prospettiva “aperta” della costruzione scientifica peirceana sia
debitrice anche del movimento progressista americano che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 sta

Massachusetts, 1978, par.5.320:” It was there shown that real things are of a cognitive and therefore significative nature, so
that the real is that which signifies something real”. Per questa interpretazione: C. SINI Il pragmatismo americano cit. p. 161
52
C. SINI Il pragmatismo americano…cit. p. 162; C.S. PEIRCE Grounds of validity of the laws of logica: further
consequences of four incapacities, cit. par. 5.331: “…”If there is smoke, there has been fire”…Indeed, if we consider the
manner in wich such a proposition became known to us, we shall find that what it really means is that “ If we find smoke, we
shall find evidence on the whole that there has been fire”; andthis, if really means in the agreement that the whole community
would eventually come to,, is the very same thing as to say that there really has been fire” : “ Se c’è fumo, c’è stato
fuoco”….In verità, se noi consideriamo il modo in cui una simile proposizione è diventata conoscenza per noi, noi dobbiamo
concludere che ciò che la proposizione realmente significa è che “ Se noi scopriamo fumo, noi dobbiamo ritenere del tutto
evidente che c’è stato fuoco”; e questo, se la realtà consiste nell’accordo al quale tutta la comunità eventualmente giunge, è
veramente la stessa cosa che dire che ‘è stato realmente del fuoco” ( trad. E.B.)
53
C.S. PEIRCE Critical logic, in C.S. PEIRCE in Collected Papers cit. par.2.654: “ At the same time, death makes the
number of our risks, of our inferences, finite, and so makes their mean result uncertain. The vey idea of probability and of
reasoning rests on the assumption that this number is indefinitely great…It seems that we are driven to this, that logicality
inexorably requires that our interests shall not be limited They must not stop at our own fate, but must embrace the whole
comunity. This community, again, must not be limited, but must extend to all races of beings with whom we can come into
immediate or mediate intellectual relation “: “Nel medesimo tempo la morte rende finito il numero dei nostri rischi, delle
nostre inferenze, e così fa sì che il calcolo della loro probabilità risulti incerto. La vera di probabilità e di ragionamento si
fonda sull’assunto che questo numero sia indefinitamente grande…Mi sembra che siamo giunti a questa conclusione, che la
logica inesorabilmente richiede che i nostri interessi non siano limitati. Essi non devono fermarsi al nostro destino, ma devono
abbracciare tutta la comunità. Questa comunità, ancora, non deve essere limitata ma deve estendersi a tutte le razze cone le
quali possiamo giungere in relazione intellettuale, immediata o mediata” ( trad. E.B.)
54
C.S. PEIRCE Doctrine of chances, in C.S. PEIRCE Collected Papers, volume II, Edited by C. HARTSHORNE and P.
WEISS, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1978 par.2.655
55
C.S. PEIRCE Doctrine of chances, cit. par.2.655: “ l’interesse per una comunità indefinita, il riconoscimento della
possibilità che questo interesse sia considerato supremo, e la speranza nell’illimitata continuazione dell’attività intellettuale,
sono le esigenze indispensabili della logica” C. SINI Il pragmatismo americano, p. 209

38
facendo degli USA una società che Popper definirebbe “aperta”, culminante, tra l’altro, nella
presidenza di Theodore Roosevelt.
L’importanza di riferimenti anche etici nelle strategie di impresa è sottolineata da Mintzberg (1991,
p. 90 ss.)

Bibliografia
Peirce C. S. (1885) Un contributo alla filosofia della notazione, in C.S. Peirce Scritti di logica, La
Nuova Italia, Firenze, 1981
Peirce C.S.(1933) Scritti di logica, La Nuova Italia, Firenze, 1981
Peirce C.S. The Collected Papers, Cambridge, Harvard University Press, 1931-1935
James W. Essays in Pragmatism, New York-London 1966
Sini C. Il pragmatismo americano, Laterza, Bari 1972

Nelle organizzazioni politiche

Popper e la società aperta a lezione di disobbedienza

La falsificabilità del potere scientifico e la forma falsificabile del potere politico


Popper ha proposto la falsificazione come attacco al potere delle teorie scientifiche. In particolare, il
principio di falsificabilità ha portato Popper ad affermare l’inesausto e sempre inadeguato lavorio
della scienza rispetto alla verità. La falsificazione, sempre secondo Popper, è anche il modo di
organizzazione del poteruitere nel potere hardware di carattere politico, qualora lo si voglia
costruire come società aperta. Le società aperte sono quelle società in cui le teorie/programmi
politici si sanno cioè, sempre parziali, sempre falsificabili, mai nella condizione di ritenersi
detentrici di leggi assolutamente vere e compiute sul processo storico-sociale. Come la scienza sa
che la verità è irraggiungibile così il pensiero politico deve rinunciare all’idea di una società
perfetta. Al di fuori di questa logica c’è il rischio dittatura (K. R. Popper 1975, p. 13 ss; K. R.
Popper 1973, vol. 2, p. 23). Il valore della organizzazione istituzionale di tipo democratico, è di
essere sistema falsificabile, secondo il paradigma del potere scientifico. Come il sapere scientifico,
così anche l’organizzazione politica è compito sempre aperto, essendo sempre a scuola di
disobbedienza (De Toni A lezione di disobbedienza, in ilFriuli Business, febbraio 2015). Noi
potremmo anche dire che le società aperte sono quelle società che si sanno costruite su sistemi
normativi e politici gӧdelianamente indecidibili e incompleti.
Nelle imprese industriali in quanto fondate sul principio di proprietà, vi sono, evidentemente,
principi non sottoposti ai principi democratici. La nostra ricerca, però, argomenta la pluralità dei
modi in cui questo principio indisponibile può declinarsi in modi più o meno aperti nella gestione
del potere nelle imprese stesse.

Bibliografia
Popper K.R. (1945) La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma1973-1974
Popper K.R.(1972) Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Armando, Roma 1975
Popper K.R. (1945) Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano, 1975

Nelle imprese

Il potere si distribuisce nelle imprese in modi diversi:


 a mulinello
 secondo i paradigmi della complessità
Analizziamo, intanto, la distribuzione del potere a mulinello
La distribuzione a mulinello
39
Un modo di distribuire il potere è la distribuzione a mulinello. La distribuzione del potere a
mulinello è in qualche modo un processo ricorsivo in cui la gerarchia innesca un circolo che le
consente di procedere ad una distribuzione anche ampia del potere e di rimanere nello stesso tempo
al centro del potere, come ben mostrano le litografie di Escher Cascata (1961) e Salita e discesa
(1960) 56 Un esempio tipico di organizzazioni con distribuzione del potere a mulinello sono le
organizzazioni multidivisionali, tipiche delle imprese bancarie57. Significativa da questo punto di
vista è l’evoluzione di UniCredito dal 1994 al 1998. UniCredito, infatti, si caratterizza in partenza
come organizzazione accentrata, anche perché nasce dalla fusione di Credito Italiano con altri
gruppi bancari, e Credito Italiano era stata per molti anni una banca IRI. A partire dal 1994, con il
cambio del top management, UniCredito conosce una profonda distribuzione del potere, fino a
trasformarsi in una complessa organizzazione multidivisionale reticolare che:
 risponde alle esigenze di diversificazione strategica derivanti dalla internazionalizzazione della
banca;
 fa circolare in modo ampio ed efficace il know how;
 permette al vertice del gruppo di governare e indirizzare le unità di business grazie alla gestione
per obiettivi58
Comune a tutte le banche a struttura multidivisionale è la tendenza a rafforzare le funzioni
accentrate quanto più si sviluppa la diversificazione59
Il punto di crisi
Vale la pena sottolineare che anche nel caso del potere distributo, la teoria del management conosce
forme di “disturbi organizzativi” provocati dalla gestione del potere. É il caso che si realizza quando
le coalizioni tra i manager che governano l’impresa a potere distribuito preferiscono non prendere
decisioni strategiche anche importanti perché questo significherebbe arrivare a definire la coalizione
vincente e la coalizione perdente e i manager, invece, preferiscono colludere e non giungere a
questo chiarimento (Mintzbeg Management. Mito e realtà, 1991, p. 300)
Una metafora euristica mostra il valore strategico del potere distribuito a mulinello
Giuseppe il nutritore: un caso di potere distribuito a mulinello 60
Giuseppe il nutritore è l’ultima parte della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli 61che Thomas Mann
scrive negli ultimi anni della presidenza Roosvelt (1943) affabulando in modo straordinario sui
capitoli del libro della Genesi (capitoli 37 -41) in cui si narrano le vicende di Giuseppe, il figlio di
Giacobbe, che viene venduto schiavo dai fratelli e giunge a governare l’Egitto. La storia di
Giuseppe si svolge secondo due costanti: la”fossa”in cui precipita per l’invidia che suscita in molti,
a partire dai suoi fratelli, e il dono di saper interpretare i sogni, che ogni volta gli permette di
sollevarsi dalla fossa62.È grazie a questo dono che Giuseppe giunge alla corte di Faraone. Faraone,
infatti, a bisogno di capire il significato di un inquietante sogno, fatto di sette vacche grasse e sette
vacche magre, di sette spighe rigogliose e sette spighe secche. L’interpretazione di Giuseppe è
nitida: ci saranno sette anni di abbondanza e sette anni di carestia63. Per questo Faraone consegna a
Giuseppe il “potere delle chiavi” e di essere sua “bocca suprema”. Giuseppe governerà direttamente
a suo nome il paese in modo da superare questa fase critica. È un incarico che ha lo spessore del
divino egizio di tipo materno64, anche se Giuseppe non rinuncia alla sua fede nel Dio di Israele65.

56
De Toni Gerarchia illuminata, in” ilFriuli Business”, gennaio 2016
57
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Roma 2001 pp. 167 ss
58
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Roma 2001 pp. 168.420 ss.
59
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Roma 2001 pp. 168 ss
60
Sul valore euristico, di scoperta, della metafora: Black M. Modelli Archetipi Metafore, Parma 1983 p. 41 ss
61
T. Mann Giuseppe il nutritore, Milano 1982
62
Ivi p. 322
63
Ivi 142
64
Ivi 141
65
Ivi 176
40
Come si vede, Giuseppe rappresenta l’espressione più alta del potere gerarchico, ma da questo
potere prolifera altro potere. Giuseppe, infatti, rinnova la struttura del governo:
 circondandosi di collaboratori giovani, entusiasti, preparati che lavorino a stretto contatto con lui, in
una nuova struttura anche logistica66,
 affidando ad altri collaboratori il compito di supervisionare quei territori che non riesce a
supervisionare personalmente67
A partire da questa nuova struttura di governo, Giuseppe:
 predispone le riserve di grano utili ad affrontare la carestia68;
 fa in modo di incrementare la produttività agricola69
 introduce misure di equità sociale e promuove la riforma della proprietà terriera 70
 grazie alle riserve che ha fatto accumulare, Giuseppe è in grado di nutrire, durante la carestia, non
soltanto la popolazione egiziana ma la popolazione di tutti i territori circostanti71
In questo modo Giuseppe, distribuendo valore e nutrimento, conferma il codice materno sul quale si
radica il proprio potere (De Toni Il bivio da imboccare “ilFriuli Business”, marzo 2014)
Giuseppe è in grado sfamare anche la sua famiglia, arrivata in Egitto in cerca di una terra
accogliente. Giuseppe, inoltre, perdona ai fratelli di averlo venduto schiavo e di aver mantenuto
comportamenti scorretti verso un altro fratello, Beniamino, anche una volta giunti in Egitto. Ai
fratelli, che si attendono da Giuseppe un comportamento radicato nel codice paterno, Giuseppe
risponde con comportamenti ancora una volta materni 72
Alla fine: la distribuzione e l’incremento del potere fondati su una salda struttura gerarchica sono
gli elementi che fanno dell’Egitto governato da Giuseppe una organizzazione di successo anche in
tempi di crisi. Giuseppe sembra aver dato luogo ad una gerarchia illuminata, in cui il capo attiva un
mulinello di distribuzione del potere (De Toni La gerarchia illuminata in “ilFriuli Business”,
gennaio 2016)
È poi possibile distribuire il potere secondo i paradigmi della complessità.
Warnecke: realizzare la complessità secondo le nuove epistemologie scientifiche
La complessità delle imprese dipende dall’epistemologia del caos
L’età moderna non ha avuto difficoltà a identificarsi nel paradigma meccanicistico-newtoniano.
L’età contemporanea non può farlo, perché il potere software è chedistribuito tra tre diverse fisiche:
Newton, Einstein, Planck e tra diverse geometrie. Allo stesso modo, oggi. è necessario ripensare la
razionalità dell’organizzazione tayloristica.
Warnecke (1992 ) analizza le osservazioni di Taylor nel 1919 a proposito dei sistemi lineari. Taylor,
annota Warnecke, è convinto che nei sistemi limitati sia possibile, p. 127). Mantenere questo
paradigma anche oggi, continua Warnecke, sarebbe una finzione ingegneristica. Significherebbe
ignorare le questioni poste dalla teoria della relatività e dalla meccanica quantistica, che mettono in
discussione il principio di causalità (Warnecke 1992, p. 128). Warnecke osserva che il salto che un
teorico dei sistemi industriali è chiamato a fare può essere in sintetizzato in questo modo: passare da
Laplace, che, nel 1776, secondo il paradigma meccanicistico, affermava la pensabilità del rapporto
causa-effetto, a Poincaré, che nel 1903, secondo i paradigmi del caos e della probabilità, affermava
l’incalcolabilità del rapporto causa-effetto (Warnecke 1992 pp. 128.129). Warnecke continua a
tematizzare la questione del caos argomentando, tra l’altro, l’effetto farfalla, la difficoltà di
decifrare i sistemi complessi, la necessità di pensare ed organizzare i sistemi in modo nuovo
(Warnecke 1992, p. 130-131).
L’auto-organizzazione

66
Ivi 192
67
Ivi 193
68
Ivi pp. 196, 259
69
Ivi p. 196
70
Ivi p. 197
71
Ivi 258-259
72
Ivi 334-336; De Torni Il bivio da imboccare” ilFriuli Business” marzo 2014
41
La proposta di Warnecke è di pensare insieme l’ordine e il caos, nei sistemi auto-organizzati
(Warnecke1992, p.132). La forma di auto-organizzazione utile anche ai sistemi industriali cui
approda Warnecke è il frattale, prodotto dal numero di Mandelbrot (Warnecke1992, p. 136-137, De
Toni 2011, pp. 206 ss.). Proviamo a ricostruirla, seguendo la struttura delle organizzazioni a frattale
delineata in Eugenio Bastianon Come organizzare una fabbrica secondo un modello geometrico,
Sistemi &Impresa n. 8, ottobre 2007), che sintetizza Warnecke.
Vi è, intanto, un’organizzazione centrale che indica ai frattali vision e obiettivi fondamentali
comuni a tutti i frattali.
Vi è poi un secondo ambito di cooperazione tra impresa centrale e frattali che sono sempre
impegnati nella ricerca delle relazioni interne ed esterne.
Vi è poi un terzo, ampio, spazio, che riguarda le autonomie dei frattali che si auto-organizzano e si
autocontrollano anche dal punto di vista strategico
Un quarto ambito riguarda le interazioni tra frattali, che portano i frattali a coevolvere e a
modificarsi reciprocamente, definendo strutture di governance comuni.
Una quinta caratteristica delle organizzazione a frattale è la possibilità di consentire lo svilupparsi al
proprio interno di altri frattali .
Nelle organizzazioni a frattale, vista l’auto-organizzazione e l’autonomia strategica che viene
riconosciuta ad ogni frattale, vi è un notevole incremento di potere (Warnecke 1992 p. 140 ss.).

Morieux e Tollman: le regole per la gestione del potere


Le organizzazioni a frattale e l’incremento della quantità complessiva di potere che esse
comportano pongono il problema della gestione di questo potere. Sui problemi posti dalla quantità
stessa di potere torneremo più avanti introducendo la nozione di criticità auto-organizzata 73 del
potere.
Vediamo come lo affrontano Morieux e Tollman (2015) attraverso le loro sei regole. Noi
focalizzeremo la nostra attenzione soprattutto sulla terza.
La terza regola prevede l’aumento della quantità totale del potere ( Morieux e Tollman 2015 pp. 77-
96). Essa offre, infatti, una chiara definizione di potere: ”il potere è la possibilità per una persona di
fare la differenza su questioni ( o interessi) importanti per gli obiettivi di qualcun altro”. In questo
modo l’intervento di potere di A permette a B di ottenere obiettivi che altrimenti non avrebbe
ottenuto (Morieux e Tollman 2015, p.78). Questo significa che il compito fondamentale del
manager è creare nella propria organizzazioni sempre nuovi interessi comuni e diffusi, che
richiedano il formarsi di nuovo potere utile a realizzarli, in modo che tutti gli altri possano goderne,
secondo il criterio dell’empowerment. Analizziamo le strategie di Taco Bell. Taco Bell è una catena
di ristorazione che attiva strategie di empowerment per i manager responsabili dei propri ristoranti.
Innanzi tutto amplia il potere dei manager responsabili di ogni ristorante, affidando loro compiti che
prima erano propri degli ispettori di zona, manager di livello intermedio, con relativi incentivi
economici. Valorizza poi gli stessi ispettori di zona in chiave anche strategica, affidando loro la
messa in rete dei diversi ristoranti. Infine organizza il personale di ogni ristorante in gruppi di
lavoro, con compiti di partecipazione alla gestione del ristorante74
Si potrebbe osservare che il profilo 4 è in larga parte riconducibile al codice materno, in quanto
fondato sulla condivisione e sulla capacità di relazione nel management75 È il caso della catena di
ristorazione Taco Bell che, come abbiamo già osservato, organizza il personale di ogni ristorante in
gruppi di lavoro, con compiti di partecipazione alla gestione del ristorante76
Per certi aspetti, l’empowerment ha a che fare con l’economia del dono. L’economia del dono è
stata tematizzata da Marcel Mauss all’interno della Teoria generale della magia (1950, Torino

73
Per una tematizzazione della criticità auto-organizzata si veda il Glossario
74
Bartezzaghi E. L’organizzazione dell’impresa. Processi, Progetti, Conoscenza, Persone, Milano 2010, p. 468-469
75
De Toni Il bivio da imboccare, in “ilFriuli Business”Marzo 2014
76
Bartezzaghi E. L’organizzazione dell’impresa. Processi, Progetti, Conoscenza, Persone, Milano 2010, p. 468-469
42
1965). Nel saggio Del dono e, in particolare, dell’obbligo di ricambiare i regali. Mauss osserva che
nelle tradizioni scandinave vi è l’idea che il dono non sia segno di gratuità ma sia, piuttosto, la
richiesta esplicita e impegnativa di contraccambio ad un ambito di relazioni sempre più ampio. Il
dono può non essere un semplice oggetto ma una prestazione che impegna chi lo riceve a
contraccambiare con una prestazione di eguale valore (Mauss 1965 p.161; Grasselli Montesi (ed.)
Associazionismo familiare in Umbria. Cura, dono, ed economia del bene, Milano 2013, p. 74)). Nel
nostro contesto si potrebbe dire che l’assegnazione di un nuovo ed importante incarico
nell’organizzazione impegna chi riceve l’incarico a contraccambiare con prestazioni di eguale
valore.
Il punto critico
Anche l’empowerment può subire momenti di crisi. Si pensi alle difficoltà in cui si trova Hewlett-
Packard, fondata sulla dichiarazione di principi etici contrari a licenziamenti e su strategie di
empowerment, quando si trova di fronte alla necessità di attivare politiche del personale in
situazioni di crisi del mercato che richiedano licenziamenti o, comunque, misure utili a produrre
riduzione dei volumi produttivi 77 In questo modo anche in un modello a potere distribuito la
gerarchia, geneticamente propria dell’organizzazione in base al principio di proprietà e
organizzativamente prioritaria (De Toni Rivincita della gerarchia in ilFriuli Business, Novembre
2015), assume di volta in volta, in relazione alle esigenze plurali del processo produttivo, un peso
diverso, modificando così l’equilibrio tra se stessa e il potere distribuito. In questo modo provoca
gli spostamenti ricordati da Likert, su cui ci soffermeremo in sede di conclusioni.78 Il pendolo può
caratterizzare anche le imprese quando, di volta in volta, assumono forme organizzative utili alle
strategie a lungo o a breve termine79

Raggiungere la massa critica


Un altro elemento utile da ricordare è che quando si crea una nuova base di potere è importante
“determinare la massa critica di nuovo potere davvero in grado di fare la differenza” ( Morieux e
Tollman 2015, p. 89)
Quando si crea potere, occorre essere sicuri che possa essere usato.
Per questo è utile la prima regola:” capire che cosa fanno realmente le persone” e se hanno risorse e
opportunità sufficienti per cogliere tutte le opportunità che l’incremento di potere offre (Morieux e
Tollman 2015, p. 89-92, 25-49).
Per questo è necessario avere un progetto chiaro sull’assetto del potere nella organizzazione
(Morieux e Tollman 2015, p.91), per evitare, ad esempio, il continuo “pendolo” tra centralizzazione
e decentralizzazione (Morieux e Tollman 2015, p. 93) o per evitare di creare strutture organizzative
tanto articolate da non attribuire ai diversi nodi di potere la massa critica sufficiente ad essere
efficaci (Morieux e Tollman 2015, p.92-93)
È il caso della catena di hotel InterLodge, con il proprio personale di reception. Qui il senior
management:
 libera l’organizzazione da tutte le strategie che si erano rivelate inefficaci e controproducenti ai fini
del miglioramento del tasso di occupazione delle camere;
 lega la promozione dei manager della reception all’aver lavorato in più di una funzione, in modo
che ciascun manager sperimenti in prima persona ciò che i collaboratori facevano veramente

77
Bartezzaghi, L’organizzazione dell’impresa. Processi, Progetti, Conoscenza, Persone, Milano 2010 p. 84
78
De Toni ed Alii, Auto-organizzazioni …2011 p, 258-259; Stocchetti A, Progettazione e gestione del processo
produttivo, in Volpato G. (ed.) Economia e gestione delle imprese. Fondamenti e applicazioni. Roma 2010, p. 238);.
Bartezzaghi, L’organizzazione dell’impresa. Processi, Progetti, Conoscenza, Persone, Milano 2010 p. 84 ;De Toni
Rivincita della gerarchia in ilFriuli Business, Novembre 2015

79
Morieux Tollman 2015 p. 93 ss.
43
all’interno di ogni funzione e come ciascuna funzione interagiva, avrebbe dovuto interagire, con le
altre funzioni;
 affida i manager della reception alcuni poteri sui servizi di manutenzione e pulizie, promuovendo la
cooperazione tra tutte le funzioni80
Particolarmente interessante, sempre da questo punto di vista, è il caso della catena di punti vendita
GrandeMart, che scopre di avere una organizzazione del potere inadatta ai piani di sviluppo e
riconquista del mercato, anche puntando sull’attenzione alle tradizioni locali. Per questo decide di
proporre una vision:
 aggregante di tutti i livelli dell’organizzazione;
 capace di fornire indicazioni precise ai team dei vari punti vendita;
 capace di responsabilizzare in modo significativo i direttori degli stessi punti vendita, così da
metterli in grado di attivare strategie di empowerment rispetto ai dipendenti e rendere in questo
modo possibile la focalizzazione di alcuni settori dei punti vendita sulle tradizioni locali, che invece
sfuggiva all’assetto di potere precedente81 È evidente che questo comporta una ristrutturazione della
rete di fornitori, richiamando così in campo il rapporto tra strategie di diffusione del potere e teorie
degli stakeholder.
È utile, infine, ricordare che all’interno del potere distribuito vi è anche la dimensione del potere
distribuito emergente. Il potere distribuito emergente è, a nostro avviso, evidente nel fenomeno
delle strategie emergenti, delle strategie, cioè, che si generano in modi e situazioni non prevedibili e
non previsti dall’organizzazione e che solo successivamente vengono fatte proprie
dall’organizzazione 82
Alcune osservazioni sulla questione della gerarchia. Il caso Oticon e la criticità auto-organizzata del
potere
Le nostre riflessioni sul potere nelle organizzazioni tiene conto dell’impossibilità di
opporre/contrapporre diversi modelli di gestione del potere nelle organizzazioni. De Toni
argomenta la necessità che nelle organizzazioni “va sempre ricercato un equilibrio dinamico nel
tempo e nello spazio tra modelli organizzativi tradizionali fondati sulla gerarchia e modelli
innovativi fondati sull’auto-organizzazione e tra modelli di leadership di ‘conduzione’ e modelli di
leadership di ‘costruzione’, cui corrispondono rispettivamente comportamenti subordinati e
comportamenti di self-leadership…E’ un pendolo che costantemente oscilla”, quasi in una
“coesistenza di gerarchia e auto-organizzazione”( De Toni, Questione di equilibrio, in il FRIULI
Business Dicembre 2015).
Occorre anche tener presente quanto afferma Emilio Bartezzaghi nella sua Postfazione a De Toni et
Alii Auto-organizzazioni 2011 a partire dalla domanda se “le gerarchie sono ineluttabili” (p.257).
A questa domanda Bartezzaghi risponde affermativamente osservando che:
dal punto di vista teorico ”ogni organizzazione umana di gradi dimensioni è stata ed è gerarchica”;
dal punto di vista pratico, i modelli non gerarchici “non riescono a stabilizzarsi nel tempo e tornano
a configurazioni più vicine all’impostazione tradizionale. Nei casi in cui i nuovi modelli
organizzativi all’orlo del caos hanno permesso alle aziende di superare la crisi, a distanza di anni
questi stessi modelli organizzativi si erano assestati su tradizionali organizzazione a matrice Ne è
una dimostrazione il caso dell’azienda multinazionale danese delle protesi acustiche Oticon. Oticon
si trasforma in organizzazione a matrice dopo essere stata una organizzazione cellulare ed aver dato
ad ogni membro dell’organizzazione la possibilità di scegliere la cellula in cui collocarsi.
L’organizzazione cellulare, infatti, è costituita da piccole unità organizzative, capaci di: a) assolvere
diverse funzioni e servire diversi mercati, b) aggregarsi per sviluppare prodotti e competenze ( De

80
Morieux, Tollman 2015 pp. 54 ss. Morieux e Tollman 2015, p.82; De Toni La stoffa giusta del capo, in “IlFRIULI
BUSINESS”, agosto 2013; De Toni La gerarchia illuminata, in “IlFRIULI BUSINESS”, gennaio 2016
81
Morieux e Tollman 2015, p. 83-86
82
Mintzberg H. Management. Mito e realtà Milano 1991, p. 270
44
Toni 2011, pp.227.258-259) 83. Potremmo dire che, in questo caso, l’assetto gerarchico non è tolto,
come nei principi teorici dell’auto-organizzazione, ma si limita a svolgere quella che la teoria della
complessità di Shannon definisce “funzione osservatore” nella valutazione della complessità84
Possiamo fare tre considerazioni.
La prima: nelle organizzazioni di grandi dimensioni le strutture gerarchiche rimangono preminenti
(De Toni Rivincita della gerarchia, in “ilFriuli Business”Novembre 2015).
La seconda: possiamo ipotizzare che per alcune forme organizzative innovative valga il problema
del demone di Maxwell, e cioè la difficoltà di individuare gli elementi utili ad assicurare l’efficacia
di un sistema che ha abbandonato i tradizionali equilibri organizzativi (Kauffman Esplorazioni
evolutive. 2005, p. 120; Morieux, Tollman Smart simplicity 2015, p.46). In presenza di tali
difficoltà, i sistemi innovativi non in equilibrio si assestano sui sistemi in equilibrio più vicini ma
sempre riconducibili allo stesso paradigma, secondo la logica del possibile adiacente85
La terza: per spiegare questa ricerca di equilibri è utile tener conto e integrare, per analogia, il
teorema sulla varietà necessaria di Ashby in ambito cibernetico86 e il principio della criticità auto-
organizzata fino a disegnare per intero il rapporto potere- organizzazione che costituisce il nucleo
della nostra ricerca e che abbiamo sintetizzato nell’introduzione. Qui lo riprendiamo ancora
sinteticamente, riservandoci di argomentarlo in modo più compiuto in sede di conclusioni
Uno dei punti caratterizzanti della ricerca è una definizione completa ed articolata del rapporto tra
potere e organizzazione.
In analogia con il teorema di Ashby sulla varietà necessaria del sistema di controllo/modellazione
dei sistemi, noi affermiamo che in assenza di una quantità e varietà necessaria di potere non vi è
organizzazione. A partire da questa soglia, la quantità e la varietà del potere cominciano a crescere
in un percorso che possiamo sintetizzare in cinque modelli, non necessariamente collegati da un
processo evolutivo.
 potere gerarchico (hard): un esempio ne è il ministero della marina militare italiano durante
la seconda guerra mondiale
 potere illuminato (ricorsivo-a mulinello): può esserne un esempio il caso Unicredito
83
Alla metafora biologica si riferiscono anche le organizzazioni teal, per diversi aspetti riconducibili ai paradigmi del
pensiero steineriano dell’organismo vivente.
Le organizzazioni teal prevedono: a) il self management:le persone autogestiscono il proprio lavoro e ne sono
responsabili di fronte a tutta l’organizzazione; b) wholeness: nel lavoro le persone mostrano tutte se stesse, anche per
l’aspetto emotivo; c) le organizzazioni hanno scopo evolutivo, muovendosi secondo una visione ampia e comprensiva
dei propri stakeholders. Le organizzazioni teal – che potremmo tradurre con “blu”- sono il punto d’arrivo di un processo
evolutivo, partito dallo stadio rosso. Lo stadio rosso è lo stadio del livello massimo di gerarchizzazione, lo stadio blu è
lo stadio del livello minimo di gerarchizzazione. Gli stadi intermedi sono gli stadi rosso e verde. Si tratta di un processo
evolutivo che caratterizza tutti i tipi di organizzazioni, comprese quelle sociali. (Frederic Laloux, Il futuro della gestione
è teal , in www.strategy-business.com/article/00344)
84
Shannon C. Weaver W. The Mathematical Theory of Communication 1949, cfr. Atlan H. Complessità, disordine, e
autocreazione del significato, in Bocchi, Ceruti (a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 p. 166 s; Le Moigne
Progettazione della complessità e complessità della progettazione, in Bocchi , Ceruti ( a cura) La sfida della
complessità, Milano 1985 pp. 86 ss.
85
Kauffman Esplorazioni evolutive 2005, p. 125.185; sul decentramento del comando nelle organizzazioni a matrice:
Mintzberg H. Management. Mito e realtà, Milano 1991 pp. 250 ss.; Isotta F. Le forme organizzative: evoluzione e
progettazione, in Rispoli M. L’impresa industriale. Economia, Tecnologia, Management, il Mulino 1984. 722 ss.

86
Il teorema di Ashby sulla varietà necessaria afferma che per governare un sistema complesso occorre avere una
complessità, intesa come varietà di possibili comportamenti simile o superiore a tale sistema: Ross Ashby An
introduction to Cybernetic, 1964, cfr. Atlan H. Complessità, disordine, e autocreazione del significato, in Bocchi,
Ceruti (a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 p. 166 s; Le Moigne Progettazione della complessità e
complessità della progettazione, in Bocchi , Ceruti ( a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 pp. 86 ss.

45
 auto-organizzazione (potere soft) come le imprese cellulari stabili come la multinazionale
Kyocera, le imprese a fattale, di cui si occupa Warnecke, le imprese oloniche87
Il caso Oticon dimostra, però, che la crescita della quantità e della varietà del potere non può essere
indefinita. Essa, infatti, sembra raggiungere, con il livello del potere auto-organizzato la soglia della
immesso altro potere, se non correndo il rischio che l’organizzazione perda la propria forma È il
potere caotico. In questo modo, raggiunta questa soglia, l’organizzazione può:
 dissolversi nella catastrofe da errore, come nel caso dell’industria informatica descritto da
Antonello Bove, che va in tilt a causa del potere caotico generato dai conflitti tra ingegneri
responsabili delle aree hardware ed ingegneri responsabile delle aree software 88 ,
richiamando l’importanza dell’inserimento della gestione del potere all’interno di una teoria
degli stakeholder che comprenda anche il contesto in cui l’azienda è inserita;
 regredire ad una forma organizzativa precedente e più stabile, come nel caso di Oticon che
regredisce alla forma a matrice;
 esplorare modelli avanzati di cooperazione secondo la logica del possibile adiacente, ossia
della forma organizzativa più vicina, fondati su un sistema integrato modulare di gerarchia e
auto-organizzazione: nella nostra ricerca SMH

Il difficile equilibrio dell’attrattore caotico


La ricerca di equilibrio di Oticon richiama per molti aspetti il concetto di attrattore caotico.
Possiamo immaginare un esempio di attrattore caotico come un sistema - in cui sono presenti due
tendenze opposte, Da una parte vi è una instabilità del moto che segue le traiettorie che si
allontanano a spirale dal punto fisso situato nell’origine del sistema, nel nostro caso dal potere
accentrato, che rappresenta lo stato stazionario, di equilibrio. Nel caso di Oticon le traiettorie che
portano dal potere accentrato all’organizzazione cellulare, fuori dall’equilibrio. Nello stesso tempo,
però, le traiettorie che si allontanano vengono curvate e immesse nuovamente nelle vicinanze dello
stato stazionario. Nel caso di Oticon, vi è il ritorno alle organizzazioni a matrice ( Nicolis G. Fisica
dei sistemi lontani dall’equilibrio e auto-organizzazione, in Davies P. La nuova fisica, Torino 1992,
p 329 ss)

Bibliografia
Warnecke Die fraktale Fabrik Revolution der Unternehmenskultur, 1992 pp. 128-130;
Eugenio Bastianon Come organizzare una fabbrica secondo un modello geometrico, in “Sistemi &
Impresa”n. 8, 2007 p. 40 ss.
De Toni et Alii Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali
2011
Morieux Y. Tollman P. Smart simplicity. Sei regole per gestire la complessità senza diventare
complicati, Milano 2015

87
De Toni et Alii Auto-organizzazioni, Venezia 2011, p. 230
88
Antonello Bove Project Management: la metodologia dei 12 step, Come applicarla in tempo reale per gestire con
successo piccoli e grandi progetti, Milano 2008, p.255
46
Teoria Note Paradigma
SCIENZA
Bohr Principi di Potere Complessità
complementarit distribuito tra come coesistenza
àe teorie diverse degli opposti
corrispondenza e confliggenti

Sapere
distribuito e
gestione della
complessità
nelle imprese
Peirce Verità costruite Interazione tra Costruttivismo
e riconosciute diversi saperi come
dalla comunità Importanza valorizzazione di
dell’etica nelle una pluralità di
imprese soggetti
(Mintzberg)
POLITICA
Popper Società aperta Principio Falsificazionism
per epistemologic o politico come
salvaguardare la o analogo al principio della
distribuzione principio di distribuzione
democratica del falsificazione democratica del
potere. scientifico potere
Tutte le forme
politiche
devono ritenersi
falsificabili.
Distribuzione
aperta potere
nelle
organizzazioni,
fatto salvo il
principio di
proprietà

Giuseppe il nutritore Gerarchia e Un nuovo Distribuzione del


creazione di una potere per una potere a
nuova nuova politica mulinello:
amministrazione economica: un rimane il centro
entusiasta del esempio di
nuovo relazione tra
strategia e
forme
organizzative

ORGANIZZAZIONI
47
Oticon Criticità auto- Da L’aumento del
organizzata del organizzazione potere distribuito
potere cellulare a porta fuori
Attrattore organizzazione equilibrio
caotico a matrice l’organizzazione
che regredisce a
gerarchica
Unicredito Distribuzione a Da L’aumento del
mulinelllo del organizzazione potere distribuito
potere: rimane funzionale a aumenta le
evidente il multi- prestazioni della
cebtro divisionale organizzazione
Warnecke Organizzazzion Auto-
e frattale similarità
InterLodge Autonomia e Creare nuove L’aumento del
GrandeMart cooperazione fonti di potere potere delle
persone favorisce
la loro
cooperazione

CAPITOLO 4 COESISTENZA DI GERARCHIA E AUTOORGANIZZAZIONE:


QUANDO LA POLITICA PUÒ ISTRUIRE LE IMPRESE

La coesistenza di potere accentrato e distribuito nel sapere


Kuhn: l’emergenza e la costituzione in sistema dei paradigmi
La complessità dell’approccio sui modi di costruzione delle teorie scientifiche e sui motivi che le
rendono così resistenti anche alla invalidazione proposta da Imre Lakatos convince Thomas Kuhn
(1922-1996) del fatto che, per spiegare le rivoluzioni scientifiche, i cambi di teorie, non bisogna
seguire solo la storia interna della scienza, ma anche quella esterna. Per questo introduce il concetto
di paradigma89. Di paradigma, Kuhn offre diverse definizioni. Noi ne proponiamo due:

 paradigma metafisico: è l’insieme delle credenze condivise da un gruppo, anche di carattere


religioso, che viene adottato più per fede che sulla base di prove, avendo fiducia nelle
possibilità future,
 paradigma metodologico: le conquiste scientifiche universalmente riconosciute le quali, per
un certo periodo, forniscono un modello accettabile di soluzione dei problemi a coloro che
praticano un certo campo di ricerca90
Pensiamo al concetto di atomo, nato nella filosofia greca del IV secolo avanti Cristo, ed alla fortuna
che esso ha avuto, con significati diversi, nelle scienze moderne – il corpuscolarismo del 1600-
1700: Cartesio e Newton - e contemporanee: fisica atomica
Il formarsi di un paradigma è processo non lineare ed articolato, che, possiamo delineare in 3 fasi:
1) presenza di teorie diverse e frammentarie, non riconducibili ad alcuna articolazione unitaria
2) emersione del paradigma capace di polarizzare in modo unitario teorie anche diverse

89
T. Kuhn La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi Torino 1978
90
Ivi pp. 213 ss.
48
3) formazione di un “programma di ricerca” unitario91
Come si vede il paradigma è fatto di auto-organizzazione che, alla fine, trova un principio
gerarchico, capace di costruire il sistema
È sempre la luce a fornircene un esempio.
1 fase: Prima dell’affermarsi del paradigma corpuscolare, le teorie sulla luce sono tutte
frammentarie e diverse, non in grado di riferirsi ad un paradigma universalmente
riconosciuto. In questo modo anche i metodi di ricerca finiscono per essere confusi e
non confrontabili nei risultati
2 fase: La situazione cambia, appunto, con l’affermarsi del paradigma corpuscolare: i diversi
ricercatori – Watson, Franklin...- hanno teorie diverse, ma tutte riconducibili, appunto, al
corpuscolarismo
3 fase : per questo la ricerca si sviluppa in modo più ordinato e coerente, permettendo l’approdo
newtoniano
Proprio per la sua natura, uno stesso paradigma, una volta stabilizzato nella comunità dei
ricercatori, può essere la matrice di partenza e il punto di riferimento di scienze diverse.
Alcuni esempi:

 entropia: fisica, termochimica, biologia, teoria della mente, economia


 equilibrio: fisica, chimica, biologia, economia ….:
 ibridazione: matematica, fisica, biologia, neuroscienze
 complessità: chimica, fisica, biologia, economia, informatica
Questo significa che le reti concettuali formate da un sapere possono essere modelli euristici per la
costruzione di saperi fondati sullo stesso paradigma
Il passaggio della comunità degli scienziati e della cultura più ampia da una teoria scientifica ad
un’altra si dà allora come rivoluzione scientifica ed avviene quando cambiano i paradigmi, non per
integrazione/modifica dei paradigmi esistenti, come, alla fine, ipotizzano Popper e Lakatos.
Due esempi di cambiamenti di paradigmi,e quindi, di rivoluzioni scientifiche sono i passaggi:
 dalla teoria corpuscolare della luce di Newton (XVIII sec.) alla teoria della luce come movimento
ondulatorio (Young e Fresnel, XIX secolo)
 dalla teoria ondulatoria alla teoria fotonica della luce (Planck, Einstein, XX secolo)
Non tutti i cambiamenti di paradigma avvengono però in modo lineare e trasparente: per questo
Kuhn, a proposito del cambio di paradigma, usa la metafora della “conversione”.
Non ci sono, infatti, motivi scientifici ben definiti e sicuri – interni alla scienza, al suo metodo, alle
sue argomentazioni - che portano un paradigma a prevalere su un altro.
Un paradigma prevale su un altro perché, per motivi diversi e anche inattesi, si afferma
nell’opinione pubblica scientifica, specializzata e non
Due esempi:
 la teoria ondulatoria della luce sostituisce quella corpuscolare quando quest’ultima, in termini
popperiani, è ancora più “informativa”sulla realtà che non la nuova teoria: Fresnel, con un successo
più di impatto emotivo che concreto, secondo Kuhn, riesce ad assumere all’interno della teoria
ondulatoria una ricerca di un suo oppositore.
 l’eliocentrismo, ancora, si afferma sul geocentrismo anche perché il 1500 vede un vasto diffondersi
di culti misterici riferiti al sole.
Noi possiamo osservare, a questo proposito che Wolfgang Pauli (1900-1958: uno dei grandi della
fisica contemporanea) mostra che lo stesso Keplero era un attento lettore e seguace del
medico/astrologo Paracelso
La quasi nozione

91
Ivi p. 113
49
Appartiene a Kuhn anche il concetto di quasi-nozione92. Le quasi nozioni sono concetti formati
sulla base della domanda simili a che cosa? in quanto non ancora ben definiti nei loro specifici tratti
distintivi. La quasi-nozione si forma, molto spesso, sulla base di fici d’azione. È il caso del bambino
che non sa definire la madre ma la riconosce per le azioni con le quali costantemente entra in
relazione con lui. Per questo il bambino sa distinguerla dalla sorella. Come il paradigma, la quasi
nozione è un sapere colto ancora nella sua fase emergenziale, quando il concetto non ha ancora
affermato su di esso il proprio potere definitorio e argomentativo
Mintzberg mostra bene l’importanza dei paradigmi di riferimento interni ed esterni all’impresa
(1991 p. 93, 131 ss). Gli stessi processi di cambiamento strategico sono definiti secondo paradigmi
scientifici: caos, evoluzione quantistica, con evidente riferimento, in questo caso, alle ricerche del
biologo evolutivo Stephen Jay Gould (1991 29 ss; 350 ss; Gould S.J. L’equilibrio punteggiato,
Torino 2008)

Le organizzazioni politiche
Adriano: un modello modulare di potere
Ci soffermiamo sulla figura dell’imperatore Adriano nella consapevolezza che, anche grazie al
processo interpretativo a cui è inevitabile attingere per fonti tanto lontane, il passato è molto meno
passato di quanto si possa credere. L’impero romano, ad esempio, rappresenta per alcuni il più
riuscito esempio di governo sovrannazionale della storia93. Per rendere ancora di più articolata la
lettura di quanto la narrazione ci offre delle strategie di Adriano vale la pena ricordare
l’insegnamento di von Clausewitz: la guerra è solo la continuazione della politica ( Karl von
Klausewitz Della guerra, Milano 2005, p. 38) Nel nostro caso: la guerra può essere la metafora di
politiche/strategie verticali di governo per la riduzione della complessità e della distribuzione del
potere che essa comporta, in vista della criticità auto-organizzata del potere

Le capability di Adriano nel governo della complessità


La coesistenza di gerarchia e auto-organizzazione nel governo di una organizzazione complessa e le
capability necessaria per governarla è ben narrata da Marguerite Yourcenar nelle memorie
dell’imperatore Adriano
L’autore
Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour (Bruxelles, 8 giugno
1903 – Mount Desert, 17 dicembre 1987), è stata una scrittrice francese. È stata la prima donna
eletta alla Académie française. Nei suoi libri sono frequenti i temi esistenzialistici nella tensione
all’attualizzazione della storia (Jacobitti 2000, p. 166)
L’opera
Nelle “Memorie di Adriano”(1951, Einaudi, Torino 1988) riscrive in forma romanzata di memoria
personale dell’imperatore Adriano alcuni dei capisaldi dell’archeologia e della storiografia sulle
scelte politiche e strategiche dello stesso imperatore Adriano nella successione a Traiano tra il 117 e
il 138 d.C. É quindi un romanzo e, nello stesso tempo, un saggio storico. Noi la ripercorreremo in
alcuni dei suoi temi fondamentali.

Interventi sulle realtà locali e sulla complessità esterna in vista dell’auto-organizzazione


Adriano enuncia la vision che permette la comprensione unitaria della complessità: humanitas,
felicitas, libertas (Yourcenar 1988 p. 107).
Adriano vuole innanzitutto regolare la complessità interna dell’impero (De Toni et Alii Il dilemma
della complessità 2015 p.39). Per questo intavola “nuovi negoziati, ormai alla luce del sole –
facendo- diffondere per ogni dove la voce che Traiano stesso me ne aveva affidato l’incarico prima

92
Kuhn propone questo concetto nel suo intervento al Colloquio internazionale di filosofia della scienza, tenuto al
Bedford College, Regent’s Park, Londra 11-17 luglio 1965.
93
Luttwak E. La grande strategia dell’impero romano, Milano 2009
50
di morire”. A seguito di questi negoziati “cancellai con un tratto di penna le annessioni della
Mesopotamia dove in ogni caso non avremmo potuto restare “perché troppo pericolosa, difficile da
governare”, ma anche dell’Armenia, troppo eccentrica e lontana che serbai solo al rango di Stato
vassallo di stato vassallo”. Qui due o tre situazioni “un po’ spinose, che avrebbero fatto durare per
anni una conferenza di pace furono appianate grazie all’abilità del mercante Opramoas, il quale
godeva la fiducia dei satrapi. Cercai d’infondere, nell’avviare i negoziati, quell’ardore che altri
riserva al campo di battaglia: forzai la pace. Il mio competitore, d’altra parte, la anelava quanto me -
per- riaprire le loro strade ai grossi traffici tra India e noi”(Yourcenar 1988 p. 93). .
Mantiene, invece, la Dacia per non creare fratture con le politiche di Traiano (Yourcenar 1988 p.
95).
Sempre la necessità di governare la complessità interna dell’impero motiva Adriano all’uso della
forza. In Egitto, infatti, Adriano usa la forza: “la febbre della ribellione era stata così violenta che
era stato necessario reclutare in tutta fretta una milizia tra i contadini, in attesa delle nostre truppe di
rinforzo. Incaricai immediatamente Marcio Turbo di ristabilire l’ordine in quelle contrade, ed egli lo
fece con saggia fermezza.” Vi è, però, insieme, la sensibilità pacificatrice: “non mi bastava l’ordine
per le strade; volevo, se possibile, ristabilirlo negli animi, o meglio, farcelo regnare per la prima
volta “(Yourcenar 1988 p.93 -94).
Anche in Mauretania Adriano stabilizza la situazione con la repressione militare, in quanto vi sono
agenti di una fazione a lui ostile che “fomentavano disordini” (Yourcenar 1988 p. 95).
L’imperatore è, infatti, ben consapevole che il cambio della guardia al governo dell’impero esige
anche la forza (Yourcenar 1988 p.98).
L’intervento sulle realtà locali serve ad Adriano anche per governare la complessità esterna.
Adriano, infatti, riforma la Britannia perché diventi riferimento di un più ampio stato atlantico dal
Reno al Tamigi proteggendolo da scorrerie esterne con una muraglia in modo da: a) permetterne lo
sviluppo; b) promuovere l’arrivo verso i confini dell’impero di popolazioni interessate allo sviluppo
e al benessere (Yourcenar 1988 p. 130 ss; De Toni 2015 p. 38-39)
Adriano è anche attento alla stabilizzazione della situazione politica a Roma, seguendo il principio
che bisogna saper usare sia la trattativa sia la forza. Così ordina di colpire duramente i nemici
politici ma sceglie anche nuovi collaboratori, capaci di mediazione e di consolidare il consenso
(Yourcenar 1988 p. 96.104).
Questo gli consente anche di continuare nella sua scelta di governare viaggiando per tutto l’impero,
portando il potere il più possibile vicino alle criticità e passando dal controllo alla supervisione
(Yourcenar 1988 pg. 105, De Toni et Alii Auto-organizzazioni 2011p.116)

Adriano interviene su cultura e struttura organizzativa ed economiche


Il governo della cultura
Adriano interviene poi sulla ceultura dell’impero, in tutti i suoi aspetti. Innanzitutto come governo
delle istituzioni culturali. Se è il “disgusto per la vita di città” a muovere Adriano a strategie
pacificatrici in Asia minore, in Grecia è il suo amore per la cultura greca e per Atene in particolare,
Ritiene, tuttavia, che solo la concretezza di Roma aveva potuto “trasformare in realtà ciò che in
Grecia restava solo mirabile intuizione dello spirito” Solo Roma ha saputo trasformare in realtà
“l’idea del giusto elaborata da Platone nella Repubblica”. Per questo Adriano favorisce la revisione
della costituzione ateniese:”per quanto possibile mi rifacevo alle antiche leggi democratiche di
Clistene. Qualche fondazione universitaria aiutò Atene a tornare a essere un importante centro di
studi (Yourcenar 1988 p. 211; sulla funzione delle università: De Toni A lezione di disobbedienza
in “il Friuli Business” febbraio 2016; De Toni Più si usa, più cresce, Ottobre 2014) Qui Adriano
sembra concepire l’impero come una organizzazione circolare, con una pluralità di centri capaci di
fare dell’impero un network.
Vi è poi il governo della cultura come governo dei paradigmi fondamentali di tipo ideale che
mantengono l’unità dell’impero. È il caso di Israele dove Adriano usa in modo forte la repressione
militare. Per l’imperatore è incomprensibile che un popolo abbia l’arroganza di pretendere “di
51
contenere la verità intera nei limiti angusti d’una sola concezione divina ; non v’è altro dio che
abbia ispirato ai suoi fedeli disprezzo ed odio per coloro che pregano ad altri altari”, In questo modo
la convivenza con i popoli vicini è molto difficile, mentre Adriano vuole che Gerusalemme sia “una
città come le altre, dove possano coesistere in pace più culti e più razze”(Yourcenar 1988, p. 221-
223), Appartiene, infine, al governo della cultura dell’impero come governo dei paradigmi ideali
comuni, anche la convinzione che occorra prevenire le criticità delle questioni sociali: schiavitù,
donna, equità. Sulla schiavitù, pensa che nessun sistema filosofico riuscirà mai a sopprimerla. Sulle
donne ritiene che esse “siano sottoposte e protette allo stesso tempo, deboli e potenti, troppo
disprezzate e troppo rispettate. Sull’equità afferma che “una parte dei nostri mali dipende dal fatto
che troppi uomini sono oltraggiosamente ricchi o disperatamente poveri”(Yourcenar 1988 p. 110
ss).
Il governo delle strutture organizzative ed economiche
Adriano interviene, poi, per ridurre la complessità organizzativa e gerarchica dell’impero,
alleviandone anche le spese ( De Toni 2015 p. 39). Per questo riduce il numero di funzionari e
semplifica le procedure amministrative, “lasciata per secoli alla mercé dei pretori”. Sempre per
questo promulga l’Editto perpetuo che regola la situazione amministrativa dell’Italia “una volta per
tutte”, armonizzando l’autonomia delle città con le esigenze e le tradizioni di Roma (Yourcenar
1988 p. 213),
Adriano vuole anche superare le difficoltà di governare provocata dalla burocratizzazione: ho
trascorso una parte della mia vita e dei miei viaggi a scegliere i capi di una burocrazia nuova, a
esercitarli, e adeguare con il maggior fiuto possibile le capacità alle mansioni (Yourcenar 1988 p.
116). Adriano accompagna tutto questo con imponenti interventi sulle reti di comunicazione, in
modo da cogliere lo spirito dei tempi (Yourcenar 1988 p. 121).
Vede, infine, la necessità di superare la contraddittorietà delle leggi, anche sulla base della
convinzione della scarsa efficacia delle leggi stesse: “se troppo dure, si trasgrediscono, e con
ragione. Se troppo complicate, l’ingegnosità umana riesce facilmente a insinuarsi entro le maglie di
questa massa fragile, che striscia sul fondo….La maggior parte delle nostre leggi penali non
raggiungono che un’esigua parte dei colpevoli; quelle civili non saranno mai tanto duttili da
adattarsi all’immensa e fluida varietà dei fatti”(Yourcenar 1988 p.109).
Dal punto di vista dell’intervento sulle strutture economiche, in Asia Minore, Adriano interviene sui
prodotti promuovendo la riforma agraria: “detti l’ultimo tocco alla lunga e complessa
riorganizzazione dei possedimenti imperiali; i contadini ne furono avvantaggiati ed anche lo
stato”(Yourcenar 1988 p.203. De Toni 2015 p. 38),
Per molti aspetti Adriano sembra realizzare un modello modulare di potere: un principio gerarchico
capace di promuovere l’auto-organizzazione

Le organizzazioni industriali
La dimensione strutturale del potere modulare
La dimensione strutturale della coesistenza tra potere accentrato e potere distribuito appare evidente
nel momento in cui si afferma che la distribuzione e l’allargamento del potere è compito
fondamentale del potere centrale 94 . Il potere orizzontale è tanto più significativo quanto più il
potere centrale è in grado di governarlo e di farlo interagire95
Il caso SMH; le strategie lean del potere centrale per governare il potere distribuito
Il caso SMH ci guiderà all’interno di questo equilibrio. Nel 1983 l’industria svizzera degli orologi è
in crisi per l’attacco a cui la sottopone la concorrenza giapponese.
Per questo le due aziende leader della orologeria svizzera - SSIH ( Societé Suisse pour l’Industrie
Horlogére), che comprende, tra l’altro il marchio Omega, e Asuag, che comprende, tra l’altro, il

94
Porter 1987 p. 443
95
Porter 1987 p. 443
52
marchio Longines – decidono un cambiamento radicale. Convergono sul fatto che solo una nuova
impresa nata dalla fusione tra le due aziende può sviluppare le strategie utili a sostenere la
competizione giapponese. Nasce così la SMH: Swiss Corporation for Microelectronics and
Watchmaking Industries Limited.
La SMH giunge in questo modo a comprendere nove marchi, tra i quali: Omega, Longines, Rado,
Tissot, Swatch, Hamilton, Certina, Blancplain, per un totale di 211 centri di profitto (Rebora 2001,
p.188 ss). che, con le competenze proprie di ciascun marchio assicura una notevole differenziazione
di prodotto (Rebora 2001, p. 189; Porter 1987, pp. 139 ss);
 la competizione sul lusso, assicurata in particolare dal marchio Blancplain (Rebora 2001, p. 189.);
 l’innovazione, assicurata in particolare da Swatch (Rebora 2001, p. 189, Barney 2006, p. 207 ss.);
 la quantità di prodotto, assicurata dalla capacità della coalizione di competere con i giapponesi sul
mercato di Hong Kong sulla quantità di movimenti da orologi da 5 dollari (Rebora 2001, p. 189).

La complessità in SMH
Il modello organizzativo che SMH si dà è quasi una organizzazione frattale, nella quale tutte le
unità di business godono ampia autonomia, secondo i principi di auto/organizzazione e
auto/conformazione (E. Bastianon 8/2007, p. 40 ss. ).
I 9 marchi, infatti, condividono solo il centro produttivo dei sistemi di movimento. Per il resto ogni
marchio può impostare strategie competitive quasi del tutto autonome. Possono competere su
mercati diversi ma anche trovarsi a competere sullo stesso mercato per lo stesso tipo di prodotto:
“conflitto di obiettivi” lo chiama Hayek ( Rebora 2001, p. 189).
In questo modo l’evoluzione organizzativa e strategica di un marchio comporta l’evoluzione
organizzativa e strategica degli altri marchi.
SMH, tuttavia, è una organizzazione con evidenti potenziali di criticità interna. Per almeno due
ragioni. La prima è la complessità della coesistenza all’interno della stessa organizzazione di nove
marchi e 211 centri di profitto con tempi e modi di sviluppo molto probabilmente diversi, in
relazione alla diversità dei mercati e dei contesti culturali, sociali, politici in cui operano (Rebora
2001, p. 274 s.). La questione è: come regolare i tempi di questa coevoluzione? E’ un problema che
può diventare significativo se consideriamo che le strategie e le organizzazioni plurali dei nove
marchi devono comunque fare riferimento alla unicità del centro di produzione dei movimenti. La
seconda è riconosciuta dallo stesso Nicolas Hayek, che la guida. All’interno della coalizione vi sono
marchi – ipotizziamo Omega e Longines – che possono trovarsi a competere sullo stesso mercato
per lo stesso tipo di prodotto secondo il “conflitto di obiettivi” definito da Hayek ( Rebora 2001, p.
189), anche considerando il fatto che alcuni marchi potrebbero avanzare istanze del tutto particolari
in quanto assicurano vantaggi competitivi del tutto specifici, che nessun altro marchio è in grado di
assicurare. Pensiamo a Blancplain nel settore del lusso e Swatch per quanto riguarda l’innovazione
Il change management delle dinamiche coevolutive
Analizziamo come SMH gestisce i movimenti di continua coevoluzione, articolata anche sul
conflitto di obiettivi
SMH si dà, per questo, una governance “ leggera”, composta da due organismi di coordinamento
che elaborano linee comuni generalissime e monitorano l’andamento complessivo, senza però,
interferire nelle politiche di competizione di ciascun marchio. Accanto al vertice, c’è, innanzi tutto
un Enlarged Group Management Board di 16 membri, che sono i diretti responsabili delle unità di
business dell’azienda. Vi è poi un esecutivo più ristretto di 7 membri, scelti tra i 16, che costituisce
il massimo organismo di gestione. I sedici dirigenti si riuniscono una volta al mese, per: a)
scambiarsi informazioni sull’andamento dei mercati chiave, b) appianare eventuali controversie tra
unità di business in concorrenza, formulare un aggiornato “schema di gioco” dell’impresa. (Rebora
2001, p 192 ss.).
Dal punto di vista delle teorie della complessità gli equilibri competitivi che si creano, evolvono, si
consumano e si rigenerano all’interno del sistema SMH sono riconducibili al modello della
coevoluzione di un sistema di agenti autonomi di tipo evolutivo. Lo sviluppo del fitness di un
53
agente comporta la modifica del fitness ( Kauffman 2005, p. 255 ss.) anche degli altri agenti. In
questo modo l’innovazione strategica prodottasi in una unità di business, con tutto quanto essa
comporta anche a livello di organizzazione, può diffondersi e indurre evoluzione anche nelle altre
unità di business grazie ai meccanismi di adattamento-evoluzione intrinseci all’auto/organizzazione.
E quindi, probabilmente, il processo conoscerà molti eventi di piccola entità e pochi eventi di
grande entità (E. Bastianon 2006, p. 18-19; S. Kauffman 2005, p. 255 ss)

SCIENZA Paradigmi Note particolari


Kuhn I paradigmi Teorie emergenti e principi
gerarchici di sistema
Importanza paradigmi interni
ed esterni all’impresa
(Mintzberg)
La quasi nozione di Kuhn
ricorda la razionalità limitata
nelle imprese
ORGANIZZAZIONE
POLITICA
Adriano Impero romano Potere modulare: Gerarchia e
auto-organizzazione. Abbiamo
trovato l’auto-organizzazione
anche nelle imprese cellulari e
frattaliche

IMPRESE
SMH Gerarchia e libertà strategica Complessità, paradigma già
dei manager emerso nei sistemi a potere
distribuito e nelle teorie di
Bohr

Bibliografia
Likert R. Il fattore umano nelle organizzazioni, Milano 1971
Porter M.E. Il vantaggio competitivo, 1987
Rebora G. Manuale di organizzazione aziendale, Carocci, Roma 2001
Kauffman S., Esplorazioni evolutive, Einaudi, Torino 2005
Bastianon E. Come organizzare una fabbrica secondo un modello geometrico, in Sistemi & Impresa
n.8, 2007

CONCLUSIONI
Potere modulare e strategie statistiche per il governo dell’aumento del potere

Le acquisizioni della ricerca

54
La nostra ricerca è partita proponendo una definizione di potere utile a definire il potere nelle
organizzazioni.
Nel suo svolgersi, però, è giunta a evidenziare una dimensione ancora più radicale del potere. Il
caso Oticon ci ha portato in qualche modo a scoprire il potere come codice genetico delle
organizzazioni. Vale la pena approfondire questa dimensione anche tenendo conto dei punti di
contatto che la nostra ricerca ha di volta in volta evidenziato tra i tre diversi sistemi
Il secondo elemento che merita di essere evidenziato è che la necessità che il significato
manageriale di potere ha conosciuto nel nostro lavoro di interagire con altri significati di potere può
avere in realtà fatto dello stesso significato un centro di aggregazione inedito di oggetti cognitivi,
sottraendoli ai loro originali centri di polarizzazioni. In questo modo si è attivato un ulteriore
efficace canale di comunicazione tra i sistemi attraverso il quale gli stessi oggetti di un sistema
possono transitare agli altri sistemi. In pratica possiamo far transitare da un sistema all’altro il
concetto di potere, in sintonia, del resto, con il principio di isomorfismo dei sistemi

Il nostro modello di potere nelle organizzazioni

L’aumento necessario del potere


Il punto di partenza delle nostre affermazioni è il teorema di Ashby. Il teorema di Asby sulla varietà
necessaria afferma, come abbiamo già ricordato, afferma che per governare un sistema complesso
occorre avere una complessità, intesa come varietà di possibili comportamenti simile o superiore a
tale sistema- Noi, a proposito del potere, integriamo la regola di Ashby affermando non solo che in
una organizzazione il potere deve aumentare fino a quanto è utile e necessario per controllare
l’organizzazione ma anche che il potere non deve aumentare al di là di questa soglia
La criticità auto-organizzata del potere
Definiamo ampiamente il concetto di criticità auto-organizzata.
L'esempio canonico di criticità auto-organizzata è una montagna di sabbia. Essa esibisce un
comportamento ad "equilibri punteggiati". Vi sono, cioè, periodi di stasi, nei quali la montagna di
sabbia è in grado di governare l’introduzione di altra sabbia distribuendola in modo ordinato lungo
tutta la parete. Se, però, l’introduzione di sabbia continua oltre una certa soglia si verificano vere e
proprie valanghe. I franamenti di sabbia, o valanghe, sono causate da un effetto domino, nel quale
un singolo granello di sabbia interagisce con altri granelli in una reazione a catena. Le grandi
valanghe non sono cambiamenti graduali, come le distribuzioni di sabbia lungo le pareti della
montagna precedenti, ma comportano un cambiamento qualitativo: la montagna di sabbia crolla, si
appiattisce, perde la sua forma. È la catastrofe da errore, che, nel nostro caso, è la catastrofe da
errore per eccesso di introduzione di potere nelle organizzazioni
Al di sopra di questo livello, infatti, può generarsi, secondo il principio della criticità auto-
organizzata, un crollo del sistema, per esempio, per conflittualità o collusione tra manager
all’interno del potere 96
Ricordando quanto abbiamo detto analizzando il caso Unicredit – “comune a tutte le banche a
struttura multidivisionale è la tendenza a rafforzare le funzioni accentrate quanto più si sviluppa la
diversificazione” – possiamo ipotizzare che la criticità auto-organizzata sia in relazione con il tipo

82 Ashby Ross An introduction to Cybernetics 1956 cfr Le Moigne Progettazione della complessità e complessità della
progettazione, in Bocchi , Ceruti ( a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 pp. 86 ss ; Kauffman S .Esplorazioni
evolutive Torino 2005, p. 244 ss. Morieux, Tollman, 2015 p. 43 ss; Eugenio Bastianon Come organizzare una fabbrica
secondo un modello geometrico, 2007, p.44
55
di impresa e di responsabilità che l’impresa ha verso i propri clienti e verso il contesto sociale ed
economico più ampio. Nel corso del nostro lavoro abbiamo esaminato entrambi questi casi
Analizziamo il principio in tutte le sue articolazioni.
Modelli di potere compatibili con la criticità auto-organizzata
In analogia con il teorema di Ashby noi affermiamo che in assenza di una quantità e varietà
necessaria di potere non vi è organizzazione.
A partire da questa soglia, la quantità e la varietà del potere cominciano a crescere in un percorso
che possiamo sintetizzare in tre modelli, non necessariamente collegati da un processo evolutivo:
 potere gerarchico: hard
 potere illuminato: ricorsivo- a mulinello
 auto-organizzazione: potere soft.
Caratterizziamo queste tre forme di potere.
Il potere gerarchico, come nel caso del Ministero della marina militare italiano durante la seconda
guerra mondiale, è il potere esclusivamente verticale, nel quale la performance è una conseguenza
diretta delle istruzioni fornite ai membri di un’organizzazione e degli incentivi loro assegnati,
secondo il modello hard dell’organizzazione97.
Il potere illuminato è il potere che avvia un circolo auto-rinforzante in modo tale da articolarsi,
distribuendo il potere, ma, come in un mulinello, rimanendo sempre al centro del sistema stesso del
potere, come nel caso UniCredit. Potremmo definirlo il modello ricorsivo, a mulinello, del potere98.
Il potere auto-organizzato, come nel caso delle organizzazioni cellulari, oloniche, a frattale è
l’assetto gerarchico che si limita a svolgere quella che la teoria della complessità di Shannon
definisce “funzione osservatore” nella valutazione della complessità 99 , fidando per il resto
nell’efficacia della cooperazione tra tutti i numerosi manager che si muovono nella organizzazione,
secondo il modello soft dell’organizzazione100. I rischi sono evidenti. La cooperazione tra manager
può degenerare in collusione e quindi nella incapacità dei manager di attivare all’interno
dell’organizzazione i necessari processi di controllo degli obiettivi101.
Dalla criticità auto-organizzata del potere al potere caotico
Il caso Oticon dimostra proprio questo; la crescita della quantità e della varietà del potere non può
essere indefinita. Essa, infatti, sembra raggiungere, con la forma del potere auto-organizzato la
soglia della criticità auto-organizzata, la soglia, cioè, oltre la quale nella organizzazione non può
essere immesso altro potere, se non correndo il rischio che l’organizzazione perda la propria forma,
cadendo nel potere caotico 102 . Per questo regredisce nella forma a matrice. Ci sembra che
Kauffman giunga a questa stessa conclusione nella sua distinzione tra reti che, nella perturbazione,
rimangono critiche e reti che, invece, diventano caotiche103
A catalizzare le dinamiche caotiche del potere possono essere:

97
Morieux, Tollman Smart semplicity 2015, p. 40
98
De Toni La gerarchia illuminata, ilFRIULI Business, gennaio 206
99
Shannon C. Weaver W. The Mathematical Theory of Communication 1949, cfr. Atlan H. Complessità, disordine, e
autocreazione del significato, in Bocchi, Ceruti (a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 p. 166 s; Le Moigne
Progettazione della complessità e complessità della progettazione, in Bocchi , Ceruti ( a cura) La sfida della
complessità, Milano 1985 pp. 86 ss.
100
Atlan H. Complessità, disordine, e autocreazione del significato, in Bocchi, Ceruti (a cura) La sfida della
complessità, Milano 1985 p. 166 s; Le Moigne Progettazione della complessità e complessità della progettazione, in
Bocchi , Ceruti ( a cura) La sfida della complessità, Milano 1985 pp. 86 ss.; Morieux, Tollman Smart Simplicity, 2015
p. 43
101
Morieux, Tollman, 2015 p. 43 ss; Eugenio Bastianon Come organizzare una fabbrica secondo un modello
geometrico, 2007, p.44
102
Kauffman S. Esplorazioni evolutive 2005 p. 244 ss.
103
Kauffman S. Reinventare il sacro, Torino 2010 p.118 ss
56
 la creazione di potere che non raggiunga la massa critica necessaria ad essere produttiva per
l’azienda104;
 la creazione del potere con finalità opportunistiche, finalizzate a produrre consenso interno
ed esterno all’impresa (Mintzberg 1991p. 312), con un nuovo nesso tra teoria del potere e
teoria degli stakeholder;
 il conflitto tra i molti centri di potere, come nel caso dell’industria informatica descritta da
Bove o come nel caso delle organizzazioni politiche105;
 il trasformarsi della cooperazione in collusione che, abbiamo appena osservato riduce i
processi di controllo di efficacia e di efficienza dell’azienda o può, come abbiamo osservato
nella distribuzione del potere a mulinello, bloccare i processi decisionali;
 la collusione tra manager in conflitto con la proprietà: teoria dell’agenzia
Non possiamo inoltre dimenticare che Jensen e Meckling nel 1976 hanno mostrato, nella teoria
dell’agenzia, i rischi di una crescita eccessiva del management. Non necessariamente, infatti, gli
interessi del management coincidono con gli interessi della proprietà106 Del resto proprio alla teoria
dell’agenzia sembra possa esser ricondotto il passaggio di proprietà ai manager della multinazionale
dei rivestimenti di edifici in vetro ed acciaio di Vittorio Veneto Permasteelisa, nel 2002: un
“tradimento”107
Potremmo dire-in sintonia con le argomentazioni del filosofo medievale Guglielmo d’Occam
(1290-1349) sulla necessità di non eccedere nell’introduzione di elementi all’interno degli schemi
interpretativi della creazione divina: gli enti non si devono moltiplicare inutilmente- che il potere
non si deve moltiplicare inutilmente.
In questo modo, superata questa soglia, l’organizzazione può:
 caratterizzarsi per una forma di potere caotico e dissolversi nella catastrofe da errore, come
accade all’industria informatica descritta da Antonello Bove108, concretizzando la rivincita
della gerarchia e dimostrando che le strutture gerarchiche rimangono preminenti nelle
organizzazioni di grandi dimensioni109;
 regredire ad una forma organizzativa precedente e più stabile dal punto di vista degli assetti
di potere: il passaggio dalla forma a cellulare alla forma a matrice nel caso di Oticon;
 esplorare modelli avanzati di cooperazione secondo la logica del possibile adiacente, e cioè
della forma organizzativa più vicina110. Si tratterà con ogni probabilità di modelli fondati su
un sistema modulare e integrato di gerarchia e auto-organizzazione, di centralizzazione e
decentralizzazione, ben rappresentati a nostro avviso dal caso SMH, con i due gruppi di sette
e16 manager che governano, decidendo lo “schema del gioco”, la libertà strategica di tutti i
marchi del gruppo, con relativi conflitti di obiettivi111 . Potremmo chiamarlo un modello
modulare del potere112. Sembra, infatti, che modelli di questo tipo siano gli unici in grado di
affrontare la variabilità delle domande del mercato113
Il modello modulare per il governo statistico dell’aumento del potere: un potere a razionalità
limitata

104
Morieux, Tollman 2015, p.89
105
Mintzberg Management. Mito e realtà, Milano 1991 p 296 ss
106
Jensen, Meckling Theory of the firm. Managerial Behaviour. Agency Costs and Ownership Structure, 1976
107
Gasparoni Serena Il ritorno di Colomban “L’azienda è una figlia” in “La tribuna di Treviso”, 30 luglio 206
108
Antonello Bove Project Management: la metodologia dei 12 step, Come applicarla in tempo reale per gestire con
successo piccoli e grandi progetti, Milano 2008, p.255
109
Kauffman Esplorazioni evolutive, 2005 p. 244, De Toni Rivincita della gerarchia, ilFRIULI Business, Novembre
2015
110
Kauffman S. Esplorazioni evolutive Torino 2005 p. 111
111
Morieux Tollman 2015 p. 94
112
De Toni et Alii Il dilemma della complessità 2015: modularità per integrazione: p. 77
113
Morieux Tollman 2015 p. 94
57
Adriano ci ha introdotto al tema del governo modulare, di un principio gerarchico in grado di
generare potere fino all’auto-organizzazione.
Tentando una formalizzazione teorica della forma modulare integrata di organizzazione del potere
dobbiamo tornare al demone di Maxwell ed alla sua incapacità di misurare gli spostamenti del gas
all’interno del sistema in cui si trova al fine di assicurarne l’equilibrio da cui estrarre lavoro. Questa
incapacità è stata anche il modello che ci ha permesso di interpretare la crescita del potere
inefficiente e lontana dall’equilibrio di Oticon. Ne facciamo in qualche modo una” ipotesi sul
mondo” (Popper) 114 Secondo Kauffman, l’errore del demone di Maxwell è la pretesa di
controllare/governare tutti processi che avvengono nel sistema di gas. Kauffman continua
osservando che il compito del demone sarebbe più efficace nella ricerca degli equilibri da cui
estrarre lavoro, se egli disponesse di un sistema statistico 115 che gli indica quali spostamenti
verificare. In questo modo, l’incremento di capacità di produrre lavoro del sistema di gas in cui si
trova sarebbe crescente e stabile116.
Cosa insegna Likert
Quasi confermando le difficoltà del demone di Maxwell, Likert osserva che nelle organizzazioni
spesso il pendolo sui modi di gestione del potere e delle relazioni avviene in modo
inconsapevole 117 . Non hanno, ad esempio, percezione del passaggio dal profilo 1 al profilo 4.
Abbiamo già ricordato le organizzazioni riconducibili ad un profilo gerarchico (Profilo 1),
rappresentate nel nostro lavoro dal Ministero della marina italiana durante la seconda guerra
mondiale. L’altra polarità possibile del pendolo è rappresentata dalle organizzazioni votate
all’empowerment, riconducibili al profilo 4. Per il profilo 4 abbiamo descritto il caso Taco Bell
Ricordiamo, il profilo 1 delle organizzazioni fondate sulla gerarchia (Likert 1971, p.233 ss.):
 i superiori non hanno fiducia e confidenza nei subordinati, non conoscendone i problemi;
 i subordinati, a loro volta, non hanno fiducia e confidenza nei superiori e sviluppano verso i
superiori comportamenti servili;
 i superiori non hanno comportamenti supportivi e non manifestano empatia verso i propri
collaboratori
 i subordinati hanno paura di discutere di lavoro con i superiori e i superiori cercano raramente le
opinioni dei subordinati sui problemi di lavoro;
 sono scarsissimi i processi di comunicazione interna sugli obiettivi e sullo stato dell’organizzazione
e i subordinati forniscono spesso ai superiori informazioni distorte: in questo modo le decisioni
sono spesso prese in situazione di informazione incompleta ed imperfetta
 la responsabilità per l’organizzazione è presente in modo chiaro e pieno solo ai livelli più alti
dell’organizzazione stessa;
 la motivazione sul lavoro è soprattutto egotista e spesso contraria agli obiettivi dell’organizzazione;
viene attivata soprattutto con la paura e le minacce; le motivazioni sono spesso in conflitto
reciproco;
 le persone non si riconoscono nei valori dell’organizzazione, non si sentono adeguatamente formate
e non sono abituate a lavorare in team e le decisioni sono discusse e prese solo ai livelli più alti;
Vediamo ora il Profilo 4, riconducibile all’empowerment (Likert 1971 pp. 233 ss.):
 c’è confidenza e fiducia complete e reciproche in tutte le questioni tra superiori e subordinati;
 i subordinati si sentono completamente liberi di discutere col superiore del loro lavoro, sia
direttamente sia per via sindacale, e i superiori se ne avvalgono costruttivamente

114
Black M. Modelli Archetipi Metafore, Parma 1983 p. 92
115
L’importanza dei modelli statistici nel governo delle imprese è testimoniata da Anderson, Sweeney, Williams
Statistica per le analisi economico-aziendali, Milano 2010
116
Kauffman S. Esplorazioni evolutive, Torino 2005 p. 120-121
117
Likert 1971 pp. 5-7
58
 a tutti i livelli dell’organizzazione vi è la più completa partecipazione, ampiamente sostenuta: a)
nella determinazione degli obiettivi, nel miglioramento dei metodi, nella valutazione dei progressi
verso gli obiettivi; b) nella responsabilità per la realizzazione di quanto si è deciso;
 la partecipazione si svolge secondo tempi e metodi ben organizzati ed articolati, anche dal punto di
vista della messa a disposizione delle informazioni necessarie ai processi decisori, garantendone la
correttezza;
 i dati di controllo (contabilità, produttività, costi…) sono usati nel comune problem solving e non in
modo punitivo;
 vi è buona soddisfazione in tutta l’organizzazione per l’appartenenza all’organizzazione stessa
Come si vede è uno spostamento non da poco quello che sfugge alla governance dell’impresa.
Il governo statistico
Sulla scia di Kauffman, noi sosteniamo che il compito della componente gerarchica del nostro modello
integrato di governance dell’impresa è quello di creare nuovo potere, misurando statisticamente e
promuovendo solo i processi di creazione del potere che:
 si siano rivelati statisticamente efficaci ed efficienti per le organizzazioni,
 mantengano a livello critico le reti del potere in ogni ambito dell’organizzazione,
 non creino valanghe di altra creazione del potere, quasi in una forma di potere emergente118, rischio
che Taco Bell sa gestire,
 non creino le condizioni per dare luogo alle dinamiche dell’agenzia.

scartando tutti gli altri. Ad esempio sarebbe scartata la crescita di potere che statisticamente si è
dimostrata destinata a non raggiungere i livelli di massa critica che determinano l’utilità del nuovo
potere per l’impresa o puramente opportunistica. Risuona ancora Occam: il potere non si deve
moltiplicare inutilmente.
Immaginiamo per questo un processo in due fasi.
Prima fase. Procedure di benchmarking119 possono individuare, ad esempio, quale sia stata la massa
critica di aumento del potere utile a rendere l’aumento stesso del potere efficace ed efficiente per
l’azienda in altre organizzazioni esemplari, le organizzazioni benchmarkee. Lo stesso procedimento
può essere attivato per tutti gli altri fattori di rischio.
Seconda fase. Piani fattoriali120 mettono in relazione di volta in volta i previsti livelli possibili di
aumento delle figure di potere nell’organizzazione con:
a) le figure di potere già esistenti, in tutta l’organizzazione e nei diversi settori dell’organizzazione
stessa
b) il riassetto complessivo dell’organizzazione che la creazione di nuove figure di potere può
comportare nei diversi settori dell’organizzazione e nell’organizzazione nel suo complesso121.
In questo modo si possono anticipare se la massa di nuovo potere che potrebbe essere creata sarebbe
in linea con le soglie di massa critica individuate dal benchmarkig
In questo modo vi sarebbe un aumento governato di potere e si potrebbe evitare, nello stesso tempo,
il superamento della soglia della criticità auto-organizzata del potere, con lo sconfinamento nell’area
del potere caotico, caratterizzato da collusioni e/o conflitti tra manager. Verrebbe, ad esempio, ridotto
il rischio del “gioco del controllo programmato delle risorse”, e cioè della gestione del potere
finalizzata esclusivamente all’incremento della capacità di controllo dell’organizzazione da parte di
una corrente di manager, uno dei “giochi” che tipicamente caratterizzano le organizzazioni lacerate da
conflitti politici122

118
Kauffman S. Reinventare il sacro, Torino 2010 p. 69 ss
119
Scozzese G. Il benchmarking cit. p.51 ss
120
Montgomery D. Progettazione e analisi degli esperimenti, 2005 p. 4 ss.
121
Bartezzaghi E. L’organizzazione dell’impresa. Processi, Progetti, Conoscenza, Persone, Milano 2010, p. 468-469
122
Mintzberg H. Management. Mito e realtà, Milano 1991 p. 299
59
Anche Bohr, a ben vedere, si muove nell’orizzonte dell’incertezza. Con i suoi principi di
corrispondenza e complementarità mostra, infatti, come le organizzazioni possono individuare, anche
in situazioni di incertezza sui paradigmi di fondo dell’interpretazione della realtà, i principi strategici
e organizzativi che formano il tessuto connettivo e sistemico unitario, nella valorizzazione delle
differenze. Probabilmente anche in questo modo si potrebbe mantenere il potere nella soglia della
criticità auto-organizzata. Pur nella limitatezza dei sistemi statistici e probabilistici, è senza dubbio
utile alle imprese poter formalizzare le proprie strategie123.

L’incertezza è una opportunità

In realtà abbiamo finito per disegnare il profilo di un potere a razionalità limitata, in cui la
governance dell’impresa non dispone di tutti gli strumenti utili e necessari al governo chiaro e distinto
dell’impresa stessa (Rullani La teoria dell’impresa, in Rispoli M. L’ impresa industriale. Economia,
Tecnologia, Management Bologna 1984. p. 38).
Il tema della razionalità limitata può continuare a guidare le nostre riflessioni a partire dalla nostra
ricerca
Dal fallimento della teoria del tutto sulla base dei principi posti dai teoremi di Gödel, le teorie del
management potrebbero apprendere i modi in cui il potere può gestire la complessità e l’indecidibilità
dello scenario strategico con le convenzioni d’azione, valorizzando l’incertezza. La razionalità
limitata in ambito delle strategie di mercato è stata ben definita da Hayek, nel 1945124
Le convenzioni d’azione sono strategie che si sanno imperfette e parziali e che, tuttavia, permettono
di affrontare i nodi posti dallo scenario competitivo e in qualche misura di circoscrivere la
complessità dei processi decisionali successivi. Avendo fissato, infatti, alcuni presupposti hanno
anche ridotto il campo delle opzioni possibili. Abbiamo derivato questo concetto dall’interpretazione
della matematica proposta da Wittgenstein. Secondo Wittgenstein, infatti, la matematica si fonda non
sulla verità ma sull’utilità delle sue convenzioni e delle sue procedure. (Bastianon Semplificare i
processi di decision making per far fronte alla complessità Sviluppo & Organizzazione 2011 pp. 45
ss ; Wittgenstein L. Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Torino 1971, p. 224 ss).
Vale la pena ricordare che è proprio l’incertezza a creare opportunità. L’incertezza, da parte dei
manager, va vista con favore, non temuta. Il potere, ricorda Crozier, è la gestione e la creazione
dell’incertezza125.
Nella stessa direzione si muove il concetto di Kuhn di quasi nozione, affermando il principio che la
conoscenza, nel caso delle imprese: del mercato, viene costruita anche da fasci d’azione, da strategie
giocate in situazione di incertezza.

CONCLUSIONI
La tesi della ricerca: potere modulare e strategie statistiche di aumento del potere fino all’auto-

123
Porter M.Il vantaggio competitivo 1987 pp. 441
124
Hayek K. The use of Knowledge in society , in “American Economic Review” 1945, 35(4), p. 519-530
125
Amram M.. Kulatilaka N. Real options. Strategie d’investimento in un mondo dominato dall’incertezza, Milano
2000, p.14; Crozier M. , Friedberg E. L’Acteur et le Systéme, Editions du Seuil, Paris 1977, 1981
60
organizzazione
L’aumento necessario del potere per l’esistenza dell’organizzazione: regola di Ashby
La criticità auto-organizzata del potere
Tre modelli di potere entro i limiti della criticità auto-organizzata
Dalla criticità auto-organizzata del potere al potere caotico
Il caso Oticon: regressione da organizzazione cellulare a organizzazione a matrice per la ricerca del
possibile adiacente
Perché il potere diventa caotico:
 collusione tra manager
 conflitti tra manager
 teoria dell’agenzia: i manager si coalizzano contro la proprietà: caso Permasteelissa

Il modello modulare del potere: gerarchia e incremento statistico del potere fino all’auto-
organizzazione:
 in analogia con il demone di Maxwell l’organizzazione non sa interpretarsi: Likert
 passaggio al governo statistico: la razionalità limitata
 benchmarking,
 piani fattoriali

 Bohr mostra i vantaggi di poter formalizzare le proprie strategie


 L’incertezza come opportunità: Crozier
 le convenzioni d’azione

61
GLOSSARIO

Codici affettivi

La teoria dei codici affettivi è stata elaborata dallo psicanalista italiano Franco Fornari. Intento di
Fornari è quello di ricercare la specificità epistemologica del pensiero psicoanalitico, e in questo
itinerario di ricerca va collocata anche la teoria dei codici affettivi. La teoria dei codici affettivi è
una teoria dell'ideale dell'Io. Tenta di analizzare quali decisioni affettive vengono prese in funzione
dei sistemi di valori affettivi appunto rappresentati dagli ideali dell'Io. L'inconscio non è tanto la
sede dei desideri, quanto il luogo in cui vengono formulate ipotesi e vengono indicate decisioni,
popolato non già da oggetti parziali come in Freud (seno, pene, feci), ma da oggetti totali, come in
Jung (madre, padre, fratelli), veri "soggetti di decisioni affettive… il padre e la madre dentro di
noi".
Cerchiamo di esemplificare

FAMIGLIA
CODICE PATERNO CODICE MATERNO CODICE
FRATERNO
MASCHILE
Obiettivo Generare figli capaci di Generare figli sereni Autonomia
competere con se stessi
Focus prevalente Attenzione ai risultati Invarianza ai risultati Apprendimento
Azione preminente Premiare in funzione Amare otre i risultati Auto-
dei risultati organizzazione
Capacità chiave Valutare i figli Relazionarsi con i figli interconnessione
Finalità preponderante Incentivare i figli Proteggere i figli
Orientamento Esterno alla famiglia Interno alla famiglia Cambiamento

ORGANIZZAZIONE-
SOCIETÀ
CODICE PATERNO CODICE MATERNO
Obiettivo Creazione di nuovi contesti Condivisione per migliorare il
Produrre valore* contesto
Distribuire valore*
Capacità prevalente Capacità creativa Capacità relazionale

Azione chiave Immaginare il futuro Organizzare il presente


Competizione* Cooperazione*
Effetto ricercato Discontinuità per l’innovazione Continuità per il
miglioramento
Stato desiderato Distruzione creatrice Eccellenza operativa
Orientamento Imprenditoriale Manageriale
Condizione preminente Disordine Ordine
Focus prevalente* Creare Condividere
Le voci segnalate dall’asterisco appartengono ai codici affettivi propri della società, su cui qui non
ci soffermiamo per esteso in quanto di non immediato interesse per la ricerca
62
Bibliografia
Alfio Maggiolini La teoria dei codici affettivi di Franco Fornari Edizioni Unicopli
De Toni A. Il bivio da imboccare, ilFRIULI Business, Marzo 2014

Criticità auto-organizzata

L'esempio canonico di criticità auto-organizzata è una montagna di sabbia. Essa esibisce un


comportamento ad "equilibri punteggiati". Vi sono, cioè, periodi di stasi, nei quali la montagna di
sabbia è in grado di governare l’introduzione di altra sabbia distribuendola in modo ordinato lungo
tutta la parete. Se, però, l’introduzione di sabbia continua oltre una certa soglia si verificano vere e
proprie valanghe. I franamenti di sabbia, o valanghe, sono causate da un effetto domino, nel quale
un singolo granello di sabbia interagisce con altri granelli in una reazione a catena. Le grandi
valanghe non sono cambiamenti graduali, come le distribuzioni di sabbia lungo le pareti della
montagna precedenti, ma comportano un cambiamento qualitativo: la montagna di sabbia crolla, si
appiattisce, perde la sua forma. Se questo scenario del mondo reale è giusto, dobbiamo accettare
l'instabilità e le catastrofi come inevitabili in biologia, nella storia e nell'economia. [...] La criticità
auto-organizzata può essere vista come la giustificazione della teoria delle catastrofi" (Bak 1996,
pag. 32).

Bibliografia

Bak P. The science of self-organized criticality Springer-Verlag 1996


Kauffman S, Esplorazioni evolutive, Torino 2005 pp. 144 ss.
Gould S.J. L’equilibrio punteggiato Torino 2008 p. 287
Thom R. Parabole e catastrofi. Intervista su matematica, scienza e filosofia, Milano, 1980

Teoria generale dei sistemi


Von Bertalanffy formula, a partire dagli anni '40 la sua teoria dei sistemi.
Le caratteristiche fondamentali dei sistemi
I sistemi viventi sono sistemi autopoietici in quanto la loro organizzazione interna è una rete che
produce continuamente se stessi. A livello del suo schema di organizzazione (a livello cioè, della
sua autopoiesi), dunque, il sistema vivente può dirsi chiuso e autonomo (Bertalanffy 2004 p. 71). Il
suo ordine e il suo comportamento non sono determinati da influssi ambientali ma derivano da
processi autonomi di autoorganizzazione. A livello della sua struttura (a livello, cioè, delle
componenti fisiche del sistema), il sistema vivente è invece, aperto (Bertalanffy 2004 p, 221 ss).
Esso interagisce continuamente con l'ambiente, scambiando con esso materia ed energia e
trasformandosi, di conseguenza, sulla base di processi metabolici e di sviluppo. Grazie alla coerente
integrazione di chiusura e di apertura all'ambiente e cioè alla particolare coesistenza di permanenza
e cambiamento, ciascun sistema vivente, ha modo di conservare la propria unità identitaria,
nonostante vada incontro a continui mutamenti fisici, per effetto dell'azione dell'ambiente esterno.
L'idea di chiusura organizzazionale, avanzata dalla teoria di sistemi, si è rivelata ricca di
implicazioni, tanto nel campo delle scienze neurologiche quanto nel campo epistemologico e
filosofico.
Quali sono i sistemi
I sistemi riguardano:
 l’educazione (Bertalanffy 2004 p. 88),
 la biologia (Bertalanffy 2004 pp. 243-285),
63
 le scienze sociali, (Bertalanffy 2004 pp, 285-312),
 la mente e il cervello (Bertalanffy 2004 pp. 313-336),
 la fisica,
 la demografia (Bertalanffy 2004, p. 131)
I sistemi sono isomorfi, si sviluppano, cioè, secondo gli stessi processi (Bertalanffy 2004 p.131). La
teoria dei giochi può essere uno strumento essenziale per lo sviluppo della teoria dei sistemi
(Bertalanffy 2004 p.153)
Bibliografia
Ludwig von Bertalanffy (1969) Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni,
Milano 2004

64

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