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Marco D’Eramo, Dominio.

Relazione

Il libro si apre con il concetto di lotta di classe. Tale categoria è


scomparsa dall’armamentario con cui interpretiamo la realtà
sociale, politica ed economica degli stati moderni. È
impronunciabile, e quindi inutilizzabile (in un dibattito pubblico, una
categoria solamente pensata è inutile).

La seconda considerazione in merito è che quando (e se) pensiamo


alla lotta di classe, pensiamo sempre e solo alla lotta dei dominati
per conquistare condizioni migliori o per rivoluzionare
completamente i rapporti di classe e di produzione. Ma è una
concezione sbagliata.

Già Aristotele distingueva due tipi di lotta di classe. La prima è


quella a cui si pensa generalmente: la lotta di classe di quelli che
sono giuridicamente uguali a quelli che hanno di più, ma hanno di
meno rispetto ai secondi. La seconda, invece, è quella di chi si
ritiene superiore rispetto ai più e perciò vogliono (e si sentono nel
pieno diritto di volere) di più, sia materialmente che giuridicamente.

Quella che si è aperta alla ne degli anni Sessanta del secolo


scorso è una lotta di classe del secondo tipo. Si è trattato prima di
tutto di una guerra ideologica, per la “gramsciana” egemonia nel
pensiero e nella narrazione del mondo. Questa guerra di classe ha
avuto completo successo proprio perché ha conquistato
l’egemonia ideologica. In questo modo ha nascosto se stessa e noi
non ce ne siamo accorti.

Quando si parla di questa guerra di classe, bisogna pensare al


fenomeno non come a un processo positivisticamente oggettivo,
ma a un processo guidato da intenzioni, progetti e piani cazione
consapevole.

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Uno dei successi della vittoriosa guerra ideologica dei capitalisti è,
paradossalmente, il discredito in cui è caduto presso il suo
avversario, la sinistra, il concetto di ideologia. Al contrario, i
protagonisti di questa lotta di classe dall’alto verso il basso
conoscono bene l’importanza dell’ideologia e dell’egemonizzarla.
L’ideologia:

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• dà una interpretazione e spiegazione della condizione in cui un
individuo si trova;

• fornisce un corso d’azione per rimediare a tale condizione;

• mette a disposizione un vocabolario e categorie con cui


comprendere la realtà e la propria condizione;

• costituisce gli individui soli e dispersi in soggetti.

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Lo strumento principe di questa lotta di classe dall’alto verso il
basso sono state (e sono) le fondazioni. All’inizio il campo di azione
delle fondazioni era per lo più quello della bene cienza, poi dagli
anni Settanta del secolo scorso in poi, il concetto si è dilatato
arrivando a coprire l’operato di qualunque ente che eserciti attività
non illegali, anche nanziarie, che non distribuiscono dividendi o
pro tti ai suoi titolari o manager.

Negli USA le donazioni alle fondazioni, il reddito prodotto dal


patrimonio delle fondazioni e il reddito prodotto da vendita di beni
e servizi da parte di una fondazione sono esentasse. Ormai quasi il
90% dei redditi delle organizzazioni bene che USA viene da
guadagni e solo il 10% da donazioni.

Nel piano della lotta per la conquista dell’egemonia ideologica, le


fondazioni hanno seguito la logica dell’impresa che produce la
merce “idea”. Queste merci sono da imporre nel “mercato delle
idee” seguendo la classica strategia in tre fasi: l’investimento in
“materie prime intellettuali” (università), la trasformazione di tali
idee in una “forma più pratica e maneggevole” (think tank) e in ne
la traduzione delle idee trasformate nella fase 2 in “proposte che i
cittadini possano capire e su cui possano agire” (movimenti di
base). In questo processo a tre fasi, le fondazioni curano la
piani cazione e il coordinamento dei vari progetti.

Le fondazioni rappresentano l’espressione delle voci plutocratiche


sul bene comune, laddove sono i benefattori a de nire ciò che è
bene. Insomma: la privatizzazione del bene comune.

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Le idee neoliberiste di fondo imposte dalle fondazioni sono quelle
dello stato minimo (lo stato “guardiano notturno”). Lo strumento
per ottenerlo è la riduzione delle tasse (soprattutto ai ricchi) e il
conseguente taglio ai servizi. Se i tagli ai servizi non intervengono,
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la conseguenza è l’indebitamento dello stato, indebitamento che
imporrà a sua volta il taglio ai servizi. (Naturalmente questo
meccanismo funziona se si pongono come ferme altri due cavalli di
battaglia del pensiero economico neoliberista: le tasse nanziano i
servizi e il debito pubblico va pareggiato).

Legata alla precedente è il dogma che lo stato necessariamente


spende male, mentre le organizzazioni private spendono meglio
perché le loro scelte sono guidate dalle indicazioni del mercato.

Infatti, il mercato si autoregola naturalmente.

Ne emerge il dogma che giusto è ciò che giova al mercato, e che la


razionalità innata del mercato deve plasmare la legge, e che di
contro quest’ultima deve facilitare il mercato. Il calcolo costi-
bene ci si applica a qualsiasi sfera dell’agire umano, anche nel
pensiero giuridico. Questa è la base del pensiero giuridico
neoliberista conosciuto come Law and Economics. Secondo tale
scuola giuridica crimine è ogni azione che fa correre a un individuo
il rischio di essere condannato a una pena: se il rendimento che ci
si aspetta dall’infrangere una legge supera l’utile che si otterrebbe
usando tempo e risorse in altre attività o il rischio di essere punito,
allora il crimine è giusti cato economicamente.

Altro cardine del pensiero neoliberale è la dottrina dell’uomo


razionale (calcolatore), dell’individuo imprenditore di se stesso che
massimizza la propria soddisfazione personale attraverso un
calcolo di costi-bene ci. Si tratta di una nuova visione
antropologica dell’uomo: l’uomo come proprietario della propria
persona o capacità, senza che questa debba nulla alla società. In
questa visione, la società è ridotta a “relazione di scambio tra
proprietari”.

All’interno di questa visione la concorrenza è il modo più e ciente


per l’umanità di organizzarsi socialmente. Ma la concorrenza
produce inevitabilmente disuguaglianza (un vincitore e un vinto). Di
conseguenza il valore dell’equità è incompatibile con l’e cienza e
l’iniquità è il prezzo del progresso e del benessere delle nazioni (ma
la disuguaglianza, dal punto di vista dei dominanti che patrocinano
tale ideologia, è giusta: vedi la distinzione di Aristotele all’inizio
della relazione, ndr).

Anche il concetto di lavoro si trasforma: dal lavoro come merce che


il lavoratore vende sul mercato (come era nel capitalismo
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precedente) al lavoro come reddito che egli ricava dall’investimento
nel suo capitale umano. Tutti i lavoratori diventano liberi
professionisti che prestano un servizio.

L’origine del concetto di capitale umano deriva dalla schiavitù: <<è


con la schiavitù che l’essere umano schiavo si riduce a capitale
economico in senso proprio (può essere comprato, venduto, si può
investire su di esso per farlo rendere di più …). La schiavitù
primordiale è per i neolib l’equivalente di quel che il baratto
originario era per A. Smith.>>

<<… la di erenza cruciale tra una società schiavista e una società


libera non sta nell’esistenza di diritti di proprietà sull’essere umano,
ma su chi può detenere tali diritti. In regime di libertà, ogni persona
ha diritto di proprietà, più o meno sul proprio capitale umano …
Nella società schiavista, invece, un vasto numero di individui è
permanentemente privato del titolo di proprietà sul proprio capitale
umano.>>

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I neoliberisti non vogliono abolire lo stato, ma rimodellarlo per


renderlo funzionale al sistema di libera impresa. Lo stato
neoliberista ha il compito di favorire e regolare i mercati, estendere
a tutti i settori della società il modello di impresa (es. i crediti
universitari, la trasformazione delle USL in Aziende Sanitarie Locali,
la clientelizzazione degli studenti, ecc.), e lui stesso deve
funzionare come un’impresa.

L’azione dello stato deve passare dal governo alla governance:


dalla scelta degli obiettivi alla scelta degli strumenti più economici
per raggiungere obiettivi decisi altrove. Lo stato si con gura
dunque come la maggiore ditta di servizi forniti a tutte le altre ditte.
In uno stato di tal genere, lo scontro politico ha lo scopo di
assumere il controllo aziendale dell’azienda-stato.

L’aumento del potere delle multinazionali non signi ca la


diminuzione del potere dello stato, piuttosto la sua ricon gurazione
al servizio delle multinazionali. Il potere dello stato aumenta
soprattutto nella sfera coercitiva, nel suo ruolo di risolutore dei
problemi suscitati dalle contraddizioni interne al sistema di
produzioni capitalistiche (crisi) e nel suo ruolo giudiziario di
arbitrato.

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Il capitalismo ha imposto una rappresentazione della realtà senza
alternative: l’unica cosa che in un sistema capitalistico non si può
fare è cambiare le regole di funzionamento di tale sistema (realismo
capitalista). In tale realtà si è “liberi” di trovare il metodo e i mezzi
più e caci per eseguire gli “ordini”.

Lo strumento della propaganda non attacca direttamente le


alternative, piuttosto tende a creare un clima pervasivo di timore, di
conformismo, e di semplice disperazione che fa sembrare fantasia
oziosa ogni pensiero di cambiare il mondo (David Graeber).

Faccio notare solo di passaggio, quanto questa considerazione sia


coerente con la tattica usata dal governo per rendere obbligatorio il
vaccino senza renderlo formalmente obbligatorio.
In tale contesto, stupisce l’assenza di segni di rivolta e di rabbia,
soprattutto nei giovani. Come è possibile che non si riesca più a
pensare possibile un cambiamento radicale?

L’ipotesi è che la contro ensiva ideologica dell’ultimo mezzo


secolo non ha privatizzato solo ferrovie, sanità, scuole, ecc., ma
anche il cervello delle persone.

Ciò è avvenuto a seguito di un aumento della forza del potere sia in


quantità, pervasività e potenza, ma anche in qualità. Il potere, da
disciplinare ha assunto la forma di controllo sempre più a distanza,
e tale controllo è sempre più interiorizzato tanto da trasformarsi in
autocontrollo da parte del controllato. Due esempi recenti di questa
trasformazione sono <<l’accettazione volontaria della marcatura
digitale come encomiabile dovere civico, e il suo ri uto come atto
di diserzione civile>> giusti cata dal controllo della recente
epidemia, e la forte spinta all’estinzione della cartamoneta (cfr.
PNRR).

A questo proposito io mi permetto di aggiungere anche il Green


Pass che, attraverso la giusti cazione sanitaria, ottiene lo stesso
obiettivo che l’applicativo per il tracciamento non era riuscito ad
ottenere la primavera scorsa.
Il controllo è ubiquo, continuo, capillare, ed è esercitato sia dagli
oligopoli informatici (“Hey, Google”) che dagli stati (Green Pass).
Questi centri di raccolta di dati accumulano tali dati e informazioni
sugli utenti e sono in questo modo in grado di prevedere il
comportamento dei cittadini-utenti e quindi di “guidarlo”.

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I nostri tempi sono caratterizzati da una asimmetria di fondo: i
padroni della conoscenza sanno tutto di noi, mentre gli utenti-
cittadini di internet sono completamente ignoranti su cosa stanno
dando via gratis e sull’uso che i padroni fanno di tutta questa mole
di informazioni grezze e riorganizzate.

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Il debito (privato e pubblico) è ormai lo strumento di controllo (di
cittadini e stati) più potente e pervasivo.

Il debito pubblico è funzionale all’esistenza e continuo


potenziamento di un ceto di creditori. Non è lo stato indebitato ad
avere bisogno dei creditori, bensì questi ultimi ad avere bisogno del
primo. Attraverso il debito pubblico i creditori controllano lo stato.

Il sistema bipolare stato indebitato-creditori determina la costante


crescita del debito attraverso la inevitabile eccedenza delle spese
dello stato sulle sue entrate. All’interno di questo sistema bipolare,
i tagli alla spesa e la politica austeritaria sono inevitabile (TINA).

Negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, il debito dello stato


è stato lo strumento principe della nuova versione del colonialismo.
Nei due decenni successivi, soprattutto a seguito della caduta e
disgregazione dell’URSS, tale strumento viene sempre più
utilizzato anche nei confronti dei paesi sviluppati (vedi il caso
dell’Italia).

Anche nei primi decenni del secolo scorso, all’indomani di una


devastante crisi, nanziaria prima ed economica poi, si assistette
all’applicazione nella madrepatria di metodi e strumenti di governo
che no a quel punto erano stati applicati solo nelle colonie.
Apripista, da questo punto di vista fu l’Italia. La storia non si ripete
identica, ma come una variazione sul tema.
Il debito privato instaura la relazione asimmetrica del debito anche
tra la singola persona e il sistema del credito. Si prenda l’esempio
della estensione e generalizzazione del mutuo della casa agevolato
dall’intervento dello stato. Di fatto, la stipula di un mutuo riduce la
propensione alla ribellione attraverso 1) l’interiorizzazione
dell’ideologia del proprietario e 2) attraverso la condizione di
debitore.

La di usione della carta di credito è un altro strumento di dominio


attraverso il debito.

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Il debito e l’indebitamento deforma e perverte l’idea del diritto ai
servizi essenziali. L’accesso a tali servizi avviene attraverso
l’indebitamento e l’indebitato si trasforma in un manager che deve
trovare le soluzioni più adatte per ripagare il suo debito, diventando
così il manager di un se stesso concepito come fosse un’impresa.
Tale condizione produce l’homo oeconomicus, addestra l’individuo
<<ai comportamenti, alle regole di contabilità, ai principi di
organizzazione di solito messi in atto in seno alle imprese>>.

Il debito quindi è la forma del controllo interiorizzato. Il dominante


non ha più bisogno di controllare direttamente il dominato, perché
quest’ultimo, nella versione dell’indebitato che accetta la sua
condizione come senza alternative, direttamente disciplina se
stesso.

Nella relazione debitore-creditore, i due attori sono associati a due


valutazioni opposte: la condizione del debitore è una colpa, quella
del creditore sintomo di una virtù. Ma non solo.

Non sempre la condizione del debitore è una colpa o sintomo di


sottomissione nella gerarchia della potenza. Gli USA sono uno
degli stati più indebitati, eppure il suo debito è un problema per i
creditori. Quindi la relazione debitore-creditore non sempre
corrisponde con quella dominato-dominante.

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Negli ultimi 40-50 anni si è passati dalla FORMA DISCIPLINARE del
potere alla FORMA DI CONTROLLO del potere. La prima forma
aveva nella FABBRICA e in tutte le altre istituzioni pubbliche
(scuola, u ci, ecc.) il suo luogo principe di esercizio. La seconda
forma lo ha nella FINANZA (—> indebitamento), in INTERNET
(social) e, aggiungo io, nella POLITICA SANITARIA.

Le tecnologie informatiche sono alla base di questo passaggio


perché assicurano un esercizio di maggior potere sulle persone:

<<… al guinzaglio del debito, sotto una sorveglianza continua,


cosa può sperare il debitore se non di non cadere nell’insolvenza,
di non diventare moroso? La sua unica, inaudita speranza può
essere solo di restare a vita debitore ligio e puntuale; al massimo,
può augurarsi non di liberarsi dal guinzaglio, ma che il guinzaglio
non tiri troppo.>>

Si passa quindi dalla lusinga:

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<<Se agisci come ti chiedo, domani starai meglio>>

alla minaccia:

<<Se non fai come pretendo, starai molto peggio>>

Sempre di sacri ci si tratta, ma il loro scopo dichiarato è cambiato.

Cfr. L’evoluzione dei messaggi legati all’euro, ma anche ai vaccini.

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Il problema per l’ambiente è il modo di produzione capitalistico.

Infatti, tale modo di produzione non può avere limiti alla


produzione, non li tollera. <<… se la produzione … non aumenta,
se il mercato non si allarga, se le vendite non crescono, s’inceppa
tutto il sistema di credito-investimento-ammortamento-servizio del
debito-pro tto-reinvestimento.>>

Questa intolleranza radicale è anche nella intolleranza da parte del


capitalismo del concetto di causa: il capitalismo, davanti a una
disfunzione, non vede cause strutturali da rimuovere, ma
inadeguatezze personali responsabilità del singolo (vedi la
disoccupazione) oppure semplici problemi-sintomi a cui trovare una
soluzione-cura.

D’altronde, pilastro del capitalismo nella versione neoliberista è che


il mercato è infallibile, perciò non può produrre danni, neanche
danni ambientali. <<Questa è la ragione, altrimenti inconcepibile,
per cui i grandi capitalisti … sono così accaniti nel negare il
riscaldamento globale.>>

D’Eramo sembra non accorgersi della lotta accanita interna al


Capitale occidentale e americano in particolare. Questa lotta si
manifesta evidente proprio nella diversa posizione dei due fronti in
merito al riscaldamento globale. Il capitale che lo nega, lo fa perché
i suoi a ari sarebbero intaccati dall’a ermarlo. Chi lo a erma lo fa
perché spera di aprire una serie di occasioni di a ari per cui si
sentono pronti e attrezzati e in cui incanalare gli immensi capitali
accumulati che non aspettano altro che essere investiti nel debito
degli stati che dovranno pagare la transizione. E uno stato
indebitato abbiamo visto che cosa sia. Penso che si perda
l’essenziale delle dinamiche in atto oggigiorno, anche nella gestione
dell’epidemia e nelle strategie vaccinali, se non si mette a fuoco
questa divisione radicale interna attualmente nel grande capitale
americano.
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La teoria economica classica, su cui basa la sua legittimità il
grande capitale, non conosce né prevede il concetto della
irreversibilità. La sica coerente con la teoria economica classica è
la meccanica classica newtoniana (cfr Mauro Gallegati, Il mercato
rende liberi e altre bugie del neoliberismo)

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Che fare? Tornare ai suggerimenti organizzativi delle radici: Lenin,


Gramsci.

La magistratura e le sue sentenze hanno importantissime ricadute


nella lotta politica (vedi l’esempio delle conquiste nella lotta politica
per i diritti civili negli USA <<sancite, consolidate e rese durature
non da atti legislativi del governo, bensì da sentenze della Corte
Suprema, cioè da atti giudiziari.>>

L’ideologia ha una importanza cruciale: <<… il primo obiettivo è


restituire allo scontro ideologico la dignità, la centralità che sembra
aver perso nel senso comune dei dominati: perché “le idee sono
armi - le sole armi con cui altre idee possono essere combattute”
>>

La categoria degli intellettuali è importante: <<giornalisti,


insegnanti, sacerdoti, conferenzieri, pubblicisti, commentatori
radio, narratori, disegnatori di cartoni animati, artisti, e tutti coloro
che padroneggiano la tecnica di trasmettere le idee ma sono di
solito dilettanti per tutto quel che riguarda la sostanza di ciò che
trasmettono.>>
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