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CAPITOLO 1: POLITICA E SCIENZA POLITICA

La scienza politica si occupa di studiare i diversi aspetti della politica attraverso le


scienze empiriche, gli elementi più importanti della disciplina sono: l’oggetto di
studio ovvero la politica e lo sviluppo di un soggetto collettivo.
POLITICA: Non esiste una sola definizione di politica. Aristotele affermava che la
parola deriva dal termine polis e si faceva riferimento alla politica come: dimensione
intrinseca della comunità, la politica differenzia gli esseri umani dagli altri esseri
viventi. In Grecia si parlava dell’essere umano come “animale politico” e la politica
era la dimensione totalizzate del cittadino greco. Non vi era alcuna distinzione tra
politica e società, l’uomo è un animale politico e sociale. La politica aristotelica è
caratterizzata da relazioni orizzontali, è dominata dal principio di verità che si basa
sulla volontà divina che tiene assieme la politica, la religione, la morale e il diritto.
MACHIAVELLI: è considerato il primo ad aver dato una definizione di politica
autonoma dalla dimensione morale e religiosa. Parla di politica come potere in
quanto il potere è la dimensione fondante dell’azione politica, questa non viene più
considerata come un mezzo per raggiungere il fine ultimo del “bene comune” ma
viene ricondotta alla potenza del Principe e dello Stato. Ha inizio un processo di
autonomizzazione dalla morale, dalla religione, dalla società e dall’economia.
WEBER, parla di politica concentrandosi fortemente sulla sfera del potere, in quanto
questa è l’aspirazione a esercitare una certa influenza sulla distribuzione del potere
stesso.
DAVID EASTON: la politica ha una dimensione processuale, essa si svolge “in” o
“intorno a” sedi specifiche all’ interno delle quali vengono prese decisioni
collettivizzate. La ricerca/lotta per il potere, deve avere come fine quello di dare
delle risposte ai problemi collettivi, rassicurando i cittadini.
GIOVANNI SARTORI: le decisioni politiche investono diverse aree, possono
riguardare: la politica economica, del diritto, sociale, dell’istruzione. Queste
decisioni sono politiche in quanto sono collettivizzate. La politica non è solo potere,
per riuscire a mantenere l’ordine sociale deve: tenere basso il grado di incertezza di
una collettività e risolvere i problemi collettivi,
La politica può essere studiata facendo riferimento alle domande di Lasswell: “chi
ottiene cosa, dove e come”. Rispondendo a queste domande, si può capire come si
struttura la lotta per il potere e come questa cerca di dare delle risposte ai problemi
collettivi. La politica può esser fatta da attori individuali e collettivi, con la politica si
ottiene il perseguimento di un determinato ordine sociale che può essere
influenzato dal contesto socio economico e dal regime politico. Il “come” è fatto dal
confronto tra interessi e idee per raggiungere soluzioni, mentre per il “dove” i fini si
perseguono nella collettività.
LA SCIENZA POLITICA, ha diverse origini in Europa rispetto agli Stati Uniti. In Italia
alcuni degli elementi che hanno ostacolato lo sviluppo della scienza politica sono
stati: la forza dell’idealismo filosofico, il materialismo marxista-leninista, la
tradizione giuridica ecc. La scienza politica è stata istituzionalizzata con la nomina di
Giovanni Sartori nel 1963 a professore ordinario, furono pubblicati i primi lavori
empirici, ci furono diversi finanziamenti da parte degli americani e si introdusse il
corso di Scienza politica nelle università nel biennio. I punti di riferimento per la
scienza politica sono stati: la filosofia politica, l’economia politica, il diritto pubblico
e costituzionale, e infine la sociologia. Per quanto riguarda la scienza politica,
esistono diversi approcci di studio proprio per questo motivo si parla di pluralismo
metodologico.
Il primo è l’approccio strutturalista che si riferisce a tutto ciò che riguarda i fattori
strutturali in particolar modo quelli socio economici. Approccio pluralista, è un
approccio che deriva dal comportamentismo, che pone l’accento sull’importanza
delle azioni e delle relazioni fra gli attori e della loro influenza nel processo politico.
Approccio culturalista, assume che la cultura, i valori e le idee siano fondamentali
per il determinare il comportamento politico. Approccio neo-istituzionalista si
concentra sul ruolo delle istituzioni nei processi politici. Lo scopo della scienza
politica è quello di dare una visione dei fenomeni politici de-ideologizzata e educare
la democrazia svelando come funziona veramente la politica.

CAP. 3. REGIME, SISTEMA POLITICO, STATO.


Il regime politico è un insieme di strutture, regole, procedure che fanno riferimento
a determinati valori e principi. Il termine regime è un sinonimo di ordinamento
ovvero un insieme di norme che hanno l’obiettivo di organizzare in modo stabili e
ordinato un aspetto rilevante per la nostra esistenza. Il regime che ha
contraddistinto l’“ambiente politico moderno” è lo Stato. Un regime politico è un
sistema strutturato che produce comandi e decisioni al fine di modificare il
comportamento altrui nella direzione desiderata, questo implica il ricorso alla forza
fisica. Gli elementi che caratterizzano il sistema politico sono: territorio,
organizzazione, classe politica, tipo di legittimazione.
Il TERRITORIO: i regimi sono delle entità territoriali e l’appartenenza ad essi è
determinata da confini geografici, Finer parla di: Città- stato, le polis, queste sono
città autonome che hanno il controllo di aree molto ampie. Alcuni esempi sono le
città-stato di Sparta, Atene. Stati in senso stretto, Finer li distingue in stati territoriali
all’interno dei quali c’è un controllo amministrativo e militare e stati nazionali dove
è importante l’idea di far parte della stessa comunità. Imperi, grande estensione
territoriale, non sono delimitati da confini, hanno una composizione plurale dal
punto di vista etnico, culturale linguistico ecc. Federazioni sono caratterizzate dalla
coesistenza e associazione tra entità politiche autonome sulla base di contratti.
ORGANIZZAZIONE: per quanto riguarda quest’ aspetto Almond e Powell individuano
questi elementi: distribuzione della capacità decisionale tra le diverse istituzioni e
attori, limitazione del potere, distribuzione territoriale delle competenze decisionali.
LEGITTIMITA’: ne parla Weber. Ogni regime implica 2 elementi: il primo è un insieme
di apparati in base al tipo di strutturazione delle relazioni di potere, il secondo
elemento è la legittimità necessaria per far si che le forme di potere si stabilizzino e
durino nel tempo. La legittimità può essere di diversi tipi: carismatica, tradizionale,
relazionale-legale, popolare e eudemonistica ovvero la capacità di rispondere ai
bisogni dei cittadini. SISTEMA POLITICO, le sue componenti secondo Easton sono:
autorità cioè i ruoli coinvolti per prendere le decisioni vincolanti, la comunità politica
ovvero il gruppo di individui che si identifica come un’entità soggetta alle stesse
regole e il regime politico come è distribuito il potere tra i ruoli e le posizioni nel
sistema politico. Il concetto di sistema si sviluppa negli anni ’40, si comincia a
guardare la società come un insieme di reti e relazioni tra elementi in cui il
cambiamento di un punto ha delle conseguenze su tutto il resto. Il primo a parlare in
scienza politica di sistema fu David Easton. Quest’ultimo vede il sistema politico
come una scatola nera, l’ambiente in cui si sviluppa un sistema ha una natura
plurale può essere biologico, geografico, sociale. Da tutti questi ambienti arrivano
diversi input ai quali bisogna rispondere attraverso degli output. Gli input sono di 2
tipi: le domande con le quali si chiede di assegnare dei beni e valori e sostegni. Si
parla poi del within input, queste sono delle domande che provengono dall’interno
del sistema da parte dei leader, delle istituzioni, dei partiti. Non tutte le domande
però arrivano nel sistema a causa di alcuni meccanismi di filtraggio e selezione che
manipolano le domande, bloccando quelle pericolose o innovative.
Per quanto riguarda il processo di trasformazione delle domande in risposte, Easton
dice veramente poco. Per Almond e Powell, il processo avviene in 4 fasi:
articolazione degli interessi, il processo ha inizio nel momento in cui gli attori si
pongono delle domande che hanno a che fare con i loro bisogni e interessi.
Aggregazione degli interessi, vengono formulati diversi programmi in base al tipo di
domanda e questo implica la mobilitazione di risorse politiche. Formulazione delle
politiche pubbliche, qui le domande vengono convertire in decisioni e quindi in
output che possono essere regolativi, simbolici, distributivi. L’ultima fase è quella
dell’esecuzione e amministrazione delle politiche pubbliche, le decisioni dopo esser
state formulate devono esser messe in atto seguendo il canale burocratico che
riguarda la loro messa in opera e quello giudiziario che riguarda l’amministrazione
della giustizia.
LO STATO. Molti ritengono che sia sta l’Europa ad inventare lo “Stato”. Secondo
Finer non è così, piuttosto lo ha reinventato, questa reinvenzione per molti aspetti
ha portato ad una forma-Stato che ad oggi è l’unità fondamentale di tutto il mondo.
I tratti necessari di un regime-Stato sono: il monopolio della violenza legittima, la
territorialità, la sovranità e un ambiente costituito da più stati indipendenti. Questi
caratteri erano tipici della Spagna, Inghilterra, Francia sin dalle prime fasi di
costruzione dello Stato.
TEORIE RIGUARDANTI LA DEMOCRATIZZAZIONE. Tra queste troviamo quella di Tilly,
secondo cui la democrazia consiste nella relazione tra autorità e cittadini che come
conseguenza ha una consultazione più ampia, uguale, protetta. I risultati di questo
processo dipendono dalle capacità dello Stato di mettere in pratica le decisioni
politiche. Per Tilly esistono regimi democratici ad alta/bassa capacità e regimi non
democratici ad alta/bassa capacità. Secondo la Teoria di Dahl, le democrazie si
distinguono in base alla loro capacità di rispondere alle preferenze espresse dai
cittadini. Dahl parla dei sentieri della democrazia: oligarchie competitive, poliarchie,
egemonie chiuse, egemonie includenti.
Lo Stato ha subito due crisi, la prima è una crisi per eccesso di Stato. Questa ha
caratterizzato i “sistemi totalitari”, la crisi di questi sistemi ha dato inizio alle ondate
di democrazia. Da una parte si parla di ristrutturazione dello Stato e di
ingovernabilità dei sistemi. L’ingovernabilità ha portato maggiore accesso nei gruppi
sociali e c’è stata una riduzione della responsabilità politica. Quest’ultimo elemento
si verifica in 3 direzioni: la tecnocrazia con la quale le responsabilità vengono
affidate a istituzioni non elettive come le banche centrali, la seconda direzione è la
multi level governance le informazioni statali diventano parte di una rete più ampia,
e infine la ri-mercificazione con la quale sempre più servizi vengono tolte al pubblico
e affidate ai privati. La seconda è la crisi per carenza di Stato, determinata dall’
inettitudine nell’ esercitare il comando da parte del sovrano su i sudditi. Questo tipo
di crisi porta ad alcuni deficit: la perdita della forza legittima, il processo di
deterritorializzazione e l’incongruenza tra Stato e nazione. Questa incongruenza è
data dalla sovrappopolazione di fenomeni legati alla globalizzazione.
CAPITOLO 4. MODELLI DEMOCRATICI E REGIMI ANTAGONISTI.
Il significato del termine democrazia, negli anni non è sempre stato lo stesso.
Secondo Aristotele era il sistema di governo che garantiva l’accesso a un numero più
ampio di persone, ma era una forma corretta perché mirava a soddisfare i bisogni
dei governanti e non quelli della collettività. David Held mostra i cambiamenti storici
della democrazia: democrazia classica, fa riferimento a quella presente nella città di
Atene in cui tutti i cittadini godono di uguali diritti politici. Democrazia liberale, è
caratterizzata dalla democrazia protettiva che promuove la libertà individuale e da
quella di sviluppo si concentra sulla difesa dei diritti dei cittadini. La democrazia è:
uno strumento per giungere a delle decisioni politiche, in cui i cittadini hanno la
possibilità di decidere e la sua capacità è quella di dare da parte del governo delle
risposte ai cittadini. Dahl dà una sua definizione che è quella di “regime
democratico” che è caratterizzato da: suffragio maschile e femminile, le elezioni
sono libere e competitive, ci sono più partiti e anche diverse fonti di informazione.
La prima parte dei processi di democratizzazione ha avuto diversi esiti nel tempo.
Morlino, ritiene che la stabilità di questi esiti dipende dall’ equilibrio tra i soggetti e i
meccanismi di consolidamento democratico. Questo è il processo di formazione
delle strutture democratiche nei suoi caratteri essenziali. Questa prima fase è quella
della legittimazione ha come obiettivo quello di creare un compromesso tra attori
politici, sociali e istituzionali. Dopo questa fase c’è quella che Morlino definisce
ancoraggio democratico determinato dall’ emergere di una serie di strutture
istituzionali e sociali in grado rendere stabile il processo di acquisizione dei valori
democratici. Le ancore del processo sono: lo sviluppo dei partiti politici in un sistema
forte, un sistema basato su rapporti di equilibrio tra i partiti, rapporto con i cittadini
e rapporti triangolari tra imprenditori, sindacati e Stato.
Huntington parla di 3 ondate di rinascita della democrazia: la prima 1820-1829 è
quella in cui si ha lo sviluppo della democrazia in Nord America e in Europa con la
rivoluzione industriale, la seconda 1943-1962 si una ridemocratizzazione in Europa e
anche nelle aree latine americane e dell’Africa post- coloniale, la terza ondata post
1974 nuova democratizzazione in Europa meridionale e nell’area post-comunista.
LIJPHART: si concentra sul modello consociativo di democrazia, per spiegare le
tendenze di alcuni sistemi europei a creare un governo allargato con maggioranze
sovradimensionate. Egli propone due modelli chiamati modello maggioritario e
modello consensuale di democrazia. A partire da questi, affermava che ad avere un
maggior rendimento era un modello “più gentile” come quello consensuale perché
capace di offrire politiche più adatte al rispetto dei diritti e dell’inclusività dei
cittadini. Lijphart, parla del modello democratico Westminister suddividendolo in
due dimensioni: la prima è quella esecutivo-partiti che si suddivide in: governi
monopartitici, predominio dell’esecutivo, sistema bipartitico, sistema elettorale
maggioritario e pluralismo dei gruppi di interesse. La seconda dimensione è
federale-unitaria divisa in: legislativo numerale, governo accentrato e unitario,
costituzione flessibile, assenza di revisione giurisdizionale e banca centrale
controllata dall’esecutivo. Se parliamo dei modelli del passato, facciamo riferimento
ai regimi totalitari che sono caratterizzati dal ruolo indiscusso del partito unico, da
un’azione continua e concreta di mobilitazione sociale con la persecuzione di ogni
attore che non risponde al programma con un uso indiscriminato della violenza
repressiva. Il fascismo rappresentò per alcuni aspetti il modello sperimentale per la
costruzione del nazismo, il fascismo sembra assomigliare di più ad un autoritarismo
perché pone maggiore attenzione sui messaggi patriottici e meno su quelli
ideologici. Gli indicatori della qualità della democrazia sono indicatori della Rule of
Law, che si occupano della sicurezza sociale, capacità amministrativa, reazione al
crimine e alla corruzione. Indicatori della Accountability, che può essere elettorali e
quindi osservabile attraverso le misure di frequenza e libertà che caratterizzano la
fase del voto e può anche essere interistituzionale e si lega alle garanzie attribuite
alle opposizioni e alle istituzioni di controllo come la Corte costituzionale. Indicatori
della dimensione procedurale, fanno riferimento alla partecipazione politica e alla
competizione politica.
CAP. 5. PARTITI, ELEZIONI E SISTEMI DI PARTITO.
Partiti come strutture di intermediazione tra centro e periferia, società e Stato,
governanti e governati. Gli obiettivi sono la ricerca del voto e la realizzazione dei
programmi delle loro politiche. I partiti sono considerati indispensabili alla nascita e
al funzionamento della democrazia, il loro ruolo negli anni è cambiato. Se prima si
occupavano di integrazione e mobilitazione sociale, ad oggi si concentrano
maggiormente sul reclutamento del personale politico e sul funzionamento delle
istituzioni. Ciò che distingue la democrazia dagli altri sistema è la presenza di più
partiti che possono competere tra loro con mezzi legali, pacifici. Sartori dà una sua
definizione minima di partito: “è un qualsiasi gruppo politico identificato da
un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, è capace di collocare attraverso le
elezioni i candidati alle varie cariche pubbliche”. Le funzioni dei partiti sono funzioni
di input e di output. Quelle di input sono: -integrazione e mobilitazione dei cittadini,
i partiti organizzano la partecipazione questo ha come conseguenza l’integrazione
ovvero la capacità di collegare il centro e la periferia, elettori e istituzioni. -
strutturazione del voto, è un’attività legata alla formazione degli orientamenti
politici e delle opinioni degli elettori, con la propaganda e le campagne elettorali. -
aggregazione degli interessi, il fatto di “aggregare” implica un mediare e un regolare,
un valutare e interpretare. Questa funzione determina anche il ruolo di gatekeeper,
un filtro, nel controllare l’accesso dei gruppi di interesse. Per quanto riguarda le
funzioni di output: - reclutamento dei leader e del personale politico -organizzazione
e conduzione del governo, è un aspetto molto importante. In questa fase si
delineano due livelli: quello delle politiche e delle decisioni dove la competizione è
totalmente aperta e quello del regime e delle istituzioni che invece presenta una
competizione limitata. - influenza delle politiche pubbliche, è una funzione che si
lega al problem solving ovvero al trovare le soluzioni ai problemi collettivi. Esistono
3 tipi di partiti: -partiti di élite, sono partiti borghesi presenti nel parlamentarismo
classico. Questi partiti si attivano nelle fasi di elezione e svolgono solo la funziona di
“rappresentanza individuale”. - partiti di massa, si formano con l’allargamento del
suffragio e cerca di dare un’educazione alla classe operaia. - partiti elettorali,
favoriscono la partecipazione dei simpatizzanti utilizzandola per ragioni competitive
tra i leader. Questi possono essere: partiti pigliatutti che hanno come obiettivo
quello di prendere più elettori possibili, personali in cui il partito si identifica con il
leader, cartel party in ci i partiti ricorrono a forme di protezione che assicurano la
competizione. Per rispondere alla domanda “da dove vengono i partiti?” facciamo
riferimento alla teoria dei cleavages. Questa teoria vede nei partiti i rappresentanti
di persone che hanno interessi comuni, in questo modo i partiti evolvono per
rappresentare questi interessi. Con il termine “cleavages” si fa riferimento a delle
fratture che dividono il gruppo e possono durare per lunghi o brevi periodi, essendo
fonte di conflitto, le fratture, sono anche elementi di aggregazione per i membri
della collettività.
ELEZIONI: un passaggio fondamentale per la nascita dei partiti moderni è stato
l’allargamento del voto e la nuova riforma elettorale. I sistemi elettorali stabiliscono
le regole del gioco queste possono essere date da regolamenti o statuti di partiti. I
sistemi elettorali possono essere: - sistemi maggioritari, la regola più importante è
che il partito più forte nel singolo seggio vince il seggio in palio. A loro volta questi
sistemi si distinguono in base a come definiscono la maggioranza: sistemi a turno
unico in cui per vincere serva la maggioranza relativa, sistemi majority in cui per
vincere serve la maggioranza assoluta. Il sistema più diffuso è quello a doppio turno.
- sistemi proporzionali, i seggi vengono divisi tra i partiti in proporzione ai voti
ottenuti. - sistemi elettorali misti, qui i seggi vengono attribuiti sia in con regole
maggioritarie che proporzionali. Possono essere misti dipendenti o indipendenti.
SISTEMI PARTITICI: sono dei modelli di interazione stabiliti tra “parti” e si possono
analizzare in base: al numero di partiti, le loro dimensioni e la relazione che ne
stabilisce il funzionamento. I partiti si contano con il criterio numerico, alcuni autori
considerano partiti quelli che superano una certa soglia come il 3-5%. Sartori
introduce una regola per distinguere i partiti che importanti da quelli irrilevanti:
potenziale di coalizione se il partito è indispensabile per formare la maggioranza, e il
potenziale di ricatto se la presenza del partito condiziona la competizione.
CAP. 6 ASSEMBLEE E CIRCUITI RAPPRESENTATIVI.
Rappresentanza partitica: In Europa i partiti si sono sviluppati così tanto perché sono
in grado di avere un buon controllo sui circuiti della rappresentanza sociale. La
capacità del “partito centrale” di controllare i proprio parlamentari, si è
ridimensionata, e proprio per questo motivo si sono sviluppati vari circuiti rispetto
alla classica modalità di rappresentanza. Tra questi circuiti troviamo quello del
neocorporativismo che incide molto sulle istituzioni rappresentative.
Parlamenti e sistemi elettorali: I sistemi elettorali sono molto importanti per capire
come funzionano i parlamenti moderni. Sistema proporzionale puro, è una camera
eletta con il metodo della lista e del voto e i seggi vengono suddivisi in base al
risultato ottenuto a livello nazionale. Sistemi maggioritari, in Gran Bretagna si risolve
con il candidato più votato in collegio. In Francia invece serve invece una
maggioranza assoluta in collegio. In assenza di un vincitore, si svolgono i ballottaggi
in cui rientrano coloro che hanno raggiunto 12.5% dei voti. I sistemi elettorali,
possono provocare degli effetti diretti e che sono evidenti nella diversa
trasformazione dei voti in seggi, oppure effetti indiretti che fanno riferimento al
variare della domanda e dell’offerta elettorale. Inoltre questi effetti possono essere
macro e quindi riguarda i meccanismi del sistema politico oppure possono essere
micro e riguardare il rapporto tra chi ha votato e gli eletti. I bicameralismi
storicamente nacquero per distinguere “gli Stati”. Questi servono a bilanciare la
rappresentanza, a rendere possibile un accomodamento o una maggiore mediazione
e maggiori competenze rispetto a quelle che si possono invece avere in una sola
camera. Nei bicameralismi, i poteri sono equivalenti all’interno delle camere ed
hanno una diversa capacità rappresentativa. Le assemblee legislative all’interno di
un sistema politico possono avere diverse caratteristiche. Possono essere più o
meno vaste in base ad una correlazione tra grandezza della comunità e delle
camere. Svolgono un ruolo importante per quanto riguarda il coordinamento , la
loro articolazione è stabilita anche in base ai gruppi partitici. Infine la cosa più
importante è che la posizione che il governo riveste in esse.
Come cambiano i sistemi parlamentari: Bagehot è il primo a sottolineare la
funzionalità ei nuovi parlamenti, quest’ultimi infatti svolgono diverse
funzioni:elettiva, espressiva, informativa, educativa e anche legislativa. I parlamenti
e i congressi presidenziali sono organi che producono leggi e tengono all’interno del
sistema le diverse fonti normative. L’impatto decisionale delle istituzioni
rappresentative può essere misurato attraverso 3 dimensioni: - reputazione
individuale del rappresentante, questo elemento è importante perché la credibilità
di un singolo individuo svolge un ruolo importante nei processi decisionali; -
estensione dei poteri legislativi; - capacità di interdizione dei rappresentanti sulla
qualità della produzione legislativa, importante è il ruolo delle regole che
consentono ai legislativi di rallentare e addirittura bloccare l’azione di governo.
IL CONTROLLO SUL GOVERNO: Il rapporto tra organo legislativo e esecutivo è
classico per lo studio della politica comparata. Un organo legislativo, può
contrastare e controllare le attività del governo e inoltre può anche svolgere un
attività di screening dei parlamentari. Gli strumenti utilizzati dai legislatori sono
diversi: -la question time, è un tipico strumento dei sistemi maggioritari dove
l’esecutivo viene incalzato dall’opposizione. - le attività di sindacato ispettivo che
possono essere date dalla volontà di apparire nelle cronache al fine di riportare alla
ri-elezione. - le audizioni in ambito di facoltà amministrative e legislative. - le
inchieste.
CAP. 7: ISTITUZIONI E LIVELLI DI GOVERNO.
Il governo è un elemento fondamentale per la politica, è un’entità capace di
esprimere funzioni di guida e coordinamento. Il governo è stato re-inventato in
maniera parallela alla re-invenzione dello Stato. Il termine governo, fa riferimento a
tutte le sfere d’azione dei sistemi politici, “Gouvernment” include tutti gli attori che
svolgono funzioni legislative, esecutive e giurisdizionali. Ad oggi il governo è
considerato il responsabile di tutte le funzioni del potere esecutivo e i soggetti che
ne fanno parte svolgono facoltà: decisionali, regolative, di controllo. Il governo è
un’istituzione, un sistema di leggi in cui attori politici agiscono; tra questi ci sono
anche i leader che svolgono funzioni di comando e influenzano fortemente i processi
decisionali. Inizialmente, il monarca, era la componente necessaria e i ministri erano
a lui subordinati. Le cose cambiarono con il governo costituzionale e l’affermarsi del
principio di responsabilità collettiva, tutto questo portò alla monarchia parlamentare
in cui c’era lì incontro tra governo e parlamento. Evoluzione del governo in Italia. La
monarchia costituzionale piemontese era costituita da molti ministri che
garantivano lo svolgimento delle diverse funzioni, tra le quale l’ordine interno e le
capacità militari. E’ però lo Stato Produttore che permette di capire all’ Italia
l’importanza dell’economia, dei servizi sociali, delle politiche per il cittadino tra cui le
assicurazioni sociali e sul lavoro. Lo stato sociale rappresenta uno sforzo maggiore
che permette una grande crescita della società, la salute e la scuola pubblica
ricoprono un ruolo primario. La fase di sviluppo si completa con la nascita del
ministero per l’ambiente e l’rea scientifica tecnologica. Nel governo esistono molte
e diverse regole che riguardano l’elezione. In alcune democrazie che seguono il
modello maggioritario la procedura è più semplice, poiché la decisività delle elezioni
permette di nominare a primo ministro il vincitore delle elezioni. In altre democrazie
però è più complesso, per esempio se non c’è un vincitore inizia una fase di
confronto. La fiducia parlamentare inoltre è un altro elemento molto importante per
stabilire chi sarà a governare, dove questa regola invece non esiste; a governare sarà
il partito con il programma elettorale vincente. In Germania e Spagna per esempio
esiste l’istituto della sfiducia, un primo ministro può essere mandato via solo nel
momento in cui viene data la fiducia a qualcun altro. Nel presidenzialismo invece è il
fatto di essere nominato capo dello Stato che conferisce il potere esecutivo. In
Europa, il capo del governo può scegliere la squadra ministeriale, può nominare i
suoi ministri e governare con loro. Il governo di partito si realizza quando: le
decisioni sono prese dal personale eletto dall’esecutivo, quando le politiche
pubbliche sono stabilite nel partito e infine quando i possessori delle cariche
agiscono come rappresentanti del proprio partito. 4 DIMENSIONI DEI GOVERNI
CONTEMPORANEI: La prima dimensione è quella che riguarda i poteri formali, un
potere esecutivo è sempre più forte quando può poggiare su delle norme scritte e
non scritte che mettono in evidenza la sua autonomia e la sua iniziativa legislativa. -
la seconda è l’organizzazione interna. Solitamente i governi nascono come insiemi di
delegati, nel corso della storia sono stati premiati quelli della prima delega (diretta o
indiretta) e quindi capo di governo. In altri casi invece i ministri hanno minimizzato
le risorse organizzative. - la selezione del personale, - la capacità di persistenza è la
dimensione più studiata nel funzionamento dei sistemi governativi ed è ciò che
indica il tempo di durata dei governi. Le ultime evoluzioni invece, mettono in
evidenza attori più importanti rispetto ad altri per il ruolo che svolgono, accentuano
la forza del leader, cambia anche l’organizzazione del governo sempre più costituito
da figure tecniche.
LE COALIZIONI: I primi contributi riguardo le coalizioni, parlavano di coalizione
minima vincente ovvero quel tipo di coalizione che diventa perdente solo nel
momento in cui perde un giocatore. La coalizione minima vincente è quella con il
minore numero di partiti.
CAP. 9. OPINIONE PUBBLICA, PARTECIPAZIONE E COMUNICAZIONE.
L’ opinione pubblica è l’insieme delle rappresentazioni o immagini che gli individui e
i gruppi si formano, in maniera più o meno autonoma, e che ne orientano il
comportamento. Queste immagini però devono essere legate alla politica. Un’
opinione è chiamata pubblica non solo perché è del pubblico ma anche perché
riguarda oggetti e materie di natura pubblica: interesse generale, bene comune, res
publica. 3 definizione di opinione pubblica nel corso della storia. Classica: con la
formazione e lo sviluppo delle correnti di opinione, come per esempio gli interessi e
le idee sulla borghesia illuminata. Collettiva: l’attenzione si sposta sul soggetto, il
pubblico diventa un fenomeno sociale come le folle, il panico e si può collegare al
“comportamento collettivo”. Individuale: si ha nel momento in cui si aggregano
opinioni di individui. Sartori parla della formazione dell’opinione pubblica, e
propone 3 teorie: - la teoria della cascata, secondo la quale l’opinione pubblica si
forma come conseguenza di una serie di passaggi che fanno comunicare diversi
livelli. Ciò che caratterizza il modello è il fatto che le idee si mescolano
continuamente. La teoria del ribollimento, si concentra su un’opinione pubblica che
emerge dal basso. Si può parlare di “correnti di opinione” che hanno una forte
pressione sulla classe politica. - teoria dei gruppi di riferimento, è un modello che
implica la partecipazione di gruppi di riferimento come la famiglia, gruppo dei pari,
gruppo di lavoro. La partecipazione politica è l’insieme di tutte le occasioni in cui
uomini e donne, singolarmente o in gruppi, fanno uso di un repertorio di azioni per
provare ad influenzare le decisioni delle cariche pubbliche per modificare il sistema
di interessi e valori dominante. Alcuni studiosi si chiedono “perché la gente non
partecipa alla vita politica?” La risposta è perché non possono, non vogliono e
nessuno glielo chiede. Per quanto riguarda il “non possono” è legato a fattori
strutturali, ma anche alle capacità dei cittadini, al loro tempo e alle loro risorse.
“Non vogliono” rimanda alle motivazioni legate al grado di interesse e di
informazione. “Nessuno glielo chiede” la partecipazione dipende anche dai network
di reclutamento attraverso cui vengono mediate e attivare le richieste di
partecipazione. Altri fattori che condizionano la partecipazione sono: voto
obbligatorio, la registrazione automatica nelle liste elettorali al compimento della
maggiore età, la scheda elettorale, la semplicità di espressione del voto. La
partecipazione è il prodotto di attività come l’educazione, l’organizzazione e il
coinvolgimento in campagne.
La COMUNICAZIONE POLITICA: implica un flusso di informazioni, messaggi, discorsi.
Secondo Almond e Powell la comunicazione politica è di fondamentale importanza
per il formarsi dell’opinione pubblica e per l’incremento della partecipazione.
Governare una società comporta sempre una comunicazione per informare i
cittadini, la comunicazione politica ha l’obiettivo di persuadere i cittadini per la
propria propaganda. La comunicazione si ha nel triangolo tra attori politici, mass
media e pubblico di cittadini anche se il ruolo maggiore è ricoperto dai mass media.
Questo è il modello mediatico della comunicazione politica che fa riferimento a due
parametri: uno sistemico che vuole raccogliere il grado di autonomia dei media e
degli operatori della politica e uno massmediale che si riferisce all’orientamento dei
mezzi di comunicazione di massa. Blumer distingue 3 età nello sviluppo della
comunicazione politica: la prima è caratterizzata dal dominio dei partiti di massa e
dell’influenza indiretta sui media, le due più recenti sono invece caratterizzare dalla
mediatizzazione della politica. Gli attori della politica sono gruppi di interesse sono
delle organizzazioni formali, e a caratterizzarli sono sia dei tratti organizzativi legati
alla struttura, che dei tratti legati alle modalità di azione e quindi le funzioni. Si parla
di gruppi di interesse quando vengono uniti degli individui con stessi obiettivi e
interessi e si pongono degli obiettivi per tutelare determinati interessi. Per Almond e
Powell, i gruppi di interesse, sono coinvolti maggiormente nelle attività di
“articolazione degli interessi” e quindi nella trasmissione, selezione e organizzazione
delle domande. Inoltre i due studiosi dividono i gruppi di interesse in diverse
tipologie: gruppi anomici ovvero strutture spontanee e non formalizzate, gruppi non
associativi che si basano su legami tradizionali, gruppi istituzionali o gruppi
associativi ovvero strutture formalizzate che hanno l’obiettivo di tutelare interessi di
particolari gruppi come per esempio associazioni o sindacati.
Movimenti sociali: sono forme collettive oppositive rispetto ai tradizionali canali
politici. I movimenti sociali sono: reti di relazione informale, che si basano su
credenze condivise, creano mobilitazioni conflittuali attraverso diverse forme di
protesta. Per Tilly questi movimenti nascono dalle differenze che riguardano la
distribuzione del potere e cercano di riportare ad un equilibrio. Sono caratterizzati
dall’ elemento della leadership che può essere: personale e quindi legate alle
caratteristiche dell’individuo, strumentale legate alle risorse politiche a disposizione,
situazionale ovvero i vincoli che definiscono il contesto di azione. I movimenti
possono essere di volontariato, associazionismo, adesione ad un gruppo o partito.
Movimenti espressivi vogliono affermare un’identità. Movimenti di riforma
rivendicano libertà e diritti. Movimenti integralisti vogliono sovvertire le istituzioni
politiche e sociali. Movimenti comunitari rifiutano le istituzioni esistenti e vogliono
costruire delle comunità alternative.
CAP. 10. PROCESSI DECISIONALI E POLITICHE PUBBLICHE.
La politica è un’attività che ha lo scopo di risolvere i problemi importanti per la
collettività, è quindi fatta di azioni, discussioni, progettazioni. Per parlare di “politica
in azione” bisogna far riferimento al concetto di politica pubblica e quindi a come i
processi decisionali sono affrontati. Possiamo dare due definizioni di politica
pubblica: definizioni ristrette che la intendono come un fenomeno che si concentra
sul ruolo del governo o dell’autorità pubblica. Definizioni ampie che includono molti
aspetti di un processo decisionale. Gli studiosi hanno creato dei modelli che
ordinano la complessità dei processi di policy suddividendoli in alcune fasi:
costruzione dell’agenda, formulazione del programma di policy, implementazione
del programma e valutazione con eventuale estinzione della politica.
Formazione dell’agenda setting: la formazione è il momento in cui viene stilata una
lista in cui vengono riportati i problemi di un contesto politico che hanno un valore
importante nelle politiche pubbliche. Ciò che rende strategica l’agenda setting è la
sua possibilità di poter decidere su cosa decidere. L’agenda è quindi un insieme di
problemi, teoria, valori che entrano nell’ attenzione dell’opinione pubblica e del
sistema politico. Questa viene molto influenzata dal sistema politico-istituzionale,
dalla cultura politica di un paese, dalle capacità degli attori di raggiungere gli
obiettivi. Esistono 3 tipi di agenda: agenda sistemica in cui ci sono tutte le questioni
ritenute importanti dalla comunità politica, agenda istituzionale quindi i problemi
presi in considerazione dagli attori decisionali e agenda decisionale insieme dei
problemi sui quali gli attori agiscono per prendere una decisione. La formazione
dell’agenda avviene secondo 2 dinamiche: definizione del problema e iscrizione
della questione nell’agenda decisionale. Per quanto riguarda la definizione del
problema, un dato per essere considerato un problema deve essere interpretato e
quindi inserito in una teoria casuale. Per affermare che è un problema collettivo
deve mostrare effetti negativi sulla collettività ma anche spiegare perché il
fenomeno si presenta in un determinato modo. Per l’iscrizione nell’agenda
decisionale è necessario che il problema venga condiviso.
Formulazione del programma: implica una seria di fasi che come fine hanno il
raggiungimento della decisione, è la fase in cui si cerca una soluzione al problema e
in cui si costituisce il consenso politico. La formulazione avviene in due fasi:
elaborazione tecnica negli apparati amministrativi e costruzione del consenso
politico avviene nelle istituzioni politiche (consiglio dei ministri, giunte locali). I
policy networks sono le strutture predominanti nei processi di formulazione e i
principali tipi sono: il triangolo di ferro dove si legano gli apparati burocratici di
riferimento, le commissioni parlamentari e i gruppi di interesse più importanti del
settore. L’ issue network si ha un numero molto elevato e prevedibile di attori e c’è
una forte improbabilità che la decisione venga presa. Sono delle reti che si formano
su una spinta emotiva, ciò che accumuna gli attori è un problema comune. Policy
community è una vera e propria comunità, i membri condividono interessi e c’è un
riconoscimento reciproco con un numero non elevato di attori. Advocacy coalition è
una rappresentazione del processo decisionale dove ci sono coalizioni che
competono per trovare delle soluzioni e c’è la condivisione di valori da perseguire e
strumenti da utilizzare.
COME SI ARRIVA A PRENDERE UNA DECISIONE? 4 MODELLI
Modello razionale, è un modello difficilmente utilizzabile per analizzare i processi
decisionali. Modello cognitivo, Modello incrementale, caratterizzato
dall’interdipendenza di più attori portatori di specifici interessi. In questo modello la
decisione è data da un accordo tra azioni e interessi. Modello bidone della
spazzatura, si basa sull’irrazionalità dei processi decisionali. Per stabilire il contenuto
di una decisione bisogna fare una scelta riguardo una teoria causa-effetto in
riferimento al problema da risolvere. Uno strumento di policy è un metodo grazie al
quale l’azione viene indirizzata per raggiungere l’obiettivo prefissato ed esistono
diversi tipi di strumenti. La nodality capacità dei governi di scegliere un ruolo nei
processi informativi, l’authority potere legale e legittimazione dei governi, la
treasury ovvero le risorse finanziare e l’organization.
IMPLEMENTAZIONE. Cosa succede quando una decisione politica viene approvata e
assume una veste giuridica? Nessuna decisione politica non ha alcun impatto sulla
realtà se prima non è trattata da azioni che hanno effetti pratici. Il processo
decisionale non produce effetti sulla realtà, se prima non viene approvato un altro
processo ovvero quello dell’implementazione. Quest’ ultima è “l’insieme delle azioni
dirette al raggiungimento degli obiettivi posti nelle precedenti decisioni” Alcuni
studiosi hanno cercato di capire l’implementino deficit ovvero la difficoltà da parte
di alcuni attori politici nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Da questo si è
sviluppata una policy design che si articola tra un approccio top-down che sostiene
che per evitare una distorsione bisogna mantenere l’attenzione sul contenuto della
decisione e un approccio botton up che focalizzano l’attenzione sui destinatari delle
politiche, sulle loro percezioni e interazioni. La fase dell’implementazione molto
spesso viene influenzata da caratteristiche del territorio, dalle capacità tecniche e
dalle burocrazie di riferimento. Le decisioni sono sottoposte ad una valutazione che
avviene mediante l’uso di tecniche e metodologie adeguate, ed è utilizzata come
strumento di confronto e di conflitto politico grazie al quale è possibile tenere sotto
controllo gli effetti della decisione. I valutatori sono: attori indipendenti dal sistema
politico, interni al sistema o attivi nel processo decisionale.

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