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CAP I
chi sono i politici?
In passato erano persone legate da vincoli familiari a determinare una parte fondamentale delle
realtà politiche.
La politica contemporanea, per quanto dominata da politici di professione, vede anche altri attori
sulla scena, che hanno un passato in altre sfere di attività.
(oggi abbiamo anche “dinastie democratiche”) → La politica quindi non è il terreno esclusivo di
azione di attori la cui identità è unicamente politica. La tipologia di attori prevalenti permette però
di distinguere tra politiche diverse (una politica democratica o autoritaria o aristocratica ecc..)
La politica è caratterizzata da un modus operandi non violento e basato sul dialogo, contrapposto
ad uno coercitivo. Le decisioni si basano ovvero sullo scambio piuttosto che sulla coercizione e si
valuta l’interesse pubblico piuttosto che l’utilitarismo economico. La politica dovrebbe avere
carattere pluralistico piuttosto che monistico.
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Ma le forme di espressione della politica sono diverse, perché vi è varietà nel modus operandi:
Esiste un modo politico (pacifico) di risolvere i conflitti e uno militare o coercitivo (violento).
La violenza non è sconosciuta all’esperienza politica. La guerra stessa è da considerarsi come
una modalità estrema attraverso la quale la politica si manifesta.
Non è giusto affermare che in politica esiste solo la logica del comando e in economia quella
dello scambio (anche la politica può adottare la seconda).
Il potere non definisce solo la politica, ma diversi ambiti definiscono diverse forme di potere. In
politica accanto al potere troviamo forme di partecipazione e solidarietà.
La politica fa ampio uso di strumenti di altri ambiti, come elementi e riti religiosi, anche in
periodi altamente secolarizzati.
Il termine politica nasce da polis, nell’antica Grecia a caratterizzare la politica era quindi un ambito
spaziale preciso: la città.
Lo spazio è molto importante per la politica, ma anche per l’economia, con cui si relaziona per
dispute che riguardano i confini. Se i confini politici possono essere funzionali allo scambio
economico, a volte l’economia tenta di oltrepassarli per intavolare commerci più ampi. L’economia
può così essere subordinata alla politica o viceversa.
Anche la religione ha contatti con la politica. Sono esistite in importanti capitoli della storia ed
esistono politiche religiose e religioni politicizzate. (fondamentalismo)
Il carattere COLLETTIVO, cioè riferibile ad uno specifico ambito di svolgimento, sembra un aspetto
proprio dell’esperienza politica. Per questo negli ultimi secoli si collega la politica allo stato, che
pone la sua sovranità su una popolazione entro certi limiti spaziali-territoriali.
Ma le unità politiche si differenziano rispetto allo spazio, andando da macro-unità (Stati Uniti) a
micro-unità (Lussemburgo). Che varino a seconda della dimensione demografica.
Molto eterogenei sono anche i modi in cui si definisce l’aggregazione politica. Oggi abbiamo la
comunità nazionale, fatta di contenuti culturali, appartenenza e tradizioni comuni. → questa
identificazione è un fatto artificiale (comunità immaginate di Anderson). La politica non si fonda
sull’appartenenza ma è il processo politico stesso a crearla.
Esistono inoltre identità politiche che non si definiscono in termini di identità nazionali, per secoli
l’elemento fondante è stata la lealtà dinastica o di natura religiosa.
Ubiquità della politica → La politica è sempre legata ad una collettività ma la definizione di questa
non è naturale ne costante o scontata.
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Ciò che da carattere politico ad una collettività è la responsabilità affrontare il problema (non per
forza risolvere) dell’ordine pacifico.
Esistono altre risposte - non politiche - alla violenza, ma la politica lo fa organizzando una
collettività ed individuando un autorità responsabile. Così facendo la politica crea una forma di
identità collettiva e coesione, anche attraverso la creazione dell’altro e la separazione verso lo
straniero. Per questo simboli e confini acquisiscono importanza.
Distinzione rapporti interni - politica interna - alla collettività e rapporti esterni (tra più
collettività politiche) - politica internazionale- → guerra è violenza tra collettività politiche.
POLITICA = l’insieme di attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate
da comando, potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al
funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del controllo
della violenza e della distribuzione al suo interno di costi e benefici, materiali e non.
POLITICS → politica = Lo studio della natura del potere, la sua distribuzione e trasmissione, il
problema del suo esercizio e dei limiti. Lo studio del potere si articola su due piani:
quello che analizza i regimi politici → elemento di lunga durata della politica, di difficile
modificazione.
Per ciascuno di questi livelli si distingue un approccio di studio statico e di breve periodo
(differenze tra i diversi regimi e le loro strutture) e un approccio dinamico e di lungo periodo
(trasformazione nel tempo di un regime) → attori, caratteristiche, istituzioni formali, processi.
POLICY → politiche pubbliche = Programmi d’azione, provvedimenti ed interventi che vengono
proposti dagli attori politici nelle sedi politiche. La politica non è solo competizione per il potere,
ma anche governo. Le politiche pubbliche sono estremamente eterogenee, e vanno da
provvedimenti isolati a programmi sistematici di intervento. Queste sono i contenuti dell'azione,
cioè le cose che fanno i governi e come le fanno.
Studiare le politiche significa innanzitutto analizzare i contenuti e mettere in luce i costi e benefici
nel processo di decisione. Legati alle fasi di decisione sono gli attori e le relazioni fra essi.
Importante è anche il processo di attuazione delle politiche, che richiede la collaborazione di altri
soggetti.
Col mutamento dei confini (definiti in senso simbolico e fisico) cambia anche il territorio e le
dimensione della comunità politica e quindi l’ambito di applicazione dell'autorità politica, per
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questo sono così importanti. Inoltre l’espansione e contrazione di una comunità può porre
problemi di rapporti ed equilibri con altre collettività.
Le modalità di definizione di confini sono variabili, inoltre vi sono polies chiuse (che cercano di
minimizzare uscite ed entrate) e polies più aperte.
Vi sono differenze nelle diverse comunità politiche:
La comunità politica è definita in epoca moderna dallo stato nazionale (appartenenza e cultura
comuni), ma non mancano polities costruite su basi multinazionali (con identità distinte).
Diversi gradi e modi di coinvolgimento degli individui nella vita della polity (partecipazione attiva
= cittadini o coinvolgimento passivo = sudditi).
Possiamo avere una polity fortemente centralizzata ed omogenea o basata sul decentramento e
differenziazione (che riconosce identità a un ambito territoriale più ristretto come regioni,
province e comuni).
La comprensione della realtà politica necessita l’analisi di tutti e tre gli aspetti e delle loro grandi
trasformazioni degli ultimi duecento anni:
domande pag.34
CAP IV
Democrazia: che cos'è?
Quei regimi contraddistinti dalla garanzia reale di partecipazione politica della popolazione adulta
maschile e femminile e della possibilità di dissenso, opposizione e anche competizione politica.
💡 Sartori: Sistema etico-politico nel quale l'influenza della maggioranza è affidata al potere
di minoranze concorrenti che l'assicurano.
suffragio universale
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elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette
più di un partito
Non comporta una partecipazione diretta (eccetto referendum) dei cittadini: le decisioni vengono
delegate ai professionisti della politica.
Democrazia diretta
Regime autoritario, perché un gruppo di cittadini dotato di diritti decide per un ampio numero di
persone senza diritto di voto.
In seguito lo studioso ritiene che le democrazie si ispirino a due principi che danno vita a due
modelli istituzionali:
Questi modelli influenzano il potere esecutivo e i partiti e l'assetto unitario oppure federale di un
regime.
Sulla base di indagini in trentasei democrazie Lijphart definisce quindi un modello polare di
democrazia:
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MODELLO WESTMINSTER = Fusione dei poteri legislativo ed esecutivo e dominio del governo,
sistema bipartitico, sistema elettorale maggioritario, costituzione flessibile e assenza di controllo
di costituzionalità. [adatto a società omogenee]
Democrazia ideale o massima = regime caratterizzato da una corrispondenza tra gli atti di governo
e i desideri di coloro che ne sono toccati. Continua capacità di risposta, responsiveness, del governo
alle preferenze dei suoi cittadini, considerati politicamente eguali.
Dahl = Affinché un regime sia capace di responsiveness tutti i cittadini devono poter esprimere le
loro preferenze in forma singola o collettiva e queste devono essere considerate. Per rendere ciò
possibile devono essere garantite almeno otto garanzie istituzionali (libertà di associazione, di
pensiero, diritto di voto, diritto di competizione, fonti di informazione, elettorato passivo e attivo
corretti, istituzioni che rendono le politiche governative dipendenti dal voto.
Corrispondenza responsabilità-rappresentanza-elezione.
QUALITA DEMOCRATICA
💡 definizione di democrazia massima che integra le tre qualità = Il regime che crea le
opportunità istituzionali migliori per realizzare libertà e uguaglianza.
Tre elementi che specificano la definizione minima di democrazia = rule of law (effettivo monopolio
pubblico della capacità coercitiva e della risoluzione pacifica dei conflitti e quindi ordine e
sicurezza), strutturazione della società civile, contesto internazionale favorevole.
CULTURA E DEMOCRAZIA
Complesso dei valori che rendono la cultura politica di un paese più adatta per le istituzioni
democratiche.
Secondo Dhal questi sono: credenza nella legittimità delle istituzioni, credenza nell'autorità e
obbedienza, credenza nell'effettività del regime, fiducia reciproca, disponibilità a cooperare,
disponibilità all'accordo e compromesso.
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democratiche aperte alla cooperazione per mantenere l'unità del paese.
CONDIZIONI ECONOMICO-SOCIALI
Pluralismo sociale e politico sono tra le condizioni che facilitano instaurazione e mantenimento di
una democrazia.
Dhal individua inoltre
L'economia industrializzata non è tra questi presupposti. Dipende dal punto di partenza (in alcuni
casi l'industrializzazione rappresenta un diminuzione delle disuguaglianze in altri un
accentuazione).
Non vi è quindi una correlazione dimostrabile tra sviluppo socioeconomico e democrazia. I punti
individuati da Dhal sono frequenti, ma non necessari = A parità di pluralismo sociale si possono
avere esiti politici differenti, democratici e non (es.Argentina e Danimarca).
PERCORSI STORICI
Moore individua le condizioni che hanno reso Inghilterra, Francia e Stati Uniti paesi democratici:
rottura rivoluzionaria col passato (perché ha studiato proprio questi tre paesi, ma in generale
si ritiene che la rivoluzione non sia indispensabile per la democratizzazione). Vero però è che
nel mutamento politico ha sempre un ruolo la violenza = da notare che il passaggio alla
democrazia di massa (espansione del suffragio) si realizza dopo le guerre mondiali.
ammissione del dissenso, dell'opposizione, della competizione tra le diverse forze politiche (diritti civili
quali libertà di associazione e riunione cioè creazione di sindacati, pensiero e parola) + crescita di
inclusività (diritti politici cioè elettorato attivo e passivo).
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è estremamente difficile tornare indietro quando i diversi gruppi sociali hanno fatto il loro
ingresso in politica.
I diritti sociali
Cittadinanza a tre dimensioni
elemento civile: diritti necessari alla libertà individuale (necessità di strutture giudiziarie che
garantiscono l'eguaglianza dei cittadini)
Punto determinante per l'ingresso delle classi inferiori in politica è l'organizzazione di strutture
intermedie (partiti e sindacati).
Nel processo di democratizzazione sono importanti la SOGLIA DI RAPPRESENTANZA (passaggio
da sistema elettorale maggioritario a proporzionale) e SOGLIA DEL POTERE ESECUTIVO
(istituzionalizzazione del controllo parlamentare sul governo)
domande pag.100
CAP VI
DINAMICHE DI MUTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA
La crisi della democrazia è l'insieme di fenomeni che alterano il funzionamento dei meccanismi
tipici di quel regime. Vi è crisi politica quando insorgono limiti e condizionamenti rispetto alle
precedenti concessioni democratiche, ovvero quando si ha limitazioni della competizione politica
e/o della potenziale partecipazione.
Si descrive quindi la crisi delle liberal-democrazie di massa che si è diffusa nel 900 in occidente.
Alcuni esempi sono il crollo dei regimi democratici di Weimar e in Spagna e Italia rispettivamente
con Franco e Mussolini. Si ha crollo quando i caratteri fondamentali del regime saltano e una diversa
democrazia o un regime autoritario vengono instaurati.
In altri casi, come Inghilterra degli anni '30, vi è crisi, ma senza crollo. Infatti la crisi della
democrazia può essere intesa in due modi:
arresto o cattivo funzionamento di alcune strutture o meccanismi cruciali del regime o nei
rapporti legislativo-esecutivo o in altre strutture proprie del regime.
cattivo funzionamento dei rapporti societa-partiti, cioè quando domande espresse dalla società
civile non si traducono in decisioni assunte dal regime. (caso inglese)
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Per identificare un mutamento nella democrazia bisogna osservare i conflitti e gli attori
istituzionali e politici protagonisti, lo stato del regime democratico pre-crisi, trasformazioni socio-
economiche avvenute nel medio o lungo periodo. Questi eventi si possono poi tradurre in
mobilitazione politica.
Fasi della crisi democratica:
1. Radicalizzazione del conflitto tra attori collettivi ed individuali = alcuni partiti sono totalmente
opposti a quello al governo, tanto da identificare le forze di governo con il regime democratico
stesso, andando ad opporsi ad esso. Frammentazione politica = Aumento dei partiti presenti
nell'arena politica e divisioni interne agli stessi. Crescita di partecipazione = Maggiore presenza
dei cittadini in sedi tradizionali di partecipazione ma anche manifestazioni. Instabilità
governativa = aumento di frequenza di crisi di governo. Se poi questi fattori si approfondiscono
si assiste a inefficacia e ineffettività decisionale e percezione del popolo di un regime
illegittimo a cui cominciano ad opporsi. Se crescono l'inefficacia decisionale e l'ineffettività,
cresce anche l'illegittimità del regime democratico. In questa prima fase è ancora possibile
fermare la crisi, se le élite democratiche riescono a raggiungere un compromesso.
Questo processo è riconoscibile nel crollo democratico italiano e tedesco degli anni '30, ma questo
non ha il suo apice in un rovesciamento militare quanto nel potere che viene preso grazie
all'affermazione di partiti antiregime con leader carismatici. Ci sono gruppi paramilitari, ma a
questi è dato senza lottare il potere coercitivo.
è possibile applicare questo schema alle crisi senza crollo post seconda guerra mondiale? Ci sono
diversi fattori da considerare:
Grande espansione del welfare, cioè del ruolo dello stato nella società civile.
Sono crisi senza crollo le crisi democratiche europee degli anni settanta. Nel dopoguerra si verifica
un sovraccarico delle domande sulle strutture decisionali (esplosione dei bisogni e delle aspettative
della collettività nei confronti dello stato con maggiore coinvolgimento della società in attività
politiche) = Le strutture del regime democratico diventano incapaci di selezionare le troppe
domande e dare soddisfazione ad esse a causa di mancanza di risorse. La risposta è la crescita
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dell'intervento statale nell'economia e l'esplosione del debito pubblico. Parliamo allora di CRISI DA
SOVRACCARICO:
(queste crisi sono poi stata relativamente superate grazie ad una risposta dei governi, arrivando ad
una minore inflazione al prezzo dell'innalzamento della disoccupazione).
Diversi fattori hanno permesso una crisi SENZA CROLLO: grado di consolidamento delle istituzioni
democratiche, il controllo delle risorse pubbliche, assenza di alternative pratiche.
attori esterni (attori internazionali. Importanti nella fase di transizione possono essere affiancati
da attori interni nella fase di instaurazione)
attori istituzionali interni (esercito, élite di governo, alta burocrazia). Autorità politiche che
intraprendono la transizione grazie al monopolio della forza ma non sempre guidano
l'instaurazione.
Distinguiamo tra attori interni governativi e attori interni non governativi (che si sono allontanati
dal regime autoritario dopo una prima fase)
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frequente è che gli attori moderati si uniscano a parte dell'opposizione per dare il via alla
transizione in nome di un reale interesse al cambiamento.
Più raro è il caso in cui le forze politiche all'opposizione del periodo autoritario diventino
protagoniste del mutamento. Se succede è un opposizione armata, e spesso non democratica
negli esiti.
Possiamo anche avere combinazioni tra i diversi attori, come l'unione tra attori internazionali e
opposizione locale.
Chiunque siano gli attori, è importante l'azione dei militari, poiché detengono il monopolio
dell'azione coercitiva. Spesso l'esercito sconfitto in guerra si separa e da questi dissidi nasce il
movimento, più raramente l'esercito rimane compatto verso una direzione o l'altra. Anche se i
militari sostengono il regime democratico essi rimangono potenzialmente pericolosi.
1. Si deve osservare quali forze politiche siano più o meno organizzate e presenti in transizione
ed instaurazione. Potrebbe essere presenti solo attori di destra o di sinistra, ma l'unione dei
due è la più favorevole.
2. Durante il processo di analisi le élite svolgono un ruolo fondamentale, perché il gioco politico è
nelle mani di pochi. Eppure specialmente nelle fasi iniziali abbiamo partecipazione di massa
alla politica, attraverso dimostrazioni, scioperi o violenza collettiva. La partecipazione di
massa significa la possibilità per le élite di anticipare la campagna elettorale, mettendo da
subito in campo risorse di pressione ed influenza delle masse.
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Vi sono diversi fattori attraverso cui si spiega la variazione nei risultati:
Tradizioni politiche del paese = presenza o assenza di una tradizione monarchica; se nel paese vi
sono state esperienze conflittuali e violente (es. guerra civile) poiché il ricordo dei costi umani
favorisce moderazione e compromesso.
durata e tipo di esperienza autoritaria = essa è più rilevante per il nuovo regime se è durata più
a lungo ed è stata più capillare. In particolare le scelte istituzionali operate all'inizio della nuova
instaurazione sono riproposizione delle vecchie istituzioni o, al contrario, reazione al ricordo
dei fallimenti precedenti. Nei partiti e sistema politico, una parte della nuova élite è formata da
vecchi leader e nel vuoto politico che avviene con il crollo di un regime sarà naturale la
ricreazione dei vecchi partiti, alcuni dei quali sopravvissuti in clandestinità nel periodo
autoritario. Ma dopo l'esperienza di repressione queste forze politiche si ripropongono di solito
più moderate. Inoltre i rapporti di forza tra i partiti, a seguito dei mutamenti socio-economici,
saranno diversi.
L'importanza del tipo di regime non democratico precedente = nel caso di un precedente
regime autoritario si può assistere a controllo totale della società attraverso il partito unico e
allo stesso tempo distruzione delle precedenti identificazioni sociali e politiche, per mezzo di
una sistematica opera di repressione degli oppositori. Quest'ultima può lasciare una società
civile debole, poco solidale, organizzata e coesa.
Le ragioni della caduta del regime autoritario precedente = motivi più ricorrenti sono la sconfitta
militare, fallimento economico, profonde trasformazioni socio-economiche che modificano la base
sociale del regime, divisione nella coalizione dominante che sostiene il regime. In alcuni casi è il
successo economico a pilotare il cambiamento, grazie all'azione di attori interni.
Grado di organizzazione dell'opposizione = Se vi è un opposizione democratica presente nell'ultima
fase autoritaria questa può andare immediatamente a colmare il vuoto di potere, di modo da
influire sin dall'inizio sulle scelte del governo provvisorio.
La modalità della transizione = vanno visti grado di continuità, partecipazione, ricorso alla
violenza e durata = tutti fattori trovati già nelle modalità di instaurazione, se gli altri sono uguali, è
necessario approfondire il concetto di continuità e discontinuità. Nel caso della transizione con
discontinuità si intende un cambiamento operato attraverso la rottura delle regole del regime: è un
atto precisamente individuabile in seguito al quale il regime crolla e inizia la transizione.
Continuità significa invece che il regime autoritario comincia a cambiare gradualmente e l'élite
governante svolge un ruolo centrale nella transizione, che è mutamento continuo. Si ha un
cambiamento controllato, nel rispetto delle vecchie norme. Ciò avviene quando una parte dell'élite
governante percepisce che non può bloccare il cambiamento se non con misure coercitive che non
può o vuole usare e reagisce pilotando la trasformazione in modo da poterla controllare e isolare la
componente più estremista grazia all'appoggio dei moderati.
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Il consolidamento
1. La legittimazione = cioè l'accettazione e il sostegno delle strutture del regime da parte della
società. Questa legittimazione si sviluppa attraverso: - La messa in opera e il mantenimento
del compromesso democratico. Se l'accordo alla base del regime democratico viene mantenuto
e rafforzato le élite non solo accettano l'opposizione e l'eguaglianza politica ma cooperano fra
loro. - il rispetto della legalità, come capacità delle élite di governo e dei propri apparati di fare
da garanti delle leggi e delle decisioni della società. Si ha in questo modo il funzionamento
concreto del compromesso democratico, grazie alla certezza del diritto. - neutralità o
neutralizzazione dei militari: In alcuni casi il problema viene risolto in fase di transizione, in
altri la soluzione del problema di una struttura delegittimata deve essere trovata in fase di
instaurazione. Il pieno successo del consolidamento comporta che élite civili inneschino una
strategia che induca i militari ad accettare il nuovo assetto politico, e poi, a restare nei ruoli di
loro competenza. - i gruppi imprenditoriali privati, accettano le istituzioni se vengono garantiti
pienamente i loro interessi.
2. L'ancoraggio = l'emergere e lo sviluppo delle ancore, cioè delle strutture istituzionali che
consentono di giungere ad alcuni risultati democratici, anche in presenza di una legittimità
ridotta. La teoria dell'ancoraggio mostra l'esistenza di 4 ancore nel processo di
consolidamento: - le organizzazioni partitiche - il condizionamento da parte dei partiti di
associazioni e gruppi di interesse (come i gruppi imprenditoriali o i sindacati) - i rapporti
clientelari intrattenuti da individui legati ai partiti politici in molti Paesi hanno garantito
l'erogazione delle risorse pubbliche su base personalistica - assetti neo-corporativi con accordi
triangolari imprenditori-governo-sindacati. L'ipotesi centrale della teoria dell'ancoraggio è che
quanto minore è la legittimità goduta da un certo assetto democratico, tanto più forti e
sviluppate devono essere una o più ancore. Se invece vi è già un ampia legittimazione le ancore
non sono essenziali al consolidamento. Dietro la crisi, vi è spesso un progressivo
disancoraggio.
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istituzionalizzazione raggiunta
legittimità
efficacia decisionale
Andando invece verso America Latina ed Europa orientale O'Donnell prevede una democrazie
delegata, cioè una democrazia nella quale le funzioni di rappresentanza sono nelle mani di
élite e non esiste l'accountability (cioè la responsabilità dei governi nei confronti dei loro
governati). Al massimo si potrebbe realizzare un'accountability inter-istituzionale, cioè i
diversi organi si controllano reciprocamente.
CAP IX
I partiti sono attori fondamentali delle democrazie rappresentative
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💡 Una delle definizioni più note di partito è di Weber: I partiti si caratterizzano per essere
formalmente organizzati, basati su una partecipazione volontaria e orientati ad
influenzare il potere.
Il partito è quindi un associazione su base volontaria che ha uno scopo, cioè la conquista di
cariche elettive.
💡 Downs definisce il partito come una compagine di persone che cercano di ottenere il
controllo dell'apparato governativo a seguito di regolari elezioni.
Due principali approcci si sono contrapposti nell'analisi delle funzioni dei partiti:
approccio razionale = rapporto tra elettori e partiti come il mercato economico, i partiti sono
essenzialmente cacciatori di voti. Schumpeter interpreta i partiti come apparati orientati alla
conquista di voti. Lo scambio sul mercato elettorale equivale a quello tra imprese e
consumatori. Nella Teoria economica della democrazia Downs propone un interpretazione del
fenomeno elettorale basato sul concetto di razionalità, che guida eletti ed elettori. Gli
individui, sulla base delle informazioni di cui dispongono, ottimizzano le proprie preferenze.
Elettori ed eletti perseguono però diversi tipi di beni: i candidati hanno come unico fine la
propria elezione, e il partito politico formulerà di conseguenza qualsiasi politica che ritiene gli
permetta di ottenere i maggiori voti. A questo scopo l'applicazione di tecniche di marketing
alla politica porta alla scelta di un certo target, e all'utilizzo di immagini e linguaggi adatti ad
influenzarlo. In questo modo nelle democrazie vi è sovranità dell'elettore, e il personale
politico è il mandatario del volere dell'elettore. L'assunto dell'homo oeconomicus è usato
anche nell'approccio della scelta pubblica solo che in questo caso ha effetti negativi. Per Downs
il bisogno degli eletti di seguire le richieste degli elettori legittima la democrazia, per
Buchanan esso comporta debito pubblico, inflazione, e mette quindi in pericolo la democrazia
stessa. Per soddisfare gli elettori, i politici comincerebbero a distribuire beni e servizi. Inoltre
per avere maggiore potere sui cittadini essi andrebbero a porre dei vincoli al mercato e alla
proprietà privata. Secondo gli studiosi della scelta pubblica, la soluzione alla crescita del debito
pubblico è la sottrazione di potere decisionale agli organi elettivi.
approccio identitario = ruolo dei partiti nella costruzione di identità collettive. La prima critica
che questa visione pone a quella razionale è che gli elettori non possiedono le conoscenze
sufficienti a valutare costi e benefici (cioè ad ottimizzare) anche per la mancanza di un mezzo
di scambio generalizzato (come il denaro). Inoltre se i politici seguissero sempre le richieste
degli elettori si sarebbe incapaci di perseguire il bene comune. L'essenza della politica, secondo
questi studiosi, è la formazione delle preferenze, attraverso l'elaborazione di identità collettive.
La politica non soddisfa i bisogni individuali, ma li modifica perché diventino collettivi.
Pizzorno sottolinea che per il calcolo delle utilità individuali è necessario una collettività
identificante, che definisca i criteri di definizione di un interesse, che gli danno significato.
Tradizionalmente l'interesse collettivo era legato alla classe d'origine, e il partito si attivava solo
nel momento del voto.
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A partire dalla fine del XIX secolo, con l'emergere dei partiti burocratici di massa (grazie
all'allargamento del suffragio) si ha la professionalizzazione della politica. Il politico di professione
secondo Weber può vivere per la politica - ne fa la sua ragione di vita - o di politica - ne fa una
fonte di introito durevole -. Perciò l'idealismo politico si sviluppa più facilmente tra chi non è
interessato alla conservazione dell'ordine economico della società (perché sprovvisto di un
patrimonio da difendere).
Grazie all'affermarsi della stampa e della libertà di pensiero l'oratoria diventa uno strumento
fondamentale del politico, inoltre il politico deve essere in grado di delegare: per arrivare alle
masse è necessario un'apparato di funzionari radicato nel territorio e nei luoghi di lavoro. Il partito
comincia quindi a creare una rete di associazioni che si fa carico dei più diversi aspetti della vita
quotidiana.
I partiti socialisti europei sono definiti appunto partiti di integrazione: integrano i lori membri
all'interno di una serie di associazioni vicine al partito stesso.
Innanzittutto definiamo i partiti in base alla loro funzione: essi agiscono come mediatori tra le
istituzioni pubbliche (stato) e la società civile (cittadini).
Funzione dei partiti:
STRUTTURAZIONE DEL VOTO: Il partito è l'entità in cui gli elettori si identificano, dando
stabilità nel lungo periodo ai comportamenti di voto individuali. Un partito organizza gli agenti
politici attivi nella società, che cercano il sostegno popolare, in concorrenza con altri gruppi
con opinioni diverse.
CONTROLLO DEI GOVERNATI SUI GOVERNANTI: i partiti sono strumenti di collegamento tra
governo e cittadini.
Gli studiosi evidenziano diversi tipi di partito a seconda della loro struttura organizzativa di base:
1. COMITATO = Tipico dei partiti di fine '800. formato da una dozzina di persone, appartenenti
alla élite. L'elemento importante non è la quantità dei partecipanti, ma la qualità, cioè il loro
status sociale. Il comitato è una struttura precaria, basata su incontri sporadici, ed è diffuso nei
sistemi elettorali a suffragio ristretto.
2. SEZIONE = è un organismo aperto, che cerca di ampliare al massimo il numero dei suoi iscritti.
Nasce con il suffragio universale e l'organizzazione è più formale e centralizzata: si ha la
divisione del lavoro. Il partito di sezione è un invenzione socialista che risponde a due bisogni
fondamentali dei partiti operai: Educare le masse (dar loro dei capi, insegnare una dottrina,
Scienza politica 16
formarli politicamente) e risolve il problema del finanziamento grazie alla pratica delle quote
(si chiede a molte persone di dare poco, ma regolarmente).
3. CELLULA = Tipica dei partiti comunisti, mira ad organizzare gli operai nelle grandi fabbriche,
collegando le rivendicazioni economiche ad un progetto politico più ampio. Più piccola della
sezione, anche perché l'aggregazione avviene su base professionale e non territoriale. La
cellula è un comunità che si incontra quotidianamente sul posto di lavoro.
4. MILIZIA = organo di tipo militare e di piccole dimensioni. Struttura tipica dei partiti fascisti:
richiede gerarchia, obbedienza e dedizione.
Le strutture che hanno successo tendono poi ad espandersi: la struttura socialista della sezione si è
poi estesa anche agli altri partiti.
Guardando ai partiti con approccio organizzativo, la loro evoluzione è più complessa di quanto
ipotizzato dalla legge ferrea dell'oligarchia. è vero, grazie alle loro competenze i dirigenti
acquisiscono una certa autonomia, ma i leader hanno comunque bisogno delle risorse dei
seguaci, cioè della base.
Le ideologie non sono del tutto manipolabili. I fini ufficiali rimangono punti di riferimento, sia
per i militanti che per i leader del partito, per la costruzione della solidarietà. Non si ha una
sostituzione, ma un'articolazione dei fini - adattati alle esigenze dell'organizzazione, non
abbandonati -. Ciò perché a questi è collegata l'identità collettiva del partito e anche la
legittimità della leadership.
è vero la struttura dei partiti tende a variare, ma non secondo le leggi della ferrea oligarchia,
dipende piuttosto da una serie di vincoli ambientali e dalle scelte strategiche di leader e
attivisti.
Secondo il Closed System Approach: le organizzazioni sono capaci di controllare tutte le condizioni
e scegliere la strategia migliore per raggiungere i loro obiettivi.
Scienza politica 17
Secondo il Natural System Approach: le organizzazioni hanno una capacità limitata di raccogliere
informazioni e quindi di controllare il proprio ambiente.
rafforzamento dei gruppi dirigenti del vertice (che sono considerati in misura della loro
efficienza piuttosto che della loro adesione all'obiettivo)
minore accentuazione di una specifica classe sociale (in modo da attirare più gente)
L'affermarsi del PARTITO PIGLIATUTTO è il risultato di trasformazioni sociali e culturali che hanno
portato all'indebolimento dei sentimenti di appartenenza di classe e delle credenze religiose.
L'estensione dei diritti sociali ha ridotto l'asprezza dei conflitti sociali e i mass media permettono di
entrare direttamente in contatto con le masse degli elettori.
Il successo elettorale diventa quindi l'obiettivo dei partiti, che abbandonano i tentativi di
formazione intellettuale e morale del popolo per un più vasto consenso ed immediato successo. Il
concentrare tutte le energie nella competizione elettorale porta alla scelta di temi consensuali, e
meno radicali, per estendere al massimo il raggio dei potenziali elettori.
Vediamo inoltre una PROFESSIONALIZZAZIONE delle organizzazioni di partito, che Panebianco
descrive partito professionale-elettorale. La burocrazia di partito (che aveva contatti con la base)
viene sostituita da tecnici ed esperti. Quindi si indebolisce il ruolo dell'appartenenza e cresce
quello dei leader di partito. L'adesione al partito è sempre meno basata su valori, e più sulla
carriera.
Crescente collusione tra partiti, che formano alleanze per ottenere risorse pubbliche (la crescente
penetrazione tra stato e partiti riduce il bisogne delle offerte dei militanti).
Il cartel party è uno stadio estremo di trasformazione del partito da organismo interno alla società
civile ad un'organizzazione intermedia tra società civile e stato, e poi ad una struttura sempre più
interna allo stato.
L'allentamento del rapporto tra partiti e base sociale è evidente nella riduzione del numero di
iscritti, nell'indebolimento del sentimento di identificazione partitica e nell'aumento
Scienza politica 18
dell'astensionismo elettorale.
I nuovi partiti investono fortemente nei mezzi di comunicazione, adottando strategie quali la
personalizzazione della leadership e centralizzazione. In particolare la televisione negli ultimi
decenni ha facilitato l'identificazione diretta tra elettori e leader, che scavalcano così la
mediazione del partito. La personalizzazione tenta di riconquistare il consenso soprattutto di
coloro che non sono interessati alla politica, attraverso quindi un linguaggio antipolitico = accade
così che i leader sottolineano la loro estraneità alla politica e gli appelli populisti mirano a sfruttare
la sfiducia nella politica istituzionale.
Come abbiamo visto , i partiti dipendono sempre meno dai loro membri, e sempre di più da
finanziamenti pubblici, tanto che entrano in rapporti di reciproca complicità (cioè fanno accordi
per aumentare questi finanziamenti). I partiti hanno quindi a disposizione sempre più risorse, ma
allo stesso tempo meno capacità di organizzare la società civile e si allontano da essa.
CLEAVAGES O FRATTURE
I politologi hanno fatto un'analisi di diversi partiti a partire dai conflitti o fratture che li hanno
generati. Queste fratture sono 4:
FRATTURE DEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DELLO STATO NAZIONALE
conflitto centro-periferia = opposizione delle popolazioni sottomesse alla cultura centrale della
costruzione della nazione, ovvero all'accentramento territoriale e culturale (simbolizzato da
un'unica lingua ufficiale)
conflitto città-campagna = cioè tra gli interessi agrari e gli imprenditori industriali, in
particolare sul tema dei dazi doganali e dei prezzi dei prodotti agricoli. Questa frattura è
espressa nei parlamenti dallo scontro tra partiti conservatori-agrari e partiti liberal-radicali.
In molti paesi la struttura partitica odierna riflette le fratture degli anni venti. Questa permanenza
si riscontra anche nei voti: molti studi hanno rilevato infatti una bassa volatilità (cioè fluttuazione
del voto) facendo parlare di stabilità elettorale.
Più di recente si parla quindi di IPOTESI DI CONGELAMENTO, cioè una continua riduzione del
passaggio degli elettori da destra a sinistra, e viceversa, con i grandi partiti che mantengono e
monopolizzano la maggioranza dell'elettorato delle democrazie europee.
Scienza politica 19
Le ragioni di questo congelamento si trovano nella capacità dei partiti di agire sulla struttura stessa
del conflitto: questi riproducono cioè le fratture da cui sono nati, offrendo simboli e
rappresentanza. Sono in grado non solo di incanalare il conflitto, ma anche di plasmarlo. Si parla
quindi anche di congelamento dei conflitti, nel senso che questi vengono ingessati all'interno di
regole che riducono possibilità di esplosioni violente e queste regole sono riconosciute come
necessarie per benefici consistenti, cioè sono ritenute legittime.
1. partiti liberali e radicali: portatori dal XIX secolo degli interessi della borghesia. Chiedono
abolizione dei dazi doganali, fondamentali diritti civili e diritti politici. Con posizioni
anticlericali, difendono la libertà e quindi richiedono la limitazione dell'intervento statale,
specialmente nell'economia.
2. partiti conservatori: emergono in opposizione ai liberali per difendere gli interessi dei
proprietari terrieri e spesso del clero. Oggi questi partiti tendono ad abbracciare la dottrina
liberale , ma restano ostili all'ampliamento di diritti civili e politici.
3. partiti socialisti e social-democratici: nati nel XIX dalla mobilitazione della classe operaia. Nel
dopoguerra i partiti socialisti rinunciano alla socializzazione dell'economia a favore di
economie miste.
4. partiti democristiani: XIX, quando chiesa cattolica si scontra con le democrazie liberali.
Propensi all'estensione di alcuni diritti sociali, contro l'adozione di alcuni diritti civili (in temi
di famiglia, nascite, genere).
5. partiti comunisti: fondati dopo la rivoluzione russa, a lungo fedeli all'idea della necessità di
una rivoluzione sociale, con un percorso di revisione ideologica arrivano ad accettare le regole
delle democrazie e persino dell'economia capitalista.
6. partiti agrari: nati nei piccoli paesi per difendere gli interessi delle campagne.
8. partiti della destra radicale: eterogeneo insieme di partiti antiliberali e antidemocratici (partiti
fascisti e oggi partiti xenofobi e populisti).
9. partiti ecologisti: emersi negli anni '80 per la difesa dell'ambiente dall'inquinamento,
sottolineano le potenzialità di uno sviluppo sostenibile.
Secondo ricerche recenti si assiste ad uno scongelamento nel sistema dei partiti a seguito di un
cambiamento del peso relativo delle diverse famiglie spirituali e della nascita di nuovi partiti. Oggi
si evidenzia il declino dei partiti religiosi e comunisti, a fianco all'emergere di partiti verdi. I nuovi
partiti sono nati e sviluppati al di fuori della classiche cleavages, portando nuove tematiche.
Soprattutto a partire dagli anni '80 si è registrato un declino dell'identificazione dei cittadini con i
partiti. Negli anni '90 questo crollo è ancora più evidente con lo scioglimento dei regimi socialisti e
l'ondata di scandali politici di molte democrazie europee (92 in Italia).
La perdita di fiducia nei partiti, secondo alcuni, fa diventare le fasce meno istruite facile preda dei
partiti populisti.
Scienza politica 20
Altri sostengono che il distacco dal partito sia un sinonimo di maturità dell'elettorato, che giudica i
partiti sulla base della loro performance, invece che sul pregiudizio ideologico. La disponibilità di
informazioni e la scolarizzazione rendono infatti l'opinione pubblica più esigente e critica.
Un'altro oggetto di studio nei partiti è la COMPETIZIONE E COOPERAZIONE tra questi:
Secondo Duverger le differenze tra i sistemi di partito derivano dal sistema elettorale (che
favorisce con sistema maggioritario il bipartismo e con proporzionali il multipartismo).
sistemi bipartitici con alternanza di potere tra due partiti. Ritenuto efficiente perché garantisce
stabilità del governo e moderazione.
3. partito predominante, esistono più partiti che competono effettivamente ma i minori non
riescono a vincere.
SISTEMA BIPARTITICO: quando i partiti sono in grado di competere, almeno uno dei due riesce ad
ottenere la maggioranza, questo partito vuole governare da solo, vi è alternanza o rotazione al
potere, la competizione è verso il centro (moderazione ideologica).
SISTEMI MULTIPARTITICI:
1. multipartitismo ( o pluralismo) moderato, dove i partiti non sono più di 5 e vi sono governi di
coalizione, la struttura del sistema è bipolare, tutti i partiti sono orientati ad andare al
governo.
Scienza politica 21
3. multipartitismo segmentato, più di 5 partiti, ma bassa polarizzazione ideologica.
CAP XII
PARLAMENTO
mandato temporalmente definito dei componenti: i componenti dei parlamenti democratici sono
soggetti a rinnovo.
Non esistono solo i parlamenti democratici, ma anche quelli pre-democratici, non democratici ed
autoritari. Nei parlamenti non democratici, è in primo luogo il carattere del pluralismo a venire
meno, ma anche quello della rappresentatività e della permanenza.
LA RAPPRESENTANZA
L'attributo politicamente più significativo dei parlamenti è il carattere rappresentativo. Questo
carattere non qualifica solo il parlamento in quanto istituzione, ma anche la democrazia in quanto
regime.
Dobbiamo fare una distinzione tra rappresentanza (in senso giuridico, artistico o teologico),
rappresentanza politica (anche predemocratica) e rappresentanza politica democratica.
Il concetto di rappresentanza fa riferimento sempre ad una situazione duale e relazionale, suppone cioè
un rappresentante ed un rappresentato, e che tra questi sussista un certo rapporto.
Scienza politica 22
Nella sfera politica, i due poli si identificano con i governanti ed i governati: le teorie e le
istituzioni rappresentative rispondono all'esigenza di modellare il rapporto tra questi due poli.
Possiamo individuare almeno cinque varianti del significato di questo rapporto:
3. rappresentanza come relazione che comporta una responsabilità del rappresentante nei
confronti del rappresentato e prevede dei meccanismi per farla valere. Cioè il rappresentato ha
il potere di controllare e sanzionare il rappresentante; concetto espresso nelle democrazie
dalle elezioni.
5. rappresentanza come raffigurazione di tipo simbolico: una persona in ragione del suo ruolo
istituzionale esprime in maniera simbolica un carattere della realtà politica che da solo non
potrebbe manifestarsi così efficacemente. La rappresentanza come simbolo viene utilizzata più
frequentemente per gli organi politici monocratici (es. capo dello stato rappresenta lo stato). I
rappresentanti-persone non si distinguono molto da oggetti materiali o immateriali che
svolgono le stesse funzioni di rappresentanza simbolica: bandiere, inni, immagini, edifici
Scienza politica 23
La rappresentanza è quindi contemporaneamente principio di legittimazione politica, struttura
istituzionale e modalità di comportamento.
La struttura istituzionale, anche se non sufficiente da solo, costituisce la garanzia fondamentale
della rappresentanza come elemento duraturo: la struttura istituzionale tipica, attraverso la quale
la rappresentanza si costituisce come asse centrale della democrazia moderna, è quella identificata
dal binomio elezioni competitive e parlamento.
GLI ANTECEDENTI STORICI DELLA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA
Il fenomeno della rappresentanza politica democratica è relativamente recente: fine 700 ma
soprattutto seconda metà 800, ma le basi vengono poste già a partire dal medioevo grazie alle
assemblee parlamentari. Caratteristiche di questi antecedenti storici:
I parlamenti riflettono la natura composita delle unità politiche medievali: non sempre esiste
un istituzione parlamentare centrale.
In alcuni casi abbiamo l'autotutela dei poteri periferici - i parlamenti sono strumenti dei poteri
non monarchici della società per difendere i propri interessi e le proprie libertà - in altri i
parlamenti sono di iniziativa regia - la monarchia convoca i parlamenti che sono strumenti
attraverso i quali il potere monarchico costruisce il consenso in una società frammentata -.
Scienza politica 24
La rappresentanza politica democratica è un sistema di relazioni tra governanti e cittadini
caratterizzato da un elevato grado di articolazione istituzionale. La struttura assembleare dei
parlamenti è condizione necessaria per assicurare carattere pluralistico alla rappresentanza.
Il parlamento ha un ruolo bifronte: da un lato è strumento di espressione della società e delle sue
domande - input del sistema politico - dall'altro è luogo di potere decisionale - versante di output -.
La struttura dei parlamenti da un lato riflette le caratteristiche della rappresentanza e dei suoi
processi, dall'altro è profondamente influenzata dagli assetti potestativi e dai problemi della
decisione politica.
Non solo dobbiamo definire gli elementi base dei parlamenti, ma anche le sue varianti strutturali.
Struttura = più che al modello organizzativo formale si fa riferimento a quello reale. Ciò significa
che dobbiamo combinare il corpus di norme giuridiche alla natura e le caratteristiche dei soggetti
politici, individuali e collettivi, che compongono il parlamento.
Come configurare la rappresentanza?
modello unicamerale
modello bicamerale = tipici della prima fase di democratizzazione, oggi rimasti solo in
Inghilterra. Nasce dall'esigenza di conservare, accanto alla nuova forma di rappresentanza
popolare, forme pre-democratiche, come camere alte, aristocratiche, dei lord. L'intento è di
bilanciare il carattere innovativo e garantire l'accettazione da parte dei vecchi strati politici
dominanti del nuovo.
altro modello bicamerale = compromesso tra una concezione unitaria e una concezione
policentrica (federale) della comunità politica. Una camera si basa essenzialmente su individui,
l'atra si fonda sulle unità sub-nazionali (cioè viene assegnato ad organismi del governo locale
un ruolo di anello intermedio nel circuito rappresentativo).
informativa (di comunicazione degli interessi delle minoranze) con l'espressiva ed educativa
funzioni rappresentative
Scienza politica 25
legislativa (elaborazione ed approvazione delle leggi)
CONTROLLO SUL GOVERNO = concerne il rapporto tra istituzioni parlamentari e di governo, che la
teoria democratica interpreta classicamente come controllo parlamentare sull'esecutivo. Ma, in
presenza di un governo politico, questa attività significa anche la competizione tra due autorità
politiche democratiche per il controllo sulla burocrazia. La relazione parlamento-governo cambia
molto in relazione al sistema:
2. sistemi parlamentari: tra la fine dell'800 e inizio '900 interpretare parlamento e governo come
due entità distinte nei paesi europei non risponde più alla realtà: vi è compenetrazione tra le
due istituzioni. Dovendo il governo contare sulla fiducia implicita o esplicita del parlamento
stabilisce con esso un nesso strettissimo. A questo si aggiunge la prevalente coincidenza del
personale politico delle due istituzioni (salvo limitate eccezioni di governi tecnici). Quindi dato
che il carattere parlamentare del governo lo porta alla guida della maggioranza, la funzione di
Scienza politica 26
controllo spetta all'opposizione mentre la maggioranza dà appoggio pubblico all'azione del
governo. La funzione di controllo da parte del parlamento sul governo è essenzialmente svolta
dalle minoranze parlamentari. Queste si affidano a vari strumenti: pubblicità, possibilità di
rallentare o ostacolare l'attuazione dei programmi del governo e altri.
Per valutare il grado di accentramento del processo legislativo è necessario verificare il peso
dell'iniziativa governativa e non governativa del paese: mentre in alcuni paesi l'iniziativa non
governativa è quasi irrilevante in altri (come in Italia) è significativa. Inoltre l'esame degli
emendamenti apportati alla legislazione di iniziativa governativa è un ulteriore elemento
necessario per valutare la distribuzione dell'influenza sulla produzione legislativa.
Quindi si avvicinano al polo dell'accentramento quei paesi nei quali il processo legislativo è
controllato fondamentalmente dal governo mentre al polo del decentramento stanno quei paesi nei
quali accanto al governo hanno un ruolo significativo anche altre componenti parlamentari. Non si
parla esattamente di un ruolo maggiore o minore del parlamento ma di ruoli diversi delle varie
componenti del sotto-sistema parlamentare (governo, opposizione...).
Secondo la tesi patiti ed esecutivo avrebbero tratto vantaggio dal declino dei parlamenti: ma
dobbiamo ricordare che questi non sono entità nettamente distinte ma anzi sono presenti e
operanti all'interno del contesto parlamentare:
Seppur vi siano partiti con apparati extraparlamentari o nati fuori o contro il parlamento la
classe politica di questi partiti si è progressivamente parlamentarizzata.
se è vero che il governo opera un certo controllo sull'attività parlamentare questo è solo perché
il parlamento si è progressivamente affermato come canale di legittimazione del governo.
Invece che parlare di declino dei parlamenti si dovrebbe parlare di mutamenti nella struttura di
queste istituzioni, legati al nuovo ruolo assunto all'interno di esse da parte dell'esecutivo e dei
partiti organizzati. Il partito organizzato di massa mostra segni di crisi ma riprende forza una
tendenza alla pluralizzazione dei soggetti attivi nel processo rappresentativo (gruppi di interesse,
movimenti ecc..). Questa situazione fornisce nuove opportunità ad una istituzione come il
parlamento basata sul pluralismo.
Scienza politica 27
CAP XIII
IL RAPPORTO TRA GOVERNO E POLITICA
Nella variegata fenomenologia della politica il governo rappresenta l'elemento costante, mentre le
variabili sono da riferire ad altri elementi.
Nell'suo comune della parola governo può indicare un'attività o un soggetto politico: le due
dimensioni pur strettamente connesse, sono sono la stessa cosa. In sistemi istituzionalmente più
articolati la funzione di governo e l'istituzione governo vanno distinguendosi più chiaramente,
dato che quest'ultima può condividere la funzione di governo con altre istituzioni.
LA FUNZIONE DI GOVERNO = governo e governare derivano dal verbo greco kubernao che significa
"dirigere con il timone": la metafora del timoniere della nave così come quella del padre di famiglia,
del pastore del gregge, del condottiero d'esercito sottolineano la combinazione tra l'esercizio di
un'autorità suprema e responsabilità del benessere dei sottoposti a questa autorità. Mentre queste
metafore risalgono ad un epoca pre-democratica in epoca democratica l'attenzione si sposta dal
governo al popolo, riconosciuto titolare della sovranità. La stessa denominazione del governo
"esecutivo" vuole sottolineare la subordinazione di esso alla legge, idea che viene espressa con la
locuzione stato di diritto (la supremazia delle leggi). L'interpretazione è però forviante poiché le
attività del governo vanno oltre l'esecuzione della legislazione: politica estera, monetaria ma anche
nella stessa opera legislativa il governo è artefice.
💡 La funzione di governo deve essere vista come delimitata e regolamentata dalla legge e
realizzata attraverso la legge, più che come un'attività deducibile da quella legislativa.
Per definire le funzioni del governo dobbiamo inoltre ricordare la coppia concettuale:
direzione politica = portata innovatrice che ha a che fare con il problema del declino del
consenso. giudizio di valore. Secondo Schmitt corrisponde alla sfera del politico o della
discrezionalità.
Se il governare si associa soprattutto al primo aspetto, bisogna però tenere presente che il governo
ha stretti rapporti con le istituzioni amministrative.
Passando dai criteri generali ai contenuti concreti, definire la funzione di governo risulta difficile in
relazione alle manifestazioni diverse in momenti e paesi diversi di questa istituzione. Si possono
però individuare alcuni elementi costanti = due responsabilità appaiono universalmente associate
alla funzione di governo:
Ovvero governare significa da un lato fare i conti verso l'esterno col problema della guerra e della pace e
dall'altro con quello dell'ordine, dell'integrazione e della pace interni.
Scienza politica 28
La garanzia armata (autorità del governo in fatto di polizia ed esercito) non significa che la
modalità coercitiva sia l'unica attraverso la quale la funzione di governo si svolge. Le esigenze della
salvaguardia della pace interna spaziano infatti dal polo negativo delle azioni di polizia a quello
positivo delle provvidenze del moderno welfare state. Stessa cosa nei rapporti con le altre unità
politiche: accanto alla modalità bellica vi sono quelle pacifiche, diplomatiche e commerciali.
LE FORME DI GOVERNO
I diversi sviluppi storici e culturali hanno prodotto una varietà di forme di governo, espressione che
nella scienza politica contemporanea fa riferimento a diversi modi di organizzare i rapporti tra le
istituzioni centrali nell'ambito di un unico tipo di regime: quello democratico.
Attraverso la combinazione delle due classificazioni ciascuna a due voci otteniamo una nuova
classificazione delle forme di governo a quattro caselle: presidenzialismo (struttura monocratica e
legittimazione popolare), governo del premier o cancellierato (struttura monocratica e
legittimazione parlamentare), esecutivo collegiale ad elezione diretta (collegiale e popolare),
parlamentarismo (collegiale e parlamentare).
Sotto il profilo giuridico-costituzionale la legittimazione del governo si traduce in norme che
riguardano
Queste sono strettamente legate. In generale, chi governa risponde a chi lo ha investito di tale
responsabilità e chi ha titolo a chiamare a rispondere il governo ha anche il titolo ad investirlo di
questa funzione. Mentre in USA si ha legittimazione popolare e separata dal capo dell'esecutivo in
Europa sono prevalse forme di governo a legittimazione parlamentare, anche se non mancano
forme ibride in cui si aggiunge un capo dello stato eletto direttamente.
LEGITTIMAZIONE
Scienza politica 29
possibile manipolazione plebiscitaria. Le forme miste cercano compromesso tra questo timore e un
raccordo più diretto tra esecutivo ed elettorato. Nonostante a livello sostanziale l'esecutivo
statunitense sia esponente di questo modello, a livello formale ne è fuori a causa dell'esistenza di
un organo intermedio non previsto tra elettorato e presidente: il collegio elettorale. Gli elettori
non eleggono il presidente ma i grandi elettori della federazione, che designano a maggioranza
assoluta il presidente. I grandi elettori però non si riuniscono nemmeno fisicamente e non sono un
organo stabile ma temporaneo e funzionale solo alle elezioni del presidente. Tanto che non si
considera un organo ma un metodo di conteggio dei voti popolari.
Nell'esecutivo a legittimazione diretta l'organo che conferisce la legittimità democratica (il corpo
elettorale) non ha il potere di sottrarla (se non attraverso la non rielezione). Conferimento e ritiro
della legittimità e quindi responsabilità politica si concentrano nell'elezione del presidente e non
sono previste possibilità di revoca della fiducia politica nel corso del mandato presidenziale.
La selezione del governo può essere affidata al monarca, al pdr o più raramente al parlamento. Si
tende comunque a cercare un organo scarsamente politico che possa mediare tra le fazioni e fare da
garante riguardo la correttezza del procedimento.
MODELLO PRESIDENZIALE = caratterizzato da una struttura a due livelli dell'esecutivo nella quale
il presidente è sovra-ordinato agli altri componenti dell'esecutivo (ministri o segretari di stato).
Solo il presidente ha legittimazione diretta e per questo ha maggiori poteri.
FORME IBRIDE
Scienza politica 30
SEMIPRESIDENZIALISMO = Il capo dello stato è eletto direttamente e non ha un ruolo di pura
rappresentanza ma anche di governo MA viene mantenuto il legame di fiducia governo-parlamento
e vi è distinzione tra la figura del presidente della repubblica (capo dello stato) e presidente del
consiglio (capo di governo). Quindi il governo ha legittimazione presidenziale (nomina e possibilità
di dimissionamento da parte del capo dello stato) e parlamentare (possibilità del voto di sfiducia).
Questa duplice fonte di legittimazione crea modelli di coesistenza fra le due componenti
dell'esecutivo sempre diversi. I problemi di legittimazione del governo sono particolarmente
evidenti quando si afferma in parlamento una maggioranza diversa da quella presidenziale. In
questo caso viene sciolto il parlamento per riportarlo in linea con la maggioranza presidenziale o la
cattura parlamentare del governo che ha come risultato il ripiegamento della presidenza in un
ruolo meno politico.
Ricapitolando
Presidenzialismo:
2. fusione delle due cariche di capo dello stato e capo del governo
Parlamentarismo:
Semi-presidenzialismo:
5. durata predeterminata del capo dello stato e non predeterminata del gabinetto
Premierato:
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1. legittimazione democratica indipendente del capo del governo e del parlamento
Nei paesi di tradizione costituzionale più antica (europei ed americani) lo sviluppo delle forme di
governo è stato condizionato dall'antecedente dei regimi monarchici e per questo non vi sono state
invenzioni istituzionali radicali: la forma parlamentare in particolare, nella sua articolazione capo
dello stato, del governo e parlamento e con la distinzione tra nomina del capo da parte del governo
e fiducia parlamentare riflette l'adattamento del regime monarchico.
Le innovazioni in questi casi si riducono all'adozione di elementi più o meno accentuati di
presidenzialismo e a problemi di funzionalità più recenti come quello della stabilità dei governi.
La modellistica costituzionale non è in grado di determinare del tutto le forme concrete di governo,
tanto che vi sono casi di non vigenza di un modello costituzionale formalmente ancora in vigore:
come la conservazione delle costituzioni vigenti nella Germania nazista e Italia fascista. Al di là di
questi casi limite vi sono molti casi di sottodeterminazione della forma di governo ( a partire dalla
stessa forma di governo si hanno esiti concreti molto diversi).
La normativa costituzionale produce una struttura di opportunità e di limitazioni, definendo le
arene istituzionali, le procedure e i poteri dei soggetti politici, ma non incide sulla loro capacità o
volontà di utilizzare quelle opportunità. Quasi sempre le costituzioni democratiche parlando di
attori politici fanno riferimento a soggetti collettivi di natura istituzionale formale (all'interno del
cui la contrapposizione parlamento/governo, specialmente per quanto riguarda le forme
parlamentari risulta antiquata) o a soggetti individuali (non prendendo in considerazione
l'incidenza del partito come soggetto collettivo capace di ridisegnare il modello costituzionale). Per
questo ad oggi la teoria del party government si scontra con la modellistica giuridico-istituzionale
classica delle forme di governo.
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