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Introduzione
A lungo la politica locale è stata vista come bassa politica,contrapposta alla politica alta
dei parlamentari e dei governi nazionale. Eppure la politica locale gioca un ruolo
fondamentale nella vita quotidiana dei cittadini.
Nella tradizione anglosassone ,a lungo dominante,il local government è l’insieme delle
istituzioni e procedure attraverso le quali sono governati distretti di piccole dimensioni. La
particolarità del governo locale è il luogo in cui la democrazia si è sviluppata,spesso prima e
in modo più ampio che nel governo nazionale. Secondo Bogdanor il concetto di politica
locale è usato in tre diversi sensi per riferirsi a:
1) comportamento elettorale e competizione tra i partiti a livello locale:lo studio della
politica locale può rivolgersi alla natura delle èlites locali e alla distribuzione del potere
all’interno delle unita locali di governo o all’associazione delle caratteristiche demografiche
e socio-economiche con le attività politiche all’interno dell’unità locale. In Italia,uno dei
temi più affrontati da questo punto di vista,è stata la diversa distribuzione regionale del
voto di preferenza,considerato come indicatore di clientelismo e la persistenza in alcune
aree di radicalismo di specifiche forze politiche;
2) rapporti tra politici/amministratori/burocrati locali e istanze politiche più elevate in
vista di benefici specifici: l’unità locale è trattata come un attore politico,varia con le
caratteristiche strutturali del sistema politico e con il tipo di distribuzione di rischi e
ricompense all’interno del sistema politico;
3) influenza della struttura di governo locale sugli di governo nazionale in vista degli
interessi collettivi dell’unità locale: la differenza nelle capacità politiche locali di
intervenire collettivamente ai livelli più elevati è stata spesso attribuita alle caratteristiche
strutturali strutturali dei sistemi politici,per esempio sistemi federali o unitari di governo.
Lavori più recenti suggeriscono che l’equilibrio sistematico del potere tra politiche
nazionali e politiche locali ha più a che vedere con le caratteristiche costituzionali,storiche
e culturali dei sistemi politici.
A questi se ne aggiunge un quarto:
4) struttura degli interessi e loro politicizzazione: a livello nazionale come a livello
locale,la politica struttura i conflitti esistenti. Lo studio di questi conflitti ha riguardato sia
la frattura centro e periferia sia i diversi interessi emergenti a livello locale.
Gli Elitisti
Nell’opera dei Lynd il concetto di potere rimane molto impreciso. Dalla tradizione di
community studies si distaccherà un filone di studi che si concentrerà sul potere locale.
Questo filone si differenzierà in due grandi scuole:l’approccio elitista e quello pluralista.
Caposcuola dell'approccio elitista è il sociologo Floyd Hunter. Nel suo libro "Comunity
power structure. A study of decision makers" ricostruisce il sistema delle decisioni a
Regional al City. Obiettivo della ricerca è l'individuazione di chi sono i nostri veri leader e di
come operano in rapporto l'uno con l'altro. Considerando la comunità con un centro
primario di potere Hunter ritiene che uno studio a livello locale permette di osservare più
facilmente le relazioni di potere.Il potere è una parola che sarà usata per descrivere gli atti
degli uomini che spingono altri uomini ad agire in relazione a se stessi o a cose organiche o
inorganiche. Hunter elenca così alcune ipotesi sulla struttura di potere:
1) il potere coinvolge relazioni tra individui e gruppi, sia controllati che controllori. Il potere
può essere quindi descritto strutturalmente;
2) il potere è, negli Stati Uniti, strutturato socialmente in una relazione duale tra governo e
autorità economiche ai livelli nazionali, regionali e locali,entrambi i tipi di autorità possono
avere unità di potere istituzionale,sociale,funzionale ad esse sussidiarie;
3) il potere è un fattore relativamente costante delle relazioni sociali, mentre mutevoli
sono le politiche pubbliche, le ricchezza, lo status sociale, il prestigio sono fattori della
costante di potere o variazioni nella forza tra unità di potere hanno effetti sull'intera
struttura di potere
4) il potere degli individui, per essere efficace, deve essere strutturato attorno a modelli di
tipo associativo, in clique o istituzioni. La democrazia rappresentativa offre le migliori
opportunità di assicurare agli individui una voce nella determinazione ed applicazione nelle
politiche pubbliche. La comunità offre un microcosmo di relazioni di potere organizzate,
nelle quali gli individui esercitano il massimo di effettiva influenza.
Da taluni assunti Hunter elaborò alcune ipotesi relative alla struttura di potere:
1) il potere esercitato come funzione necessaria nelle relazioni sociali.
2) l'esercizio del potere é limitato e indirizzato dalla formulazione ed estensione delle
politiche sociali all'interno di un quadro di autorità socialmente sanzionate.
3) in una data unità di potere si troverà che il numero di coloro che formulano e applicano
le politiche è minore di quello di coloro che esercitano il potere.
Tutti i policy makers sono uomini di potere. Tutti gli uomini di potere non sono,di per
sé,policy makers.
La ricerca sul potere a Regional City viene condotta utilizzando il metodo reputazionale,
basato su una serie di interviste a testimoni privilegiati. Possiamo individuare 5 tappe nel
percorso di rilevazione empirica:
1) attraverso elenchi forniti da una serie di associazioni locali , vennero compilate delle
liste contenenti nomi delle persone più importanti in quattro settori dell'attività
comunitaria: organizzazione civiche , affari economici , politica società.
2) bisognava accorciare le liste:vennero selezionati dei giudici persone che avevano vissuto
per anni nella comunità e che avessero di una certa conoscenza riguarda gli affari della
città.
3) A questi venne chiesto di collocare in ordine di importanza e di influenza 10 persone da
essi selezionati . Venne così stilata una lista di 40 leader .
4) I leader selezionati vennero intervistati su vari temi.
5) vennero infine intervistati 14 professionisti in una fascia media alta al fine di rilevare se i
modelli di relazione esistenti tra i 40 leader della comunità fossero simili a quelli esistenti
in una in altri gruppi paragonabile .
Uno dei risultati centrali della ricerca riguarda il potere del leader del mondo degli affari.
Dei 40 leaders selezionati il maggior numero si ritrova tra coloro che dirigono o
amministrano le porzioni maggiori dell'attività delle grandi imprese commerciali. E’
evidente quindi il dominio del business sugli affari civici a Regional City. La risorsa
economica emerge come la principale fonte di potere. Si evince l'esistenza di una
struttura di potere piramidale. In tre settori( vita comunitaria, politico amministrativo e
quello economico), gli intervistati erano infatti concordi nell'indicare una ristrettissima
cerchia di persone che decidevano per tutti. Hunter suggerisce l’esistenza di tre strati della
piramide: un gruppo molto ristretto di power leaders al vertice, composto da persone in
grado di assumere o fare assumere le decisioni rilevanti per la comunità;una under
structure composta da chi aveva un ruolo esecutivo ed ausiliare ai power leaders; e un
ampio numero di senza potere alla base. Ricordare che gli uomini in grado di decidere
costituiscono un gruppo piuttosto ristretto, mentre gli esecutori delle politiche possono
essere alcune centinaia. Potere oltre a essere gerarchizzato è anche coeso. Si osserva che i
leader della comunità si concentrano in alcune aree, definite come più desiderabili. In
questi gruppi, potere, prestigio, influenza si sommano in una gerarchia di tipo cumulativo.
Il potere è organizzato attorno a cricche economiche. I rappresentanti delle varie cricche si
incontrano e negoziano. Vi è dunque una struttura di potere verticale e coordinata.
Hunter osserva che il potere di questi leader è visibile, non occulto. Hunter offre una
brillante descrizione del funzionamento del sistema dei club e dei comitati. Alcuni club
risultavano avere un ruolo fondamentale nel promuovere le decisioni politiche. In questi
club si discuteva delle questioni politiche che più interessavano la comunità, anche se
nessuna decisione formale veniva presa né alcun verbale era tenuto delle riunioni. Il modo
informale o semi informale in cui le politiche pubbliche emergevano ed erano portate
avanti é secondo Hunter quella di comitato.I comitati possono essere organizzati
formalmente o informalmente, si possono portare aventi all'interno proposti seri o leggeri,
sono accompagnati in qualsiasi caso da una certa misura di ritualismo. Hunter descrivere le
diverse tappe del processo decisionale, in particolare prendendo come esempio il processo
decisionale relativo al piano di sviluppo della città. Possiamo individuare una prima fase di
formulazione in cui il comitato nasce a seguito di incontri informali tra individui , il
comitato coinvolgere soprattutto gli uomini di potere della comunità(gli uomini di affari).
Una volta definite le linee generali del progetto , i comitati vengono allargati , in
particolare ai leader delle associazioni civiche e delle istituzioni formali. Nella seconda fase
della messa in atto possono essere coinvolti nel processo i leader politici locali che devono
approvare la legislazione relativo al progetto. A proposito della possibilità del potere
Hunter osserva che in alcuni casi gli uomini d'affari non vogliono comparire nel processo
decisionale , per questo fanno partecipare dei prestanome. Conferma quindi l'intuizione
dei Lynd che molte decisioni vengono prese all'interno del club più esclusivi o attorno ad
un tavolo durante una cena. In linea con le affermazioni dei Lynd,Hunter inoltre individua
un numero ristretto di obiettivi della power èlite rispetto all’amministrazione:una debole
pressione fiscale,una politica antisindacale,limiti all’offerta di una serie di servizi pubblici e
la segregazione dei neri. Ma come si mantiene questo potere? secondo Hunter le fonti del
potere sono la persuasione , intimidazione , la coercizione e se necessario la forza . Il
controllo deriva dalla capacità di punire i ribelli. Hunter mira a rilevare il potere sostanziale,
non limitandosi al potere formale. Il metodo reputazionale viene apprezzato per la sua
praticabilità. Molte sono state le critiche rivolte ad Hunter. In primo luogo la metodologia
da lui elaborata non ha convinto tutti. Prima serie di dubbi ha riguardato la scelta dei
giudici definita come poco motivata e ragionata e la loro competenza definita come
incerta. Ancora più fondamentale è comunque il dubbio che il metodo stesso
precostituisca il risultato. Quanto Hunter infatti chiede ai giudici di ricostruire una piramide
del potere,egli predetermina l'esito della ricerca: gli intervistati saranno infatti portati a
offrire quella immagine piramidale che viene loro richiesta. Infine dal punto di vista
concettuale,lascia aperti proprio problemi rilevanti,primo fra essi il fatto di identificare
arbitrariamente di reputazione di potere e potere effettivo. In particolare poco chiaro è il
concetto di potere e irrisolto il rapporto tra varie gerarchie di potere nei diversi settori.
Ultimo problema è come per la middletown dei Lyndt,anche in questo caso resta aperta la
questione della rappresentatività di Regional City rispetto alle altre comunità americane.
I Pluralisti
Il potere piramidale dominò per alcuni anni gli studi sul potere nella comunità locale. Esso
venne comunque criticato da un gruppo di scienziati politici,guidati da Robert Dahl. Loro si
dedicarono allo studio del potere a livello locale attraverso un diverso metodo e arrivando
a risultati diversi. Essi individuarono una struttura di potere pluralista, nella quale il potere
è diffuso tra una moltitudine di élite,sia istituzionali sia non istituzionali. L'opera più
rappresentativa della scuola pluralista è il volume di Robert Dahl Who governs? Democracy
and power in an American City. Pubblicato nel 1961.Lo studio condotto dai pluralisti
riguarda una serie di processi decisionali in una comunità locale. Le domande centrali per
la ricerca riguardano gli effetti delle disuguaglianze sociali in termini di governo delle
caratteristiche di coloro che governano.Il metodo elaborato da Dahl e dai suoi
collaboratori è composto da due procedure: posizionale e decisionale. La prima consiste
nell'analizzare le caratteristiche socio-economiche di coloro che avevano occupato uffici
pubblici, dalla fondazione della città al 1950. Per quanto riguarda la seconda prende in
esame tre processi decisionali:il reinserimento urbano, l'istruzione pubblica e la scelta dei
candidati alle cariche pubbliche da parte dei vari partiti. Ad esse si aggiunge la vicenda
relativa all'adozione di un nuovo statuto per la città, in seguito respinto dagli elettori. In
ciascuna area vennero analizzate le più importanti decisioni a partire dal 1950. Le decisioni
vennero ricostruite tramite 46 interviste con esperti, verbali e documenti di varie
organizzazioni, rassegne stampa e osservazione partecipante. Di ogni decisione vennero
individuati iniziatori, oppositori, vincitori, perdenti sommando i punteggi relativi all'
influenza su ciascuna decisione si ottiene una classifica relativa al potere dei vari attori. La
ricerca venne inoltre arricchita attraverso l'analisi della partecipazione di varie categorie
socio-economiche agli affari pubblici della città;un sondaggio d'opinione con i partecipanti
e vari e decisione;e un sondaggio a campione della popolazione orientati alla rilevazione
delle caratteristiche delle persone che intervengono in diverse arene decisionali. L'analisi
storica della struttura di potere viene svolta con metodo posizionale attraverso
l'individuazione delle caratteristiche di coloro che avevano occupato posizioni di potere
istituzionale.A New Haven vennero distinti 4 periodi che rappresentano altrettante fasi di
un passaggio dalla oligarchia al pluralismo, cioè dalla concentrazione alla dispersione delle
risorse politiche rilevanti. Secondo Dahl tale passaggio ha portato al passaggio dalla
ineguaglianza cumulativa nelle risorse politiche alle ineguaglianze non cumulative o
disperse.
1° periodo: è caratterizzato dal predominio dei patrizi, con una classe dirigente che cumula
le varie risorse del potere e gode di una alta legittimazione. Periodo che va dalla
dichiarazione di indipendenza al 1842, caratterizzato da un suffragio ristretto e un sistema
di votazioni in pubblico.
2° periodo: con l'allargamento del suffragio i sistemi elettorali a scrutinio segreto si ridusse
il potere dei patrizi, sostituito dagli imprenditori, ricchi ma privi di prestigio sociale e
istruzione. Fra il 1856 e il 1899 erano, infatti, i businessman i due terzi dei candidati a
sindaco. Erano gli uomini d'affari a dominare la vita pubblica. Caratteristiche dei
businessman erano la popolarità, la fiducia e rispetto dato agli uomini d'affari da parte dei
cittadini e forse anche una identificazione simpatetica.
3° periodo: con lo sviluppo dell'immigrazione si aprì la strada agli ex plebei. Data la forte
presenza di immigrati i leader politici decisero di utilizzare un sistema politico basato sulla
eliminazione degli handicaps associati con l'identità etnica piuttosto che ridurre gli
svantaggi che derivano dalla distribuzione delle risorse da parte dello stesso ordine
economico esistente. Offrivano quindi protezione in cambio di sostegno elettorale, gli
etnici avevano i numeri per ottenere e mantenere i voti, i leader politici li ricompensavano
con impieghi pubblici. La popolarità era stata separata sia dalla ricchezza che
dall'istruzione. La popolarità voleva dire voti, i voti cariche e le cariche influenza. Si passò
quindi dai vecchi modelli di oligarchia basati su disuguaglianze cumulativa ai nuovi modelli
di leadership basati su disuguaglianze disperse. I leader non erano più uomini d'affari ma
politici di professione.
4° periodo: l'integrazione dei gruppi etnici nella comunità ridusse il potere degli ex plebei.
Con il completamento del passaggio dall' accumulo delle disuguaglianze alla loro
dispersione si aprì alla metà del ventesimo secolo, la fase contemporanea. Dahl rileva una
drastica riduzione della partecipazione dei patrizi alle decisioni pubbliche, una limitazione
della partecipazione dei businessman, e la presenza di una forte influenza in diretta dei
cittadini, tramite le elezioni, sulle posizioni dei leader. In tale fase, secondo Dahl non si
sviluppa nè una politica di classe né una politica etnica, ma piuttosto una politica orientata
verso benefici collettivi.
Successivamente con l'assimilazione dei gruppi etnici anche gli ex plebei entrano in crisi. A
questa fase si riferiscono gli studi di caso sulla elaborazione di specifiche politiche
pubbliche,condotti secondo il metodo decisionale.
Dahl ricostruisce i processi decisionali relativi al piano di risanamento urbano presentando
alcune idee di base dell'approccio pluralista. Dahl illustra le ragioni del fallimento dei
precedenti programmi di rinnovamento,Dahl individua i gruppi che,detenendo risorse
politiche,possono esercitare potere di veto: per tre ragioni nessuno dei progetti venne
approvato. Per prima cosa essi ,e nessuno offriva soluzioni realistiche al problema dei costi.
In secondo luogo essi non si occupavano realisticamente di quel processo politico che
avrebbero dovuto portare consensi sul piano strategico. In terzo luogo coloro che
occupavano cariche politiche, vedevano in tale progetto molte perdite politiche e nessun
guadagno.Ci furono dei mutamenti che aumentarono la possibilità di successo di tale
progetto,sarà in particolare il nuovo sindaco a investire tutto sul risanamento costruendo
attorno al progetto una coalizione di interessi destinata a divenire tipica per la politica
locale americana. Il sindaco ebbe la capacità di formulare il progetto in modo da renderlo
appetibile ai gruppi più diversi,creando così un ampio consenso. Dahl sottolinea (in
contrasto con gli elitisti) il ruolo delle istituzioni politiche nel processo decisionale,
concludendo che le risorse pubbliche sono più importanti di quelle private.Il potere del
sindaco e del suo staff non era comunque assoluto i gruppi di interesse,per quanto deboli
per iniziare un processo politico avrebbero comunque potuto ostacolare il progetto di
risanamento. In qualche modo ancor più potenti,gli elettori avrebbero potuto tagliare il
mandato al sindaco qualora il suo progetto di risanamento non fosse stato di loro
gradimento. Il sindaco era quindi costretto a disegnare il suo progetto tenendo conto delle
preferenze sia dei gruppi di interesse che degli elettori.Il successo del sindaco e del suo
staff era legato alla capacità di anticipare gli interessi dello stato politico e degli elettori.
Una funzione molto rilevante nel garantire il consenso di un ampio gruppo di attori venne
dalla Citizens Action Commission, una associazione di privati cui il sindaco aveva dato
impulso.Composta da rappresentanti del potere
economico(banchieri,imprenditori,presidente della Camera di Commercio, rappresentanti
di diverse istituzioni come Università di Yale,Partito Democratico). Tale associazione non
aveva una funzione decisionale, ma assume un'importante ruolo di legittimazione. Dahl
conclude che non vi è un elite unica ma varie elite in varie aree decisionali.Vari gruppi
confliggono per il controllo di alcune risorse e su alcune decisioni.Le risorse di potere non
sono cumulate nelle mani degli stessi gruppi. La principale risorsa è quella istituzionale. In
alcune arie le decisioni vengono prese da una minoranza ristretta che però tiene conto
delle preferenze degli elettori. Il consenso di base viene favorito dall'assenza di ideologie di
classe
Vengono sottolineati in tale ricerca alcuni aspetti innovativi, ad esempio l'attenzione al
processo decisionale,la centralità del sistema politico amministrativo, la visione storica e
l'approfondimento del concetto di potere. La metodologia utilizzata era inoltre più
sofisticata di quella utilizzata nelle ricerche precedenti, nonostante ciò questa metodologia
ebbe alcune critiche per quanto riguarda il metodo si è osservato che non viene ponderata
la rilevanza delle varie decisioni in secondo luogo ci si limita alla parte visibile del processo
decisionale,in terzo luogo non si forniscono strumenti per valutare l'appropriatezza del
giudizio di Dahl e dei suoi collaboratori sugli esiti. di un processo decisionale,in quarto
luogo il metodo viene considerato estremamente costoso e difficile da mettere in pratica.
Tali limiti si riflettono sul risultato invalidando la capacità dei metodi posizionale e
decisionale di individuare i veri detentori del potere. Non guardando all'esistenza di
contrasti tra l'elite dei diversi processi decisionali,Dalh avrebbe rinunciato a controllare se
l'elite sono in concorrenza tra loro. Inoltre,e questo è il punto centrale di un successivo
filone di studi sul potere locale non si considera il potere di non far emergere delle
decisioni. Infine Dahl e i suoi collaboratori non si sarebbero posti un problema centrale per
la democrazia: in nome di chi o meglio nell'interesse di chi vengono prese le decisioni?
I neolisti
Negli anni 60 in contrasto con la scuola pluralista si sviluppa un'altra corrente di pensiero la
corrente neoelitista. I rappresentanti sono Bacharach e Bartz, che con due articoli
propongono il problema dell'altra faccia del potere, cioè del potere che si esprime non
nelle decisioni, ma anche nelle non decisioni. Tali osservazioni verranno riprese in un libro
pubblicato nel 1970 dove verrà analizzato il caso delle politiche sulla povertà a Baltimora. I
due studiosi accettano le principali critiche dei pluralisti rispetto agli elitisti,i neolitisti
sostengono però che anche l'approccio pluralista conduce a risultati che falsano la realtà
cogliendo solo una parte. Individuano due principali difetti nell'approccio pluralista non si
tiene conto del fatto che il potere possa essere esercitato limitando l'ambito del processo
decisionale a questioni relativamente innocue. Il secondo è che il modello non fornisce
alcun criterio oggettivo per distinguere tra le questioni che sorgono nell'arena politica
quelle importanti, da quelle irrilevanti.
Un concetto fondamentale introdotto è quello di mobilitazione del pregiudizio. Con esso i
due studiosi si riferiscono all'attivazione di un insieme di norme, valori e regole che
impediscano che alcune tematiche divengano oggetto di decisione. Le decisioni vengono
quindi prese su temi spesso scarsamente rilevanti, mentre le non decisioni sono quelle che
riguardano i conflitti più importanti.I due studiosi ritengono che la distinzione tra
questioni importanti e questioni rilevanti non possa essere operata in modo intelligente se
non si dispone di un'analisi della mobilitazione del pregiudizio. Nella comunità le questioni
rilevanti sono quelle che sfidano le regole. Il non decision making è un mezzo per soffocare
le richieste di cambiamento nella distribuzione dei vantaggi e dei privilegi all'interno della
comunità prima ancora che vengano formulate, oppure per tenerle segrete o sopprimerle
prima che accedano all'arena delle decisioni rilevanti.
Ai neolisti va riconosciuto il merito di definire un problema rilevante che non era stato
affrontato in precedenza nell'analisi del potere locale: le forme meno visibile del potere.
Le critiche rivolte ai neoliberisti sono sostanzialmente di due tipi: una prima
critica,riguardo un certo lassismo concettuale, per esempio il concetto centrale per la loro
teoria di non decisione è definito di volta in volta come comportamento attivo o assenza di
azione, intervento consapevole o operare inconsapevole del pregiudizio, assenza di
decisione o decisione negativa. Una ulteriore critica è di tipo metodologico e riguarda la
possibilità di rilevare empiricamente le decisioni rimosse: tanto più la rimozione delle
decisioni opera con successo, tanto meno visibile sarà il processo di non decisione, non
solo per i partecipanti al processo, ma anche per gli scienziati sociali che lo osservano.
La ricerca sul potere locale: dagli studi di comuità ai temi specifici della politica locale
L'approccio europeo è in generale profondamente critico dei risultati dell'esperienza
americana e si caratterizza al momento attuale per l'impegno a elaborare prospettive di
ricerca nuove. Innanzitutto si nega che l'ipotesi formulate nel contesto statunitense siano
valide o perlomeno centrali nell'approccio al problema in contesti diversi, un secondo
aspetto importante è lo sforzo di comprendere tutti gli aspetti considerati rilevanti per la
identificazione e l'analisi del problema, un terzo aspetto di carattere metodologico
differenzia l'attuale orientamento degli Studi europei da quello prevalente negli Stati Uniti.
Quel che è certo è che in generale la ricerca sulla comunità locale andava specializzandosi
e che a questa specializzazione gli studi europei contribuirono con alcune tematiche
nuove. Questa, ad esempio, l'indicazione proveniente dal lavoro di Delbert Miller studioso
di scuola elitista, che fu il primo ad applicare quel modello da lui stesso già utilizzato per lo
studio di una comunità americana allo studio di una città inglese, Bristol. La maggiore
complessità deriva in parte dalla presenza di diverse subculture territoriali, la cui esistenza
non era stata sistematicamente analizzata negli Stati Uniti. La presenza delle subculture si
sostanziava in strutture organizzative di mediazione tra centro e periferia. Spesso gestite
da un soggetto che non desta stupore attirò più attenzione in Europa che negli Stati Uniti:
il partito politico.
Si può ricordare inoltre che l’approccio europeo esprime una critica esplicita rispetto
all'approccio dominante negli Stati Uniti, si occuperà più sistematicamente degli attori
esclusi dal potere e delle loro forme di mobilitazione politica. In primo luogo, si
analizzeranno le fratture esistenti tra centro e periferia con un attenzione rinnovata a
movimenti etnico- nazionali e partiti regionalisti. Sarà in particolare negli anni settanta che
si svilupperanno gli studi sui movimenti urbani definiti, come attori centrali di nuovi
conflitti politici. Furono tra l'altro gli studi sulla struttura delle opportunità disponibili per la
protesta che spinsero l'attenzione anche su un altro attore e arena, delle politiche locali: le
istituzioni pubbliche. A questo proposito, nella ricerca già citata, Miller aveva sottolineato,
come novità rispetto al caso americano,il ruolo rilevante giocato dalle istituzioni locali,e in
particolare dal City Council, nel processo decisionale della comunità.I risultati del processo
decisionale verranno in particolare collegati sia a variabili strutturali che alle modalità del
processo decisionale. Più di recente una serie di politiche pubbliche più legate al governo
locali, quali le politiche ambientali quelle culturali e quello urbanistiche sono state oggetto
di numerose ricerche.
La marginalità storica
La ricerca di Banfield, e il relativo libro, ha ruscitato molta attenzione: Banfield ha
affrontato un nodo che aveva preoccupato i sociologi e gli storici economici, gli
amminstratori e gli esperti di sviluppo per decenni. Banfield afferma che la variabile
fondamentale nella creazione della moderna economia capitalistica, non è l'espansione
delle opportunità economiche, nè la creazione di uno spirito capitalistico orientato al
risparmo; senza la scienza dell'associazione questi elementi non sono di nessun aiuto.
Critiche: il sociologo è stato in primo luogo tracciato di etnocentrismo per aver utilizzato la
piccola comunità americana come modello di democrazia. Inoltre, è stato osservato che le
ipotesi di Banfield sono basate su una mitizzazione della comunità, che appare superata
dalla storia. Non solo il familismo, ma anche il "villagismo" amorale ostacolerebbe, infatti,
lo sviluppo. Altre osservazioni critiche sono state rivolte alla presunta irrazionalità del
comportamento dei Montegranesi. In primo luogo, osserva Pizzorno, scegliendo il proprio
interesse il montegranese si comporterebbe come qualsiasi homo oeconomicus; è stato,
infatti, notato che si potrebbe parlare di "razionalismo amorevole". Anche la preferenza
per i vantaggi materiali e di breve periodo potrebbe essere spiegabile come
comportamento razionale, e in particolare dato che si sceglie il vantaggio di breve periodo
quanto non si è in grado di prevedere ciò che succedrà nel lungo.
Anche Pizzorno spiega perchè non c'è nulla da fare a Montenegro: in Italia come in
Germania, Francia e altri paesi di tradizione giuridica romanistica,il negoziato tra privato e
funzionario pubblico non è previsto dall'ordinamento giuridico perchè si ritiene che esso
potrebbe portare al privilegiamentpo di alcuni interessi contro altri; negli Stati Uniti ciò è
consentito, invece, dal momento che si parte dalla convinzione che tutti gli interessi
abbiano uguale possibilità di accesso all'amministrazione pubblica. Secondo Pizzorno è,
quindi, chiaro che i Montegranesi non c'entrano con il familismo amorale perchè se i
Montegranesi si dessero da fare, i funzionari non li ascolterebbero e avrebbero dalla loro il
diritto. Inoltre non essendovi solidarietà interna, Montenegro non può essere considerata
una comunità ma soltanto un'unità amministrativa. Viene, inoltre, detto che Montenegro
si trova in una situazione di marginalità storica, derivante dalla struttura dei rapporti di
classe, che spiega molti elementi del familismo amorale. Il familismo amorale di Benfield, o
meglio la bassa propensione alla cooperazione tra i contadini sarebbe piuttosto da
attribuire alla precarietà delle loro esistenze, che dipende da una lunga storia di
sfruttamento estremo da parte dei grnadi proprietari terrieri. Costretto a vivere ai limiti
della sussistenza, il contadino sarebbe, quindi, costantemente in guardia contro ogni
possibile riduzione del suo magrissimo reddito. La mancanza di prospettiva storica
impedisce a Banfield di capire che è l'arretratezza economica a produrre familismo
amorale e non viceversa. Galtung, distingue i sistemi di valori di varie classi sociali: il
familismo amorale è tipico dei contadini poveri, mentre i ceti medi sono più propensi
all'associazionismo e al mutamento, sono, però, anche quelli meno legati agli interessi
della comunità e traggono più vantaggi dell'emigrazione, tendendo, quindi, ad
abbandonare le comunità. E' evidente che fra l'essere al centro o ai margini del processo
storico, Montenegro si trovi ai margini. Nelle situazioni di marginalità storica non c'è più
comunità e non vi è ancora società, non vi sono forti solidarietà associative. La sede del
"progresso storico" è, invece, là dove si elaborano i valori per tutti, anche per coloro che
stanno ai margini e là dove si realizzano i successi individuali misurati su quei valori; là
dove si fabbricano nuovi beni che soppiantano gli antichi, dove c'è chi ha il potere e dove si
cerca di arrivare.
Clientelismo e Mezzogiorno
Per molto tempo, gli studi sul clientelismo hanno riguardato i paesi in via di sviluppo e
sono stati un campo privilegiato degli antropologi. Gli scienziati politici che si sono occupati
del clientelismo nelle democrazie avanzate si sono concentrati prevalentemente su due
casi storici: la macchina politica negli Stati Uniti tra la fine del secolo scorso e l’inizio del
nostro, e il Sud Italia, in particolare a partire dal secondo dopoguerra.
Il Mezzogiorno d’Italia raccoglie alcune della cause del clientelismo prima evidenziate, ma
ha anche una particolarità: una “particizzazione” delle relazioni clientelari, e la loro
capacità di estendersi anche superata la fase della modernizzazione politica. Lo sviluppo
del clientelismo nel Meridione è stato tradizionalmente collegato al dualismo territoriale,
in particolare all’emarginazione del Sud dallo sviluppo economico che avveniva nelle altre
regioni italiane. Il clientelismo stesso, in effetti, è un indicatore del fallimento di istituzioni
quali il mercato, i partiti e la burocrazia pubblica. In Italia non vi è stato lo sviluppo di
partiti politici organizzati per difendere gli interessi della periferia, in particolare del Sud.
Data la distanza del Parlamento dalla gente e dello stato dalla società locale, i politici locali
assunsero un ruolo di mediatori del consenso, gestendo raccomandazioni e favori. Nel
secondo dopoguerra si è tentato di intervenire rispetto all’arretratezza economica del
Mezzogiorno attraverso interventi straordinari, con la creazione della Cassa per il
Mezzogiorno, la riforma agraria, e la localizzazione dei imprese statali al Sud. Il Sud divenne
un serbatoio di consenso per una classe politica di governo che aveva difficoltà a radicarsi
nella classe operaia. “Lo sviluppo del Mezzogiorno degli ultimi decenni ha caratteri
contradditori: incremento del reddito, ma scarsa capacità di produzione, miglioramento di
condizioni civili, ma cattiva qualità dei servizi e minaccia crescente di criminalità”. Moti
studi di scienziati politici hanno analizzato il funzionamento delle macchine clientelari nel
secondo dopoguerra, concentrandosi su alcune città del Mezzogiorno. Ricerche su Catania,
Palermo, Napoli ed Eboli hanno ricostruito il passaggio dal clientelismo notabiliare al
clientelismo di massa, attraverso l’analisi delle trasformazioni organizzative del partito
dominante nel Sud Italia, la Democrazia Cristiana. Nella ricerca di Mario Caciagli,
nell’immediato secondo dopoguerra, la Dc era organizzativamente debole, nel 1948 il
partito si rafforzò grazie soprattutto alla mobilitazione della Chiesa e dei Comitati civici.
Negli anni 50’, l’attività di potenziamento, dell’apparato del partito si intrecciò con una
utilizzazione della spesa pubblica ai fini della raccolta individualistica di consenso.
La gestione del comune e della provincia erano caratterizzate da un enorme aumento del
deficit e dalla esplosione dell’occupazione pubblica.
La spesa pubblica serviva a rafforzare il controllo clientelare attraverso la gestione di posti
di lavoro, assegnazione case, sussidi, posti letto in ospedale, gestione appalti… Nel
mezzogiorno si assistette così alla formazione di rapporti stabili tra la Dc e i costruttori
edili, che faranno fortuna nel periodo della grande speculazione edilizia. (Esempio: caso
catanese: il reclutamento di iscritti avveniva attraverso i segretari di sezione, che
controllavano una rete di “capi-tessera”, che a loro volta erano in contatto con dei
“capofamiglia” ciascuno dotato del suo pacchetto di voti. Veniva ricambiata la loro fedeltà
con posti di lavoro negli enti pubblici e/o nomine nei consigli di amministrazione degli enti.
Una simile struttura la si trova anche nel caso napoletano. Mentre all’inizio le sezioni erano
il luogo principale dell’aggregazione del consenso, in seguito con l’occupazione della
pubblica amministrazione, si assiste ad una trasformazione. Negli anni sessanta il socio-
cliente non entra più in contatto con i dirigenti del partito attraverso la sezione, ma tramite
gli uffici pubblici e poi si iscrive alla sezione a sostegno degli uomini che ricoprono cariche
pubbliche ai quali si è rivolto.) La macchina viene controllata dai boss che distribuiscono
le risorse pubbliche. I boss locali si presentano come mediatori di risorse materiali
provenienti dal governo centrale. Le federazioni locali della Dc nel Mezzogiorno divengono
così l’illustrazione per eccellenza di un partito clientelare di massa. Il partito diventa solo
un canale di distribuzione di benefici. Possiamo trovare somiglianze e differenze con il
modello del partito macchina che è definito come: apparato stabile guidato da boss locali
in grado di controllare la massa degli elettori e i centri di decisione politica e di attività
economica, privo di ideologia e fondato su scambi diretti e parcellizzati, che esclude una
crescita autonoma e una partecipazione reale dei suoi aderenti. Il partito clientelare è a-
ideologico ed è basato sulla distribuzione di favori in cambio di voti, la principale diversità
tra i due modelli è collegata ai rapporti con il centro politico, che sono irrilevanti per il
partito-macchina e fondamentali invece per il partito clientelare di massa. Nella macchina
clientelare vi è un enorme spreco di risorse, dato che il consenso viene acquisito
attraverso la distribuzione di favori pagati attraverso denaro pubblico. La lotta per il potere
inoltre, incentiva forti spinte centrifughe all’interno dei partiti politici laddove
un’opposizione politica debole è incapace di sfidare i boss politici.
La ricerca di Caciagli e dei suoi collaboratori mostra, alla metà degli anni Settanta, una fase
di apparente crisi della macchina clientelare coincidente con un periodo di bassa
congiuntura economica. Nonostante le difficoltà, comunque, il potere della Dc non è stato
incrinato, almeno fino all’inizio degli anni 90’. Palermo spiega la sopravvivenza della
macchina clientelare alla crisi economica e di risorse: il rapporto tra patrono-cliente non
dipende dal flusso continuo di benefici, ma piuttosto dal sostegno delle aspettative di
ricompensa del maggior numero di persone con il minimo dei pagamenti in termini di
benefici concreti. La crisi economica può anche rafforzarlo. Il clientelismo al Sud si è
radicalizzato, si è infatti parlato di una “meridionalizzazione” del sistema di potere
democristiano, con un clientelismo esteso anche nelle zone a subcultura bianche. Recenti
riflessioni hanno messo in luce la presenza del fenomeno anche al Nord del paese. Anche
al nord infatti, se l’ideologia è stata spesso considerata come fondamento del potere della
Dc, essa tuttavia si intrecciò con lo sviluppo di un sistema clientelare. Tradizionalmente la
Dc nell’area di subcultura bianca, si fondava sulla parrocchia, il vescovo interveniva
attivamente negli affari della comunità. Secondo un’ intervista il vescovo sceglie i
candidati,li dissuade perché il partito non li vuole e li convince a non candidarsi.Poi ricerca i
candidati che considera adatti e affida loro gli incarichi.. Questo si estende poi anche alle
associazioni.
I movimenti nazionalisti
L’esistenza delle tensioni tra centro e periferia è costante ma soli in alcuni stati queste
tensioni si sono politicizzate. Come hanno scritto Rokkan e Urwin solo in pochi casi i
sentimenti associati alla lingua hanno trasformato le principali forme della politica
diventando un tema significativo o dando vita ad un’organizzazione abbastanza forte da
dover essere presa in considerazione a livello nazionale. Varie sono le risorse e i
catalizzatori del conflitto etnico:
1) La concentrazione su un territorio, molto dipende anche dalla stabilità della popolazione
(> tasso di emigrazione > incentivi ad imparare la lingua della comunità più ampia);
2) Una serie di attori della mediazione fra centro e periferia (dal prete al maestro al
giornalista) possono trasformarsi in portavoce e difensori delle popolazioni delle periferie,
utilizzando i loro legami istituzionali con le autorità centrali per ottenere accesso al centro
politico dello stato;
3) La posizione economica delle periferie in termini di risorse materiali e di posizione
strategica per i mercati internazionali.
Spesso si mobilitano le periferie più ricche, che si sentono svantaggiate dalle politiche di un
centro distante. Ancora più importante del valore assoluto delle risorse è la posizione
rispetto al centro.
Rokkan e Urwin hanno elaborato la tipologia di periferie europee:
Forza economica relativa:
bassa: Catalogna, Paesi Baschi, Fiandre
media: Scozia, Galles Jura, Vallonia
alta: Sardegna, Val d'Aosta, Alto Adige, Irlanda del Nord
Forza culturale:
alta: Catalogna, Paesi Baschi, Fiandre
media: Alsazia
bassa: Galizia, Schleswing, Friesland, Occitania, Corsica, Friuli
Quando sono presenti risorse culturali e/o economiche la mobilitazione politica avviene
attraverso l’iniezione di catalizzatori capaci di metamorfizzare questo potenziale in
movimento, organizzazione e domande. Una volta politicizzati, i conflitti tra centro e
periferia tendono in genere a cristallizzarsi, durando nel tempo. In alcuni periodi storici i
conflitti territoriali si sono addensati, Rokkan e Urwin hanno individuato due grandi ondate
di mobilitazioni sul conflitto centro-periferia:
1) Le rivoluzioni industriali e democratiche del IX secolo produssero i primi partiti a difesa
delle minoranze, il campo di questo conflitto di identità fu quello della lingua e l’istruzione
il tema più aspro;
2) Una seconda ondata seguì il rapido sviluppo economico del dopoguerra. Negli anni ’60 e
’70 ci fu un notevole aumento della protesta nelle periferia caratterizzato da domande di
autodeterminazione, enfatizzazione della lingua della periferia, rivitalizzazione linguaggi
defunti, richiesta di diritto di utilizzare la lingua della minoranza in più situazioni, come nel
sistema di istruzione, nei mass media e nei rapporti con le agenzie.
Oggigiorno, è accettato nella maggior parte degli stati dell’Europa che ci siano diversi livelli
di identità con significati politici reali o potenziali. Secondo Rokkan e Urwin il catalizzatore
di questo revival del conflitto tra centro e periferia, potrebbe essere stato il crescente
rischio di un conflitto nucleare, che delegittimò gli stati centrali, incapaci di proteggere le
loro popolazioni dalla possibile tragedia. Contemporaneamente la seconda rivoluzione
industriale aumentava le tensioni con la periferia, talvolta attraverso processi di
deindustrializzazione poertatori di problemi economici.
Il movimento etnico-nazionale si riferisce ad attori organizzati che si mobilitano, sulla base
di un’identità legata ad una razza o a una cultura chiedendo il controllo su di uno specifico
territorio. I movimenti etnico-nazionali vengono distinti dai movimenti regionalisti, dove vi
è una richiesta di maggior controllo territoriale senza l’affermazione di una distinta identità
etnica, che dalle mobilitazioni per i diritti di cittadinanza per gli immigrati che richiedono
una rivendicazione solo dal lato della diversità etnica, senza richiesta di maggior controllo
sul territorio. Nel tempo, i conflitti tra centro e periferia, sono variati sia i fini strategici che
le forme d’azione.
I movimenti e le formazioni politiche etnonazionaliste, molto diverse per storia e contesto
sociale, hanno seguito, nella loro azione e comunicazione politica un modello di base che
include tre elementi:
1) valorizzazione della componenete etnica§
2) la denuncia della condizione di colonia
3) il tentativo di far coincidere la comuità etnica con la comunità politica.
Nel grande numero di conflitti fra centro e periferia sono variati sia i fini strategici sia le
forme di azion. In genere, gli obiettivi dei moviemnti alla periferia possono essere
sintetizzati in modo ingannevolmente semplice: vivere nel proprio paese, parlare la propria
lingua, ecc...
Gli obiettivi dei movimenti della periferia si possono esprimere in una vasta gamma di
progetti, collocabili lungo un asse che va dalla piena integrazione alla piena indipendenza
(costruzione identità periferica, protesta, regionalismo, autonomia regionale,
federalismo, confederalismo, separatismo/irredentismo). Gli obiettivi culturali includono
il riconoscimento della lingua negli usi ufficiali, la difesa della cultura popolare, dal teatro
alla musica. Gli obiettivi politici riguardano il riconoscimento dei diritti civili per le
minoranze che forme di organizzazione autonome sul territorio. Le rivendicazioni culturali
e politiche si sommano spesso con rivendicazioni economiche, quali il controllo su materie
prime presenti sul territorio della periferia o il rifiuto della collocazione di impianti
inquinanti.
Le strategie vanno invece dalla rielaborazione culturale al terrorismo. Le forme più radicali
di azione si sono sviluppate in presenza di rivendicazioni di indipendenza nazionale e in
regioni con tradizioni di sollevamenti violenti, come Irlanda o il Paese Basco. Le strategie
non si escludono a vicenda , spesso in uno stesso territorio diverse organizzazioni si
specializzano in particolari forme d’azione.
Anche le definizioni del conflitto sono variate. Le ideologie si sono mosse da un
nazionalismo conservatore che assume le categorie del gruppo dominante, alla resistenza
creativa che definisce l’avversario come un estraneo, o formule che combinano
rivendicazione etnica e rivendicazioni di giustizia sociale.
Per la posizione in relazione allo stato-nazione, sono stati distinti tre diversi periodi:
1)Una reazione legittimista = di fronte ai mutamenti profondi intervenuti al centro
attraverso la Rivoluzione nazionale, la periferia, guidata dalle sue élites tradizionali è
animata da un’ideologia altrettanto tradizionale, si attacca al vecchio ordine, questo stato
assolutista, che in passato aveva denunciato e combattuto;
2) La seconda fase è quella della contromobilitazione etnonazionalista = “la periferia,
dopo aver combattuto nei ranghi dei legittimisti contro l’affermazione nazionale finisce per
farla propria, pur sovvertendola. Il nazionalismo si diffonde nella periferia, portato da
gruppi che intendono ccostituirla in nazione. Si tratta di un “nazionalismo riflesso” che
rivolta contro il centro i canoni di un nazionalismo del quale esso utilizza la retorica
mettendola al servizio di rivendicazioni antiche. Si formano due rivendicazioni nazionaliste
che si disputano lo stesso territorio, negandosi reciprocamente;
3) Una terza tappa sarebbe la mobilitazione nazionalitaria = quando il nazionalismo
classico cede il posto alla volontà di emancipazione nazionale. Costituisce la negazione del
nazionalismo riflesso della periferia, dando invece via ad un nazionalismo senza stato.
Mario Diani e Alberto Melucci hanno osservato che, negli anni ’60 e ’70, l’ondata di
mobilitazioni sul tema del territorio notata da Rokkan e Urwin ha avuto una particolare
caratteristica: la mobilitazione nazionalista si accompagnava ad un orientamento anti-
capitalistico, che attribuiva le cause della subordinazione del gruppo etnico non più
solamente ad una forma di organizzazione politica, ma anche al capitalismo. La
mobilitazione territoriale ha inoltre cominciato ad intrecciarsi con le tematiche del
movimento ecologista. In questo caso il territorio diventa depositario dell’identità
biologica/naturale e la sua salvaguardia una garanzia della sopravvivenza del gruppo
umano. Si è acuito inoltre il conflitto inter-etnico, sia alla periferia, dove gli sconvolgimenti
seguiti al crollo dell’Unione Sovietica hanno fatto riemergere tensioni storicamente
radicate, sia al centro, dove si sono avute ondate massicce di immigrazione dal terzo
mondo. Ritorna anche il razzismo come riaffermazione della identità nazionale in chiave
etnocentrica. I diversi movimenti a base etnica sono stati variamente interpretati: si sono
osservati più fattori, come l’identità etnica che si basa su una serie di caratteri oggettivi,
acquisiti al momento della nascita. In questo senso si è collegata la forza della
mobilitazione al grado di diversità e concentrazione di minoranze etniche alla periferia.
Alcuni studiosi hanno sostenuto che l’identità etnica è sempre soggettivamente costruita
(comunità immaginarie di Anderson) per sottolineare il ruolo della rielaborazione simbolica
nella definizione di identità etnica. In queste interpretazioni l’etnicità diventa una
costruzione simbolica. È stato anche osservato che mentre le politiche sociali migliorano le
condizioni di vita anche delle minoranza, esse aumentano la rilevanza dei bisogni simbolici,
tra cui il riconoscimento di un’identità etnica.
Mentre gli approcci culturalisti sottolineano come i movimenti etnici riaffermino un
diritto alla diversità nella visione marxista, la mobilitazione etnica si oppone ad una
discriminazione soprattutto economica appellandosi all’eguaglianza. Secondo
l’interpretazione marxista il conflitto etnico è legato ad un controllo di risorse materiali: i
capitalisti sfruttano la divisione etnica, opprimendo economicamente le minoranze. Si
parla di “colonialismo interno” secondo il quale lo sviluppo capitalistico porta ad una
differenziazione crescente tra un centro che guida lo sviluppo nazionale, ed una periferia
che assume una posizione subordinata. Ricchezza e potere vengono drenate dalla periferia
al centro: la periferia offe ma non riceve dal centro risorse sufficienti per emanciparsi dallo
sfruttamento. Alla dipendenza economica si simma la discriminazione politica e culturale.
L’identità etnica diventa così una base di resistenza contro lo sfruttamento economico e
l’oppressione politica. Avviene comunque che movimenti o autonomistici o
indipendentisti si sviluppino anche in zone economicamente avanzate, come nel caso
basco o in quello catalano. Per questi casi è stata elaborata una spiegazione che sottolinea
l’incongruenza territoriale tra sviluppo economico e leadership politica. In regioni ricche
appartenenti a stati in cui il potere è gestito politicamente da un centro poco dinamico
economicamente,si sviluppa una sorta di incongruenza di status.
Approcci più politici hanno guardato alla identità etnica come risorsa per l’aggregazione
degli interessi sul mercato politico. L’identità etnica è stata spesso alla base della
costruzione di solidarietà “spendibili” politicamente, funzionando come strumento di
aggregazione e unità di riferimento della rappresentanza nelle istituzioni politiche. La
dimensione etnica può, infatti, costituire una base per l’emergere di nuove solidarietà. Una
delle variabili politiche più rilevanti per l’evoluzione della mobilitazione etnico-nazionalista
è comunque la reazione che ad essa viene dal centro, e che può oscillare sia in relazione al
grado di accettazione delle rivendicazioni della periferia, sia in relazione alla preferenza
accordata a politiche di tipo culturale o economico. La tendenza di ogni regime è quella di
centralizzare e standardizzare. Tuttavia la resistenza totale si è rilevata una operazione
costosa. Le domande della periferia sono spesso un insieme di rivendicazioni culturali ed
economiche. I regimi possono offrire una risposta economica o più specificamente politica.
La prima può essere più costosa ma nel lungo periodo è meno rischiosa per gli imperativi
territoriali dello stato. Infatti le politiche di riequilibrio economico sono state spesso
incomplementate, in particolare nel secondo dopoguerra, quando ai problemi delle aree
rurali arretrate si sono aggiunti quelli delle zone industriali nei settori di crisi.
Le reazioni del centro sono state tra le più importanti determinanti delle strategie
adottate dalle periferie. Le forme più radicali di protesta si sono sviluppate dove la
compresenza sullo stesso territorio di diversi gruppi in conflitto ha scoraggiato strategie di
accomodamento da parte del centro.
I partiti neo regionalisti
Sono presenti in più o meno tutti i paesi europei e assumono spesso una funzione rilevante
nel sistema politico. Con partito etno-regionalista ci si riferisce a tutti quei partiti la cui
principale caratteristica è il tentativo di rappresentare gruppi territoriali etnici e/o
regionalmente concentrati che affermano di costruire una categoria sociale specifica con
una identità comune specifica e unica. È quindi caratterizzato da un riferimento ad un
territorio sub-nazionale e da una identità di gruppo esclusiva, oltre che dalla richiesta di un
variabile livello di auto-governo. Mirando ad una politicizzazione dei conflitti su base etnico
territoriale, questi partiti sono, infatti, stati definiti come imprenditori etnici.
Tali partiti si differenziano dagli altri (socialisti, comunisti…) perché focalizzano le loro
richieste sulla riorganizzazione politica della struttura di potere nazionale o su forme di
autogoverno. A seconda del loro grado di radicalità possiamo suddividerli in:
- Partiti protezionisti orientati alla difesa dell’identità culturale - Partiti autonomisti che
domandano un trattamento speciale per la loro regione nell’ambito di uno stato unitario
- Partiti nazional-federalisti orientati alla riorganizzazione di uno stato unitario in stato
federale
- Partito euro-federalista con richieste di autonomia o indipendenza della loro regione
nell’ambito di una Europa delle regioni - Partiti separatisti che lottano per la piena
indipendenza
- Partiti irredentisti che vogliono l’annessione della loro regione ad un altro stato nazione.
Secondo una ricerca buona parte dei partiti regionalisti dell’Europa occidentale ci colloca
nel centro-sinisra, qualcuno a sinistra e qualcun altro a destra con punte di razzismo.
Spesso i partiti regionalisti hanno un leader carismatico che corrisponde al "padre
fondatore” del partito, che assolve compiti organizzativi, ideologici e simbolici. Si possono
creare dei problemi al momento della “successione” al fondatore, la loro eterogeneità
ideologica e strategica li rende soggetti frequenti a scissioni. Ecco perché in un solo
territorio troviamo più partiti etno-regionalisti. Per quanto riguarda l’elettorato esso è
stato collocato soprattutto nelle campagne, emerge infatti un radicamento fra i ceti rurali.
Successivamente alcune ricerche hanno rilevato la predominanza di una
sovrarappresentazione di giovani, maschi, con livello di istruzione elevato e provenienti da
classi medie.
Secondo le analisi più recenti la caratteristica principale dei partiti regionalisti è il loro
“interclassismo” cioè una base elettorale che tende a divenire sempre più simile a quella
della popolazione nel suo complesso. In molti paesi tali partiti hanno avuto un forte
impatto sul sistema politico, avvicinando alle loro posizioni anche partiti tradizionalmente
centralisti. La crescita di questi partiti è stata attribuita da alcuni al fallimento della
modernizzazione e dello stato-nazione, mentre altri hanno osservato che viceversa è
proprio il successo della modernizzazione che, rimuovendo le barriere fra i gruppi etnici,
produce competizione. Una delle principali determinanti del voto a questi partiti è la forza
di una identità etno-regionale, misurata in termini di uso della lingua, sentimenti di
appartenenza e mobilitazioni autonomiste. Esempi dove i partiti etno-regionalisti sono
presenti e forti: Paese Basco, Catalogna, la Fiandre, Scozia, Galles e il Sud Tirolo. Dal punto
di vista delle condizioni socio-economiche è stato osservato che il voto regionalista è più
forte nelle regioni con uno status socio-economico privilegiato rispetto allo stato nazionale
di cui fanno parte. Inoltre situazioni di instabilità politica e insoddisfazione verso altri
partiti possono portare ad un voto di protesta che può favorire i partiti etno-regionali. Il
sistema maggioritario non ostacola tali partiti, o comunque non nella stessa misura in cui
ostacola l’emergere di altri partiti di protesta. Ciò è dovuto alla tendenziale concentrazione
sul territorio del voto e riescono quindi ad essere rappresentati anche in parlamento. Il
loro successo sembra comunque collegato alla capacità di collegare al tema regionalista
altri temi emergenti (insoddisfazione, insofferenza, immigrazione…).