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Gli Stati uniti degli anni 20

Gli “anni ruggenti”

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti non risultano essere troppo impoveriti:
superata una piccola recessione post bellica, la potenza industriale degli Stati Uniti arriva a
superare addirittura la Gran Bretagna. Negli anni 20 infatti, si segnala una notevole fase di
sviluppo e produzione che prende il nome de “i ruggenti anni venti”, anche i consumi
secondari iniziano a diffondersi in numerose fasce della popolazione, e un tale benessere
economico non può che portare ad un aumento del consenso verso il sistema capitalistico.
Tuttavia, dopo le elezioni presidenziali del 20, si segna il ritorno del potere repubblicano che
voterà a favore di un rifiuto verso la Società delle Nazioni (a dispetto del volere di Wilson),
attuerà una politica isolazionista, al fine di difendere il proprio bottino di guerra, e
proibizionista. Il proibizionismo non farà che alimentare il contrabbando gestito dalla mafia
americana col giro di sostanze e bevande altrimenti invendibili, decretando il successo di Al
Capone. Questo tipo di politica, che decretò l’aumento della criminalità organizzata, fu la
conseguenza di una situazione sociale che per alcune fasce, come quella dei più umili
proletari o gli uomini di colore, era deplorevole, non essendoci misure di distribuzione equa
del reddito. I più poveri,accusati di far spesso uso di bevande alcoliche, vennero ritenuti un
cattivo esempio, quindi il consumo di alcool e altre sostanze fu limitato. Il tutto si inserisce
nel contesto del “Red Scare”, cioè la diffusione della paura per il comunismo russo e il
timore che potesse propagarsi anche in altri stati.

Il crollo di Wall Street e la Grande Depressione

In un clima di euforia e ottimismo, la speculazione finanziaria portò ad un pericoloso


processo di indebitamento collettivo, si determinò un eccesso di produzione rispetto a quel
che il mercato interno poteva permettersi e per questo, si cercò di sostenere la domanda
con l’offerta di prestiti e mutui. Tutto ciò, contribuì a rendere sempre più fragile il sistema
creditizio, che nel 1929 entrerà in crisi. Infatti dopo il 24 ottobre (giovedì nero) e il 29 ottobre
(martedì nero), alla inondazione di vendita di titoli azionari sul mercato, si contrappose un
crollo dell’indice medio del valore dei titoli: col Big Cash crolla Wallstreet,portando ad una
forte crisi sia all’interno della popolazione (in particolare tra le classi borgesi, che reggevano
la produzione), sia tra tutti gli stati che dopo la guerra avevano dovuto ripiegare sul sostegno
economico americano (furono particolarmente coinvolti nella crisi Germania, Austria e Gran
Bretagna). Ad una serie di fallimenti a catena, che portarono a disoccupazione e
impoverimento, si cercò di contrapporre, e quindi attuare, il protezionismo, che copiarono
tutti gli stati europei, provocando una paralisi del mercato internazionale, oltre che una grave
psicosi.

Il New Deal di Roosevelt

A tre anni dal crollo della borsa, gli Stati uniti si trovarono in preda ad una situazione di crisi
enorme, alla quale si riuscì a venirne a capo dopo le elezioni nel ‘33 del presidente
Roosevelt, il quale attuò immediatamente la politica del “New Deal”. Il provvedimento in
questione si basava su un aumento di inflazione controllata, quindi su una limitazione del
potere e dei condizionamenti legati alla finanza per ridare centralità allo stato anche
nell’ambito economico. Infatti, con la politica deflazionistica che caratterizzò gli anni seguenti
alla guerra e con un disinteresse della politica rispetto al mondo del mercato, si era giunti ad
una svalutazione della moneta e ad una crisi certa. Ma con il nuovo “capitalismo
democratico”, il capitalismo venne regolamentato con una serie di riforme sociali e l’attività
economica iniziò a sottostare alla mediazione dello Stato. Con l’aumento controllato del
debito pubblico la moneta riottiene potere d’acquisto, ma rimane da risolvere il problema
legato alla disoccupazione: per questo, lo stato inizia ad investire in grandi opere pubbliche,
così da dare maggiore fonte di guadagno ai lavoratori, mentre con l’abrogazione del
proibizionismo il commercio illegale viene colpito. Ciò porta all’investimento in industrie
inerenti la produzione di alcool, e quindi a nuovi posti di lavoro. Ma il grande impegno dello
stato non solo accresce il lavoro, porta anche ad un maggiore impegno da parte delle
industrie per quanto riguarda il rispetto dei lavoratori. Con norme che puntano al rispetto
dell'individuo e alla tutela del lavoratore, negli Stati Uniti si avvia un processo di
democratizzazione, diversamente dagli altri stati europei che si stavano avviando verso
l’autoritarismo.

I fasci di combattimento alla marcia su Roma

In un contesto di grande tensione sociale, caratterizzato da un susseguirsi di proteste, entra


a far parte della scena italiana un primo nucleo del movimento fascista, detto “I Fasci di
Combattimento”, guidato e fondato a Milano il 23 marzo del 1919 dall’ex direttore dell’
Avanti, Benito Mussolini. Ex membro del partito socialista, venne espulso per aver mostrato
delle tendenze interventiste nel contesto del Primo Conflitto Mondiale. Con l’obiettivo di
racchiudere in un “fascio” più correnti di pensiero sia di destra che di sinistra, il fascismo
nasce già con delle ambiguità e degli atteggiamenti autoritari, antimonarchici e
antidemocratici. All’interno del movimento, che inizialmente era di matrice repubblicana,
vennero accolti anche gli arditi, seguaci di D’Annunzio. Il primo vero atto fascista fu compiuto
a Sansepolcro, quando I Fasci vennero convocati per reprimere la rivolta operaia. Il
malcontento tra contadini e industriali aumentò ancora di più quando venne richiamato
Giolitti per presiedere il partito liberale che dopo le elezioni del 19 (con Nitti) non ebbe più la
maggioranza assoluta. Quindi, i Fasci di combattimento iniziano ad ottenere forza e visibilità
con le squadre d’azione, in particolare tra i borghesi che non vedevano di buon occhio gli
operai, nonostante all’inizio fosse un movimento di tipo antiborghese. Alla fine, Mussolini
approfitterà dell’insoddisfazione generale per poter ottenere consensi anche tra i ceti sociali
bassi. Le camicie nere, agivano su richiesta dei potenti e per la repressione violenta della
tirannide rossa. Tra questi primi atti di violenza, ricordiamo l’assalto al palazzo d’Accursio,
dopo cui lo squadrismo si diffuse in tutte le zone d’Italia con delle leghe rosse radicate da
smantellare. Le istituzioni, come anche lo stesso Giolitti, non si opposero all’ascesa del
fascismo, perché si credeva che le camicie nere potessero contrastare i moti socialisti (tra
l’altro, il governo liberale era fortemente odiato dai fascisti).
Nel maggio 1921 vengono riorganizzate nuove elezioni, dove coi blocchi nazionali (liste di
coalizione) i fascisti si aggregano al partito liberale e ottengono 35 deputati, compreso
Mussolini.Tuttavia, i liberali non ripresero il controllo della Camera. Dopo l’elezione di
Bonomi (ex interventista democratico), Mussolini assunse dei toni più moderati anche per
tenere sotto controllo i ras (capi locali fascisti), e nell’agosto del 1921 realizzò un patto di
pacificazione tra Partito socialista e Confederazione generale del lavoro, al quale i dirigenti
locali dello squadrismo si opposero. Quindi, il 9 novembre del 1921 viene fondato il Partito
nazionale fascista, dopo che Mussolini sconfessò il patto coi socialisti. Ciò a cui Mussolini
aspirava era il raggiungimento della gloria dell’antica Roma attraverso il crollo dello stato
liberale.
Facta viene eletto, ma durante il suo governo le violenze delle Camicie Nere non cessano.
Intanto, il partito socialista si sfalda sempre di più e viene ulteriormente indebolito dalla
decisione della maggioranza massimalista che decise di espellere i riformisti dal partito,
decretando la nascita del Partito Socialista Unitario, con leader Giacomo Matteotti. Dopo
una serie di decisioni sbagliate, lo stato liberale è ormai debole, Mussolini ritiene che sia il
momento giusto per per prendere il governo: mobilita tutte le milizie fasciste, abbandonando
le posizioni anticlericali e antimonarchiche per non avere ulteriori opposizioni, e da Napoli
farà marciare le sue camicie nere verso la capitale Roma (28 ottobre 1922) per un assalto
alle prefetture. Facta propone al Re Vittorio Emanuele III di firmare lo stato d’assedio, ma il
sovrano non solo rifiuta la proposta, chiama Mussolini per conferirgli l’incarico di formare un
nuovo governo. Quindi, Mussolini non ha ottenuto il potere in maniera illegittima, tutto è
avvenuto nel rispetto dello statuto albertino. Di fatto, proprio per la presenza del re, il
fascismo diverrà un totalitarismo imperfetto. A questo punto, Facta si è ormai dimesso e il 30
ottobre i fascisti giungono alla capitale.
Dopo il celebre discorso del Bivacco del 16 novembre 1922, Mussolini sa di non avere
notevoli consensi, per cui decide di formare un governo di coalizione con soli tre ministri
fascisti: ancora non si ha un totalitarismo.

Dalla legge Acerbo al delitto Matteotti

Inizialmente, il governo adottò una politica liberista a favore di una riconversione del sistema
economico post bellico per ridare slancio all’industria. Molte politiche per la tutela dei
lavoratori, e le leggi scomode alla borghesia che sosteneva il fascismo, vengono abolite
assieme le imposte sull’eredità, mentre all’insegna dei valori di forza e potere il 4 novembre
viene istituita la Festa delle Forze armate, per celebrare la vittoria italiana nel 1918. Le
prassi di repressione non cessano, inizia una fascistizzazione dello stato: nel dicembre del
1922 fu istituito il Gran consiglio del fascismo, organo del PNF che avrebbe dovuto guidare il
governo; nel 1923 le Camicie Nere vengono statalizzate e assumono il nome di “Milizie
Volontarie per la Sicurezza Nazionale”, col fine di poter controllare i ras, l’ordine tra le
gerarchie e contare su un corpo militare diverso dall’esercito di cui lui era a capo.
Nel 1923 viene creata la legge elettorale detta Legge Acerbo, che assegna i due terzi dei
seggi della Camera a quel partito o coalizione che avesse ottenuto il 25% dei voti. Così, alle
elezioni del 1924 i fascisti si presentarono col listone nazionale che comprendeva cattolici
conservatori e liberali e ottenne il 66% dei voti, la legge Acerbo risultò essere superflua.
Il giorno dopo le elezioni (30 maggio), Matteotti denuncia le violenze dei fascisti avvenute
durante le elezioni, quindi denuncia le violenze tra i partiti, le violenze fisiche, le camicie nere
e i loro assalti elettorali, la distruzione di voto, questi episodi avvengono in tutta Italia e
influenzano le elezioni. Dopo ciò, il 10 giugno 1924, Matteotti viene rapito e ucciso da una
squadra fascista. A questo punto, la stampa e le persone iniziano a nutrire dubbi verso il
fascismo, nascono diverse manifestazioni antifasciste, e anche in Parlamento si cerca di
fare qualcosa: dopo l’omicidio Matteotti, l’opposizione decide di non radunarsi in Parlamento
e di astenersi dai propri compiti, proclamando la Seccessione dell’Avventino. L'obiettivo era
quello di stimolare il sovrano a prendere provvedimenti e che sfiduciare Mussolini, ma alla
fine tutto sarà solo una semplice protesta morale. Di fatto, Vittorio Emanuele III non si
opporrà al fascismo ( un po’ per paura e un po’ perché in buoni rapporti con Mussolini).
Il 3 gennaio 1925, dopo una serie di contrasti interni, Mussolini tenne il suo discorso alla
Camera dove si prese carico del delitto Matteotti, assumendo su di sé tutta la responsabilità
“politica, morale, storica” di quanto era caduto: ebbe così inizio la dittatura fascista con una
serie di provvedimenti repressivi per le associazioni antifasciste.

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