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IL FASCISMO

I Fasci di Combattimento e il Programma di San Sepolcro


Tra le forze politiche nuove che presero forma in Italia dopo la I Guerra Mondiale, nel 1919
Benito Mussolini fondò i Fasci Italiani di combattimento. Mussolini era stato espulso dal
Partito socialista nel 1914, poi aveva fondato un quotidiano, il “Popolo d’Italia” ed era stato
un attivo interventista partecipando anche lui alla Grande Guerra. Nel 1919 presentò il
cosiddetto “Programma di San Sepolcro” con cui nascevano i Fasci. Si trattava di un
gruppo di ex combattenti, nazionalisti che non riuscivano ad adattarsi alla vita normale dopo
essere stati al fronte e si erano organizzati come un esercito (divisa, gerarchie, possibilità di
fare carriera nei Fasci impegnandosi negli obiettivi stabiliti da Mussolini, uso della violenza
contro coloro che erano di diverse idee politiche o anche contro chi creava disordine sociale
come gli operai e i contadini che scioperavano per i loro diritti).

Il biennio rosso (1919-1920)


In questi due anni l’Italia e anche altri paesi europei furono scossi da gravi conflitti sociali
perchè i lavoratori delle fabbriche e delle campagne chiedevano la riduzione della giornata
lavorativa e l’aumento dei salari mentre i datori di lavoro, che avevano problemi economici
dovuti alla necessità di pagare pesanti tasse e alla difficoltà di ottenere prestiti dalle banche,
rifiutavano qualsiasi concessione. Ci furono scioperi e manifestazioni e un grande aumento
degli iscritti ai sindacati. Soprattutto nel triangolo industriale rappresentato dalle città di
Torino, Milano e Genova gli operai occuparono più di 600 fabbriche e iniziarono ad
autogestirle attraverso dei consigli di fabbrica organizzati sul modello dei soviet russi. Al
Centro e al Nord i braccianti agricoli si organizzarono nelle cosiddette Leghe Rosse che si
ispiravano al socialismo e anche in Leghe Bianche di ispirazione cattolica che rivendicavano
aumenti salariali e stabilità lavorativa. Nel Mezzogiorno ci fu anche il fenomeno
dell’occupazione dei terreni non coltivati da parte dei contadini che chiedevano lo
smembramento dei grandi latifondi e la suddivisione di essi in lotti più piccoli che avrebbero
potuto coltivare e rendere produttivi.
Dopo le dimissioni di Nitti, fu richiamato Giolitti a guidare il governo ed egli scelse di non
intervenire contro i manifestanti ma di lasciare risolvere la questione ai diretti interessati. In
questo vuoto creato dall’assenza dello Stato nel dirimere le controversie del mondo del
lavoro s’inserirono le squadracce fasciste: gruppi armati che si recavano laddove c’erano le
manifestazioni e picchiavano gli scioperanti fino a costringerli a disperdersi o a tornare a
lavoro. Grazie a queste azioni violente e compiute nel disprezzo dei legittimi diritti che i
lavoratori stavano difendendo, i Fasci italiani di combattimento ottennero il consenso e
l’appoggio dell’alta borghesia industriale e dei grandi proprietari terrieri che avevano
interesse a fare cessare gli scioperi senza concedere nulla ai manifestanti.

L’attacco a Palazzo D’Accursio (1920)


I Fascisti fin dalla fondazione del loro movimento raccolsero molti consensi soprattutto tra i
nazionalisti, i conservatori, l’alta borghesia e i grandi proprietari terrieri. Quindi Mussolini
inasprì le violenze delle squadracce che nel 1920 attaccarono Palazzo D’Accursio a
Bologna, che era la sede del Comune visto che alle elezioni comunali avevano vinto i
socialisti. La violenza fascista dilagava ma il governo di Giolitti non intraprese azioni contro
di essa perchè credeva erroneamente che il movimento fascista potesse essere assorbito
dalle istituzioni e smettere quei comportamenti aggressivi e non rispettosi delle idee diverse
dalle proprie.
Le elezioni del 1921
I partiti di destra erano molto insoddisfatti del governo di Giolitti e così egli decise di
sciogliere le camere in anticipo e indire nuove elezioni nel maggio del 1921. Per bloccare
l’avanzata del partito socialista e di quello popolare, i liberali decisero di fare ampie alleanze
chiamate Blocchi Nazionali che comprendevano anche i membri dei Fasci (che allora non
erano ancora un partito politico ma solo un movimento di idee). La novità fu che la strategia
dei liberali portò i fascisti in Parlamento con 35 seggi. Il governo che si creò in seguito a
queste elezioni era molto instabile e così cadde più volte.
Nel novembre del 1921 i Fasci si trasformarono in Partito Nazionale Fascista (PNF)
con la più ampia base di militanti in Italia. Esso si organizzò subito in modo molto
centralizzato sotto la guida di Mussolini. Per la debolezza del governo, in quel periodo la
violenza delle squadracce fasciste aumentò molto fino a culminare in un evento gravissimo:
la marcia su Roma.

La marcia su Roma e l’incarico a Mussolini di formare il nuovo governo


Mussolini cercò di sfruttare la possibilità di una conquista definitiva del potere dal momento
che il fascismo dominava le piazze. Così nacque l’idea di una marcia su Roma, una specie
di colpo di stato che avrebbe fatto ottenere ai fascisti il governo. La marcia si svolse il 28
ottobre 1922. Il presidente del Consiglio Facta si preparò a resistere ricorrendo all’esercito
ma quando presentò al re Vittorio Emanuele III il decreto che dichiarava lo stato d’assedio,
egli rifiutò di firmarlo. Questa decisione fu dettata dal timore di una guerra civile e dalle
simpatie che Mussolini riscuoteva negli ambienti di corte. Facta rassegnò le dimissioni e aprì
la crisi di governo. A questo punto Mussolini potè negoziare, forte delle tante camicie nere
accampate nella capitale e ottenne l’incarico di formare un nuovo governo. Il 30 ottobre egli
si insediò in Parlamento e quella fu la fine dell’Italia liberale. La maggioranza del Parlamento
accolse la notizia della creazione di un nuovo governo con un sospiro di sollievo perchè
pensava che così sarebbe stata evitata la guerra civile. I comunisti e i socialisti erano,
invece, contrari. Mussolini formò un governo di coalizione con varie forze politiche e nel suo
primo discorso alla camera dichiarò che lo Statuto albertino non sarebbe stato toccato. In
realtà egli continuava ad appoggiare le azioni illegali delle squadracce che commettevano
violenze contro ogni organizzazione socialista o cattolica poichè si opponeva al Fascismo.
Inoltre Mussolini cercava di togliere al Parlamento tutte le sue prerogative: infatti istituì il
Gran Consiglio del Fascismo con il potere di prendere decisioni politiche e limitando,
dunque, le funzioni del Parlamento. Nel 1923 fu fondata la Milizia Volontaria per la
Sicurezza Nazionale (MVSN) che era, di fatto, un esercito di partito agli ordini di Mussolini.
Sul piano economico, l’Italia in quegli anni stava vivendo un periodo di espansione. Lo Stato
interveniva poco nell’economia utilizzando il sistema liberista e grazie a ciò l’industria e
l’agricoltura si svilupparono. I fascisti fino al 1925 condussero una politica economica a
esclusivo vantaggio dell’alta borghesia.

L’ascesa della dittatura fascista e le Leggi Fascistissime


Nell’aprile del 1924 Mussolini decise di indire nuove elezioni perchè i parlamentari del suo
partito che sedevano in Parlamento erano ancora pochi. Per fare in modo da avere una
maggioranza schiacciante alle elezioni, nel 1923 era stata approvata la Legge Acerbo che
prevedeva il sistema maggioritario con un forte premio di maggioranza (i due terzi dei seggi
disponibili) al partito che prendeva più voti. Inoltre, per essere sicuri che nessun partito
potesse superare quello fascista, Mussolini presentò il Listone nazionale, una grande lista
elettorale composta soprattutto da fascisti. Le elezioni si svolsero in un clima teso a causa
delle molte intimidazioni ai votanti e ci furono anche dei brogli. L’opposizione, composta dai
partiti di sinistra, protestò e il deputato Giacomo Matteotti, del partito socialista, annunciò
che avrebbe denunciato le prove dei brogli elettorali che c’erano stati. Ma il 10 giugno del
1924 fu rapito e assassinato dai fascisti. il suo assassinio ebbe un impatto forte sull’opinione
pubblica e così i partiti che erano all’opposizione decisero di dare inizio alla cosiddetta
“Secessione dell’Aventino”: una contestazione ispirata a quella attuata nella Roma antica
dalla plebe contro le prepotenze dei patrizi. Non avrebbero preso parte ai lavori del
Parlamento, impedendone, di fatto, il regolare funzionamento. Tuttavia questi partiti non
riuscirono ad essere compatti nella protesta e inoltre il Fascismo non aveva perso l’appoggio
del re, dell’esercito e della borghesia. Approfittando della debolezza delle opposizioni
democratiche, Mussolini decise che era il momento di compiere la vera svolta e il 3 gennaio
del 1925 fece un discorso alla camera provocatorio e aggressivo, nel quale affermava che
se si voleva dare la colpa di quanto accaduto a Matteotti a qualcuno, la si desse
direttamente a lui ma se l’Italia voleva vivere in un clima di pace, allora mettersi contro i
fascisti non sarebbe stata una scelta efficace. Lasciava, dunque, intendere, che se una parte
del paese si fosse posta contro i fascisti, essi avrebbero reagito con la violenza. Nei giorni
successivi al discorso le aggressioni delle squadracce si moltiplicarono e vennero attaccate
sedi di giornali e partiti politici che si erano espressi contro il Fascismo.
Il re non intervenne neppure in questo caso e i fascisti rimasero al potere.
Il passaggio alla dittatura avvenne tra il 1925 e il 1926 quando furono varate e messe
in vigore le “Leggi fascistissime” che dovevano abolire la divisione dei poteri e rafforzare
il governo. Esse prevedevano che i poteri del capo del governo venissero ampliati e che egli
fosse responsabile delle sue azioni solo di fronte al re e non più anche al Parlamento. Inoltre
il governo aveva il diritto di emanare leggi; l’organizzazione dei comuni fu modificata
eliminando le istituzioni elettive - Consiglio comunale e sindaco - che furono sostituite da un
podestà nominato dal governo. Nelle città vennero ampliati i poteri dei prefetti che potevano
sciogliere associazioni, enti, partiti, movimenti a loro discrezione. I deputati dell’opposizione
furono dichiarati decaduti e sciolti tutti i partiti che si opponevano al Fascismo. Tutti i
dipendenti pubblici ebbero l’obbligo di iscriversi al partito fascista, altrimenti sarebbero stati
licenziati. Fu istituito il confino, cioè un esilio, per coloro che erano ostili al regime e venne
ripristinata la pena di morte. Inoltre le Leggi Fascistissime istituirono un Tribunale speciale
per la difesa dello Stato e soppressero la libertà di opinione e di stampa.
Il Fascismo era diventato una dittatura.

La dittatura fascista
Riforma elettorale: Nel 1928 il regime fece una nuova riforma elettorale in base alla quale
l’elettore doveva solo respingere o approvare una lista unica nazionale di candidati scelti dal
Gran Consiglio del Fascismo che era stato reso un organo istituzionale con il potere di
esprimersi anche in merito alla successione al trono. Quindi nel 1929 invece che delle
elezioni democratiche si svolse una specie di plebiscito che, ovviamente, portò la lista unica
fascista ad ottenere la maggioranza. In questo modo il Parlamento era stato svuotato di tutte
le sue funzioni e diventava solo un’emanazione del governo. Dieci anni dopo, nel 1939, la
Camera dei deputati sarebbe stata soppressa e sostituita con la Camera dei Fasci e delle
corporazioni.
Propaganda: per accrescere il consenso Mussolini fece ampiamente ricorso alla propaganda
cioè alla promozione delle idee fasciste, delle varie azioni compiute dal governo fascista e
anche all’esaltazione di se stesso. La propaganda era condotta dal partito attraverso la
stampa, il cinema, la radio, le manifestazioni pubbliche, il controllo di tutto ciò che veniva
pubblicato o trasmesso che doveva essere preventivamente inviato all’ufficio stampa della
presidenza del consiglio dei prefetti attraverso delle comunicazioni telegrafate che si
chiamavano “veline”. La riforma della scuola elaborata dal filosofo Giovanni Gentile nel 1923
prevedeva una struttura centralizzata e gerarchica. Nel 1926 fu fondata l’Opera Nazionale
Balilla, un’istituzione che si occupava dell’istruzione ginnica e sportiva dei giovani.
L’OVRA: tra il 1927 e il 1930 fu creata l’Ovra (Opera di vigilanza e repressione
antifascista),un corpo di polizia che si occupava di perseguire coloro che erano sospettati di
essere antifascisti.
L’opposizione al Fascismo: Tra il 1925 e il 1926 l’opposizione al Fascismo si concretizzò
nella pubblicazione del Manifesto degli intellettuali antifascisti, un testo in cui venivano
spiegate le ragioni per le quali si riteneva il Fascismo un regime politico inaccettabile, che
venne firmato da molti scrittori, pittori, filosofi, critici letterari e altri intellettuali e che era stato
promosso dal filosofo Benedetto Croce. Il Manifesto era nato in risposta a quello, pubblicato
precedentemente degli intellettuali fascisti, in base ad un’idea del filosofo Giovanni Gentile, il
quale creava delle basi culturali al Fascismo e rivendicava la necessità di questo tipo di
organizzazione dello Stato e di ideologia. Negli anni seguenti e durante tutti i decenni di
affermazione del Fascismo si moltiplicarono le condanne al confino o a morte e le vittime
furono spesso illustri esponenti del mondo della politica antifascista o della cultura italiana:
tra loro ricordiamo Antonio Gramsci, intellettuale e leader del Partito Comunista; Giovanni
Amendola e Piero Gobetti che morirono per le conseguenze dei pestaggi fascisti, mentre
Filippo Turati, leader del Partito Socialista e Don Luigi Sturzo, fondatore di quello Popolare
furono costreti all’esilio. Nel 1929 in Francia un gruppo di esuli italiani fondò il gruppo
“Giustizia e Libertà” i cui fondatori furono l’artista Carlo Rosselli, che sarebbe stato in seguito
assassinato da sicari fascisti e lo scrittore Emilio Lussu. L’obiettivo del gruppo era conciliare
principi liberali e socialisti e creare una forza politica capace di rovesciare il regime fascista.

Società, economia e politica durante la dittatura fascista


Mussolini comprese ben presto che era necessario stabilire un rapporto di fiducia e rispetto
reciproco con il Papa e così nel 1929 firmò i “Patti Lateranensi" con il Papa Pio XI. Si
trattava di un accordo in base al quale la Chiesa riconosceva ufficialmente lo Stato italiano
con capitale Roma e accettava il Fascismo. In cambio lo Stato italiano definiva quella
cattolica l’unica religione ufficiale italiana e attribuiva al Papa la piena sovranità sul piccolo
stato del Vaticano. Restavano domini della Chiesa anche Gastel Gandolfo e il Laterano.
Inoltre lo Stato avrebbe pagato alla Chiesa una forte somma di denaro per compensare le
perdite economiche dovute all’acquisizione del territorio pontificio da parte dello Stato
italiano.
Il rapporto del Fascismo con il mondo del lavoro fu abbastanza conflittuale perchè Mussolini
voleva privilegiare gli interessi dell’alta borghesia e non quelli dei lavoratori. Infatti, fu abolito
il diritto di scioperare e di riunirsi in associazioni sindacali e al posto di queste ultime furono
istituite le corporazioni. Nel 1927 fu emanata la “Carta del lavoro” in base alla quale era
necessaria collaborazione tra le classi sociali e per questo venivano istituite le corporazioni.
Esse erano delle associazioni di lavoratori della stessa categoria che riunivano sia i
dipendenti che i datori di lavoro e quindi, attraverso di esse, non era possibile portare avanti
nessuna rivendicazione dei propri diritti.
La politica economica fino al 1925 era stata liberista, cioè lo Stato era entrato poco nel
mondo del lavoro lasciando spazio all’iniziativa privata che veniva incentivata con una
tassazione ridotta. Dal 1925, però, con il ministro Volpi, la politica economica cambiò
radicalmente diventando protezionista: furono limitati gli investimenti stranieri in Italia,
imposte molte tasse su cereali e altri generi alimentari e ridotto enormemente l’acquisto di
beni dall’estero per avvantaggiare il mercato italiano. Queste misure, però, non giovarono al
paese perchè gli altri stati iniziarono a comprare meno merci dall’Italia e ciò rese necessario
diminuire la produzione, abbassare i prezzi delle merci e, spesso, licenziare gli operai in
esubero. La situazione si aggravò con il crollo della Borsa di Wall street nel 1929 perchè
l’economia statunitense crollò e i paesi che erano legati ad essa per i prestiti e le relazioni
commerciali ne risentirono tanto. L’Italia era uno di essi e così, per superare la crisi, il
Fascismo adottò vari provvedimenti:
- furono istituiti l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) che concedeva prestiti finanziati dallo
Stato alle aziende che rischiavano il fallimento; e l’Istituto per la Ricostruzione
Industriale (IRI) attraverso cui la Stato acquistò parte dei pacchetti azionari delle
aziende più in difficoltà in modo da non farle chiudere.
- si stabilì che doveva essere raggiunta l’autarchia, cioè la piena capacità dell’Italia di
produrre internamente tutto ciò di cui il paese aveva bisogno limitando il più possibile
le importazioni dall’estero.
- vennero promosse le “battaglie fasciste”: quella del grano per convertire buona parte
delle colture (anche quelle pregiate) in grano nella cui produzione il paese doveva
diventare autosufficiente; quella della palude per la bonifica delle paludi pontine,
nelle quali furono incentivati ad andare contadini da tutta Italia con la prospettiva di
avere una casa e un terreno da coltivare; quella demografica per incrementare la
popolazione italiana attraverso incentivi alle famiglie numerose.
Il tempo libero degli italiani fu organizzato dal Fascismo in una serie di attività obbligatorie
che comprendevano esercizi ginnici all’aperto da fare tutti insieme, adunate con comizi di
Mussolini ed altri gerarchi del Partito Fascista in cui si esaltava la figura di Mussolini,
celebrato con l’appellativo di Duce e considerato una specie di salvatore della patria.
Nell’ultima fase della dittatura, quella precedente allo scoppio della II Guerra Mondiale,
furono approvate le Leggi razziali. Dopo l’avvicinamento di Mussolini alla Germania nazista
di Hitler, nel 1938 fu pubblicato il Manifesto della razza firmato da quasi 200 scienziati
fascisti che esponevano teorie in base alle quali l’umanità si divide in razze e ce ne sono di
migliori e di peggiori, di più intelligenti e di meno, di indole più buona e di indole più scorretta
e cattiva. Si trattava di teorie affini a quelle naziste che, anche in Italia, giustificavano
l’emanazione di leggi finalizzate a proteggere la razza ariana da quella considerata più
pericolosa ossia la razza ebraica. Le leggi vietavano i matrimoni tra ebrei e cattolici,
impedivano agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, di usare i mezzi di trasporto, di
svolgere lavori nelle forze dell’ordine, nella pubblica amministrazione o comunque nei settori
statali e parastatali, infine imponevano il divieto di fare il notaio o il pubblico ufficiale. Ancora
oggi è aperto un grande dibattito fra gli storici in merito alle leggi razziali in Italia: secondo
alcuni esse sono una diretta conseguenza del legame creatosi tra Mussolini e Hitler, le leggi
razziali sono infatti scritte sul modello delle leggi di Norimberga tedesche. Questa
impostazione considera, dunque, che il nostro paese non avesse profondi sentimenti
antisemiti ma che le leggi fossero il frutto di accordi diplomatici con il dittatore tedesco.
Invece, secondo altri storici, in Italia esisteva già da molto tempo il razzismo nei confronti
degli ebrei e quindi le leggi razziali assecondavano i sentimenti di molti cittadini e non erano
state emanate solo per seguire la Germania nazista.

La politica estera del Fascismo


Appena salito al potere, già dal 1922, Mussolini cercò di ottenere la revisione dei trattati di
pace della I Guerra Mondiale e stabilì buoni rapporti con la Gran Bretagna mentre le
relazioni diplomatiche con la Francia non furono semplici perchè quest’ultima ostacolava
ogni aspirazione italiana a costituirsi un impero coloniale. Dal 1926 Mussolini fece
incrementare la produzione di armi e la politica estera diventò molto più aggressiva anche
perchè in tutta Europa stava aumentando progressivamente la tensione tra i diversi stati. Nel
1935 iniziò la campagna d’Etiopia con l’invasione del paese africano da parte delle truppe
fasciste. La Società delle Nazioni accusò l’Italia di aggressione e la condannò a delle
sanzioni economiche che però furono applicate in modo poco rigoroso perchè la Gran
Bretagna e gli USA continuavano a rifornire l’Italia di armi e altri prodotti. Dopo circa un
anno di combattimenti, nel 1936, Mussolini dichiarò la nascita dell’Impero dell’Africa
orientale italiana che si sarebbe rivelato essere frutto di molti accordi diplomatici con il negus
d’Etiopia i quali portarono più svantaggi che benefici al nostro paese.
Nel 1936 fu creato il patto con la Germania definito “Asse Roma - Berlino” in base al quale
era riconosciuta ufficialmente la vicinanza ideologica e politica dei due paesi anche se non
si trattava proprio di un’alleanza militare.

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