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COSTRUZIONE DEL FASCISMO

Il fascismo è stato un movimento politico nato in Italia all'inizio del XX secolo,


soprattutto per iniziativa del politico, giornalista, e in seguito Primo ministro italiano
Benito Mussolini

(1883-1945).
Alcune delle dottrine e delle pratiche elaborate e adottate dal fascismo italiano si sono
diffuse in seguito, anche se con caratteristiche differenti, in Europa e in altri Paesi del
mondo. Si caratterizzò come un movimento nazionalista, autoritario e totalitario.
L'ideologia sottesa a tale movimento è stata interpretata allo stesso tempo come
rivoluzionaria e reazionaria.
È considerato come anticapitalista e populista sul piano ideologico, fautore della
proprietà privata e della divisione della società in classi.

EVENTI:
• 1919, 21 marzo: Benito Mussolini fonda il Fascio Milanese di Comabattimento; i
120 uomini che danno vita al movimento verranno detti poi Sansepolcristi dal
nome della piazza nella quale avvenne la riunione.
• 1919, 12 settembre: Gabriele D'Annunzio conquista Fiume con una spedizione
di volontari non autorizzata dal governo.
• 1920, 13 giugno: Cade il governo Nitti perchè impotente contro D'Annunzio; gli
subentra Giolitti. I fascisti sono sconfitti alle elezioni.
• 1921, 11 giugno: Nel suo primo discorso Mussolini attacca Giolitti e offre alle
sinistre un compromesso.
• 1921, 3 agosto: viene stipulato il Patto Zaniboni - Acerbo che segna una tregua
negli scontri tra fascisti e socialisti.
• 1921, 7-10 novembre: Congresso Fascista.

• 1921, 9 novembre: nasce il Partito Nazionale Fascista; viene accantonato il


patto Zaniboni - Acerbo.

MARCIA SU ROMA:
La Marcia su Roma si inserì in un contesto di grave crisi e messa in discussione dello
Stato liberale, le cui istituzioni erano viste come non più idonee a garantire l'ordine
interno principalmente da fascisti, socialisti e comunisti. La situazione di crisi cominciò
poco prima del termine della Grande Guerra, quando i rigori cui il popolo venne
sottoposto ai fini del successo bellico avevano iniziato a destare un forte malcontento.

Finita la guerra, questo esplose in forme violente, caratterizzate dall'affiancamento


dell'azione armata a quella politica da parte di partiti e gruppi politici o dalla loro
trasformazione in vere e proprie forme paramilitari, creando disordini che sfociarono nel
biennio rosso. Nel novembre del 1921 i Fasci Italiani di Combattimento si trasformarono
nel Partito Nazionale Fascista (PNF).
Mussolini optò per una "via parlamentare", tenendo a freno le squadre d'azione ed
iniziando la ricerca del consenso popolare. Approfittò perciò del coinvolgimento di
Gabriele D'Annunzio nell'occupazione del Comune di Milano (3 agosto 1922), per
sottintenderne la sua adesione al partito. A partire dalla primavera del 1922, e poi
soprattutto dal luglio quando avvennero gravi crisi e rapide alternanze di governo, la
politica parlamentare seguì le manovre dei popolari di Don Sturzo per un governo
guidato da Vittorio Emanuele Orlando in coalizione con il Partito Socialista Italiano.
Del resto, lo stesso Giovanni Giolitti, in un'intervista al Corriere della Sera, aveva
sostenuto l'opportunità di una trasformazione in senso costituzionale del movimento. Nel
frattempo, la propaganda affievoliva il carattere repubblicano del fascismo, onde non
porsi troppo presto in aperto contrasto con la Corona e le Forze Armate, che Mussolini
ed i fascisti ritenevano si sarebbero attenute al giuramento di fedeltà prestato al re,
appoggiandoli.

-Mussolini e i quadrumviri da lui nominati, ossia Italo Balbo (uno dei ras più
famosi), Emilio De Bono (futuro comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi
(un generale non sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito e
fedelissimo di Mussolini)

La marcia su Roma fu, dunque, una manifestazione armata organizzata dal Partito
Nazionale Fascista (PNF), guidato da Benito Mussolini, il cui successo ebbe come
conseguenza l'ascesa al potere del partito stesso in Italia. Il 28 ottobre 1922, 25.000
camicie nere si diressero sulla capitale rivendicando dal sovrano la guida politica del
Regno d'Italia e minacciando, in caso contrario, la presa del potere con la violenza.
La manifestazione eversiva si concluse con successo quando, il 30 ottobre, il re Vittorio
Emanuele III cedette alle pressioni dei fascisti e decise di incaricare Mussolini di formare
un nuovo governo.
La Marcia su Roma venne celebrata negli anni successivi come il prologo della
"rivoluzione fascista" e il suo anniversario divenne il punto di riferimento per il conto
degli anni secondo l'era fascista.

Delitto Matteotti:
Nell’aprile del 1924 si svolsero le elezioni. La campagna elettorale era stata funestata
da innumerevoli episodi di violenza compiuti dai fascisti. Pestaggi, intimidazioni di ogni
genere, e probabilmente anche brogli, consegnarono al partito il 63% dei voti. Il
deputato socialista Giacomo Matteotti, dopo aver raccolto u a vasta documentazione,
denunciò in parlamento le illegalità compiute dai fascisti prima e durante le elezioni e
chiese che l’esito fosse invalidato. Alcuni giorni dopo, Matteotti fu rapito e ucciso. Le
responsabilità dei fascisti furono evidenti e in tutto il paese si levò un’ondata di
protesta. Mussolini era in una situazione di grande difficoltà, ma a quel punto le
opposizioni commisero un grave errore: l’Aventino.

Il 27 giugno i deputati dei partiti di opposizione, in tutto ben 135, abbandonarono l’aula
di Montecitorio in segno di protesta. Questa scelta prese il nome di “secessione
dell’Aventino”, in ricordo della famosa circostanza nella quale i plebei dell’antica Roma,
in lotta contro i patrizi, avevano lasciato la città per ritirarsi sul colle romano. In
assenza degli oppositori, Mussolini rinvio i lavori della Camera a tempo indeterminato.
Da quel momento poté agire senza controlli. Il 3 gennaio 1925, alla riapertura delle
Camere il capo del governo pronunciò un discorso nel quale si assumeva la responsabilità
morale delle violenze provocate dagli squadristi e della stessa uccisione di Matteotti.
Una simile ammissione avrebbe dovuto portare alla messa in stato d’accusa del capo del
governo davanti al Senato, costituito in Alta Corte di giustizia. Nessuno fece nulla. Era
l’inizio della dittatura.

FASCIZZAZIONE:
Utilizzando i poteri costituzionali, tra il 1922 e il 1925, Mussolini svolge un sistematico
processo di fascistizzazione dello Stato, delle sue strutture e del suo ordinamento,
gettando le basi della dittatura: rafforzamento del potere esecutivo, indebolimento
delle prerogative del Parlamento, integrazione delle strutture militari e politiche
fasciste nell’apparato statale, riduzione del pluralismo politico per imporre il partito
unico, eliminazione delle libertà costituzionali come quelle di stampa, di associazione e
di sciopero.
Un chiaro esempio della riuscita del piano di mussolini possiamo evidenzioarla Il 3
gennaio 1924, quando il capo del partito pronunciò il seguente discorso alla Camera:
"Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano,
che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è
avvenuto".

Nei giorni seguenti vennero imbavagliati i giornali di opposizione, chiusi 35 circoli


politici, sciolte 25 organizzazioni definite "sovversive", serrati 150 esercizi pubblici,
arrestati 111 oppositori ed eseguite 655 perquisizioni domiciliari.
Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come quella del 18
dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche alla Camera dei deputati,
del resto chiusa per lunghi periodi agli oppositori, i fascisti, non permettevano
praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva contro "il
parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo.

Pochi mesi dopo vengono varate le "leggi fascistissime". Approfittando dell’attentato


progettato dal deputato Tito Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre
1925), Mussolini fece occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario
e ne soppresse l’organo La Giustizia, s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa,
sciolse centinaia di associazioni, decretò il licenziamento di migliaia di impiegati statali,
tolse la cittadinanza agli esuli politici, modificò o Statuto stabilendo che al capo del
governo, nominato dal re e non più soggetto alla fiducia parlamentare, venivano
attribuiti poteri speciali tra cui la nomina a sua discrezione dei ministri e la decisione
sugli argomenti in discussione in Parlamento. All’inizio del 1926 vengono abolite le
amministrazioni locali di nomina elettiva e il sindaco viene sostituito dal podestà di
nomina governativa.
E non era finita.
In seguito a un altro attentato assai misterioso, che venne attribuito al giovinetto Anteo
Zamboni, linciato sul posto a Bologna il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti,
a eccezione, naturalmente, di quello fascista, soppresse i giornali antifascisti, istituì la
pena del confino, introdusse la pena di morte, creò la polizia segreta (OVRA) e il
Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato con il compito di reprimere i reati politici,
cioè gli oppositori del fascismo e proclamò la decadenza di 120 deputati d’opposizione
accusati di aver disertato i lavori parlamentari.
Tutti questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul
legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse consentita la
minima discussione.
Col novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio
del "regime".
Comincia la "fascistizzazione" di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività
nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e
professionali. La soppressione di libere elezioni completa l’opera. Il regime
parlamentare, a questo punto, non esiste più, sostituito da un regime autoritario a
partito unico, incentrato sull’autorità del capo del governo e basato sul terrore
poliziesco.

Imprese coloniali:
In Africa fin dal 1861 con Cavour vi fu un tentativo poco conosciuto - stroncato
prontamente da inglesi e francesi - di creare una piccola colonia, inizialmente
commerciale, sulla costa della Nigeria e nell'isola portoghese del Príncipe.
Tuttavia i primi tentativi di acquisire veri e propri possedimenti coloniali, risalgono ai
tempi della Sinistra di Agostino Depretis e di Francesco Crispi, anche se alcuni governi
precedenti avevano appoggiato, sebbene non in maniera esplicita, alcune iniziative
private, come l'acquisizione della baia di Assab da parte della Compagnia di Navigazione
Rubattino.
Nel corso degli anni ottanta del secolo XIX vi furono almeno tre tentativi ufficiali del
governo italiano per l'acquisizione di un porto nel mar Rosso il quale potesse fungere da
base verso un futuro impero coloniale in Asia o in Africa.

Il fascismo cercò inizialmente di presentarsi in maniera propositiva nei confronti


dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del
reggente Haile Selassie.
Tale accordo si concretizzò nel 1928.
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti,
Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto
libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società
delle Nazioni.
Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di
amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio
1936. Quattro giorni dopo, il 9 maggio, con la dichiarazione della sovranità del Regno
d'Italia sull'Etiopia e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia,
l'impero coloniale trovò la sua ufficializzazione.

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia negli anni venti e
trenta, durante il dominio coloniale italiano in Africa furono usate armi vietate, quali
gas asfissianti e iprite. La successiva pacificazione attuata dal fascismo nelle colonie
africane, talora brutale, fu totale in Libia, Eritrea e Somalia (mentre in Abissinia, dopo
meno di cinque anni, nel 1940 oltre il 75% del territorio era completamente controllato
dagli Italiani) e risultò in un notevole sviluppo economico dell'area, accompagnato da
una consistente emigrazione di coloni italiani.

Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle


colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame
dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione
britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

LEGGI RAZZIALI:
Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi
(leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio
degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale
Italiana.

Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione


ebraica. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste
da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio in Piazza Unità d'Italia, in
occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e
26 del 20 gennaio 1944, emanati durante il Regno del Sud.

Secondo ciò che le leggi decretarono, per la legislazione fascista, era ebreo chi era nato
da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in
condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la
religione ebraica.
Il fascismo, attraverso l'emanazione della Legge nº 1024 del 13 luglio 1939, norme
integrative del Regio decreto e della legge 17 novembre 1938 n.1728, sulla difesa della
razza italiana, ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato.

Con la L. 1024/1939-XVII regolò infatti la “facoltà del Ministro per l'interno di dichiarare,
su conforme parere della Commissione, la non appartenenza alla razza ebraica anche in
difformità delle risultanze degli atti dello stato civile”.
Si trattò in sostanza del conferimento di un potere molto vasto alla Commissione per le
discriminazioni: questa infatti poteva formulare un parere motivato, senza poterne
rilasciare “copia a chicchessia e per nessuna ragione”, sulla base del quale il Ministero
dell'interno avrebbe a sua volta emanato un Decreto di dichiarazione della razza.

Politica economica fascista:


La prima fase del fascismo è caratterizzata da una politica economica di impronta
liberista, gestita dal liberale De Stefani che procede alla rimozione dei vincoli alla
libertà di impresa istituiti durante la Grande Guerra e a massicci interventi statali
finalizzati ad incoraggiare gli investimenti privati, oltre che al salvataggio di banche e
industrie (Banco di Roma, Ansaldo, ecc.). Ben presto, però, l’economia italiana si trova a
dover fare i conti con l’indebolimento della bilancia commerciale e l’inflazione
crescente. Nella seconda metà degli anni Venti, perciò, matura la svolta dalla politica
liberista a quella dirigista, con lo Stato che oltre al ruolo di garante assume anche quello
di protagonista e organizzatore del ciclo economico.

Il primo atto del nuovo corso della politica economica fascista è "quota 90", la battaglia
per riportare il cambio dalla cifra record di 145 lire per ogni sterlina a 90. Una scelta,
questa, che se da un lato soddisfa le esigenze di prestigio politico del regime, dall’altro
penalizza gli interessi economici del mondo industriale perché causa una forte
deflazione e rende i prodotti italiani meno competitivi sui mercati internazionali.

Quando le conseguenze della crisi del ’29 si fanno sentire anche in Italia, il fascismo
reagisce accentuando il proprio carattere autoritario, mirando ad estendere il proprio
controllo su ogni aspetto della vita economica, politica e sociale. Nel 1933 nasce l’IRI
(Istituto per la ricostruzione industriale), mediante il quale lo Stato concentra nelle
proprie mani il controllo azionario di un gran numero di banche e imprese. Il
meccanismo delle partecipazioni statali, in pratica, consente allo Stato di intervenire
direttamente nell’economia arrivando perfino ad orientare e dirigere lo sviluppo. Nel
1934 viene istituito il controllo statale sulle operazioni valutarie e il divieto di esportare
valuta; nel 1935 viene imposto il controllo statale sulle importazioni.

Con la guerra d’Etiopia del 1935-36, a causa della quale l’Italia subisce le sanzioni
economiche da parte della Società delle nazioni, Mussolini lancia l’autarchia, cioè il
raggiungimento della massima autonomia economica. Con la riforma del credito del
1936, che cancella il vecchio sistema della banca mista affidando agli istituti pubblici le
funzioni di investimento industriale, lo Stato assume anche il compito di rastrellare
capitali. Il potere di controllo e di programmazione statale a questo punto diventa
enorme.

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