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L’AVVENTO DEL FASCISMO

IL PARTITO-MILIZIA: L’ASCESA DEL FASCISMO


PERCHE’ IL FASCISMO ANDO’ AL POTERE
Nelle elezioni del 1919 i fascisti avevano preso poco più di 4000 voti, ma nell’arco di
tre anni il fascismo diventò un partito di massa e conquistò il potere. In breve, ciò
che assicurò il successo al fascismo fu: l’impiego sistematico della violenza, tollerata
dalle istituzioni preposte al mantenimento dell’ordine pubblico; l’abbandono del
programma radicale originario e la capacità di proporsi alla borghesia e ai ceti medi
come forza in grado di riportare l’ordine e sconfiggere socialisti e sindacati; la
fragilità delle istituzioni liberali, e la convinzione della classe dirigente di poter
utilizzare il fascismo come alleato per ridimensionare la sinistra; la divisioni
all’interno del movimento socialista e popolare.

LO SQUADRISMO: CARATTERI E DIFFUSIONE


Quando nel 1920 il fascismo sembrava essere finito, incominciarono a prendere
piede le squadre d’azione, cioè la milizia armata del movimento. Esse nacquero nelle
città del Nord, e pian piano assunse un carattere più organizzato, diffondendosi
anche in Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli, Toscana, Umbria e Puglia. Le squadre
fasciste erano composte prevalentemente da studenti, ex combattenti, ex ufficiali,
disoccupati. Inizialmente compivano azioni dimostrative o di aggressione contro i
socialisti, ma pian piano assunsero un carattere più organizzato e iniziarono a
muoversi da un borgo all’altro, distruggendo le case del popolo, i circoli, le sedi delle
leghe; bastonando e uccidendo militanti sindacali e politici, costringendo sindaci e
consiglieri a dimettersi.
Questi assalti erano appoggiati e finanziati da piccoli e grandi proprietari terrieri, ma
trovarono consenso presso anche quei commercianti, artigiani e impiegati che
temevano il movimento.

LO SQUADRISMO IMPUNITO
Una violenza terroristica si abbattè sulle leghe rosse, e bianche cattoliche. Lo
squadrismo riuscì ad occupare intere città, principalmente per via della mancata
tutela da parte delle forze dell’ordine e della magistratura. Il fascismo, infatti,
incontrò generalmente tolleranza, simpatia e complicità presso prefetti, ufficiali,
magistrati, poliziotti e carabinieri, che simpatizzavano con il carattere antisociale e
patriottico del movimento. Nei casi in cui le istituzioni manifestarono dissenso, la
risposta dei fascisti fu quella di mettere a ferro e fuoco la città fino ad ottenerne la
destituzione.
Il problema dell’atteggiamento che lo stato liberale ebbe nei confronti del fascismo
va considerato dal punto di vista politico.

I LIBERALI GUARDANO A DESTRA


Dalla fine della guerra al primo governo di Mussolini si susseguirono sette diversi
governi. Questa instabilità politica era lo specchio di una crisi della classe dirigente
liberale, che non riusciva più ad essere in maggioranza. Le coalizioni di governo, in
generale, erano sempre più precarie e mancava una soluzione alternativa. In questo
contesto il fascismo cominciò a crescere notevolmente.

LE ELEZIONI DEL 1921


I liberali avanzarono l’ipotesi di creare un’alleanza tra nazionalisti e fascisti, sperando
di poter creare una maggioranza parlamentare più stabile, “parlamentizzando” il
movimento fascista. Questa svolta ideata da Giolitti fu fatale. Mussolini aderì ad una
proposta che gli dava legittimità politica.
Nelle elezioni del 15 maggio 1921, dunque, i fascisti si presentarono in liste di blocco
nazionale, con liberali e altri gruppi di centro. Il risultato fu un parlamento ancora più
frazionato: le sinistre subirono un calo, i popolari furono in crescita, mentre liberali e
democratici raggiunsero la maggioranza solo grazie ai deputati fascisti, fra cui
Mussolini stesso. Il nuovo governo era debolissimo e di conseguenza crebbe il peso
politico dei fascisti, ormai padroni di piazze e città.

IL PATTO DI PACIFICAZIONE
A questo punto Mussolini comprese che il perdurare delle violenze avrebbe
allontanato i consensi della borghesia e dei moderati. Per questo cercò di presentarsi
come “uomo d’ordine” e sottoscrisse con i socialisti, nell’agosto 1921, un patto di
pacificazione, in cui si rinunciava ai reciproci atti di violenza.
Quando iniziarono a diffondersi gli atti di violenza rossa si trattava di gesti che
esplodevano come risposta alle agitazioni popolari e non avevano un carattere
metodico e organizzato. Nel 1922 gli squadristi erano diventati una vera e propria
struttura militare, dotata di fucili, pistole e bombe a mano.
L’opinione pubblica accettò il patto di pacificazione, ma i capi locali del fascismo, i
ras, si opposero, predicando la piena attuazione della violenza fascista senza
moderazione, andando contro lo stesso Mussolini.

IL PARTITO-MILIZIA
Il Duce riuscì a superare le tensioni nate all’interno del suo movimento, presentando
il fascismo come la sola forza politica capace di risolvere la crisi italiana e se stesso
come l’unico in grado di porre fine alle violenze.
Da un lato accontentò i fascisti più convinti sconfessando il patto di pacificazione,
dall’altro mise sotto controllo le frange più estremiste trasformando i Fasci nel
Partito nazionale fascista. Il programma del Pnf prevedeva la costruzione di uno stato
forte, la limitazione dei poteri del parlamento, esaltava la nazione e la competizione
con gli altri stati, proponeva di restituire i servizi essenziali gestiti dallo stato
all’industria privata, vietava lo sciopero nei servizi pubblici.
Si tratta di un programma di impronta conservatrice e nazionalista, che fu accolto dai
ceti medi. Al contempo Mussolini potè controllare i ras tramite la formazione
ufficiale del partito.
Le squadre fasciste vennero dunque inquadrate all’interno del partito, e nacque il
parito-milizia, fenomeno del tutto nuovo e non ostacolato dallo stato.

LA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA


Mentre il fascismo si consolidava, il Partito socialista si indeboliva a causa di ulteriori
divisioni. In particolare assistiamo a tre scissioni.
La prima avvenne al Congresso di Livorno, in cui un gruppo di dirigenti dell’ala
sinistra del partito si presentò in una nuova formazione, il Partito comunista d’Italia,
giudicando inadeguate le linee politiche del Partito socialista, poiché non davano
occasione di costruire un’Italia una reale prospettiva rivoluzionaria.
La seconda avvenne l’anno successivo, e sanzionò l’insanabile divergenza tra i
massimalisti e i riformisti. Nacque il partito socialista unitario, con segretario
Giacomo Matteotti.

DALLA MARCIA SU ROMA ALLA DITTATURA


LA MARCIA SU ROMA
Un segno della crisi in cui versavano socialisti e la sinistra fu il fallimento dello
sciopero legalitario, in difesa delle libertà politiche e sindacali. La risposta dei fascisti
fu una prova di forza, con rappresaglie contro le organizzazioni socialiste superstiti.
In questo contesto Mussolini fingeva di trattare con Giolitti e Salandra la formazione
di un governo che comprendesse anche i fascisti, mentre diede il via alla
concentrazione di squadristi nella capitale.
La marcia su Roma ebbe inizio il 28 ottobre 1922, con l’occupazione di edifici pubblici
nelle varie città, mentre colonie di fascisti si dirigevano verso Roma.

LA RESA DELLO STATO


Dal punto di vista militare i fascisti erano consapevolmente svantaggiati rispetto
l’esercito italiano, motivo per cui l’obiettivo della marcia non fu militare ma politico.
La mattina del 28 ottobre il governo proclamava lo stato d’assedio, subito ritirato
perché alla fine Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmarlo. Fece comunicare a
Mussolini che avrebbe accettato la sua richiesta di ricevere il mandato governativo.
IL GOVERNO DI MUSSOLINI
Il governo di Mussolini era un esecutivo di coalizione, che comprendeva cinque
esponenti fascisti e altri ministri di diversi orientamenti. Il passaggio da questo
governo alla dittatura non fu inevitabile, ma fu la conseguenza delle scelte compiute
dalle alleanze politiche e dalla classe dirigente del paese.
Il 16 novembre Mussolini fece il famoso discorso del bivacco al parlamento, in cui
chiedeva una legittimazione parlamentare del governo attraverso un voto. La
maggioranza fu favorevole, con liberali, popolari, nazionalisti e democratici.
Questo voto fu un suicidio politico da parte del parlamento italiano, e il primo passo
che portò il fascismo ad impadronirsi del governo e dello stato, cancellando ogni
forma di democrazia.

L’EQUIVOCO DELLA NORMALIZZAZIONE: VERSO LA DITTATURA


Tra il 1922 e il 1925 si colloca la fase di transizione verso la dittatura fascista. In
questa fase il fascismo fu considerato dagli esponenti della classe dirigente come
una forza conservatrice da riportane entro i binari delle istituzioni, una volta
eliminato il pericolo socialista.
Questa idea fu errata. Mussolini, da presidente del consiglio, presentò il Partito
fascista come un elemento di normalizzazione, in quanto formato da una
maggioranza capace di garantire stabilità politica e pace sociale.
Nel 1923 Mussolini inquadrò le squadre d’azione nella Milizia volontaria per la
sicurezza nazionale, un esercito parallelo che non giurava fedeltà al re, ma al capo
del governo. In questo modo potè disciplinare il fascismo più bellicoso, ma fu anche
un’arma di ricatto.

MUSSOLINI E I POPOLARI
Il principale problema per Mussolini restava la stabilità della sua maggioranza. Ne
facevano parte, infatti, forze politiche non fasciste che insieme avevano maggioranza
numerica. Tra questi, i popolari erano divisi in struziani, ostili ad ogni collaborazione
con i fascisti, e i clerico-moderati, che appoggiavano il governo.
Per avvicinare il mondo cattolico e il nuovo Papa Pio XI, Mussolini abbandonò i toni
anticlericali iniziali e così il mondo cattolico iniziò ad avvicinarsi. Don Struzo fu
sottoposto ad un attacco della stampa fascista e fu costretto a lasciare il paese.

LA LEGGE ACERBO
Nel 1923 fu approvata la legge Acerbo, una legge elettorale maggioritaria che volle
Mussolini per consolidare la maggioranza e togliere spazio alle opposizioni. Secondo
questa legge, bisognava assegnare i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto
la maggioranza dei voti, purché superiore al 25%.
Alle elezioni del 1924 il Partito fascista si presento in una lista nazionale, il listone,
che ebbe un grande successo con il 65% dei voti.
Mussolini disponeva di una maggioranza di 374 deputati su 535, di cui 275 fascisti.
Le votazioni furono accompagnate da brogli e intimidazioni, ma il successo del
fascismo nasceva da un consenso di base che stava conquistando. Mussolini risultava
sempre più credibile agli occhi degli italiani, presentando il fascismo come una
garanzia di ordine e di ringiovanimento della vita politica e della classe dirigente.
In parlamento entrava una nuova classe politica in camicia nera, la generazione delle
trincee, più della maggior parte dei deputati aveva partecipato alla Grande Guerra.

IL DELITTO DI MATTEOTTI E L’AVENTINO


Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti denunciò i brogli e le violenze elettorali, e fu
rapito e ucciso da una squadra fascista mentre si recava in parlamento. Il cadavere fu
trovato in un bosco nella periferia di Roma.
Il delitto scosse l’opinione pubblica, alcuni ambienti liberali e imprenditoriali presero
le distanze dal fascismo e Mussolini sembrò vacillare per la prima volta.
Le opposizioni parlamentari attuarono la secessione dell’Aventino: decisero per
protesta di non partecipare più ai lavori delle camere, affermando di non riconoscere
la legittimità morale e politica del parlamento governato dai fascisti.

DISCORSO DEL 3 GENNAIO 1925


All’alto significato morale della secessione dell’Aventino non corrispose una forza
politica. Per ripristinare la legalità costituzionale era necessario che Vittorio
Emanuele III richiedesse la destituzione di Mussolini, ma ciò non avvenne.
Gradualmente Mussolini riprese in mano la situazione, e il 3 gennaio 1925 fece un
discorso al parlamento in cui si assunse la piena responsabilità politica delle violenze
fasciste e del delitto Matteotti. Primo passo verso la dittatura fascista.

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