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LO SQUADRISMO IMPUNITO
Una violenza terroristica si abbattè sulle leghe rosse, e bianche cattoliche. Lo
squadrismo riuscì ad occupare intere città, principalmente per via della mancata
tutela da parte delle forze dell’ordine e della magistratura. Il fascismo, infatti,
incontrò generalmente tolleranza, simpatia e complicità presso prefetti, ufficiali,
magistrati, poliziotti e carabinieri, che simpatizzavano con il carattere antisociale e
patriottico del movimento. Nei casi in cui le istituzioni manifestarono dissenso, la
risposta dei fascisti fu quella di mettere a ferro e fuoco la città fino ad ottenerne la
destituzione.
Il problema dell’atteggiamento che lo stato liberale ebbe nei confronti del fascismo
va considerato dal punto di vista politico.
IL PATTO DI PACIFICAZIONE
A questo punto Mussolini comprese che il perdurare delle violenze avrebbe
allontanato i consensi della borghesia e dei moderati. Per questo cercò di presentarsi
come “uomo d’ordine” e sottoscrisse con i socialisti, nell’agosto 1921, un patto di
pacificazione, in cui si rinunciava ai reciproci atti di violenza.
Quando iniziarono a diffondersi gli atti di violenza rossa si trattava di gesti che
esplodevano come risposta alle agitazioni popolari e non avevano un carattere
metodico e organizzato. Nel 1922 gli squadristi erano diventati una vera e propria
struttura militare, dotata di fucili, pistole e bombe a mano.
L’opinione pubblica accettò il patto di pacificazione, ma i capi locali del fascismo, i
ras, si opposero, predicando la piena attuazione della violenza fascista senza
moderazione, andando contro lo stesso Mussolini.
IL PARTITO-MILIZIA
Il Duce riuscì a superare le tensioni nate all’interno del suo movimento, presentando
il fascismo come la sola forza politica capace di risolvere la crisi italiana e se stesso
come l’unico in grado di porre fine alle violenze.
Da un lato accontentò i fascisti più convinti sconfessando il patto di pacificazione,
dall’altro mise sotto controllo le frange più estremiste trasformando i Fasci nel
Partito nazionale fascista. Il programma del Pnf prevedeva la costruzione di uno stato
forte, la limitazione dei poteri del parlamento, esaltava la nazione e la competizione
con gli altri stati, proponeva di restituire i servizi essenziali gestiti dallo stato
all’industria privata, vietava lo sciopero nei servizi pubblici.
Si tratta di un programma di impronta conservatrice e nazionalista, che fu accolto dai
ceti medi. Al contempo Mussolini potè controllare i ras tramite la formazione
ufficiale del partito.
Le squadre fasciste vennero dunque inquadrate all’interno del partito, e nacque il
parito-milizia, fenomeno del tutto nuovo e non ostacolato dallo stato.
MUSSOLINI E I POPOLARI
Il principale problema per Mussolini restava la stabilità della sua maggioranza. Ne
facevano parte, infatti, forze politiche non fasciste che insieme avevano maggioranza
numerica. Tra questi, i popolari erano divisi in struziani, ostili ad ogni collaborazione
con i fascisti, e i clerico-moderati, che appoggiavano il governo.
Per avvicinare il mondo cattolico e il nuovo Papa Pio XI, Mussolini abbandonò i toni
anticlericali iniziali e così il mondo cattolico iniziò ad avvicinarsi. Don Struzo fu
sottoposto ad un attacco della stampa fascista e fu costretto a lasciare il paese.
LA LEGGE ACERBO
Nel 1923 fu approvata la legge Acerbo, una legge elettorale maggioritaria che volle
Mussolini per consolidare la maggioranza e togliere spazio alle opposizioni. Secondo
questa legge, bisognava assegnare i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto
la maggioranza dei voti, purché superiore al 25%.
Alle elezioni del 1924 il Partito fascista si presento in una lista nazionale, il listone,
che ebbe un grande successo con il 65% dei voti.
Mussolini disponeva di una maggioranza di 374 deputati su 535, di cui 275 fascisti.
Le votazioni furono accompagnate da brogli e intimidazioni, ma il successo del
fascismo nasceva da un consenso di base che stava conquistando. Mussolini risultava
sempre più credibile agli occhi degli italiani, presentando il fascismo come una
garanzia di ordine e di ringiovanimento della vita politica e della classe dirigente.
In parlamento entrava una nuova classe politica in camicia nera, la generazione delle
trincee, più della maggior parte dei deputati aveva partecipato alla Grande Guerra.