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Mussolini, dopo la morte di Matteotti, aveva annunciato una svolta autoritaria nel discorso
alla Camera del 3 gennaio 1925. Il 1925 fu segnato da violenze squadriste.
Una tappa fondamentale di questo processo fu rappresentata dalle "leggi fascistissime"
(1925-1926), ispirate dal giurista Alfredo Rocco e finalizzate a rafforzare il governo e ad
abolire la distinzione dei poteri.
Il primo ministro divenne responsabile del proprio indirizzo di governo solo di fronte al re e
non più di fronte al Parlamento.
A livello locale furono ampliate le prerogative dei prefetti e alle cariche elettive subentrò
quella del podestà, di nomina governativa. Per reprimere le attività antifasciste fu istituito
inoltre un Tribunale speciale per la difesa dello stato. La repressione fece largo uso di un
altro strumento: il confino, un provvedimento stabilito dalla polizia per cui si era costretti ad
abitare in una località prestabilita diversa da quella di residenza.
Mussolini trasformò così lo stato in senso totalitario, instaurando una dittatura personale,
basata su un partito unico, che intendeva regolamentare tutte le attività dei cittadini. Le
elezioni divennero una pura formalità, in quanto si votava per una lista unica nazionale,
scelta dal Gran consiglio del fascismo. In tal modo il Partito fascista riuscì a ottenere un
risultato plebiscitario (cioè la stragrande maggioranza dei consensi) alle elezioni del
marzo 1929. I cittadini dovevano limitarsi a votare con un sì o con un no l’unica lista
compilata dal governo, sapendo che il loro voto non era più né segreto, nel libero, in quanto
la scheda del sì era facilmente riconoscibile dall’esterno perché tricolore, mentre quella del
no era bianca e chi la depositava nell’urna diventava bersaglio di violenze.
La politica estera
La politica estera fascista in una prima fase (1922-1926) ricercò alleanze esterne, in
particolare con l'Inghilterra, e si propose di assicurare la pace e migliorare l'immagine
dell'Italia in Europa. Al contempo, però, le mire espansionistiche di cui Mussolini si faceva
interprete lo spinsero a chiedere la revisione dei trattati di pace considerati ingiusti per l'Italia
(revisionismo). In una seconda fase (1926-1932), invece, il regime si sentì più forte e
inasprì i rapporti internazionali soprattutto con la Francia. In seguito all'ascesa in Germania
del nazismo, l'Europa risultava segnata dalla sempre più netta contrapposizione tra stati
liberal-democratici e regimi totalitari. La via della diplomazia fu abbandonata quando
Mussolini nel 1935 decise di dare inizio a una politica di espansione in Africa ai danni
dell'Etiopia, allora retta da Selassié. Una simile impresa provocò l'applicazione nei riguardi
dell'Italia di sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni, ma ciò offrì spunti di
propaganda al fascismo, che poté così esaltare la prova di fermezza offerta dal regime.
La guerra d'Etiopia, condotta con estrema brutalità nei confronti delle popolazioni africane,
si concluse vittoriosamente per l'Italia nel 1936, ma costò anche l'uscita del paese dalla
Società delle Nazioni e il suo isolamento in ambito europeo. In tale situazione Mussolini si
risolse a cercare un'alleanza con la Germania di Hitler, che si concretizzò nell'ottobre 1936
con un accordo definito dallo stesso Mussolini Asse Roma-Berlino. Tale accordo non
costituiva un avere propria alleanza, ma riconosceva il rapporto sempre più stretto fra i due
paesi, in quanto prevedeva l’impegno comune di lottare contro il pericolo bolscevico e una
reciproca consultazione sulle questioni internazionali.
Le leggi razziali
Nell'ambito di questa nuova alleanza, nel 1938, dopo l’avvio da parte dell’Italia di una politica
razzista, analoga a quella di Hitler, dove vennero emanati una serie di provvedimenti
persecutori nei confronti degli ebrei, furono emanate in Italia le leggi razziali,
provvedimenti contro gli ebrei che contemplavano, tra l'altro, il divieto di matrimonio con
italiani, il divieto di possedere aziende o beni immobili sopra certi valori, il divieto di prestare
servizio nell'amministrazione statale e parastatale, il divieto di prestare servizio militare e
l'esclusione dalle scuole pubbliche. A causa di queste leggi, numerosi intellettuali e
scienziati ebrei (tra cui Segrè, Fermi, Terracini, Momigliano) furono costretti a emigrare
negli Stati Uniti.