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La nascita del regime

Mussolini, dopo la morte di Matteotti, aveva annunciato una svolta autoritaria nel discorso
alla Camera del 3 gennaio 1925. Il 1925 fu segnato da violenze squadriste.
Una tappa fondamentale di questo processo fu rappresentata dalle "leggi fascistissime"
(1925-1926), ispirate dal giurista Alfredo Rocco e finalizzate a rafforzare il governo e ad
abolire la distinzione dei poteri.
Il primo ministro divenne responsabile del proprio indirizzo di governo solo di fronte al re e
non più di fronte al Parlamento.
A livello locale furono ampliate le prerogative dei prefetti e alle cariche elettive subentrò
quella del podestà, di nomina governativa. Per reprimere le attività antifasciste fu istituito
inoltre un Tribunale speciale per la difesa dello stato. La repressione fece largo uso di un
altro strumento: il confino, un provvedimento stabilito dalla polizia per cui si era costretti ad
abitare in una località prestabilita diversa da quella di residenza.
Mussolini trasformò così lo stato in senso totalitario, instaurando una dittatura personale,
basata su un partito unico, che intendeva regolamentare tutte le attività dei cittadini. Le
elezioni divennero una pura formalità, in quanto si votava per una lista unica nazionale,
scelta dal Gran consiglio del fascismo. In tal modo il Partito fascista riuscì a ottenere un
risultato plebiscitario (cioè la stragrande maggioranza dei consensi) alle elezioni del
marzo 1929. I cittadini dovevano limitarsi a votare con un sì o con un no l’unica lista
compilata dal governo, sapendo che il loro voto non era più né segreto, nel libero, in quanto
la scheda del sì era facilmente riconoscibile dall’esterno perché tricolore, mentre quella del
no era bianca e chi la depositava nell’urna diventava bersaglio di violenze.

Il fascismo fra consenso e opposizione


Per aumentare il consenso e consolidare ulteriormente il regime, Mussolini (che iniziò a farsi
chiamare duce, alimentando il culto della propria immagine) fece ampio ricorso a una
martellante propaganda, attuata attraverso un completo controllo della stampa, della radio,
del cinema e delle organizzazioni di partito. Il partito dimostra di saper usare con grande
abilità gli strumenti della propaganda. La stampa fu il canale propagandistico a cui il
fascismo dedicò maggior attenzione; anche la radio venne utilizzata come mezzo di
diffusione dell’ideologia fascista. Il cinema fu un altro grande canale di diffusione del
fascismo. Nel 1931 i cinegiornali acquistarono grande importanza grazie alla musica e alla
voce dei cronisti. In questa volontà di indottrinamento del popolo anche la scuola, riformata
in senso fascista da Giovanni Gentile, divenne mezzo di propaganda. Allo scopo di
pianificare in modo capillare il tempo libero e controllare e fascistizzare la cultura italiana
vennero istituiti organismi di inquadramento di massa (come l'Opera Nazionale Balilla, i
Gruppi universitari fascisti, l'Opera nazionale dopolavoro). Gli atti di dissenso potevano
costare l’emarginazione, la privazione di casa e lavoro, o violenze fisiche e psicologiche.
Mussolini inasprì inoltre la repressione delle attività antifasciste, attraverso il controllo e la
censura della polizia (Ovra), che si dimostrò uno dei più efficaci strumenti per la ricerca e la
repressione degli antifascisti. Nonostante queste iniziative, erano aumentati gli oppositori al
regime, che accoglievano tra le loro file anche molti intellettuali (Croce, Gramsci,
Salvemini).

La politica interna ed economica


Il regime soppresse le libere associazioni sindacali (codice Rocco, 1926), sostituite dalle
corporazioni, organi statali fascisti che raggruppavano lavoratori e datori di lavoro delle
diverse categorie produttive; pubblicò inoltre la Carta del lavoro, per ribadire la
collaborazione forzata tra le classi in nome dei superiori interessi della produzione. Si
concluse la fase di politica liberista fino ad allora seguita e si passò al protezionismo. La
rivalutazione della lira, che Mussolini difese con ogni mezzo ("quota novanta') per
rinvigorire il mercato, comportò invece il ristagno economico e l'impoverimento dei ceti più
deboli.
Per fronteggiare la crisi del 1929, il regime puntò a divenire uno stato imprenditore, favori
le partecipazioni pubbliche (Imi →Istituto mobiliare italiano , Iri →Istituto per la
ricostruzione industriale, ecc.), promuovendo anche la formazione di grandi gruppi di
imprese, detestati dal capitalismo borghese, che mal tollerava l'eccessivo peso conquistato
dalle gerarchie fasciste. In campo economico il fascismo propugnava l'autarchia, cioè
l'autosufficienza della produzione nazionale, da realizzare anche attraverso misure di
sviluppo e opere di risanamento (battaglia del grano, della palude, demografica).

I rapporti tra Chiesa e fascismo


Il fascismo, in quanto dittatura, si era sempre mostrato ostile verso quei cattolici che
svolgevano attività politica nel Partito popolare o nelle "leghe bianche". Tuttavia Mussolini si
rese ben presto conto che per consolidare il regime aveva bisogno di un accordo con la
Chiesa. Si giunse così, dopo lunghe trattative, ai Patti lateranensi, sottoscritti l'11 febbraio
1929, con cui veniva stabilita la religione cattolica come unica religione dello stato e
riconosciuta la sovranità esclusiva del papa su un territorio, lo stato della Città del
Vaticano.
Tuttavia nel 1931 Mussolini emanò un provvedimento di immediata chiusura di tutti i
circoli della gioventù cattolica, tra i quali emergeva l'Azione cattolica, poi revocato con un
accordo, che prevedeva per l’Azione Cattolica la possibilità di continuare la propria attività
con finalità esclusivamente cattoliche: il che non eliminò una reciproca diffidenza tra
laicato cattolico e organizzazioni fasciste.

La politica estera
La politica estera fascista in una prima fase (1922-1926) ricercò alleanze esterne, in
particolare con l'Inghilterra, e si propose di assicurare la pace e migliorare l'immagine
dell'Italia in Europa. Al contempo, però, le mire espansionistiche di cui Mussolini si faceva
interprete lo spinsero a chiedere la revisione dei trattati di pace considerati ingiusti per l'Italia
(revisionismo). In una seconda fase (1926-1932), invece, il regime si sentì più forte e
inasprì i rapporti internazionali soprattutto con la Francia. In seguito all'ascesa in Germania
del nazismo, l'Europa risultava segnata dalla sempre più netta contrapposizione tra stati
liberal-democratici e regimi totalitari. La via della diplomazia fu abbandonata quando
Mussolini nel 1935 decise di dare inizio a una politica di espansione in Africa ai danni
dell'Etiopia, allora retta da Selassié. Una simile impresa provocò l'applicazione nei riguardi
dell'Italia di sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni, ma ciò offrì spunti di
propaganda al fascismo, che poté così esaltare la prova di fermezza offerta dal regime.
La guerra d'Etiopia, condotta con estrema brutalità nei confronti delle popolazioni africane,
si concluse vittoriosamente per l'Italia nel 1936, ma costò anche l'uscita del paese dalla
Società delle Nazioni e il suo isolamento in ambito europeo. In tale situazione Mussolini si
risolse a cercare un'alleanza con la Germania di Hitler, che si concretizzò nell'ottobre 1936
con un accordo definito dallo stesso Mussolini Asse Roma-Berlino. Tale accordo non
costituiva un avere propria alleanza, ma riconosceva il rapporto sempre più stretto fra i due
paesi, in quanto prevedeva l’impegno comune di lottare contro il pericolo bolscevico e una
reciproca consultazione sulle questioni internazionali.
Le leggi razziali
Nell'ambito di questa nuova alleanza, nel 1938, dopo l’avvio da parte dell’Italia di una politica
razzista, analoga a quella di Hitler, dove vennero emanati una serie di provvedimenti
persecutori nei confronti degli ebrei, furono emanate in Italia le leggi razziali,
provvedimenti contro gli ebrei che contemplavano, tra l'altro, il divieto di matrimonio con
italiani, il divieto di possedere aziende o beni immobili sopra certi valori, il divieto di prestare
servizio nell'amministrazione statale e parastatale, il divieto di prestare servizio militare e
l'esclusione dalle scuole pubbliche. A causa di queste leggi, numerosi intellettuali e
scienziati ebrei (tra cui Segrè, Fermi, Terracini, Momigliano) furono costretti a emigrare
negli Stati Uniti.

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