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Intanto nel giugno 1920 tornò al potere Giovanni Giolitti che tentò di
sbarazzarsi delle agitazioni massimaliste, infatti davanti al tentativo di
occupazione delle fabbriche promosso dai sindacati operai adottò un
atteggiamento passivo, convinto che il tutto avrebbe provocato la paralisi
dell’industria e quindi i lavoratori sarebbero stati costretti a capitolare. E così
fu.
Mussolini non era neppure presente alla marcia, aspettando gli sviluppi della
situazione nella prefettura di Milano, da dove si mosse solo quando ricevette
il telegramma con l’invito a presentarsi al re per ottenere l’incarico di formare
il nuovo governo. Nell’aprile 1923, i popolari furono allontanati dal Governo,
mentre i liberali continuarono a farvi parte fino alla fine del 1924.
Nel dicembre del 1922 comunicò ai maggiorenti del PNF la volontà di creare
un nuovo organismo all’interno dello stesso: il Gran Consiglio del Fascismo,
costituito l’11 gennaio 1923 e rimasto fino al 1928, un organismo privo di
qualsiasi riconoscimento giuridico e disciplinato da disposizioni del Duce e da
norme stabilite da esso stesso. Nato come organo di partito era finalizzato a
coordinare l’azione politica con quella del Governo.
La legge Acerbo sarà sostituita dalla nuova legge elettorale del 1928, che
prevederà la lista unica ed ha il compito di designare i candidati attribuiti ai
sindacati ed altre organizzazioni professionali. Esse indicavano un numero
due volte superiore a quello da eleggere (800). Successivamente il Gran
Consiglio del Fascismo sceglierà la metà (400) dei nomi proposti e la
sottoponeva all’elettorato per l’approvazione. Con essa si abbandonava il
sistema elettorale e si adottava quello plebiscitario.