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Nel 1925-26 vennero promulgate le leggi fascistissime, che trasformarono l’Italia in una dittatura: il
parlamento non poteva discutere le leggi senza il consenso del governo, fu soppressa la libertà di
associazione e di stampa, l’amministrazione dello Stato passò alle mani del governo, furono abolite le
elezioni amministrative e soppresse le autonomie locali, venne reintrodotta la pena di morte e istituito il
tribunale speicale per la difesa dello stato.
Le attività politiche o di propaganda antifasciste venivano punite con pene sino a trent’anni. L’Ovra, polizia
segreta, indagava su vere, o presunte, organizzazioni cospirative e sui comportamenti dei cittadini. Il
Parlamento assunse infine una funzione puramente formale, accentuata dalla legge elettorale del 1928, la
quale prevedeva che l’elettore potesse solamente approvare o respingere una lista di 400 candidati.
Mussolini provvedeva intanto a normalizzare il Partito fascista; tolse ogni residua autonomia ai ras e
trasformò il partito in una struttura burocratica e gerarchica, strettamente controllata dal vertice. Il
segretario del partito era nominato dal capo di governo; i segretari provinciali e federali erano nominati
dall’alto e subordinati ai prefetti. Organo supremo del partito era il Gran Consiglio del fascismo,
comprendente i massimi dirigenti del partito e alcuni titolari di alte cariche dello Stato.
L'ordinamento corporativo, enunciato nella Carta del lavoro del 1927, fu realizzato con l’istituzione di 22
corporazioni, rappresentanti dei prestatori d’opera dei diversi settori economici e produttivi, con l’obiettivo
di regolare i rapporti di lavoro nell’interesse della nazione. Con le corporazioni lo stato poté dirigere la vita
economica collettiva, superando i conflitti sindacali. Il corporativismo fu una forma di rappresentanza
politica e la Camera dei fasci e delle corporazioni sostituì la Camera dei deputati. Per conciliare lo Stato e
la Chiesa, l’11 febbraio 1929 vennero sottoscritti i Patti lateranensi, composti da tre documenti: un trattato, la
convenzione finanziaria e il concordato. I Patti rendevano la religione cattolica la sola religione dello stato.
Questa conciliazione ebbe una forte importanza politica, ottenendo il riconoscimento da parte della
Chiesa. Il mondo cattolico vedeva il fascismo come unico regime capace di lottare contro il comunismo e
di conservare i valori tradizionali della famiglia. Negli anni successivi, la Chiesa non potè più condividere la
pretesa totalitaria del fascismo di portare sotto il suo controllo tutte le forme di vita sociale, senza
nemmeno tollerare l’autonomia delle organizzazioni cattoliche ci fu uno scontro aperto, dove Mussolini
ordinò lo scioglimento di tutte le organizzazioni giovanili cattoliche.
3.1 La conquista dell’Etiopia e dell’impero
La politica del regime fascista era rivolta inizialmente a consolidare i possedimenti italiani in Libia, Eritrea e
parte della Somalia. Fra il 1932 e 1934 si decise di procedere alla conquista militare dell’Etiopia, governata dal
negus (Hailé Selassié), unico lembo di terra africana sopravvissuto alla corsa imperialistica per la spartizione
del continente.
Questa impresa coloniale aveva diversi obiettivi: affermare il ruolo dell’Italia come grande potenza, anche nei
confronti della Germania; stimolare la produzione industriale e ridurre la disoccupazione, rafforzare la politica
interna per mobilitare il consenso attorno al regime. Tuttavia, l’Etiopia faceva parte della Società delle Nazioni
e ciò poteva portare a una condanna internazionale all’Italia, ma Mussolini era sicuro che la Francia non
avrebbe ostacolato l’impresa per timore di un avvicinamento Italia-Germania; la Gran Bretagna invece non
sarebbe mai arrivata a uno scontro aperto con l’Italia.
Il 3 ottobre 1935 l’esercito italiano iniziò l’invasione dell’Etiopia, conclusa con la presa di Addis Abeba e la fuga
del negus. Al tempo stesso iniziò una guerriglia, che non cessò mai, fatta da incendi, deportazioni,
devastazioni di negozi. L’episodio più cruento fu l’attacco al monastero cristiano copto di Debrà Libanòs, dove
vennero fucilati circa 1500 religiosi.
Tuttavia, l’aggressione italiana venne di fatto condannata dalla Società delle Nazioni, che deliberò sanzioni
economiche ai danni del nostro Paese: divieto di esportare armi, divieto di importare merci italiane. Le
sanzioni escludevano le merci di grande importanza strategica, come il carbone, acciaio e petrolio. La
principale conseguenza della guerra in Etiopia fu la nuova collocazione internazionale dell’Italia, ci fu un
avvicinamento tra Italia e Germania, creando l’Asse Roma-Berlino.
La guerra d’Etiopia accentuò le tendenze all’autarchia, politica già iniziata con la battaglia del grano. Con le
sanzioni, tale politica comportò il controllo e la limitazione delle importazioni e la sostituzione di prodotti
primari d’importazione con surrogati di produzione nazionale. L’autarchia comportò un grave indebolimento
del sistema produttivo.
Mussolini, nel discorso del 9 maggio 1936, annunciò la fondazione dell’Impero dell’Africa orientale italiana,
aggiungendo al re il titolo di imperatore d’Etiopia. L’obiettivo di guadagnare consenso al regime venne
raggiunto e manifestazioni di entusiasmo accolsero l’impresa. Durante il periodo delle sanzioni, milioni di
italiani donarono l’oro alla patria.
Ci fu dunque una legislazione discriminatoria nei confronti degli ebrei, culminata dal decreto legge del
novembre 1938, “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”.
Questa legislazione prevedeva una serie di provvedimenti che miravano a escludere gli ebrei dalla comunità
nazionale o provocarne l’emigrazione (divieto dei matrimoni misti, esclusione degli ebrei dal servizio militare e
cariche pubbliche, esclusione dalla scuola). Nel 1936-37 vennero anche approvati provvedimenti legislativi che
decretavano l’inferiorità giuridica delle popolazioni coloniali e proibivano il meticciato.